Questo è il vero terrorismo, del suprematismo razzista nazi maomettanoNigeria. Oltre 600 cristiani massacrati in soli otto mesi nello Stato di PlateauLeoneGrotti
https://www.tempi.it/nigeria-oltre-600- ... di-plateau Da marzo a ottobre sono state distrutte 30 chiese, rase al suolo 4.436 case, mentre 38 mila cristiani vivono in 10 campi per sfollati. Vescovo anglicano di Jos: «Viviamo nel terrore. I musulmani ci uccidono»
Almeno 646 cristiani sono stati massacrati solo tra marzo e ottobre nel 2018, e solo nello Stato di Plateau, in Nigeria. È il dato più eclatante del rapporto che il reverendo Dacholom Datri, presidente della Chiesa di Cristo in Nigeria (Cocin), ha consegnato al presidente del paese Muhammadu Buhari, durante un incontro avvenuto il 6 novembre nella capitale Abuja.
«La narrativa che va per la maggiore è quella di uno scontro tra agricoltori e allevatori», ha spiegato Datri parlando delle cause dell’alto numero di vittime, come riportato da Morning Star News. «Ma questa è solo una scusa inventata per nascondere la verità e continuare a perpetrare il male». La verità, continua il pastore, è che i musulmani Fulani che stanno massacrando i cristiani non sono «assalitori sconosciuti» o semplici allevatori ma membri di milizie armati di tutto punto: fucili sofisticati, kalashnikov, lanciarazzi, che usano per «attaccare e uccidere i cristiani».
«Solo dopo gli attacchi», si legge nel rapporto, «gli allevatori Fulani fanno pascolare il loro bestiame sui campi. La modalità degli attacchi non lascia dubbi, come testimoniato dalle vittime: l’esercito è complice e molti soldati vengono assoldati come mercenari dalle milizie Fulani. Il governo deve intervenire in questo ambito e proteggere le vite e le proprietà dei nigeriani».
30 CHIESE DISTRUTTE
Il 65 per cento della popolazione dello Stato di Plateau appartiene alla Cocin. Oltre ai 646 cristiani uccisi in otto mesi, nelle aree di Barkin Ladi, Riyom, Bassa e Bokkos sono state distrutte 30 chiese, rase al suolo 4.436 case, mentre 38 mila cristiani sono stati costretti ad andare a vivere in 10 campi per sfollati. Per tutti questi crimini, neanche una persona è stata denunciata o processata.
Il presidente Buhari, che è un musulmano Fulani, ha insistito che è necessario puntare sull’educazione per convincere «le nuove generazioni a convivere». Mentre leader cristiani e musulmani devono «lavorare duramente insieme per portare la pace. Non tutti i musulmani sono contro i cristiani e viceversa. Anche la polizia deve fare il suo dovere».
Nei fatti, le forze di sicurezza nigeriane non difendono la popolazione. L’attacco più sanguinoso risale a giugno quando «più di 300 persone sono state massacrate a sangue freddo per tre giorni in Barkin Ladi e Riyom. Da allora, abbiamo avuto attacchi e vittime quasi ogni giorno», si legge ancora nel rapporto.
«VIVIAMO NEL TERRORE»
Secondo il National Christian Elders Forum, «il cristianesimo in Nigeria è vicino all’estinzione. Realisticamente parlando, possiamo dire che i cristiani rischiano di sparire nei prossimi 25 anni, da qui al 2048. Potremmo essere noi l’ultima generazione di cristiani del paese se non cambieranno le cose. Centinaia di persone vengono uccise ogni giorno, mentre la sharia cresce sempre di più». Molti vescovi cattolici hanno parlato negli ultimi mesi di un tentativo di «islamizzare la Middle Belt nigeriana».
A ottobre 17 cristiani sono stati uccisi da musulmani Fulani a Jos. Dopo aver sparato sulla casa con i kalashnikov, hanno trascinato fuori donne e bambini, assassinandoli. «Viviamo nel terrore», testimonia ad Aed monsignor Ben Kwashi, arcivescovo anglicano di Jos. «Non è giusto parlare di conflitto tra cristiani e musulmani. Sono loro che ci attaccano e ci uccidono».
Egitto, nuovo attacco contro i cristiani: uccisi sette coptiRenato Zuccheri - Ven, 02/11/2018
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/egi ... 96202.htmlIn Egitto continua a scorrere il sangue dei cristiani. Dopo un anno dai sanguinosi attentati sul Delta del Nilo e a Minya, un nuovo attacco contro un pullman di pellegrini diretti al monastero di San Samuele
Un nuovo attentato terroristico insanguina l'Egitto. E ancora una volta, sono i cristiani copti a essere presi di mira.
Il bilancio provvisorio è di sette morti e 14 feriti. I terroristi hanno colpito un pullman che trasportavo dei fedeli copti diretti al monastero di San Samuele il Confessore, nel governatorato di Minya, 250 chilometri a sud del Cairo.
Un funzionario della sicurezza egiziana ha confermato ai media locali che l'assalto ha causato "morti e feriti". Ed è arrivata la prima rinvedicazione da parte dello Stato islamico .
Quello che è certo, è che l'Egitto viene di nuovo bagnato dal sangue dei copti. Un anno fa, a maggio, furono uccise più di 30 persone in un assalto simile, sempre contro un autobus di fedeli in pellegrinaggio. IAnche in quell'occasione, l'attentato fu rivendicato dal sedicente Stato islamico. L'area è stata colpita più volte dai terroristi islamici perché una delle zone dell'Egitto più densamente popolata da cristiani, tanto che nell'area di Minya circa il 50 per cento della popolazione è di fede cristiana e copta. Lungo il corso del Nilo, nell'Egitto centrale, ci sono inoltre diversi monasteri millenari proprio a ricordare le antiche vestigia del cristianesimo copto in terra egiziana.
Come ricorda La Stampa, sempre nel 2017, ma ad aprile, "gli islamisti hanno fatto strage di fedeli durante la Domenica delle palme in una chiesa di Tanta, nel Delta del Nilo, un’altra regione con una forte componente cristiana". In quell'occasione, il presidente Abdel Fatah al-Sisi assicurò di mettere in campo tutte le forze necessarie per sradicare il terrorismo e difendere i copti. Il presidente egiziano ha scritto sul suo account Twitter: "Auguro pronta guarigione ai feriti e confermo la nostra determinazione a proseguire i nostri sforzi per combattere il terrorismo. Questo incidente - aggiunge - non intaccherà la volontà del nostro Paese nel proseguire la battaglia per la sopravvivenza e la costruzione".
Ma il sangue continua a scorrere e non sembra destinato a interrompersi nel breve termine. E l'Egitto, un tempo terra di incontro fra islam e cristianesimo, si ritrova colpito dal terrorismo di matrice islamica.
Kenya, strage al campus: uccisi 142 studenti cristiani. Già diffuse nuove minacceRoberto Bongiorni
2015-04-03
https://www.ilsole24ore.com/art/comment ... d=ABgiswJD«Quando gli assalitori sono arrivati nel dormitorio hanno iniziato a chiedere se eravamo cristiani o musulmani. Ai primi sparavano sul posto», ha spiegato, ancora visibilmente scosso, Collins Wetangula, membro di un’associazione studentesca. «Mentre scappavamo abbiamo visto alcuni corpi decapitati. È stato orribile. Hanno ucciso molte persone», ha poi precisato la studentessa Winnie Njeri.
Il racconto dei giovani kenyoti scampati al massacro nel campus universitario di Garissa, località del Kenya orientale, a 150 chilometri dalla frontiera somala, restituisce solo in parte la carneficina portata a termine da un commando di Shabaab, gli estremisti somali affiliati ad al-Qaeda capaci di competere, quanto a efferatezza dei loro crimini , ai jihadisti dell’Isis.
Shabaab che minacciano nuovo attacchi:«Non ci sarà alcun luogo sicuro per voi, finché il Kenya manterrà le truppe in Somalia», ha detto un portavoce dei jihadisti, Sheikh Ali Mohamud Rage a radio Andalus, legata al gruppo.
Fino a ieri sera, quando il blitz delle forze speciali era ancora in corso, non era chiara la dinamica dei fatti. Restava solo una certezza: il bilancio del gravissimo attentato era ancora provvisorio. Anche perché, fino a tarda sera, mancavano all’appello quasi 300 studenti degli 880 che si trovavano nel campus. Le vittime accertate venerdì dal ministero degli Interni sono 148, di cui 142 studenti cristiani, tre poliziotti e tre militari. Ma altre fonti, come i missionari salesiani in Kenya, hanno stimato un bilancio più grave di quello ufficiale: «Si parla di circa 200 morti, oltre che di una settantina di feriti e di 300 allievi di cui non si hanno più notizie», hanno dichiarato i religiosi, dicendosi «sotto shock».
Sembra che all’alba alcuni miliziani armati siano penetrati nel campus da una vicina moschea. Prima hanno ucciso due guardie. Una volta entrati negli alloggi degli studenti, dopo una frettolosa selezione tra musulmani e cristiani, avrebbero liberato i primi sparando invece a raffica contro i secondi e cercando di stanare, anche con granate, chi si era nascosto. Secondo le autorità, quattro terroristi sono stati uccisi.
Il Kenya precipita così ancora nell’incubo dell’estremismo islamico. Quello degli Shabaab, una sigla che genera terrore tra la popolazione e che ha messo in ginocchio uno dei settori più importanti dell’economia kenyota: il turismo. Non sono certo noti come l’Isis, al -Qaeda o Boko Haram. Eppure, con i loro attentati, così frequenti e brutali, gli Shabaab hanno sempre occupato una posizione di primo piano all’interno del network jihadista mondiale. Probabilmente oscurata negli ultimi tempi dall’offensiva dell’Isis in Sira e Libia, dalle carneficine compiute dagli estremisti di Boko Haram nel Nord Est della Nigeria, o dalle guerre in Corso in Yemen, Iraq, Siria e Libia.
La loro creazione risale ormai a dieci anni fa. Era il gennaio del 2005, quando gli Shabaab (in arabo significa la “gioventù”) devastarono il cimitero italiano di Mogadiscio, simbolo cristiano, costruendovi sopra una rudimentale moschea in lamiera. Da quel momento cominciò a circolare il loro nome. E quando, nel 2007, l’Etiopia ritirò il suo esercito dalla Somalia, inviato nel 2006 per sconfiggere il regime delle ben più moderate Corti islamiche, gli estremisti somali sferrarono un’offensiva inarrestabile contro il Governo di transizione somalo, riconosciuto dalla Comunità internazionale e difeso solo dall’Amisom (il vulnerabile contingente dell’Unione africana).
In due anni arrivarono a controllare la Somalia centro meridionale, compresi quasi tutti i quartieri di Mogadiscio, un territorio esteso più dell’Italia in cui potevano disporre di aeroporti e porti. Nel loro regno del terrore cominciarono a instaurare una visione rigidissima della Sharia, anomala per un Paese come la Somalia, musulmano ma storicamente estraneo all’estremismo. Lapidazioni contro le adultere, amputazioni per i ladri, separazione dei sessi. E per i giovani niente tv, musica, sport.
Da allora, i dissidi tra le diverse anime del movimento, e soprattutto l’efficace offensiva del Kenya nel sud del Paese, nel 2012, hanno ridimensionato un’organizzazione che comunque ha sempre fatto degli jihadisti stranieri la spina dorsale della sua leadership.
In verità la loro rete organizzativa non è stata né smantellata del tutto, né ridotta a piccole cellule sparse di miliziani, come avevano ingenuamente annunciato alcuni nuovi politici al potere a Mogadiscio, euforici dopo che il leader degli al-Shabaab, Moktar Ali Zubeyr, noto come Ahmed Godane, venne ucciso lo scorso settembre in un raid americano. Oggi lo scenario è cambiato. A favore degli Shabaab. Il vicino Yemen, dilaniato da una guerra civile e sprofondato nel caos, ha agevolato la controffensiva degli estremisti somali.
Che non sono più un’organizzazione nazionalistica. Piuttosto un gruppo jihadista internazionale che preferisce - per ora - concentrare la sua azione sul Corno d’Africa e colpire chi minaccia direttamente i suoi interessi territoriali: vale a dire il Governo di Mogadiscio, l’Etiopia,il Kenya e l’Uganda. In un conflitto asimmetrico contro eserciti regolari, più potenti e addestrati, gli estremisti somali da tempo hanno cambiato stretegia, puntando sulla guerriglia. La lista dei loro attentati è così lunga che si possono riportare solo alcuni dei più recenti. In Kenya tutti ricordano quel tragico pomeriggio di sabato, 21 settembre 2013, quando un commando di Shabaab irruppe nel centro commerciale n Westgate di Nairobi, uccidendo 67 persone, tra cui 13 stranieri.
I somali ricordano altrettanto bene - anche perché risale a meno di due mesi fa - l’attacco contro il Central Hotel di Mogadiscio, l’albergo che ospita molti rappresentanti del governo e del parlamento somalo, dove un commando aveva ucciso oltre 20 persone tra cui alcuni deputati. In Kenya sono stati presi di mira soprattutto i cristiani. Come nella strage compiuta lo scorso novembre, quando i miliziani somali fermarono vicino al confine con la Somalia un autobus diretto a Nairobi che trasportava 60 persone, dando poi il via alla loro spietata e ormai collaudata selezione: le persone che ritenevano musulmane venivano risparmiate. I non musulmani falciati con raffiche sul posto.
Circa sei mesi prima, il 16 giugno 2014, il Kenya era stato scosso da un altro brutale attentato. In quell’occasione, i miliziani somali avevano aperto il fuoco contro la gente accorsa in massa per vedere una partita dei mondiali di calcio in due alberghi della città costiera di Mpekotoni. Quasi 50 persone, quasi tutti civili inermi, persero la vita.
Ridimensionare la minaccia degli Shabaab somali al solo Corno d’Africa,o poco più a sud, potrebbe essere,nel medio termine, un calcolo miope. Anche per l’Europa.
Natale insanguinato per i cristiani in PakistanCristina Uguccioni
2017/12/18
https://www.lastampa.it/2017/12/18/vati ... agina.html La festa della nascita di Gesù è segnata dal dolore. Il Natale per i cristiani in Pakistan ha il sapore della Croce. E solo uno sguardo di fede evita la disperazione e aiuta a riconoscere la mano della Provvidenza divina sulla propria storia. Un attacco kamikaze, rivendicato dallo Stato Islamico, ha colpito la chiesa cristiana metodista Bethel Memorial a Quetta, nella provincia del Beluchistan, causando 13 morti e 56 feriti. Quattro attentatori hanno fatto irruzione in chiesa, gremita di oltre 400 fedeli riuniti per la liturgia domenicale, muniti di giubbotti esplosivi ed armati fino ai denti. Uno si è fatto esplodere, un altro è stato colpito e ucciso dagli agenti di sicurezza, altri due sono riusciti a fuggire.
L'arcivescovo Joseph Arshad, appena nominato alla guida della comunità di Islamabad nota che «tali stragi sono in aumento in Pakistan. Preghiamo il nostro Signore Gesù Cristo perchè possa donarci forza, saggezza, tolleranza e pace. Possa Dio dare forza alle famiglie delle vittime la forza per sopportare la perdita dei loro cari». L'attacco arriva mentre i cattolici vivono l'Anno dell'Eucarestia che, dice Arshad, «aiuta ogni battezzato ad affrontare difficili sfide e a vivere la fede con spirito eucaristico, cioè del dono incondizionato di sè, fino al sacrificio della vita».
«È un attacco che colpisce al cuore la comunità cristiana che si appresta a celebrare il Natale. È un attacco che vuole distruggere la convivenza e il lavoro di tanti che, a tutti i livelli si impegnano ogni giorno a costruire una nazione migliore. La condanna è ferma e unanime, da pare di tutti coloro che, in ogni comunità religiosa, promuovono la pace, l'armonia sociale e la pacifica convivenza. Il terrorismo continua a colpire ma confidiamo nelle forze sane del paese: le istituzioni governative, la società civile, i leader religiosi di buona volontà», dice a Vatican Insider il domenicano James Channan, direttore del “Dominican Peace Center” a Lahore, impegnato a promuovere il dialogo interreligioso. «Ricorderemo le vittime nel nostro incontro interreligioso prenatalizio, il 21 dicembre al nostro Peace Center. Anche il governo usualmente organizza incontri per celebrare il Natale e porgere gli auguri ai leader cristiani. Quest’anno tutte le celebrazioni saranno macchiate da questa violenza gratuita e distruttiva: è urgente proteggere le minoranze per tutelare il pluralismo nel Paese », rileva Channan.
E pensare che solo pochi giorni fa il ministro cattolico per i Diritti umani e le minoranze, il Punjab, Khalil Tahir Sandhu, aveva sollecitato le istituzioni di polizia, in tutto il Paese, a «garantire la protezione di tutte le chiese durante la messa di Natale e di fine anno», per «tutelare i fedeli in modo che la comunità cristiana possa festeggiare felicemente questo evento centrale per la fede». Il ministro lo aveva fatto, perché restano tuttora scolpiti nella memoria dei fedeli pakistani (circa 4 milioni in una popolazione di quasi 200 milioni) i precedenti più dolorosi: l'attacco compiuto da due kamikaze in una chiesa anglicana di Peshawar a settembre nel 2013 (oltre cento i morti); e l'attentato suicida contestuale a due chiese di Lahore, una cattolica e una anglicana, a marzo del 2015. Senza dimenticare la “strage di Pasqua”, quando nel 2016 una bomba esplose in un parco frequentato dai cristiani che festeggiavano pacificamente la risurrezione di Cristo, dopo la messa domenicale.
«Il terrorismo si accanisce durante le festività religiose con l'idea di fare strage di innocenti. È terribile e disumano», nota a Vatican Insider Shafaat Rasol, noto predicatore musulmano sufi, animatore e guida del comprensorio islamico del Markiz Bilal, a Lahore, che include una moschea, una madrasa, un centro culturale. «È un atto esecrabile – rimarca – che viola la vita umana e profana il nome di Dio. Siamo profondamente vicini ai nostri fratelli cristiani oggi, in questo momento di dolore. Ci uniremo nella solidarietà e nella preghiera. Questi avvenimenti ci danno ancora più forza e volontà di lavorare per il dialogo interreligioso, per costruire nella società una mentalità e una cultura di pace, a partire dai giovani. Ci sentiamo tanto più chiamati a promuovere valori di profondo rispetto della fede altrui, della dignità di ogni uomo, dell’accoglienza dell'altro. Il cammino della pace e della convivenza è irto di ostacoli e ci sono forze che lo avversano; ma proprio per questo dobbiamo restare e resistere uniti, musulmani e cristiani, accanto a tutti gli uomini di buona volontà».
Il Natale è una festa molto sentita dai cristiani pakistani. In tutte le grandi città e laddove sono presenti insediamenti a maggioranza cristiana (le cosiddette “colonie”), le comunità dei fedeli decorano e illuminano le chiese, le case e le strade. Nelle chiese cristiane - cinque le confessioni principali presenti in Pakistan - si organizzano novene di preghiera, rappresentazioni della Natività, concerti dei tradizionali carols natalizi, incontri interconfessionali. Senza dimenticare i gesti caritativi che i cristiani promuovono in modo speciale, come l'assistenza a orfani e vedove di ogni religione.
Tra l'altro, per una curiosa coincidenza, in Pakistan il 25 dicembre è un giorno festivo: non tanto per la festività cristiana (quelle cristiane non sono feste civili) ma perchè è il giorno di nascita di Muhammed Ali Jinnah, il fondatore del Pakistan.
In queste occasioni però, si rafforzano anche i servizi di vigilanza, proprio per timore di attacchi terroristici. A partire dal 2001, il governo ha imposto alle chiese in Pakistan di munirsi, a proprie spese, di cinte murarie, telecamere di sorveglianza, ingressi controllati da posti di blocco, servizio di vigilanza e sicurezza interni. Nelle festività speciali, come Natale e Pasqua, la polizia dispone anche propri agenti per rafforzare la sicurezza. E le recenti notizie di una campagna di propaganda e reclutamento lanciata dallo Stato Islamico a Lahore, con volantini per le strade, non fanno che confermare l'allarme in special modo tra le minoranze religiose
Indonesia, bombe in tre chiese cristiane. Il Papa: basta odio e violenzaCristina Uguccioni
2018/05/13
https://www.lastampa.it/2018/05/13/vati ... agina.htmlI fedeli stavano entrando lentamente e prendendo posto per la messa della domenica quando, intorno alle 7.30 di questa mattina (1.30 ora italiana), nella chiesa di St. Mary Immaculate a Surabaya, la seconda città più grande dell’Indonesia, è esplosa una bomba. Tre i morti, tra cui un poliziotto. Neanche dieci minuti dopo ed un boato si è sentito a pochi chilometri nell’edificio della Chiesa cristiana d'Indonesia (Gki) di Diponegoro. Due le vittime. In una manciata di secondi un altro ordigno è scoppiato nella chiesa pentecostale di Jalan Arjuna. Un morto.
Tre attentati in tre chiese diverse, quasi in contemporanea. Una decina le vittime, tra quelli che sono deceduti sul colpo e i morti in ospedale. Oltre 40 i feriti. L’Indonesia si sveglia così nel terrore in questa domenica mattina bagnata di sangue che registra forse uno dei più gravi attacchi mai avvenuti in questo paese del Sud-est asiatico abitato da 255 milioni di persone, la maggior parte dei quali musulmani.
Al cordoglio generale si è aggiunto quello di Papa Francesco che, al termine del Regina Coeli di oggi in piazza San Pietro, si è detto «particolarmente vicino al caro popolo dell’Indonesia, in modo speciale alle comunità cristiane della città di Surabaya duramente colpite dal grave attacco contro luoghi di culto. Elevo la mia preghiera per le vittime e i loro congiunti». «Insieme invochiamo il Dio della pace affinché faccia cessare queste violente azioni, e nel cuore di tutti trovino spazio non sentimenti di odio e violenza, ma di riconciliazione e di fraternità», ha concluso Bergoglio chiedendo ai fedeli presenti di restare per qualche minuto in silenzio.
I media locali parlano in tutti e tre i casi di attentati kamikaze; gli autori sono una famiglia di sei persone appartenente ad una cellula terroristica islamica: madre e padre, due bambine di 9 e 12 anni e due ragazzini di 16 e 18 anni, come ha riferito il capo della polizia nazionale, Tito Karnavian. La donna e le due figlie indossavano il niqab e avevano cinture esplosive legate in vita quando sono entrate nella chiesa Diponegoro per farsi esplodere. Il padre era alla guida di un’auto imbottita di esplosivo, con cui è entrato nella chiesa pentecostale centrale di Suranaya; mentre i figli erano a bordo di due moto, portando con sé esplosivi che hanno fatto detonare nella chiesa di santa Maria. «Tutti sono stati attentati suicidi, ma le bombe che hanno fatto scoppiare erano diverse», ha dichiarato Karnavian.
«Dieci persone sono morte e 40 sono in ospedale. È in corso l’identificazione delle vittime», ha detto invece il portavoce della polizia di East Java, Frans Barung Mangera, ai giornalisti, aggiungendo che due poliziotti sono stati feriti. Dai tre morti annunciati inizialmente il bilancio delle vittime ufficiali ha continuato a salire nelle ore successive e potrebbe crescere ancora considerando tutti quelli i feriti in modo grave in queste ore ricoverati in ospedale.
La popolazione, sia l’esigua porzione cristiana (il 10% della popolazione) che la maggioranza islamica che si prepara a vivere da domani il Ramadan, è sconvolta. Le immagini circolate nelle tv e sul web sono terrificanti: gente a terra, chiazze di sangue, veicoli inghiottiti dalle fiamme. Il presidente indonesiano, Joko Widodo, ha condannato senza mezzi termini la strage affermando: «Dobbiamo unirci contro il terrorismo. Lo Stato non tollererà questi atti di codardia».
Lo stato di allerta, intanto, è ai massimi livelli. La paura è che altre chiese possano essere attaccate oggi o nei prossimi giorni. Già il maxi attentato di oggi comprendeva un quarto obiettivo: la cattedrale del Sacro Cuore di Gesù; sembra che la polizia abbia arrestato uno degli attentatori prima che compiesse la strage, come riferito dal vicesindaco di Surabaya, Wisnu Sakti Buana.
Per le forze dell’ordine tutti gli attacchi erano coordinati e sono da collegare alla recente rivolta - soffocata nel sangue - avvenuta tra il 9 e il 10 maggio in un carcere di massima sicurezza vicino la capitale Jakarta: i detenuti avevano organizzato una sommossa durata 36 ore in cui alcuni prigionieri legati all’islamismo radicale hanno ucciso cinque agenti di un corpo antiterroristico e anche un detenuto. L’Isis ha rivendicato la rivolta in quell’occasione tramite il sito Amaq News.
Nessuno invece ha rivendicato i tre attacchi di questa mattina. È facile tuttavia immaginare che si tratti dei gruppi terroristi islamisti che negli ultimi mesi hanno aumentato la frequenza delle violenze contro le minoranze. Quelle cattoliche (7 milioni, il 3% degli indonesiani), come pure quelle protestanti (17 milioni), buddiste, indù. In particolare i servizi segreti indonesiani inseguono la pista del Jamaah Ansharut Daulah (JAD), gruppo terroristico indonesiano che si ispira allo Stato Islamico e che riunisce una dozzina di sottogruppi di militanti estremisti.
Un simile terrore in Indonesia si era vissuto alla vigilia di Natale del 2000, quando attacchi dinamitardi contro undici chiese sparse per il paese avevano ucciso 13 persone e ferite altre 100. Anche il 22 luglio 2001, nella parrocchia di St. Anna a Duren Sawit (East Jakarta) una bomba aveva causato cinque morti e una decina di feriti.
Dalla Indonesian Communion of Churches (PGI), organismo che riunisce i leader cristiani del paese, giunge intanto un messaggio a firma del segretario generale, Gomar Gultom: «Non dobbiamo avere paura quando affrontiamo minacce terroristiche. Dobbiamo lasciare che sia il governo a gestirle totalmente», si legge. Gultom invita inoltre a fare attenzione all’emergere di sostenitori del terrorismo che riscuotono consensi come predicatori: «Il programma di deradicalizzazione avviato dall’Agenzia nazionale contro il terrorismo sarà invano - ha avvertito - se la comunità darà invece il palcoscenico ai leader religiosi che diffondono il radicalismo e la violenza attraverso i loro sermoni».
Anche la più numerosa organizzazione musulmana, il Nahdlatul Ulama (NU), ha stigmatizzato gli attacchi, chiedendo al governo «un’azione decisa» per garantire la sicurezza della popolazione: «Ogni ostilità che manipola la religione non è sostenuta dall’islam».
Quei 16 mila cristiani uccisi di cui l'occidente non vuole sentir parlaredi Giulio Meotti
2018/03/21
https://www.ilfoglio.it/esteri/2018/03/ ... isi-185269 Roma. 3.850 cristiani della Nigeria sono stati assassinati dai jihadisti di Boko Haram e dai pastori islamici Fulani negli ultimi tre anni. Solo nei mesi di dicembre 2017 e gennaio 2018 sono stati registrati oltre 350 cristiani uccisi nel paese più ricco di petrolio di tutta l’Africa. In due giorni, cinquanta cristiani sono stati uccisi dalle orde islamiste negli stati di Kogi e Plateau. Due giorni prima c’era stato un funerale di massa per i cristiani assassinati in una sola giornata di attacchi. Il vescovo Joseph Bagobiri, della diocesi di Kafanchan, morto poche settimane fa, aveva fornito la contabilità degli attacchi islamici solo nella sua area: “53 villaggi bruciati, 808 persone uccise, 1.422 case e 16 chiese distrutte”. Si chiama pulizia etnica. A fine febbraio, almeno dodici cristiani erano stati uccisi nel nord della Nigeria come rappresaglia per i tentativi dei fedeli di salvare alcune ragazze dalle conversioni islamiche forzate.
Diviso fra un nord musulmano e un sud cristiano che controlla la maggior parte delle risorse petrolifere, il gigante africano deve affrontare da dieci anni attentati e rapimenti drammatici perpetrati dal movimento islamico Boko Haram. Su un conflitto che ha origini economiche e tribali si è innestato il tumore del fondamentalismo islamico di cui fanno le spese i cristiani. Lo scrittore algerino Boualem Sansal nel suo recente libro “In nome di Allah” (Neri Pozza) parla di una “ guerra totale” che “abbiamo visto all’opera in Somalia, in Afghanistan, in Algeria, nel Mali settentrionale e nelle province musulmane della Nigeria dominate dal gruppo jihadista Boko Haram”. E lo scrittore nigeriano premio Nobel per la Letteratura, Wole Soyinka, paragona la situazione del suo paese a quella “degli algerini che combatterono con i fondamentalisti assassini per dieci anni”. Impiegano armi da fuoco, bombe a mano, kamikaze, machete, gridando “Allah Akbar” (Dio è grande) quando attaccano di sorpresa un gruppo di contadini e fedeli cristiani.
L’opinione pubblica occidentale, sempre poco recettiva sulla persecuzione dei cristiani, di questi nigeriani non vuole sentir parlare. Ma come ha detto il vescovo cattolico di Nomadi, Hyacinth Egbebo, “se la Nigeria cade in mani islamiste, tutta l’Africa sarà a rischio”. E poi toccherà all’Europa. Secondo Philip Jenkins, uno dei massimi esperti di cristianesimo, è in Nigeria che verrà deciso l’equilibrio tra l’islam e il cristianesimo in Africa. Il “destino religioso della Nigeria potrebbe essere un fattore politico di immensa importanza nel nuovo secolo”, ha scritto Jenkins.
Questo è il motivo per cui gli islamisti massacrano i cristiani. Si vuole spostare la linea di faglia religiosa e demografica. Lo scorso febbraio, mentre il presidente degli Stati Uniti Donald Trump era a colloquio con il suo omologo nigeriano, Muhammadu Buhari, emergeva un rapporto che parla di 16 mila cristiani assassinati in Nigeria dal giugno 2015.
Un rapporto della Società internazionale per le libertà civili e lo stato di diritto ha rivelato: “Si stima che 16 mila morti siano specificamente composti da 2.050 vittime di violenza diretta da parte dello stato, 7.950 vittime della custodia della polizia o uccisioni di prigionia, 2.050 vittime dell’insurrezione di Boko Haram e 3.750 vittime delle uccisioni di mandriani Fulani”.
I musulmani estremisti non solo macellano i cristiani; distruggono anche i loro luoghi di culto. Cinquecento chiese sono state rase al suolo nello stato nigeriano di Benue, uno dei più martoriati nella guerra fratricida lanciata dai fondamentalisti islamici. E almeno duemila chiese cristiane sono state rase al suolo da Boko Haram nella sua campagna per cacciare tutti i cristiani dalla Nigeria settentrionale.
Strage del Bataclan a Parigihttps://it.wikipedia.org/wiki/Attentati ... embre_2015 Gli attentati di Parigi del 13 novembre 2015 sono stati una serie di attacchi terroristici di matrice islamica sferrati da un commando armato collegato all'autoproclamato Stato Islamico, comunemente noto come ISIS, che li ha successivamente rivendicati; gli attacchi armati si sono concentrati nel I, X e XI arrondissement di Parigi e allo Stade de France, a Saint-Denis, nella regione dell'Île-de-France.
Gli attentati sono stati compiuti da almeno dieci persone fra uomini e donne, responsabili di tre esplosioni nei pressi dello stadio e di sei sparatorie in diversi luoghi pubblici della capitale francese, tra cui la più sanguinosa è avvenuta presso il teatro Bataclan, dove sono rimaste uccise 90 persone. Si è trattato della più cruenta aggressione in territorio francese dalla seconda guerra mondiale e del secondo più grave atto terroristico nei confini dell'Unione europea dopo gli attentati dell'11 marzo 2004 a Madrid.
Mentre gli attacchi erano ancora in corso, in un discorso televisivo il presidente francese François Hollande ha dichiarato lo stato di emergenza in tutta la Francia e annunciato la chiusura temporanea delle frontiere.[4
E centinaia di altre stragiFATTI
Niram Ferretti
15 marzo 2019
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063"L'unico estremismo che merita attenzione in Italia è quello islamico. Le frange di estrema destra ed estrema sinistra sono fatte di fanatici e li condanniamo moralmente. Ma se c'è un estremismo per cui firmo la metà degli atti come ministro dell'Interno è quello di matrice islamica".
Così ha detto Matteo Salvini intervenendo alla prefettura di Napoli. E diciamo che difficilmente gli si può dare torto. Le maggiori stragi e i maggiori massacri perpetrati in Occidente negli ultimi decenni sono tutti di matrice islamica, per non parlare di quelli che avvengono in Medioriente.
Madrid, Barcellona, Londra, Bruxelles, Parigi, Berlino, Nizza, Manchester, e ovviamente New York l'11 settembre del 2001, San Bernardino e Orlando, Florida dove il 12 giugno del 2016 Omar Mateen uccise 49 persone nel più grande massacro compiuto da un solo uomo nella storia degli Stati Uniti.
La strage avvenuta in Nuova Zelanda che segue quella compiuta da Alexandre Bissonette a Quebec City il 29 gennaio del 2017 è la seconda nella storia occidentale che ha come obbiettivo esclusivo cittadini di fede islamica.
Va tenuto presente in modo estremamente chiaro per non confondere le acque e tenere ben presente i fatti.
Condanna senza appello nei confronti di chi ha commesso i massacri di Quebec City e di Christchurch, ma se dobbiamo fare i confronti, e vanno fatti, tra gli estremismi, non è nemmeno una partita.