Libertà di parola, di pensiero, di critica e di religione

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Messaggioda Berto » sab dic 09, 2017 1:48 pm

Gadget della destra con il cappio per Merkel: i giudici sassoni ne autorizzano la vendita
Rolla scolari
La procura di Chemnitz ha stabilito che la forca costruita dall’ultra destra di Pegida contro la cancelliera tedesca non è istigazione alla violenza, ma è una forma d’arte
Il tribunale di Chemnitz ha stabilito che il cappio con i nome di Merkel è un manufatto artistico e non un oggetto che istiga alla violenza, e per questo può essere venduto
08/12/2017

http://www.lastampa.it/2017/12/08/ester ... agina.html

Il cappio con scritto «Riservato Angela “Mutti” Merkel» costa 29,95 euro e può essere venduto come gadget, perché secondo la procura di Chemnitz, città tedesca della Sassonia, non si tratta di istigazione alla violenza. Ci sono anche i suoi duplicati in miniatura, altrettanto macabri, forche riprodotte dall’originale nella città sassone di Niederdorf, vendute per 15 euro in un circolo che raduna attivisti della confraternita Heimattreue, i «leali alla patria».

Questi simboli agghiaccianti sono tristemente famosi dopo che sono stati rappresentati in una foto che fece il giro del mondo due anni fa, quando il movimento di estrema destra Pegida (Patriotti europei contro l’islamizzazione dell’Occidente) portò in strada alla marcia anti immigrati un cappio riservato alla cancelliera e al suo vice Sigmar Gabriel. La procura di Dresda aprì un’inchiesta finita nel nulla.

Ora ci hanno pensato i giudici sassoni ad assolvere gli autori della lugubre trovata: come riferisce la Süddeutsche Zeitung, la procura di Chemnitz (spesso accusata di chiudere un occhio nei confronti della destra) mercoledì ha sentenziato che gli oggetti possono essere commercializzati, perché non rappresentano un caso di istigazione alla violenza, reato punito anche con cinque anni di carcere. La Sassonia è la regione in cui, alle ultime elezioni federali, hanno trionfato i nazionalisti dell’Afd. «Nessun reato penale è stato commesso, gli oggetti non invitano ad uccidere Merkel o Gabriel», hanno dichiarato i giudici, dunque la vendita può continuare come se niente fosse. Anzi, la trovata inventata da Jens Doebel, 41 anni, è stata considerata un manufatto artistico. Dopo la denuncia partita da un cittadino e le indagini, al processo i magistrati hanno creduto alla difesa dello stesso Doebel, che ha tentato di convincere la corte che lui non aveva intenzione di incitare alla violenza. Voleva solo creare un simbolo della «morte politica» dei due simboli della politica tedesca, Merkel e Gabriel. Ha tentato, e ci è tristemente riuscito.
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Messaggioda Berto » gio feb 22, 2018 7:53 pm

In Svezia chi critica l’islam rischia il carcere
di Cesare Sacchetti
29 gennaio 2018

https://lacrunadellago.net/2018/01/29/i ... il-carcere

La vicenda surreale, riportata dal giornale svedese Samhällsnytt, della quale è protagonista Denny Abrahamsson suscita serie preoccupazioni sulla libertà d’espressione in Europa. Denny è un tranquillo pensionato svedese di 71 anni, ex libero professionista, che ora si gode la sua pensione tra Stoccolma, la sua città natale, e la Thailandia, dove ama trascorrere diversi mesi all’anno lontano dal rigido clima scandinavo.

Non è affatto un estremista di destra, anzi il suo passato politico lo vede militare nel KPML, l’acronimo che identifica il partito comunista svedese. Nonostante questo, ora il tranquillo pensionato rischia di andare in carcere per le sue opinioni sull’Islam. Lo scorso anno infatti ha pensato di postare dei commenti in un gruppo Facebook dove l’argomento di discussione era l’emergenza degli stupri in Svezia e l’aumento della criminalità nelle “zone proibite” delle città svedesi popolate dagli immigrati.

Per il signor Abrahamsson, il problema degli stupri in Svezia ha un legame con la religione dei suoi autori, spesso quella islamica, e per questo pensa di spiegare meglio il suo pensiero in due commenti del 16 marzo 2017. Il pensionato scrive che “per comprendere la mentalità degli stupratori musulmani è necessario studiare l’Islam.”

Il signor Abrahamsson aggiunge che “la pedofilia e i giochi sessuali con i bambini” sono parte della cultura dell’Islam ed è per questo che i responsabili di questi atti che praticano questa religione non provano nessun senso di colpa e spesso ridono delle loro azioni. “E’ un diritto che Allah e Maometto gli ha dato”.

In un altro commento dello stesso giorno a poco più di un’ora di distanza, l’uomo si sofferma a ragionare sulla “ideologia fascista della religione islamica” fondata da uno dei criminali più grandi della storia, Maometto. “I testi sacri dell’Islam sono pieni di odio contro gli ebrei e i cristiani “, aggiunge, e il fatto che “l’Islam incoraggi la violenza contro gli infedeli è una spiegazione per la crescita del crimine e degli stupri.”

Il pensionato non lesina critiche nemmeno ai testi sacri ebraici e cristiani che a suo dire contengono analoghi riferimenti, ma i fedeli di queste religioni non “lapidano o uccidono nessuno” a differenza dei musulmani che ritengono i loro testi validi ora quanto lo erano 1400 anni fa.

Per quanto le opinioni del signor Abrahamsson possano essere condivisibili oppure no, a seconda della singola opinione che ciascuno può farsi autonomamente dalla consultazione dei testi sacri dell’Islam, questo è bastato a far scattare nei suoi confronti una denuncia penale per l’incitamento all’odio nei confronti di un gruppo di persone, i musulmani in questo caso, e per aver violato il 16esimo capitolo del codice penale svedese.

Denny ha provato a difendersi ribadendo che le sue non erano critiche rivolte ad un gruppo specifico di persone ma ad un’ideologia specifica, l’Islam in questo caso. Ma a quanto pare nella civile Svezia, fa notare l’uomo, “si può criticare il fascismo e il nazismo, ma non l’Islam” ma non si comprende perché l’ideologia alla base di questa religione dovrebbe essere immune dal diritto di critica a differenza delle altre due.

L’aspetto più paradossale della vicenda è che il pensionato è stato interrogato da un agente di polizia, di nome Shari, musulmano lui stesso. Le domande che gli sono state poste non avevano nulla a che fare con il presunto reato, ma erano sulle opinioni personali del signor Abrahamsson sui musulmani, il quale ha ancora una volta ribadito che per lui non è un problema la religione del singolo individuo, se non quando i principi alla base di questa vengono imposti sugli altri con la forza.

Le spiegazioni fornite dall’uomo non sono valse a dissuadere il procuratore incaricato del caso, Tove Kullberg, che ha deciso di rinviarlo comunque a giudizio. Il prossimo 19 giugno inizierà il processo contro di lui e si saprà se in Svezia è ancora possibile criticare l’Islam oppure no.
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Messaggioda Berto » mar mar 27, 2018 8:05 pm

Una donna in Svezia rischia 2 anni di carcere per una vignetta satirica sull’Islam
Cesare Sacchetti
2018/03/03

https://lacrunadellago.net/2018/03/03/u ... -sullislam

Una mamma di 32 anni in Svezia rischia due anni di carcere perchè su Facebook ha condiviso un post di satira sui musulmani. La notizia è stata riportata dal giornale svedese Friatider che racconta come la donna sia finita sotto la lente investigativa delle autorità locali per un contenuto condiviso in un gruppo privato sul popolare social network.

È il secondo episodio simile che si registra recentemente nel paese scandinavo, dopo quello accaduto al pensionato Denny Abrahamsson, che sarà processato il prossimo giugno per le sue idee espresse sull’Islam, sempre su Facebook. Nel caso del signor Abrahamsson, l’uomo era finito sotto accusa perchè aveva sostenuto che l’Islam è una religione di stampo fascista e che esiste un forte legame tra l’aumento degli stupri in Svezia e l’aumento dell’immigrazione.

Tutto questo gli era valsa l’accusa di “incitamento all’odio”, per la quale sarà processato il prossimo giugno. In questa occasione invece, la mamma svedese di Göteborg è stata accusata di aver condiviso una vignetta satirica irrispettosa nei riguardi della religione islamica, ma il reato penale che avrebbe commesso resta sempre quello di incitamento all’odio.

La vignetta satirica per la quale è finita sotto accusa la 32enne svedese




La 32enne, dopo che il suo post era stato segnalato da un utente su Facebook alle autorità locali, è stata chiamata a presentarsi presso la stazione di polizia di Ernst Fontell a Göteborg, dove è stata persino costretta a fare il test del DNA, richiesta che appare del tutto fuori luogo considerate le ragioni per le quali la donna è stata convocata.

È stata poi sottoposta ad un interrogatorio piuttosto brutale, durante il quale ha provato invano a scusarsi, ribadendo che lei non ha nessun pregiudizio contro i musulmani, ma piuttosto è ostile agli estremisti islamici che militano nell’ISIS.

“Non ho nulla contro i musulmani, la migliore amica è musulmana”, ha dichiarato la donna alle autorità di polizia che le hanno persino chiesto se nutrisse dei pregiudizi nei confronti della società multiculturale. Tutto questo non è valso a convincere gli investigatori del caso che hanno deciso lo stesso, su ordine del procuratore Sara Toreskog, di rinviare a giudizio la 32enne per incitamento all’odio, una tipologia di reato che potrebbe costarle ben due anni di carcere.

Per le autorità di polizia, i contenuti condivisi su Facebook dalla donna sono pregiudizievoli nei confronti dei musulmani, e pertanto vanno perseguiti penalmente. Si apre a questo punto una seria riflessione sulla libertà di espressione in Svezia e in Europa, mai a rischio quanto in questo momento.

Le idee e i contenuti espressi sull’Islam nel caso della donna e del pensionato svedese, possono essere o meno condivisibili ma relegarli nella categoria di “incitamento all’odio” appare un modo per attentare alla libertà d’espressione.

Soprattutto gli episodi che si registrano da un po’ di tempo a questa parte in Svezia, non riguardano mai persone che esprimono contenuti critici nei confronti di altre religioni, come il cristianesimo, ma piuttosto solo per la religione islamica.

Chiunque condivida idee che vedono in maniera negativa l’Islam, finisce sotto la lente investigativa delle autorità locali che spesso violano i confini della sfera privata delle opinioni personali, come quelle se si è favorevoli o no alla società multiculturale.

In Svezia, la polizia si sta tramutando in una sorta di polizia religiosa sul modello dell’Arabia Saudita che censura ogni contenuto giudicato offensivo verso l’Islam. Nel cuore dell’Europa democratica, si sta instaurando un regime islamista.
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Messaggioda Berto » mar mar 27, 2018 8:23 pm

«Più libertà di parola negli atenei» Il richiamo del Parlamento britannico
Monica Ricci Sargentini
27 marzo 2018 (modifica il 27 marzo 2018 | 13:10)

http://www.corriere.it/esteri/18_marzo_ ... bc02.shtml

Le opinioni impopolari e controverse devono poter trovare spazio nei campus universitari in Gran Bretagna. È la conclusione cui è giunta la commissione parlamentare congiunta sui diritti umani (Jchr) presieduta da Harriet Harman, l’ex vice leader del partito laburista, chiamata a pronunciarsi sulle «politiche degli spazi sicuri attuate» in alcuni atenei che «sono diventate uno strumento per silenziare le opinioni che non piacciono alla maggioranza mentre erano nate per difendere le minoranze».


Le testimonianze

La commissione ha sentito 34 testimonianze e letto 109 relazioni. Nel rapporto finale, che è stato pubblicato oggi, si elencano i fattori che limitano la libertà di parola. Tra questi: i regolamenti troppo complessi, gli atteggiamenti intolleranti mascherati dalle politiche per gli «spazi sicuri», i comportamenti intimidatori attuati da alcuni gruppi che impediscono dibattiti e eventi. «Gli spazi sicuri - si legge nel rapporto- non possono restringere il diritto alla libertà di espressione. L’Università è un luogo in cui le opinioni più diverse devono poter essere ascoltate ed esplorate. I punti di vista delle minoranze non possono essere messi al bando dai sindacati degli studenti».


Le contestazioni

Il diritto di contestare opinioni che non condividiamo, in sintesi, non può portare alla cancellazione di discorsi o convegni. «Intimidire le persone che stanno esercitando il loro diritto alla libertà di espressione è deplorevole soprattutto quando gli incontri vengono interrotti da contestatori mascherati. Questo è inaccettabile e deve finire. La polizia dovrebbe prendere provvedimenti. Se le associazioni degli studenti impediscono alle persone di parlare le università dovrebbero prendere provvedimenti disciplinati per proteggere la libertà di parola» è l’opinione della Commissione.


I singoli casi

La commissione però non ha trovato una censura su vasta scala ma solo una serie di allarmanti episodi singoli. Tra i casi esaminati quello di Julie Bindel, la giornalista femminista che da anni si batte contro la regolarizzazione della prostituzione e che difende gli spazi dedicati alle donne, e quello di Peter Tatchell, l’attivita per i diritti degli omosessuali, che è stato accusato di transfobia proprio per aver criticato l’abitudine di alcune università a stilare liste di persone che non possono salire sul palco e parlare. L’ultimo episodio ha riguardato il deputato conservatore Jacob Rees-Mogg che, all’inizio di febbraio, è stato interrotto dai contestatori mentre parlava alla University of the West of England. Un portavoce del ministero dell’Istruzione ha ricordato che le università sono «tenute per legge a rispettare la libertà di espressione».


Alberto Pento
E le critiche al nazismo maomettano?
E le critiche all'antisemitismo maomettano?
E le discriminazioni verso i nazionalisti inglesi?
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Re: Libertà di parola, di pensiero, di critica e di religion

Messaggioda Berto » mer lug 11, 2018 10:46 am

Belpietro assolto per il titolo ‘Questo è l’Islam’
CHIARA BALDI
2018/07/10

http://www.lastampa.it/2018/07/10/milan ... agina.html

Avere associato sulla prima pagina di ‘Libero’ il titolo ‘Questo è l’Islam’ a una foto dell’attacco terroristico al giornale parigino Charlie Hebdo non costituisce “vilipendio” nei confronti dei fedeli musulmani. Lo stabilisce oggi una sentenza del Tribunale milanese, che ha assolto perché il “fatto non sussiste” Maurizio Belpietro, finito a processo e assolto per la seconda volta (dopo essere già finito alla sbarra e scagionato per il titolo ‘Bastardi islamici’) con le accuse di vilipendio aggravato e violazione della legge Mancino del 1993 che punisce “discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.

Il giudice monocratico della decima sezione penale del Tribunale di Milano, Ombretta Malatesta, non ha così accolto la richiesta del pm Piero Basilone di condannare il giornalista a una multa da 7500 euro. Secondo il pubblico ministero infatti, Belpietro offese “pubblicamente l’Islam, creando una immedesimazione tra l’atto terroristico e la religione”. Immedesimazione che non esiste, secondo l’accusa, che nella sua requisitoria ha portato all’attenzione del giudice non solo alcuni passaggi del Corano, ma anche una lettera firmata nel 2014 da 124 guide musulmane e indirizzata ad Al-Baghdadi, califfo del sedicente Stato Islamico, in cui si criticava l’interpretazione della religione da parte dell’Isis e si ribadiva che la fede islamica “proibisce la violenza” in nome di Allah.

Insomma, secondo il pm, Belpietro con quel titolo “non ha rispettato il presupposto di verità sull’Islam”. E questo è ancora più grave, in quanto il giornalista è “un uomo colto e stimato, capace di orientare il consenso e quindi il suo operato è ancora più pericoloso”. Diversa la tesi del difensore del giornalista, l’avvocato Valentina Ramella, secondo la quale può essere punito solo chi offende direttamente i credenti di qualsivoglia religione e non chi offende il credo in sé. Dunque, secondo il legale che si è visto accogliere oggi la tesi dal giudice, Belpietro doveva essere “assolto perché il fatto non sussiste” in quanto, a suo dire, non vi sarebbe stata “offesa diretta né a una, né a 150, né a un milione di persone”.
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Messaggioda Berto » sab set 01, 2018 8:16 am

Processo alla De Mari: a rischio le tre libertà dell'uomo
Andrea Zambrano
14-07-2018

http://www.lanuovabq.it/it/processo-all ... a-delluomo

Comparirà il 18 luglio davanti al giudice di Torino. Silvana De Mari, scrittrice fantasy e medico, dovrà rispondere di diffamazione per le sue affermazioni sul "sesso" omoerotico, trascinata in tribunale dal Torino Pride e dal sindaco Appendino. Lei si affida a una memoria difensiva interamente medica e riceve l'appoggio di migliaia di persone. Il suo legale, il penalista Mauro Ronco spiega alla Nuova BQ perché questo processo segna un punto di svolta in Italia: "Per la prima volta nel nostro Paese sono a rischio tutte insieme tre libertà fondamentali per l'uomo: di opinione, di divulgazione scientifica e di religione".


Silvana De Mari

“Con questo processo per la prima volta in Italia sono in gioco contemporaneamente le tre libertà principali della nostra civiltà: quella di opinione, quella di divulgazione scientifica e quella di religione”. L’avvocato Mauro Ronco commenta così con la Nuova BQ l’imminente udienza che vedrà come imputato la scrittrice, e medico, Silvana De Mari, trascinata in tribunale da un’associazione Lgbt per aver espresso semplicemente una verità scientifica circa la condizione dell’omosessualità. Diffamazione. Questo è il capo di imputazione per il quale la scrittrice fantasy dovrà comparire il 18 luglio prossimo davanti al giudice del tribunale di Torino.

Sotto accusa le dichiarazioni e le prese di posizione che la De Mari ha fatto nel 2016 su diverse testate (tra cui la Zanzara, la Nuova BQ e la Crocequotidiano) e il suo profilo Fb per mettere in guardia gli omosessuali dal rischio sanitario della loro condotta. Parole dure, ma vere, che la De Mari si è sentita di pronunciare principalmente da medico, dopo essere stata tanti anni a contatto con le conseguenze sanitarie di pazienti omosessuali. Ma parole politicamente scorrette, che oggi è vietato ricordare e per le quali d’ora in avanti bisognerà stare attenti dal pronunciare pena appunto il doverne rispondere di fronte al giudice.

La De Mari ha pubblicato una memoria difensiva sul suo blog nella quale entra nel dettaglio delle accuse a lei rivolte e spiega, dati scientifici alla mano perché la sua è un’attività di informazione scientifica incontestabile. Uno scritto nel quale la donna si propone di “di dimostrare che le accuse formulate nel capo di imputazione non hanno alcun fondamento. Io ho sempre inteso esprimere la verità scientifica, peraltro corrispondente alla verità metafisica, riguardante il significato della sessualità umana, nonché le gravi malattie che si trasmettono sessualmente attraverso pratiche di erotismo anale”.

E si affida a Orwell: “Nell’ora dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario. Ora, a stare al fatto che è iniziato un procedimento penale nei miei confronti, sembra addirittura che dire la verità sia un atto criminale”. Nel frattempo è stato lanciato l'hastag #iostoconsilvanademari ed è stato fatto un appello al quale hanno già aderito migliaia di persone.

La De Mari ha chiarito che fino a due anni fa “pensavo che l’omosessualità non fosse genetica e irreversibile. Avevo sempre dato per scontato che fosse costituzionale e mi ero resa conto nella mia carriera di medico dei problemi che dà dal punto di vista fisico e di tipo psicologico. Ma la conoscenza dei casi di Luca Di Tolve, Joseph Sciambra e Richard Cohen, tutti ex omosessuali che grazie alle terapie riparative hanno dimostrato come quella omosessuale non sia una situazione irreversibile, ho deciso di uscire allo scoperto e mettere a disposizione dell’opinione pubblica la verità sui rapporti omoerotici e sulla promiscuità sessuale, che moltiplica le malattie e non ha nulla di allegro”.

La memoria difensiva, che verrà consegnata al giudice, costituisce il grosso della difesa della De Mari, che è seguita dagli avvocati Mauro Ronco e Fabio Candalino. Ed è proprio con Ronco (in foto), avvocato penalista e principe del foro, ma anche giurista di fama e presidente del Centro Studi Livatino, che la Nuova BQ ha cercato di capire perché il processo De Mari che si aprirà a Torino segnerà per certi versi uno spartiacque in Italia.

Professore Ronco, il processo De Mari dunque ha a che fare con tante libertà?
Noi sosterremo la libertà di espressione come livello più elementare di difesa ma sopra questa arriveremo alla libertà scientifica e infine alla libertà religiosa. Il punto è che sembra essersi imposta anche a livello di diritto una assurda pretesa: quella che non si possono muovere critiche o osservazioni di coloro che praticano una determinata attitudine sessuale, che è riprovata dall’Antico e dal Nuovo Testamento. Se passasse questo concetto vorrebbe dire che in Italia non si può neanche proclamare la verità della Scrittura.

Ma la Scrittura è la Scrittura, la scienza invece…
Ci sono verità naturali che vengono confermate a livello di rivelazione e che le Scritture raccontano. Prendiamo San Paolo dove l’omosessualità è riprovata grandemente perché non è conforme alla natura, la quale è legata alla fecondità. Vietare di dire che questo tipo di genitalità rinnega lo scopo fondamentale della sessualità dunque è anche un attacco alla libertà religiosa.

Ma la De Mari è un medico e non una religiosa…
Per quanto riguarda invece la libertà di divulgazione scientifica, la dottoressa De Mari ha esposto delle realtà di carattere scientifico e non ha offeso nessuno, anzi rispetto alle persone di tendenza omosessuale ha sempre manifestato il massimo rispetto. Nel suo atteggiamento e nei suoi scritti e interviste non c’è nessuna intenzione di diminuire la dignità delle persone. Lei vuole sottolineare il carattere non conforme di queste abitudini sessuali. E ciò è comprovato dalle malattie gravi di cui possono essere veicolo queste relazioni. Inoltre, ha documentato le gravi malattie di carattere infettivologico e lesivo dell’ano che derivano da questo comportamento sessuale.

Opinioni, dunque? Tali da meritare una denuncia per diffamazione appoggiata non solo dall’estensore, il Torino Pride, ma anche dal sindaco sotto la Mole Chiara Appendino?
Siamo di fronte a qualche cosa di più di opinioni, ma fondamentali nozioni scientifiche e verità sulla natura umana. Ciascuno conserva la sua libertà di esprimere determinate tendenze, ma il medico ha la libertà e il dovere di esprimere tutte le contrarietà del caso e anche di mettere in guardia rispetto ai rischi per la salute. Tutta la sua opera e le dichiarazioni rese in quelle determinate occasioni sono state per mettere in luce ciò che il sesso anale comporta. Ecco perché è a rischio la libertà scientifica: proprio perché così facendo si impedisce a un medico di esercitare il suo dovere di informazione.

Ma che cosa oppone il Pride di Torino? Avanza ad esempio controprove scientifiche che quello che scrive lei è sbagliato o non pienamente condiviso dalla comunità scientifica?
No, niente di tutto questo. E non potrebbe essere altrimenti perché non esiste qualche cosa di scientifico che si possa opporre. Il Pride ha detto semplicemente che abbiamo violato la libertà di queste persone che loro rappresentano e violato il loro onore, ma in tutta verità non si capisce che cosa avremmo discriminato o leso dal momento che l’attività della De Mari è sempre stata animata da evidenze scientifiche e non da quel livore ideologico-politico che invece si ravvisa dalla denuncia.

Perché si è arrivati al processo?
Il Pm aveva chiesto l’archiviazione. Ma davanti al Gip c’è stata l’opposizione del movimento Lgbt e il giudice, secondo il rito ha deciso che il pm dovesse esercitare coattivamente l’azione penale. Così siamo arrivati alla prima udienza il 18 luglio.

Avete sentito la pressione delle cosiddette lobby gay?
Indiscutibilmente. Questa operazione è portatrice di un interesse volto a rafforzare l’intangibilità delle critiche in modo da tacitare ogni tipo di libertà. L’azione lobbistica è evidente. Ma è un modo per farsi forza che produce come effetto l’impossibilità di esercitare un’influenza di carattere medico per impedire la manifestazione di verità scientifiche. Questo è molto grave.

Ritiene che questo processo segni un punto di svolta?
Assolutamente sì. In tanti anni di carriera è la prima volta che mi trovo ad affrontare un caso del genere in cui sono messe in discussione contemporaneamente tre delle libertà fondamentali dell’uomo.


Processo a Silvana De Mari: tutto rinviato a settembre

https://www.loccidentale.it/articoli/14 ... -settembre

Tutto rinviato al 14 settembre. Si è conclusa così la prima fase del processo contro la dottoressa Silvana De Mari, accusata di diffamazione per alcune dichiarazioni pubbliche in cui aveva equiparato l'omosessualita' a una malattia. Il Comune di Torino è tra i soggetti che n tribunale, hanno chiesto di costituirsi parte civile nel processo. A denunciare la dottoressa era stato il Torino Pride. La procura di Torino aveva chiesto l'archiviazione del procedimento sostenendo che non era possibile individuare un bersaglio specifico delle frasi offensive ma il gip Paola Boemio aveva ordinato di formulare un capo di imputazione.

Nel frattempo la campagna di solidarietà a Silvana De Mari, in difesa della libertà di espressione e contro la dittatura del politicamente corretto continua.



Quale diffamazione? È stato un puro processo politico
Silvana De Mari

http://www.lanuovabq.it/it/quale-diffam ... o-politico

Sono stata assolta da tutte le accuse riguardanti offese alle persone con un comportamento omoerotico. E condannata per due affermazioni sul movimento LGBT. Il mio è stato in tutto e per tutto un processo politico, non un banale processo di diffamazione. Un esempio? Durante il processo moltissime persone sono venute a sostenermi, ma il pubblico ministero li ha stigmatizzati in aula e ha dichiarato di trovarli disdicevoli.

IL LEGALE: «MA SULLA PEDOFILIA RICORREREMO», di Andrea Zambrano
-LA NOSTRA INTERVISTA FINITA SOTTO ACCUSA NON È REATO

SILVANA DE MARI

Quando sono entrata in campo sapevo che sarebbe stata una maratona, non i 100 metri. La prima puntata di una guerra lunga è terminata. Me la sono cavata con la condanna su due imputazioni solo, e ho guadagnato parecchio. Le mie idee stanno rimbalzando dappertutto, e per necessità di cronaca, anche giornali non simpatizzanti per queste idee.

Le mie idee sono esattamente le stesse che l’ex gay e psicoterapeuta Richard Cohen riporta nella prima pagina del suo bellissimo libro Riscoprirsi Normali libro dove tra l’altro spiega che gli ex gay sono più numerosi dei gay.

- Nessuno nasce con un orientamento omosessuale

- Non esiste alcun dato scientifico a sostegno dí una base genetica o biologica dell'attrazione verso individui dello stesso sesso.

- Nessuno sceglie di provare attrazione per individui dello stesso sesso.

- Tale attrazione è la conseguenza di traumi infantili irrisolti che conducono alla confusione dell'identità sessuale.

- Gli individui possono scegliere di cambiare e di passare da un orientamento omosessuale a un orientamento eterosessuale.

- L'attrazione per individui dello stesso sesso non è congenita.

- Ciò che si è imparato può essere disimparato.

- Quando le ferite vengono guarite e vengono colmati i bisogni insoddisfatti, si sperimenta l'identità sessuale e viene alla luce il desiderio eterosessuale.

- Non siamo di fronte a una cosa buona o cattiva, ma a un disturbo affettivo nei confronti di individui dello stesso sesso.

- Non c'è nulla di "gaio" nello stile di vita omosessuale; è caratterizzato da molte delusioni e il più delle volte da una incessante ricerca d'amore attraverso relazioni codipendenti.

- Non è una cosa cattiva provare attrazione per individui dello stesso sesso, poiché ciò rappresenta uno stimolo a guarire un bisogno d'amore insoddisfatto. Tuttavia, agire in base a tale desiderio provoca frustrazione e sofferenza.

- Ci si trova di fronte a un disturbo affettivo nei confronti di individui dello stesso sesso per cui l'individuo non riconosce la propria mascolinità o femminilità e cerca disperatamente di colmare la lacuna unendosi a qualcuno dello stesso sesso.

Sono stata assolta da tutte le accuse riguardanti offese alle persone con un comportamento omoerotico. Quindi ora sappiamo che possiamo affermare che la condizione maschile omoerotica passiva è gravata da un tasso di malattie sessualmente trasmissibili venti volte superiore al resto della popolazione. (ma in uno studio eseguito a New York City è 140 volte di più)

Possiamo dire che la sodomia, sia che sia fatta contro un uomo o contro una donna mette in circolazione batteri fecali che sarebbe stato meglio non uscissero dalla strada maestra Intestino, water closed, sciacquone e via per sempre, e quindi è anti-igienica perché i batteri fecali sono la seconda causa di morte per infezione, seconda solo alle infezioni respiratorie, e in più ci sono i virus, tra cui quello dell’ epatite A che si è quintuplicato nella popolazione gay negli ultimi anni.

Possiamo impedire che ai nostri figli venga insegnato che l’erotismo anale è qualcosa di normale, e possiamo dichiarare ad alta voce che ci ripugna. Possiamo dire che il comportamento omoerotico è reversibile.

Il mio è stato in tutto e per tutto un processo politico, non un banale processo di diffamazione. Il comune di Torino si era costituito parte civile, fortunatamente rifiutato. Durante il processo moltissime persone sono venute a sostenermi: hanno affrontato il freddo e viaggi lunghi. La loro presenza è stata bellissima e fondamentale. Hanno insistito per sostenermi in tutti i modi, incluso vendendo i miei libri. Il pubblico ministero ha trovato questo gravemente disdicevole, e ha trovato disdicevole che queste persone mi sostenessero, ha trovato disdicevole che “facessero parte delle Sentinelle in piedi o di Alleanza Cattolica. “. Ignoro se ci fossero Sentinelle in piedi o appartenenti ad Alleanza Cattolica, personalmente non sono inscritta a nessuno di questi due movimenti, ma che un pubblico ministero in un aula di tribunale li stigmatizzi, è un segno di politicizzazione.

Sono stata condannata per due affermazioni sul movimento LGBT : il movimento LGBT sta intralciando la libertà di parola, tra le altre cose citavo il “decalogo” per i giornalisti che ho riportato in un precedente articolo, e i rapporti che il movimento LGBT ha con gruppi pedofili e citavo tra l altro i rapporti tra ILGA, il movimento a cui sono affiliati tutti i gruppi LGBT e il NAMBLA, Nord America Men Boy Lovers Association. ( trovate tutto su Google se digitate queste due sigle), e la presenza in Italia di un circolo, finanziato con denaro pubblico intitolato a Mario Mieli: cercate su Wikipedia chi è questo signore.

Se sono stata condannata vuol dire che non è vero. Non è vero che il movimento LGBT vuole imbavagliare la libertà di parola? Evviva! Quindi possiamo considerare decaduto l’assurdo decalogo LGBT ai giornalisti che imbavaglia la libertà di stampa? Non è vero che il movimento LGBT non prenda le distanze dalla pedofilia? Evviva! Quindi domani tutti i movimenti LGBT di Italia prenderanno le distanze da Mario Mieli e dal suo libro?

Sicuramente sì, perché una sentenza non può sbagliare.

In fiduciosa attesa

Silvana De Mari.



Gender una schifosa violazione dei diritti umani
viewtopic.php?f=181&t=1634

Coki-cokeria, veła, xmoca, gay e altre stranbarie
viewtopic.php?f=44&t=264




Il processo a Silvana De Mari. Una lezione di coraggio
Giuliano Guzzo Notizie Pro Vita
dicembre 2018

https://www.notizieprovita.it/notizie-d ... i-coraggio

Lo scorso venerdì 14 dicembre, a Torino, si è concluso il primo grado di giudizio del processo contro Silvana De Mari, alla quale erano contestati otto contestati capi di imputazione. I grandi media – come c’era da aspettarsi, conoscendoli – hanno raccontato la sentenza emessa come una condanna del medico e scrittrice che, secondo i canoni della cultura dominante, sarebbe «omofoba» e che quindi, in quanto tale, avrebbe offeso ingiustamente le persone omosessuali; di qui la sua condanna. La realtà però è ben diversa, sia perché in Italia si è innocenti fino al terzo grado di giudizio sia perché, di fatto, la De Mari è stata assolta da sei capi di imputazione sugli otto contestati.

La voce del buon senso In particolare, com’è lei stessa a raccontare, con la sua assoluzione è stato riconosciuto un diritto importante: quello di poter criticare lo stile di vita gay. «Sono stata assolta da tutte le accuse riguardanti offese alle persone con un comportamento omoerotico», ha sottolineato la dottoressa De Mari, «quindi ora sappiamo che possiamo affermare che la condizione maschile omoerotica passiva è gravata da un tasso di malattie sessualmente trasmissibili venti volte superiore al resto della popolazione (ma in uno studio eseguito a New York City è 140 volte di più)». L’assoluzione per aver fatto affermazioni del genere in un contesto culturale gayfriendly come il nostro, che vede il mondo Lgbt osannato, non è certo cosa di poco conto.

Tuttavia, anche un atteggiamento di eccessivo entusiasmo per questa sentenza sarebbe fuori luogo. Infatti la bestsellerista piemontese è stata comunque riconosciuta colpevole per un paio di sue prese di posizione: quella secondo cui il movimento Lgbt starebbe intralciando la libertà di parola – intralcio per esemplificare il quale la De Mari aveva citato un apposito “decalogo” messo a punto per i giornalisti – e i rapporti che il movimento Lgbt intrarrebbe con gruppi pedofili.

Anche per questo motivo il suo legale, il prof. Mauro Ronco, ha annunciato ricorso in appello. «Dicendo che le sigle Lgbt devono accettare in un confronto democratico anche la critica e qui la critica non è che favoriscono la pedofilia», ha spiegato Ronco, «ma che si sono inserite in un movimento di carattere mondiale in cui le tendenze di liberalizzazione della pedofilia sono state forti. Noi faremo rilevare la tendenza storica e sono fiducioso che in appello questo venga riconosciuto». Dunque, sotto il profilo giudiziario la vicenda De Mari non è ancora conclusa. Staremo a vedere.

Questo tuttavia non ci impedisce – ricostruite, sia pure in estrema sintesi, le dinamiche processuali – di esprimere un giudizio sulla vicenda. Un giudizio non giuridico evidentemente, ma più generale a proposito di due semplici aspetti. Il primo è il coraggio della dottoressa Silvana De Mari. Un coraggio manifestato non tanto e non solo nel processo, ma anche prima di esso, dato che probabilmente, anzi certamente, lei per prima era consapevole che di questi tempi un certo tipo di affermazioni, così politicamente scorrette, avrebbero potuto anche avere conseguenze di un certo tipo, come quelle che ha purtroppo avuto.

Il secondo aspetto rilevante e meritevole di una sottolineatura concerne il senso della battaglia e, più ancora, di una vittoria possibile sì, ma solamente quando si accetta la sfida. Viceversa, se ci si rassegna in partenza la sola cosa certa è la sconfitta. In un suo memorabile passo, G.K. Chesterton profetizzava un tempo nel quale «spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate» (Eretici, Lindau, Torino 2010, pp. 242-243). Il celebre scrittore però non precisava quale sarebbe stato il tempo, né chi avrebbe avuto il coraggio di sguainare la spada per primo. Ora però sappiamo che quel tempo è arrivato e che ad impugnare la spada e a guidare l’esercito del buon senso, c’è una donna coraggiosa come Silvana De Mari.



Silvana De Mari: «Vi racconto il mio processo. La mia difesa»
Americo Mascarucci Notizie Pro Vita

https://www.notizieprovita.it/senza-cat ... mia-difesa

Un processo alla libertà d’informazione e al diritto di “pensarla diversamente”. In questo si sta sostanzialmente concretizzando il processo per diffamazione contro Silvana De Mari, scrittrice di libri fantasy, blogger e medico chirurgo, querelata dalle associazioni Lgbt per aver espresso giudizi “politicamente scorretti” sull’omosessualità. Il suo processo sta diventando un evento mediatico a tutti gli effetti. Sono diverse le personalità del mondo politico che la stanno sostenendo, da Carlo Giovanardi a Gaetano Quagliariello fino a Eugenia Roccella e molti altri: la difendono psichiatri come Alessandro Meluzzi, diversi esponenti del mondo cattolico come Luigi Amicone e Assuntina Morresi, testate giornalistiche come La Verità di Maurizio Belpietro, associazioni impegnate nella difesa dei temi etici, fra cui Pro Vita e Generazione Famiglia. Una sua condanna infatti rischierebbe di far passare un messaggio molto pericoloso, ossia che non possa esistere alcuna opinione contraria all’ideologia gender, laddove questa per esempio si ostina a voler “imporre” un’origine genetica all’omosessualità, o a negare che da questa condizione si possa uscire.

Dottoressa, come sta andando il processo?

«Abbiamo concluso la parte istruttoria che a mio giudizio è andata molto bene, visto che sono riuscita a spiegare le mie ragioni. Ora ci sarà la parte della discussione prevista il 13 dicembre, giorno di Santa Lucia».

Quali sono state le ragioni che ha esposto?

«Ho in pratica spiegato i motivi per cui ho fatto determinate dichiarazioni. Ho anche portato del materiale e ho illustrato per l’ennesima volta l’esatto significato del termine pedofilia. Ho ribadito che si tratta di un orientamento sessuale caratterizzato dall’attrazione per i minori, ma che non significa mettere le mani sui bambini. Quindi una persona è da ritenersi un pedofilo nel momento stesso in cui manifesta preferenze sessuali per i minori indipendentemente dal fatto che abusi o meno di loro. Conosco bene cos’è la pedofilia visto che l’ho studiata e su di essa ho sostenuto due esami, mentre questa parola non compare nemmeno una volta sul codice penale. Quando ho detto che l’omosessualità non è congenita e non è genetica, e quindi si può smettere di essere gay, ho soltanto affermato delle verità scientifiche. Quando sostengo che certe malattie sono più alte nella comunità omosessuale che altrove, sto rivelando una verità statisticamente dimostrata, al di là di ogni ragionevole dubbio, che peggiora anno dopo anno».

Quindi in sostanza cosa le viene contestato?

«Il movimento Lgbt vuole imbavagliare la libertà di opinione e lo sta facendo contestando le mie parole che preferisco non ripetere almeno fino a giudizio concluso».
Come si sente? Ottimista?

«Penso ci siano delle speranze, ma la cosa più interessante è che grazie a queste denunce il messaggio che volevo veicolare nell’opinione pubblica sta rimbalzando come speravo. Di questo sono molto soddisfatta. Il mio processo non è soltanto un processo contro la libertà di parola ma anche contro la libertà di scelta. Il decalogo che la comunità Lgbt ha ad esempio imposto all’ordine dei giornalisti, al punto 8 stabilisce che ogni giornalista è chiamato a definire luogo comune qualsiasi riferimento alla necessità che il bambino abbia un papà e una mamma perché la scienza ha dimostrato il contrario. Questo è assolutamente falso. Negli Usa sono state bloccate le ricerche scientifiche sulla modificazione dell’orientamento omosessuale, sono vietate per legge.
È un processo anche contro la libertà di fede. Se qualcuno osasse oggi riportare ad alta voce le affermazioni che Santa Caterina da Siena dichiara di aver ricevuto direttamente da Gesù Cristo, in molte nazioni rischierebbe il carcere».

Tante persone la stanno sostenendo in questa battaglia, cosa si sente di dire loro?

«Che le benedico con tutto il cuore. Benedico tutti coloro che sono venuti a sostenermi in Tribunale, i tanti che stanno pregando per me, quelli che stanno addirittura raccogliendo soldi per supportare la mia causa, le persone che mi scrivono per farmi coraggio. Senza di loro forse non ce l’avrei fatta a sopportare tutto questo».



Ecco un esempio della disonformazione dei giornalacci

Silvana De Mari condannata per le sue frasi contro la comunità Lgbt. Disse: "L'omosessualità è contro natura"
di Andrea Giambartolomei | 14 dicembre 2018

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/1 ... ra/4836388

Il suo nome è diventato molto noto per gli interventi critici contro la comunità Lgbt e gli omosessuali. Secondo lei l’omosessualità è “contro natura”, accostabile anche al satanismo. A darle sostegno, anche oggi in aula, c’erano invece simpatizzanti dei movimenti Pro Vita e del Popolo della Famiglia. La dottoressa Silvana De Mari, 65 anni, autrice di libri fantasy ha subito oggi una condanna per le sue affermazioni. Il tribunale di Torino l’ha ritenuta responsabile di diffamazione e le ha inflitto una multa di 1.500 euro, superiore rispetto a quella chiesta ieri dal sostituto procuratore Giuseppe Riccaboni.

Secondo la procura di Torino, De Mari “offendeva in più occasioni l’onore e la reputazione delle persone con tendenza omosessuale” e sosteneva che “tollerare l’omosessualità equivale ad accettare la pedofilia”. Sul suo blog e in alcuni articoli aveva sostenuto che “se si stabilisce che l’omosessualità non è un disordine, allora anche la pedofilia lo può essere altrettanto”. E ancora: “Il movimento Lgbt vuole annientare la libertà di opinione e sta diffondendo sempre di più la pedofilia”. A La Zanzara, trasmissione di Giuseppe Cruciani e David Parenzo su Radio24, aveva dichiarato che i rapporti omosessuali sono una forma di violenza fisica usata anche come iniziazione al satanismo. Il giudice Melania Eugenia Cafiero l’ha ritenuta colpevole di diffamazione per alcune affermazioni, mentre l’ha assolta per altre: quali siano le frasi diffamatorie si saprà soltanto con le motivazioni della sentenza tra trenta giorni.

Stamattina, poco prima della lettura del verdetto, la dottoressa ha tentato un’ultima difesa con alcune spontanee dichiarazioni: “In questo processo è fondamentale parlare della questione di maggiore ‘morbidità’ (indice delle statistiche sanitarie sulla frequenza di una malattia nella popolazione, ndr). Nel momento in cui dico che gli uomini che fanno sesso con altri uomini hanno rischi maggiori di contrarre malattie e tumori, è documentato. Se non ci fossero questi dati questo sarebbe un sacrosanto processo”. De Mari ha anche sostenuto che, in base a dei dati, “nel momento del gay pride le malattie sessualmente trasmissibili aumentano”.

Non è bastato a evitare la condanna, anche se per il suo avvocato, il professore Mauro Ronco, Silvana De Mari “è stata condannata soltanto per una frase rivolta al movimento Lgbt” e non per le frasi pronunciate sui comportamenti omosessuali, quelle in cui denuncia i rischi sanitari. Lei si reputa soddisfatta: “La libertà di critica è salva. Da medico è un mio dovere denunciare i rischi – ha detto dopo la sentenza annunciando il ricorso in appello -. Quello Lgbt è un movimento politico che ho diritto di attaccare”. Dovrà risarcire due associazioni, il Coordinamento Torino Pride e la Rete Lenford, con una provvisionale di 2.500 euro ciascuno. L’avvocato che rappresenta la prima organizzazione, Nicolò Ferraris, si dice soddisfatto della decisione. “È una sentenza storica – afferma l’ex presidente del Coordinamento, Alessandro Battaglia -. A quanto ci consta mai è successo che un’associazione Lgbt venisse ammessa a un processo per diffamazione”. Nonostante la condanna, De Mari non intende indietreggiare. Tuttavia il 21 marzo prossimo dovrà ripresentarsi in tribunale per un altro processo per diffamazione, questa volta ai danni del Circolo “Mario Mieli” di Roma.
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Messaggioda Berto » sab set 08, 2018 7:24 am

La star atea viene fischiata quando critica l’islam. Dawkins e soci nei guai
di Giulio Meotti

https://www.facebook.com/antonello.busa ... n__=K-RH-R

Vada definire sant’Agostino un “ignorante”, bollare il Dalai Lama come un “monarca ereditario”, chiamare Blaise Pascal “sordido”, liquidare lo scrittore inglese C. S. Lewis come un uomo “patetico”, il re David come un “bandito”, Martin Luther King come un “orgiasta” e Mosè come “un autoritario sanguinario che incitava al genocidio”. Ma guai a definire il Corano come un “libro sessuofobo” o affermare che i kamikaze sono espressione dell’islam. L’ateo non si porta più quando critica il Corano. Era già successo in Italia al compianto Christopher Hitchens, che il nostro ateista militante Piergiorgio Odifreddi chiamò “reazionario” per via delle sue idee sull’islam.

“Sono i nuovi islamofobi”, attacca un lungo articolo sul magazine progressista Salon dedicato ai nuovi atei, o come li ha definiti il filosofo inglese John Gray, autore di “Cani di paglia” (Ponte alle Grazie), lo “squadrone anti Dio”. Richard Dawkins, il più celebre ateo del mondo, ha perso molti lettori dopo che ha definito l’islam “la più grande forma di male al mondo”. Il 25 marzo il noto evoluzionista incalza: “Non devi aver letto il Corano per avere una opinione dell’islam, così come non devi aver letto il ‘Mein Kampf’ per avere una opinione sul nazismo”. Sembra di sentir parlare l’olandese volante Geert Wilders. Ma è solo un assaggio della miscellanea atea del biologo Dawkins, che riscuoteva ben maggiori consensi quando paragonava il cristianesimo paolino alle molestie sessuali e l’educazione cattolica alla pedofilia.

Lo scorso dicembre l’International Humanist and Ethical Union, l’associazione che raggruppa centoventi organizzazioni “atee, razionaliste e umaniste” in oltre quaranta paesi, in occasione della Giornata mondiale per i diritti umani ha pubblicato la sua “watch list”, chiamata “Freedom of Thought 2012”, per denunciare i paesi che perseguitano i “senza dio”. In classifica svettano sette paesi islamici.

La settimana scorsa Dawkins è incappato nella contestazione degli studenti musulmani dell’University College London, dove si era recato per una conferenza. È successo che l’aula, a causa dell’alta presenza di alunni di fede islamica, era stata divisa fra uomini e donne, in omaggio alla sharia, la legge islamica. Dawkins ha detto che non avrebbe avallato questa “segregazione sessuale”, questa forma di “apartheid”. Giù contestazioni e fischi, quando Dawkins è solito ricevere soltanto applausi. L’altro ateo di lusso che se la passa male è John Harris, le cui critiche all’islam sono non meno tranchant: a suo dire “gli attentati suicidi sono stati razionalizzati da buona parte del mondo musulmano”. Harris critica coloro che ne minimizzano la relazione con la religione (“chiunque affermi che i precetti dell’islam ‘non hanno nulla a che fare col terrorismo’ non fa che giocare con le parole”) e con i sacri testi (“siamo in guerra proprio con quella visione del mondo prescritta a tutti i musulmani dal Corano, e poi ulteriormente elaborata nella letteratura degli hadith”). Per queste e altre esternazioni, Harris si è visto tagliare i contatti da parte di organizzazioni liberal come il Center for Inquiry, l’American Humanist Association e Americans United for Separation of Church and State. Anche l’ateo più discusso di Francia, Michel Onfray, l’autore di quel “Trattato di ateologia” che ne ha fatto il più ricercato opinionista anticattolico (“ateo di servizio”, si è definito egli stesso), è caduto in disgrazia per i commenti anti islamici. Sul Monde, Maurice T. Maschino, autore del pamphlet anticristiano “La République des bigots”, ha pubblicato un articolo dal titolo: “Michel Onfray ha perduto il suo spirito ribelle?”, perché a suo dire dell’islam dimostra di vedere solo “la faccia nera, cupa e tragica”. E, orrore, scrive Maschino rivolgendosi a Onfray, “ti allinei a Houellebecq”, che per le sue idee anti islamiche fu messo a processo a Parigi. La “colpa” di Onfray è aver dichiarato al giornale arabo al Watan che “dopo secoli di cultura musulmana non c’è stata nessuna invenzione, nessuna ricerca… sul terreno della scienza laica”.
E come a voler coronare questa cacciata dei nuovi atei dal parterre culturale c’è la messa al bando dei libri darwiniani di Dawkins dalla Turchia neo islamica di Tayyip Erdogan. Per essere osannato, l’intellettuale ateo deve accusare Dio o Yahweh, ma riceverà soltanto fischi quando se la prenderà con Allah.


Gino Quarelo
Non occorre essere atei per criticare la mostruosa e criminale idolatria nazi maomettana.
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Messaggioda Berto » dom nov 18, 2018 8:49 am

Criticare l'Islam è un dovere prima ancora che un diritto

viewtopic.php?f=188&t=2811

Criticare l'Islam è una necessità vitale primaria, un dovere civile universale prima ancora che un diritto umano;
poiché l'Islam è il nazisno maomettano.
Non va solo criticatio ma denunciato, contrastato, perseguito e bandito.


La blasfemia vera è quella che sta alla base delle religioni, ossia la presunzione sacrilega di detenere il monopolio di Dio, dello Spirito Universale;
questa blasfemia è la fonte di ogni male, specialmente laddove questa presunzione demenziale si accompagna alla mostruosa e disumana violenza coercitiva.
L'odio e la violenza sono intrinsici all'Islam, a Maometto e al Corano, vanno denuciati, perseguiti e banditi come il male assoluto.


Libertà delle "religioni" e libertà dalle "religioni", da tutte le idolatrie religiose, specialmente da quelle totalitarie, disumane, terroristiche e violente come quella nazi maomettana.
viewtopic.php?f=201&t=2827
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Messaggioda Berto » sab nov 24, 2018 9:41 am

Il pericolo per la libertà? Viene dalle università occidentali

Marco Gervasoni
23 Nov 2018

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... 2Rc5fYpGBk

C’è un luogo in cui la libertà di parola e di pensiero è più minacciata: l’Università. Non stiamo parlando della Turchia, dell’Iran o della Cina. Erdogan, gli ayatollah e i dirigenti del Pc (che starebbe per Partito comunista) non fanno che applicare i vecchi canoni: nelle università non si può criticare il potere politico e quello religioso, e non lo possono fare fuori dalle sue mura neanche docenti e studenti, altrimenti si viene espulsi dall’ateneo e poi si finisce in galera. No, la minaccia alla libertà di cui vogliamo parlare è annidata nelle università del mondo occidentale, laddove essa è, storicamente, cresciuta. Stiamo parlando delle università americane e inglesi, le terre del free speech. Ma vogliamo anche denunciare l’esondazione di tale liquame sul continente e anche da noi, in Italia.

Non vale soffermarsi su singoli e tantissimi casi in cui, in atenei prestigiosi d’oltre oceano e d’oltre manica sono stati intimiditi, minacciati, coartati, quei docenti che osavano criticare il potere, a cui sono stati impediti convegni, e chiuse iniziative, riviste, blog, corsi: fino a chiedere il loro licenziamento, che in alcuni casi è stato ottenuto. Di queste tristi vicende la stampa italica, sempre pronta a trovare la pagliuzza nella trave del nemico e invece assai conciliante con l’amico, tace: ecco perché solo Giulio Meotti su Il Foglio, Francesco Borgonovo su La Verità, e Martino Loiacono su Atlantico, ci informano regolarmente su questa nuova caccia alle streghe. E’ davvero sconcio e intollerabile che Trump e May reprimano la libertà degli atenei! Alt, Wait. La caccia alle streghe di cui stiamo parlando non la promuovono i governi. Semmai, a esser vittima dei nuovi Inquisitori (senza offesa per quelli storici, che erano fior di figure) sono oggi proprio i docenti e gli studenti che simpatizzano per il governo, nel caso americano per Trump. La realtà rovesciata: una volta venivi perseguitato se eri contro il potere politico, oggi se lo difendi.

Il presidente americano incarna il governo federale e anche il potere politico, certo. Ma c’è un altro potere, assai più influente e pericoloso perché pervasivo e non sottomesso a nessuna volontà democratica: il potere dei mandarini della cultura, che hanno occupato in maniera militare negli ultimi decenni i media, i giornali e le università. Gli eredi del commissario politico di staliniana e maoista memoria (molti dei quali maoisti in gioventù) non credono più nel comunismo come i loro padri ma nel progressismo liberal globalista: una fede secolarizzata, una religione politica che non ammette eresia e deviazione dalla linea. Si definiscono liberal o liberali ma la matrice dei loro ragionamenti e delle loro azioni renderebbe orgogliosi Stalin e Mao. I novelli mandarini liberal sono totalitari, ma liberali. Che il totalitarismo non fosse finito nell’Europa occidentale nel 1945 e in quella orientale nel 1989 e che tale modus ragionandi potesse convivere con una forma degenerata di liberalismo, l’hanno spiegato figure diverse come Hannah Arendt, Claude Lefort e soprattuto Augusto Del Noce. Ma ai loro tempi il totalitarismo liberale era solo in nuce e gli studenti e i professori che minacciavano chi non la pensava come loro si rifacevano ad altre tradizioni: Lenin, Stalin, Mao.

La storia è un insieme di processi ciclici, in cui dobbiamo sempre riconoscere gli elementi nuovi presenti in ogni ciclo. E se le contestazioni di fantomatiche organizzazioni studentesche, le complicità dei professori, la vigliaccheria o la malafede dei direttori e dei rettori si erano già viste negli Usa e in Europa occidentale negli anni sessanta e settanta, sbaglierebbe chi volesse interpretare la nuova caccia alle streghe come un semplice coda del passato. Oggi i novelli Inquisitori sono mossi dal culto della identità etnica e di genere, dalla religione politica multiculturalista e dal feticismo dei diritti, che impongono il rifiuto della storia, la battaglia contro la cultura occidentale, giudaico-cristiana, e la sua parificazione a quella dei popoli “sfruttati dall’imperialismo” (quindi Dante o Shakespeare valgono come oscuri poeti africani). E naturalmente la battaglia contro il fascismo, dove fascista è naturalmente chiunque non condivida i precetti della religione politica multiculturalista.

Chi aveva capito dove si stesse andando fu il saggista, e studioso universitario di letteratura, Alain Bloom già nel 1987, con il formidabile “The closing of the American Mind”. Per anni abbiamo creduto (o ci siamo illusi) che la dittatura dell political correctness fosse un caso americano, e pure limitato. Invece non è così. Oggi le facoltà umanistiche di buona parte degli atenei Usa sono dominate da questa dittatura, a cui partecipano, volonterosi o meno, convinti o meno, come carnefici i docenti (se fino a vent’anni fa un professore su tre si definiva conservatore, oggi siamo a uno su dieci). I campus son diventati scuole non di pensiero, ma di dittatura sul pensiero.

Il morbo si è esteso da anni nel Regno Unito, anche per ragioni economiche: molte cattedre sono finanziate da Paesi delle monarchie del Golfo, che però chiedono che l’Islam sia rispettato. Il che vuol dire concretamente, censurare Shakespeare e impedire che qualcuno possa scrivere (persino in una sede scientifica) che il colonialismo britannico in fondo qualche merito positivo l’ha avuto. Ma il controllo occhiuto dei vari Miniluv che devono fare rispettare i principi dell’IngSoc fissati da The Party (nelle università rettori e direttori di dipartimento) si estende anche al di fuori delle mura degli atenei: e invade la vita del docente, controllato in quello che scrive su giornali, social, e persino cosa riporta in conservazioni private! In diversi casi docenti di atenei americani e inglesi sono stati ripresi dai loro cosiddetti “superiori” (che poi non lo sono affatto) perché in una cena privata avevano criticato, chessò, il differenzialismo femministico o peggio avevano confessato di avere votato per Trump. Grazie alla delazione di qualche collega presente a tavola, che ha poi denunciato il misfatto alla organizzazione studentesca, fattasi quindi sentire presso le sfere che contano. “Le vite degli altri”, ma non siamo nella Ddr. Siamo a Princeton, a Oxford, a Parigi, e domani pure a Roma o a Bologna.

Naturalmente, come il Partito di “1984”, anche il nuovo regime del potere totalitario liberale ha fissato delle regole. Sono i codici etici. Norme generiche, regole di condotta a cui il docente dovrebbe attenersi, sempre e comunque, in aula e in biblioteca, nei rapporti con gli studenti ma anche con i suoi vicini di casa, e magari pure all’interno della propria coscienza. Sì, perché ci vogliono convincere che il docente, come un sacerdote, rappresenterebbe l’ateneo e la sua “onorabilità” ovunque, magari anche quando egli si reca alla toilette di casa propria. Cosa dicono queste norme, che un po’ in effetti ricordano lo Stato etico? Che il docente non deve manifestare razzismo, sessimo, pregiudizi alcuni, e deve dimostrare fedeltà alla democrazia. Il problema però è: chi decide se quanto detto o scritto sia razzismo? Quanto alla fedeltà alla democrazia, vogliamo distruggere più di duemila anni di pensiero politico di critica della democrazia? Di Platone non si deve parlare o lo si deve descrivere come il nemico della società aperta, secondo la caricatura che ne diede Popper? Risposta alle tre domande: a decidere cosa sia razzismo e sessismo sono i mandarini, mentre alle altre due domande il responso è un semplice: sì!

Quanto alla norma, essa è generica perché c’è sempre qualcuno che vuole applicare la massima giolittiana: le regole si applicano ai nemici, si interpretano per gli amici. E infatti spesso esse vengono utilizzate per liberarsi di colleghi sgraditi per ragioni di cabale e di piccolo potere accademico. Ma è questione secondaria. La maggior parte dei nuovi Inquisitori del politicamente corretto crede davvero in ciò che fa. Il loro afflato è genuino; pensano seriamente di stare portando la Luce e il Bene sulla Terra, questi novelli gnostici. Proprio come erano in buona fede Stalin, Mao, Pol Pot.

L’epidemia si sta espandendo. In Francia i casi sono già all’ordine del giorno. E in Italia? Anche qui si moltiplicano i segnali preoccupanti. In alcuni atenei si comincia a contestare i docenti perché non sottomessi al culto dei diritti, del gender, della “diversità”, temi su cui si cominciano a organizzare corsi. Così come alcuni Paesi del Medio Oriente prendono anche da noi a finanziare cattedre, che ovviamente non esaltano il lgbitismo, anzi. Ma promuovono un altro tipo di intolleranza, non molto diversa da quella degli adepti della correttezza politica. In questa fase, fautori del multiculturalismo e sostenitori della sharia e della sunna (che in arabo significa appunto codice di comportamento, come i codici etici degli atenei) vanno tatticamente a braccetto. Poi, quando grazie all’appoggio dei primi, i secondi avranno vinto, essi cominceranno a tagliare la lingua ai mandarini del multiculturalismo – in alcuni atenei britannici sta già accadendo.

La minaccia all’Occidente alberga anche e forse soprattutto nelle università occidentali. Chiunque vi si trovi, docente e studente, dovrebbe capire che la libertà di parola e di pensiero è il primo dei nostri valori. E che essa è minacciata dai nuovi mandarini del Big Brother. Quindi non dobbiamo concedere loro nulla, in nome di una malintesa volontà di dialogo o di quieto vivere, e dobbiamo combatterli anche se sono solo all’inizio. Perché una volta che la Bestia sarà cresciuta, tenderà a divorarci anche qui, come sta facendo in America e in Inghilterra.


Il surreale tramonto dell’Università occidentale
RodolfoCasadei
13 dicembre 2018

https://www.tempi.it/blog/il-tramonto-d ... paDiEmkq5Q

Il documento risale ad aprile ma merita di essere ripreso e tradotto integralmente perché esemplare dei nostri tempi. Un sintomo del tramonto dei valori dell’Occidente cosiddetto illuminista e liberaldemocratico: libertà di parola, tolleranza, rispetto per le verità fattuali. Un dialogo surreale a metà fra Ionesco e Beckett. Ma non arriva dalla Parigi del Teatro dell’Assurdo, bensì dalla Svezia, per la precisione da Stoccolma. Dove appunto accadono cose che meriterebbero il Teatro dell’Assurdo e invece sono considerate perfettamente normali da docenti e dirigenti accademici.

Succede questo: all’uscita da una lezione presso il Reale Istituto di Tecnologia, uno studente e due studentesse discutono se sia vero che gli autori dei reati sessuali in Svezia sono soprattutto immigrati e figli di immigrati. Lo studente, Felix, sostiene che quelle due categorie di persone incidono sul totale degli atti di violenza sessuale molto più della loro percentuale rispetto al totale della popolazione svedese. Le due ragazze dubitano e chiedono prove, e allora il giorno dopo Felix (questo il nome fittizio che i giornali hanno dato allo studente) torna portando con sé un documento che ha realizzato mettendo insieme dati di varie fonti, fra le quali principalmente quelli dell’ufficialissimo Consiglio nazionale svedese per la prevenzione del crimine. Le studentesse portano via con sé il documento e lo fanno vedere ad altri studenti. Alcuni di questi si rivolgono alle autorità accademiche con una protesta formale, dichiarandosi offesi dal testo prodotto da Felix. Un docente solleva il caso all’inizio della lezione alla quale partecipa anche Felix, lodando l’iniziativa degli studenti che hanno sporto denuncia. La preside del Dipartimento e la responsabile delle Risorse umane aprono una procedura disciplinare contro il giovane per «azione offensiva o molestia».

Sì, avete capito bene: uno studente universitario in Svezia è stato messo sotto inchiesta dalle autorità accademiche per aver consegnato delle statistiche a due compagne di corso al fine di corroborare le sue affermazioni sul rapporto fra immigrazione e criminalità. Che sia stato prosciolto conta poco: palesemente il procedimento non doveva neppure incominciare, l’intento intimidatorio nei confronti di tutti coloro che in ambiente universitario pensano di poter manifestare le proprio idee e argomentarle con dati di fatto è palese. Ma gli aspetti più istruttivi della vicenda si apprendono leggendo brani della trascrizione dell’istruttoria informale del caso, che sono stati pubblicati nell’originale svedese e in una traduzione in inglese sul sito di Academic Rights Watch, la Ong svedese che ha per scopo la difesa della libertà di espressione nelle università svedesi. I protagonisti della discussione sono Felix, la preside Annelie Fredriksson e la responsabile delle Risorse umane Marja Mutikainen. Ecco cosa si dicono.

Fredriksson: «Lei sa benissimo che non si possono diffondere opinioni politiche, anche in forma di fatti, nulla di questo si può fare in università».
Felix: «Dove sta scritto?».
Fredriksson: «Beh, nel codice etico del Reale Istituto di Tecnologia (RIT)».
Felix: «Ho controllato, non c’è scritto niente del genere».
Mutikainen: «Quando c’è qualcosa che può essere interpretato come una violazione o una molestia. Distribuire informazione è sufficiente a configurare l’infrazione».
Felix: «Non sono opinioni mie. Faccio riferimento a uno studio. Dunque per voi i fatti sono discriminatori?».
Fredriksson: «È complicato da spiegare. È sufficiente che qualcuno che ha ricevuto il materiale o al quale è stato dichiarato il suo contenuto si senta offeso. Lei ha il diritto di avere le sue opinioni, ma le sue opinioni possono essere genericamente offensive per qualcuno».
Felix: «Allora non abbiamo libertà di opinione».
Mutikainen: «Questa norma non si applica solo qui al RIT, ma in tutta la Svezia sui posti di lavoro in base alla normativa dell’Anti-discrimination Act. Lei può pensare quello che vuole al RIT, purché non lo dica a persone che potrebbero sentirsi offese da quello che lei dice. Perché ha sentito la necessità di produrre quelle statistiche?».
Felix: «Perché due compagne di corso me le avevano chieste».
Mutikainen: «Può costituire molestia o offesa quando qualcun altro entra in contatto con questa informazione, se le persone a cui lei ha dato la comunicazione la diffondono ulteriormente e questa raggiunge persone che pensano: “mi sento offeso”».
Felix: «È assiomatico che se qualcuno si sente offeso allora qualcuno ha fatto qualcosa di sbagliato nei suoi confronti? Se io, ipoteticamente, mi sento offeso dalla discussione che stiamo facendo, voi avete commesso un’infrazione?».
Mutikainen: «Sì, si dovrebbe aprire un’indagine per stabilire se abbiamo fatto qualcosa di sbagliato».
Felix: «Allora vi dico questo. Dovrebbe essere inaccettabile che quindici persone mi affrontino dopo la lezione con aria arrabbiata e mi gridino che sono un idiota, un nazista e così via, senza nessuna ragione perché io non sono queste cose».
Mutikanen: «Anche questo è qualcosa che non dovrebbe essere comune in un college».
Felix: «È strano che una persona da sola possa bullizzare quindici persone. Bisognerebbe allarmarsi per altre cose. Se quindici persone avessero scritto a un immigrato quello che è stato detto a me, capisco che sarebbe sorto un problema. Ma qui la vittima sono io. Sono io a sentirmi minacciato. La realtà è stata completamente capovolta. Le studentesse hanno insistito che avevano bisogno della documentazione. A questo è seguito bullismo nei miei confronti. Di tutto questo la colpa non è mia».
Fredriksson: «Se sono nel mio posto di lavoro o di studio e dico cose che agli altri non piacciono, non c’è posto per me in quel gruppo. Verrei licenziata. Lei può pensare quello che vuole al RIT, basta che non lo dica, così le persone non si sentiranno offese».
Felix: «Le sembra ragionevole e giusto questo?».
Fredriksson: «Non dico che sia giusto, ma posso immaginare le reazioni della gente. Lei può avere ragione nel pensare che si tratta della sua libertà di parola, ma le persone hanno sentimenti».
Felix: «Ma i sentimenti non possono avere la priorità sulla libertà di espressione. Siamo in Corea del Nord? Abbiamo libertà di espressione solo se siamo tutti d’accordo? Non vi sembra un esito pericoloso? La libertà di espressione è sempre stata lo specifico delle università, che erano un rifugio dalla società totalitaria che le circondava. Ora questa libertà è abolita proprio nelle università, e questo è uno sviluppo estremamente preoccupante. (…) Non pensate che sia assurdo?».
Fredriksson: «Quello che penso non ha importanza».
Felix: «In realtà quello che lei pensa importa parecchio, perché è lei che sta portando questo caso alla Commissione Disciplinare».
Fredriksson: «Perché devo farlo. Verrei meno ai miei doveri se non lo facessi».
Felix: «Ma io so che ci sono stati molti altri casi di reclami che non sono arrivati fino alla Commissione Disciplinare».
Fredriksson: «E l’università si è infuriata perché non abbiamo riportato i casi. Per questo adesso ci stanno addosso, e poi della cosa si sono impadroniti i media. Perché non dovremmo aprire il procedimento, ora che la cosa si è diffusa? Immagina cosa mi succederà se non lo faccio?».
Felix: «Così mi state dicendo che porterete aventi il procedimento perché voi due pensate che è giusto così».
Fredriksson: «Sì, non ho preso la decisione da sola, ma come ho detto, non ho scelta».

Ricapitolando: le autorità accademiche svedesi sostengono che è proibito esprimere all’interno del campus opinioni che potrebbero offendere altre persone, ed è la reazione di coloro che si dichiarano offesi a trasformare ipso facto le opinioni espresse in molestia sanzionabile. Questo non cambia anche se le opinioni non sono opinioni, ma fatti empiricamente verificati. Perché l’elemento dirimente è la reazione degli studenti che si sentono toccati dalla comunicazione di quei fatti. Le università, che dovrebbero essere i templi della razionalità e dello spirito critico, si piegano di fronte a quella che Byung-Chul Han definisce la «dittatura dell’emozione». Secondo il pensatore tedesco-coreano il sentimento e l’emozione hanno preso il sopravvento sulla razionalità per esigenze legate all’incremento della produzione e delle prestazioni dei lavoratori nel contesto del sistema neo-capitalista. Senza spingersi fino a queste speculazioni, si vede bene che il criterio del sentimento è applicato in maniera selettiva, funzionale alla cultura progressista dominante.

Se uno studente fondamentalista cristiano si lamentasse perché le lezioni di biologia trattano la teoria dell’evoluzionismo e la cosa lo ferisce, c’è da scommettere che nessuno gli darebbe retta. Ma in realtà quello che succede è che i bianchi, cristiani, maschi, eterosessuali, antiabortisti, ecc. non protesteranno mai per vere o presunte offese ai loro sentimenti insite nelle lezioni di un professore universitario o nei commenti degli studenti su tali lezioni. La loro identità o le loro caratteristiche sono considerate sgradevoli dal pensiero dominante, e loro sono i primi a interiorizzare colpa e vergogna connesse a ciò che sono. Dunque tacciono, timorosi di peggiorare la propria situazione. Le autorità accademiche che promuovono codici di condotta anti-molestie sanno benissimo che nessun bianco, cristiano, maschio, ecc. si rivolgerà mai a loro per denunciare di sentirsi offeso da qualcosa che passa in università. Quei codici servono semplicemente ad accrescere l’ascendente delle categorie che rientrano nei canoni del politicamente corretto, e che sono effettivamente quelle che fanno uso delle opportunità fornite dai codici etici per affermare se stesse come soggetti politici.

Ma come dice giustamente Felix, quando l’università si mette al servizio di un’ideologia e le permette di esercitare un potere totalitario sulle relazioni umane, viene meno alla sua vocazione storica di essere spazio di libera ricerca e di libero pensiero. Le università sono state decisive nella formazione dell’identità della civiltà occidentale; oggi svolgono un ruolo altrettanto decisivo nel declino della stessa.
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Re: Libertà di parola, di pensiero, di critica e di religion

Messaggioda Berto » gio mar 21, 2019 4:33 am

Libertà delle "religioni" e libertà dalle "religioni", da tutte le idolatrie religiose, specialmente da quelle totalitarie, disumane, terroristiche e violente come quella nazi maomettana.
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