L’ambasciatore saudita Faisal bin Hassan Trad è stato eletto a capo nel Consiglio per i diritti umani dell'Onu per l'anno 2016.
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A vigilare sui diritti umani nel mondo è perfetto per il rappresentante di una nazione con il quarto record mondiale di esecuzioni capitali, che di solito avvengono per decapitazione, ma che crocifigge (unici crocifissi ammessi sul sacro suolo Saudita) ancora i condannati per alcuni crimini, che non garantisce ai suoi cittadini il diritto di stampa, espressione, libertà religiosa, che tratta i lavoratori stranieri come schiavi, che nega tutti i diritti alle donne, che vivono una segregazione, che perseguita e riserva pene tremende agli omosessuali.
Ufficialmente però il consiglio recita che «gli Stati membri hanno i più alti standard nella promozione e protezione dei diritti umani».
L’ONU, IL RAZZISMO ITALIANO E I SEPOLCRI IMBIANCATI
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In Arabia Saudita non è tollerata l’opposizione politica. Gli oppositori vengono chiusi in prigione, frustati con un numero di scudisciate stabilito da un tribunale (di solito mille, divise a rate di cento), e decapitati. Qualsiasi critica alla famiglia reale è punita con la decapitazione. Le donne colpevoli di adulterio (talvolta solo perché violentate) vengono lapidate: sepolte in una buca dalla quale sporge soltanto la testa, gli occhi bendati, e colpite con violente sassate che, secondo la sharìa, devono essere effettuate “con sassi non troppo grandi e non troppo piccoli”, perché non devono uccidere subito e non devono essere poco dolorosi. La lapidazione termina solo quando il cranio e le ossa facciali sono tutte sfondate.
Se la donna è accusata di stregoneria, invece, viene decapitata. Talvolta le teste dei decapitati, raccolte in gruppi di cinque o dieci, vengono appese a un elicottero e portate in giro a bassa quota sulla capitale saudita perché tutti possano vedere come si compie la giustizia del monarca. Gli impiccati, invece, vengono appesi a un cavalcavia su una strada di grande traffico e lasciati in mostra per almeno un giorno.
I lavoranti stranieri provenienti da Paesi poveri, ossia Africa e Sud-est asiatico, come Indonesia, Malesia e Filippine, ma non dall’Europa o dagli Stati Uniti, al loro ingresso in Arabia Saudita vengono privati del passaporto. Se lavorano come servi o badanti presso una famiglia, il loro passaporto viene affidato al capofamiglia, il quale potrà decidere a suo piacimento quando e se restituirlo, tenendo i lavoratori come schiavi affinché non possano lasciare la casa. Lo prevede la legge.
Per legge inoltre i lavoratori possono essere picchiati, bastonati e frustati a giudizio del padrone di casa. Possono essere frustati in casa o anche in pubblico per “dare il buon esempio” agli altri. Molti lavoratori, uomini e donne, sono morti per le lesioni subìte, altri si sono suicidati per sottrarsi ai maltrattamenti.
Questo tipo di legge si chiama kafàla e vige non solo in Arabia Saudita ma anche in tutti gli stati del Golfo Persico: Dubai, Abu Dhabi, e gli altri cinque emirati arabi, più il Bahrein e il Kwait. E spiega perché i migranti africani non migrano verso quei Paesi ricchissimi.
Di recente il presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, ha ordinato a tutti i lavoratori filippini nel Kwait di rimpatriare nel giro di 48 ore, dopo che in poco tempo era stata segnalata la morte violenta di almeno sette lavoratrici filippine nel Paese.
Voi immaginerete che l’Alto Commissario dell’ONU per i Diritti Umani, la cilena Michelle Bachelet, eletta alla presidenza appena dieci giorni fa, il 1° Settembre, come suo primo atto abbia deciso di investigare sulle violazioni dei diritti umani nei ricchi Stati del Golfo, Arabia Saudita e Kwait in testa. Vi sbagliate. La Bachelet ha deciso di investigare sulle violazioni dei diritti umani in Italia.