Il sano nazionalismo è un valore/diritto umano fondamentale

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Messaggioda Berto » mer mar 14, 2018 9:10 pm

La Croce Rossa olandese chiede perdono ai superstiti della Shoah
11 marzo 2018

http://www.italiaisraeletoday.it/shoah- ... superstiti

La presidentessa della Croce Rossa olandese Inge Brakman è giunta in Israele per chiedere il perdono di ebrei olandesi sopravvissuti alla Shoah per il comportamento della sua organizzazione durante la seconda Guerra mondiale nei confronti dei 140mila ebrei dei Paesi Bassi, il 75% dei quali furono sterminati dai nazisti. Così Haaretz, secondo cui la sua missione è stata decisa dopo la recente pubblicazione di una ricerca, condotta per 4 anni dalla storica Regina Gruter, secondo cui durante l’occupazione tedesca dell’Olanda i funzionari locali della Croce Rossa agirono come puri burocrati ed eseguirono meticolosamente le istruzioni delle autorità tedesche, senza ostacolarle.
«La Croce Rossa olandese non era filo-nazista – ha precisato Gruter a Haaretz – ma non abbiamo trovato prove che abbia tentato di aiutare gli ebrei. L’apatia della sua direzione verso la sorte degli ebrei mi ha sconvolto». «È difficile misurarsi con fatti del genere, ma dobbiamo farlo» ha detto a sua volta Brakman. «Per noi questo è il momento dell’introspezione e della richiesta di perdono».



Alberto Pento
Mi sembra cosa buona e giusta, lo potrebbero fare anche i polacchi. L'antisemitismo e la negazione storica della Shoà non servono minimamente al sano nazionalismo, anzi sono nocivi. Gli ebrei sionisti e Israele sono anch'essi nazionalisti. L'antisemitismo cristiano è l'altra faccia negativa del cristianismo che fa da pandan all'indiscriminata e scriteriata apertura all'invasione dall'Asia e dall'Africa e dei nazisti maomettani che è una forma di razzismo nei confronti dei nativi e dei cristiani europei.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Messaggioda Berto » mer mar 14, 2018 9:12 pm

L'accordo sui fondi ebraici ha "purificato" la Svizzera
Daniele Mariani, Matthew Allen
12 agosto 2008

https://www.swissinfo.ch/ita/l-accordo- ... ra/1240852

Dieci anni fa, le grandi banche elvetiche concludevano un accordo per indennizzare le vittime dell'Olocausto. Secondo uno dei principali architetti del concordato, l'intesa servì a rimuovere le nubi che avevano coperto la Svizzera.

Quando nella metà degli anni '90 le organizzazioni ebraiche riportano in primo piano la questione dei fondi appartenenti alle vittime dell'Olocausto che "dormono" nelle casseforti delle banche svizzere, nessuno prevede la tempesta che si scatenerà.

Il presidente del consiglio d'amministrazione di UBS, Robert Studer, cerca di minimizzare, definendo le somme in giacenza "peanuts", bazzecole.

In Svizzera non si fanno però i conti con la perseveranza delle organizzazioni ebraiche e con l'intervento delle autorità statunitensi, in particolare del senatore Alfonse d'Amato.

Ruolo della Svizzera

La polemica si allarga rapidamente: ad essere chiamato in causa è ormai non solo il comportamento delle banche, ma il ruolo giocato dalla Svizzera durante la Seconda guerra mondiale. Per cercare di illuminare di nuova luce il passato, sono avviate due inchieste, una delle quali commissionata dal governo svizzero.

Le ricerche giungono alla conclusione che durante la più grande tragedia del XX secolo la Confederazione non è stata così virtuosa. I lati oscuri sono molti: politica d'asilo, relazioni economiche con le potenze dell'Asse, acquisto di oro nazista da parte della Banca nazionale elvetica...

Gli istituti di credito svizzeri, dal canto loro, nel dopoguerra si sono spesso comportati in modo scorretto nei confronti dei discendenti delle vittime alla ricerca dei patrimoni dei loro familiari. Inoltre, i fondi depositati nelle cassaforti delle banche elvetiche sono stati sottostimati.

Azioni collettive

Il 12 agosto 1998 UBS e Credit Suisse da un lato e i rappresentanti del Congresso ebraico mondiali e dei querelanti raggiungono un accordo per risolvere la contesa.

In cambio della garanzia di risarcire i discendenti con 1,25 miliardi di dollari (1,8 miliardi di franchi allora), gli istituti finanziari ottengono l'abbandono delle azioni legali collettive contro la Svizzera e le banche elvetiche per il denaro custodito in conti aperti da presunte vittime del genocidio nazista, per il trattamento dei rifugiati e per il lavoro coatto in imprese svizzere durante il Terzo Reich.

"L'atmosfera era molto aggressiva e molto polarizzata", ricorda Stuart Eizenstat, rappresentante del governo statunitense durante i negoziati. "È stata una vicenda traumatica per la Svizzera".

Un simile accordo era nell'interesse di tutte le parti in causa, sottolinea dal canto suo Rolf Bloch, all'epoca presidente della Federazione delle comunità israelite svizzere.

Nel 1998 UBS è appena nata dalla fusione di Società di banche svizzere e Unione di banche svizzere. Una fusione che necessita ancora del beneplacito delle autorità antitrust americane. "Con queste azioni collettive sulle spalle, negli Stati Uniti la fusione non sarebbe stata possibile", osserva Bloch.

Il governo ne resta fuori

Nell'intesa non intervengono però né il governo svizzero, né la banca nazionale elvetica (BNS), che nel 1997 hanno istituito un fondo speciale per le vittime dell'Olocausto, grazie al quale negli anni seguenti sono distribuiti circa 300 milioni di franchi a 300'000 persone di 60 paesi.

Eizenstat si dice amareggiato dal comportamento del governo elvetico e della BNS: "In Germania, Austria e Francia i governi hanno aderito agli accordi. In Svizzera, il fardello è gravato solo sulle spalle delle banche private. Penso sia stata una mossa inopportuna".

250 milioni ancora da versare

Secondo Eizenstat, l'accordo da 1,25 milioni di dollari era "corretto ed equo". A fine giugno del 2008 sono stati versati più di un miliardo di dollari a quasi 450'000 ebrei, omosessuali, testimoni di Geova e rom vittime dell'Olocausto o ai loro discendenti. Altri 250 milioni devono ancora essere versati. Le procedure sono state rallentate dalle centinaia di migliaia di richieste e dall'iter legale per esaminarne la validità.

Il pagamento – afferma Rolf Bloch – ha risolto "finanziariamente ma non moralmente" le questioni legate al comportamento della Svizzera durante la Seconda guerra. Secondo Eizenstat, l'accordo ha avuto un effetto catartico sulla Svizzera e ha contribuito a spingere le banche a dotarsi di norme più severe per lottare contro il riciclaggio di denaro.

"Questo avvenimento ha avuto un effetto che definirei purificatore. Il fatto che la Svizzera sia riuscita ad accettarlo e a superarlo ha creato una dinamica positiva", conclude Eizenstat.

swissinfo, Matthew Allen

(traduzione ed adattamento di Daniele Mariani)

In breve

Nel 1995 le organizzazione ebraiche cominciano a far pressione sulle banche svizzere affinché forniscano dei dettagli sui conti in giacenza che si sospetta appartengano a vittime dell'Olocausto. Gli istituti di credito elvetici fanno resistenza, appoggiandosi sul segreto bancario.

Nei mesi seguenti, negli Stati Uniti vengono sporte denunce collettive nei confronti delle banche svizzere.

Nel 1996 l'Associazione svizzera delle banche e i politici elvetici accettano la creazione di gruppi d'esperti indipendenti. Il comitato Volcker si mette alla ricerca dei conti in giacenza e dei rispettivi aventi diritto, ritrovandone decine di migliaia.

La Commissione indipendente d'esperti Svizzera - seconda guerra mondiale (CIE) diretta da Jean-François Bergier e istituita dal governo svizzero si concentra su numerosi aspetti controversi, tra cui la politica d'asilo e i rapporti economici e finanziari tra la Confederazione e le potenze dell'Asse. I risultati delle ricerche confluiscono in 25 studi e in un rapporto finale pubblicato nel 2002.

Nel 1997 il governo svizzero, la banca nazionale e diverse altre ditte istituiscono un fondo speciale per le vittime dell'Olocausto, dotato di 300 milioni di franchi.

Il 12 agosto 1998, UBS e Credit Suisse accettano di pagare 1,25 miliardi di dollari (circa 1,8 miliardi di franchi all'epoca) alle vittime della Shoah e ai loro discendenti.
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Messaggioda Berto » ven mar 16, 2018 8:20 am

NETANYAHU LODA L’ONESTÀ DEL CANCELLIERE AUSTRIACO KURZ

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 50149780:0

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha lodato il cancelliere austriaco Sebastian Kurz per suo il discorso in occasione dell’ottantesimo anniversario dell’Anschluss, quando i nazisti occuparono e incorporarono l’Austria e furono accolti dalla folla austriaca esultante dando vita a tutti gli effetti al Terzo Reich. “L’Austria è abituata a vedersi come una vittima del Nazional Socialismo – ha dichiarato Kurz alla guida di un governo di coalizione con il partito di estrema destra fondato da un ex nazista – ma coloro che nel marzo 1938 festeggiarono non furono vittime. L’Austria non fu solo una vittima ma anche carnefice.”

Nel suo discorso Kurz ha ricordato che gli austriaci aiutarono i nazisti a uccidere oltre 60.000 ebrei deportandone 130.000 e che sopravvissuti una volta terminata la guerra, non furono benvenuti in Austria. Ieri il governo austriaco ha approvato la costruzione di un memoriale in ricordo dei 66.000 ebrei austriaci trucidati durante la Shoà e Netanyahu ha lodato Kurz per la sua determinazione nella lotta all’antisemitismo sottolineando l'importanza dell’educazione e del ricordo.


Alberto Pento
Questo si chiama parlar bene, questo di Kurz è un sano e giusto nazionalismo. Un buon esempio anche per la Polonia. I sani nazionalisti europei non debbono avere alcun timore ad ammettere gli errori e le responsabilità del passato; debbono anche riconoscere l'infondatezza assurda dell'antisemitismo di origine ebraico-cristiana e liberarsene per sempre. In tal modo la legittima e sacrosanta difesa dei diritti umani, civili e politici dei nativi e cittadini europei non troverebbe sulla sua strada alcuna giustificazione, alcuna resistenza, alcuna controindicazione come quella dell'antisemitismo. Le destre estreme antisemite vanno scosse per bene e poste difronte all'irragionevolezza demenziale del loro antisemitismo con cui vanno costrette a fare i conti.
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Messaggioda Berto » ven mar 23, 2018 2:40 pm

Purtroppo anche in Austria ci sono delle stupide frange di destra nostalgiche di Hitler e demenzialmente antisemite


Austria recalls embassy employee from Israel over Nazi shirt
Juergen-Michael Kleppich, a member of the far-right Freedom Party, posted a picture on his Facebook page of himself wearing a green shirt with words 'stand your ground' and name of a German Waffen SS armored division during WWII.
L'Austria richiama l'impiegato dell'ambasciata da Israele sulla camicia nazista
Juergen-Michael Kleppich, membro del partito di estrema destra, ha pubblicato una sua foto su Facebook con una maglietta verde con le parole "stand your ground" e il nome di una divisione corazzata tedesca Waffen SS durante la seconda guerra mondiale.

03.21.18
https://www.ynetnews.com/articles/0,734 ... 48,00.html

VIENNA - Austria's foreign ministry has recalled an employee of its embassy in Israel after an Austrian weekly said he posted a picture of himself on social media wearing a T-shirt bearing the name of a Nazi tank division.
The Falter weekly published a screenshot of the attache's Facebook page which shows him in a green shirt with the words "stand your ground" and "Frundsberg". Frundsberg was a German Waffen SS armored division during World War Two.
The attache, Juergen-Michael Kleppich, is a member of the far-right Freedom Party, which is a junior partner in Austria's coalition government. He was sent to Tel Aviv in December to help out at the embassy for a few months, Foreign Minister Karin Kneissl told radio station ORF on Wednesday.
Kleppich was summoned to Vienna to "clarify all circumstances" of the case, said Kneissl. It was not immediately clear whether he would be allowed to resume his post in due course.
The incident is the latest in a series of embarrasments for the anti-immigrant FPO, which in December joined Austria's national government for the first time in more than a decade, and has been trying for years to shed any Nazi associations.
The party was founded by former SS officers in the 1950s but says it has left its past behind and has regularly expelled officials in recent years over alleged Nazi links.
A high-ranking local party official, who helped lead a far-right fraternity which distributed a songbook that joked about killing Jews, resigned under pressure in February, and a close staff member of Austria's FPO transport minister got involved in another anti-Semitism scandal shortly afterwards.
Kneissl said she would consult her ministry's human resources department on Kleppich.
"If there is a disciplinary cause, a disciplinary procedure will be initiated," she said.
Israel has said it will not do business with FPO ministers, only with the "operational echelons" of government departments headed by an FPO minister.
The FPO controls the foreign, interior and defense ministries. The FPO nominated Kneissl for the post of foreign minister, though she is not officially a member of the party.
Interior Minister Herbert Kickl, an FPO member, is expected to be questioned in a parliamentary inquiry about police raids targeting Austria's BVT domestic intelligence agency, which investigates far-right activities. Opposition parties have accused Kickl of aiming to gather intelligence on far-right groups and to sideline political opponents.



VIENNA - Il ministero degli esteri austriaco ha richiamato un impiegato della sua ambasciata in Israele dopo che un settimanale austriaco ha dichiarato di aver pubblicato una sua foto sui social media indossando una maglietta con il nome di una divisione nazista.
Il settimanale Falter ha pubblicato uno screenshot della pagina Facebook dell'atleta che lo mostra in una maglietta verde con le parole "stand your ground" e "Frundsberg". Frundsberg era una divisione corazzata tedesca Waffen SS durante la seconda guerra mondiale.
L'addetto, Juergen-Michael Kleppich, è un membro del partito di estrema destra, che è un partner junior nel governo di coalizione austriaco. È stato mandato a Tel Aviv a dicembre per dare una mano all'ambasciata per alcuni mesi, ha detto mercoledì il ministro degli Esteri Karin Kneissl alla radio della stazione ORF.
Kleppich è stato convocato a Vienna per "chiarire tutte le circostanze" del caso, ha detto Kneissl. Non è stato immediatamente chiaro se sarebbe stato autorizzato a riprendere il suo incarico a tempo debito.
L'incidente è l'ultimo di una serie di imbarazzi per l'FPO anti-immigrati, che a dicembre si è unito al governo nazionale austriaco per la prima volta da oltre un decennio e da anni cerca di gettare le associazioni naziste.
Il partito è stato fondato da ex ufficiali delle SS negli anni '50 ma afferma di aver lasciato il passato alle spalle e ha espulso regolarmente funzionari negli ultimi anni su presunti legami nazisti.
Un alto funzionario del partito locale, che ha contribuito a guidare una fraternità di estrema destra che distribuiva un libro di canzoni che scherzava sull'uccisione degli ebrei, si dimise sotto pressione in febbraio, e uno stretto collaboratore del ministro dei trasporti austriaco dell'FPO fu coinvolto in un altro scandalo dell'antisemitismo poco dopo.
Kneissl ha detto che avrebbe consultato il dipartimento risorse umane del suo ministero su Kleppich.
"Se c'è una causa disciplinare, verrà avviata una procedura disciplinare", ha detto.
Israele ha detto che non farà affari con i ministri dell'FPO, solo con i "vertici operativi" dei dipartimenti governativi guidati da un ministro dell'FPO.
L'FPO controlla i ministeri stranieri, interni e della difesa. L'FPO ha nominato Kneissl come ministro degli esteri, sebbene non sia ufficialmente un membro del partito.
Il ministro degli interni Herbert Kickl, membro dell'FPO, dovrebbe essere interrogato in un'inchiesta parlamentare sulle incursioni della polizia contro l'agenzia di intelligence interna della BVT austriaca, che indaga sulle attività di estrema destra. I partiti di opposizione hanno accusato Kickl di puntare a raccogliere informazioni sui gruppi di estrema destra e ad escludere gli oppositori politici.
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Messaggioda Berto » ven mar 23, 2018 2:41 pm

Anche in Belgio purtroppo vi sono degli imbecilli antisemiti e antisraeliani, ma il Belgio fiammingo prende le distanze.

Belgian textbook features ‘misleading’ cartoon on West Bank water situation
2018/03/23

https://www.jta.org/2018/03/23/news-opi ... -situation


A caricature featured in the Belgian textbook Polaris GO!3. Courtesy of Joods Actueel

(JTA) — Amnesty International distanced itself from a caricature bearing its name in a Belgian schoolbook, depicting an overweight Jewish settler sleeping in a bathtub alongside a thirsty Palestinian.

A spokesperson for the human rights group last week told the Joods Actueel monthly in Belgium that the cartoon, which appears in the 2016 geography textbook “Polaris GO!3” for Flemish-speaking high school students, that the cartoon is “misleading.”

The book is used in several high schools in Belgium’s Flemish Region, one of three autonomous entities that make up the federal kingdom. It was written as an aid for the Flemish government’s GO! Educational program, which the government says on its website “takes extreme care to fulfill its fundamental mission, which is to offer ‘neutral’ education.’”

Raymonda Verdyck, who heads the Flemish government’s GO! Pedagogical program, condemned the inclusion of the cartoon in the book, which is published by the commercial publishing house Plantyn. She called it “stereotypical and incompatible with our pedagogical values.”

The cartoon by the Brazilian artist Latuff, who often compares Israel to Nazi Germany in his works, shows a man with side locks snoring in an overflowing tub, whose excess disappears into a drain. The shower filling the bath is connected to a pipe leading to a spigot whose head is the shape of a Star of David. It also leads to a different pipe, which a woman wearing a Palestinian flag is using unsuccessfully to fill an empty bucket of water.

An English-language text inside the cartoon reads: “Amnesty International: Israel is denying Palestinians access to water… while settlers enjoy lush laws and swimming pools.” And a caption under the cartoon reads: “Water distribution according to Amnesty International.”

Joods Actueel was informed about the caricature by the father of a 15-year-old student of the Atheneum Jan Fevijn high school in Assebroek, a suburb of the city of Brugge 60 miles northwest of Brussels, the paper reported last week.

In 2016, the city of Torhout near Assebroek named Luc Descheemaeker, a catroonist who is accused of drawing numerous anti-Semitic caricatures and who won a cash prize at Iran’s Holocaust mockery festival in Tehran, as its “cultural ambassador.”


Una caricatura contenuta nel libro di testo belga Polaris GO! 3. Per gentile concessione di Joods Actueel

(JTA) - Amnesty International ha preso le distanze da una caricatura che porta il suo nome in un libro di testo belga, raffigurante un colono ebreo sovrappeso che dorme in una vasca accanto ad un assetato palestinese.
Un portavoce del gruppo per i diritti umani la scorsa settimana ha dichiarato al Joods Actueel, in Belgio, che il fumetto, che compare nel libro di geografia 2016 "Polaris GO! 3" per gli studenti delle scuole fiamminghe, afferma che il fumetto è "fuorviante".
Il libro è utilizzato in diverse scuole superiori nella regione fiamminga del Belgio, una delle tre entità autonome che compongono il regno federale. È stato scritto come aiuto per il GO del governo fiammingo! Il programma educativo, che il governo dice sul suo sito web, "richiede estrema attenzione per realizzare la sua missione fondamentale, che è quella di offrire un'educazione" neutrale "".
Raymonda Verdyck, a capo del GO del governo fiammingo! Programma pedagogico, ha condannato l'inclusione del fumetto nel libro, che è pubblicato dalla casa editrice commerciale Plantyn. Lo ha definito "stereotipato e incompatibile con i nostri valori pedagogici".
Il cartone dell'artista brasiliano Latuff, che spesso paragona Israele alla Germania nazista nelle sue opere, mostra un uomo con le serrature laterali che russano in una vasca traboccante, il cui eccesso scompare in uno scarico. La doccia che riempie il bagno è collegata a un tubo che conduce a un rubinetto la cui testa ha la forma di una stella di David. Porta anche a un tubo diverso, che una donna che indossa una bandiera palestinese sta usando senza successo per riempire un secchio d'acqua vuoto.
Un testo in lingua inglese all'interno del cartone recita: "Amnesty International: Israele sta negando ai palestinesi l'accesso all'acqua ... mentre i coloni godono di leggi e piscine rigogliose". E una didascalia sotto il fumetto recita: "Distribuzione dell'acqua secondo Amnesty International".
Joods Actueel è stato informato della caricatura dal padre di uno studente quindicenne del liceo Atheneum Jan Fevijn ad Assebroek, un sobborgo della città di Bruges, a 60 miglia a nord-ovest di Bruxelles, secondo quanto riportato la scorsa settimana.
Nel 2016, la città di Torhout vicino Assebroek ha chiamato Luc Descheemaeker, un cartonista che è accusato di aver disegnato numerose caricature antisemite e che ha vinto un premio in denaro al festival di derisione dell'Olocausto iraniano a Teheran, come suo "ambasciatore culturale".



Giulio Meotti
Guardate che liquame antisemita cola dai manuali delle scuole del Belgio. Scuole pubbliche, non islamiche. Un genitore di Bruges, la settima città del Belgio, ha denunciato che un manuale scolastico per ragazzi di 15 anni contiene questa vignetta. Il libro di geografia è stato approvato dal Ministero della Pubblica Istruzione belga ed è stato utilizzato in tutto il paese dell'Europa occidentale. Mostra un ebreo ortodosso sovrappeso addormentato in una vasca e una donna palestinese con un secchio vuoto. C'è anche l'immancabile stella di Davide. "Israele sta negando ai palestinesi l'accesso adeguato all'acqua ... Mentre i coloni godono di prati rigogliosi e piscine". Goebbels e i nazisti sarebbero fieri di questa porcata. Come pretendiamo che il mondo arabo-islamico curi il proprio viscerale antisemitismo se i paesi europei non sono diversi? Ah scusate, questa non è più Europa, è il Belgistan!


Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... belghe.jpg
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Messaggioda Berto » mar mar 27, 2018 7:42 pm

Anche la Francia è messa malissimo e i cristiano stanno a guardare


L'Europa copre l'antisemitismo del nazismo maomettano, facendosi indirettamente complice
Giulio Meotti
27/03/2018

https://www.facebook.com/photo.php?fbid ... 1528716259

Avete notato come i media, la politica, "le autorità", tengono bassa, sempre più bassa, la notizia della tortura e dell'assassinio di una signora ebrea scampata alle retate della Shoah?
Per giunta la seconda anziana ebrea fatta a pezzi (un anno fa, a pochi isolati di distanza, un'altra fu gettata dalla finestra al grido di "Allah Akbar"). Niente editoriali indignati, nessun titolo a sei colonne, nessuna foto di prima pagina, soltanto qualche obbligatorio articolo di cronaca, qualche tweet, poca roba, davvero poca roba. La notizia che i vicini di casa, musulmani, hanno pugnalato per undici volte il corpo senescente di una ebrea francese e che hanno dato fuoco in cinque punti alla sua casa e al suo corpo, avrebbe dovuto esplodere su tutti i media, mandare in tilt le tastiere che contano, invadere i comunicati delle autorità cristiane, i grandi dialogatori di professione. E invece no, nel cuore dell'Europa la più antica minoranza del mondo, il pegno vivente della nostra stessa storia omicida nel '900, un popolo emblema della tolleranza e dell'umanesimo che esiste per miracolo, viene macellato come l'Isis ha fatto nel deserto siriano, e la notizia, il suo scandalo, questa vergogna universale, "non passa". Mera cronaca, no comment. Davvero pensano che si fermeranno agli ebrei? Non a caso due giorni prima, a Trèbes, i jihadisti si sono portati via un macellaio, un pensionato e un poliziotto. Non è invece che forse, nel loro profondo, ritengono normale che a Parigi assistiamo a scene che abbiamo visto a Palmira? Avviso a chi si domanda "che senso ha uccidere una vecchia signora". A Tolosa hanno preso per i capelli una bambina, anch'ella ebrea, e le hanno sparato in faccia. Sono capaci di tutto. E noi stiamo perdendo. Perdendo.

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... /Savta.png




Un pericolo globale nascosto sotto la cenere
24 marzo 2018

http://www.fiammanirenstein.com/articol ... =3&Id=4211

Informazioni, ancora notizie, monitoraggio, conoscenza preventiva dei fatti senza limiti e senza pregiudizio, e ancora identificazione preventiva delle zone sensibili che possano produrre terrorismo, ovvero "profiling" senza paura, senza vergogna: questi sono i punti veri, i realistici suggerimenti che qualsiasi agente della sicurezza di Israele, il Paese che più di tutti nel mondo è investito dal terrorismo, può dare oggi all'Europa. Ieri a Trebes, un paesino che certo non si meritava di diventare famoso per questo, l'onda di sangue è arrivata come un'inaspettata tromba d'aria, eppure il terrorista era un personaggio già legato al mondo che gli ha ispirato o ordinato l'attacco.

Il terrorismo conta oggi in Francia 18mila candidati all'omicidio radicalizzati, 4000 pericolosissimi. Dovrebbero essere supersorvegliati, eppure una nostra reticenza tutta europea probabilmente consente che possano riuscire in azioni inaspettate, che riescano a inverare il peggio della fantasia umana avendo ricevuto da Dio in persona l'ordine di conquistare il mondo a ogni costo.

Il terrorismo è poliedrico e ormai gigantesco: ammazza i bambini a Tolosa nel 2012, attacca un museo a Bruxelles purché sia ebraico nel 2014, nel 2015 mette in scena l'omicidio di massa di Charlie Hebdò e dell'Hypercacher, poi il Bataclan come apoteosi della morte nel 2015 (129 morti) poi l'aeroporto di Bruxelles , e Nizza, e più avanti Wurzburg sul treno, e Monaco, e ancora in Francia, Rouen, e quindi il mercatino di Berlino nel 2016 e via via ancora da Londra, a Manchester, a San Pietroburgo, a Stoccolma, a Barcellona, sempre col controcanto dei continui morti israeliani e con un filo di preferenza per le vittime ebree, la geografia del terrorismo europeo è molto compatta.

Onnipresente, parla di tutte le cose di cui non si vuole parlare per paura di violare i principi sacrosanti della privacy e sola libertà di opinione: parla di quartieri poveri, di scuole, di madrasse, di moschee, di giornali, film, spettacoli teatrali, di educazione dei bambini immigrati, di fastidi alle donne, di violenza di strada, della libertà religiosa.

Parlare di terrorismo nella mentalità europea viola spesso le regole fondamentali che, nelle intenzioni del giudiziario impediscono il proliferare del razzismo antislamico. Anche la definizione di terrorismo, come si sa risulta impossibile perché richiede, per le Istituzioni internazionali, una comunità di intenti che cancelli la possibilità che il mio terrorista sia il tuo combattente per la libertà, o il tuo "militante".

Siamo ancora quasi fermi al momento in cui quando a Parigi Ilan Halimi fu rapito il 21 gennaio del 2006 da un gruppo formato da decine di giovani islamici che lo torturano fino alla morte leggendo il Corano e motteggiando il fatto che era ebreo, la polizia si rifiutò di ascoltare la madre che suggeriva un rapimento terrorista legata alla radicalizzazione dell'Islam.

Lentamente, visto che sono centinaia gli attentati terroristi che come una tabe infestano il territorio europeo con epicentro in Francia, si sono compiute mosse importanti: si stringono i rapporti fra servizi segreti; la Commissione Europea ha appena votato una richiesta ai social media di rimuovere entro un'ora i contenuti terroristi illegali, cioè esplicitamente dedicati alla propagazione della violenza. Si dovrebbe qui applicare una forma di censura finalmente legata a un codice di condotta antiterrorista. Subito Facebook, You tube, Google, Tweeter hanno espresso il loro "sconcerto" per la violazione del diritto alla libertà di opinione che questa raccomandazione esprime.

Questo è lo stato delle cose, ma somiglia a quando l'Unione Europea face fare una ricerca sull'antisemitismo e avendo scoperto che il più accanito è di parte musulmana, nascose i risultati. La difficoltà a combattere il terrorismo e volerlo conoscere, sapere cos'è veramente, misurare la crudeltà e l'idiozia di chi sceglie di uccidere donne, uomini, bambini, sicurissimo di andare per questo in un paradiso fra vergini innamorate e ottimi cibi e bevande, oppure semplicemente obnubilato da un odio radicato nella fede islamica di una società che si stringe intorno a testi, scuole, mense, amicizie.

Ho incontrato vari terroristi: sono imbattibili se non li si affronta bene, perché pensano l'impensabile, colpiscono ciò che a nessuno verrebbe in mente di colpire, vengono da scelte impalabili, tipo la guerra in Siria, quando in molti casi, si poteva benissimo andare per un'altra strada. Ma noi, soprattutto, non vogliamo affrontare una questione che ci porta a violare i nostro stessi principi di libertà e di privatezza. Eppure bisogna farlo per non soccombere.
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Re: Il sano nazionalismo è un valore/diritto umano fondament

Messaggioda Berto » mar mar 27, 2018 7:45 pm

Anche la Gran Bretagna è messa male

GRAN BRETAGNA: COMUNITA' EBRAICA CONTRO CORBYN, "APPOGGIA ANTISEMITI"
26/03/2018

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 8819070401

La comunità ebraica britannica accusa apertamente il leader laburista Jeremy Corbyn di schierarsi con gli antisemiti, in una protesta senza precedenti. L'associazione dei deputati britannici ebrei e il Consiglio delle comunità ebraiche manifesteranno oggi davanti al parlamento in coincidenza con l'incontro settimanale dei deputati laburisti, ma intanto hanno pubblicato una lettera aperta dai toni molto duri, riferiscono oggi i media britannici.
A riaccendere le accuse contro Corbyn è stata la scoperta di un suo post scritto sei anni fa su Facebook in cui difende l'autore di un murale, cancellato a Londra nel 2012 per i toni chiaramente antisemiti. "Ancora e ancora, Jeremy Corbyn si è schierato dalla parte degli antisemiti invece che degli ebrei. Nella migliore ipotesi ciò deriva dall'odio ossessivo dell'estrema destra contro il sionismo, Israele e i sionisti. Nella peggiore, suggerisce una visione del mondo cospirazionista, nel quale le normali comunità ebraiche sono ritenute un'entità ostile, un nemico di classe", si legge nella lettera, che verrà consegnata oggi ai deputati laburisti. La missiva ricorda anche passate prese di posizione di Corbyn, interpretate come un sostegno ad Hamas ed Hezbollah, e la sua opposizione all'estradizione di Raed Saleh, leader del movimento islamico in Israele.
Corbyn ha diffuso ieri sera una dichiarazione in cui si dice "seriamente dispiaciuto per il dolore che è stato causato" da quelle che ha definito "sacche di antisemitismo". "Il nostro partito - ha rimarcato - ha profonde radici nella comunità ebraica ed è attivamente impegnato con organizzazioni ebraiche attraverso il paese".
Ma le sue parole non sembrano aver placato la polemiche. Le scuse di Corbyn "arrivano troppo tardi", ha dichiarato alla Bbc Karen Pollock, leader della Fondazione Educativa sull'Olocausto, ricordando che il leader laburista non ha mai stigmatizzato i membri del partito che chiamavano la sua organizzazione "Programma d'indottrinazione sull'Olocausto". "Questa è la prima volta nella mia vita che la comunità ebraica sente la necessità di scendere in piazza contro il leader di un importante partito politico", ha dichiarato alla stessa emittente in Jonathan Goldstein, presidente delle comunità ebraiche britanniche.
Il murale dello scandalo dipingeva un gruppo di plutocrati con i tratti delle caricature antisemite che giocavano a monopoli, sulle spalle di proletari nudi. Allora Corbyn si schierò con il writer "Mear One, l'autore delll'opera cancellata, dicendogli che era "in buona compagnia. Rockerfeller fece distruggere il murales di Diego Viera perchè c'era anche Lenin". Quel post, nel cui Corbyn sbaglia il nome del pittore Diego Rivera, viene ora duramente rimproverato al leader laburista. Ieri, ancor prima della dichiarazione diffusa in serata, l'ufficio di Corbyn aveva ammesso che il murale era "offensivo e conteneva immagini antisemite", aggiungendo che il leader laburista rimpiangeva "sinceramente di non aver guardato più da vicino l'immagine". (AdnKronos)
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Messaggioda Berto » mer mar 28, 2018 7:15 am

Anche in Italia l'antisemitismo antifascista sinistro filomaomettano e filopalestinese non manca, come non manca quello minoritatrio delle destre fasciste nostalgiche; il primo di origine maomettana e cattocomunista, il secondo di origine cristiana e nazionalsocialista.

Torino è malata di antisemitismo, la Comunità ebraica di Torino non reagisce, ma la Comunità Ebraica di Torino ha un grande Rabbino capo, Ariel Di Porto, che questo pomeriggio ha convocato gli iscritti (e c'erano anche alcuni non iscritti) ed ha fatto in Sinagoga un discorso molto chiaro.

Emanuel Segre Amar

https://www.facebook.com/emanuel.segrea ... 2232260540

Ve lo riporto qui di seguito:

C'è voluto del tempo, ma sì, è antisemitismo. C'è voluto coraggio (!?), ma si è riusciti a dirlo. Avremmo voluto non sentirlo, non per Mireille. Dove non sono arrivati i nazisti, può arrivare il vicino di casa. Un antisemitismo differente, ma con elementi ereditati dai nostri peggiori incubi, antisemitismo islamico della peggiore fattura. Questa volta non c'entra Israele.
Ieri, vedendo che la notizia,che circolava già da un po' nei social network, ma faticava ad uscire sui maggiori organi di stampa, mi chiedevo cosa stesse avvenendo. C'era qualcosa che non sapevamo? La notizia poteva turbare la sensibilità di qualcuno? C'erano notizie più importanti? Dobbiamo prendere atto di un fatto: la morte di un ebreo, ucciso barbaramente proprio perché ebreo, solo perché ebreo, non fa più notizia. E questa è la notizia che dovrebbe preoccupare maggiormente tutti noi. Negli ultimi anni in Francia si sono registrati molti casi, ma l'ultimo, per via delle modalità spaventose nelle quali si è consumato ha colpito la sensibilità di molti correligionari. Mireille Knoll, scampata alla Shoah, ripetutamente accoltellata e bruciata solo perché ebrea. Tradita allora, tanti anni fa, e tradita nuovamente oggi.
In un post struggente la nipote scriveva di essere addolorata, perché non le era rimasta neppure una foto dei nonni, dal momento che la casa di Mireille era stata bruciata. Prima di Mireille era stata la volta di Sara Halimi, buttata dalla finestra da un suo vicino, sempre perché ebrea. In quel caso, sebbene fosse chiaro sin dall'inizio, ci sono voluti mesi per scoprire che il movente era tristemente lo stesso. Prima di lei, svariati altri, donne, uomini, bambini, rei di essere ebrei oggi in Europa. L'antisemitismo in Francia è in continua, vertiginosa crescita. Pestaggi, sfregi, attacchi con l'acido, profanazione di tombe. Negli ultimi anni decine di migliaia di ebrei francesi si sono trasferiti in Israele, ma l'impressione, francamente, è che non vi sia un interesse particolare nel salvaguardare gli ebrei.
Questo atteggiamento è molto miope, perché nella storia gli ebrei sono sempre stati solo l'inizio. Quanto avviene ripetutamente e impunemente qui nel nostro glorioso ateneo a Torino è espressione di un altro tipo di antisemitismo, più strisciante e difficile da individuare, ma il clima che si respira, anche nella nostra città è sempre più insopportabile.
Senza voler parlare di quanto succede nei parlamenti in Polonia e in Islanda. Si potrà sempre dire che siamo paranoici, ma tanti, diversificati indizi rischiano di divenire una prova schiacciante. Dobbiamo fare molta attenzione a quanto accade. Quanto abbiamo detto succede in Europa oggi, nell'Europa che consideriamo più all'avanguardia nella salvaguardia dei diritti umani, un'Europa che si è dimostrata incapace, o ancora peggio ha mostrato di non avere la volontà, di salvare la vita dei suoi cittadini. Un'Europa senza ebrei non è una vittoria, è una sconfitta indicibile, perché è la negazione di quelli che ci propinano come i valori su cui l'Europa stessa è costruita. Ciò che inorridisce è la totale indifferenza che accompagna queste notizie. La reazione deve essere invece forte e ferma al contempo. Non vendetta, ma la ferma e incrollabile pretesa che le punizioni ci siano e che siano esemplari. Il silenzio delle istituzioni, tranne rarissime eccezioni, non può non preoccuparci. Non solo noi dobbiamo essere turbati da questa vile, inumana escalation, che è un attacco alla nostra umanità.
Domani sera a Parigi vi sarà una marcia e una commemorazione per Mireille. La speranza è che la sua morte non sia stata vana, che abbia avuto la forza di scuotere quante più coscienze in questa Europa, che sembra subire stancamente tutto quello che le avviene. Il suo ricordo sia di benedizione.
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Messaggioda Berto » gio apr 12, 2018 7:41 pm

Ungheria: non xenofobia, ma sovranità
RodolfoCasadei
aprile 11, 2018
Come si spiega la grande vittoria dell'”impresentabile” Orban? Bisogna sapere un po’ di storia e comprendere i sentimenti di un popolo

https://www.tempi.it/la-parola-chiave-p ... s-XvJe-mjJ

Le elezioni politiche ungheresi del 2018 si sarebbero potute decidere sugli ottimi risultati economici conseguiti dal governo della coalizione Fidesz-Kdnp negli ultimi otto anni e sui vantaggi che alle classi popolari sono venuti dalle politiche governative. Negli ultimi tre anni il Pil è cresciuto sopra il 4 per cento e la disoccupazione è scesa al 3,8 per cento grazie agli investimenti esteri e all’osmosi con l’economia tedesca, che subappalta all’Ungheria molte fasi delle sue produzioni industriali. Ciò ha permesso di aumentare gli importi delle pensioni, ridurre quelli delle bollette di gas ed elettricità, istituire sussidi per le famiglie numerose, “salvare” le famiglie che avevano sottoscritto mutui per la casa in franchi svizzeri, ecc. Argomenti validissimi per la propaganda del governo uscente.

Oppure le elezioni si sarebbero potute decidere sui sempre più numerosi scandali che hanno visto al loro centro ministri dell’esecutivo Orban, imprenditori amici del partito Fidesz, personalità nominate a posti di responsabilità pubblica dal governo, e sulle difficoltà a perseguire in giustizia i casi che li riguardano a causa della crescente subalternità del sistema giudiziario al potere politico. L’insofferenza crescente per il sistema di potere che si è consolidato negli ultimi otto anni, con la sua casta di privilegiati, avrebbe potuto aiutare l’opposizione a risalire la china e, se non proprio a detronizzare Orban, almeno a impedire che l’amministrazione uscente riconquistasse quella maggioranza parlamentare dei due terzi che le permette di fare tutto ciò che vuole.

Invece le elezioni si sono decise su temi apparentemente lunari come la minaccia islamica, l’ondata di migranti illegali (in un paese dove le domande d’asilo l’anno scorso sono state appena 3.397), la prospettiva che la barriera sul confine meridionale costruita nel 2015 al culmine della crisi migratoria venisse smantellata (in realtà nessun partito aveva questo punto nel suo programma), i tentativi di distruggere l’identità dell’Ungheria da parte del finanziere George Soros. Questi sono stati i temi ricorrenti e dominanti dei comizi di Viktor Orban e degli altri esponenti di Fidesz, insieme alla assicurazione che la conferma del governo uscente avrebbe salvato l’Ungheria da queste catastrofi. Fra le misure che Orban ha promesso in caso di vittoria alle elezioni spiccava quella di introdurre una legge che tasserebbe pesantemente le donazioni estere alle Ong ungheresi che si occupano di migranti secondo le prospettive e i valori di George Soros anziché quelli del governo ungherese. Gli elettori hanno ascoltato, si sono recati alle urne con una tasso di partecipazione del 68 per cento (quasi 7 punti in più della precedente tornata del 2014) e hanno premiato la coalizione guidata da Orban col 48,9 per cento dei voti.

Perché nell’Ungheria del 2018 la questione delle frontiere e dei migranti è più decisiva per l’esito delle elezioni degli argomenti che riguardano l’operato in bene e in male del governo? Perché la vertenza che si trascina con l’Unione Europa dal 2015, cioè il rifiuto da parte di Budapest di ricollocare 1.294 richiedenti asilo provenienti da Italia e Grecia, è così importante per governanti ed elettori ungheresi? I media e l’establishment dell’Europa Occidentale e Bruxelles agitano gli spauracchi della xenofobia, dell’antisemitismo, delle risorgenze fasciste o della penetrazione strisciante della Russia di Putin. Un misto di arroganza e ignoranza: Viktor Orban è stato dissidente antisovietico, si è laureato con una tesi su Solidarnosc, ha studiato a Oxford grazie a una borsa di studio della fondazione di George Soros (proprio lui!), la sua formazione politica è da sempre affiliata al Partito Popolare Europeo. Non più tardi del 2006 il partito socialista (Mszp) raccoglieva i voti del 43 per cento degli ungheresi: domenica scorso si è fermato a 12,3. Al secondo posto è finito Jobbik, fino a pochi mesi fa impresentabile partito antisemita e criptonazista, ma riabilitato agli occhi delle cancellerie europee da quando ha seppellito l’ascia di guerra contro Bruxelles e si è dato disponibile per una grande alleanza di tutti i partiti ungheresi contro Orban. Jobbik ha ricevuto il 19,3 per cento dei voti. Questo significa che quasi il 70 per cento dei votanti di domenica scorsa sceglie partiti nazionalisti contrari all’immigrazione di massa in Ungheria. Lo si poteva già intuire dal risultato del referendum contro le quote europee di migranti che il governo Orban promosse nel 2016: 3 milioni e 316 mila elettori – cioè 1 milione in più di quelli che avevano votato Fidesz alle elezioni di due anni prima – votarono contro la decisione europea di redistribuire obbligatoriamente anche in Ungheria una parte dei migranti arrivati in Italia e Grecia.

La parola chiave per capire quello che a livello politico succede in Ungheria e in altri paesi dell’Est che hanno aderito alla Ue (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia) non è xenofobia, ma sovranità. L’Ungheria, come gli altri paesi dell’Europa orientale i cui elettorati hanno votato in massa forze nazional-conservatrici o populiste euroscettiche, è una nazione che ha trascorso metà della sua storia sotto il tallone di potenti vicini: nel suo caso ottomani, austriaci, sovietici. Ha perduto popolazione e territorio in conseguenza delle due guerre mondiali. Non ha partecipato a imprese coloniali, non ha praticato l’imperialismo nei confronti dei continenti extraeuropei nel XIX o nel XX secolo, dunque non nutre complessi di colpa verso africani e mediorientali. Ha aderito all’Unione Europea per godere della prosperità e dell’indipendenza che fino ad allora gli erano state per lungo tempo negate. Ora queste nazioni scoprono che il prezzo della prosperità che l’adesione alla Ue ha certamente favorito è la progressiva rinuncia alla propria indipendenza a vantaggio di una integrazione dove tutte le culture e le storie sono tenute a sciogliersi in un’indistinta unità fondata sulla libertà di mercato e sui diritti individualistici.

Liberatisi della dottrina brezneviana della “sovranità limitata”, in base alla quale nessun paese socialista poteva sperare di riavvicinarsi al capitalismo senza che gli altri paesi socialisti, a cominciare dall’Unione Sovietica, intervenissero con le buone o con le cattive per riportarlo all’ovile, oggi i paesi dell’Est si trovano di fronte a una nuova versione di quella dottrina, concepita stavolta a Bruxelles: nessun paese della Ue può opporsi al progetto di sempre maggiore integrazione fra i paesi aderenti, compresa la delicata materia delle politiche dell’immigrazione, senza rischiare di perdere i diritti di voto e i finanziamenti dei Fondi di coesione. Ma questa linea dura contro Budapest e Varsavia che trova ogni giorno nuovi sostenitori in Europa occidentale e a Bruxelles rischia di aggravare la crisi di coesione dell’Unione anziché risolverla. Occorrerebbe invece contemperare i processi di integrazione con la salvaguardia delle identità nazionali. Come scrive il filosofo Mathieu Bock-Côté: «Il diritto alla continuità storica è vitale per un popolo».




Ungheria, l'orrore del passato che l'Europa dimentica
Stefano Magni
12 aprile 2018

http://www.lanuovabq.it/it/ungheria-lor ... F.facebook

Sui quotidiani italiani è l’ora della (psico)analisi delle elezioni ungheresi dopo la vittoria del conservatore Orban. Quasi tutti dimenticano un "dettaglio": gli elettori votano ricordando anche la repressione comunista, continuata fino al 1989. Una visita a Budapest, sui luoghi del terrore, servirebbe a rinfrescare la memoria degli europei.

Sui quotidiani italiani è l’ora della (psico)analisi delle elezioni ungheresi. E si scava nella storia, come fa il Corriere, intervistando il politologo austriaco Anton Pelinka. Oppure nella psico-politica, come fa Ezio Mauro in prima pagina su Repubblica.

La tesi di Pelinka (È un paese che si sente punito dalla Storia) è, in estrema sintesi, che gli ungheresi si sentono eterne vittime. Dunque il loro voto riflette, non solo le insicurezze di oggi, ma anche le rivendicazioni del secolo scorso, a partire dalla mutilazione del territorio ungherese, a seguito della sconfitta dell’Impero Austro-Ungarico. Pelinka descrive Orban come un “nazionalista” (dunque un revanscista) e non semplicemente come un “conservatore”. La tesi di Ezio Mauro, invece, è meno storica e più politologica. L’ex direttore di Repubblica si chiede quanto potrà resistere la democrazia ungherese, dopo che si è privata di tutti gli elementi di liberalismo che le permettono di funzionare come garante dei diritti dei suoi cittadini. Venuti meno i principi del liberalismo, sacrificati nel nome della sicurezza per paura del diverso e della globalizzazione, potrebbe venir meno la stessa democrazia.

L’intervista e l’editoriale, sulla prima pagina dei due maggiori quotidiani italiani, sono spiegazioni molto parziali. Perché è vero che gli ungheresi odierni sono inclini a sacrificare parte della libertà per la sicurezza. E (forse) possono ancora provare un certo rancore atavico per la sconfitta del 1918. Ma tutti loro portano una grande ferita molto recente che i nostri analisti tendono troppo facilmente a sottovalutare: mezzo secolo di regime comunista imposto dall’Unione Sovietica. L’Ungheria ha avuto, inoltre, la sventura di subire l’occupazione di entrambi i totalitarismi del Novecento, il nazismo prima (1944-1945) e poi il comunismo (dal 1945 al 1989).

Serve rinfrescare la memoria, magari con una visita più approfondita a Budapest, nei luoghi del terrore nero e rosso, per capire quanto profondo sia stato quell’orrore. Il visitatore parta dalla sede del Parlamento, giri a sinistra verso il Ponte delle Catene, sul lungofiume troverà tante paia di scarpe in bronzo. Sono la riproduzione di quelle lasciate dagli ebrei ungheresi, affogati nel Danubio dai nazisti e dai loro collaborazionisti locali, le Croci Frecciate. Ne sono morti più di 20mila così, incatenati fra loro, spinti nelle gelide acque d'inverno, ammazzati in massa per eliminarne il più possibile nel minor tempo. Gli ebrei avevano trovato rifugio in Ungheria fino a quel momento: benché alleato di Hitler contro l’Urss, l’ammiraglio austro-ungarico Miklos Horthy, ufficialmente reggente (in vacanza del trono d’Asburgo), aveva fino a quel momento tenuto lontano gli orrori della persecuzione nazista dai suoi confini. Fino al 15 ottobre del 1944, quando un golpe delle Croci Frecciate, orchestrato dalla Germania nazista, rovesciò il suo potere e stroncò il suo tentativo di uscire dalla guerra con una pace separata. Fra l’ottobre del 1944 e il febbraio del 1945, Budapest venne governata dal più duro dei regimi collaborazionisti e divenne un campo di battaglia fra nazisti e sovietici. Finì rasa al suolo. I nazisti non fecero a tempo a completare il loro sterminio che subito entrarono in scena i nuovi dominatori, i sovietici, con le loro liste nere di cittadini da eliminare.

Il passaggio di consegne da un totalitarismo all’altro è documentato nella Casa del Terrore, poco lontano. Un tetro edificio, ora museo, prima sede delle Croci Frecciate, poi della polizia politica comunista. Fra i due totalitarismi vi era poca differenza: una sezione del museo è dedicata ai trasformisti. Per i militanti delle Croci Frecciate bastava una firma su una dichiarazione di pentimento per diventare militanti comunisti, usati anche per i compiti più sporchi. Erano chiamati i “piccoli nazisti”, perennemente ricattati dal nuovo regime a causa del loro passato, per questo piegati a un’obbedienza più solerte. I nuovi/vecchi aguzzini vennero scatenati nelle campagne, tradizionalmente più conservatrici, ad aizzare i contadini più poveri contro i proprietari terrieri. Il museo della Casa del Terrore documenta ingiustizie, soprusi, lavaggio del cervello fin dall’istruzione elementare, torture, una giustizia completamente sovvertita in cui era il Partito a decidere chi fosse colpevole e perché, senza prove o “lungaggini borghesi”.

Documenta anche la resistenza tenace di un popolo, aggrappato alla sua fede. Fu la Chiesa a costituire la maggior autorità morale che si oppose al regime, non fu piegata dalle continue campagne contro i “clerico-nazisti” come erano spregiativamente chiamati tutti i sacerdoti e tutti i fedeli. Il cardinal József Mindszenty resistette a torture e umiliazioni in pubblico, in carcere gli fu anche vietato di pregare, osservato a vista giorno e notte. Liberato in seguito alla rivolta del 1956, riuscì poi a rifugiarsi presso l’ambasciata statunitense. Dopo il regime rimase vittima della diplomazia vaticana del cardinale Agostino Casaroli, che al suo esempio di resistenza preferì la distensione con i regimi comunisti. Con compromessi destinati al fallimento.

Tutta la storia contemporanea d’Ungheria è una vicenda di abbandono. Nel 1956, quando il paese ebbe la forza di sollevarsi contro il regime comunista, gli occidentali (gli stessi, talvolta anche le stesse persone, che oggi predicano contro la “democrazia illiberale” di Orban), per paura di una guerra con l’Urss, si voltarono dall’altra parte. I comunisti occidentali di allora, incluso il nostro ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, legittimarono la repressione. Il paese venne nuovamente invaso dai sovietici e subì una punizione ancor più dura. I muri della Casa del Terrore sono costellati delle foto delle oltre 250 vittime della repressione del 1956, uomini e donne tuttora scomparsi e privi di una sepoltura. Nei video, proiettati sugli schermi del museo, si possono ascoltare le testimonianze strazianti dei sopravvissuti, gli orrori a cui hanno dovuto assistere.

Poco fuori Budapest, nel Memento Park, si possono ammirare le vestigia del regime comunista: le statue, i nomi delle strade, i bassorilievi che un tempo non lontano ornavano tutta la città. C’è la statua del “piccolo Lenin”, figura educativa per tutti i bambini, che avrebbe dovuto sostituire il Bambin Gesù. C’è quel poco che resta della statua di Stalin: solo gli stivali. Il resto era stato tagliato e distrutto dagli insorti del 1956. Nella sezione al chiuso del Memento Park, il visitatore può assistere ai video originali di addestramento degli agenti della polizia politica: come spiare i cittadini, come riprenderli, come entrare nelle loro case senza essere scoperti, come ricattarli per trasformarli in collaboratori.

Gli ungheresi non vogliono più tornare in quel passato. Hanno recuperato a fatica la loro identità nazionale e la loro storia, proibite fino a poco fa, non ci rinunceranno troppo facilmente. Hanno vissuto sulla loro pelle entrambi i regimi più mortali del Novecento, sanno riconoscerne i sintomi. Pur senza scadere in facili parallelismi, quando in questi anni vedono che le decisioni che li riguardano sono prese a Bruxelles invece che a Budapest, quando realizzano che le scelte sono fatte da una burocrazia non elettiva invece che da un parlamento nazionale eletto, quando si sentono accusati di essere dei “reazionari” da politici stranieri che parlano a nome del “progresso”… non provereste anche voi un brivido di terrore?
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Messaggioda Berto » mar mag 08, 2018 7:34 pm

Il successo del civilizzazionismo occidentale
Daniel Pipes
5 maggio 2018
Traduzione in italiano di Angelita La Spada

http://www.linformale.eu/il-successo-de ... niel-pipes

La schiacciante vittoria elettorale conseguita domenica 8 aprile da Victor Orbán, conquistando 134 dei 199 seggi nel parlamento ungherese, rafforza la sua super-maggioranza governativa e avalla la sua rigorosa politica contraria all’immigrazione illegale, specie ai flussi migratori provenienti dal Medio Oriente. Il suo successo drammatizza un nuova realtà esistente in tutta Europa e in Australia: la comparsa di un nuovo tipo di partito, che ha alterato la scena politica, suscitando un acceso dibattito.

Esempi di questo fenomeno vengono offerti da altri tre membri del gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) e dal governo austriaco formato quattro mesi fa. Geert Wilders, leader del Partito della Libertà (PVV) nei Paesi Bassi, vede l’Europa occidentale seguire il gruppo di Visegrád: “Nella parte orientale dell’Europa, i partiti contrari all’islamizzazione e alla immigrazione di massa registrano un crescente consenso popolare. L’opposizione è in aumento anche nella parte occidentale”.

In Francia, alle ultime elezioni presidenziali il Front National è risultato il secondo partito più votato; in Italia, una situazione farraginosa potrebbe portare a un governo di tipo Orbán, mentre i conservatori di Cory Bernardi e l’One Nation di Pauline Hanson hanno lasciato il segno sulla scena australiana. In effetti, i partiti di orientamenti affini sono diventati rapidamente una forza significativa in una ventina di paesi.

Un problema iniziale è come denominarli correttamente in linea generale. I media raggruppano neghittosamente questi partiti definendoli di estrema destra, ignorando i loro numerosi elementi di sinistra, specialmente nella politica economica e sociale. Chiamarli nazionalisti è sbagliato, perché non evocano chiamate alle armi né vantano pretese nei paesi vicini. Definirli populisti non coglie il senso, perché molti partiti populisti come La France Insoumise perseguono politiche pressoché opposte.

La cosa migliore è concentrarsi sui loro elementi chiave comuni: rifiutare di accogliere la massiccia ondata di immigrati, specie quelli musulmani. Anche gli immigrati non musulmani causano problemi, soprattutto quelli provenienti dall’Africa, ma solo fra i migranti musulmani c’è un programma, quello islamista, per rimpiazzare la civiltà occidentale con un modo di vita radicalmente diverso. Al contrario, questi partiti sono tradizionalisti con una visione filo-cristiana, europeista e filo-occidentale: sono civilizzazionisti. (Questa definizione ha inoltre il vantaggio di escludere partiti come il neonazista Golden Dawn, Alba Dorata, in Grecia, che disprezzano la tradizionale civiltà occidentale.)

L’opinione illuminata in genere reagisce con orrore ai partiti civilizzazionisti, e non senza motivo, perché hanno molti scheletri nell’armadio. Alcuni hanno origini dubbie. Sono composti per lo più da neofiti politici pieni di rabbia e in essi milita un numero spaventoso di estremisti anti-ebrei e anti-musulmani, di nostalgici nazisti, di bisbetici assetati di potere, di eccentrici economici, di revisionisti storici e di cospirazionisti. Alcuni offrono visioni antidemocratiche, anti-europeiste e antiamericane. Troppi – e soprattutto Orbán – hanno un debole per il dittatore russo Vladimir Putin.

Ma i partiti civilizzazionisti offrono anche benefici significativi all’arena politica: realismo, coraggio, tenacia e una critica della civiltà, necessari, se l’Occidente deve sopravvivere nella sua forma storica. Pertanto, a differenza di molti amici e alleati, preferisco lavorare con la maggior parte dei partiti civilizzazionisti, promuovere una cooperazione cruciale, anziché optare per il rifiuto e l’emarginazione.

Sono quattro le motivazioni che guidano questa decisione. Innanzitutto, i partiti civilizzazionisti rappresentano una minaccia minore rispetto agli islamisti. Sono tradizionalisti e difensivi. Non sono violenti, non cercano di rovesciare l’ordine costituzionale. I loro errori sono correggibili. Probabilmente, sono meno pericolosi perfino dei partiti dell’establishment che hanno consentito l’immigrazione ed eluso le sfide islamiste.

In secondo luogo, questi partiti rispondono alle realtà politiche. Il fascino del potere ha già indotto alcuni partiti civilizzazionisti a maturare e a diventare moderati. Ad esempio, in Francia, il fondatore del Front National è stato espulso dal partito da sua figlia, a causa del suo persistente antisemitismo. Questo tipo di sviluppo comporta lotte intestine, divisioni e altri drammi che, per quanto poco eleganti, fanno parte del processo di crescita e quindi hanno un ruolo costruttivo. Man mano che acquisiscono esperienza nel governare, i partiti si evolvono e maturano ulteriormente.

In terzo luogo, i partiti focalizzati sul civilizzazionismo non possono essere giudicati effimeri. Sono emersi rapidamente e la loro popolarità è in costante aumento perché rappresentano un’ampia corrente d’opinione sempre più forte. Dato che perseverano nell’obiettivo di acquisire il potere, è meglio che siano coinvolti e moderati piuttosto che demonizzati ed emarginati.

Infine, cosa più importante, i partiti civilizzazionisti hanno un ruolo chiave nel porre in primo piano le loro questioni, perché gli altri partiti in genere ignorano la sfida dell’immigrazione e quella islamista. I partiti conservatori tendono a trascurare tali problemi, in parte perché i loro sostenitori delle grandi imprese beneficiano della manodopera a basso costo. I partiti di sinistra molto spesso promuovono l’immigrazione e chiudono gli occhi sull’islamismo.

Per apprezzare il ruolo dei partiti civilizzazionisti, si mettano a confronto la Gran Bretagna e la Svezia, due paesi europei che si sono dimostrati poco rigorosi nell’affrontare le forme di islamismo culturalmente aggressive e vergognosamente violente. In assenza di partiti del genere, nel Regno Unito non si fa fronte a questi problemi; l’immigrazione e le incursioni islamiste continuano pressoché senza ostacoli. I premier possono fornire analisi eccellenti, ma le loro parole mancano di implicazioni pratiche, e non vengono affrontate questioni come le aggressioni sessuali perpetrate dalle bande.

La Gran Bretagna non ha un partito civilizzatore perché Nigel Farage ha deciso che l’UKIP non avrebbe affrontato l’immigrazione e l’islamismo.

Al contrario, nel paese scandinavo, il partito civilizzazionista svedese, i Democratici svedesi, avendo raddoppiato i propri voti ogni quattro anni dal 1998, ha sostanzialmente alterato la politica del paese al punto che i blocchi di destra e sinistra si sono alleati contro di esso. Se questa manovra è riuscita a escluderlo dal potere, sono già avvenuti alcuni cambiamenti politici e altri ancora potrebbero esserci, tanto più che un partito conservatore, quello dei Moderati, ha ventilato l’idea finora inconcepibile di cooperare con i Democratici svedesi.

E questo mostra un’altra implicazione: la presenza di un partito civilizzazionista in espansione esercita pressioni sui vecchi partiti di destra e sinistra. I conservatori, temendo la perdita di elettori a causa dei partiti civilizzazionisti, adottano delle linee politiche volte a mantenere il loro sostegno. In Francia, i Repubblicani si sono drasticamente mossi in questa direzione, prima sotto François Fillon e ora con il suo successore Laurent Wauquiez. In Germania, il Partito Democratico Libero ha abbandonato i negoziati per formare un governo con la cosiddetta “coalizione Giamaica” per lo stesso motivo. Angela Merkel potrebbe ancora essere cancelliera del paese, ma il suo ministro dell’Interno, Horst Seehofer, sta facendo del suo meglio per applicare le politiche civilizzazioniste.

I partiti di sinistra hanno inoltre iniziato a prendere atto della perdita di elettori, soprattutto quei lavoratori che tendono a essere economicamente e culturalmente in prima linea. I socialdemocratici danesi hanno indicato la strada quando la sua leader Mette Frederiksen ha dichiarato: “Vogliamo introdurre un tetto al numero di stranieri non occidentali che possono venire in Danimarca” e ha offerto un piano dettagliato, anche se grossolano. Il partito vorrebbe creare centri di accoglienza al di fuori dei confini europei.

Sì, riconosco le loro numerose colpe, ma i partiti focalizzati sull’immigrazione e sull’islamismo sono essenziali per l’Europa per evitare che essa diventi un’appendice del Nord Africa, e continui a far parte della civiltà occidentale che ha creato. Il fatto che essi sollevino la questione dell’immigrazione e quella islamista compensa le loro carenze. Questa valutazione mi induce a sollecitare una cooperazione con i partiti civilizzazionisti, anziché evitarli. In base alla mia esperienza, essi sono aperti alla discussione e all’apprendimento. Ad esempio, Anne Marie Waters, leader di For Britain, si concentra sulla legge islamica della sharia, apportando nuova chiarezza a problemi complessi.

Tornando a Viktor Orbán, nonostante le sue gravi lacune come leader democratico e il suo allineamento con Putin, il suo successo elettorale indica una reale e legittima preoccupazione esistente in Ungheria in merito all’immigrazione e all’islamizzazione, soprattutto dopo l’impennata di entrambe nel 2015-2016. Orbán conduce, ma gli altri non sono molto distanti. Prevedo che fra vent’anni i partiti civilizzazionisti probabilmente saranno diffusamente al governo; non meno importante è che le loro politiche avranno influenzato i loro rivali conservatori e di sinistra. Sarebbe assurdo cercare di ignorare o di ostracizzare questo movimento, molto meglio moderare, educare e imparare da esso.
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