Nativi italici poveri, disoccupati, emigranti e suicidi

Re: Nativi italici poveri, disoccupati, emigranti e suicidi

Messaggioda Berto » sab dic 08, 2018 11:12 am

Censis: "Italiani popolo incattivito e rancoroso, il 63% è ostile verso gli immigrati, l'11% in più della media Ue"
Elisabetta Ambrosi
7 dicembre 2018

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/1 ... 9a5aIpow1E

Il 52° Rapporto del Centro Studi parla di "sovranismo psichico" e delinea il ritratto di Paese in declino, in cerca di sicurezze che non trova, sempre più diviso tra un Sud che si spopola e un Centro-Nord che fa sempre più fatica a mantenere le promesse in materia di lavoro, stabilità, crescita, soprattutto futuro

Italiani sempre più cattivi. Frustrati dallo sfiorire della ripresa e da un cambiamento che non è arrivato, hanno deciso di compiere “un salto rischioso e dall’esito incerto”, un “funambolico camminare sul ciglio di un fossato che mai prima d’ora si era visto così da vicino”. Così vede l’Italia e i suoi cittadini l’Istituto Censis, che oggi a Roma ha presentato il 52esimo rapporto sulla situazione sociale del paese. Alludendo alla situazione politica, l’Istituto presieduto da Giuseppe De Rita ha parlato della decisione di “forzare gli schemi politico-istituzionali e spezzare la continuità nella gestione delle finanze pubbliche”. Una ricerca programmatica del “trauma”, dice il Censis, definibile come una sorta di “sovranismo psichico”, ancor prima che politico, che produce una relativa caccia paranoica al capro espiatorio.

Lo dicono i dati: il 69,7% degli italiani non vorrebbe vicini di casa rom e il 52% è convinto che si faccia più per gli immigrati che per gli italiani. Un “cattivismo” diffuso, lo definisce ancora il Censis, che porta gli italiani a temere non solo l’immigrazione da paesi extra Ue (63%) ma anche da paesi comunitari (45% contro il 29% medio). Non troppo paradossalmente, i più ostili verso gli immigrati sono gli italiani più fragili, anziani e disoccupati, mentre il dato scende al 23% tra gli imprenditori. In generale, per il 75% degli italiani l’immigrazione aumenta la criminalità e solo il 37% ritiene che abbiano un impatto positivo sull’economia.

Convinti di non poter migliorare e pessimisti

Le ragioni di questo salto risiedono, come spesso sottolineato dall’Istituto di ricerca nei precedenti rapporti, nella paura delle classi a basso reddito di restare nella condizione attuale, senza nessun possibile miglioramento: lo credono il 96% delle persone con basso titolo di studio e l’89% di quelle a basso reddito. L’Italia è ormai il Paese dell’Unione europea con la più bassa quota di cittadini che affermano di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore di quella dei genitori: il 23%, contro una media Ue del 30%, il 43% in Danimarca, il 41% in Svezia, il 33% in Germania. Il 63,6% degli italiani è convinto che nessuno ne difenda interessi e identità, e che tocchi a loro stessi pensarci (e la quota sale al 72% tra chi possiede un basso titolo di studio e al 71,3% tra chi può contare solo su redditi bassi). Rispetto al futuro, solo il 33,1% degli italiani è ottimista.

Su le esportazioni in Europa, giù l’europeismo

Mentre gli investimenti e consumi sono più bassi del 2010, sale invece l’export del 26,2% (+7,4% rispetto al 2016), con un saldo commerciale positivo di 47,5 miliardi, un dato che posiziona l’Italia al nono posto tra i paesi esportatori, con 217.431 aziende esportatrici, per lo più in Europa. Nonostante questo, e nonostante l’Italia sia il quinto paese per finanziamenti ricevuti dalla UE e il quarto per numero di progetti finanziati, solo il 43% degli italiani pensa che l’appartenenza alla Ue abbia giovato all’Italia, un dato molto basso rispetto alla media europea del 68%. Più europeisti sono i giovani, peccato che il loro numero sia diminuito ovunque in Europa, e soprattutto in Italia, il paese con la più bassa percentuale di giovani (20,8% tra i 15 e i 34 anni).

Italiani, astenuti convinti

Venendo alla politica, il Censis evidenzia come il primo partito italiano sia quello del non voto. 13,7 milioni sono infatti gli astenuti o i votanti scheda bianca alla Camera nelle ultime elezioni, una percentuale che ha toccato nel 2018 il 29,4% contro l’11,3% del 1968. La metà degli italiani, con poche differenze tra chi ha un reddito basso e chi più alto, ritiene che i politici siano tutti uguali. Gli italiani sono invece divisi rispetto all’uso dei social network in politica tra chi li ritiene dannosi e chi utili o preziosi.

Lavoro giovanile, un dramma senza fine

Un dato problematico riguarda senz’altro il lavoro: il Censis segnala come il salario medio annuo sia aumentato tra il 2000 e il 2017 solo dell’1,4%, 400 euro all’anno (+13,6% in Germania e 20,4% in Francia). Non solo: dal 2000 al 2017 sono scesi di oltre un milione e mezzo gli occupati giovani (27,3%), mentre sono aumentati gli occupati “anziani” (55-64). In dieci anni siamo passati da un rapporto di 236 giovani occupati ogni 100 anziani a 99, mentre nel segmento più istruito i 249 giovani laureati occupati ogni 100 lavoratori anziani del 2007 sono diventati appena 143. Sono raddoppiati i giovani sottoccupati e aumentati esponenzialmente quelli costretti a un part time forzato: ben 650.000 nel 2017 contro i 150.000 del 2011.

La disoccupazione giovanile è fortemente legate al tema della formazione. L’Italia investe in istruzione e formazione il 3,9% del Pil contro una media europea del 4,7%. I laureati sono il 26,9% contro una media Ue che ha toccato il 39.9%, mentre gli abbandoni scolastici riguardano il 14% contro una media Ue del 10,6%. 11.257 sono gli euro spesi per studente contro i 15.998 della media Ue. Scende pure la spesa pubblica destinata alla ricerca, dai 10 miliardi del 2008 agli 8,5 del 2017.

La corsa della disintermediazione digitale

Mentre i consumi delle famiglie sono ancora appesi al palo – meno 6,3% rispetto a quello del 2018 – e la forbice tra i gruppi sociali continua ad allargarsi – meno 1,8% della spesa per consumi delle famiglie operaie, +6,6% quella degli imprenditori – corre invece la spesa per i telefoni (+221,6%) e aumenta in maniera esponenziale l’utilizzo di dispositivi digitali e del web, a cui si connette oggi il 78,5% degli italiani, quasi sempre tramite smartphone e quasi sempre sui social network. Per il Censis non si tratta di un fenomeno necessariamente positivo.

Nell’era biomediatica – si legge – in cui uno vale un divo, siamo tutti divi. O nessuno, in realtà, lo è più”. La metà della popolazione (il 49,5%) è convinta che oggi chiunque possa diventare famoso (il dato sale al 53,3% tra i giovani di 18-34 anni). Un terzo (il 30,2%) ritiene che la popolarità sui social network sia un ingrediente “fondamentale” per poter essere una celebrità, come se si trattasse di talento o di competenze acquisite con lo studio (il dato sale al 41,6% tra i giovani).

Precari anche i sentimenti

Come sempre, anche in questo rapporto il Censis focalizza la sua attenzione sulle relazioni affettive. La tendenza è la stessa degli anni precedenti: ci si sposa sempre di meno e ci si lascia sempre di più. Crollano i matrimoni religiosi (-33,6% dal 2006 fino al 2016), aumentano le separazioni (+14% dal 2006 fino al 2016). Boom della “singletudine”: i single sono più di 5 milioni.

La politica non ignori il cambiamento sociale

Tracciare un bilancio generale è difficile. Di sicuro, si legge nelle Considerazioni generali al Rapporto, “la ripartenza poi non c’è stata: è sopraggiunto un disallineamento, un inciampo, un rabbuiarsi dell’orizzonte di ottimismo e di rinvigorimento dei comportamenti individuali e collettivi e della loro vitalità economica”. Il problema è che “ogni spazio lasciato vuoto dalla dialettica politica è riempito dal risentimento di chi non vede riconosciuto l’impegno, il lavoro, la fatica dell’aver compiuto il proprio compito di resistenza e di adattamento alla crisi”. Da un lato prevale l’individualismo: “Andiamo”, scrive il Censis, “da un’economia dei sistemi verso un ecosistema degli attori individuali, verso un appiattimento della società”. Dall’altro, non senza contraddizione, il popolo, attraversato da tensione, paura, rancore, guarda al sovrano autoritario e chiede stabilità, “ricostituendosi nell’idea di una nazione sovrana e supponendo, con un’interpretazione arbitraria ed emozionale, che le cause dell’ingiustizia e della diseguaglianza sono tutte contenute nella non-sovranità nazionale”. Ma la politica, conclude il Censis, vince proprio se resiste alla tentazione di appiattimento, e propone una prospettiva di futuro dando all’annuncio un seguito. Di sicuro l’errore più grande della politica italiana degli ultimi dieci anni è stato quello di ignorare il cambiamento sociale. Anche oggi, dunque, “c’è sempre più bisogno di una responsabilità politica che non abbia paura della complessità, che non si perda in vicoli di rancore o in ruscelli di paure, ma si misuri con la sfida complessa di governare un complesso ecosistema di attori e processi”.
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Messaggioda Berto » sab giu 22, 2019 6:41 am

Italia insostenibile: più di 17 milioni di poveri ed esclusi
Lidia Baratta
17 Aprile Apr 2019
È il dato più allarmante che viene fuori da Rapporto Istat Sdgs (Sustainable Development Goals) sugli indicatori di sviluppo sostenibile. L’Italia peggiora su povertà e disuguaglianze, lavoro, condizioni delle città e alimentazione



https://www.linkiesta.it/it/article/201 ... sgds/41851

Più di 17 milioni di italiani sono a rischio povertà ed esclusione sociale. Inclusi quelli che un lavoro ce l’hanno, visto che gli occupati che non hanno un reddito sufficiente sono il 12,2%. E oltre 5 milioni sono in povertà assoluta, con una forte incidenza (12%) tra i bambini. È il dato più allarmante che viene fuori da Rapporto Istat Sdgs (Sustainable Development Goals) sugli indicatori di sviluppo sostenibile, ovvero i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu finalizzati al l’eliminazione della povertà, alla protezione del pianeta e al raggiungimento di una prosperità diffusa. La situazione italiana vede progressi sull’istruzione di qualità, parità di genere, industria e innovazione, energia sostenibile e giustizia. Ma sul fronte delle condizioni sociali la situazione peggiora: restano alte povertà e disuguaglianze, non migliorano lavoro, condizioni delle città e alimentazione. Con differenze notevoli tra le regioni: la situazione peggiore si vede in Sicilia, Calabria e Campania.

La fotografia che emerge dal rapporto è quella di un Paese “insostenibile”, bocciato sul fronte delle disuguaglianze. Con le condizioni della popolazione a più basso reddito che continuano a peggiorare. Tra 2016 e 2017 la povertà o esclusione sociale risulta in calo, ma coinvolge ancora il 28,9% della popolazione, circa 17 milioni e 407mila persone. In questo insieme si trovano gli italiani con povertà di reddito, che riguarda il 20,3% della popolazione. Il 10%, poi, è in condizione di grave deprivazione materiale e l’11,8% vive in famiglie a bassa intensità lavorativa.

Se si considerano gli occupati che vivono in condizione di povertà reddituale, l’Italia è quintultima in Europa con 12,2% di lavoratori a rischio povertà. Una percentuale che negli ultimi 13 anni è aumentata sia al Nord (6,9%) che al Sud (22,8%), raddoppiando fino a raggiungere l’11,2% al Centro. E nonostante la diminuzione della disoccupazione, il tasso di mancata partecipazione al lavoro è quasi doppio rispetto alla media Ue. La quota di Neet resta la più elevata nell’Ue. In contemporanea, però, la quota di spesa pubblica per misure occupazionali e per la protezione sociale dei disoccupati nel 2017 è risultata in calo sia sia rispetto alla spesa pubblica sia rispetto al Pil.

Così 5 milioni e 58mila di italiani restano in povertà assoluta. Con condizioni critiche soprattutto tra i minori, tra i quali i poveri assoluti sono il 12,1%. Mentre, l’altra faccia della medaglia è che un bambino su tre (6-10 anni) è in sovrappeso. Tra i più giovani, poi, l’altro dato allarmante è quello che riguarda l’uscita precoce da scuola, aumentata negli ultimi due anni, fino ad arrivare nel 2018 al 14,5%, soprattutto al Sud.

Gli italiani con povertà di reddito sono il 20,3% della popolazione. Il 10% è in condizione di grave deprivazione materiale e l’11,8% vive in famiglie a bassa intensità lavorativa

Sul fronte della popolazione femminile, si riscontra una diminuzione della violenza sulle donne, ma un aumento della gravità dei casi violenti. Peggiora anche il tasso di occupazione delle donne con figli in età prescolare. Né si riescono a gestire le nuove disuguaglianze create dall’arrivo dei migranti. Anzi, nel 2017 per la prima volta, , dopo un decennio in costante crescita, si è registrato un grande calo (-26,4%) del numero di acquisizioni di cittadinanza.

Oltre al benessere economico, sociale e reddituale, gli indicatori Sdgs tengono conto anche dei fattori di benessere legati all’ambiente e ai servizi. E anche qui, tra qualche dato con il segno più, spiccano notizie tutt’altro che positive. Il livello di inquinamento atmosferico da particolato ha smesso di scendere, con valori superiori alla media Ue che si registrano soprattutto nelle città della Pianura Padana. Oltre un terzo (32,4%) delle famiglie dice di avere difficoltà di collegamento con i servizi pubblici nella zona in cui risiede. E in più si registra un aumento delle costruzioni abusive: ogni 100, 20 non sono in regola. A questo dato si affianca l’intensificazione delle calamità naturali, con eventi disastrosi come frane, alluvioni, incendi boschivi, ondate di calore e deficit idrici. Tutti fenomeni legati anche al cambiamento climatico. E in questo l’Italia ha sì ridotto le emissioni di gas serra di 7,2 tonnellate pro capite, meno della media Ue. Con il cemento che continua ad avanzare, occupando in media 14 ettari di suolo al giorno. Mentre i boschi aumentano, ma solo per l’abbandono dei paesaggi rurali dell’entroterra e non certo per politiche ambientali lungimiranti.
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Re: Nativi italici poveri, disoccupati, emigranti e suicidi

Messaggioda Berto » sab giu 22, 2019 6:41 am

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Re: Nativi italici poveri, disoccupati, emigranti e suicidi

Messaggioda Berto » sab giu 22, 2019 6:42 am

"Non abbiamo i soldi per l'affitto": anziano uccide la moglie e poi si suicida
21/06/2019

https://www.huffingtonpost.it/entry/anz ... 9418619e00

Ha ucciso la moglie, sparandole, poi ha rivolto la pistola contro se stesso. È un omicidio-suicidio quello dei due coniugi trovati morti sul letto dell’appartamento in cui vivevano, a Roma.
Un dramma consumatosi tra le pareti dell’appartamento, nato per motivi economici. Lo testimonia un bigliettino trovato dai poliziotti: c’era scritto che la coppia non aveva i soldi per pagare l’affitto.
A fare fuoco è stato il marito, 76 anni, che ha puntato la sua pistola calibro 357 regolarmente detenuta, al collo della moglie, 73 anni, uccidendola. Poi l’uomo si è puntato l’arma alla testa e ha premuto il grilletto. Gli agenti hanno ritrovato un biglietto in cui i coniugi hanno chiaramente lasciato scritto di avere grosse difficoltà a pagare l’affitto.
Le salme sono state messe a disposizione dell’autorità giudiziaria. Al vaglio della polizia anche i racconti di vicini di casa e conoscenti, compresa la sorella della donna, residente a milano, che oggi poco dopo le 12 aveva lanciato l’allarme non riuscendo a contattare telefonicamente i due coniugi.
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Re: Nativi italici poveri, disoccupati, emigranti e suicidi

Messaggioda Berto » sab giu 22, 2019 7:04 am

Cinque milioni in povertà assoluta La vera ripresa resta un miraggio
edoardo izzo
2019/06/19

https://www.lastampa.it/2019/06/19/ital ... agina.html

La povertà assoluta in Italia resta a livelli massimi, ma almeno ha smesso di crescere. Secondo gli ultimi dati dell’Istat, infatti, nel 2018 nel nostro Paese si contavano ancora 5 milioni di poveri «assoluti», pari a 1,8 milioni di famiglie. Il record spetta al Mezzogiorno dove si tocca il 10%, contro il 5,8% del Nord (6,1% Nord Ovest, 5,3% Nord Est) e il 5,3% del Centro. I minori in povertà assoluta sono 1 milione 260 mila ovvero il 12,6% (15,7 al Sud). Le famiglie in condizioni di povertà relativa sono invece poco più di 3 milioni (11,8%) per un totale che sfiora i 9 milioni di persone.

Uno straniero su tre

Tra i cittadini stranieri l’incidenza della povertà assoluta tocca il 30,3% e corrisponde a oltre un milione e mezzo di persone, contro il 6,4% degli italiani (3,5 milioni di persone). I picchi più alti si registrano soprattutto al Sud e nelle aree metropolitane con l’incidenza che sale mano a mano che cresce il numero dei componenti della famiglia. È pari all’8,9% tra quelle composte da quattro persone e raggiunge il 19,6% tra quelle con quattro e più. La povertà, inoltre, aumenta in presenza di figli conviventi, soprattutto se minori, passando dal 9,7% delle famiglie con un figlio minore al 19,7% di quelle con tre o più figli. Anche nei nuclei monogenitoriali la povertà è più diffusa rispetto alla media (11%), dato anche questo in aumento rispetto al 9,1% del 2017. In generale, la povertà familiare presenta un andamento decrescente sia all’aumentare dell’età della persona di riferimento sia rispetto al livello di istruzione e alla qualifica lavorativa.

Per l’ex ministro del Lavoro Enrico Giovannini, oggi portavoce dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, si tratta di dati ancora una volta allarmanti. «L’avevamo già visto l’anno scorso - spiega - nonostante la ripresa economica, che pure è molto contenuta, la povertà non scende. Negli ultimi tre anni, dal 2016 al 2018, il Pil è aumentato ma il reddito disponibile delle famiglie è cresciuto in maniera solo marginale, troppo poco per cambiare veramente la situazione». Secondo Guido Alfani, ordinario di Storia economica alla Bocconi,«la povertà in Italia è l’effetto congiunto di due fattori: da un lato il livello altissimo di disoccupazione e dall’altro i fortissimi divari strutturali che ci sono nel Paese, a livello regionale e poi tra Nord e Sud».

Giovannini non è sorpreso da questi nuovi dati perchè «era prevedibile che le politiche messe in campo anche nel 2018 attraverso il Reddito di inclusione non cambiassero i termini del problema. Hanno solo scalfito certi fenomeni. Non scordiamoci che il Rei, andato a regime solo a fine 2018 e con risorse relativamente contenute rispetto a quelle necessarie, eroga un contributo in cifra fissa in base al numero dei componenti. Per come è stato congegnato, insomma, si sapeva che non avrebbe eliminato un solo povero ma avrebbe solo ridotto l’intensità della povertà».

Diverso il discorso sul Reddito di cittadinanza, che riprendendo la struttura del Sostegno di inclusone attiva, il Sia, varato proprio da Giovannini nel 2014, punta a pareggiare il divario tra reddito famigliare e soglia di povertà. «Ma per produrre risultati e andare a regime – avverte l’ex ministro – serve tempo. E poi occorrerebbe finalmente attivare la banca dati complessiva dei trattamenti di assistenza, per capire a chi vanno realmente gli aiuti, compresi quelli di comuni e regioni, e valutare l’efficacia delle politiche. Non avere una banca dati del genere ci fa volare in modo cieco». Alfani è scettico sul fatto che l’Rdc possa risolvere i problemi italiani «perché è un po’ come curare i sintomi ma non la malattia. Sicuramente può alleviare la povertà ma non crea le condizioni per risolvere il problema in maniera duratura. Più utile un grande piano di investimenti al Sud».

I «quasi poveri»

Ma alla fine quanti sono davvero poveri? Fissando 4 distinte soglie corrispondenti all’80, 90, 110 e 120% del livello standard di povertà relativa l’Istat ci dice che le famiglie «sicuramente» povere (ovvero quelle che hanno livelli di spesa mensile il 20% sotto lo standard) sono stabili al 6,2% (12,6% al Sud), quelle «appena» povere sono il 5,5% (9,5 al Sud dal 12,2% del 2017), mentre è invece «quasi povero» il 7,5%. Le famiglie «sicuramente» non povere infine sono l’80,8% del totale (80,4% nel 2017): 88,1,%al Nord, 85,4% al Centro e 66,7% al Sud.
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