ONU - UNESCO e altri (no grasie!) - e Facebook ?

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Messaggioda Berto » mar set 11, 2018 7:37 pm

L’ambasciatore saudita Faisal bin Hassan Trad è stato eletto a capo nel Consiglio per i diritti umani dell'Onu per l'anno 2016.

https://www.facebook.com/Islamicamentan ... 3439804491


A vigilare sui diritti umani nel mondo è perfetto per il rappresentante di una nazione con il quarto record mondiale di esecuzioni capitali, che di solito avvengono per decapitazione, ma che crocifigge (unici crocifissi ammessi sul sacro suolo Saudita) ancora i condannati per alcuni crimini, che non garantisce ai suoi cittadini il diritto di stampa, espressione, libertà religiosa, che tratta i lavoratori stranieri come schiavi, che nega tutti i diritti alle donne, che vivono una segregazione, che perseguita e riserva pene tremende agli omosessuali.

Ufficialmente però il consiglio recita che «gli Stati membri hanno i più alti standard nella promozione e protezione dei diritti umani».


L’ONU, IL RAZZISMO ITALIANO E I SEPOLCRI IMBIANCATI
https://www.facebook.com/paolo.dimizio. ... 6578690783

In Arabia Saudita non è tollerata l’opposizione politica. Gli oppositori vengono chiusi in prigione, frustati con un numero di scudisciate stabilito da un tribunale (di solito mille, divise a rate di cento), e decapitati. Qualsiasi critica alla famiglia reale è punita con la decapitazione. Le donne colpevoli di adulterio (talvolta solo perché violentate) vengono lapidate: sepolte in una buca dalla quale sporge soltanto la testa, gli occhi bendati, e colpite con violente sassate che, secondo la sharìa, devono essere effettuate “con sassi non troppo grandi e non troppo piccoli”, perché non devono uccidere subito e non devono essere poco dolorosi. La lapidazione termina solo quando il cranio e le ossa facciali sono tutte sfondate.

Se la donna è accusata di stregoneria, invece, viene decapitata. Talvolta le teste dei decapitati, raccolte in gruppi di cinque o dieci, vengono appese a un elicottero e portate in giro a bassa quota sulla capitale saudita perché tutti possano vedere come si compie la giustizia del monarca. Gli impiccati, invece, vengono appesi a un cavalcavia su una strada di grande traffico e lasciati in mostra per almeno un giorno.

I lavoranti stranieri provenienti da Paesi poveri, ossia Africa e Sud-est asiatico, come Indonesia, Malesia e Filippine, ma non dall’Europa o dagli Stati Uniti, al loro ingresso in Arabia Saudita vengono privati del passaporto. Se lavorano come servi o badanti presso una famiglia, il loro passaporto viene affidato al capofamiglia, il quale potrà decidere a suo piacimento quando e se restituirlo, tenendo i lavoratori come schiavi affinché non possano lasciare la casa. Lo prevede la legge.

Per legge inoltre i lavoratori possono essere picchiati, bastonati e frustati a giudizio del padrone di casa. Possono essere frustati in casa o anche in pubblico per “dare il buon esempio” agli altri. Molti lavoratori, uomini e donne, sono morti per le lesioni subìte, altri si sono suicidati per sottrarsi ai maltrattamenti.

Questo tipo di legge si chiama kafàla e vige non solo in Arabia Saudita ma anche in tutti gli stati del Golfo Persico: Dubai, Abu Dhabi, e gli altri cinque emirati arabi, più il Bahrein e il Kwait. E spiega perché i migranti africani non migrano verso quei Paesi ricchissimi.

Di recente il presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, ha ordinato a tutti i lavoratori filippini nel Kwait di rimpatriare nel giro di 48 ore, dopo che in poco tempo era stata segnalata la morte violenta di almeno sette lavoratrici filippine nel Paese.

Voi immaginerete che l’Alto Commissario dell’ONU per i Diritti Umani, la cilena Michelle Bachelet, eletta alla presidenza appena dieci giorni fa, il 1° Settembre, come suo primo atto abbia deciso di investigare sulle violazioni dei diritti umani nei ricchi Stati del Golfo, Arabia Saudita e Kwait in testa. Vi sbagliate. La Bachelet ha deciso di investigare sulle violazioni dei diritti umani in Italia.
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Messaggioda Berto » gio set 13, 2018 2:33 am

Onu: “Non espellere profughi che uccidono”

Dopo gli ultimi assassini avvenuti in Germania, a Chemnitz prima e Koethen poi, per mano di richiedenti asilo afghani, l’Onu scende in campo a difesa dei migranti.

Secondo la criminale organizzazione sovranazionale, infatti, i governi dei Paesi Ue dovrebbero impedire che i “fatti di Chemnitz” inneschino un’ondata di “rancore e pregiudizi” ai danni dei richiedenti asilo.

Le Nazioni Unite hanno quindi invocato l’abbandono, da parte dei Governi europei, della “linea dura” in ambito migratorio. Al fine di scongiurare “l’ascesa di sentimenti anti-immigrati”, tutti i procedimenti di espulsione avviati nei confronti dei profughi incriminati per reati gravi andrebbero sospesi.

Tali esortazioni sono state pronunciate dai vertici dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr).

Poi invocano la censura: “Ad alimentare il pregiudizio e l’intolleranza contribuisce, purtroppo, anche l’eccessiva attenzione riservata dai media agli episodi di cronaca nera che vedono coinvolti soggetti stranieri”.

È urgente che l’Italia tagli i fondi all’Onu. Che si facciano mantenere dai loro sceicchi. Che di profughi ne prendono zero.


L'Onu: "Non criminalizzate i migranti"
Gerry Freda - Mar, 11/09/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/onu ... 74731.html

L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati cerca di scongiurare l’avvio, da parte dei principali Paesi europei, della “linea dura” in ambito migratorio

Dopo la recente uccisione di un giovane tedesco avvenuta a Chemnitz, in Sassonia, ad opera di due Afghani, l’Onu scende in campo a difesa dei migranti presenti in territorio europeo.

Secondo l’organizzazione internazionale, i governi dei Paesi Ue dovrebbero impedire che i “fatti di Chemnitz” inneschino un’ondata di “rancore e pregiudizi” ai danni degli stranieri richiedenti asilo. Le Nazioni Unite hanno quindi invocato l’abbandono, da parte dei Governi europei, della “linea dura” in ambito migratorio. Al fine di scongiurare “l’ascesa di sentimenti anti-immigrati”, tutti i procedimenti di espulsione avviati nei confronti dei profughi incriminati per reati gravi andrebbero sospesi.

Tali esortazioni sono state pronunciate dai vertici dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). Melissa Fleming, portavoce dell’agenzia, rivolgendosi principalmente al governo tedesco, ha ribadito l’”inviolabilità” dei diritti riconosciuti ai richiedenti asilo dalle principali convenzioni internazionali. La funzionaria ha condannato l’“ingiustificato clima di sospetto” affermatosi nei principali Paesi europei ai danni dei profughi in seguito ai “fatti di Chemnitz”: “Ogni giorno, gli immigrati stanziati in Europa subiscono pressioni di ogni tipo affinché facciano ritorno nei Paesi di provenienza. Ad alimentare il pregiudizio e l’intolleranza contribuisce, purtroppo, anche l’eccessiva attenzione riservata dai media agli episodi di cronaca nera che vedono coinvolti soggetti stranieri. I reati commessi da alcuni migranti non devono indurre i governi e le opinioni pubbliche a criminalizzare intere comunità di richiedenti asilo”. Le autorità dei Paesi europei, ad avviso della Fleming, non dovrebbero cedere alla tentazione di “attuare vendette” nei confronti di profughi innocenti. Questi ultimi andrebbero salvaguardati da qualsiasi ipotesi di “espulsione di massa” e da ogni altra misura suscettibile di pregiudicare la loro incolumità.

La portavoce dell’Unhcr ha poi fornito ai principali Stati europei un ulteriore suggerimento al fine di contrastare il “crescente odio” dei cittadini verso gli immigrati: “Se un rifugiato commette un delitto nel Paese che lo ospita, le autorità hanno il dovere di processare l’autore del crimine. Le stesse autorità, tuttavia, devono astenersi dal revocare all’imputato lo status di rifugiato. Le decisioni dei governi non devono essere assolutamente dettate dall’emotività”. Le sollecitazioni pronunciate dalla Fleming sono state rimarcate da Filippo Grandi, titolare dell’Unhcr. Egli ha quindi definito “una questione estremamente complessa” l’incessante crisi migratoria e, commentando lo spaesamento provocato nell’opinione pubblica tedesca dai “fatti di Chemnitz”, ha dichiarato: “Criminalizzare un’intera comunità di migranti dopo che alcuni esponenti della stessa hanno perpetrato dei reati è una reazione scriteriata. I richiedenti asilo e i rifugiati, nella loro stragrande maggioranza, non commettono crimini.”

La tesi di Grandi, incentrata sulla bassa propensione a delinquere dei migranti, è già stata smentita da diverse ricerche pubblicate nei mesi scorsi, le quali hanno evidenziato la significativa tendenza degli stranieri presenti in Europa a commettere reati. La Fondazione Hume, centro studi di area “progressista”, nel suo ultimo rapporto sul nesso causale tra immigrazione e crimine, ha sentenziato: “Il tasso di criminalità degli immigrati in quasi tutti i Paesi dell'Europa occidentale è più alto di quello della popolazione nativa”. In Italia, il tasso di criminalità degli stranieri sarebbe addirittura superiore a quello riscontrato negli altri Stati europei.


Alberto Pento
Questi dell'ONU sono dei criminali che violano i nostri diritti umani e sostengono il nostro sterminio e la nostra sottomissione. Vorrebbero che si santificassero i criminali come ha fatto Bergoglio con l'assassino Maometto.


Crimini e delitti dei clandestini, degli irregolari e di altri stranieri più o meno regolari o in attesa di regolarizzazione o di respingimento
viewtopic.php?f=194&t=1814
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Messaggioda Berto » ven set 14, 2018 6:24 am

Trump blocca i finanziamenti alla UNRWA: un messaggio chiaro al mondo intero
Con il blocco dei finanziamenti gli USA lanciano un segnale
Ugo Volli

https://www.progettodreyfus.com/unrwa-palestinesi-trump

L’amicizia di Trump per Israele si conosceva da tempo (anche se durante le elezioni e nei primi tempi della presidenza non sono mancati i soliti sinistri propalatori di fake news a sostenere addirittura che fosse antisemita). In conseguenza a questa amicizia Trump ha fatto scelte importanti, a partire dalla designazione di David Friedman come ambasciatore americano in Israele, prima ancora di essere ufficialmente nominato presidente. Una scelta che per reazione indusse Obama negli ultimi giorni della sua presidenza a far passare una indegna mozione di condanna di Israele al consiglio di sicurezza dell’Onu, come ha raccontato John Kerry nel suo recente libro di memorie.

Poi ci sono stati lo spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme, una serie di accordi militari, la difesa di Israele all’Onu e negli organismi internazionali, il rifiuto della giurisdizione punitiva della Corte dell’Aia, la difesa di Israele dall’Iran anche nel colloquio con Putin, la chiusura della rappresentanza diplomatica dell’autorità palestinese a Washington, il blocco dei finanziamenti alla stessa organizzazione e all’UNRWA. Quest’ultima è la scelta più importante, non solo sul piano finanziario (circa 360 milioni di dollari l’anno da decenni).

L’UNRWA infatti, sotto le vesti nobili di un’agenzia umanitaria dell’Onu, è uno dei principali responsabili della continuazione del conflitto fra arabi e israeliani. Ci sono tre aspetti principali di questa responsabilità. In primo luogo, l’UNRWA ha adottato una definizione dei “rifugiati palestinesi” che assiste davvero unica, che di per sé determina la continuazione della violenza. Essa definisce infatti “rifugiato palestinese” una persona “il cui normale luogo di residenza è stata in Palestina tra il giugno 1946 e maggio 1948, che ha perso sia l’abitazione che i mezzi di sussistenza a causa della guerra arabo-israeliana del 1948” La definizione di rifugiato dell’UNRWA copre anche i discendenti delle persone divenute profughi nel 1948 indipendentemente dalla loro residenza nei campi profughi palestinesi o in comunità permanenti. Si tratta di una grande eccezione alla normale definizione di rifugiato (per un approfondimento giuridico interessante è utile leggere anche questo articolo). L’eccezione dell’UNRWA non è affatto innocente, non solo perché porta il numero dei rifugiati veri, cioè ancora vivi e non integrati in altri stati, che oggi è stimabile in circa 50 mila, fino ai 5 milioni che l’UNRWA riconosce come rifugiati. Esso tradisce anche il progetto politico di tenere aperta la ferita della guerra, di evitare a tutti i costi la normalizzazione e l’integrazione dei rifugiati che è l’obiettivo di tutte le agenzie umanitarie e in particolare dell’UNHCR, il centro dell’ONU per tutti i rifugiati. E’ un progetto che ha al cuore l’idea del rovesciamento dei risultati della guerra di indipendenza del 1948 e dunque la distruzione di Israele. Se azioni analoghe fossero state usate per i risultati della Seconda Guerra Mondiale, l’Europa sarebbe sconvolta dal terrorismo di profughi dell’Istria italiana e dei sudeti tedeschi, dei polacchi orientali finiti sotto il dominio russo e di tutte le altre popolazioni che hanno subito lo spostamento dei confini.

Una seconda ragione è altrettanto grave. L’UNRWA gestisce scuoli, ospedali, forniture di cibo e altri soccorsi nei territori amministrati dall’Autorità Palestinese e da Hamas: tutte azioni umanitarie di cui si vanta. Il problema è che in questa maniera l’UNRWA si sostituisce all’amministrazione dell’autonomia palestinese, assume molte funzioni dello stato. Questo fa sì che le organizzazioni palestiniste possano evitare di preoccuparsi di fornire alla propria popolazione tutti i servizi che ogni stato o amministrazione indipendente deve organizzare, lasciandole libere di usare le proprie risorse e il proprio potere per fare la guerra (armata o diplomatica o politica o terroristica) a Israele. I capi palestinisti non sono responsabili del benessere della loro popolazione, ma solo dell’organizzazione dell’odio per gli ebrei. Non si capisce la loro politica e anche gli orientamenti della loro opinione pubblica se non si considera la funzione di supplenza dell’UNRWA.

La terza area in cui l’UNRWA appoggia la lotta armata (cioè il terrorismo) contro Israele è più diretta. Praticamente tutti i suoi dipendenti (oltre 30 mila) sono arabi assunti fra i suoi supposti assistiti. Buona parte di loro sono membri di organizzazioni terroristiche come Hamas, che vince regolarmente le elezioni sindacali. Essi formulano e insegnano libri di testo che sono fanaticamente anti-israeliani, addestrano i bambini all’uso delle armi, diffondono fanatismo e incitamento alla violenza. Spesso le scuole e gli ospedali dell’UNRWA sono usate dai terroristi come depositi di armi, centri di comando e controllo, piattaforme di lancio dei missili. Quando questi usi sono smascherati l’organizzazione li denuncia e si scusa, ma è evidente una sostanziale tolleranza.

Insomma l’UNRWA è parte del problema del terrorismo palestinese, non certo della sua soluzione. E’ chiaro che nel breve termine il fatto che essa canalizzi aiuti internazionali sugli arabi di Giudea, Samaria e Gaza diminuisce la pressione sul governo e sull’esercito israeliano perché forniscano assistenza (anche se si tratta di cittadini di quel che pretende di essere uno stato autonomo) e che chi nello stato israeliano si trova a interagire con le masse arabe (per esempio il COGAT, l’amministrazione militare che governa le zone C e in parte B degli accordi di Oslo) può vedere con preoccupazione la perdita di finanziamenti dell’agenzia. Ma a medio e lungo termine il suo ridimensionamento e possibilmente lo scioglimento sono fra le condizioni per il ritorno alla calma nella regione. Ha dunque fatto benissimo Trump a togliere i finanziamenti americani. Peccato che, come per tutte le buone scelte dell’amministrazione americana, l’Unione Europea si opponga e cerchi di sostituirsi agli Stati Uniti. In questo progetto di aiuto al terrorismo purtroppo è presente anche l’Italia. E’ una vecchia eredità terzomondista, dominante nel nostro ministero degli esteri. Speriamo che cambi.



Congo: la UNHCR non ha soldi per i rifugiati ma in Europa si preoccupano della UNRWA
Sadira Efseryan
Claudia Colombo
settembre 22, 2018

https://www.rightsreporter.org/congo-la ... ella-unrwa

Kinshasa, RD Congo (Rights Reporter) Il coordinatore dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), Catherine Wiesner, sarà da lunedi nella Repubblica Democratica del Congo, in particolare nella provincia del Kivu meridionale, al fine di rendersi conto della situazione di oltre 46.000 rifugiati burundesi residente in questa parte del paese.

Lo ha annunciato il portavoce nazionale della UNHCR, Joseph Mankamba, in una conferenza stampa, specificando che la Wiesner visiterà sia i siti dove sono alloggiati i rifugiati burundesi, circa 46.000 persone, che quelli dove sono ospitati rifugiati interni congolesi, che sono diverse centinaia di migliaia.

Catherine Wiesner avrà la possibilità di verificare di persona le gravissime condizioni in cui vivono i rifugiati del Congo a causa del sottofinanziamento della UNHCR dovuto al taglio dei finanziamenti deciso da diversi Paesi nei confronti dell’unico organismo internazionale che si occupa di rifugiati e che non solo li assiste sul posto ma cerca in tutti i modi di farli rientrare nei loro luoghi di origine.

E in questo contesto stupisce che l’Unione Europea pensi a come fare per aumentare i loro finanziamenti alla UNRWA, l’illegale agenzia ONU per i palestinesi, dopo i tagli decisi dall’Amministrazione Trump, quando la vera agenzia ONU per i rifugiati, appunto la UNHCR, è in così gravi difficoltà economiche e non riesce a far fronte al proprio lavoro.

Il caso del Congo non è nemmeno isolato. La stessa situazione si registra nel Nord Uganda dove vi sono centinaia di migliaia di rifugiati sud-sudanesi accatastati in campi profughi che non rispettano nemmeno le più basilari norme igieniche e dove scarseggia il cibo. Poi in Somalia e Kenya dove i somali sono milioni abbandonati a loro stessi.

In Europa si parla tanto di come fare per fermare la marea umana di disperati che fuggono dai teatri di guerra, ma poi non si aiuta la UNHCR che serve proprio a questo mentre si sommergono di milioni i finti profughi palestinesi.
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Messaggioda Berto » dom set 16, 2018 7:15 am

“L’Onu riconosca il genocidio dei cristiani”
di Giulio Meotti

https://www.ilfoglio.it/esteri/2018/09/ ... ani-213949

Roma. Ieri è uscita la notizia che i diciannove martiri cristiani assassinati dai fondamentalisti islamici in Algeria tra il 1994 e il 1996 saranno proclamati beati nel santuario di Notre-Dame di Santa Cruz di Orano il prossimo 8 dicembre. La scelta della città richiama la figura di Pierre Claverie, il vescovo ucciso da un commando islamista. Quelle suore, monaci trappisti e padri bianchi finalmente avranno la beatitudine che meritano. Ma un genocidio ai danni di cristiani consumatosi non vent’anni fa, bensì ieri, fatica a essere persino riconosciuto da quella che in teoria è la più alta istanza mondiale dei diritti umani. La scorsa settimana, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha aperto la sua terza e ultima sessione dell’anno. Si svolgerà dal 10 settembre al 28 settembre e l’European Center for Law and Justice, che presenterà un appello (con raccolta di 800 mila firme) perché l’Onu riconosca la persecuzione dei cristiani in Iraq e in Siria come “genocidio”, come sancito dalla Convenzione sulla prevenzione del genocidio. Risoluzioni che affermano il genocidio dei cristiani sono state approvate dall’Assemblea nazionale francese, dal Parlamento europeo, dal Congresso americano e dalla Camera dei Comuni di Londra, fra gli altri. “Sebbene l’Isis sia indebolito e spaventato, il micidiale genocidio contro i cristiani ha lasciato una inimmaginabile crisi umanitaria” si legge nell’appello all’Onu. “Ci sono due azioni che l’Onu deve assumere immediatamente. Dichiarare che le atrocità contro i cristiani costituiscono genocidio. E fornire l’assistenza e la sicurezza necessarie per consentire il recupero dalla distruzione causata dal genocidio e consentire il reinsediamento delle vittime”. Già lo scorso 25 maggio, l’European Center for Law and Justice aveva chiesto che l’Onu nominasse un consigliere speciale al fine di raccogliere le prove del genocidio, già note da tempo.

Secondo un recente rapporto di Aiuto alla chiesa che soffre, tra l’inizio della guerra in Siria e il 2017, il numero di cristiani è sceso da 1,5 milioni a 500 mila, forse anche meno. Ad Aleppo, che ospitava la più grande comunità cristiana, i numeri sono scesi da 150 mila a 35 mila nella primavera del 2017, con un calo di oltre il 75 per cento. In Iraq, l’ottanta per cento dei cristiani è fuggito da quel paese e si prevede che il cristianesimo in Iraq potrebbe essere sradicato “entro il 2020”, se la popolazione continuasse a diminuire.

Schiavitù sessuale, conversioni forzate, sparizioni, uccisioni di vescovi e prelati, comunità intere diventate “fantasma”, distruzione di chiese e tombe dei santi: è la realtà vissuta dai cristiani mediorientali in questi anni. Ma considerando l’alta concentrazione di regimi arabo-islamici nel Consiglio dei diritti umani è improbabile che l’istanza venga accolta e fatta propria dall’Onu. Qatar, Afghanistan, Pakistan e Arabia Saudita, per citarne alcuni, siedono proprio in quell’organismo dell’Onu e sono non soltanto fra i paesi più pericolosi al mondo per i cristiani (Asia Bibi è chiusa da tremila giorni in un lurido carcere pakistano), ma sono anche quelli che hanno ideato, diffuso e finanziato l’ideologia islamista che ha fatto terra bruciata delle comunità cristiane fondate da san Tommaso duemila anni fa e che parlano ancora l’aramaico, la lingua di Gesù. I cristiani orientali, marchiati con la nun di nazareni, sono i cani randagi dell’occidente. E poi, il bersaglio prediletto in questi anni del Consiglio dei diritti umani di Ginevra è sempre e soltanto Israele, l’unico paese mediorientale guarda caso dove il numero dei cristiani aumenta.
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Messaggioda Berto » mar set 18, 2018 7:29 am

Onu, portavoce Unhcr choc: “Minimizzare i crimini degli immigrati per evitare discriminazioni e clima d’odio”
2018/09/15
Di Gianluca Calà

http://www.news-24-ore.com/2018/09/15/o ... -dodio/amp

Roma, 15 set – Dopo le dichiarazioni dell’Alto Commissario Onu Michelle Bachelet in merito alle critiche rivolte all’Italia sull’incremento di atti di violenza e di razzismo contro migranti, Melissa Fleming, portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), a seguito delle recenti vicende verificatesi a Chemnitz, dove un ragazzo tedesco è stato ucciso per mano di due afghani, è intervenuta sulla questione migranti al fine di esortare i Paesi europei a non alimentare quel clima di sospetto che, la portavoce dell’agenzia, ritiene sia ingiustificato.

Secondo Melissa Fleming, alcuni reati commessi dagli immigrati non devono favorire atteggiamenti o comportamenti che possano addurre a discriminazioni nei confronti delle minoranze linguistiche, visto, continua la portavoce dell’alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, “gli immigrati in Europa subiscono pressioni di ogni tipo affinché facciano ritorno nei Paesi di provenienza” e i reati commessi dagli immigrati assumono rilevanza nei confronti dell’opinione pubblica, poiché i mass media contribuiscono ad alimentare il clima di odio che si è generato ponendo “eccessiva attenzione” a quei reati commessi dai migranti, poiché tali reati persuadono lo Stato e il cittadino a “criminalizzare intere comunità” che cercano di avere il riconoscimento del diritto di asilo.

Questo clima di intolleranza nei confronti dei migranti, dovrebbe spingere gli Stati ad una maggiore tutela nei confronti di chi, spiega la Fleming, non commette reato. Inoltre, sostiene la Fleming, i governi possono porre fine, o almeno ostacolare il crescente odio verso i migranti, attraverso processi che devono giudicare il migrante reo di aver commesso il reato senza imputare al caso questioni di natura migratoria o politica, che avrebbero eco sulla condizione sociale e giuridica di coloro che hanno ottenuto l’asilo politico.
Insomma, le dichiarazioni della Fleming sembrerebbero minimizzare i reati commessi dai migranti, sulla base di una considerazione “progressista” che ritiene basso il tasso di criminalità da parte degli immigrati.
Una considerazione che non trova conferma, come riportato dal sito de Il Giornale, sui dati elaborati da una ricerca effettuata dal centro di studi La Fondazione Hume, vicina a correnti progressiste, secondo la quale al contrario rileva un tasso di criminalità più alto per i migranti rispetto al resto della popolazione. Un dato allarmante se si guarda all’Italia che avrebbe il tasso più alto di crimini commessi rispetto agli altri partner europei, pertanto, le dichiarazioni fatte prima da Michelle Bachelet e poi da Melissa Fleming non riflettono quella che è la realtà. Forse dietro a queste dichiarazioni ci sono ragioni che a noi comuni mortali non è dato sapere.
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Messaggioda Berto » mar set 18, 2018 7:54 am

Roma faccia come gli Usa. Si dissoci dalla follia
Fiamma Nirenstein - Mer, 12/09/2018

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 74876.html

Fa un certo perverso piacere che l'Italia assaggi l'Onu in tutta la sua sfacciataggine e doppio standard adesso che annuncia santificate spedizioni (non magari come i peacekeeper che sono accusati di stupro o come i distributori di fondi internazionali che lucrano sulle miserie umane) per verificare quanto l'Italia viola i diritti umani.

Così magari comincerà un processo di revisione del suo rapporto con l'Onu, forse smetterà di votare o al massimo di astenersi mentre cerca di compiacere le maggioranze automatiche che condannano solo Israele (come quando il 23 dicembre 2016 Obama fece astenere gli Usa su una mozione-tradimento, che sovvertiva la cautela tradizionale che aveva sempre tenuto come punto di riferimento la risoluzione 242, e non la condanna palestinese unilaterale degli insediamenti), o si associano nelle organizzazione dell'Onu come l'Unesco a gesti inconsulti, come dichiarare il Muro del Pianto retaggio musulmano.

Tutte le istituzioni legate all'Onu sono squalificate agli occhi di ogni buon senso, e fra di esse il Consiglio per i Diritti Umani, e persino la Corte di Giustizia Internazionale: l'associazione all'Onu di decine di organizzazioni diventa di anno in anno più imbarazzante. Il loro comportamento, che per altro costa un occhio della testa ai contribuenti di tutto il mondo, è sempre orientato verso la protezione dei tiranni e copre le loro violazioni dei diritti a discapito dell'atteggiamento occidentale, che certo non è perfetto ma che se non si accucciasse per ricevere una carezza dai suoi nemici forse riuscirebbe a ottenere qualche cambiamento. Perché? È semplice: su 193 stati membri, 119 appartengono al gruppo dei cosiddetti «Non Allineati», e di questi 57 sono parte del gruppo islamico. I Paesi che vengono classificati liberi dalla Freedom House sono meno della metà. Quindi, pensare che in assemblea si assista a un dibattito democratico è assurdo perché i delegati rappresentano Paesi che non sanno neppure dove la democrazia sia di casa. A giugno Nikki Haley, l'ambasciatrice americana, che dall'inizio del suo mandato è stata un'esemplare portatrice di verità, ha annunciato che il suo Paese lascia il Consiglio per i Diritti Umani, dove la situazione è marcia: i membri delle 47 nazioni elette allo scopo, sono elette per tre anni, Africa e Asia hanno 13 seggi, l'America Latina e i Caraibi 8, l'Europa Occidentale e altri, incluso il Canada, l'Australia, la Nuova Zelanda 6 e l'Europa dell'Est 6. Siamo in minoranza. La stragrande maggioranza ha pessimi record nei diritti umani, dal Venezuela, alle Filippine, all'Etiopia a Cuba... e via via fino a tutti i Paesi arabi che fanno centinaia di migliaia di morti o esercitano violenza e assassinii di massa senza che nessuno protesti.

La lista delle follie è infinita: l'Iran nella commissione per i diritti delle donne, la Siria in quella per il disarmo, la mancanza di una risoluzione che definisca il terrorismo, Erdogan, cinesi, russi e iraniani passati indenni attraverso mesi e anni di riunioni, Rwanda e Sudan quasi ignorati e così altri stermini e eccidi di massa. E quindi non è che non ci sia da interrogarsi sui problemi dei rifugiati e dei migranti... Parliamone, è un tema difficile, ci muoviamo in un universo di domande in cui le risposte sono tentativi di rimediare in fretta decenni di indifferenza e di colpevole assenza. Ma vogliamo dire che la decisione della Bachelet è inquisitiva e sostanzialmente sciocca, una risposta politica al carattere del governo italiano che viene visto come ormai connesso ai grandi cambiamenti che investono tutta Europa. Non è questo il modo di discuterne. Non è l'Onu che può giudicare. L'Onu che con la conferenza di Durban «contro il razzismo» del 2001 ha dato il via a un'ondata di antisemitismo fino ad allora vergognosa, sconosciuta, contenuta. L'Onu promuove la polarizzazione, avalla la semplificazione, magnifica l'arretratezza. Bisogna rispondere con un sorriso di compatimento, un rifiuto, ma anche una grande discussione in cui l'Italia si ponga con complessità di pensiero, sincerità, larghezza di vedute. Come Nikki Haley.
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Messaggioda Berto » sab set 29, 2018 6:47 am

OIC, l'Onu islamista che vuole silenziare l'Occidente
Lorenza Formicola
27-09-2018

http://lanuovabq.it/it/oic-lonu-islamis ... loccidente

L'Organizzazione di cooperazione islamica (OIC), è la più grande organizzazione islamica del mondo - composta da 56 stati membri delle Nazioni Unite più l'Autorità palestinese. Da sempre cerca di mettere a tacere e criminalizzare tutte le critiche all'islam, puntando su America e all'Occidente. Piani ambiziosi per abolire la libertà di parola e tutelare l'islam sottostimati in Occidente.

Nel 2012 veniva diffuso online un video realizzato in California nel quale il profeta Maometto veniva dipinto come uno "sciocco". Gli Stati Uniti attribuirono al filmato la responsabilità dell'attentato suicida in Afghanistan nel medesimo periodo. Si aprì un caso di islamofobia e diversi leader mondiali, e soprattutto musulmani, vennero chiamati a conferire direttamente alle Nazioni Unite per denunciare la nuova minaccia per la società islamica.

Ad andarci giù duro fu l'allora ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, che espressamente decretò la fine "del tempo della protezione dell'islamofobia mascherata da libertà di parola". Asif Ali Zardari, ex leader del Pakistan, disse che "la comunità internazionale dovrebbe criminalizzare gli atti che distruggono la pace del mondo e mettono in pericolo la sicurezza mondiale abusando della libertà di espressione". In quell'occasione il palazzo dell'Onu venne presidiato da manifestanti che al grido di "non c'è Dio all'infuori di Allah" e con cartelli che recitavano "bestemmiare il mio Profeta deve essere reso un crimine dall'Onu", esponevano la portata della polemica.

Dietro quella gran confusione, e l'incubo di un'islamofobia che avrebbe divorato il mondo di lì a poco, c'era l'Organizzazione di cooperazione islamica (OIC), la più grande organizzazione islamica del mondo - composta da 56 stati membri delle Nazioni Unite più l'Autorità palestinese. Organizzazione che da sempre cerca di mettere a tacere, e in definitiva criminalizzare, tutte le critiche all'islam, puntando specificamente all'America e all'Occidente. E' stato dimostrato - anche da Deborah Weiss (avvocato) in una monografia pubblicata dal Center for Security Policy Press - che l'OIC lavora attraverso risoluzioni ONU, conferenze multilaterali e altri veicoli internazionali per promuovere la sua agenda. L'obiettivo di questi sforzi, secondo il programma di azione decennale dell'OIC, lanciato nel 2005, è combattere la cosiddetta "islamofobia". Sostanzialmente, quindi, vietare qualsiasi discussione sul suprematismo islamico e le sue numerose manifestazioni, tra cui: terrorismo jihadista, persecuzione delle minoranze religiose e violazioni dei diritti umani commessi in nome di Allah.

In un lavorìo senza interruzione, l'OIC cerca di asportare la libertà di parola dall'Occidente. A giugno, l'organizzazione ha promosso il "I° forum islamico-europeo per esaminare le modalità di cooperazione per frenare l'incitamento all'odio nei media" e ha avuto luogo al Press Club Brussels Europe.

La direttrice del dipartimento informazioni dell'OIC, Maha Mustafa Aqeel, ha spiegato che il forum nasce in seno al disegno mediatico dell'OIC per fermare "l'islamofobia": "la nostra strategia si concentra sull'interazione con i media, accademici ed esperti su vari argomenti rilevanti, oltre ad impegnarsi con i governi occidentali per sensibilizzare, sostenere gli sforzi degli organismi musulmani della società civile in Occidente e coinvolgere questi ultimi nello sviluppo di piani e programmi per contrastare l'islamofobia".

A differenza di quasi tutte le altre organizzazioni intergovernative, l'OIC esercita un potere sia religioso che politico. E si descrive come: "... la seconda più grande organizzazione intergovernativa dopo le Nazioni Unite con l'adesione di 57 stati e si sviluppa su quattro continenti. L'Organizzazione è la voce del mondo musulmano e sposa tutte le cause vicine ai cuori di oltre 1,5 miliardi di persone Musulmane del mondo".

Uno dei principali obiettivi dell'organizzazione, stando al suo "statuto", è "diffondere, promuovere e preservare gli insegnamenti e i valori islamici, basati sulla moderazione e la tolleranza, promuovere la cultura islamica e salvaguardare il patrimonio islamico" e "proteggere e difendere la vera immagine dell'Islam, per combattere la diffamazione dell'Islam e incoraggiare il dialogo tra civiltà e religioni".

Nel 2008, l'OIC ha pubblicato il suo primo rapporto sull'islamofobia. Il documento elencava una serie di interazioni che i rappresentanti dell'organizzazione hanno avuto con il pubblico occidentale tra le quali il Consiglio d'Europa, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) e accademici di università come Georgetown e Oxford. E il documento arrivava ad una chiara conclusione, "il punto sottolineato in tutte queste interazioni è che l'islamofobia sta gradualmente conquistando la mentalità della gente comune nelle società occidentali, un fatto che ha creato una percezione negativa e distorta dell'Islam. [...] L'islamofobia rappresenta una minaccia non solo per i musulmani, ma per il mondo in generale". Al capitolo quattro, il Segretario generale dell'OIC, invitava l'Europa a "perseguire e punire attraverso il quadro di una legislazione appropriata la discriminazione"; "addurre alle cause di terrorismo i conflitti politici"; "garantire la libertà delle pratiche religiose islamiche liberandole dal pregiudizio delle leggi secolari".

Da quel primo rapporto, l'OIC ha investito se stessa, in maniera del tutto autoreferenziale, del ruolo di Grande Fratello dell'Ue e collabora con l'OSCE e il Consiglio d'Europa "per combattere stereotipi e incomprensioni, e favorire la tolleranza".

Dopo anni pancia a terra, l'organizzazione di cooperazione islamica ha ottenuto che molti governi dell'Europa occidentale perseguitino i propri cittadini per aver criticato la religione di Maometto.

In Svezia una signora di 71 anni è stata condannata al pagamento di una multa per "incitamento all'odio contro un altro gruppo etnico", per aver commentato su Facebook che alcuni immigrati sembrano "dediti solo allo stupro e alla demolizione delle loro case".

In Germania, un giornalista, Michael Stürzenberger, è stato condannato a sei mesi di carcere per aver pubblicato, sempre sulla sua pagina Facebook, una foto storica del Gran Mufti di Gerusalemme, Haj Amin al-Husseini, mentre stringe la mano di alto funzionario nazista a Berlino,nel 1941. L'accusa, "incitamento all'odio verso l'Islam" e "denigrazione dell'islam".

Ed è proprio a proposito di nuovi media che l'OIC sta lavorando ad una strategia globale rivolta esclusivamente ad essi. Concordata in Arabia Saudita nel dicembre 2016 e incentrata sull'Occidente, si propone come obiettivi, "accrescere l'interazione con i media e i professionisti, incoraggiando nel contempo l'accuratezza nella rappresentazione dell'islam. L'accento dovrebbe essere sempre rivolto a evitare qualsiasi legame o associazione tra islam e terrorismo. Smetterla di etichettare i terroristi come "estremisti islamici".

D'altronde, è da tempo che autorità e media dopo ogni attentato ci parlano di "fanatici" e "malati di mente", e mai di terroristi musulmani.

Ma parte della strategia mediatica sono anche le "campagne pubblicitarie per i trasporti pubblici"; "organizzare tre talk show l'anno per canali televisivi importanti negli Stati Uniti e in Europa con la partecipazione di membri selezionati provenienti da paesi musulmani"; "dieci conferenze l'anno nei vari paesi sul ruolo islamico nella costruzione di culture e intercomunione"; "visite a scuole e università"; "produrre un documentario di un'ora in cui viene esaminata la crescita dell'islamofobia in Occidente e il suo impatto sui musulmani di tutto il mondo, da trasmettere su reti come la BBC britannica e Channel 4 o PBS".

I piani ambiziosi dell'OIC di abolire la libertà di parola per tutelare l'islam sono gravemente sottostimati in Occidente.



Orrore, terrore, avversione e odio per il nazismo maomettano o sana e naturale islamofobia
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Criticare e denunciare l'Islam è un dovere prima ancora che un diritto
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Re: ONU - UNESCO e altri (no grasie!) - e Facebook ?

Messaggioda Berto » sab nov 17, 2018 10:36 pm

Voto Onu per il Golan
Stati Uniti e Israele contro tutti
16 novembre 2018

di Daniel Harkov
Gli Stati Uniti hanno votato contro la risoluzione annuale delle Nazioni Unite che chiedeva a Israele di ritirarsi dalle alture del Golan. Nonostante la mossa senza precedenti degli Stati Uniti, la risoluzione è passata con 151 a favore (Italia compresa), due contrari (Israele e USA) e 14 astenuti.
L’ambasciatore israeliano presso l’ONU Danny Danon ha ringraziato gli Stati Uniti per la mossa e ha detto che “l’ONU dovrebbe occuparsi della guerra civile in Siria, non decisioni prive di significato che non influenzeranno la sovranità di Israele sulle alture del Golan”.

Alberto Pento
Anche l'Italia ha votato contro Israele.



ONU vs Israele: un film già visto, ma che lascia sempre perplessi
Ugo Volli

https://www.progettodreyfus.com/onu-
voto-israele/?fbclid=IwAR3-5rO7Q2v4rbCIaQGodZGL4VBUvRpdep1bVi30ngaevBJ7TmIBPcv11L0

ONU vs Israele. Venerdì scorso l’Assemblea Generale della Nazioni Unite ha votato a grande maggioranza nove risoluzioni contro Israele e nessuna contro altri stati: 0 all’Arabia, 0 al Venezuela, 0 al Nord Corea, 0 alla Russia, 0 alla Cina, 0 al Myanmar, 0 all’Iran, per citare qualche stato chiacchierato. Altre sei seguiranno, a quanto pare, nei prossimi giorni. Non è certo una novità, si tratta di una coda alle centinaia già votate costantemente nel corso degli anni, di cui si trova un elenco incompleto ma molto nutrito qui. Anche se non è una novità, vale la pena di dare qualche informazione su queste decisioni. Su questi dettagli cito una fonte araba, perché questi fatti in Europa sono tenuti accuratamente sotto silenzio:

1. La bozza di risoluzione “Assistenza ai profughi della Palestina” ha ottenuto 161 voti a favore, 2 contrari (Israele, Stati Uniti) e 8 astenuti (Camerun, Canada, Costa d’Avorio, Guatemala, Isole Marshall, Stati Federati di Micronesia, Palau, Isole Solomon).

2. Quella intitolata “Gli sfollati a seguito del giugno 1967 e le successive ostilità” ha avuto 155 voti favorevoli a 5 contro (Canada, Israele, Isole Marshall, Stati Federati di Micronesia, Stati Uniti), con 10 astenuti (Australia, Camerun, Costa d’Avorio, Guatemala, Honduras, Messico, Palau, Ruanda, Isole Salomone, Togo).

3. Con un voto di 158 a favore di 5 contro (Canada, Israele, Isole Marshall, Stati Federati di Micronesia, Stati Uniti), con 7 astensioni (Australia, Camerun, Costa d’Avorio, Guatemala, Palau, Ruanda, Isole Salomone) , è stata approvata la bozza di risoluzione “Operazioni dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e i lavori per i profughi della Palestina nel Vicino Oriente”.

4. La bozza di risoluzione “Proprietà dei profughi della Palestina e le loro entrate” è stata approvata con un voto registrato di 155 a favore di 5 contro (Canada, Israele, Isole Marshall, Stati Federati di Micronesia, Stati Uniti), con 10 astenuti (Australia, Camerun, Costa d’Avorio, Guatemala, Honduras, Messico, Palau, Ruanda, Isole Salomone, Togo).

5. La risoluzione sui “Diritti umani del popolo palestinese e di altri arabi dei territori occupati”, è stata approvata col risultato di 77 a favore di 8 contrari (Australia, Canada, Guatemala, Honduras, Israele, Isole Marshall, Stati Federati di Micronesia, Stati Uniti), con 79 astensioni.

6. 154 a favore e 5 contro (Canada, Israele, Isole Marshall, Stati Federati di Micronesia, Stati Uniti), con 8 astenuti (Australia, Camerun, Costa d’Avorio, Guatemala, Palau , Ruanda, Isole Salomone, Togo) hanno approvato la bozza “Applicabilità della Convenzione di Ginevra relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra, del 12 agosto 1949, al Territorio palestinese occupato, inclusa Gerusalemme Est, e gli altri territori arabi occupati ”.

7. La bozza sugli “Insediamenti israeliani nel territorio palestinese occupato, tra cui Gerusalemme Est e il Golan siriano occupato” con 153 voti favorevoli a 5 contro (Canada, Israele, Isole Marshall, Stati Federati di Micronesia, Stati Uniti) con 10 astensioni (Australia, Camerun, Costa d’Avorio, Guatemala, Honduras, Palau, Papua Nuova Guinea, Ruanda, Isole Salomone, Togo).

8. Quella sulle “pratiche israeliane che riguardano i diritti umani del popolo palestinese nel territorio palestinese occupato, inclusa Gerusalemme Est”,ha avuto 153 voti a favore di 6 contrari (Australia, Canada, Israele, Isole Marshall , Stati federati di Micronesia, Stati Uniti), con 9 astenuti (Camerun, Costa d’Avorio, Guatemala, Honduras, Palau, Papua Nuova Guinea, Ruanda, Isole Salomone, Togo).

9. Infine è stato approvato – con un voto registrato di 151 a favore di 2 contro (Israele, Stati Uniti), con 14 astensioni (Australia Camerun, Canada, Costa d’Avorio, Guatemala, Honduras Isole Marshall, Messico. Micronesia, Palau, Pana,a, Papua, Ruanda Togo) il progetto “Il Golan siriano occupato”, che richiede la cessione del Golan al simpatico regime umanitario di Assad.

Chi fosse interessato a guardare meglio i tabelloni delle votazioni, li trova qui.
https://twitter.com/UNWatch

Vale la pena di notare che contro le risoluzioni hanno votato sempre solo Israele e gli Stati Uniti, più qualche paese di scarso peso geopolitico. Fra astensioni e voti contrari si sono affacciati anche Canada e Australia, qualche volta il Messico. L’Europa ha votato massicciamente contro Israele, anche i paesi di Visegrad che proclamano amicizia per Israele, anche l’Italia. Tutti favorevoli a non disturbare il lavoro terroristico di Hamas o i bombardamenti con gas della Siria. La sola risoluzione su cui si sono astenuti è la numero 5.
Varrebbe la pena di chiedere notizie di questo voto a Salvini, che è amico di Israele. La risposta che probabilmente potrebbe dare è che il voto dipende dal Ministro degli Esteri Moavero, che essendo uomo di Mattarella, “da sempre molto vicino a Mario Monti “ come spiega Wikipedia, ministro degli affari europei nel suo governo e poi in quello di Enrico Letta, e già consigliere speciale di Gentiloni, non lo è affatto e fa quel che può per sostenere le deleterie politiche europee, almeno dove lo lasciano agire.

È necessario però nella situazione presente portare un po’ più avanti il ragionamento. Questi voti non hanno effetti giuridici ma mostrano che nonostante la crescita delle relazioni bilaterali, esiste contro Israele una massa critica di odio antisemita che rischia di coagularsi in azioni concrete a ogni iniziativa non accorta. Solo il veto americano (anzi il veto di Trump, perché Obama, come si ricorderà, l’aveva negato) impedisce che questo schieramento si riproduca al consiglio di sicurezza dell’Onu, che ha poteri legali. È una cosa cui dovrebbero pensare in particolare coloro cui danno fastidio Trump e magari anche Netanyahu, quest’ultimo perché molto cauto a prendere iniziative che potrebbero diventare pretesti per l’odio antisraeliano.
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Re: ONU - UNESCO e altri (no grasie!) - e Facebook ?

Messaggioda Berto » dom nov 18, 2018 9:37 pm

L'ONU E LA TRAGEDIA DI GAZA
di Justin Amler

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... __tn__=K-R

L’Onu – un’organizzazione ipocrita ed eticamente defunta, che pensa di poter dare lezioni morali a tutti – ha detto che una nuova guerra a Gaza sarebbe stata una “tragedia inimmaginabile”. Proprio così: “una tragedia inimmaginabile”. E ancora una volta ha sbagliato su quale sia esattamente la tragedia. Giacché la vera tragedia è ciò che sta avvenendo a Gaza da 13 anni.

Nel 2005 Israele lasciò Gaza sgomberando tutti i soldati e tutti i civili, sradicando persone e famiglie che vi abitavano e lavoravano da una vita. Andandosene, Israele lasciò nella Striscia di Gaza un bel patrimonio di impianti che avrebbe potuto dare agli arabi del posto la possibilità di fare qualcosa di buono della loro vita. Israele offrì loro la possibilità di costituire un’entità largamente indipendente, e la possibilità di disegnare il proprio destino. Israele lasciò loro varie strutture, a cominciare da imprese di successo d’agricoltura in serra, con colture già avviate all’esportazione. Ma invece di cogliere l’occasione d’oro che gli si offriva – l’occasione di esercitare un’autodeterminazione che nessuno dei “fratelli arabi” aveva mai offerto loro – essi decisero di non coglierla. Invece di lavorare nelle serre, le saccheggiarono. Portarono via tutto: tubi di irrigazione, pompe per l’acqua, coperture in plastica. Invece di abitare nelle case degli ex-insediamenti ebraici, le depredarono. I denari e i materiali che vennero generosamente riversarti nella striscia di Gaza, e che erano destinati ad aiutare i residenti arabi a diventare un modello di successo per il supposto sogno arabo di un ulteriore stato arabo indipendente, finirono invece per finanziare un incubo. Nei 13 anni da quando Israele se n’è andato, tutti gli sforzi degli arabi a Gaza, sotto la dittatura criminal-terroristica che vi prese il potere, non hanno mai riguardato il futuro, non sono mai stati dedicati a costruire una vita migliore, non sono mai stati centrati sull’aiutare la propria gente. Non hanno mai riguardato lo sforzo di creare un futuro di speranza, opportunità, aspirazioni.

È stato esattamente il contrario. La struttura di speranza che si sarebbe dovuta costruire venne sostituita con la struttura dell’odio. Le menti dei migliori ingegneri, anziché essere focalizzate sulla costruzione di vitali infrastrutture civili come centrali idriche ed elettriche, sono state cinicamente indirizzate alla costruzione di razzi e gallerie, tutte progettate al solo scopo di seminare le morte su uomini, donne e bambini. Hanno costruito esclusivamente per uccidere.

La tragedia non è se arriva una guerra, perché la guerra c’è già: quella di Gaza contro se stessa. La tragedia è che i miliardi di dollari che gli arabi di Gaza hanno ricevuto, tutto il sostegno e le speranze e la volontà di gran parte del mondo di vedere il loro successo, sono stati sperperati: non da una cattiva gestione, bensì dal deliberato obiettivo nazionale di puntare tutto sulla distruzione dell’unico stato ebraico sulla Terra. Quanti ospedali, quante scuole e università avrebbero potuto essere costruiti? Quanti centri di eccellenza della scienza e dello sviluppo avrebbero potuto fiorire? Quante opportunità si sarebbero potute offrire e quanti sogni si sarebbero potuti realizzare? Ma nulla di tutto questo si avvererà perché per quei capi arabi, il futuro non è determinato su ciò che possono costruire, ma solo da ciò che possono distruggere.

Nel frattempo, i razzi hanno continuato a cadere su persone innocenti nelle comunità meridionali d’Israele, e si è continuato a scavare tunnel per infiltrare terroristi sotto alle case dove dormono i bambini. Bambini cresciuti con l’idea che sia normale avere pochi secondi per correre nei rifugi, sapendo che quei pochi secondi possono fare la differenza tra la vita e la morte. Ecco la vera tragedia. La guerra non è una “tragedia inimmaginabile”, come sembrano pensare le Nazioni Unite. La guerra è il risultato ovvio e inevitabile quando a un’entità terrorista viene permesso di svilupparsi senza ammonimenti né conseguenze. Dov’era la comunità internazionale in tutti questi ultimi 13 anni? Dove sono le condanne di ciò che stavano facendo i capi di Hamas? Del modo in cui nascondevano i razzi sotto le scuole finanziate dai paesi donatori, del modo in cui hanno usato intenzionalmente e cinicamente i civili come carne da macello alla barriera di confine con Israele, del modo in cui hanno minacciato e intimidito persino la stampa e il personale delle Nazioni Unite? Dove sono gli appelli del Segretario Generale dell’Onu alla “moderazione” quando quelli costruivano i loro tunnel del terrore, giorno dopo giorno e notte dopo notte? E dov’erano responsabilità e controlli quando i fondi della comunità internazionale destinati alla ricostruzione diventavano investimenti di morte impiegati per la distruzione? Le cose non cambieranno fino a quando intere generazioni non saranno educate alla pace anziché indottrinate alla guerra; finché nessuno sarà mai chiamato a subire conseguenze per la costruzione di strutture terroristiche.

Nessuna persona razionale vuole la guerra, ma qui non abbiamo a che fare con persone razionali. Abbiamo a che fare con un’organizzazione terroristica spietata che non si fermerà, indipendentemente da quanto si cerchi di blandirla, indipendentemente da quanti soldi le si daranno. La mia gente è sotto attacco da parte di forze oscurantiste che non possono essere placate e con cui non è possibile ragionare. Egiziani e altri attori internazionali si adoperano furiosamente per una tregua di lungo periodo, ma non ci può essere una tregua di lungo periodo con il male, perché il male aspetta solo nell’ombra per ricominciare. La vera tragedia è che si siano lasciate arrivare le cose a questo punto.
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Re: ONU - UNESCO e altri (no grasie!) - e Facebook ?

Messaggioda Berto » mer nov 28, 2018 2:14 am

La Cedu, il carrozzone inutile che costa 71 milioni all'anno
Luca Fazzo - Mar, 27/11/2018

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... l-5ZvsNMN4

La Corte dei diritti dell'Uomo di Strasburgo ha il fascino dei grandi principi e delle utopie: che, come spesso accade, si traducono poi a fatica in prassi altrettanto elevate.

Costa ai contribuenti 71 milioni di euro all'anno. Sullo splendido edificio che la ospita, sventolano le bandiere dei 47 paesi che hanno sottoscritto la Convenzione europea dei diritti dell'Uomo: hanno rinunciato almeno in parte, cioè, a farsi giustizia da soli, a fare valere solo le proprie leggi; hanno ceduto, insomma, una parte della loro sovranità nel campo del diritto in favore di principi più alti e generali.

La Corte dei diritti dell'Uomo di Strasburgo ha il fascino dei grandi principi e delle utopie: che, come spesso accade, si traducono poi a fatica in prassi altrettanto elevate. Un po' perché i giudici che ne fanno parte sono tutti, in un modo o nell'altro, di nomina politica. E soprattutto perché i tempi delle decisioni sono talmente smisurati da rendere, tranne pochi fortunati casi, le decisioni di Strasburgo del tutto ininfluenti sui casi concreti: quando ormai le presunte vittime delle prepotenze degli Stati sono libere, o addirittura morte.

È accaduto ora con il caso di Silvio Berlusconi, che i giudici di Strasburgo hanno iniziato ad esaminare con tutta calma: hanno impiegato tre anni per chiedere il parere del governo italiano, un altro anno se n'è andato perché i giudici che avevano la pratica se ne spogliassero a favore della Grand Chambre, un altro anno è servito per la decisione. Nel frattempo la vita ha fatto il suo corso, il tempo è passato, la condanna di Berlusconi è stata cancellata: insomma alla fine il Cavaliere ha deciso di lasciar perdere, nonostante il robusto sforzo economico sostenuto per impiantare la causa a Strasburgo. Ma tempi analoghi la Corte li ha purtroppo quasi sempre. Li ha avuti con Bruno Contrada, ex funzionario dei servizi segreti, che si è visto dare ragione quando ormai aveva finito di scontare la sua pena. Rischia di accadere la stessa cosa con Marcello Dell'Utri, il cui ricorso è stato presentato nel 2015 e non verrà deciso prima del prossimo anno. E accade in continuazione con cittadini noti e meno noti dei 47 paesi.

Proprio ieri, celebrando il ventesimo anno di attività della Corte, il suo presidente, l'italiano Guido Raimondi, ha fornito numeri che giustificano questi ritmi di decisione: davanti alla Corte sono attualmente fermi 58mila procedimenti, che sono un bel passo avanti rispetto ai 160mila giacenti nel 2011, ma che rendono comunque assai improbabile che la maggior parte dei ricorrenti riceva una risposta in tempi sensati. Certamente dietro a questo intasamento c'è anche una certa resistenza degli Stati membri, dai cui finanziamenti dipende il funzionamento della Corte, che non hanno troppo interesse ad avere una Corte in piena efficienza. Ma in alcuni casi a Strasburgo hanno saputo dare corso in fretta. Lo hanno fatto quando diedero ragione al terrorista Abu Omar nella sua causa contro l'Italia, lo hanno fatto quando hanno abrogato il reato di immigrazione clandestina previsto dalla legge Bossi-Fini. Ma qui almeno c'erano in ballo questioni rilevanti ed urgenti di libertà civili. Ma in tempi ben più rapidi del solito è stata decisa anche la causa sollevata da una televisione italiana su una questione di frequenze. Insomma, sarà anche vero che, come ha detto ieri Guido Raimondi, centinaia di milioni di europei sanno che a Strasburgo c'è qualcuno che vigila costantemente sui loro diritti". Ma raramente lo fa in tempo utile.
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