Cantiamo l'uomo bianco, la nostra umanità

Re: Cantiamo l'uomo bianco, la nostra umanità

Messaggioda Berto » mar feb 23, 2021 5:29 pm

La civiltà occidentale è sotto attacco da un nemico nascosto
Cina? Russia? Islam? No, niente di tutto ciò.
Soros? Bezos? Bill Gates? Neanche.
Non c'è nessuna potenza, nessun potente a minacciarci.

Il nemico è sempre lo stesso da quasi duecento anni, non ci ha mai governati... e ha già vinto.
Sto parlando del marxismo, sì.
I comunisti non sono mai stati al potere in Italia, ma hanno realizzato quasi tutti i 10 punti del programma proposto da Karl Marx nel Manifesto del Partito Comunista.
Imposta fortemente progressiva, mezzi di trasporto statalizzati (e Alitalia si riconosce...), monopolio dello Stato sul credito, istruzione statale, fabbriche nazionali.
Quando fu unita l'Italia, chiunque avrebbe riso in faccia a chi avesse predetto un futuro del genere.
Com'è stato possibile?
Lo hanno fatto in un modo che Marx non aveva previsto.
L'operaio oggi è più ricco di quanto si potesse immaginare, non vuole fare la rivoluzione.
Perciò, i marxisti hanno forgiato una nuova arma per assediare la civiltà occidentale: il marxismo culturale.
Prima con Lenin, poi con Gramsci, infine con la Scuola di Francoforte (Adorno, Marcuse, Sartre) e i post-strutturalisti (Derrida, Foucault, Deleuze) si è creato un nuovo metodo per diffondere il comunismo.
L'idea è quella di cambiare il linguaggio, il modo di esprimersi, costringendo le persone a pensare secondo certi paradigmi.
Anche tu che mi leggi sei schiavo di questa trappola, non pensare che essere liberale ti salvi.
Quante volte hai parlato di classi? Di borghesia? Di oppressi e oppressori? Quanto spesso hai generalizzato per categorie sociali o professionali?
Oppure, pensa alle accezioni date ai termini: "giusto" significa "equo", "fascista" significa "tutto ciò che non mi piace".
Dirsi "di destra" (cosa che non farei mai, oltretutto) significa etichettarsi come sostenitori della malvagità.
L'etichetta sbagliata crea già enormi pregiudizi nei tuoi confronti.
Non sei femminista, democratico, pro-lockdown, pro-immigrazione, pro-LGBT, ambientalista, antirazzista, anti-Trump, anti-Brexit, anti-Salvini, anti-patriarcato, equo-solidale, eccetera? (nota: io sono alcune di queste cose, non è questo il punto)
Devi essere cancellato, zittito.
Non si può dibattere con te.
Hai torto a prescindere.
Non solo: sei un nemico del popolo. La tua esistenza mette a rischio la società, perché le tue idee sono diverse.
Secondo Lenin, i borghesi non vanno ascoltati perché i loro ragionamenti sono dettati dal fatto di essere borghesi. La verità oggettiva non esiste: l'unica verità è quella del proletariato, che viene imposta con la forza.
Uguale.
Hai l'etichetta sbagliata? Hai torto a prescindere da ciò che dici, anche se lo argomenti, o se sei pacifico. Hai torto perché lo dice la tua etichetta.
Non esiste un buon motivo per andare contro il pensiero unico del marxismo culturale. D'altronde, il pensiero unico avrà sempre ragione perché non accetta il dibattito.
Se l'etichetta ti squalifica, non sperare di argomentare e ragionare.
Nessuno vuole ragionare con te: sei fascista, bigotto, xenofobo, misogino. Anche se non sei né fascista né bigotto o altro.
La soluzione? Ti arrendi e inizi a chiedere scusa per i tuoi privilegi, perché sei bianco, o eterosessuale, o benestante, o religioso, o quant'altro. O stai zitto.
Questo è ciò che vogliono i marxisti culturali: arrivare al punto in cui tu non ti puoi più esprimere liberamente, perché sei diverso dalla maggioranza. Perché hai paura di essere boicottato, emarginato.
E questo è esattamente il punto da cui dobbiamo ripartire: dobbiamo riconquistare la libertà di esprimerci, di parlare; dobbiamo diffondere la tolleranza; dobbiamo far tornare di moda la ragione, il dibattito.
Se non vogliamo che il marxismo culturale dia il colpo di grazia all'Italia, ripartiamo da qui.
Osa parlare, al rischio di offendere.
Osa sbagliare, perché ammetterai l'errore.
Osa difendere ciò in cui credi.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Cantiamo l'uomo bianco, la nostra umanità

Messaggioda Berto » mar feb 23, 2021 5:30 pm

I liberali devono reagire al politicamente corretto
Lucio Leante
21 ottobre 2019

https://opinione.it/politica/2019/10/21 ... iesa-papa/


Era ora. Era l’ora del convegno della Destra Liberale, tenutosi al Parco dei Principi il 18 ottobre scorso. È ora che i liberali escano dal generico moderatismo e dall’ambiguo terzismo dell’“altrove”. È in corso infatti da tempo nel mondo, in Europa ed in Italia, una vera guerra culturale (oltre che politica ed economica) portata dalla sinistra mondiale al cuore culturale stesso della civiltà occidentale liberale e cristiana. Si tratta di un nuovo attacco, portato con una nuova ideologia, il politicamente corretto, e con i moderni metodi mediatici, sia alla Tradizione, sia alla Libertà, a cui i liberali non possono che opporre una decisa resistenza.

Con la fine del comunismo sono fallite tute le ideologie di sinistra, sia quelle totalitarie (comunismo, fascismo e nazismo), sia quelle socialdemocratiche – queste ultime cadute per la crisi fiscale degli Stati occidentali, tutti oberati da un esorbitante e paralizzante debito pubblico. Va precisato comunque che della retorica della giustizia sociale e della filosofia dello statalismo e dell’intervento pubblico in economia è però e comunque rimasta in tutti i partiti di destra e di sinistra la pratica spendacciona di acquistare i voti dei maggiorenni con le risorse delle future generazioni. L’ideologia socialdemocratica è caduta, ma ne è rimasta e se ne è anzi generalizzata l’infezione.

Con il fallimento del comunismo e della socialdemocrazia è caduta anche la scorza ideologica che avvolgeva la coscienza della sinistra novecentesca ed è rimasto il suo nocciolo duro: l’avversione, anzi un vero odio, verso la propria civiltà ed il desiderio di ribaltarla dalle fondamenta per sostituirla con una “nuova civiltà”, che una volta era il comunismo, ma ora è un imprevedibile ed ineffabile “totalmente altro”, la proverbiale “isola che non c’è”.

L’attacco alla civiltà occidentale, liberal-democratica e cristiana, alla sua cultura ed alle sue maggiori istituzioni non è nuovo ed è sotto gli occhi di tutti. Lo stato nazionale, la democrazia liberale rappresentativa, il garantismo giuridico, la scienza stessa, la ragione critica, il concetto stesso di natura, la famiglia e la religione (cristiana) occidentale stanno subendo da tempo un’opera di continua decostruzione e demolizione quotidiana ad opera dei “chierici” di sinistra occidentali.
Si tratta di intellettuali, uomini politici e persino, oggi più che mai, prelati cattolici e protestanti che, in qualche modo, sono definibili (e tali si definiscono) “di sinistra”, e molto meno legittimamente “progressisti”. Ad essi ben si attaglia la denominazione di “chierici”, dato che da tempo mostrano di voler sostituire il clero tradizionale (in disarmo anche autoinflitto). Predicano e propagano, con accenti pedagogici e sermoneggianti, infatti, una nuova religione civile e secolare, sostitutiva della tradizione cristiana. Svolgono poi una pretesca funzione di occhiuti guardiani neo-puritani della moralità pubblica e privata. E la chiamano “correttezza politica”.

Li definiamo legittimamente “di sinistra” perché tali si definiscono e perché una parte della sinistra europea ha sempre celato dietro le sue varie maschere ideologiche (dal giacobinismo russoviano ai giacobini rossi e neri dei due totalitarismi del Novecento alle sue più recenti incarnazioni ideologiche) la sua vera passione dominante che era ed è l’odio per la civiltà occidentale liberale e cristiana. Un odio che, come notava Papa Ratzinger, è anche un “patologico odio di sé”.

Che sia in effetti patologico lo dimostra non solo il fatto che avversano e anzi odiano radicalmente la propria civiltà – il che è già di per sé sintomatico – ma soprattutto il fatto che la civiltà occidentale ha non solo creato le più rilevanti acquisizioni e creazioni scientifiche, tecniche e artistiche dell’umanità, ma è anche riuscita a coniugare insieme, diritti, libertà, democrazia e benessere. Ha realizzato un dominio sulla natura senza precedenti, riuscendo ad eliminare antichi flagelli come le epidemie e le carestie. Essa è perciò definibile come la “ricetta di maggior successo” della storia umana. Questa suo successo è emblematicamente mostrato dalla sua unica attrattività: dal fatto cioè che praticamente tutti gli appartenenti ad altre civiltà aspirerebbero a viverci trasferirendovisi (la votano con i piedi, si può dire) o ad imitarla, assorbendone selettivamente alcuni elementi culturali e modi di vivere. Pochi fanno o pensano il contrario. Una ragione ci sarà.

Nonostante ciò la civiltà occidentale ha molti nemici anche culturali. È il prezzo dei suoi successi. Ha potenti nemici esterni (come la Cina confuciana e il mondo islamico) che stanno cercando di riempire il vuoto creatosi dopo la fine della Guerra fredda, soprattutto in Europa, anello debole dell’Occidente. Ma i suoi nemici più insidiosi sono quelli interni: sono i chierici di sinistra, i ‘barbari interni’, che demoliscono quotidianamente la casa natale comune anche alleandosi con i nemici esterni, a favore dei quali giocano il ruolo dei “cavalli di Troia”. Siamo di fronte ad un nuova ondata, in forme rinnovate, del “tradimento dei chierici”, già denunciato da J. Benda nel 1927.

Questo odio primigenio per la propria casa natale (oicofobia) è da tempo la vera passione sottostante alle cosiddette ideologie rivoluzionarie dell’800 e del Novecento che stanno all’origine stessa di una parte preponderante della sinistra, quella rivoluzionaria. Ma anche l’altra sinistra, quella riformista, cristianeggiante e democratica, se non anche liberale, fu non sempre immune dalle influenze della prima, verso la quale ebbe sempre una sorta di complesso di inferiorità. Le ideologie rivoluzionarie consistevano in sostanza nella volontà di ribaltare la civiltà occidentale dalle fondamenta con una palingenesi radicale che facesse tabula rasa dell’intero esistente anche attraverso il terrore di massa: una “purificazione” della società dagli elementi contaminati dal male radicale (la proprietà privata e lo spirito acquisitivo “egoistico” del borghese, specie se ebreo). E infatti venivano definiti “filistei” (dall’ebreo antisemita Marx), “insetti nocivi” (da Lenin), “locuste e cavallette” (da Gramsci), “nemici del popolo” (da Stalin) e “parassiti nemici della Nazione” (da Hitler). Trovate voi le differenze.

Qualcuno dirà a questo punto: la sinistra ha abbandonato questo vecchio filone rivoluzionario e totalitario ed oggi è divenuta riformista, democratica, e anzi “liberale” e in alcune sue componenti addirittura “liberista”. In realtà gran parte dei chierici di sinistra – specie in Italia dove per decenni ha imperversato il più grande e culturalmente influente partito comunista dell’Occidente – ha abbandonato l’idea della rivoluzione violenta e quella della società comunista, ma non ha perso la sua “passion predominante”. L’odio per la civiltà occidentale è il suo vero “cuore eterno” e perciò essa non ha rinunciato alla volontà di ribaltare – con una rivoluzione, non direttamente politica, ma culturale e con mezzi mediatici – la tradizione e le basi culturali e istituzionali della società liberale.

Non a caso l’idea di “rivoluzione culturale” risale ad Antonio Gramsci che, davanti alle sconfitte del movimento operaio (in Ungheria, Germania e Italia) raccomandava ai comunisti di non aspettare più l’ora X della conquista violenta del potere statale ed economico, ma di demolire e occupare gradualmente con le armi della critica ed una lotta ideologica attiva “le fortezze e le casematte” della società civile, le istituzioni culturali ed educative, la famiglia, sostituendo l’internazionalismo al patriottismo, e una religione civile alla religione cristiana. È questa in sostanza “l’egemonia gramsciana”: un leninismo, tatticamente aggiornato ed adattato alla situazione italiana ed europea. “Il socialismo – disse anzi da vero giacobino rosso – è la religione che ammazzerà il cristianesimo”.

È significativo che Gramsci chiamò questo suo appello alla rivoluzione culturale un passaggio dalla “guerra di movimento” alla “guerra di posizione”. Guerra a cosa? La risposta è ovvia e la si trova persino in Marx, che nel suo Manifesto del 1848, definì il comunismo come “l’abolizione dello stato delle cose presenti”. E lo stesso Engels aveva scritto: “Tutto quel che esiste merita di perire”. Il riferimento di Marx, Engels e Gramsci è ad una vera guerra culturale alla società europea, in tutti i suoi aspetti. Predicavano una rivoluzione culturale.

Se ne fece interprete il Pci togliattiano, poi berlingueriano, stabilendo un’alleanza con il mondo della cultura, gli intellettuali vecchi e nuovi, grandi e piccoli, definiti “compagni di strada” e “sinceri democratici”; e penetrando nelle scuole di ogni grado nelle case editrici, nei giornali, nella magistratura e nelle chiese. È significativo ricordare che quella strategia ebbe un sensibile aggiornamento negli anni Sessanta per impulso di Umberto Eco che, in un lungo saggio su “Rinascita”, invitò la sinistra a puntare non solo e non tanto sulla grande cultura e sui grandi intellettuali, ma anche e soprattutto sugli intellettuali di medio e basso rango e sulla cultura di massa.

La tesi della rivoluzione culturale ebbe una conferma clamorosa nella rivolta non solo studentesca del 1968 che, sull’onda dello svecchiamento di aspetti bigotti ed autoritari della società, giunse, per è estremismo (davvero “infantile”) a praticare una vera guerra culturale e ideologica alla civiltà occidentale. Esso colpiva le basi stesse, i parametri, di ogni società civile, di ogni civiltà, ma fu un fenomeno che investì solo l’Occidente. Furono così demoliti il principio di autorità in tutte le sue specificazioni, ma in particolare nelle istituzioni educative e scolastiche e nelle famiglie; entrambe ne sono uscite malconce se non distrutte. Il ’68 decostruì il rigore della scienza, affermò il primato del soggettivismo sull’oggettività e del principio del piacere sul principio di realtà. Denigrò la meritocrazia, il senso di appartenenza ad una comunità nazionale, lo spirito religioso. “Vietato vietare” e “l’immaginazione al potere” furono gli slogan di una rivoluzione culturale, dei costumi, in particolare quelli sessuali (il che fu fino a un certo punto salutare). Ma fu anche anarcoide e programmaticamente trasgressivo: denigrava ogni tradizione ed ogni istituzione occidentale. Non a caso i suoi miti furono terzomondisti: Mao, la sua rivoluzione culturale cinese e Che Guevara. Con quella rivolta culturale decadde ogni senso del limite, delle buone maniere e della decenza anche verbale.

Da questo anarchismo estremista infantile presero le distanze persino alcuni (non Marcuse) dei cattivi maestri che erano stati i precursori ideologici della rivoluzione culturale sessantottesca: i filosofi neomarxisti della scuola di Francoforte, che, in sostanza avevano indicato nelle basi stesse della civiltà occidentale e, in particolare nel liberalismo e nella tolleranza (da Marcuse definita “repressiva”), la fonte dell’autoritarismo e persino del totalitarismo. E per questo avevano predicato il “Gran Rifiuto” della civiltà occidentale, che i giovani del ’68 incarnarono soprattutto perché prometteva un illusorio “paradiso terrestre” di godimenti continui.

Dal 1968 scaturì certo una salutare liberalizzazione dei costumi, soprattutto sessuali e un altrettanto salutare femminismo liberale e paritario, che, però degenerò presto in una seconda fase sessuofobica, identitaria e suprematista e finì col predicare la guerra dei sessi, il lesbismo e poi la paradossale “no difference” tra i sessi.

Tuttavia, l’eredità complessiva del 1968 fu di segno profondamente illiberale e antiliberale, perché rinverdiva il mito rivoluzionario anti-capitalista ed anti-borghese, che era già obsoleto e smentito dai fatti e dalla storia, preconizzava una distruzione della tradizione occidentale liberaldemocratica e cristiana, denigrava i diritti formali di libertà, compresi quelli di opinione e di pensiero, in quanto “borghesi”, demoliva il concetto di tolleranza, propagava un idea di democrazia diretta ed assembleare. Denigrava persino l’oggettività (sia pure fallibile) della scienza (come poi dimostrò lo sciagurato libretto “L’ape e l’architetto”, in cui fior di scienziati italiani contrapponevano alla “scienza borghese” una “scienza proletaria”). Il 1968 propagò anche un ambiguo anti-imperialismo terzomondista unilateralmente e pregiudizialmente anti-occidentale (sia pure allora giustificato dalla guerra del Vietnam), chiudendo gli occhi su quello societico. Esso rafforzò un antifascismo estremista e persino sanguinario. “Uccidere un fascista non è reato” – scrisse sui muri.

Il dopo-1968 segnò anche la trasformazione della sinistra in un diffuso “Partito radicale di massa” (copyright di Augusto Del Noce): un aggregato informale, costituito non solo da esponenti del maggiore partito della sinistra, ma soprattutto da “chierici” che si autodefinivano “progressisti”: intellettuali di vario livello, giornalisti, operatori radio-televisivi, professori accademici e insegnanti (e anche preti e prelati).

Il loro maggiore intento fu quello di continuare la rivoluzione culturale del 1968 facendo delle sue istanze un pensiero unico praticamente obbligatorio per tutti, ma tassativo per chi volesse entrare a far parte dell’élite dell’industria culturale. Si stabilì negli anni ’70 e ’80, con la volenterosa complicità di eminenti intellettuali un’egemonia della sinistra sui canali di comunicazione pubblica. Nacquero allora anche le basi di quel pensiero unico che sarà poi chiamato il “politicamente corretto”.

L’elaborazione di questa nuova ideologia ebbe un momento culminante a ridosso del crollo dell’Urss e del comunismo internazionale (1989-1991) quando i “chierici” ex- e post-comunisti, rimasero “orfani” della rivoluzione e del Partito (comunista) che erano stati la loro stella polare e i loro genitori scomparsi. Per molti chierici di sinistra fu un vero shock. Molti di loro (come Walter Veltroni) negarono di essere stati mai comunisti, altri (come Massimo D’Alema) dichiararono di esserlo stati fino all’invasione sovietica della Cecoslovacchia del 1968. Moltissimi – e la cosa è significativa – si dichiararono improvvisamente addirittura “liberali”.

Tuttavia, dietro la facciata della scoperta di un liberalismo, dichiarato con malcelata riluttanza e obtorto collo (la vittoria della liberal-democrazia sul comunismo era troppo lampante!), quegli intellettuali orfani del comunismo continuavano a nutrire, in continuità con il passato, una irrefrenabile avversione per la società ed i valori occidentali ed un rifiuto viscerale di riconoscere la superiorità, politica e morale, delle idee liberali e della società occidentale; la quale invece per essi restava la fonte del Male globale. Essi hanno conservato così nel loro intimo un “continuismo”, che è una volontà di salvaguardare - quasi fosse una ricchezza collettiva e non invece un cumulo di deliri ed errori - la storia e la tradizione teorica e politica della sinistra ed in particolare di quella comunista.

Per questa loro reticenza resta ancor oggi molta ambiguità nelle loro conversioni sulla via di Damasco, che non furono mai vere abiure autocritiche. Loro hanno sempre ragione perché, come gli gnostici antichi, sono parte di una élite di illuminati, una vera casta di “figli della luce”, in possesso della vera dottrina. Ma nelle loro conversioni anche qualcosa di vero: per molti di loro il comunismo era stato un mascheramento ideologico “colto” del loro basilare rifiuto del mondo reale, del loro odio per la civiltà occidentale, per il proprio mondo, la propria tradizione e, quindi, del loro anelito (che era anche una “nostalgia” – disse Horkheimer) per un “totalmente altro”. Quale? ormai non più il comunismo, ma una nuova civiltà “quale che fosse”, purché si superasse il malefico e colpevole Occidente.

Con riferimento a quei chierici orfani del comunismo il sociologo Kenneth Minogue ha scritto: “Ci sono persone il cui odio per il moderno Occidente e la cui delusione per il fallimento delle aspettative rivoluzionarie sono tanto intensi da indurli ad appoggiare tutto ciò che è violentemente ostile al nostro modo di vivere, nella speranza che un giorno o l'altro la nostra civiltà venga annientata”.Alberto Asor Rosa, nel suo libro “La Guerra” ha confessato l’eterna “passion predominante” dei chierici di sinistra: “La missione dell'uomo della sconfitta (il post-comunista, ndr) è oggi quella di obbligare l'Occidente a vedersi e dunque aiutarlo a dissolversi”. Un’ammissione che più chiara non si poteva sperare. Il chierico di sinistra é uscito “al naturale”. Da quei travagli post-sessantotteschi e post-comunisti è nata quasi spontaneamente - senza una teorizzazione unitaria, ma per aggregazione di vari elementi sparsi - una nuova super-ideologia: il politicamente corretto. Esso non è solo un’etichetta linguistica iper-rispettosa per le minoranze svantaggiate o presunte tali. Non è solo una Lourdes linguistica o una semantica dell’eufemismo. È anche un coacervo di varie istanze ideologiche tutte anti-occidentali: vi troviamo il relativismo assoluto post-modernista, il multiculturalismo, il perfettismo iper-democratico, il pacifismo assoluto, il terzomondismo, il giustizialismo giacobino, l’ecologismo catastrofista e apocalittico: il tutto è avvolto in un buonismo cristianeggiante da paleocristiani misericordiosi e pauperisti che non rinuncia alla distruzione del cristianesimo tradizionale.

A ben vedere, questo coacervo di ideologie ha un solo denominatore comune ed una sola stella polare: la volontà di decostruire e demolire l’Occidente e la sua civiltà, sulla base di un moralistica ed anacronistica colpevolizzazione e denigrazione dell’Occidente. È l’Occidente in sé, non più solo il capitalismo - la fonte del Male radicale globale di ogni tempo. Che le altre civiltà siano ugualmente colpevoli nei tempi storici di misfatti analoghi, non importa. Le altre civiltà meritano rispetto considerazione e giustificazioni. L’Occidente no. Bisogna perciò dissolverlo con un processo continuo ad ogni suo aspetto e manifestazione. Ogni suo aspetto e manifestazione, tradizione e istituzione è perciò oggetto di una demolizione e decostruzione continua e quotidiana. Questo obiettivo si nasconde anche dietro un antifascismo e un antirazzismo assoluti e quasi metafisici, formulati e praticati in maniera così estensiva e “doppiopesista” che ogni posizione favorevole all’Occidente ed alla sua cultura, ogni opinione liberal-conservatrice sia suscettibile di essere definita “fascista” e “razzista”.

La stessa cosa può dirsi per l’ossessivo anti-sessismo omofilo rappresentato emblematicamente dalla antiscientifica teoria del gender mirante a decostruire la famiglia e l’identità sessuale dei giovani occidentali. Il sostanziale antioccidentalismo del politicamente corretto è dimostrato dal suo peculiare e sistematico doppiopesismo: si criminalizza solo la tradizione e l’identità occidentale e quella italiana in particolare. I suoi difensori vengono accusati di un perverso tradizionalismo e identitarismo occidentalista o nazionale e spesso equiparati al razzismo ed al fascismo (come insegnò a fare Umberto Eco nel suo libretto “Il fascismo eterno” dove ogni conservatorismo e tradizionalismo liberale viene equiparato al fascismo ). Gli stessi chierici del politicamente corretto esaltano però contemporaneamente ogni differenza culturale e affermano di voler rispettare le identità e tradizioni altrui. Bizzarro doppio standartd.

Altro esempio è la patente contraddizione di quei sedicenti “liberali” e “laici” (o “veri cristiani”) che rivendicano “più Europa” e, nello stesso tempo, favoriscono l’adozione di dissennate politiche di accoglienza illimitata di immigrati irregolari (spesso legati a una religione intrinsecamente teocratica, integralista e illiberale, come l’Islam). Quegli immigrati vanno a ingrossare le file di una criminalità diffusa o organizzata, o vanno a costituire o ingrossare le cosiddette “no-go zone”, dove vige la sharia islamica, costumi e tradizioni incostituzionali e illegali. Non si accorgono i chierici del “più Europa” che quelle “no-go zone” che essi stessi stanno promuovendo vere cessioni di territorio europeo ad una cultura incompatibile con le costituzioni liberal-democratiche europee?

Quale è poi l’obbiettivo dei principali presunti nuovi diritti promossi dai chierici del politicamente corretto? Si teorizza per esempio, con l’appoggio dell’Onu a maggioranza anti-occidentale, un presunto “diritto” di ogni essere umano a emigrare e risiedere dovunque desideri. Ciò sancirebbe un obbligo di ogni Stato ad accogliere degnamente decine e anche centinaia di milioni di africani, mediorientali ed asiatici. Per gli stati nazionali occidentali significherebbe la fine definitiva. Parallelamente si teorizza l’abolizione della differenza giuridica tra cittadino e no e un accesso sempre più facile alla cittadinanza, il che avrebbe un analogo effetto letale.

Così pure si teorizza un presunto “diritto” delle coppie gay (a cui non basterebbero quelli stabiliti dalla liberale legge sulle unioni civili) al matrimonio con il corollario di un “diritto” all’adozione dei bambini, trascurando del tutto i diritti – che più naturali non si possono immaginare- di questi ultimi ad avere un padre ed una madre. I presunti diritti delle (spesso effimere) coppie gay sarebbero tutto, quelli dei bambini nulla. Perché sono indifesi? Perché non hanno voce nei parlamenti? I bambini sono la minoranza più indifesa e più debole del mondo. I liberali veri non possono non opporsi. Gli esempi di contraddizioni e doppiopesismi dei chierici del politicamente corretto potrebbero continuare. Nel complesso si può dire che quei chierici manifestano una peculiare “allofilia” ed una bizzarra “autofobia” culturale, “un patologico odio di sé”.

I chierici del politicamente corretto si fingono poi iper-liberali e iper-democratici, ben sapendo che l’assolutizzazione e la radicalizzazione dei principi liberali e democratici sono – come ha insegnato Norberto Bobbio – una maniera sottile per decostruire la società liberale e democratica dall’interno. I diritti liberali e democratici non sono assoluti ed hanno dei limiti nei diritti e nelle libertà altrui. Questo deve essere chiaro. Come chiaro devono essere le dinamiche illiberali del perfettismo democratico, un altro pilastro del politicamente corretto illustrate da Giovanni Sartori, nel suo ultimo libretto “La corsa verso il nulla”.

Quei chierici, a dispetto del loro relativismo, si mostrano poi iper-cristiani (e iper-moralisti a corrente alternata e con abbondanti doppi pesi) per potere completare dall’interno la demolizione del cristianesimo e la sua sostituzione con la loro religione civile e la loro introvabile e sempre ricercata “etica laica e razionale”.

Su questo punto è bene che i liberali abbiano presente che il cristianesimo – che è una cultura ed una civiltà oltre che una religione – non può essere ridotto alla sua mitologia ed ai suoi dogmi né tanto meno all’Inquisizione e ad altre discutibili azioni pratiche della Chiesa cattolica, come fanno molti suoi detrattori, anche liberali. Esso è stato all’origine dell’Illuminismo e del liberalismo, e quindi dell’Europa e dell’Occidente, ma è stato (soprattutto a causa delle sue regressioni a canoni medievali teocratici e anti-liberali nell’800) percepito nel suo complesso dai liberali come il principale ostacolo non solo all’unificazione e all’indipendenza nazionale, ma anche allo sviluppo delle libertà, nonché - da una grande moltitudine- il principale impedimento alla stessa felicità umana.

Per queste ragioni molti liberali europei ed italiani hanno spesso fatto proprio l’appello volterriano “écrasez l’infame” ed hanno assunto posizioni “laiciste” che in realtà non sono laiche perché concretizzano una religione civile e una fede atea o irreligiosa unica che preconizza positivisticamente il superamento scientista della religione ad opera della scienza e della ragione strumentale; e non sono nemmeno liberali perché finiscono con il negare ai credenti -considerati “retrogradi e superstiziosi” quando non “cretini” (copyright Odifreddi)- il diritto ad esprimersi nella sfera pubblica.

Il cristianesimo è poi portatore di un deposito etico (sostanzialmente liberale) generalizzato e interiorizzato da vaste fasce della popolazioni occidentali. E costituisce perciò un vero “capitale sociale” di cui lo stato liberale ha ancora un bisogno, che oggi è anche urgente. Ne ha bisogno vieppiù oggi che il pericolo maggiore è quello di una democrazia anomica (priva di valori) a cui conducono varie tendenze nichiliste della modernità, tra cui gli esiti di un certo proceduralismo neo-positivista ed eticamente relativista, presente anche in molti liberali laicisti.

Bisogna tenere conto poi del fatto che la chiesa cattolica ha abbandonato le sue pretese teocratiche ed integraliste e si è ridotta ad una organizzazione caritatevole, e, ultimamente, richiama l’immagine di una “Ong senza navi”. Continuare quindi a voler “schiacciare l’infame”, oltre che anacronistico retaggio ottocentesco, equivale oggi a “sparare sulla Croce rossa” o a voler “gettare via il bambino con l’acqua sporca”. Semmai qualche perplessità nei liberali dovrebbe suscitare la deriva pelagiana, politicista in senso pauperista e terzomondista (cioè anti-occidentale) del Papa Bergoglio, a cui spesso i chierici di sinistra, compresi molti liberali laicisti, permettono ingerenze politiche che non hanno permesso e non consentirebbero a papi non orientati “a sinistra”, come appare Bergoglio.

Notevole è poi il fatto che alla distruzione del cristianesimo stiano oggi collaborando alacremente i prelati bergogliani, anch’essi in preda alle contorsioni del politicamente corretto (si veda per esempio quanto scrive Arturo Diaconale nel suo recente pamphlet “Santità”).

Il vero oscurantismo moralista, vero nemico dei liberali, è oggi invece il politicamente corretto. Oscurantismo perché la correttezza politica, viene emotivisticamente, assunta dai chierici come criterio di verità quasi assoluta che vogliono, a dispetto del loro relativismo assoluto, sostituire alla verità fattuale, logica, scientifica e razionale. Lo fanno proprio come lo facevano i chierici dello stalinismo, Lisenko e Zhdanov, per i quali non c’era verità scientifica e dignità letteraria che potesse prevalere sulla opportunità politica “rivoluzionaria”. Il politicamente corretto è dello stesso genere dello stalinianamente corretto. Quello allo stalinismo è un riferimento solo apparentemente inappropriato e anacronistico perché l’obbiettivo pratico del politicamente corretto è quello di mettere alla gogna mediatica – e possibilmente psichiatrica e giudiziaria - tutti difensori della cultura occidentale che osino sostenere posizioni politicamente scorrette. Non a caso queste ultime, sol che si differenzino dalla vulgata unica ed esprimano, sia pur ragionevoli riferimenti alla realtà, ai fatti, alla natura o alla scienza, vengono psichiatrizzate come “fobie” (non si parla forse di “omo-fobia”, “xeno-fobia”, “islamo-fobia”?). E per punire i reprobi i chierici del politicamente corretto cercano di introdurre persino reati di opinione. Altro che “liberali”!

Il politicamente corretto funziona perciò in pratica come un “totalitarismo soft post-moderno”, che ovviamente non usa gulag o lager, ma mira “solo” all’esclusione dalla sfera pubblica dei conservatori e dei liberali che non si attengano alle prescrizioni ed ai divieti di quel codice etico-politico moralistico e “progressista”. Come tutti i totalitarismi, mira ad una “purificazione” della società: tutti i difensori della cultura e della civiltà occidentale – conservatori e liberali in specie- devono essere esclusi dalla sfera pubblica e in particolare dal sistema dei media e delle comunicazioni, privandoli di ogni microfono e di ogni possibilità di far sentire la propria voce.

Come tutti i totalitarismi il politicamente corretto mira poi anche alla costruzione di un “uomo nuovo”. Quale uomo? Un essere umano privato di ogni tradizione, di ogni identità, di ogni vera cultura, che non sia quella dell’intrattenimento mediatico di massa, “aperto” ad ogni (impossibile) fusione o sincretismo culturale; senza memoria del passato e senza prospettive per il futuro, ma costretto a vivere in un grigio, anonimo, oltre che anomico, eterno presente.

L’emblema sintetico del politicamente corretto è quel cartello ostentato dalla senatrice Monica Cirinnà: “Dio, Patria, Famiglia: che vita de merda”. Altrettanto emblematiche sono le proposte di togliere il crocifisso dalla scuole e di occultarlo nei cimiteri. Ci si deve domandare con semplicità: con cosa lorsignori intendono sostituire lo spirito di religione, il senso della patria, gli affetti familiari e i crocefissi? C’è una sola risposta: con il nulla. Sì, alla loro corsa verso il nulla bisogna opporsi in ogni modo. E i liberali devono opporsi in prima persona. Devono reagire alle assurdità “de-culturanti” del politicamente corretto, come cominciano a fare crescenti strati delle popolazioni occidentali dagli Stati Uniti all’Europa. Ne va delle libertà. Ne va anche delle ragioni spirituali e culturali stesse della convivenza civile in Italia, segnate anche, se non soprattutto, dalla tradizione, la catena di affetti e di ragioni che ci lega alle generazioni passate ed a quelle future. E che ci deve dare il senso e il sale della nostra vita anche nell’epoca del nichilismo diffuso di massa. Diffuso soprattutto dall’intellettuale collettivo di massa, “de sinistra”.



“L’Occidente rischia un collasso dalle conseguenze epocali, la diaspora dell'identità europea”
Giulio Meotti
22 febbraio 2021

https://meotti.substack.com/p/loccident ... asso-dalle

Eugenio Capozzi ha appena pubblicato “L'autodistruzione dell'Occidente. Dall'umanesimo cristiano alla dittatura del relativismo” (Giubilei Regnani Editore). Ordinario di Storia contemporanea all'Università degli Studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa” e già autore di “Politicamente corretto” (Marsilio), Capozzi è qui a colloquio per la newsletter.

Come siamo finiti in questa deliquescenza culturale?

L'autodistruzione dell'Occidente non è un "tramonto" nel senso di un invecchiamento biologico, come lo intendeva Oswald Spengler, ma appunto una attiva demolizione delle proprie fondamenta culturali e spirituali operato dagli occidentali stessi. E' il frutto di un lungo processo storico-culturale attraverso il quale il patrimonio dell'umanesimo cristiano, nutrito dal razionalismo greco-romano e dalla concezione ebraica della storia, è stato corroso dall'avvento di una concezione "faustiana" e neo-gnostica dell'uomo in termini di pura potenza, che si è incarnata nello scientismo, nell'idea dello Stato-macchina, nel "biopotere", nelle ideologie. La secolarizzazione è stata così non soltanto il rinnegamento del fondamento cristiano della civiltà, ma la sua sostituzione con religioni secolari neo-pagane e neo-tribali, l'ultima delle quali è il relativismo radicale oggi egemone tra le classi dirigenti.

Ma ha ancora significato la parola “Occidente”?

Assolutamente sì, come identità di civiltà, culturale e spirituale alternativa a quel relativismo, che si fonda proprio sull'"odio di sé" dell'Occidente veicolato dalle élites portatrici di una visione assolutamente "fluida" dell'individuo e della società. Da quando pensatori come Eric Voegelin, René Girard, Augusto Del Noce, Roger Scruton e, con cristallina chiarezza, Joseph Ratzinger, ci hanno ricordato quanto siano essenziali le nostre radici cristiane e ci hanno riconnesso all'essenza originaria dell'umanesimo abbiamo gli strumenti per essere più coscienti delle condizioni essenziali per l'esistenza di autentici diritti umani, del liberalismo e della democrazia, e possiamo concretamente pensare a ricostruire l'amore per ciò che siamo, e la consapevolezza dell'importanza del nostro patrimonio per l'umanità intera. Anche se non è per niente facile, perché bisogna sfidare l'ostracismo di una cultura mortifera dominante, molto radicata, monopolistica, che demonizza ferocemente ogni opposizione.

Subiremo l’onda lunga della pazzia anglosassone su tanti temi o noi mediterranei tutto sommato ci salveremo in qualche modo?

Direi che siamo ormai tutti sulla stessa barca. O l'Occidente si salva tutto insieme, recuperando i punti di connessione tra le sue varie espressioni e una mentalità in tutti i sensi "pro-life", o è destinato a essere definitivamente marginalizzato e fagocitato da altre civiltà sempre più potenti, come quelle asiatiche, quella islamica e quelle africane. Anzi l'Europa è l'anello più debole della catena, il lato dell'Occidente oggi più esposto al disfacimento, per motivi economici, demografici, e culturali, visto che almeno nel mondo anglosassone il relativismo trionfante è ancora sfidato da una solida coscienza religiosa cristiana e dal conservatorismo libertario.

Come si prospetta nei prossimi anni, come oggi ma un po’ peggio, o vedremo una accelerazione del disastro?

L'accelerazione è già in atto dall'inizio dell'epoca della globalizzazione. La rapida ascesa cinese ha sfidato radicalmente ciò che ancora sussisteva della supremazia statunitense e ha posto direttamente sotto attacco l'Europa, sempre più avvolta in una spirale decrescitista e incapace di contrapporre ad essa - come a Russia e India - una sua identità forte. La crisi innescata dal Covid ha ulteriormente accentuato il declino: solo in Europa occidentale siamo ancora paralizzati dai lockdown e dalla recessione, mentre il resto del mondo è già ripartito, o non si è mai fermato. L'Unione europea si è dimostrata un progetto verticistico, dirigista e inefficiente. Rischiamo un collasso dalle conseguenze epocali: una diaspora vera e propria dell'identità continentale.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Cantiamo l'uomo bianco, la nostra umanità

Messaggioda Berto » mar feb 23, 2021 5:31 pm

La Coca Cola discrimina gravemente e criminalmente i bianchi, basta bere Coca Cola.
Io uomo bianco non berrò più questa bevanda razzista che oltretuuto è scura o nera.




La Coca Cola ai dipendenti: "Siate meno bianchi"
Roberto Vivaldelli
23 febbraio 2021

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/co ... 1614070971

Polemiche per il corso di formazione online della Coca-Cola che esorta i propri dipendenti ad essere "meno bianchi". Ennesima follia del politicamente corretto

"To be less white", che letteralmente significa: essere "meno bianchi". È bufera sulla Coca-Cola, che questa settimana, come riportato da Fox Business, ha promosso un corso di formazione online che esorta i propri dipendenti a "cercare di essere meno bianchi" per combattere la discriminazione razziale e il razzismo.

Ma che significa esattamente essere "meno bianchi", secondo la nota multinazionale? Secondo le diapositive mostrate durante il corso, vuol dire "essere meno arroganti", meno "sicuri", più "umili" e, soprattutto, piantarla con la "solidarietà fra bianchi". Un'altra diapositiva suggerisce ai dipendenti della Coca-Cola che per affrontare il razzismo, devono capire "cosa significa essere bianchi, sfidando ciò che significa essere razzisti". Dunque, secondo la multinazionale americana i bianchi negli Stati Uniti e in altre nazioni occidentali sono "si sentono intrinsecamente superiori perché bianchi".


"Discriminazione verso i bianchi"

L'iniziativa della Coca-Cola ha destato scalpore e critiche. L'avvocato e fondatore del Center for American Liberty Harmeet Dhillon, che ha condiviso le diapositive del corso sul suo profilo Twitter, ha parlato apertamente di "discriminazione razziale" verso i bianchi. In una lettera a Fox Business, il gigante delle bevande ha spiegato che le diapositive "non fanno parte del programma di apprendimento dell'azienda". "La nostra formazione globale Better Together - sottolinea la Coca-Cola - fa parte di un piano di apprendimento per aiutare a costruire un ambiente di lavoro inclusivo. È composto da una serie di brevi vignette, ciascuna della durata di pochi minuti ", ha affermato la società. La multinazionale ha sottolineao che tutti i corsi di formazione sono disponibili su LinkedIn e comprendono una "varietà di argomenti, tra cui diversità, equità e inclusione". Che sia un corso specifico per i dipendenti o aperto a tutti, a dirla tutta, non cambia di una virgola il messaggio - assurdo - che la Coca-Cola vuole dare rispetto al tema della "discriminazione razziale". Un messaggio palesemente discriminatorio verso gli stessi "bianchi" tacciati tout court di razzismo.


La follia del politicamente corretto

Il messaggio folle del politicamente corretto e della politica identitaria promossa dalle élite liberal, dai campus universitari alle multinazionali, è chiaro: essere bianchi significa essere intrinsecamente razzisti e privilegiati. Dunque i bianchi - tutti - devono sentirsi, sin da bambini, perennemente afflitti da un senso di colpa per essere nati e vivere in una situazione privilegiata. È un riflesso della cultura del piagnisteo e del vittismo che anima la politica dell'identità e il politicamente corretto che sta dilagando nella cultura e nel costume, soprattutto negli Stati Uniti e, in generale, nei Paesi anglosassoni. Lo stesso che anima la follia fondamentalista della cancel culture, che si scaglia contro i classici della letteratura e della filosofia definendoli "razzisti" e che vuole cancellare la storia buttando giù le statue, che siano dei confederati o di Cristoforo Colombo, per riscriverne una nuova, "inclusiva" e "antirazzista". Perché il politicamente corretto è il fondamentalismo ideologico del nostro tempo.
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Re: Cantiamo l'uomo bianco, la nostra umanità

Messaggioda Berto » lun mar 01, 2021 5:08 am

Anche l'intelligenza artificiale si piega alla demenza del politicamente corretto.


"Il bianco attacca il nero": canale video di scacchi bloccato per razzismo
Adalgisa Marrocco
23 febbraio 2021

https://www.huffingtonpost.it/entry/il- ... e_facebook

“Il bianco attacca il nero” e il canale YouTube dedicato al mondo degli scacchi viene bloccato per presunti contenuti razzisti. È quanto accaduto ad Agadmator, account seguito dagli scacchisti di tutto il mondo, il cui uso di termini gergali legati al gioco sono stati scambiati per espressioni discriminatorie da parte dell’intelligenza artificiale. È la teoria sostenuta da due ricercatori, che hanno cercato di comprendere le ragioni del blocco dell’account verificatosi lo scorso 28 giugno e durato solo 24 ore.

Secondo quanto riportato all’Independent, Ashique R. KhudaBukhsh e Rupak Sarkar della Carnegie Mellon University affermano che i molti riferimenti al “bianco” a al “nero” dei video caricati su Agadmator potrebbero aver attivato un algoritmo che va alla ricerca di argomenti offensivi. “Non sappiamo quale strumento venga usato da YouTube ma queste cose possono accadere se si usa l’intelligenza artificiale”, ha sottolineato KhudaBukhsh.

Per dimostrare la loro teoria, i ricercatori hanno preso due noti software usati per scovare argomenti offensivi e hanno caricato 680mila commenti provenienti da cinque canali YouTube dedicati agli scacchi. Hanno proseguito scegliendone 1.000 che erano stati segnalati come inappropriati da almeno uno dei programmi e li hanno controllati personalmente. Il risultato non ha lasciato dubbi: l′82% non conteneva alcun riferimento razzista, ma soltanto termini gergali riferiti al gioco.

Oltre alle parole “bianco” e “nero”, a far scattare l’allarme dell’intelligenza artificiale potrebbero essere state parole come “attacco”, “blocco”, “contrattacco”, “cattura”, “minaccia”.
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Re: Cantiamo l'uomo bianco, la nostra umanità

Messaggioda Berto » lun mar 01, 2021 5:11 am

Le creme di colore bianco non piacciono a questa demenziale razzista nera


Le mandano prodotti chiari, influencer tra le lacrime denuncia: il mondo del beauty non inclusivo
La denuncia di Loretta Grace, sui social Grace on your Dash
25 febbraio 2021

https://video.espresso.repubblica.it/vi ... 5319/15419

Loretta Grace, sui social Grace on your Dash, è un’influencer italiana nera. Da anni prova a sensibilizzare i brand di make up ad essere più inclusivi, soprattutto riguardo le shade, le tonalità, dei fondotinta e delle ciprie sempre troppo chiare. Quando le è arrivato un pacco con un nuovo prodotto che sta spopolando online, ha postato la foto con un fondotinta che chiaramente non le sta bene. E tra la lacrime denuncia anche la scarsa solidarietà del mondo dei prodotti di bellezza.


https://www.facebook.com/permalink.php? ... ry_index=0

Gino Quarelo
Che demenzialità! Che si faccia lei i prodotti di altro colore, che personaggio ignorante, stupido e razzista.
Anche la farina per il pane, il latte, il formaggio, il burro, la panna, la neve, la luce e il sale marino sono di color bianco o chiaro o al massimo dorati o ambrati come lo zucchero integrale o di canna.
Anche il latte delle donne nere è di color chiaro e non scuro, perché lo bevono?
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Re: Cantiamo l'uomo bianco, la nostra umanità

Messaggioda Berto » lun mar 01, 2021 5:14 am

La retorica razzista e insipida poesia della poetessa nera letta all'insediamento di Biden


«Gorman non può essere tradotta da una poeta bianca». Lei rinuncia
Monica Ricci Sargentini
28 febbraio 2021

https://www.corriere.it/esteri/21_febbr ... 031e.shtml

Marieke Lucas Rijneveld è troppo bianca per tradurre la poeta afroamericana Amanda Gorman? Martedì scorso la scrittrice olandese, 29 anni, aveva annunciato con orgoglio che avrebbe tradotto «The Hill We Climb» («La collina che saliamo»), la poesia che Gorman, 22 anni, aveva recitato all’inaugurazione del presidente democratico Joe Biden lo scorso 20 gennaio. Ma subito sui social, da Twitter a Facebook, sono cominciate a piovere le critiche: perché proprio Rijneveld? Perché non una poeta afro-olandese o la belga Lisette Ma Neza? E lei, venerdì, ha annunciato la marcia indietro su Twitter: «Sono scioccata dal clamore causato dal mio coinvolgimento nella divulgazione del messaggio di Amanda Gorman e capisco le persone che si sono sentite ferite dalla scelta dell’editore Meulenhoff».

Il ragionamento è semplice: Gorman parla di come migliorare una società razzista da una prospettiva afroamericana. Rijneveld non è troppo bianca per capirlo? Per esempio, quando ha annunciato che avrebbe lavorato per la versione olandese di «The Hill We Climb», l’olandese ha detto: «In un momento di crescente polarizzazione, Amanda Gorman […] mostra il potere della riconciliazione». Secondo i critici il termine «polarizzazione» sarebbe fuorviante perché indicherebbe che i neri si arroccano.

La polemica era stata ripresa anche dalla stampa. Janice Deul, attivista e giornalista, di origine Surinamese, che sostiene la diversità nel mondo della moda, dei media e del settore creativo/culturale, in un commento sul quotidiano olandese de Volkskrant aveva scritto: «Senza nulla togliere alle qualità di Rijneveld perché non scegliere una scrittrice che è - proprio come Gorman -- famosa, giovane, donna e impenitentemente nera?».

La casa editrice Meulenhoff si era difesa dicendo di aver scelto Rijneveld perché l’editore americano aveva chiesto qualcuno «affine al lavoro di Gorman anche nello stile e nei toni». La poeta olandese avrebbe soddisfatto questo requisito visto che, come Gorman, ha ricevuto riconoscimenti internazionali in giovane età. Nel 2020, infatti, ha vinto l’International Booker Prize con il romanzo «Il disagio della sera», la più giovane autrice ad ottenere un così ambito riconoscimento. «Inoltre, entrambe non hanno paura di far sentire la loro voce. La stessa Amanda si era detta entusiasta della scelta», aveva aggiunto Maaike le Noble, direttore della Meulenhoff. L’editore aveva anche assicurato che un gruppo di lettori avrebbe testato la traduzione per valutare se contenesse un linguaggio offensivo, stereotipi o altre false dichiarazioni. Ma anche questa iniziativa ha portato a critiche in passato sui social perché è vista come un tentativo di censura.


Amanda Gorman che recita la sua poesia all'insediamento di Biden
https://www.youtube.com/watch?v=LZ055il ... e=youtu.be



GORMAN: IL TESTO DELLA POESIA, NELLA SUA VERSIONE ORIGINALE e tradotto

https://www.vanityfair.it/show/agenda/2 ... limb-biden


When day comes, we ask ourselves where can we find light in this never-ending shade?
The loss we carry, a sea we must wade.
We’ve braved the belly of the beast.
We’ve learned that quiet isn’t always peace,
and the norms and notions of what “just” is isn’t always justice.
And yet, the dawn is ours before we knew it.
Somehow we do it.
Somehow we’ve weathered and witnessed a nation that isn’t broken,
but simply unfinished.
We, the successors of a country and a time where a skinny Black girl descended from slaves and raised by a single mother can dream of becoming president, only to find herself reciting for one.

And yes, we are far from polished, far from pristine,
but that doesn’t mean we are striving to form a union that is perfect.
We are striving to forge our union with purpose.
To compose a country committed to all cultures, colors, characters, and conditions of man.
And so we lift our gazes not to what stands between us, but what stands before us.
We close the divide because we know, to put our future first, we must first put our differences aside.
We lay down our arms so we can reach out our arms to one another.
We seek harm to none and harmony for all.
Let the globe, if nothing else, say this is true:
That even as we grieved, we grew.
That even as we hurt, we hoped.
That even as we tired, we tried.
That we’ll forever be tied together, victorious.
Not because we will never again know defeat, but because we will never again sow division.

Scripture tells us to envision that everyone shall sit under their own vine and fig tree and no one shall make them afraid.
If we’re to live up to our own time, then victory won’t lie in the blade, but in all the bridges we’ve made.
That is the promise to glade, the hill we climb, if only we dare.
It’s because being American is more than a pride we inherit.
It’s the past we step into and how we repair it.
We’ve seen a force that would shatter our nation rather than share it.
Would destroy our country if it meant delaying democracy.
This effort very nearly succeeded.
But while democracy can be periodically delayed,
it can never be permanently defeated.
In this truth, in this faith, we trust,
for while we have our eyes on the future, history has its eyes on us.
This is the era of just redemption.
We feared it at its inception.
We did not feel prepared to be the heirs of such a terrifying hour,
but within it, we found the power to author a new chapter, to offer hope and laughter to ourselves.
So while once we asked, ‘How could we possibly prevail over catastrophe?’ now we assert, ‘How could catastrophe possibly prevail over us?’

We will not march back to what was, but move to what shall be:
A country that is bruised but whole, benevolent but bold, fierce and free.
We will not be turned around or interrupted by intimidation because we know our inaction and inertia will be the inheritance of the next generation.
Our blunders become their burdens.
But one thing is certain:
If we merge mercy with might, and might with right, then love becomes our legacy and change, our children’s birthright.

So let us leave behind a country better than the one we were left.
With every breath from my bronze-pounded chest, we will raise this wounded world into a wondrous one.
We will rise from the golden hills of the west.
We will rise from the wind-swept north-east where our forefathers first realized revolution.
We will rise from the lake-rimmed cities of the midwestern states.
We will rise from the sun-baked south.
We will rebuild, reconcile, and recover.
In every known nook of our nation, in every corner called our country,
our people, diverse and beautiful, will emerge, battered and beautiful.
When day comes, we step out of the shade, aflame and unafraid.
The new dawn blooms as we free it.
For there is always light,
if only we’re brave enough to see it.
If only we’re brave enough to be it.

IL TESTO DELLA POESIA, TRADOTTO IN ITALIANO

Quando arriva il giorno, ci chiediamo dove possiamo trovare una luce in quest’ombra senza fine?
La perdita che portiamo sulle spalle è un mare che dobbiamo guadare.
Noi abbiamo sfidato la pancia della bestia.
Noi abbiamo imparato che la quiete non è sempre pace,
e le norme e le nozioni di quel che «semplicemente» è non sono sempre giustizia.
Eppure, l’alba è nostra, prima ancora che ci sia dato accorgersene.
In qualche modo, ce l’abbiamo fatta.
In qualche modo, abbiamo resistito e siamo stati testimoni di come questa nazione non sia rotta,
ma, semplicemente, incompiuta.
Noi, gli eredi di un Paese e di un’epoca in cui una magra ragazza afroamericana, discendente dagli schiavi e cresciuta da una madre single, può sognare di diventare presidente, per sorprendersi poi a recitare all’insediamento di un altro.

Certo, siamo lontani dall’essere raffinati, puri,
ma ciò non significa che il nostro impegno sia teso a formare un’unione perfetta.
Noi ci stiamo sforzando di plasmare un’unione che abbia uno scopo.
(Ci stiamo sforzando) di dar vita ad un Paese che sia devoto ad ogni cultura, colore, carattere e condizione sociale.
E così alziamo il nostro sguardo non per cercare quel che ci divide, ma per catturare quel che abbiamo davanti.
Colmiamo il divario, perché sappiamo che, per poter mettere il nostro futuro al primo posto, dobbiamo prima mettere da parte le nostre differenze.
Abbandoniamo le braccia ai fianchi così da poterci sfiorare l’uno con l’altro.
Non cerchiamo di ferire il prossimo, ma cerchiamo un’armonia che sia per tutti.
Lasciamo che il mondo, se non altri, ci dica che è vero:
Che anche nel lutto, possiamo crescere.
Che nel dolore, possiamo trovare speranza.
Che nella stanchezza, avremo la consapevolezza di averci provato.
Che saremo legati per l’eternità, l’uno all’altro, vittoriosi.
Non perché ci saremo liberati della sconfitta, ma perché non dovremo più essere testimoni di divisioni.

Le Scritture ci dicono di immaginare che ciascuno possa sedere sotto la propria vite e il proprio albero di fico e lì non essere spaventato.
Se vorremo essere all’altezza del nostro tempo, non dovremo cercare la vittoria nella lama di un’arma, ma nei ponti che avremo costruito.
Questa è la promessa con la quale arrivare in una radura, questa è la collina da scalare, se avremo il coraggio di farlo.
Essere americani è più di un orgoglio che ereditiamo.
È il passato in cui entriamo ed è il modo in cui lo ripariamo.
Abbiamo visto una forza che avrebbe scorsso il nostro Paese anziché tenerlo insieme.
Lo avrebbe distrutto, se avesse rinviato la democrazia.
Questo sforzo è quasi riuscito.
Ma se può essere periodicamente rinviata,
la democrazia non può mai essere permanentemente distrutta.
In questa verità, in questa fede, noi crediamo,
Finché avremo gli occhi sul futuro, la storia avrà gli occhi su di noi.
Questa è l’era della redenzione.
Ne abbiamo avuto paura, ne abbiamo temuto l’inizio.
Non eravamo pronti ad essere gli eredi di un lascito tanto orribile,
Ma, all’interno di questo orrore, abbiamo trovato la forza di scrivere un nuovo capitolo, di offrire speranza e risate a noi stessi.
Una volta ci siamo chiesti: “Come possiamo avere la meglio sulla catastrofe?”. Oggi ci chiediamo: “Come può la catastrofe avere la meglio su di noi?”.

Non marceremo indietro per ritrovare quel che è stato, ma marceremo verso quello che dovrebbe essere:
Un Paese che sia ferito, ma intero, caritatevole, ma coraggioso, fiero e libero.
Non saremo capovolti o interrotti da alcuna intimidazione, perché noi sappiamo che la nostra immobilità, la nostra inerzia andrebbero in lascito alla prossima generazione.
I nostri errori diventerebbero i loro errori.
E una cosa è certa:
Se useremo la misericordia insieme al potere, e il potere insieme al diritto, allora l’amore sarà il nostro solo lascito e il cambiamento, un diritto di nascita per i nostri figli.

Perciò, fateci vivere in un Paese che sia migliore di quello che abbiamo lasciato.
Con ogni respiro di cui il mio petto martellato in bronzo sia capace, trasformeremo questo mondo ferito in un luogo meraviglioso.
Risorgeremo dalle colline dorate dell’Ovest.
Risorgeremo dal Nord-Est spazzato dal vento, in cui i nostri antenati, per primi, fecero la rivoluzione.
Risorgeremo dalle città circondate dai laghi, negli stati del Midwest.
Risorgeremo dal Sud baciato dal sole.
Ricostruiremo, ci riconcilieremo e ci riprenderemo.
In ogni nicchia nota della nostra nazione, in ogni angolo chiamato Paese,
La nostra gente, diversa e bella, si farà avanti, malconcia eppure stupenda.
Quando il giorno arriverà, faremo un passo fuori dall’ombra, in fiamme e senza paura.
Una nuova alba sboccerà, mentre noi la renderemo libera.
Perché ci sarà sempre luce,
Finché saremo coraggiosi abbastanza da vederla.
Finché saremo coraggiosi abbastanza da essere noi stessi luce.


La collina su cui saliamo
di Amanda Gorman

https://www.avvenire.it/agora/pagine/la ... tion-biden


Viene il giorno in cui ci domandiamo: dove troveremo la luce in questa tenebra infinita?
Il lutto dentro di noi. Un mare da attraversare.
Abbiamo sfidato il ventre della bestia.
Abbiamo imparato che la tranquillità non sempre è pace, e che le norme e le nozioni di ciò che è “giusto” non sempre sono giustizia.
E tuttavia l’alba è sorta prima che ce ne accorgessimo.
In un modo o nell’altro, eccoci qui.
In un modo o nell’altro sosteniamo e testimoniamo una nazione che non è spezzata, ma soltanto incompleta.
Noi, gli eredi di un paese e di un tempo in cui una minuta ragazzina nera, discendenti di schiavi e cresciuta dalla sola madre, può sognare di diventare presidente e intanto ritrovarsi a recitare davanti a un altro presidente.
E sì, siamo tutt’altro che rifiniti, tutt’altro che intatti, ma questo non significa che stiamo stiamo anelando a un’unione che sia perfetta.
Aneliamo forgiare la nostra unione dandole uno scopo.
Per dare vita a un paese che abbia a cuore ogni cultura, ogni colore, ogni carattere e condizione umani.
Ed è così che alziamo lo sguardo, per guardare non ciò che si frappone tra noi, ma ciò che sta di fronte a noi.
Superiamo le divisioni perché sappiamo che, per mettere il futuro al primo posto, dobbiamo anzitutto mettere da parte le nostre differenze.
Deponiamo le armi per poterci abbracciare.
Non vogliamo agonia per nessuno, ma armonia per tutti.
Facciamo in modo che il mondo, se non altro, dica che è vero.
Che abbiamo pianto, ma siamo cresciuti.
Che abbiamo sofferto, ma abbiamo sperato.
Che siamo stati stanchi, ma ci abbiamo provato.
Che saremo sempre uniti tra noi, vittoriosi.
Non perché non conosceremo più la sconfitta, ma perché non semineremo più discordia.
Le Scritture ci dicono di sognare un mondo in cui ciascuno possa sedere all’ombra della vigna e del fico, senza più avere paura.
Se vogliamo essere all’altezza del nostro tempo, allora dobbiamo fare in modo che la vittoria non venga dalla spada, ma dai ponti che costruiamo.
Questa è la promessa da celebrare, è la collina su cui saliamo, se solo ne abbiamo il coraggio.
Perché essere americani è molto più dell’orgoglio che abbiamo ereditati.
È il passato che attraversiamo, è il modo in cui ce ne prendiamo cura.
Abbiamo visto una forza capace di mandare in pezzi la nostra nazione, anziché permetterci di condividerla.
Capace di distruggere il nostro paese se adoperata per ostacolare la democrazia.
E poco è mancato che questo tentativo riuscisse.
La democrazia può essere ostacolata, di tanto in tanto, ma non può essere sconfitta per sempre.
In questa verità, in questa fede che ci sostiene, adesso volgiamo gli occhi verso il futuro, mentre la storia tiene gli occhi fissi su di noi.
Questa è l’era del giusto riscatto.
Ne abbiamo temuto l’avvento.
Non ci sentiamo pronti a essere gli eredi di un’ora così terribile.
Ma è qui che troviamo il potere per scrivere un nuovo capitolo, per offrire speranza e risate a noi stessi.
Dunque, se una volta ci domandavano come saremmo sopravvissuti alla catastrofe, ora dichiariamo che in nessun modo la catastrofe avrebbe potuto prevalere su di noi.
Non retrocederemo a quel che è stato, ma procederemo verso quel che sarà: un paese ammaccato ma intero, benevolente ma prode, fiero e libero.
Non ci lasceremo distogliere o intralciare dalle intimidazioni.
Ci faremo carico dei nostri errori.
Ma una cosa è certa.
Se uniremo la misericordia alla forza, e la forza alla giustizia, allora l’amore sarà il nostro lascito e darà ai nostri figli un nuovo diritto di nascita.
Su, lasciamo dietro di noi un paese migliore di quello che ci è stato lasciato.
Con ogni respiro del mio petto scolpito nel bronzo, trasformeremo questo mondo ferito in un mondo felice.
Sorgeremo dalle colline dorate dell’Ovest.
Sorgeremo dal Nordest sferzato dal vento, dove i nostri antenati per primi misero a segno la rivoluzione.
Sorgeremo dalle città del Midwest, affacciate sui laghi.
Sorgeremo dal Sud inondato di sole.
Ricostruiremo, ci riconcilieremo, guariremo insieme.
E da ogni angolo della nazione, da ogni parte del paese, il nostro popolo così magnifico e vario riemergerà, malconcio e magnifico.
Viene il giorno in cui usciamo dall’ombra e dal fuoco, ne usciamo senza paura.
L’alba nuova è come un pallone che sale mentre lo lasciamo libero.
Perché c’è sempre luce, se solo abbiamo il coraggio di vederla.
Se solo abbiamo il coraggio di essere luce.




Walt Witman Foglie d'Erba

https://it.wikipedia.org/wiki/Walt_Whitman
https://it.wikipedia.org/wiki/Poetica_di_Walt_Whitman
https://it.wikipedia.org/wiki/Foglie_d%27erba
https://it.wikiquote.org/wiki/Walt_Whit ... lie_d'erba
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Re: Cantiamo l'uomo bianco, la nostra umanità

Messaggioda Berto » mar giu 01, 2021 8:02 pm

"Cari progressisti bianchi, l’Occidente è superiore"
Giulio Meotti
1 giugno 2021

https://meotti.substack.com/p/cari-prog ... loccidente

“I più grandi dibattiti di oggi riguardano la giustizia. Termini come ‘giustizia sociale’, ‘giustizia economica’ e ‘giustizia razziale’ permeano le discussioni. Ma nei nostri dibattiti sulla giustizia siamo riluttanti ad ammettere la verità: che mentre le società occidentali non sono giuste, sono le più giuste che l'umanità abbia costruito finora”.

Lo scrive in uno straordinario j’accuse su Unherd un professore inglese di origine nigeriana, Remi Adekoya, che riporta una serie di dati che andrebbero fatti conoscere a chi pensa di vivere in una società iniqua.

Quando si tratta di equità economica, secondo il World Inequality Database, “l'Europa è la più equa del mondo”. Per quanto riguarda la mobilità sociale, l’Ocse dice chiaramente che se sei nato in una famiglia povera in Svezia ci vorranno tre generazioni per raggiungere il reddito nazionale medio; in Canada ce ne vorranno quattro e in Gran Bretagna cinque. In Cina, Sud Africa e Colombia ci vorranno rispettivamente sette, nove e undici generazioni. Dove è probabile che verrai trattata più equamente se sei una donna? Anche se potresti dover affrontare un trattamento diverso in ogni parte del mondo, è meno probabile che questo accada in Occidente, secondo l'indice di disuguaglianza di genere delle Nazioni Unite.

“Nella mia patria, la Nigeria, il 75 per cento della popolazione crede che ‘gli uomini siano leader politici migliori delle donne’, una cifra simile riscontrata in Pakistan. Oltre la metà di russi, turchi, indonesiani e sudcoreani è d'accordo. Solo l'8 per cento dei tedeschi e il 12 per cento degli australiani condividono questo pregiudizio. Anche se non è facile essere una donna da nessuna parte, è probabilmente sicuro dire che è generalmente meno difficile in Occidente”.

E se appartieni a una minoranza sessuale? Nel 2019, il Williams Institute dell'UCLA ha compilato un indice di accettazione globale, classificando i paesi dal meno al più tollerante delle persone LGBT, “e i paesi occidentali sono di gran lunga i più giusti”. Anche se ong, media e politici vorrebbero farci credere che l’omofobia sia il problema principale delle nostre società.

Se la questione razziale è certamente non sanata in Occidente, “c'è disuguaglianza economica etnica anche al di fuori dell'Occidente e probabilmente di più; uno studio condotto da accademici di Harvard, Brown University e London Business School, ha concluso che ‘l'Africa subsahariana e l'Asia orientale e meridionale ospitano i paesi più etnicamente disuguali. Al contrario, l'Europa occidentale è la regione con il più basso livello di disuguaglianza etnica’”.

Quando si tratta di diritti umani, “da nessuna parte questo viene preso sul serio come in Occidente, come possiamo vedere dall'indice universale dei diritti umani delle Nazioni Unite. Cresciuto in Nigeria, ero tristemente consapevole fin da giovane che i ‘diritti umani’ erano solo parole su un pezzo di carta. Che si tratti del governo nigeriano che brutalizza i suoi cittadini, della Cina che raduna i musulmani uiguri nei ‘campi di rieducazione’ o dei mercati di schiavi libici che mettono all'asta persone di colore come bestiame nel XXI secolo, le ingiustizie altrove spesso provocano risposte smorzate da parte dei progressisti occidentali”.

E qui Adekoya arriva al punto: “Mentre molti progressisti bianchi si vergognano delle loro società, molti dei miei amici non bianchi riconoscono la relativa equità dell'Occidente, specialmente quelli che hanno esperienza di vita altrove”.

Con Adekoya, anche a costo di farci dare di “razzisti”, non dovremmo aver paura di affermare a gran voce che l’Occidente è superiore.



La demenzialità del politicamente corretto applicata alla matematica
Ora anche la matematica diventa "razzista" e "suprematista"
Roberto Vivaldelli
27 febbraio 2021

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/or ... 27134.html

Cercare la risposta corretta a un problema di matematica? Ora è sinonimo di suprematismo bianco. Dall'Oregon l'ultima folle iniziativa del politicamente corretto

Il politicamente corretto assume toni sempre più grotteschi. Dimenticatevi ciò che ci hanno insegnato a scuola: secondo l'ultima follia antirazzista proveniente dagli Stati Uniti e dalle scuole più liberal, la matematica è un'opinione perché insegnare agli studenti a cercare il risultato corretto in un problema di matematica o in un'espressione diventa sinonimo di suprematismo bianco.

Come riporta Fox News, stati a guida democratica come l'Oregon stanno promuovendo un programma per insegnanti che cerca di debellare il "razzismo in matematica". Il Dipartimento dell'Istruzione dell'Oregon (Ode) ha recentemente invitato gli insegnanti a registrarsi a un corso di formazione che incoraggi l'"etnomatematica" che sostiene, tra le altre cose, come la "supremazia bianca" si manifesti nel concentrarsi sulla ricerca della risposta corretta. Tutto è relativo, insomma, chi lo dice che 2+2 fa 4?

Il corso è pensato per gli insegnanti delle scuole medie e ha come obiettivo quello di "smantellare il razzismo in matematica". "Il concetto che la matematica sia puramente oggettiva è inequivocabilmente falso, e insegnarla lo è ancora di meno", si legge nel documento, la cui veridicità è stata confermata da Fox News: i promotori difendono il programma educativo, affermando che "aiuta gli educatori ad apprendere strumenti chiave per il coinvolgimento, sviluppare strategie per migliorare risultati equi per studenti di colore, latini e appartenenti alle minoranze". La convinzione che esista qualcosa di "oggettivo" è, secondo i promotori del corso, un modo di pensare tipicamente suprematista e razzista. Invece di concentrarsi su una risposta giusta, s'incoraggiano gli insegnanti a "trovare almeno due risposte che potrebbero risolvere il problema". Viene poi chiesto a questi poveri insegnanti delle medie di "identificare e mettere in discussione i modi in cui la matematica viene utilizzata per sostenere le opinioni capitaliste, imperialiste e razziste".

Il materiale alla base del corso per educatori è stato realizzato dal gruppo di estrema sinistra DismantlingRacism.org. In una sezione del programma educativo si afferma che "solo i bianchi possono essere razzisti nella nostra società, perché solo loro come gruppo hanno quel potere". Ma è sufficiente aprire il loro sito web per farsi un'idea del pericoloso fondamentalismo del loro prensiero: secondo questo gruppo "antirazzista", la cultura della supremazia bianca "è riprodotta da tutte le istituzioni della nostra società". In particolare "i media, il sistema educativo, la scienza occidentale (che ha svolto un ruolo importante nel rafforzare l'idea di razza come verità biologica con la razza bianca) e la chiesa cristiana hanno svolto un ruolo centrale nel riprodurre l'idea della supremazia bianca". È lo stesso pensiero ideologico che si scaglia contro gli autori classici, ostracizzati perché giudicati non abbastanza contemporanei e "inclusivi" dal nuovo dogma antirazzista. Nelle scorse settimane, come riporta il Daily Mail, l'Università di Leicester ha annunciato l'intenzione di accantonare il gigante letterario Geoffrey Chaucer a favore di modelli sostitutivi che rispettino di più razza e genere. L'Università giustifica tale scelta con l’esigenza di modernizzare i piani di studio rendendoli più adeguati alla sensibilità e alle prospettive degli studenti di letteratura inglese.
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Re: Cantiamo l'uomo bianco, la nostra umanità

Messaggioda Berto » mer lug 07, 2021 5:52 pm

Il demenziale razzismo antibianco spopola a New York la città a guida democratica, con il governatore indagato per aver nascosto i dati reali della pandemia a danno dei repubblicani e che è accusato di molestie sessuali da tre donne.



Nelle scuole di New York genitori invitati a diventare “traditori bianchi”
È il linguaggio della "teoria critica della razza" che spopola nei campus e nelle élite americane. Questa paccottiglia sulla "bianchezza", sorta di McDonald's in salsa razziale, arriverà in Europa

Giulio Meotti
17 febbraio 2021
https://meotti.substack.com/p/nelle-scu ... k-genitori

Una scuola pubblica di New York ha inviato una scheda ai genitori incoraggiandoli a diventare “traditori bianchi” e “abolizionisti bianchi”. Christopher Rufo, un giornalista specializzato nella “teoria critica della razza”, spiega che il preside della East Side Community School di New York ha inviato la lista che descrive in dettaglio gli otto tipi di “bianchezza” dal buono al cattivo. L'autore del grafico, Barnor Hesse, è professore alla Northwestern University.

Si inizia con il “suprematista bianco” e si finisce con l’“abolizionista bianco”. C’è il “voyeurismo bianco”, come chi è affascinato dalla cultura nera. Il “privilegio bianco” è qualcuno il cui obiettivo a parole è la diversità, ma che nei fatti beneficia del suprematismo. Il “beneficio bianco” è descritto come qualcuno che simpatizza per i problemi dei neri, ma solo in privato. Il “confessionale bianco” è qualcuno che cerca la convalida da persone di colore. La redenzione la raggiunge l’“abolizionista bianco”. E’ chi cambia le istituzioni, lavora per smantellare la bianchezza e non permetterà al bianco di “riaffermarsi” nella società.

Questa paccottiglia sulla “bianchezza”, sorta di McDonald's in salsa razziale, arriverà presto in Europa. Giorni fa, il New York Times ha pubblicato un articolo su come i francesi sono già molto preoccupati.



Alberto Pento
Mi domando perché non vengono portati in tribunale con l'accusa di razzismo!
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Re: Cantiamo l'uomo bianco, la nostra umanità

Messaggioda Berto » mer lug 07, 2021 5:54 pm

Internazionalismo, universalismo, minoranzemismo


“La sinistra che vede solo le razze è come il nazismo e l’apartheid”
Giulio Meotti
3 marzo 2021

https://meotti.substack.com/p/la-sinist ... o-le-razze

Psicologo cognitivo e professore ad Harvard, Steven Pinker è uno degli intellettuali più influenti al mondo.

“L’ortodossia della sinistra woke (risvegliata, ndr) prende in prestito la peggiore ideologia dell'apartheid e del nazismo” dichiara Pinker al settimanale francese L’Express. “Troviamo qui l'idea che ognuno di noi appartiene a un gruppo definito dal nostro genere, razza o etnia. Queste sono le idee che erano alla base della segregazione razziale negli stati del sud dell'America. È molto ironico che un pensiero che pretende di essere per la ‘giustizia sociale’ possa essere basato sull'idea che ciò che costituisce una società sono i gruppi etnici piuttosto che gli individui stessi”.

Una nuova religione antirazzista? “Sì, se dubiti della teoria critica della razza è perché sei un eretico o un bestemmiatore. Come in ogni religione, mostrare le tue convinzioni diventa una prova del tuo buon carattere. E anche questo movimento ha i suoi martiri. George Floyd è ritratto come un santo assassinato (…) Assicurano che i bianchi erano, sono e saranno razzisti. Mentre nella tradizione illuminista liberale ci sono i pregiudizi, a volte anche istituzionalizzati, ma è possibile smantellare e lottare per avvicinarsi a questo ideale universalista in cui tutti sono trattati come individui. Anche durante il mandato di Trump, il razzismo ha continuato a diminuire! E, negli ultimi quindici anni, questi pregiudizi sono diminuiti in tutto il mondo”.

Il problema più grande, dice Pinker, è che invece di migliorare la vita degli afroamericani o di altre minoranze, “preferiamo distruggere statue e licenziare persone le cui opinioni non ci piacciono. Se vuoi davvero che i neri o gli ispanici vivano meglio, devi già comprendere le cause della discriminazione, che non è sempre il razzismo. Devi indagare sulla qualità dell'istruzione, sulla qualità della polizia. Potrebbe esserci troppa polizia o, al contrario, non abbastanza. Nel 2020, 7.000 afroamericani sono stati uccisi per omicidio. Se ti interessano le vite dei neri, come afferma Black Lives Matter, devi essere interessato alla prevenzione del crimine e non concentrarti solo sulla violenza della polizia”.


I pericoli dell’universalismo
Davide Cavaliere
2 marzo 2021

http://caratteriliberi.eu/2021/03/02/ag ... ersalismo/

Su Gariwo, in data 16/02/21, è apparso un articolo, a firma del filosofo Francesco Tava, intitolato “Sull’eterno ritorno del nazionalismo”. Il bersaglio polemico dello scritto è il ritorno sulla scena politica mondiale del nazionalismo, incarnato da intellettuali come Yoram Hazony e da capi di stato come Boris Johnson e Donald Trump.

Nell’articolo si mette in discussione la validità della distinzione posta da Hazony nel suo celebre libro “La virtù del nazionalismo” – e prima di lui elaborata da Isaiah Berlin – tra il bisogno umano fondamentale dell’appartenenza a realtà concrete e l’esaltazione acritica e fanatica della nazione. Al nazionalismo, dunque, anche a quello civile e liberale, si nega ogni validità. Anzi, lo si presenta come un’anticamera delle sue derive belliciste e razziste. Proprio per questo motivo, forse, si accosta in maniera del tutto arbitraria e infondata Donald Trump al fascismo americano o il filosofo Roger Scruton al presidente magiaro Víctor Orban.

Inoltre, è opportuno rilevare una falsità contenuta nell’articolo, dove si scrive impunemente: “Si è spesso sottolineato come la prosa raffinata di Scruton nasconda tesi e prese di posizione personali tutt’altro che rassicuranti, ben rappresentate dalla sua amicizia con Víctor Orban e altri leader di estrema destra e le esternazioni antisemite che hanno portato al suo allontanamento da Downing Street”. Il pensatore inglese, scomparso lo scorso anno, Roger Scruton, il massimo intellettuale e accademico conservatore d’Inghilterra, venne allontanato da una commissione per l’edilizia con la pretestuosa accusa di “islamofobia” e per aver criticato il Partito Comunista Cinese e le attività politiche di George Soros. A chiedere a gran voce la testa del filosofo fu il Partito Laburista, allora presieduto dall’antisemita Jeremy Corbyn.

Ma tornando al tema centrale dello scritto di Tava, il quale sostiene, in un moto di onestà intellettuale, che “lo stato-nazione moderno sembra essere l’unica forma di governo attualmente funzionante. Di conseguenza, il nazionalismo si presenta come una condizione altrettanto ineludibile”, cosa si suggerisce in alternativa al tanto esecrato nazionalismo? La risposta è netta: nulla.

Nell’articolo non c’è la minima traccia di una pars construens, solo una critica superficiale al sentimento di appartenenza nazionale. Possiamo, senza temere errori, e visto i temi affrontati da Gariwo, ritenere che le nazioni dovrebbero essere abbandonate in nome di un’astratta “umanità” o di ideali iperuranici quali l’Uguaglianza, la Fratellanza, il Bene. Insomma, una riedizione stucchevole di quella “religione dell’Umanità” già teorizzata da Auguste Comte.

In tutto il testo, però, è rilevabile una grande assenza, che ne manifesta la faziosità. Se, indubbiamente, il Novecento è stato il secolo dei nazionalismi messianici che hanno fatto dell’Europa un carnaio, non meno crudeli e oppressive sono state le ideologie universaliste, che operavano nel nome del “Progresso” e per la palingenesi razionalista e umanitaria delle nazioni. Questi fatti sono omessi nel tentativo di far ricadere la responsabilità della violenza solo sul nazionalismo.

Chiunque abbia dimestichezza con la storia delle idee sa bene che l’Illuminismo, con il suo culto della Ragione, ha incoraggiato sprezzanti e audaci esperimenti di riforma della società secondo semplici idee di ordine razionale. Uomini “illuminati” come Marat, Robespierre, Saint-Just, Danton si sono dimostrati, in nome degli ideali illuministici che ispiravano la rivoluzione, assolutisti, inflessibili e intolleranti. Anche l’universalismo marxista, in nome dell’emancipazione dell’umanità, ha originato forme spietate di tirannia. Come ricorda l’ex dissidente sovietico Vladimir Bukovski, l’Unione Sovietica mirava a creare una nuova entità storica: il popolo sovietico. Per fare questo, gli individui si dovevano spogliare della loro nazionalità, della religione dei loro padri e delle loro usanze tradizionali.

A ben vedere, dunque, non solo il nazionalismo, come scrive Francesco Tava, è “un fenomeno complesso che nasconde enormi minacce e che non merita facili apologie”, ma anche l’universalismo astratto di cui il suo articolo è imbevuto.


L’ex presidente del Bundestag contro la "colpa ereditaria dell'uomo bianco". Bufera. E riconsegna la tessera ai Socialdemocratici
Giulio Meotti
4 marzo 2021

https://meotti.substack.com/p/lex-presi ... tag-contro

L'ex presidente del Bundestag Wolfgang Thierse è un veterano della socialdemocrazia tedesca. Patrono della Fondazione Amadeu Antonio che si batte contro l'estremismo di destra, il razzismo e l'antisemitismo. Membro del Comitato centrale dei cattolici tedeschi. Portavoce del gruppo di lavoro “Cristiani nell'SPD”. E presidente del Bundestag dal 1998 al 2005. Ma Thierse ha appena commesso un “peccato” imperdonabile. Ha scritto un lungo articolo sulla FAZ in cui critica la politica dell’identità a destra e a sinistra. Secondo Thierse, le maggioranze devono riconoscere le minoranze in nome di pluralismo, tolleranza e società aperta, ma le minoranze non possono imporsi normativamente e culturalmente sulle maggioranze...

Ecco alcuni estratti del saggio di Thierse:

“I dibattiti su razzismo, postcolonialismo e genere stanno diventando più intensi e aggressivi (…) La pluralità etnica, culturale, religiosa e ideologica, che è in aumento in Germania, non è un idillio, ma è piena di controversie e potenziale di conflitto. La critica all'ideologia della superiorità bianca non deve diventare un mito della colpa ereditaria dell'uomo bianco. Parlare di razzismo strutturale e onnipresente nella nostra società gli conferisce qualcosa di ineludibile, secondo il motto: ‘chi sa è colpevole’. Stiamo sperimentando nuovi iconoclasmi. L'eliminazione dei nomi, il rovesciamento dei monumenti, la denuncia dei grandi intellettuali sono storicamente per lo più parte di sconvolgimenti rivoluzionari e sanguinosi”

Ne è nata una disputa con la dirigenza del partito e oggetto di attacchi da parte dei vertici socialdemocratici l'ex presidente del Bundestag si è offerto di riconsegnare la tessera all'SPD. La domanda che sorge è una sola: c’è ancora posto a sinistra per chi pensa liberamente e fuori dagli schemi politicamente corretti sui grandi temi che stanno segnando il destino delle democrazie occidentali?



"Proprietà dei neri". Benvenuti al supermercato antirazzista
Giulio Meotti
8 marzo 2021

https://meotti.substack.com/p/proprieta ... permercato

Il “Gluten Free” non va più di moda. Negli Stati Uniti è l’ora dei supermercati che indicano la provenienza etnico-razziale delle merci vendute. “Black owned”, “Hispanic owned”, “Asian owned”, “Lgbt owned”…

La catena Giant Food ha introdotto etichette che consentono agli acquirenti di identificare i prodotti delle aziende di proprietà delle minoranze. Tutti i supermercati Giant hanno adottato questa formula in Virginia, Maryland, Delaware e District of Columbia. “Giant Food è orgoglioso di evidenziare meglio i nostri diversi fornitori", ha dichiarato il presidente di Giant, Ira Kress. “Ci impegniamo a rendere più facile per i clienti identificare le caratteristiche del prodotto che sono importanti per loro, promuovendo una rete diversificata e inclusiva di fornitori”

La scusa addotta è che, così facendo, si facilita l’impresa afroamericana e delle minoranze. In realtà, in nome dell’antirazzismo, si facilita il ritorno a una sorta di apartheid e di guerra razziale, secondo cui i consumatori di colore e i bianchi col senso di colpa dovrebbero acquistare le merci delle minoranze. Si erigono barriere razziali. Per non essere razzisti, nuove leggi razziali. Il prossimo passo? “White free”.



"Hanno fatto passare la Regina per razzista". Cosa c'è dietro l'intervista di Meghan
Marina Lanzone
10 marzo 2021

https://www.ilgiornale.it/news/spettaco ... 1615449244

La famiglia reale rivive il dolore del novembre 1995, dopo l'intervista che Harry e Meghan hanno rilasciato a Oprah Winfrey. Sotto accusa The Firm, "l'azienda" reale. Ma cosa c'è di vero? Ne abbiamo parlato con Lavinia Orefici, esperta della royal family

7 marzo 2021. Difficilmente la royal family inglese dimenticherà questa data, che si andrà ad aggiungere, sullo scaffale dei ricordi dolorosi, a quella del 20 novembre 1995, giorno in cui Lady Diana, vestita di nero, confessava davanti alle telecamere della BBC tutto il suo dolore per il fallimento del matrimonio con Carlo. Domenica scorsa, la storia si è ripetuta, ma questa volta sono stati il principe Harry e sua moglie Meghan Markle a parlare davanti al volto sconvolto di Oprah Winfrey, sulla Cbs.

Al centro della narrazione i terribili "crimini" commessi da "The Firm", l’azienda reale, il "cattivo" di questa fiaba.

L’intervista arriva un anno dopo la Megxit, ufficializzata il 30 marzo scorso, tra l’incredulità degli amanti della famiglia reale, che non ne comprendono il motivo. Dopo aver chiesto e ottenuto privacy e libertà, perché andare da Oprah Winfrey, l’anchor più famosa d’America, a spiattellare dei fatti personali?

"Lo scopo forse è proprio quello di passare per vittime. Le accuse lanciate sono molto pesanti, ben sapendo che la monarchia britannica non risponde. Ma sono senza prove", ha dichiarato a ilGiornale.it Lavinia Orefici, esperta della famiglia reale inglese.

Hanno parlato di analogie con l’intervista di Diana alla BBC. Quali sono secondo lei?

"Non ne vedo nessuna. Diana e Meghan Markle sono due donne completamente diverse per età, origini, relazioni. L’intervista di Diana del ’95 fu un clamoroso errore ma Lady D era finita in un matrimonio senza amore, si era sposata molto giovane. Meghan aveva il doppio dei suoi anni quando è entrata a far parte della royal family, era divorziata, aveva già vissuto altre vite. Diana era un personaggio estremamente amato dal popolo, anche grazie al gioco che aveva costruito con la stampa, che volentieri si faceva usare da lei. Meghan scimmiotta Lady D, ma il paragone non esiste".

Meghan si è definita ingenua. È davvero così?

"Anche Diana lo disse, subito dopo essere arrivata a Buckingham Palace: 'Io sono ingenua, non ho studiato tanto, sono un po’ ignorante e non particolarmente intelligente'. Meghan ha fatto delle accuse gravissime sapendo che la monarchia britannica non risponde".

Invece ha risposto ma in leggero ritardo. Perché sono passati diversi giorni dalla messa in onda?

"La Gran Bretagna ha visto l’intervista solo lunedì, quindi alla fine parliamo di 24 ore dopo. Dicono che la Regina Elisabetta II volesse pensare bene alle parole da usare. Il comunicato stampa è perfetto: in cinque righe ha detto in pratica che loro laveranno i panni sporchi in famiglia, non dando ai Sussex possibilità di replica".

Pare che il matrimonio che hanno trasmesso in tv sia stato di facciata. Quello vero si è tenuto qualche giorno prima…

"Lei sembrava molto contenta il giorno del matrimonio. Poi, in Gran Bretagna non ci si può sposare più volte. Questa dichiarazione mette in difficoltà l’Arcivescovo di Canterbury. Da fonti, pare che nei giorni precedenti ci sia stato uno scambio di promesse e non un matrimonio. C’è differenza".

Meghan ha confessato di aver sofferto di depressione e di aver pensato più volte al suicidio. Non ha avuto l’appoggio che sperava dalla famiglia di Harry, perché la situazione sarebbe stata sconveniente. Quanto c’è di vero?

"Ci sono battaglie su battaglie intraprese dalla famiglia reale sulla salute mentale: sanno quanto sia delicato questo argomento e di quanto poco se ne sia parlato. William è stato vicino al fratello Harry quando era depresso. È impegnato in tantissime campagne a sostegno di chi soffre di disturbi mentali. Nel suo discorso di Natale, la Regina Elisabetta II ha fatto un chiaro riferimento alle persone sole durante il lockdown. I fatti della famiglia reale parlano chiaro, quelli narrati da Meghan Markle meno".

L’accusa più forte è quella di "razzismo", tanto che è l’unica che viene sottolineata anche da Buckingham Palace nel messaggio di risposta. La famiglia reale ha un passato razzista?

"Harry aveva bisogno dell’autorizzazione della regina per sposarsi e mi sembra sia arrivata. Meghan Markle inoltre è la prima ad aver messo piede a Sandringham per Natale, prima che fosse celebrato il matrimonio. Né Diana, né Kate Middleton hanno avuto questo onore".

Chi è stato secondo lei a esprimere le preoccupazioni sulla pelle del piccolo Archie?

"Non sappiamo se si riferissero alla famiglia in senso 'stretto'. C’è da sottolineare che nell’intervista hanno parlato di 'qualcuno della famiglia'. La famiglia e l’istituzione sono la stessa cosa, a guidarle è la Regina Elisabetta. Non facendo nomi, Harry ha fatto cadere tutto su di lei, facendo sembrare che la regina sia razzista. Il giorno dopo Oprah Winfrey ha chiarito che le accuse di Meghan e Harry non si riferivano ai nonni (Elisabetta II e Filippo d’Edimburgo, ndr), ma pochi hanno visto quella trasmissione".

Chi è dunque l’altro personaggio di questa storia, The Firm?

"È un’istituzione al passo con i tempi, che nei secoli si è rinnovata: l’erede al trono, William, ha sposato una commoner; la Regina Elisabetta ha fatto un cameo per le Olimpiadi del 2012 con Daniel Craig. Non è una macchina antiquata che vive fuori dal mondo".

Harry è una pedina o un co-protagonista?

"Harry non ha partecipato all’intera intervista per non essere presente nel momento delle accuse peggiori, lanciate dalla moglie. Ma comunque c’era e questo non lo allontana dalle posizioni di Meghan. In generale la protagonista è lei, lui è il personaggio che le ha permesso di interpretare questo ruolo. Meghan sarà contenta, ha ottenuto molto consenso negli Usa, ma Harry potrà pentirsene. Dalla sua intervista sembra che abbia passato un’esistenza infernale. Sicuramente, rispetto a Jeff Bezos, la sua è una vita con più oneri, ma anche tanti privilegi. Poi, nessuno lo ha costretto a rimanere, ma andando via non avrebbe dovuto infangare la monarchia".

Quindi in che rapporti sono i duchi di Sussex con la famiglia? Con Elisabetta II pare tutto ok. Con il principe Carlo i rapporti sono più tesi. Harry si è detto molto deluso perché si sente simile al padre. In cosa?

"Probabilmente lui non si sente compreso dalla famiglia reale, come suo padre da giovane. Ma Harry è stato un privilegiato, gli hanno perdonato tutte le sue esuberanze del passato, tra cui il travestimento da nazista e le scazzottate fuori dai locali. Probabilmente anche perché non è l'erede al trono".

Ha parlato nuovamente del fratello William. Pensa che le loro tensioni dipendano dal rapporto non idilliaco tra Meghan e Kate?

"Meghan e Kate sono due donne diverse che non hanno nulla in comune. Per quanto riguarda il litigio sui vestiti delle damigelle, erano entrambe fortemente sotto pressione: Meghan per le nozze e Kate per l’ultima gravidanza. Quindi questo è gossip".

Qual è il problema allora?

"Quello che ha fatto Harry a suo fratello non sarà facile da sanare: da questa intervista ne escono vincitori gli antimonarchici. C’è un grande danno alle istituzioni, quindi alla Regina, a Carlo e William, che diventeranno re. Meghan e Harry hanno tolto quel velo di magia intorno alla casa reale, in un’epoca come questa, dove c’è bisogno di serietà, senso del dovere. Per cosa? Uscirne da vittime. Contenti loro. L’unica cosa carina di questa intervista è l’annuncio dell’arrivo di una bambina, rompendo il protocollo. Mi sembra l’unica bella notizia da dare".
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Re: Cantiamo l'uomo bianco, la nostra umanità

Messaggioda Berto » mer lug 07, 2021 6:03 pm

Menzogne e calunnie demenziali per demonizzare, criminalizzare e disumanizzare, per istigare alla paura, al disprezzo e all'odio etnico-ideologico-politico-religioso, al fine di depredare, schiavizzare e impedire il libero
esercizio dei diritti umani, civili, economici e politici del prossimo.
viewtopic.php?f=196&t=2942
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 8357587395


Il Politicamente corretto (PC): il peggiore crimine contro l'umanità
Il Politicamente Corretto è l'ideologia del male e dell'inversione assurda elevate a bene e assunte come diritto, è l'ideologia dell'odio e del caos.
La menzogna, l'inganno, l'illusione del Politicamente corretto e le sue violazioni dei diritti umani
viewtopic.php?f=196&t=2947
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 6835049120

La violenza della menzogna del PC precede e anticipa la violenza fisica del suo totalitarismo sociale e politico istituzionale, poliziesco, giuridico e militare.


Crimini contro l'umanità ossia violazioni gravi dei diritti umani, civili e politici degli esseri umani cittadini dei vari paesi del mondo
viewtopic.php?f=205&t=2957
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 5524575934


1) lo stupro delle donne;
2) l'infibulazione forzata delle bambine;
3) il matrimonio forzato delle bambine e delle giovani;
4) la sottomissione forzata e la schiavizzazione della donna;
5) l'accoglienza obbligatoria e il meticciato forzato;
6) la propaganda omosessuale ai bambini, la teoria del gender, i trattamenti ormonali dei piccoli e le operazioni chirurgiche che mutilano irrimediabilmente i corpi per favorire un impossibile e innaturale cambio di genere;
7) il suprematismo nero come quello dei BLM e la teorica critica della razza per cui i bianchi sarebbero naturalmente razzisti;
8 ) l'antisemitismo/antisionismo/antisraelismo dei cristiani, degli atei e in particolare dei nazi maomettani;
9) le utopie totalitarie sociali, politiche e religiose che ingannano, illudono, inducono al fanatismo, alla violenza, alla discriminazione alla guerra come:
a) il fascismo e il nazismo;
b) il suprematismo nazi maomettano con la sua discriminazione per i non mussulmani, i diversamente religiosi, aregligiosi e pensanti, per gli atei e gli apostati, per la libertà e l'ugualianza della donna, per la sua istigazione al disprezzo, all'odio, all'omicidio e alla strage dei non islamici;
c) il suprematismo comunista e la demonizzazione della proprietà privata, del libero mercato e della libera impresa, della diversità e della disuguaglianza, della responsabilità e del merito;
10) il politicamente corretto in generale nelle sue varie articolazioni;
11) la demonizzazione e la criminalizzazione attraverso la calunnia, la diffamazione e la menzogna delle persone, delle etnie, dei popoli, delle nazioni, degli stati, per sopraffarli, depredarli, impedire e negar loro il diritto alla difesa, alla libertà, alla sovranità civile e politica, per negare il libero esercizio e la realizzazione dell'umanità delle persone.
...

Tutte queste manifestazioni, attività, comportamenti, ideologie/teologie/mitologie non sono descrivibili/narrabili/trattabili come bene e quindi come cultura e come civiltà ma unicamente come male e quindi come incultura e inciviltà.



Razzismo dei neri contro i bianchi
viewtopic.php?f=196&t=2913
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 7477876384


La Teoria critica della razza, l'ideologia che sta intossicando l'America (e l'Occidente)
Atlantico Quotidiano
Rob Piccoli Europeo per nascita, Americano per filosofia www.srpiccoli.eu

https://www.atlanticoquotidiano.it/rubr ... occidente/

In un suo recente tweet, l’ex segretario di Stato Mike Pompeo ha scritto che la cosiddetta Critical Race Theory (teoria critica della razza) “fa parte del tentativo della sinistra radicale di iniettare il socialismo in ogni aspetto della nostra vita e indottrinare la prossima generazione di americani”. L’allarme di Pompeo si conclude con un’esortazione che lascia presagire un futuro piuttosto fosco: “We cannot allow our military leaders to be subjected to an un-American curriculum” (non possiamo permettere che i nostri capi militari siano soggetti a un curriculum non-americano).

Il dibattito nazionale sulla CRT si è aperto con gran clamore solo recentemente, anche se in America è un concetto accademico che affonda le sue radici negli anni ’60 e ’70 e ha ufficialmente visto la luce nel 1989. L’argomento è esploso nell’arena pubblica questa primavera, specialmente in ambito educativo — nel segmento scolastico che va dalla scuola materna a quella secondaria, o K-12, come viene definito nel sistema formativo statunitense — poiché numerose legislazioni statali hanno varato o stanno progettando leggi che intendono vietare l’applicazione/l’insegnamento in classe della teoria medesima.

Relegata per molti anni nelle università e in oscure riviste accademiche, negli ultimi dieci anni la CRT è diventata in pratica la nuova ortodossia istituzionale americana, cioè l’ideologia predefinita nelle istituzioni pubbliche del Paese. L’idea centrale è che il razzismo è un costrutto sociale e che non è semplicemente il prodotto di prevenzioni o pregiudizi individuali, ma anche qualcosa di incorporato nei sistemi legali e nelle politiche. Per maggior precisione si può vedere anche la definizione che si legge sul sito di Encyclopædia Britannica:

Movimento intellettuale e struttura di analisi giuridica non molto ben organizzata e basata sulla premessa che la razza non è una caratteristica naturale e biologicamente fondata di sottogruppi di esseri umani fisicamente distinti, ma una categoria socialmente costruita (inventata culturalmente) che viene utilizzata per opprimere e sfruttare le persone di colore. I teorici critici della razza sostengono che la legge e le istituzioni legali negli Stati Uniti sono intrinsecamente razziste nella misura in cui funzionano per creare e mantenere disuguaglianze sociali, economiche e politiche tra bianchi e non bianchi, in particolare gli afroamericani.

L’organizzazione conservatrice Heritage Foundation ha probabilmente dato inizio alle danze attribuendo alla CRT la responsabilità di aver favorito la nascita di movimenti di protesta spesso violenti, come il Black Lives Matter, o le limitazioni della libertà di parola e dibattito nei campus universitari. “Quando la sua logica viene applicata fino in fondo, la CRT è distruttiva e rifiuta le idee fondamentali su cui si basa la nostra repubblica costituzionale”, ha affermato l’organizzazione. “La teoria critica della razza”, spiega la Fondazione sulla prima pagina della sezione del suo sito web dedicata all’argomento, “fa della razza il prisma attraverso il quale i suoi sostenitori analizzano tutti gli aspetti della vita americana, classificando gli individui in gruppi di oppressori e vittime. È una filosofia che sta infettando tutto, dalla politica all’istruzione, al posto di lavoro e all’esercito”. Coerentemente con questi pesanti addebiti, a metà maggio in Idaho, Iowa, Oklahoma e Tennessee sono state approvate leggi che vietano la CRT nelle scuole, mentre in altri stati leggi analoghe sono in cantiere.

Qualche esempio di teoria critica della razza in azione (tra quelli riportati da Christopher F. Rufo sul New York Post nel luglio 2020 e nel maggio scorso): 1) il Dipartmento di Homeland Security dice ai dipendenti bianchi che commettono “microiniquità” e che si sono stabilmente “socializzati” nel ruolo di “oppressori”; 2) il Dipartimento del Tesoro tiene una sessione di formazione in cui dice ai membri dello staff che “praticamente tutti i bianchi contribuiscono al razzismo” e che devono convertire tutti, nel governo federale, all’ideologia dell’antirazzismo; 3) i Sandia National Laboratories, che progettano l’arsenale nucleare americano, inviano i dirigenti maschi bianchi in un campo di rieducazione di tre giorni dove si dice loro che la “cultura maschile bianca” è analoga al KKK, ai suprematisti bianchi e, udite udite, alle uccisioni di massa (i dirigenti sono pertanto costretti a rinunciare al loro “privilegio maschile bianco” e a scrivere lettere di scuse a donne fittizie e persone di colore); 4) A Cupertino, in California, una scuola elementare ha costretto i bambini di prima elementare a decostruire le loro identità razziali e sessuali e a classificarsi in base al loro “potere e privilegio”; 5) a Springfield, Montana, una scuola media ha pensato bene di costringere gli insegnanti a collocarsi in una “matrice di oppressione” basata sull’idea che i maschi etero, bianchi, cristiani e di lingua inglese, sono membri della classe degli oppressori e devono espiare per il loro privilegio e “supremazia bianca nascosta”; 6) a Filadelfia, una scuola elementare ha costretto gli alunni di quinta elementare a celebrare il Black Communism e simulare un raduno del Black Power per liberare la radicale degli anni ‘60 Angela Davis dalla prigione nella quale un tempo era stata detenuta con l’accusa di omicidio; 7) a Seattle, il distretto scolastico ha detto agli insegnanti bianchi che sono colpevoli di “omicidio spirituale” contro i bambini neri e devono rottamare il proprio privilegio “in riconoscimento dell’eredità rubata a questi ultimi”. Può bastare a rendere l’idea? “Sono solo un giornalista investigativo”, scrive Rufo, “ma ho sviluppato un database di oltre 1.000 di queste storie. Quando dico che la teoria critica della razza sta diventando l’ideologia operativa delle nostre istituzioni pubbliche, non esagero: dalle università alle burocrazie ai sistemi scolastici K-12, la teoria critica della razza ha permeato l’intelligenza collettiva e il processo decisionale del governo americano, senza alcun segno di rallentamento”.

Un altro episodio emblematico, riportato tra gli altri dal National Review per la penna di Charles C.W. Cooke. Una quindicina di giorni fa, l’attore Tom Hanks ha scritto per il New York Times un pezzo sul massacro di Tulsa del 1921, quando una folla composta da bianchi attaccò le persone e le proprietà della comunità afroamericana, provocando molte vittime, diverse centinaia di ospedalizzati, alcune migliaia di neri con la casa distrutta e danni per l’equivalente di oltre 30 milioni di dollari attuali. “Per tutto il mio studio”, ha ammesso Hanks, “non ho mai letto una pagina di nessun libro di storia della scuola su come, nel 1921, una folla di bianchi bruciò un posto chiamato Black Wall Street, uccise fino a 300 dei suoi cittadini neri e sfollò migliaia di neri americani che vivevano a Tulsa, in Oklahoma”. Questo, ha scritto Hanks, era forse dovuto al fatto che “la storia è stata scritta principalmente da bianchi su bianchi come me, mentre la storia dei neri – compresi gli orrori di Tulsa – è stata troppo spesso tralasciata”. Per tutta risposta, il critico televisivo del NPR (National Public Radio) Eric Deggan, ha spiegato che ciò che Hanks aveva scritto sul NYT “non era abbastanza”. “Tom Hanks”, ha ammesso Deggans, “è un non-razzista”. Ma, ha aggiunto, “è ora che sia anti-razzista”. Già, perché c’è una differenza tra l’essere non-razzisti e l’essere anti-razzisti. “L’anti-razzismo”, ha precisato Deggans, “implica azione: guardarsi intorno nel proprio universo e adottare misure specifiche per smantellare il razzismo sistemico”. E se le parole di Hanks sono “carine”, non bisogna dimenticare che il Nostro “ha costruito una parte considerevole della sua carriera su storie di uomini bianchi americani che fanno la cosa giusta”. “Se vuole davvero fare la differenza”, ha concluso Deggans, Hanks, così come tutte le altre star, “deve parlare in modo specifico di come il suo lavoro ha contribuito a questi problemi e di come intende cambiare le cose”. C’è da giurare che se anche Tom Hanks decidesse di seguire alla lettera le istruzioni di Deggans, il popolare attore sarebbe comunque ritenuto colpevole di qualcosa…

Che dire? Per fortuna questa follia ideologica e gli eccessi ai quali induce i suoi seguaci ha finito per stomacare anche alcuni neri, oltre che moltissimi bianchi. Sempre il New York Post ha riproposto un video pubblicato su TikTok in cui un padre di colore e sua figlia parlano contro la teoria critica della razza. Il video è diventato rapidamente virale. “Non importa se sei bianco o nero o di qualsiasi colore”, dice la bambina. “Il modo in cui trattiamo le persone si basa su chi sono e non su di che colore sono”, osserva il papà, e la ragazzina aggiunge “e se sono simpatici e intelligenti”. “Questo è il modo in cui pensano i bambini qui”, chiosa il padre, e conclude: “La teoria critica della razza vuole porre fine a tutto questo. Non con i miei figli, non succederà. Dobbiamo fermare la CRT. Punto. I bambini non vedono il colore della pelle. Amano tutti.” Il video ha ottenuto 26.000 visualizzazioni da quando è stato pubblicato su TikTok il 19 maggio scorso, ma ha raccolto 1,6 milioni di visualizzazioni su Twitter quando è stato condiviso dal candidato al Congresso repubblicano Robby Starbuck.

Le esagerazioni e il manicheismo maniacale di quelli come Deggans sono andati talmente oltre il limite che adesso la sinistra, dopo aver cercato di sfruttare (l’estate scorsa) gli entusiasmi suscitati dal movimento Black Lives Matter al fine di portare avanti la propria idea di anti-razzismo e la stessa teoria critica della razza, sta cercando freneticamente di ridefinire i termini del dibattito, dal momento che tutta la questione si sta ritorcendo contro i suoi promotori. I liberals ora cominciano a prendere le distanze dai pasdaran dell’anti-razzismo e a negare ipocritamente che la CRT venga insegnata, in maniera palese o occulta, nelle scuole K-12, anche se, come abbiamo visto, ci sono chiari esempi che li contraddicono. E del resto il New York Times ha pubblicato solo tre settimane fa un pezzo in cui si afferma che la teoria critica della razza è un “framework che ha trovato la sua strada nell’istruzione pubblica K-12”.

Ciò non toglie, appunto, che una certa aria di svolta la si respira, come fa notare Zachary Faria sul Washington Examiner del 16 giugno. La qual cosa significa che la spinta contro queste idee tossiche, sia da parte di genitori preoccupati alle riunioni del consiglio scolastico locale, sia da parte delle amministrazioni di vari stati a guida repubblicana, sta funzionando. La verità è che stanno perdendo la battaglia per indottrinare i giovani americani con la loro ossessione razziale tossica e divisiva. Che probabilmente le cose stiano evolvendosi nella giusta direzione è la prova di quel che ha scritto il 12 giugno scorso Victor Davis Hanson sul Las Vegas Review-Journal: “Sebbene questa rivoluzione elitaria di sinistra sia più pericolosa del suo sciatto predecessore degli anni ’60, è anche più vulnerabile, dato il suo odioso e pesante apparato, ma solo se il proverbiale ‘popolo’ alla fine dice alla sua follia: ‘Quando è troppo è troppo’.” Insomma, è arrivato il momento di dire basta.



"Sporco bianco", aggredito ragazzo di 25 anni
Alessandro Imperiali
25 giugno 2021

https://www.ilgiornale.it/news/cronache ... 57517.html

Notte da incubo per un giovane cameraman di Sky aggredito a Roma al grido di "sporco bianco". Erano le 2:30, tra martedì e mercoledì, quando a Trastevere, storico rione romano, M. M. è stato attaccato a piazza Trilussa. Si trovava lì con un paio di amici, la sua ragazza e la sorella. Era una serata tranquilla, i cinque avevano appena finito di festeggiare il suo compleanno. Al momento dei saluti però, quando ormai tutti si stavano recando alle macchine per raggiungeere casa propria, è avvenuta l'aggressione.

"Ho pensato di morire lì per terra, di fare la stessa fine di Willy Monteiro Duarte a Colleferro" - racconta il il venticinquenne su il Messaggero- "Avevo quattro su di me che mi sferravano calci e pugni con la ferocia delle bestie e altri sei che se la stavano prendendo allo stesso modo con il mio migliore amico. Senza motivo, solo per scaricare la loro rabbia e cieca violenza".

Ad accerchiarli sono stati da una ventina di ragazzi, tutti tra i 18 e i 20 anni. "Erano stranieri all'apparenza per via della loro carnagione scura, ma parlavano italiano benissimo, con inflessione romana, forse si tratta di figli di immigrati" spiega ancora il ragazzo. Il pretesto dell'aggressione sono stati dei pesanti insulti alle ragazze che erano con loro, "nient' altro che un pretesto per attaccare briga". "Quando io e un altro mio amico gli abbiamo detto di smetterla e loro hanno iniziato a insultarci tutti, abbiamo replicato ancora di lasciare perdere, che la nostra serata era finita, che ce ne stavamo andando via, che non ci interessava discutere", continua raccontando la notte da incubo. "Mi gridavano per farmi stare zitto sporco bianco, ti buco, ti sparo".

Accade in pochi secondi il peggio, calcio e pugni sia a lui che al suo migliore amico. Colpi "sferrati con maestria di chi sa battersi e menare le mani".

Al di là dell'aggressione, un altro dettaglio inquietante è che a quell'ora in piazze c'erano ancora molte persone eppure nessuno è intervenuto. "C'era gente che guardava, alcuni filmavano la scena con i telefonini, ma si sono fatti i fatti propri, si sono tutti ben guardati dall'intervenire e venirci in aiuto. Quando, poi, in lontananza si sono sentite le prime sirene della polizia, allora si sono dileguati tutti. Compresi i guerrieri che erano sbucati davanti a noi improvvisamente" commenta M. M. ancora sotto choc.

Medicati prima sul posto e poi all'ospedale di Ariccia, in due riporteranno un trauma cranico e addominale. "In un attimo" - ricorda la fidanzata, anche lei presente alla scena - "il mio ragazzo era a terra, circondato da 4 persone che lo hanno preso a calci in faccia e sul torace, lui era rannicchiato e chiuso a riccio mentre queste persone continuavano a prenderlo a calci senza pietà. Una di queste ha anche minacciato di sparargli. Ho avuto paura che ammazzassero il mio fidanzato così come è successo al povero Willy lo scorso settembre".

Sempre la ragazza, inoltre, ha lanciato un appello su Twitter per farsi inviare i video della rissa così da poter procedere alla denuncia ed evitare che ciò che è accaduto ieri avvenga anche in futuro. Un appello a cui hanno risposto in molti, sono tanti i video arrivati, non solo di quella sera.


L'America in rivolta perché a scuola i Dem dividono i bambini in base alla razza
Giulio Meotti
6 luglio 2021

https://meotti.substack.com/p/lamerica- ... e-a-scuola

L'America è in rivolta per la “teoria critica della razza” nelle scuole pubbliche. Una oscura ideologia accademica formulata negli anni Settanta, spiega il Wall Street Journal, è oggi al centro del dibattito politico. I legislatori della California e dei distretti scolastici di Washington e dell'Oregon l’hanno introdotta nel curriculum; i legislatori del Texas, dell'Idaho, dell'Oklahoma e, più recentemente, della Florida, hanno vietato agli insegnanti di promuovere in classe la teoria critica della razza.

Cosa sia lo spiega su Usa Today il ricercatore che segue questo filone da un anno, Christopher Rufo del Manhattan Institute. “La teoria della razza critica è una disciplina accademica che afferma che gli Stati Uniti sono stati fondati sul razzismo, sull'oppressione e sulla supremazia bianca e che queste forze sono ancora alla radice della nostra società. Riformula la vecchia dialettica marxista di oppressore e oppresso, sostituendo le categorie di classe di borghesia e proletariato con le categorie di bianco e nero. Ma la conclusione fondamentale è la stessa: per liberare l'uomo, la società deve essere trasformata attraverso la rivoluzione morale, economica e politica”.

Una forma di “marxismo basato sulla razza”, scrive Rufo, che fa molti esempi della sua penetrazione. A Cupertino, in California, una scuola ha costretto i ragazzi di terza elementare a decostruire le loro identità razziali e sessuali e classificarsi in base al loro "potere e privilegio". A Springfield, nel Missouri, una scuola media ha costretto gli insegnanti a collocarsi su una "matrice di oppressione". “Maschi, cristiani, etero di lingua inglese sono i più grandi oppressori”. A Filadelfia, una scuola ha costretto gli alunni di quinta elementare a celebrare il Black Communism e simulare un raduno del Black Power. A New York, un preside di una scuola pubblica ha inviato ai genitori materiale sostenendo la completa "abolizione dei bianchi". A Portland, in Oregon, gli studenti sono istruiti sulla giustizia razziale in termini di “rivoluzione e/o resistenza”. In pratica, scrive Rufo, la teoria critica della razza nelle scuole è una forma di razzismo approvato dallo stato.

La Stanford University ha obbligato i dipendenti a partecipare a “gruppi di affinità” basati sulla razza per riflettere sui propri pregiudizi. Due ebrei hanno denunciato la Commissione sulle pari opportunità per essere stati costretti a partecipare al gruppo dei bianchi, i quali hanno dovuto discutere il loro “privilegio razziale in quanto bianchi” e le “responsabilità dei bianchi”. Rufo ha anche diffuso i documenti relativi alle “sessioni di formazione” imposti dalla città di Seattle: dipendenti comunali e comuni cittadini vengono invitati a elaborare i loro white feelings, sentimenti di “tristezza, vergogna, paralisi, confusione, negazione”.

“Se insegniamo che in qualche modo la fondazione degli Stati Uniti d’America era in qualche modo imperfetta, era corrotta, era razzista, è davvero pericoloso”, ha detto l’ex segretario di Stato Mike Pompeo a “The Cats Roundtable”. “Colpisce le… fondamenta stesse del nostro Paese. Si chiama teoria critica della razza, ma alla fine stanno attaccando le intese centrali che abbiamo condiviso insieme per 245 anni e tentano di dividere il Paese”. “Non dovrebbe essere difficile capire che risolvere il vecchio razzismo con un nuovo razzismo produrrà solo più razzismo” scrive anche Bret Stephens sul New York Times.

Ma voci di rivolta contro questa ideologia arrivano anche dal mondo afroamericano. “I democratici lavorano notte e giorno per mantenere in buona salute l’ideologia della razza”. Lo scrive Barrington Martin II su Newsweek, che definisce la teoria critica della razza “un enorme business e fornisce un importante capitale politico ai democratici che desiderano far credere ai neri americani che il razzismo è onnipresente”. È in nome della teoria critica della razza che “stanno indottrinando questa generazione, invitando i nostri figli a guardarsi per il colore della pelle”.

E non se ne esce. Come dice il ricercatore James Lindsay, uno dei principali critici di questa teoria: “Noti la razza? È perché sei razzista. Non la noti? È perché sei privilegiato, quindi razzista”. Nel dubbio non resta che inginocchiarsi.



La Teoria Critica della Razza spiegata bene
America Uncovered - Epoch Times Italia
Di Chris Chappell
6 giugno 2021

https://www.epochtimes.it/news/teoria-c ... gata-bene/

Cosa è la Teoria Critica della Razza? E perché alcuni Stati americani la hanno vietata?

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Genitori, avete difficoltà a “spiegare” questo ai vostri figli? Sapete, a parlarne… Proprio così: spiegare come il razzismo sia un problema sistemico, insito in ogni aspetto della società e della storia americana.

Non è semplice per un genitore esporre queste cose. Ma non preoccupatevi, non siete soli: c’è chi vi aiuta. È la scuola pubblica. Insegnerà ai vostri figli tre cose: leggere, scrivere e… il razzismo. Esatto: ci penseranno gli insegnanti e i presidi delle scuole. Non dovete fare altro che sedervi, staccare il cervello e rilassarvi. La Teoria Critica della Razza, sta entrando nella scuola.

Davvero! Le scuole americane primarie e secondarie, in tutto il Paese, adottano sempre più programmi come: pedagogia antirazzista, insegnamento culturalmente reattivo, educazione all’equità e… “Se è bianco, non va bene”. Scherzavo… sull’ultima cosa. Ma le altre sono vere.

Questi programmi si basano, in qualche modo, su una certa Teoria critica della razza. E la diffusione di queste idee nel sistema educativo di queste scuole, desta allarme.

Un tale allarme, che recentemente l’Idaho ha proibito l’insegnamento di questa Teoria ai ragazzi. Anche il Tennessee… l’Oklahoma… e tanti altri Stati, discutono se vietare l’insegnamento di questi cosiddetti “concetti discriminatori” nelle scuole.

Sono: Georgia, Arkansas, Sud Dakota, Utah, Arizona, New Hampshire, Iowa, Louisiana, Missouri, Rhode Island, West Virginia e, naturalmente, il Texas. Praticamente ovunque ci sia un barbecue decente… Più Rhode Island e New Hampshire. Non sono pochi. Allora, ritengo sia giusto che USA Today faccia su questa improvvisa ondata di leggi sulla Teoria Critica della Razza, un “dibattito nazionale”.

Nel frattempo, il sito Atlantic la definisce “un’ossessione dei repubblicani”. E lo zio Jimmy “lavaggio del cervello del deep state comunista”. È vero che le leggi che vietano la Teoria della Razza Critica o “concetti discriminatori”, sono tutte proposte dai repubblicani. E alcuni affermano che l’attenzione repubblicana su questa Teoria sia una montatura. Che sia un finto “spauracchio”, un “fantasma” e un “mostro sotto il letto”. Insomma, come i repubblicani vedono Hillary Clinton.

Teoria? Permettetemi di definirla in poche parole. La Teoria Critica della Razza è un modo di interpretare tutto quello che accade nella società.

Ideologicamente, è un derivato del marxismo. Tutta la società viene vista come un perenne conflitto sociale. Cosa c’entra il marxismo con questo?… Vedete, il marxismo è molto più dell’idea che lo Stato debba controllare i mezzi di produzione e che tutti abbiano una parte uguale.

Questa è solo una piccola parte. Più piccola della razione di pane che la gente riceveva in Unione Sovietica. Il marxismo è una filosofia più vasta. Karl Marx ha scritto che tutta la storia umana deve essere vista come una lotta di classe tra gruppi di persone.

Nel marxismo, non esiste una situazione vincente per tutti: se una parte, vince, l’altra, deve perdere. Ogni forma di società è basata su “oppressori e oppressi”. Beh, almeno fino a quando la rivoluzione popolare non rovescia lo statu quo. Allora i posti si invertono… con i marxisti in alto. E quando arrivano al potere, non opprimono mai nessuno. Creano solo utopie.

Per esempio… La Teoria Critica della Razza prende l’idea della lotta di classe del marxismo, e la applica alla razza anziché alla classe. Secondo la Teoria Critica della Razza, non è la borghesia che opprime il proletariato, sono i bianchi che opprimono quelli di colore. E la lotta *razziale* diventa la forza motrice della storia umana. Dopo, naturalmente, la sopravvivenza, la riproduzione, e il tentativo di provare che tuo padre si sbagliava su di te. Vedrai, papà!… Vedrai!… No, scusate… questa è la Teoria Critica del padre.

Questa nuova Teoria ha portato cose come il Progetto 1619: una versione rivisitata della Storia. L’America non è stata fondata nel 1776 sulla Dichiarazione d’Indipendenza, che chiedeva la libertà. No: è stata fondata nel 1619, anno in cui furono deportati i primi schiavi. Perché la schiavitù e la lotta razziale, sono il fondamento dell’America, non la libertà!

Ci sono diverse definizioni di questa Teoria, e la maggior parte dice che il razzismo sistemico è profondamente radicato nella società americana.

Secondo questa visione, il rimedio più semplice per sistemare la società sarebbe la motosega. Allora.. chi beneficia maggiormente del razzismo… sono gli scoiattoli. Non c’è da stupirsi che sappiano camminare sui cavi elettrici.

Il privilegio dei bianchi è questo. In ogni caso, il marxismo sostiene che gli obiettivi non si raggiungono con le riforme, ma solo con la sovversione delle condizioni sociali esistenti”.

Basandosi su questa ideologia, la Teoria Critica della Razza, intende smantellare le istituzioni americane, che giudica razziste, come per esempio la polizia. L’idea di base della lotta per il potere razziale esiste da tempo, e in forme diverse. Comprese quelle “scomode” di cui parlare.

Ma questa teoria, fino agli anni ’70, non si chiamava così. A quel tempo, era solo un oscuro corso universitario, utile per aggiungere disperatamente crediti nel semestre.

Negli ultimi anni, ha cambiato volto. È stata ribattezzata “Antirazzismo” da “studiosi” come Ibram X. Kendi, autore di How to Be an Antiracist, e Robin DiAngelo, autore di White Fragility, entrambi bestseller.

Secondo l’antirazzismo, ogni esito iniquo per i non bianchi, è dovuto alla “cultura della supremazia bianca”. Quindi, la “cultura della supremazia bianca”, è il motivo per cui Joe Biden, che è bianco, ha ottenuto la nomina democratica, al posto di un candidato non bianco, come…. Elizabeth Warren!

L’antirazzismo ha avuto un’impennata di popolarità intorno al 2018, quando è comparso nelle sessioni di formazione del lavoro e nei piani di studio scolastici. E, nel 2020, ha preso più piede, dopo l’uccisione di George Floyd, che ha scatenato numerose proteste, per lo più pacifiche.

La rapida diffusione della Teoria Critica della Razza, ha spinto l’ex presidente Trump, nel settembre del 2020, a vietarla nelle sessioni di formazione federale. Biden, al secondo giorno di incarico, l’ha ripristinata. Voleva disfarsi di tutte le cose di Trump. Ma non può liberarsi dall’essere un vecchio uomo bianco, accusato di violenza sessuale, che occupa lo Studio Ovale. Questo è difficile da azzerare.

Però, aspettate, molti Stati non volevano che Biden annullasse la politica di Trump. Immaginate quanti Stati non sono d’accordo.

Ma il ministero dell’istruzione di Biden, sovvenziona le scuole che adottano le idee in linea con questa teoria, come il Progetto 1619 e il libro di Kendi “Come essere antirazzista”.

E questo ci riporta agli Stati che hanno vietato la Teoria della Razza Critica nel 2021. Diversi repubblicani degli Stati portano avanti quello che Trump ha iniziato, e cercano di fermare la diffusione delle idee marxiste. Anche se in questo, l’anno scorso, il Texas ha fallito, quando ci sono state lunghissime code per il cibo.

I repubblicani contrari all’introduzione nelle scuole di questa teoria, dicono che è propaganda anti-americana, che alimenta la divisione razziale. E che promuova la teoria che l’America sia intrinsecamente razzista e malvagia, mentre non è così.

I sostenitori affermano che, insegnarla, renda gli studenti consapevoli del razzismo sistemico, e che sia necessario combatterlo, per contrastarne gli effetti.
Sostengono che gli attuali modelli educativi promuovano una visione impeccabile dell’America,che non sarebbe reale. Quindi: tutti vogliono fermare il razzismo. Ma i conservatori vedono l'”antirazzismo”, di fatto, razzista. E i progressisti vedono… tutto, come razzista. Mentre i razzisti *veri* vedono tutto… attraverso i cappucci bianchi.

Perlomeno credo indossino delle maschere. Quindi, cosa significa per le scuole insegnare questa Teoria? Perché tutto questo chiasso? Vediamo qualche esempio di come viene insegnata nelle scuole.

A New York, la scuola superiore privata Manhattan Grace Church divide gli studenti in “gruppi di affinità”, isolandoli secondo la razza, durante le lezioni e le riunioni obbligatorie.

Poiché questa Teoria è incentrata sul conflitto razziale, vede la separazione delle razze come l’unico modo per proteggere quelle “oppresse”, e per evitare che vengano penalizzate dagli “oppressori”. Sostiene che, a razze diverse, si debbano insegnare cose diverse, perché ognuna ha esperienze radicalmente diverse nella società.

Così, la scuola ha separato gli studenti, per razza, per dare loro un’educazione separata… ma uguale. Sì, sembra che abbiano cercato talmente tanto di non essere razzisti, che sono ridiventati razzisti.

E in quella scuola, ogni dissenso con la teoria veniva attentamente controllato e represso. Nelle e-mail, alcuni docenti sostenevano che si dovesse “‘segnalare ufficialmente gli studenti’ che ‘resistono’ alla ‘cultura che stiamo cercando di stabilire'”, tra cui “‘insistere con l’ideologia daltonica’, ‘suggerire di trattare tutti con rispetto’, ‘un credo nella meritocrazia’ e ‘solo silenzio'”.

In altre parole, se Martin Luther King fosse in quella classe – e dicesse che le persone non dovrebbero essere giudicate dal colore della pelle, ma dal carattere – verrebbe severamente controllato e messo a tacere.

Alcuni studenti della scuola di Manhattan hanno detto all’insegnante di matematica, Paul Rossi, che non osavano contestare il piano di studi antirazzista. Così Rossi ha fatto una riunione su Zoom per soli studenti e docenti bianchi.

E ha fatto qualcosa di veramente spregevole. Ha fatto domande, sperando di intavolare una discussione. In seguito, la scuola lo ha incolpato ufficialmente di razzismo. Rossi ha poi pubblicato una lettera contro l’educazione antirazzista. Ma è stato licenziato.

Quindi, ricapitolando: un insegnante di matematica pensava che introdurre la Teoria della Razza, avrebbe ‘diviso’ la scuola. Quando ne ha parlato, è stato ‘licenziato’. Almeno avrebbe potuto continuare a insegnare matematica.

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Stati che hanno vietato o che limitano la teoria critica della razza, per la quale tutti i bianchi sono intrinsecamente razzisti:
L'Osservatore Repubblicano
17 giugno 2021

https://www.facebook.com/ORepubblicano/ ... 1020834567

Arizona
Arkansas
Florida
Idaho
Iowa
Louisiana
Mississippi
Missouri
New Hampshire
Nord Dakota
Oklahoma
Rhode Island
Carolina del Sud
Sud Dakota
Tennessee
Texas
Utah
Virginia dell'ovest
Wisconsin



Il Texas diventa l'ultimo stato a vietare la teoria critica della razza
L'Osservatore Repubblicano
17 giugno 2021

https://www.facebook.com/ORepubblicano/ ... 5774167425

Il governatore repubblicano del Texas Greg Abbott ha firmato martedì 15 giugno una legge per vietare l'insegnamento della teoria critica della razza.
La legislazione dettaglia come e cosa gli educatori possono insegnare in relazione alla storia degli Stati Uniti. Il testo della legislazione non menziona effettivamente la "teoria critica della razza" per nome, anche se vieta agli insegnanti di "richiedere o rendere parte di un corso" il Progetto 1619.
Il Progetto 1619, che un gruppo di giornalisti del New York Times ha creato, valuta la fondazione degli Stati Uniti attraverso la prospettiva della schiavitù, nonostante ci siano stati dubbi sull'accuratezza dei fatti di questo progetto.
Il testo della legge include un linguaggio che vieta l'insegnamento dei fondamenti del Progetto 1619, affermando: "La schiavitù e il razzismo non sono altro che deviazioni, tradimenti o fallimenti nell'essere all'altezza degli autentici principi fondanti degli Stati Uniti".
Diversi stati a guida repubblicana hanno approvato leggi che impediscono l'insegnamento della teoria critica della razza, che sostiene che "il razzismo è una parte normale e ordinaria della nostra società, non un'aberrazione", secondo un seminario sviluppato dal Center on Race, Law, and Justice della Fordham Law School.
La legge impone l'insegnamento di varie figure, tra cui George Washington, Thomas Jefferson, Frederick Douglass, il suffragio femminile e i movimenti per l'uguaglianza dei diritti, e il movimento per i diritti civili.
Gli stati che hanno vietato o limitato la teoria critica della razza o i concetti correlati includono Arkansas, Idaho, North Dakota, Oklahoma e South Dakota, mentre gli stati che hanno discusso e/o parzialmente approvato leggi simili includono Arizona, Florida, Iowa, Louisiana, Mississippi, Missouri, New Hampshire, Rhode Island, South Carolina, Tennessee, Utah, West Virginia e Wisconsin.
I critici dei divieti sostengono che i repubblicani stanno usando la teoria critica della razza come un termine generico per vietare l'insegnamento del razzismo negli Stati Uniti.
"I riferimenti specifici dei repubblicani al divieto della Teoria della Razza Critica e del Progetto 1619 rendono chiaro che vogliono che questa sia una questione di spinta per le gare politiche statali e locali", ha detto il capitolo del Texas dell'American Federation of Teachers in una dichiarazione di maggio. "Il disegno di legge fa parte di un movimento nazionale di conservatori che cercano di seminare una narrativa di studenti indottrinati dagli insegnanti. I nostri membri hanno giustamente espresso indignazione contro questo insulto alla loro professionalità per fornire conversazioni equilibrate con gli studenti su questioni controverse".
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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