A Cuba proteste di massa in almeno 25 città "Abbasso la dittatura"
12 LUG 2021
https://www.imolaoggi.it/2021/07/12/cub ... -25-citta/
Scontri, centinaia di arresti e almeno un agente ferito: è il bilancio delle nuove violenze di ieri a Cuba, dove migliaia di dimostranti sono scesi in strada nella più grande protesta di massa mai vista sull’isola negli ultimi 30 anni: nel mirino c’e’ sempre il presidente della repubblica Miguel Díaz-Canel, la dittatura comunista ed una situazione economica che continua a peggiorare, stretta nella morsa delle sanzioni americane.
Il Miami Herald cita il sito web Inventario, che monitora la situazione nel Paese, secondo cui ieri le proteste hanno interessato almeno 25 città. Un video ripreso all’una di notte e pubblicato su Facebook, riporta sempre il giornale, mostra centinaia di dimostranti a Palma Soriano (est) che chiedono libertà al grido di “Abbasso la dittatura” e “Abbasso Díaz-Canel”. La gente in strada chiedeva inoltre medicine, vaccini anti Covid e “la fine della fame”. Nel filmato si vede poi un gruppo di persone che spinge un’auto della polizia gridando “la dittatura è appena arrivata” riferendosi alle forze dell’ordine.
Cuba, proteste di massa
Il Guardian pubblica oggi un’immagine con tre auto della polizia rovesciate e spiega che le proteste di massa sono iniziate in mattinata a San Antonio de los Baños (ovest), oltre che a Palma Soriano, e grazie ai social hanno rapidamente coinvolto L’Avana, dove in miglia hanno sfilato lungo le strade del centro gridando slogan come “patria e vita” e “libertà”.
Gli agenti – in divisa e in borghese, riporta il quotidiano britannico – hanno risposto con manganelli e spray al peperoncino, arrestando centinaia di dimostranti che sono stati caricati nei furgoni e portati via. Almeno un poliziotto è stato colpito alla testa da una pietra ed è stato trasportato in ospedale.
La Reuters scrive sul suo sito web, citando testimoni oculari, che nelle strade della capitale sono state viste Jeep delle forze speciali equipaggiate con mitragliatrici. (ANSA)
Cuba si ribella alla dittatura: è davvero l'inizio della fine del Castrismo?
Atlantico Quotidiano
Enzo Reale Da Barcellona
13 luglio 2021
https://www.atlanticoquotidiano.it/quot ... castrismo/
È cominciato tutto intorno all’una del pomeriggio di domenica nella località di San Antonio de los Baños, a una trentina di chilometri da L’Avana. Un folto gruppo di persone è sceso in strada gridando consegne anti-governative: “Libertà! Abbasso la dittatura! Non abbiamo più paura!”. Le immagini della protesta si sono diffuse rapidamente in rete, nonostante la censura e le interruzioni del servizio, in una chiamata spontanea alla ribellione civile contro il regime comunista che da 62 anni costringe una popolazione di 11 milioni di abitanti all’isolamento, alla miseria e alla repressione. Un evento inusuale, in ogni caso, laddove tradizionalmente dominano paura e rassegnazione.
Le manifestazioni si sono poi estese come i tasselli di un domino su tutto il territorio dell’isola: centri minori intorno alla capitale, Alquízar, Güira de Melena, San José de las Lajas, Bauta, ma anche capoluoghi di provincia quali Camagüey, Matanzas, Pinar del Río, Ciego de Ávila e Santiago de Cuba. E poi, a migliaia, sul Malecón de L’Avana, teatro dell’ultima grande manifestazione che si ricordi, nel lontano 1994. Allora furono le restrizioni del “periodo speciale”, seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, a provocare un’esplosione di malcontento popolare prontamente ricondotto dalle forze di sicurezza e dall’intervento di Fidel Castro in persona, che scese tra la folla ottenendone l’acquiescenza.
Originate dalla disperata situazione sanitaria in piena epidemia da Covid-19 e dall’acuirsi della crisi alimentare in un’economia già terribilmente provata da sei decenni di socialismo reale, le rivendicazioni odierne assumono però un chiaro significato politico e un preoccupante – per il regime – carattere anti-totalitario: “Cuba non è vostra”, urlavano nel pomeriggio di domenica centinaia di persone davanti alla sede del Partito Comunista Cubano (PCC). Difficile per chi comanda continuare a sostenere che gli oppositori sono soltanto mercenari pagati dalla CIA, gusanos dell’imperialismo.
Se nel 1994 fu una combinazione di carisma personale e di minacce a placare la rivolta, nel 2021 il líder máximo assume le sembianze sbiadite di un tipico funzionario di partito cooptato dalla dinastia Castro a incarnare il volto ufficiale della dittatura: il sessantunenne Miguel Díaz-Canel Bermudez, il cui arrivo a San Antonio de lo Baños, mentre le autorità spegnevano telefoni e Internet, è riuscito soltanto ad esacerbare gli animi. In una dichiarazione inaudita perfino per gli standard criminali del regime, Díaz-Canel ha prima rivendicato il monopolio della piazza per i “rivoluzionari” (termine che nella lingua di legno dello stalinismo caraibico indica i fedelissimi del partito unico), per poi avvertire di essere “disposto a tutto” per fermare i “mercenari e i contro-rivoluzionari” (altro must della retorica ufficiale), invitando infine “i rivoluzionari e i comunisti ad affrontare i manifestanti nelle strade”. Un richiamo esplicito alla violenza contro la popolazione civile, le cui conseguenze pratiche si misureranno nei prossimi giorni. Per il momento la polizia ha ripreso il controllo nella notte senza lampioni de L’Avana, piagata da settimane di black-out elettrici, mentre scattano le retate nelle case dei manifestanti. Testimoni oculari parlano di almeno una decina di morti negli scontri e di un numero imprecisato di detenuti e desaparecidos.
“L’onda si vedeva arrivare, – ha scritto su Twitter la blogger dissidente Yoani Sánchez – bisognava solo ascoltare attentamente per sentire il rumore di fondo che cresceva, e ieri ci siamo tolti la museruola”. Sì, perché quel grido di “libertà” è penetrato forte e chiaro nei palazzi di un potere abituato a disporre a piacimento delle risorse naturali e umane dell’isola. Díaz-Canel, nervosissimo nel suo primo intervento, ha parlato nuovamente ieri mattina alla televisione di Stato, capovolgendo a favore del regime il senso degli avvenimenti del giorno prima: “È stata una giornata storica per la Rivoluzione”, la precarietà della situazione “si deve al blocco economico dell’imperialismo yankee” (a chi se no?), in un classico esempio di doublespeak orwelliano, tipico dei sistemi politici totalitari con l’acqua alla gola, costretti a mistificare la realtà per garantirsi la sopravvivenza. Nemmeno un accenno di autocritica, nessuna correzione di rotta.
Ma fino a quando? È questa la domanda che circola insistentemente non solo tra i cubani ma anche negli Stati del continente americano di cui Cuba è sponsor politico, cliente economico o avversario esistenziale. Vista la centralità del regime de L’Avana nella diffusione dell’ideologia comunista in America Latina, non è difficile ipotizzare che le ripercussioni di un crollo del sistema castrista sarebbero rilevanti in tutta la regione. Venezuela, Nicaragua, Bolivia, il Perù recentemente caduto in mano al populismo izquierdista di Castillo, la stessa Argentina seppur in maniera più sfumata, il Messico di Obrador, ma anche i movimenti sovversivi che stanno minacciando la democrazia cilena e quella colombiana, perderebbero un referente essenziale nella sedicente “lotta anti-imperialista”, espressione sotto cui si nasconde la persistente campagna pseudo-rivoluzionaria contro la democrazia liberale e lo stato di diritto.
Negli ultimi vent’anni l’economia cubana si è sostenuta sulle forniture petrolifere provenienti da Caracas in cambio dell’addestramento degli apparati di sicurezza venezuelani e dell’appoggio politico al regime chavista. Il crollo del settore energetico sotto Maduro e le restrizioni imposte dall’amministrazione Trump all’invio di denaro degli emigrati cubani verso la madrepatria hanno contribuito al collasso definitivo di un sistema economico strutturalmente disfunzionale. Contemporaneamente l’epidemia ha colpito frontalmente l’isola proprio nel momento in cui si riapriva timidamente al turismo internazionale, mettendo in luce le carenze oggettive di un sistema sanitario che la propaganda ha sempre venduto come il fiore all’occhiello della nazione. I cubani oggi hanno due vaccini a disposizione ma non le siringhe per somministrarli. L’incompetenza di Díaz-Canel e dell’attuale dirigenza ha fatto il resto: la riforma monetaria, intesa a limitare la circolazione del dollaro, ha ottenuto l’effetto inverso di debilitare il peso cubano; il rifiuto di aiuti umanitari per far fronte all’emergenza sanitaria (“propaganda del nemico”) ha condannato il Paese al contagio massivo; il raccolto della canna da zucchero, una delle poche risorse economiche nazionali, è ai minimi storici per “carenze organizzative e direttive”, come ha denunciato recentemente lo stesso presidente dell’azienda statale Azcuba. La storia contemporanea insegna che, normalmente, dalla fame alla rivolta anti-regime il passo è breve.
In diverse località teatro della protesta la polizia si è rifiutata di intervenire per reprimere le manifestazioni. Al suo posto sono arrivate le unità d’élite dell’esercito cubano, conosciute anche come berretti neri (boinas negras), da sempre note per le azioni violente nei confronti della popolazione civile. Nei mesi scorsi ha preso corpo un movimento artistico di natura politica, Movimiento San Isidro, formato da artisti e intellettuali che hanno denunciato apertamente la persecuzione della dissidenza. Anche in questo caso la risposta del governo è stata punitiva, attraverso le famigerate “azioni di rifiuto” (cittadini al servizio della dittatura incaricati di disperdere le manifestazioni) e una serie di condanne a pene di carcere. Dal movimento è nata la canzone Patria y vida, in opposizione allo slogan rivoluzionario Patria o muerte, che la popolazione ha adottato come un inno anti-totalitario nonostante la campagna di discredito e di boicottaggio da parte degli organi statali.
La protesta per il momento non ha un leader e la società civile cubana, stremata da sessant’anni di persecuzione, non è oggi in grado di esprimere un’alternativa chiara all’attuale sistema di potere. La via dell’emigrazione è preclusa non solo dalla naturale ritrosia della dittatura a permettere gli espatri ma anche da una delle ultime misure dell’amministrazione Obama che, nell’ambito della sua malintesa azione di appeasement nei confronti del Partito Comunista Cubano, sospese la cosiddetta politica dei piedi asciutti, piedi bagnati (pies secos, pies mojados), in base alla quale tutti i cubani che entrassero, legalmente o no, in territorio americano potevano accedere al permesso di residenza e a un lavoro retribuito. Una valvola di sfogo oggi inesistente che, paradossalmente, scarica tutta la pressione sociale sullo stesso regime che l’aveva così insistentemente avversata nel corso degli anni. Biden non vuole ripetere gli errori di Obama, anche per un chiaro interesse elettorale nella Florida dell’esilio, fa appello ai “diritti fondamentali e universali” del popolo cubano in una dichiarazione tardiva e un po’ troppo istituzionale per sembrare del tutto sincera, ma per il momento si guarda bene dal ripristinare il flusso di denaro tra Usa e Cuba bloccato da Trump.
Díaz-Canel è da domenica un leader dimezzato, sia dalla protesta popolare che comunque è destinata a spegnersi e a riaccendersi a intermittenza, sia dalla possibilità che, per salvare il sistema comunista, le forze armate del Paese decidano di sostituirlo con una personalità che goda della loro fiducia in un momento estremamente delicato come l’attuale. Una soluzione alla polacca (1981) che eviti la caduta del Muro de L’Avana e, con essa, l’implosione di una delle ultime ridotte di socialismo reale del pianeta. Dopo decenni di sussurri tra le mura domestiche e di pubblica adesione alle direttive del potere, i cubani sono passati all’azione: “Non abbiamo più paura”. E il bubbone infetto del castrismo ha cominciato a sgonfiarsi.
"Il re è nudo", rivolta contro il comunismo a Cuba
Stefano Magni
13 luglio 2021
https://lanuovabq.it/it/il-re-e-nudo-ri ... 8.facebook
Cuba si ribella contro il regime comunista, per la prima volta in modo così massiccio da sessant’anni a questa parte. Non è una rivolta armata, ma una serie di manifestazioni pacifiche organizzate in tutte le città dell’isola caraibica. Il loro impatto è ancor più profondo per un regime a partito unico, al potere da 62 anni.
Cuba, manifestazioni e repressione poliziesca
Cuba si ribella contro il regime comunista, per la prima volta in modo così massiccio da sessant’anni a questa parte. Non è una rivolta armata, ma una serie di manifestazioni pacifiche organizzate in tutte le città dell’isola caraibica. Il loro impatto è ancor più profondo per un regime a partito unico, al potere ininterrottamente da 62 anni, ormai incapace di rinnovarsi.
Migliaia di persone hanno scelto di scendere in piazza, sfidando apertamente e a volto scoperto l’inevitabile repressione poliziesca. La protesta è incominciata a San Antonio de los Baños, domenica, nella regione occidentale di Cuba. Poi è dilagata come un incendio estivo in tutto il resto del Paese, coinvolgendo fino a 40 città contemporaneamente, compresa l’Avana, la capitale. I manifestanti scandivano slogan contro il regime, “Libertà” e “Patria e vita”. In alcuni casi sventolavano anche le bandiere degli Usa, in spregio a un Partito che addita gli “yankee” come i colpevoli di tutti i mali del Paese.
Lunedì si sono tenute manifestazioni di solidarietà, organizzate dalle comunità cubane sparse in varie città del mondo. A Miami, soprattutto, la folla di manifestanti era immensa. Più piccola, ma presente, anche la comunità cubana a Roma che ha tenuto, ieri, una spontanea manifestazione di fronte all'ambasciata cubana.
La repressione, a Cuba, non si è fatta attendere. Lunedì, il presidente Miguel Diaz Canel, succeduto a Raul Castro nel 2018 alla guida del Paese e nel 2020 anche del Partito Comunista, ha chiamato a raccolta i suoi sostenitori, con un discorso molto bellicoso in cui attribuisce tutte le colpe agli Usa e incita a “riconquistare le strade”. «L’ordine di combattere è stato dato, scendete in strada, rivoluzionari!». Diaz Canel riconosce alcuni motivi legittimi della protesta, come i blackout che si sono verificati nelle ultime settimane e hanno peggiorato ulteriormente una situazione economica già critica. «La crisi energetica sembra aver prodotto alcune reazioni – ha detto il presidente, dando però la colpa della mancanza di carburante alle sanzioni imposte dall’amministrazione Trump. Poi ha accusato la “mafia cubano-americana” di Miami per l’organizzazione della protesta.
«Il capitalismo non tonerà mai in quest’isola e prima che questi mercenari pagati dall’Impero tornino in piazza, dovranno ucciderci tutti», ha dichiarato all’agenzia Afp Candido Abrines, uno dei leader della contro-manifestazione, scendendo in piazza con i militanti comunisti. I volontari del Partito, armati di bastone, le cosiddette “brigate di reazione rapida”, assieme ad agenti in borghese, agenti del controspionaggio e polizia anti-sommossa, presidiano le strade dell’Avana e delle altre città in sommossa. La polizia ha anche iniziato ad arrestare i leader delle manifestazioni, un’ottantina solo il primo giorno, fra cui José Daniel Ferrer, l’artista visuale Luis Manuel Otero e il poeta Amaury Pacheco.
Ma cosa ha spinto i cubani a sfidare l'apparato repressivo, a volto scoperto e protestando in piazza senza paura? Per Juan Almeida, figlio di uno dei leader rivoluzionari di Cuba, ora dissidente e residente a Miami, la ribellione attuale non è paragonabile a quella del 1994, seguita alla prima grave crisi economica. Allora i cubani chiedevano di poter fuggire liberamente dalla fame, adesso invece, «Nessuno grida di voler lasciare Cuba. Stanno chiedendo a Diaz Canel di dimettersi».
Le proteste sono state organizzate in più città grazie all’uso dei social network. Le prime timide riforme di apertura a Internet, divenuta relativamente libera solo nell’ultimo decennio e la diffusione degli smart phone, iniziata solo nel 2018, sono fattori importanti per spiegare la novità di queste manifestazioni. Per questo, come prima mossa repressiva, il governo ha cercato di chiudere Internet. Il segnale va e viene ad intermittenza, da tutta la giornata di ieri. Come dimostra l’esperienza di tutte le insurrezioni contemporanee, dalla primavera araba in avanti, tuttavia, i governi non sono mai riusciti a porre Internet completamente sotto controllo, né a negarne l’accesso a tutti.
Sulle cause della protesta, a parte le accuse del regime alle sanzioni di Trump e agli Usa in generale, ci sarebbe vasta scelta. Sono molteplici le origini endogene. In primo luogo, una crisi economica che ha portato alla contrazione dell’11% del Pil in un Paese già povero. Il crollo della produttività è dovuto soprattutto all’anno e mezzo di pandemia, che ha ridotto quasi a zero il turismo e ridotto drasticamente le rimesse degli emigranti, due fonti di reddito su cui le famiglie cubane fanno gran conto. Negli ultimi anni, a prescindere dal Covid, è venuta meno anche parte della solidarietà del Venezuela. Anche il regime populista guidato da Maduro è in piena depressione economica e ha ridotto drasticamente le esportazioni di petrolio a prezzo politico.
L’ultima goccia che deve aver fatto traboccare il vaso è un’impennata di contagi di Covid, tenuta nascosta dalla stampa locale il più possibile. “Il re è nudo” deve aver pensato gran parte della popolazione, dopo aver subito un anno e mezzo di propaganda di regime su quanto Cuba fosse generosa ad aiutare le nazioni europee colpite dalla pandemia (prima di tutte l’Italia), con i suoi medici e volontari e ultimamente anche con il “vaccino cubano”, venduto come il più efficiente del mondo. Eppure, alla prima seria ondata di Covid-19, gli ospedali cubani, nel “servizio sanitario migliore del mondo”, hanno iniziato a collassare. Sotto l’hashtag #SOSCuba, cittadini cubani, sui social media, hanno chiesto aiuto all’estero. Vogliono che il governo permetta donazioni straniere (finora vietate) e un gruppo d’opposizione ha anche avanzato la proposta di un corridoio umanitario. Il governo ha respinto queste richieste al mittente, affermando seccato che “Cuba non è zona di guerra”.
Ma non ci si deve limitare alle cause di breve e brevissimo periodo. «Il Covid è solo la ciliegina sulla torta – come ha sottolineato il senatore americano Marco Rubio, di origine cubana – perché qui abbiam a che fare con un regime socialista che dice al suo popolo “voi non avete libertà. Non siete indipendenti. Non potete parlare liberamente, ma avete un ottimo sistema sanitario”. Ma non ce l’hanno».
Senza utili idioti occidentali il comunismo a Cuba sarebbe già crollato”
Giulio Meotti
13 luglio 2021
https://meotti.substack.com/p/senza-uti ... dentali-il
Fidel Castro con Giangiacomo Feltrinelli, Gabriel Garcia Marquez, José Saramago, Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir
Migliaia di cubani stanno marciando contro il regime comunista all'Avana e in altre città in manifestazioni senza precedenti nell'isola caraibica. Alcuni osservatori affermano addirittura che sono le più massicce proteste dal 1959, quando il regime castrista prese il potere.
Lo scrittore, saggista e dissidente cubano Jacobo Machover, che vive in esilio a Parigi, in una intervista a Le Point racconta: “La libertà è la fine del comunismo, la fine della dittatura, la libertà di espressione, la libertà artistica, la libertà di stampa e la libertà dei costumi. I leader cubani sono del tutto incapaci di nutrire o curare la loro popolazione, ma, per reprimerla, sanno come fare. Sono stati ben addestrati dai servizi degli ex paesi comunisti”. Machover si sofferma sulla crudeltà di Raúl Castro: “È sempre stato spaventoso, sin dalla rivoluzione del 1959, quando ha sparato a 72 persone in una notte. Era dietro tutti i movimenti repressivi, le esecuzioni e l'imprigionamento dei manifestanti”. Migliaia le esecuzioni, non sapremo mai quante.
Lo scrittore cubano Jacobo Machover
Ho contatto Jacobo Machover (di cui in Italia sono stati tradotti Cuba. Totalitarismo tropicale e Il romanzo di Che Guevara, dove ne ha fatto a pezzi il culto mostrandolo per quello che era, un grande assassino) per una intervista per la newsletter.
Parliamo subito del bilancio del comunismo a Cuba. “L'eredità comunista, personificata dai fratelli Fidel e Raúl Castro, è quella di una tirannia che ha lasciato il paese in un pantano totale per più di sei decenni: non c'è la minima libertà democratica, il paese è ridotto a un'immensa povertà, per non citare la miseria, e circa un quarto della sua popolazione è in esilio... E tutto questo nonostante la sua propaganda di successo, in cui credono solo gli ignoranti, sull'eccellenza dell'educazione, che è puro indottrinamento, e della sanità, attraverso missioni mediche, che mostrano i ritratti del Comandante in Capo quando arrivano in un luogo, per esempio in Lombardia o Martinica, come se il defunto Fidel Castro potesse compiere miracoli. Risultato: un caos economico, sociale e sanitario all'interno dell'isola. Qualcosa che i turisti, ciechi per definizione, non avrebbero mai voluto vedere”.
Chi sostiene il regime? Quanto è forte la resistenza? “Pochi attualmente sostengono il regime. Sarà difficile effettuare massicce (e obbligatorie) manifestazioni di sostegno, come in passato. Vi sono però, soprattutto nelle fasce più anziane della popolazione, abituate ai disagi e alla repressione permanente. I giovani, dal canto loro, non ce la fanno più: sono troppi anni, troppi disagi, troppi slogan. Non c'è futuro per loro. È la gioventù, in sostanza, quella che scende in piazza, al ritmo di alcuni rapper, dall'interno dell'isola e dall'esilio, che ha composto una canzone, ‘Patria y vida’, contro il micidiale slogan rivoluzionario di ‘Patria o morte’, e dopo le mostre artistiche di giovani creatori anticonformisti. L'opposizione, che non ha diritti, è tuttavia divisa e non ha potuto acquisire forza sufficiente per diventare un'alternativa politica”.
Machover, conclude, sul vero sostegno al regime. Quella che in una intervista a Libération ha definito “una operazione di cosmesi”.
“Sono stati gli intellettuali occidentali che hanno permesso al regime di Castro di mantenersi così a lungo al potere. Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Gabriel García Márquez, Giangiacomo Feltrinelli, Gianni Minà e molti altri, così come artisti contemporanei come Gérard Depardieu, Oliver Stone, Sean Penn e molti altri, sono stati favolosi propagandisti per Castro e Che Guevara, presentati come ‘umanisti’ quando in realtà erano volgari assassini” mi spiega Machover. “Un popolo ha difficoltà a liberarsi se l'opinione pubblica mondiale sostiene i suoi oppressori. I cubani, disperatamente soli, lo stanno facendo, però. Ma conserveranno nella memoria l'amaro sentimento di tradimento da parte delle autoproclamatesi ‘coscienze del mondo’”.
Per dirla con Carla Fracci, “Castro è un dittatore, lo so, ma io non dimentico che nei paesi socialisti il balletto gode di grande considerazione”. Il Gulag dei tropici ha davvero stile.
A Cuba oggi
https://www.facebook.com/mayde.pai/vide ... 0986842941
La fame dei cubani
https://www.facebook.com/watch/?ref=sav ... 9603868308
La polizia a Cuba
https://www.facebook.com/watch/?ref=sav ... 4098684151
Usa: negato ingresso a cubani e haitiani intercettati in mare
14 luglio 2021
https://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/u ... 102k.shtml
Il ministro degli Interni Alejandro Mayorkas ha fatto sapere che gli Stati Uniti non lasceranno entrare i cubani e gli haitiani che fuggiranno via mare dai loro Paesi. Mayorkas ha invitato cubani e haitiani a non avventurarsi in mare, soprattutto in questo periodo di uragani che rende il mare più pericoloso.
Alejandro Nicholas Mayorkas (L'Avana, 24 novembre 1959) è un politico e funzionario statunitense di origine cubana e genitori ebrei, vice segretario del Dipartimento per la sicurezza interna degli Stati Uniti dal 2013 al 2016.
Dal 2 febbraio 2021 ricopre la carica di Segretario della Sicurezza Interna nell'amministrazione Biden.
https://it.wikipedia.org/wiki/Alejandro_Mayorkas
Dragor Alphandar
A Cuba il comunismo muore come ovunque: nella miseria e nel sangue.
"Io amo l'odio" (Che Guevara)
" L’odio è per i poveri stronzi" (Marco Pannella)
— “L’odio come fattore di lotta. L’odio intransigente contro il nemico, che permette all’uomo di superare i suoi limiti naturali e lo trasforma in una efficace, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere. I nostri soldati devono essere così: un popolo senza odio non può distruggere un nemico brutale. Bisogna portare la guerra fin dove il nemico la porta: nelle sue case, nei suoi luoghi di divertimento. Renderla totale”. (Che Guevara)
— “Amo l’odio, bisogna creare l’odio e l’intolleranza tra gli uomini, perché questo rende gli uomini freddi e selettivi e li trasforma in perfette macchine per uccidere”. (Che Guevara)
— “La via pacifica è da scordare e la violenza è inevitabile. Per la realizzazione di regimi socialisti dovranno scorrere fiumi di sangue nel segno della liberazione, anche a costo di vittime atomiche”. (Che Guevara)