Disprezzo e demonizzazione del lavoro e della ricchezza

Re: Disprezzo e demonizzazione del lavoro e della ricchezza

Messaggioda Berto » ven giu 04, 2021 7:22 am

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Disprezzo e demonizzazione del lavoro e della ricchezza

Messaggioda Berto » ven giu 04, 2021 7:26 am

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Re: Disprezzo e demonizzazione del lavoro e della ricchezza

Messaggioda Berto » ven giu 04, 2021 7:27 am

11)
Il capitalismo, un'economia fondata sul lavoro e sulla libertà di lavorare e di impiegare la ricchezza



La leggenda del fallimento del capitalismo - di Ludwig von Mises
Istituto Liberale Italiano
Di Ludwig von Mises
19 maggio 2021

https://istitutoliberale.it/la-leggenda ... von-mises/

È ormai comune pensare che la crisi economica degli ultimi anni abbia determinato la fine del capitalismo. Il capitalismo ha fallito, si è dimostrato incapace di affrontare i problemi economici. Dunque, se non vogliamo soccombere, non resta altro che spostarsi verso un’economia pianificata, verso il socialismo.

Questa credenza non è però una novità. I socialisti hanno sempre sostenuto che le crisi economiche sono l’inevitabile risultato del sistema di produzione capitalistico e che quindi non v’è altro modo per risolverle definitivamente se non ricorrendo al socialismo. L’opinione pubblica è oggi più che mai impregnata di idee socialiste [l’articolo risale al 1932, NdT], ciò fa sì che queste opinioni abbiano risonanza diffondendosi a macchia d’olio, ma questo non significa che la crisi attuale sia più grave rispetto a quelle precedenti.

I.

Quando ancora non si concepivano scelte di natura macroeconomica, si credeva che chi detenesse il potere fosse in grado realizzare qualsiasi cosa. I sacerdoti, inoltre, esortavano i potenti a governare in maniera giusta, nell’interesse della salvezza delle anime e in vista di ritorsioni nell’aldilà. Il potere dei sovrani era considerato illimitato e onnipotente, nonostante venissero riconosciuti i limiti naturali dell’essere umano e del suo potere terreno.

La nascita della sociologia, straordinaria opera di molte menti illuminate quali David Hume e Adam Smith, ha distrutto questa concezione. Si scoprì che il “potere sociale” era più un concetto astratto che una realtà realmente esistente. Venne quindi riconosciuta una necessaria interdipendenza tra i fenomeni di mercato che il potere temporale non può cancellare. Esso era un fenomeno sociale capace di trascendere dal controllo dei potenti i quali devono sottomettersi ad esso per avere successo, proprio come accade per le leggi di natura. Mai nella storia del pensiero umano e scientifico vi fu scoperta più grande.

Sulla base della conoscenza delle leggi di mercato, è possibile capire in che misura il potere dello Stato e i soprusi nel controllo delle operazioni di mercato impattano sull’economia. L’interventismo fine a se stesso non sempre riesce a soddisfare le aspettative delle autorità e produce esiti non preventivati. È quindi futile e dannoso per chi lo esercita. La dottrina liberale respinge l’interventismo come superfluo, vano e controproducente, piuttosto si basa sui risultati del pensiero scientifico. Ciò al fine di configurare le proprie azioni in modo da raggiungere gli obiettivi prefissati, non solo per arrivare ad un risultato fine a se stesso.

Il liberalismo non vuole interferire nelle questioni scientifiche; vuole che la scienza sia il punto di riferimento del comportamento umano. Si basa sulla ricerca scientifica per fare in modo che ogni membro della società sappia come raggiungere in modo efficace i propri obiettivi. I partiti politici si differenziano non per il fine a cui tendono, ma per il modo in cui tentano di raggiungere il bene comune. I liberali promuovono il sistema di proprietà privata dei mezzi di produzione come il modo migliore per creare ricchezza e benessere per tutti. Inoltre si oppongono al socialismo e all’interventismo in quanto improduttivi, nonostante quest’ultimo sia considerato un valido sistema dai suoi sostenitori perché a metà strada tra il capitalismo e il socialismo.

La visione liberale è stata aspramente criticata. Eppure gli oppositori del liberalismo non sono riusciti a confutare né la teoria su cui si fonda né la sua validità. Inoltre non sono nemmeno riusciti a controbattere con argomentazioni logiche alle critiche dei liberali, hanno semplicemente sviato il discorso. I socialisti pensavano di riuscire a sottrarsi a questa critica e giustificarsi dicendo che Karl Marx non aveva mai trattato veramente il tema dell’efficacia di una politica socialista. Dunque non hanno fatto altroché lodare l’impero socialista del futuro come un paradiso terrestre, ma si sono rifiutati di discutere i dettagli del loro programma.

Gli interventisti hanno optato per una strategia diversa. Hanno negato la validità universale della teoria degli economisti con una giustificazione assai scarna. Incapaci di controbattere logicamente l’economia classica, non potevano appigliarsi ad altro se non al “sentimentalismo morale” di cui si parlava durante l’Assemblea costitutiva dell’Associazione Economica Tedesca di Eisenach. Contro la logica pongono l’etica, contro il ressentiment della teoria e le sue argomentazioni pongono il richiamo alla volontà dello Stato.

Gli economisti avevano già previsto le conseguenze dell’interventismo e del socialismo statale e collettivista esattamente nel modo in cui si sono verificate. Ma ovviamente sono stati ignorati. Da cinquanta o sessant’anni gli Stati europei hanno adottato politiche anticapitalistiche e antiliberali. Più di quarant’anni fa, Sidney Webb (Lord Passfield) scriveva: “Possiamo affermare con certezza che la moderna filosofia socialista non è altro che l’attenta e precisa omologazione ai precetti della società, già parzialmente applicati in maniera involontaria. La storia economica di questo secolo è costellata di innumerevoli progressi compiuti grazie al socialismo”.[1] Quanto detto si è verificato all’inizio del suddetto processo e in Inghilterra, dove il liberalismo ha contribuito a reprimere politiche anticapitalistiche. Da allora la politica interventista si è espansa. Ormai tutti credono che viviamo in un’epoca di “economia vincolata” che darà vita a una florida comunità socialista.

Ora che si è verificato esattamente ciò che gli economisti avevano previsto, ora che i risultati della politica economica anticapitalista sono diventati palesi a tutti, ovunque riecheggia il grido: questo è il declino del capitalismo, il sistema capitalista ha fallito!

Il liberalismo non può essere incolpato per nessuna delle scelte delle istituzioni che ad oggi controllano la politica economica. Si oppone difatti alla nazionalizzazione delle imprese, poiché provoca ingenti danni al bilancio pubblico ed è anche la causa di una sporca corruzione. Inoltre il liberalismo si oppone alle politiche di contrasto alla libertà di impresa e di iniziativa personale, all’assegnazione del potere statale ai sindacati, ai sussidi di disoccupazione che contribuiscono solo ad allargare il fenomeno della disoccupazione. Si schiera poi contro la previdenza sociale, che trasforma gli assicurati in provocatori, delinquenti e nevrotici; contro i dazi doganali (e di conseguenza anche contro i monopoli), contro le restrizioni alla libertà di circolazione, contro la sovratassazione e l’inflazione, contro gli arsenali, contro la colonizzazione, contro l’oppressione dei popoli stranieri, contro l’imperialismo e contro la guerra. Si è ostinatamente opposto alla politica inflazionistica.

Infine, non è stato il liberalismo a schierare truppe armate che aspettano solo il momento giusto per far scoppiare una guerra civile.

II.

Per giustificare la responsabilità del capitalismo, per almeno una parte delle questioni trattate si afferma che imprenditori e capitalisti non siano più liberali ma interventisti e statalisti. Questo presupposto è vero, ma le conclusioni avanzate sono errate. Tali conclusioni si basano sull’erronea concezione marxista secondo cui, nel periodo di massimo splendore del capitalismo gli imprenditori sono riusciti a tutelare i propri interessi di classe attraverso il liberalismo mentre ora, nel periodo di declino del capitalismo, si sono affidati all’interventismo. Ciò dovrebbe dimostrare che l’interventismo è storicamente necessario e parte integrante del capitalismo moderno.

La visione dell’economia classica e del liberalismo come ideologia borghese (nel senso marxista del termine) è però una delle tante dottrine distorte del marxismo. La verità è che anche gli imprenditori vengono influenzati dalle idee del momento, per questo nell’Inghilterra del 1800 gli imprenditori erano liberali mentre nella Germania del 1930 sono interventisti, statalisti e socialisti. Gli imprenditori nel 1800 non avevano meno tornaconti personali, tutelati dall’interventismo e messi in discussione dal liberalismo, rispetto al 1930.

Oggi, il grande imprenditore è spesso definito “capitano d’industria”. Tuttavia nella società capitalista non esistono “capitani d’industria”. E’ proprio questa la differenza caratteristica tra l’economia socialista e quella capitalista. In quest’ultima il proprietario dei mezzi di produzione segue unicamente i mutamenti nel mercato. L’abitudine di definire “capitani d’industria” i capi di grandi imprese lascia intendere che queste posizioni non vengono conquistate mediante il successo imprenditoriale, bensì attraverso altro.

In uno stato interventista non è necessario che un’impresa riesca a soddisfare le richieste dei consumatori per avere successo, è più importante invece il rapporto con il governo in modo tale da trarre vantaggio dagli interventi varati da quest’ultimo. Più dazi sui prodotti dell’impresa o meno dazi sui semilavorati che essa lavora possono fare al differenza nella gestione dell’impresa. Un’impresa, per quanto bene possa essere gestita, deve necessariamente fallire se non riesce a tutelare i propri interessi in relazione alla fissazione dei dazi doganali, delle retribuzioni dinanzi all’Organo di conciliazione e presso le autorità antitrust. È più essenziale stringere i giusti contatti che produrre merce di valore.

Dunque non sono richiesti uomini capaci di gestire un’impresa e che siano in grado di dare al mercato esattamente ciò che esso richiede, bensì emergono coloro che fanno gli interessi della stampa e dei partiti politici, soprattutto quelli estremisti, in modo tale da guadagnarsene i favori. Ciò si riflette nel comportamento di quei direttori generali che contrattano più spesso con i funzionari di Stato e i leader politici che con i consumatori o i fornitori.

Dato che le aziende si preoccupano di ricevere favori politici, a loro volta si impegnano per fare favori ai politici. Non c’è una grande azienda che negli ultimi anni non abbia speso ingenti somme di denaro in investimenti realizzati per fini politici, dai quali non era previsto un profitto, bensì addirittura una perdita. Per non parlare delle detrazioni per scopi esterni alla gestione dell’impresa, destinati ad esempio a finanziamenti politici, fondazioni di previdenza sociale e altri ancora.

Ad oggi si cerca sempre più spesso di sottrarre al controllo degli azionisti la gestione delle banche centrali, delle grandi industrie e delle società per azioni. Gli statalisti si sono dimostrati favorevoli a questa “tendenza delle grandi società a nazionalizzarsi”, ovvero la scelta di gestire le imprese trascurando gli interessi degli azionisti e il loro “massimo profitto possibile”. Ciò simboleggia il superamento del capitalismo.[2] Nel corso della riforma del diritto societario tedesco sono emersi tentativi di anteporre agli interessi patrimoniali degli azionisti l’interesse e il benessere delle società, dunque “la loro superiorità economica, giuridica e sociologica e la loro indipendenza dalla mutevole maggioranza degli azionisti”[3]

Oggi, sostenuti dallo Stato e dall’opinione pubblica, entrambi profondamente interventisti, i dirigenti delle grandi società si sentono così potenti da non ritenere necessario prestare attenzione agli interessi degli azionisti. Ciò avviene soprattutto nei Paesi in cui lo statalismo ha un impatto maggiore – ad esempio negli Stati nati dopo la caduta dell’Impero austro-ungarico – e in cui le imprese private si disinteressano della produttività tanto quanto le società pubbliche. Il risultato è il collasso. Secondo la teoria più accreditata, le imprese troppo grandi non possono essere gestite solamente seguendo il criterio della produttività. L’unico risultato che però può scaturire da una gestione di questo tipo è il fallimento dell’impresa, in quanto si rinuncia alla produttività. Allo stesso tempo, la teoria esige l’intervento dello Stato nell’amministrazione delle grandi imprese, per evitare che falliscano.

III.

È comunque vero che il socialismo e l’interventismo non sono ancora riusciti a distruggere del tutto l’economia capitalista. In tal caso in tutta Europa, dopo secoli di benessere e prosperità, si sarebbe verificata una nuova fame di massa. Eppure intorno a noi il capitalismo avanza sempre di più, basti pensare alla nascita di nuove industrie, all’espansione di quelle già esistenti e al miglioramento dei loro mezzi di produzione. È proprio ciò che resta dell’economia capitalista nella nostra società che ha permesso tutti questi progressi economici. Nonostante ciò, l’economia capitalista è costantemente ostacolata dalle autorità interventiste, di conseguenza si perde una considerevole parte dei profitti per lasciare spazio alla scarsa produttività delle imprese pubbliche.

La crisi odierna è la crisi dell’interventismo e del socialismo statale e collettivista, in altre parole la politica anticapitalista. Non si può negare che la società capitalista sia controllata dai meccanismi del mercato. I prezzi di mercato corrispondono alla quantità di domanda e offerta e determinano l’entità della produzione. In definitiva, ciò che dà valore all’economia capitalista è il mercato. Quando viene meno la funzione regolatrice della produzione propria del mercato, dunque il governo interferisce con prezzi, salari e tassi d’interesse, si genera una crisi.

Non è stato Bastiat a fallire, ma Marx e Schmoller.

Traduzione a cura di Laura Pizzorusso

Fonte: https://www.misesde.org/2020/08/die-leg ... zxs5yNUnL0

[1] Vgl. Webb, Die historische Entwicklung (Englische Sozialreformer. Eine Sammlung „Fabian Essays“ her. v. Grunwald, Leipzig 1897) S. 44.

[2] Vgl. Keynes, Das Ende des Laisser-faire, München und Leipzig 1926, S. 32 f. 3

[3] Vgl. Passow, Der Strukturwandel der Aktiengesellschaft im Lichte der Wirtschaftsenquete, Jena 1930, S. 4.
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Re: Disprezzo e demonizzazione del lavoro e della ricchezza

Messaggioda Berto » ven giu 04, 2021 7:27 am

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Disprezzo e demonizzazione del lavoro e della ricchezza

Messaggioda Berto » lun giu 07, 2021 9:23 pm

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Re: Disprezzo e demonizzazione del lavoro e della ricchezza

Messaggioda Berto » lun giu 07, 2021 9:23 pm

12)
Robin Hood non rubava ai ricchi per dare ai poveri, ma recuperava il maltolto dagli estorsori e dai ladri di stato per restituire alle vittime che ne erano i legittimi proprietari



Rubare non è mai una buona idea, una buona soluzione, un buon comportamento, mai.


Rubare ai ricchi per dare ai poveri è una buona idea?
Di Alessandro Ruocco
21 Settembre 2019

https://istitutoliberale.it/rubare-ai-r ... uona-idea/

Robin Hood, eroe Ancap che combatteva contro le tasse imposte ingiustamente dallo Stato ai cittadini, è oggi inspiegabilmente noto ai più come una sorta di protosocialista che rubava ai ricchi per dare ai poveri.

Robin Hood, tuttavia, è solo una figura semileggendaria. Al contrario, gli aspiranti Robin Hood di oggi (Sanders ed i Socialisti Democratici, Corbyn, Mélenchon) sono purtroppo assai reali, e loro sì che intendono togliere ai ricchi per dare ai poveri (o meglio, di sicuro intendono togliere ai ricchi, il resto non è altrettanto certo).

Ma al di là del dibattito storico-letterario su Robin Hood, rubare ai ricchi per dare ai poveri è una buona idea? Può essere davvero una valida soluzione ai problemi economici?

Innanzitutto, qualche numero utile, preso dalla patria stessa del turbocapitalismo neoliberista, gli Stati Uniti. Ad oggi, l’uomo più ricco d’America è Jeff Bezos, con un patrimonio pari a circa 118 miliardi di dollari. In totale, oggi negli Stati Uniti vivono 705 miliardari, per un valore totale di oltre 3000 miliardi di dollari[1]. Sembra una cifra enorme, e lo è, ma la matematica non depone a favore di Sanders e dei Socialisti Democratici.

Il cavallo di battaglia di questi ultimi è il Green New Deal, il meraviglioso piano seguendo il quale un forte governo centrale (nelle mani delle persone giuste, naturalmente) potrebbe creare un paradiso di ecosostenibilità ed uguaglianza per tutti i cittadini americani. Il costo di questo bellissimo sogno? La modica cifra di oltre 16000 miliardi di dollari[2], e più potere nelle mani dello Stato[3].

Quindi, anche conferendo allo Stato il potere per confiscare in toto la ricchezza dei miliardari in perfetta legalità, resta un disavanzo di 13000 miliardi di dollari che potrebbe essere colmato solo in 2 modi: facendo debito o confiscando altra ricchezza (ma non quella dei pianificatori del Green New Deal).

Un altro numero utile: il budget federale fissato per il 2020 è pari ad oltre 4700 miliardi di dollari[4]. Quindi, anche inviando Bezos, Gates e tutti gli altri in un gulag, il denaro raccolto non sarebbe sufficiente neanche a mandare avanti il governo federale per un anno intero.

Qui poi bisogna aprire una parentesi: in realtà, già adesso sono gli odiatissimi ricchi a mandare avanti il governo federale, e di conseguenza a sostenere i programmi di welfare tanto cari ai Socialisti Democratici.

Le entrate del governo federale, infatti, derivano principalmente dalle imposte sul reddito. Nel 2016, il 50% più ricco della popolazione ha pagato il 97% delle imposte sul reddito, mentre l’altra metà più povera della popolazione ha pagato il restante 3%. In particolare, l’1% più ricco della popolazione da solo ha pagato il 37,3% delle imposte sul reddito[5].

Un ultimo elemento di cui bisogna tener conto: quando i populisti di sinistra propongono di far pagare ai ricchi “la loro giusta parte”, con delle leggi se possibile o con la violenza se necessario, probabilmente pensano che tutti i miliardi dei loro patrimoni esistano in contanti. Naturalmente, le cose non stanno così.

Jeff Bezos, infatti, non è Zio Paperone, non possiede un enorme deposito nel quale conservare i suoi 118 miliardi di dollari sotto forma di un mare verde di banconote. Il patrimonio complessivo di Jeff Bezos (immobili, azioni di Amazon e contanti) vale 118 miliardi di dollari, ma per confiscarli sarebbe necessario confiscare tutte le sue azioni e venderle, e solo un populista di sinistra potrebbe pensare seriamente di poter vendere tutte queste azioni senza far crollare il loro valore.

Risulta chiaro, pertanto, che “rubare ai ricchi per dare ai poveri”, lungi dall’essere una valida soluzione a qualsivoglia problema economico, non è nient’altro che uno slogan utile per la propaganda in tempo di elezioni, e questo nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore delle ipotesi, una massa critica di elettori potrebbe dare ascolto a questa propaganda, con conseguenze fin troppo ben immaginabili.
[1]https://www.google.com/amp/s/amp.businessinsider.com/countries-with-the-most-billionaires-2019-5

[2]https://www.google.com/amp/s/www.nytimes.com/2019/08/22/climate/bernie-sanders-climate-change.amp.html

[3]https://fee.org/articles/the-green-new-deal-is-a-trojan-horse-for-socialism/

[4]https://www.thebalance.com/current-u-s-federal-government-spending-3305763

[5]https://www.google.com/amp/s/www.bloomberg.com/amp/news/articles/2018-10-14/top-3-of-u-s-taxpayers-paid-majority-of-income-taxes-in-2016




PERCHÉ IL MITO DI ROBIN HOOD "SOCIALISTA" È UN GRANDE FALSO IDEOLOGICO.
Marco Tuccillo
13 maggio 2022

https://www.facebook.com/marco.tuccillo ... 8901507262

Non sorprende che ci sia voluto l'aggiornamento di Ridley Scott del 2010 perché il commento culturale capisse che Robin Hood non è un eroe socialista. Libri e film tendono a languire nel regno dei media e degli intellettuali di sinistra. Eppure, è semplice rivendicare questo particolare eroe. In un momento in cui la "guerra di classe" è sulla punta della lingua di tutti, la leggenda di Robin Hood richiede una rivisitazione.
Dobbiamo gran parte della nostra concezione moderna di Robin Hood a Ivanhoe di Sir Walter Scott, pubblicato nel 1820. Il grande spirito americano Mark Twain detestava Scott e l'effetto che i suoi racconti di cavalleria avevano sul sud e spesso faceva riferimento a lui nei suoi scritti. In Le avventure di Tom Sawyer , Tom e i suoi amici fingono di essere Robin Hood, sentendo malinconicamente che "preferirebbero essere fuorilegge per un anno nella foresta di Sherwood piuttosto che presidente degli Stati Uniti per sempre". È un eroe romantico che cattura la nostra fantasia, ma perché?
Robin Hood a Ivanhoe crea una banda di uomini autogovernati contro l'establishment politico tirannico. Quando si spartisce il bottino del loro tesoro, lo distribuisce tra i fuorilegge “secondo il loro rango e merito”. Non è un uomo di elemosine cieche. È prima di tutto un uomo di libertà, onore e avventura. Come tutte le versioni di Robin Hood, parla, si mette in mostra e cerca di prendere in giro gli uomini che dominano gli altri.
Robin Hood è un eroe che non rispetta l'autorità illegittima. Più tardi, nel 19 ° secolo, Howard Pyle scrisse e illustrò Le allegre avventure di Robin Hood, dove spiega che la banda di uomini è venuta a Sherwood "per sfuggire al torto e all'oppressione ... hanno giurato che anche se erano stati depredati avrebbero spogliato i loro oppressori, siano essi barone, abate, cavaliere o scudiero". La ribellione è il loro primo obiettivo; la ridistribuzione della ricchezza che confiscano è secondaria. Robin Hood di Errol Flynn chiarisce questo punto nell'epopea Technicolor del 1938: "Non mi fermerò mai finché ogni sassone in questa contea non potrà alzarsi in piedi, liberare uomini e sferrare un colpo per Richard e l'Inghilterra". Il fuoco della sua lotta nasce dal desiderio di liberare e potenziare. I suoi nemici non sono i benestanti, ma i ben sistemati, i compari di un governo prepotente che invade ingiustamente la vita delle persone indipendenti.


I lavoratori dipendenti e autonomi costretti a divenire dei Robin Hood per legittima difesa, per necessità di sopravvivenza

Buona parte dell'evasione primaria e diffusa capillarmente e praticata in Italia specialmente al nord, è una naturale forma di ribellione alla criminale esosità ed estorsività del fisco italico e alle manipolazioni distrorsive del mercato del lavoro e delle merci, a cominciare dal lavoro nero nelle sue varie forme di lavoro irregolare, di secondo lavoro fuori regola dei lavoratori dipendenti, di rigetto degli scontrini, delle ricevute fiscale e delle fatture praticato innanzi tutto dal mercato e dai clienti con i lavoratori autonomi artigiani, professionisti e commmercianti, soggetti ad una sorta di caporalato negli appalti e di concorrenza sleale sistematica.

È del tutto falso dire che in Italia gli unici a pagare le tasse sono i lavoratori dipendenti poiché questi non pagano affatto le tasse, perché esse sono trattenute preventivamente e obbligatoriamente alla fonte, dal datore di lavoro e dalle imprese, attraverso il sostituto d'imposta.
Si potrebbe dire che il lavoratore dipendente paga le tasse solo nel caso in cui egli le ricevesse per intero nella sua busta paga o compenso mensile e poi le versasse egli stesso, volontariamente allo stato.
Sicuramente se non vi fosse il sostituto d'imposta i lavoratori dipendenti verserebbero meno della metà delle imposte dovute, i contenziosi sarebbe infiniti e il fisco incasserebbe molto ma molto meno.


Il sostituto d'imposta, nell'ordinamento giuridico italiano, è un soggetto (pubblico o privato) che per legge sostituisce in tutto o in parte il contribuente (cioè il cd. sostituito, ovvero chi pone in essere il presupposto d'imposta) nei rapporti con l'amministrazione finanziaria, trattenendo le imposte dovute dai compensi, salari, pensioni o altri redditi erogati e successivamente versandole allo Stato o ad una pubblica amministrazione italiana.
https://it.wikipedia.org/wiki/Sostituto_d%27imposta
La figura del sostituto d'imposta venne introdotta con il Decreto del presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 600 ("Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi").

Sostituto d'imposta
di Silvia Burelli - Diritto on line (2013)
https://www.treccani.it/enciclopedia/so ... n-line%29/
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Messaggioda Berto » lun giu 07, 2021 9:23 pm

Che Guevara il criminale che non è mai stato come Robin Hood
https://www.facebook.com/photo/?fbid=42 ... &ref=notif

https://www.facebook.com/photo/?fbid=42 ... 0828259135

https://www.facebook.com/photo/?fbid=4250673574990153

IMPARAMMO AD AMARTI

“Aprendimos a quererte
Desde la historica altura
Donde el sol de tu bravura
Le puso un cerco a la muerte”.

-Abbiamo imparato ad amarti
sulla storica altura
dove il sole del tuo coraggio
ha posto un confine alla morte.

Qui rimane la chiara,
penetrante trasparenza
della tua dolce presenza,
Comandante Che Guevara*
————-

Comunista mai, ma come si fa a rimanere indifferenti davanti alla sua figura?

È vero che uccise qualche centinaio di oppositori con un colpo alla nuca, registrando su un quaderno il tempo necessario alle esecuzioni per rendere la pratica più snella. È vero che metteva gli omosessuali in campi di concentramento (io sta cosa non l’ho mai verificata comunque). Insomma era un birichino ma anche un incontrastabile eroe.
Anche lui rivoluzionario col Rolex ma spese la vita a combattere l’imperialismo, a cercare di far capire alle masse di contadini ignoranti, in Congo e in Sudamerica, che l’unica strada per uscire dalla miseria era la rivoluzione, che il Sudamerica era solo una colonia da sfruttare per gli Stati Uniti e che i suoi abitanti erano solo schiavi ma che si poteva e doveva ribellarsi.

La sua vita un romanzo: guerriglia e politica, coraggio e sprezzo della morte.

Visse nella foresta per mesi con un manipolo di fedelissimi, cibandosi di scimmiette e di tutto ciò che si muoveva sino ad ammalarsi per aver mangiato-per fame-grasso di maiale rancido e restando immobile in una barella trascinata dal suo cavallo per diversi giorni, facendosi i bisogni addosso.
Non si limitava a comandare ma combatteva con i suoi uomini e dopo le battaglie li curava (era medico).
È vero che restò agonizzante per 24 ore senza che gli fu fornita alcuna cura e senza morfina senza lamentarsi, che seppure oramai morente, ebbe la forza ed il coraggio di dare uno schiaffo ad un soldato che si era avvicinato troppo al suo viso per umiliarlo. È vero che ebbe la forza di pattuire lucidamente la sua morte con i suoi carnefici: “Sparatemi dove volete e fate ciò che volete col mio corpo ma non deturpatemi il viso con le pallottole”, e dopo la sua morte gli vennero amputate le mani per mostrarle come trofeo.
Questo era il Che, ed oggi sarebbe stato il suo compleanno.

*(Hasta la Victoria Comandante), su YouTube; versione degli Inti illimani, che solo ad ascoltarla due volte diventi comunista.


La figlia del Che a Palermo «Ci hanno proposto di fare beato mio padre»
Felice Cavallaro
16 giugno 2021


https://www.corriere.it/digital-edition ... 5rmH.shtml

Aleida Guevara ritornata in Sicilia dopo 25 anni

PALERMO L’ha rivista dopo 25 anni la Palermo di cui spesso si parla a Cuba. Sì, Aleida Guevara, la figlia del mitico Che, pediatra anestesista, arrivata in Sicilia con la voglia di confrontare la sanità italiana con quella della sua isola, confida che pure di Mondello e del mare palermitano si chiacchiera ai piani alti di Cuba. Con i Castro di Fidel e del fratello Raùl per parentele radicate proprio nella capitale dove lunedì il sindaco Leoluca Orlando le ha assegnato la cittadinanza onoraria, nel giorno del compleanno dell’eroico guerrigliero nato in Argentina 93 anni fa.

Commossa per il padre combattente e fiera dell’accoglienza, in questo tour organizzato dall’associazione Italia-Cuba ha rivisto tanti luoghi e ne ha scoperti tanti altri. Compresa la Corleone di Totò Riina che i compagni della Camera del Lavoro le hanno mostrato come il simbolo del riscatto parlando di Placido Rizzotto, dei sindacalisti caduti e del sindaco buono, Bernardino Verro, che dalla sua statua controlla il giardino Falcone e Borsellino. «Un’altra Sicilia, mi sembra migliorata...», ha commentato attraversando i padiglioni della Fiera del Mediterraneo trasformata in un hub anti Covid, condotta per mano da Renato Costa, il medico e commissario regionale che 25 anni fa la accolse come altri «compagni». E lei si guarda intorno pensando alla sanità di casa sua: «Abbiamo un sistema pubblico equo per tutti, ma soffocato dai potenti, dagli Stati che, come gli Usa di Trump ma anche di Biden, con l’embargo ci impediscono di avere l’essenziale. Produciamo cinque vaccini e non abbiamo le siringhe...».

Gli accompagnatori ufficiali, dall’avvocato Ninni Cirrincione che presiede l’associazione a Frank Ferlisi, altro vecchio compagno mezzo americano, si sorprendono per quell’equiparazione. Ma lei, cancellando per un momento il suo sorriso gioviale, parla di speranze finora deluse: «Quando venne Obama a Cuba la storia sembrò mutare. Poi tutta indietro, con Trump. E con Biden non s’è ancora mosso nulla».

Parla di altro a Monreale visitando il Duomo e il chiostro con monsignor Michele Pennisi, il vescovo che picchia duro sulla mafia. Sorpreso, come don Cosimo Scordato, altro sacerdote di frontiera a Palermo, quando Aleida rivela «una proposta arrivata da qualcuno che parlava per conto del Vaticano: c’è chi a Roma ha pensato di fare beato mio padre». La beatificazione del Che?, chiedono tutti sbalorditi. Notizia che non sorprende la figlia Celia, trent’anni, anche lei medico. «Una signora che stava male a Cuba dice di essere stata salvata pensando a lui. E un’altra pure...». Non giurano sui miracoli. Ma padre Scordato ha studiato la teologia della liberazione e Aleida Guevara è felice di conoscere chi la apprezza ascoltando il racconto di un viaggio in Brasile con Maria Falcone. Storie che sembra conoscere da sempre la figlia del Che, rilassata la sera, desiderosa di assaggiare una arancina «come il commissario Montalbano, come l’amato Camilleri». E poi muovendosi ancora nella Palermo di cui si parla a Cuba perché una figlia di Raùl Castro ha sposato un palermitano doc con cui spesso torna a Mondello, in incognito, narrando di ogni viaggio a parenti e compagni.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Disprezzo e demonizzazione del lavoro e della ricchezza

Messaggioda Berto » dom giu 13, 2021 2:40 pm

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