ONU - UNESCO e altri (no grasie!) - e Facebook ?

Re: ONU - UNESCO e altri (no grasie!) - e Facebook ?

Messaggioda Berto » lun feb 07, 2022 11:35 pm

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Berto
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Re: ONU - UNESCO e altri (no grasie!) - e Facebook ?

Messaggioda Berto » ven feb 11, 2022 8:19 pm

RAZZA E COLORE
Michelle Mazel
8 febbraio 2022

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 8174765883

Nel 2020, dopo la morte di George Floyd, l’afroamericano che rimase per lunghi minuti sotto il ginocchio di un agente di polizia prima di morire per soffocamento, milioni di americani hanno scandito in coro “Black lives matter”. Questa reazione spontanea e, diciamolo, legittima, che riguardava soprattutto la violenza della polizia contro gli afroamericani, è rapidamente sfociata in scene di tumulti e saccheggi in tutti gli Stati Uniti. La polizia spesso lasciava perdere per non aggravare una situazione già esplosiva.
Il movimento ha poi rapidamente varcato i confini e in segno di solidarietà simili proteste hanno avuto luogo in tutto il mondo, soprattutto nell'Europa dell'Est e in Scandinavia, dove il problema è quasi inesistente. Nel contempo, il fenomeno “Woke” incitava a far sentire colpevoli tutti i “bianchi”, non solo per la schiavitù, ma anche per quella macchia originale che hanno solo loro, ovvero il colore della loro pelle; i bianchi dovrebbero quindi compiere un atto di contrizione e di pentimento. Da questo, ad esempio, nasce una folle campagna volta a rivedere la storia attraverso questo prisma per condannare Cristoforo Colombo come “colpevole” di aver introdotto l'uomo bianco nel continente americano e attraverso di lui il flagello della schiavitù. La comunità afroamericana si chiude in una strategia da vittima, di cui esige l’esclusività.
L'attrice, autrice e oggi alta sacerdotessa dell’ideologia “Woke”, Whoopi Goldberg, durante un programma sul canale ABC, ha negato l'esistenza di qualsiasi legame tra la Shoah e qualsiasi forma di razzismo sulla base del fatto che le vittime ebree e i loro carnefici nazisti erano entrambi bianchi.
Ascoltiamola: “Siamo onesti su questo argomento, perché l'Olocausto non riguarda la razza. Si tratta della disumanità dell'uomo nei confronti dell'uomo. Ecco di cosa si tratta. Ma questi sono due gruppi di bianchi. È il modo in cui le persone si comportano le une con le altre. Sono dei bianchi che lo fanno ad altri bianchi.”
Per lei il massacro di sei milioni di ebrei, uomini, donne e bambini è stato solo il risultato della disumanità dell'uomo nei confronti dell'uomo, niente di più o in ogni caso, il risultato di un conflitto tra due gruppi di individui appartenenti alla razza bianca.
Inutile dire che Whoopi Goldberg evidentemente non ha mai letto il Mein Kampf e la teoria della razza al centro della politica di sterminio, e forse non ne ha mai sentito parlare. In sostanza cosa sa lei della soluzione finale, delle atrocità di cui furono vittime gli ebrei, della politica genocida di Hitler? Le sue dichiarazioni testimoniano una crassa ignoranza piuttosto che una forma di antisemitismo da cui lei si difende.
Un'ignoranza che deve estendersi alla realtà dei campi di sterminio; come interpretare altrimenti l'uso di questo cliché che è “la disumanità dell'uomo nei confronti dell'uomo” del tutto privo di emozione. Non l’interessava minimamente il destino degli ebrei; l'importante era preservare il dogma che solo gli afroamericani possono affermare di essere vittime del razzismo. Probabilmente non è l'unica a pensarla così. Non resta che osservare le reazioni indignate dei suoi sostenitori per le due settimane di sospensione che gli studios le hanno inflitto.




Alberto Pento
Il delinquente abituale nero Giorge Floyd non è morto per soffocamento, durante l'arresto per essere stato bloccato giustamente dal poliziotto bianco in quanto soggetto pericoloso che resisteva all'arresto, è morto circa un'ora dopo all'ospedale ed era strafatto di fentanyl, una droga che in certa dose e in certe circostanze psicofisiche può essere mortale.
Poi non è affatto vero che la polizia americana statunitense è violenta contro i neri per razzismo, la polizia americana giustamente è violenta contro la criminalità violenta che ammazza i poliziotti e che negli USA in buona parte è costituita da neri che in proporzione al numero rispetto ai bianchi, delinquono in modo violento molto di più dei bianchi.

Alessandro Della Mea
L’ignoranza storica sullo schiavismo è abissale si dimentica che sino al 1700 gli arabi usavano far razzie per le coste del sud Europa rapendo milioni di europei, senza contare i milioni di decine di africani schiavizzati dagli arabi e poi venduti per mezzo mondo.

Alberto Pento
I primi schiavisti in Africa furono i tribalisti africani e poi gli arabi maomettani e i non arabi africani divenuti maomettani, furono sempre loro che per primi cacciarono gli africani per ridurli in schiavitù e venderli ai trafficanti di schiavi bianchi lungo le coste del continente nero che poi li trasferivano in catene nelle Americhe.

Franco Licciardello
Ma anche gli europei facevano razzie per procurarsi schiavi lungo le coste del Nordafrica, anche se di questo si parla poco. Secondo la mia visione ci sta una differenza di percezione del diverso fra europei ed americani, al riguardo vorrei ricordare che fino al 1967 negli Usa era reato avere rapporti sessuali fra bianchi e neri (ed i giudici qualche barzelletta l' hanno pure raccontata). Già nell' antichità gli europei conoscevamo l'altro (le lotte contro i mori o contro i tatari ad esempio), è stato con le scoperte geografiche che è iniziata la cosiddetta ' missione civilizzatrice' o 'di evangelizzazione' o 'del fardello dell'uomo bianco' o di ' rules Britannia', che sull' onda dell'Illuminismo e dei suoi successori, attraverso la ' morte di Dio' hegeliana, divenne la pseudoscienza dell' antropologia razzista, e della riscoperta wolks, il cui brodo culturale darà origine ai movimenti nazi-fascisti. Gli Stati Uniti non hanno avuto tutto questo ma una Guerra Civile combattuta con le bandiere di abolire la schiavitù che ha segnato grandemente il Paese. Difatti un giudice nel 1922 non esitò a definire una emigrata siciliana di razza nera (grazie anche agli studi Lombroso), mizzica se avessero letto la stima genetica del mio DNA sarebbero impazziti! 0,8 '/' Nigeriano, 8,5 '/. Ebreo askenazi, 7,4 turco-iranico, 4,6 mediorientale, 14 '/. Berbero, 5 '/. Nord europeo, 34 '/' Siceliota, e 25 '/' italico. Quindi non mi stupisce più di tanto la frase di Whoopy, semmai ci sta da lavorare nella cultura statunitense

Franco Licciardello
Questo è il più famoso quello di Edith Lobue per quanto riguarda i siciliani, altro caso famoso di reato di miscegenation furono i genitori di Obama https://casetext.com/case/rollins-v-state-120

Franco Licciardello
Alessandro Della Mea su questo ok, ma ricordati se ci sta un'offerta allora a monte ci sta una domanda. Interi stati africani si basarono sul commercio degli schiavi, e non ti è difficile trovare africani che maledivano la tratta ed africani che benedivano la tratta. Le colpe non sono da un lato solo della vicenda


Alberto Pento
Gli schiavi europei bianchi e cristiani degli africani mori e maomettani.

La tratta barbaresca degli schiavi era il commercio degli schiavi europei che fiorì negli stati barbareschi del Maghreb, gli attuali Marocco, Algeria, Tunisia e Libia occidentale, tra il XVI e il XIX secolo. Questi mercati prosperarono mentre gli stati erano nominalmente sotto il dominio ottomano, ma in realtà erano sostanzialmente autonomi.

https://it.wikipedia.org/wiki/Tratta_ba ... li_schiavi

Al mercato degli schiavi nordafricano si commerciavano schiavi di origine europea. Questi venivano catturati dai corsari barbareschi in incursioni sulle navi e sulle città costiere di città italiane, spagnole, portoghesi, francesi, inglesi, dei Paesi Bassi, fino ad arrivare in Islanda. Uomini, donne e bambini venivano catturati; a causa dell'entità devastante di queste azioni un grande numero di centri abitati costieri, in particolare nell'Europa mediterranea, vennero abbandonate.

Il professor Robert Davis, insegnante di storia alla Ohio State University, descrive la tratta bianca degli schiavi come minimizzata dalla gran parte degli storici moderni nel suo libro Christian Slaves, Muslim Masters: White Slavery in the Mediterranean, the Barbary Coast and Italy, 1500-1800. Davis stima che, solamente da parte di schiavisti da Tunisi, Algeri e Tripoli, 1-1.25 milioni di cristiani europei vennero schiavizzati in Maghreb dall'inizio del XVI secolo alla metà del XVIII (questo numero non comprende gli europei schiavizzati dal Marocco ed altri assalitori delle coste del Mediterraneo), e circa 700 americani vennero fatti prigionieri in questa regione tra il 1785 e il 1815. Le statistiche doganali del XVI-XVII secolo suggeriscono che un ulteriore apporto di schiavi importati da Istanbul dal Mar Nero potesse arrivare ad un totale di 2.5 milioni dal 1450 al 1700.

Il mercato declinò dopo la sconfitta degli Stati barbareschi nelle guerre barbaresche e finì definitivamente poco dopo il 1830, con la conquista francese dell'Algeria.





L'"Apartheid" israeliano e i suoi chansonniers
8 febbraio 2022

http://www.linformale.eu/lapartheid-isr ... nsonniers/

http://www.linformale.eu/quinta-colonna-2/

Tra i numerosi siti che propagano a mo di megafono la propaganda contro Israele, c’è ampia scelta, uno fra i tanti è il sito di Fujiko Formazione, una radio con sede a Bologna, che, quando si occupa di Medio Oriente, e nello specifico di Israele, segue pedissequamente le coordinate dell’Autorità Palestinese.

Non è tanto il sito in sè a interessarci, quanto un recente articolo che, prendendo le difese dell’inverecondo rapporto di Amnesty International secondo il quale in Israele si praticherebbe l’apartheid, condensa in un paragrafo una serie sorprendente di menzogne. Vale la pena riportarle perchè sono la dimostrazione di come le accuse contro Israele, al di là di quella realtiva al “genocidio” dei palestinesi, siano poche, ripetute, e grottesche, un po’ come le false mappe della presunta espansione israeliana ai danni dei palestinesi, che circolano da anni, malgrado siano una bufala degna di Amici Miei https://www.israele.net/la-false-mappe- ... israeliana.

Ma c’è poco da fare, la coazione a ripetere è una prerogativa necessaria della propaganda, anzi è la sua stessa ragione d’essere, così, a proposito del rapporto in questione, sul sito citato leggiamo che:

“Nelle 278 pagine del rapporto di Amnesty International…vengono dettagliate le pratiche israeliane che portano al dominio e all’estrema discriminazione nei confronti dei palestinesi. I grandi limiti alla libertà di movimento, la requisizione delle terre, il divieto di edificare, le discriminazioni in tema di ricongiungimenti famigliari, le uccisioni illegali, le deportazioni di popolazioni o la loro cacciata da villaggi o quartieri, come è avvenuto a Gerusalemme Est nel maggio dello scorso anno, la ripartizione discriminatoria delle risorse. Sono queste ed altre le misure praticate da Israele”.

Queste sarebbero le accuse, che, saldate una all’altra come gli anelli di una solida catena imprigionerebbero i palestinesi nel ferreo giogo dell’apartheid. Sulla natura dell’apartheid, i suoi requisiti base, ha già chiarito nel suo articolo, David Elber http://www.linformale.eu/il-grottesco-i ... onal/sugli aspetti contenuti invece in questa requisitoria, è il caso di soffermarsi brevemente per decostruirne gli assunti base.

Procedendo con ordine dobbiamo iniziare con la prima libertà negata in Israele ai palestinesi. Effettivamente, da Gaza gli abitanti, chiusi nell’enclave governata da Hamas dal 2007, non ci sono flussi in Israele. Non risultano nemmeno flussi da Israele a Gaza. Diversa è la situazione nei cosiddetti territori “occupati”, ovvero la Giudea e Samaria dove i flussi di movimento dei frontalieri palestinesi che ogni giorno entrano in Israele, è regolato da checkpoint, visto lo statuto speciale di questi ultimi, normato dagli Accordi di Oslo del 1993, così come si trovano checkpoint in altri punti del paese, la cui presenza, come quella della barriera fatta costruire nel 2002 durante la Seconda Intifada, si è resa necessaria per garantire la sicurezza dei cittadini israeliani. È singolare che nel rapporto di Amnesty International la barriera non venga anche essa considerata un simbolo tangibile dell’apartheid.

Sono 87.000 i palestinesi che, provenienti dai territori lavorano legalmente in Israele, mentre 35,000 lavorano negli insediamenti israeliani. Recentemente Israele ha concesso 16.000 permessi supplementari per aiutare la precaria economia dell’Autorità Palestinese. Sono dati che evidenziano quanto Israele limiti il movimento dei palestinesi residenti fuori dal suo perimetro.

Veniamo alla “requisizione delle terre” considerate di proprietà araba. Lo faremo facendo un salto indietro, retrocedendo per l’esattezza al periodo ottomano quando gli arabi possedevano circa il 15% della terra. Oggi, nel 2022, la percentuale è la medesima. Bisogna però dire che nel corso degli anni determinati terreni di proprietà araba laddove ritenuto necessario sono stati espropriati dallo Stato, sempre con compensazione economica nei confronti dei legittimi proprietari. Secondo le normative del diritto internazionale l’espropriazione di un terreno per ragioni di difesa militare, sempre dietro compensazione economica, è ammessa, così come stabilto con chiarezza dalla IV Convenzione dell’Aia del 1907.

In tutti i paesi civili, e Israele non si vede perchè dovrebbe fare eccezione, l’edificazione è consentita secondo le leggi vigenti, le edificazioni abusive sono considerte un reato. La percentuale di abusivismo edilizio palestinese in Israele, nonostante “l’apartheid”, è endemica. Ancora nel 2017, secondo quanto riferito alla Knesset da Marco Ben Shabat della Divisione di Vigilanza nell’Area C della Giudea e Samaria, il 60% delle strutture abusive palestinesi costruite era ancora intatto dal 2010. Fino al 2010 solo dal 10% al 15% delle strutture abusive era stato buttato giù e solo il 30, 35% demolito. Evidentemente, per gli estensori del rapporto di Amnesty International, l’abusivismo palestinese dovrebbe essere condonato così come dovrebbero essere considerare illegali tutte le uccisioni di terroristi.

Si ricorda qui il caso della grande manifestazione organizzata da Hamas con la collaborazione parziale di Fatah e della Jihad islamica organizzata il 30 aprile del 2017 al confine di Gaza con Israele e che avrebbe dovuto culminare tra il 14 e il 15 maggio dello stesso anno. In mezzo a 40.000 partecipanti, il 30 marzo, l’esercito israeliano uccise 16 manifestanti. Ventiquattro ore dopo l’esecrazione internazionale, l’IDF fu in grado di mostrare le fotografie dei 16 morti, qualificati dalla stampa di mezzo mondo come “innocenti” e “pacifici” manifestanti, in assetto militare. Erano infatti membri della Brigata Izz ad-Din al-Qassam, rivendicati successivamente da Hamas stesso come propri miliziani. Vi furono 62 altri morti successivamente, quelli che Massimo D’Alema, in una intervista, defini come vittime disarmate di un “barbaro eccidio”. Fu lo stesso portavoce di Hamas a rivendicarne 50 come propri miliziani. Gli esempi potrebbero essere molti altri, ma per Amnesty International, queste uccisioni sono da considerarsi “illegali”, come lo è l’uccisione di qualsiasi altro terrorista da parte della polizia israeliana o dell’esercito.

Discendendo per li rami, in Israele i ricongiungimenti familiari sono disciplinati burocraticamente come in qualsiasi altro paese, tuttavia vi è una legge restrittiva relativamente al ricongiungimento di cittadini palestinesi residenti nei territori, sposati con cittadini palestinesi residenti in Israele. La legge venne introdotta nel 2003 al culmine della Seconda Intifada per motivi di sicurezza dopo che un membro di Hamas, Shadi Tubasi, il quale ottenne la carta di identità israeliana in virtù del suo matrimonio, uccise sedici israeliani in uno dei più brutali attachi terroristici del periodo.

Circa 130,000 palestinesi ottennero il ricongiungimento familiare durante gli anni ’90. Secondo lo Shin Bet 155 di costoro e i loro discendenti si sono resi responsabili di atti di terrorismo dal 2001 in poi. Ma tutto questo scompare dalla scena per i fautori della “discriminazione” che questa legge esemplificherebbe, occultando le ragioni della sua entrata in vigore. Essa sarebbe un simbolo dell’apartheid che vigerebbe in Israele.

“La deportazione di popolazioni”, è forse il gioiello della corona del rapporto di Amnesty International e si coniuga perfettamente con l’accusa di “pulizia etnica”, quella che, nella fabula neocolonialista di Illan Pappe, pupillo di ogni propalestinese duro e puro, sarebbe avvenuta da parte ebraica nei confronti della popolazione araba, durante la guerra del 1948. La pietra di inciampo, in questo caso è però vistosa.

È sempre la storia (ovvero i fatti) a sostenerci. Nel 1948 nel territorio mandatario risiedevano complessivamente circa 1.300.000 arabi. Oggi nello stesso territorio ne risiedono 6.400.000 (1.800.000 in Israele, 2.800.000 nei territori amministrati dall’ANP e 1.800.000 a Gaza). Per quanto riguarda Gerusalemme la situazione è la seguente: nel 1967 vi risiedevano 263.000 arabi, oggi sono 320,000 su 900.000 complessivi, ovvero la percentuale più (35%) dall’inizio del primo censimento effettuato nel 1840. Un caso davvero clamoroso quello di Israele, in cui la deportazione della popolazione araba l’ha esponenzialmente incrementata.

L’ultimo misfatto elencato è la discriminazione delle risorse, altro segno inequivocabile, secondo Amnesty International, del suprematismo razziale ebraico. In questa circostanza ci possono venire in soccorso gli Accordi di Oslo.

Nell’appendice I, all’Art. 40, le parti concordarono in modo estremamente dettagliato sull’utilizzo delle risorse, i compiti delle parti nella gestione del sistema idrico e lo stabilirsi di una commissione congiunta per la verifica del fabbisogno della popolazione. Tra i compiti di parte israeliana, c’è quello di fornire la maggior parte dell’acqua per la popolazione palestinese.

Inizialmente, fu stabilito che le autorità israeliane dovessero fornire una quantità pari a 28.6 mcm/anno di acqua fresca. Nel corso degli anni successivi la commissione congiunta aumentò enormemente la quantità d’acqua per migliorare la situazione idrica dei palestinesi. Già nei primi anni 2000, la quantità erogata da Israele è passata da 28.6 mcm/anno (concordata negli accordi di Oslo) a 47 mcm/anno fino a raggiungere i 52 mcm/anno.

Tuttavia, per Riccardo Noury, rappresentante italiano di Amnesty International, non ci sono dubbi, l’apartheid israeliano è una realtà di fatto.



Quinta colonna
10 febbraio 2022
http://www.linformale.eu/quinta-colonna-2/

Tra i numerosi siti che propagano a mo di megafono la propaganda contro Israele, c’è ampia scelta, uno fra i tanti è il sito di Fujiko Formazione, una radio con sede a Bologna, che, quando si occupa di Medio Oriente, e nello specifico di Israele, segue pedissequamente le coordinate dell’Autorità Palestinese.

Non è tanto il sito in sè a interessarci, quanto un recente articolo che, prendendo le difese dell’inverecondo rapporto di Amnesty International secondo il quale in Israele si praticherebbe l’apartheid, condensa in un paragrafo una serie sorprendente di menzogne. Vale la pena riportarle perchè sono la dimostrazione di come le accuse contro Israele, al di là di quella realtiva al “genocidio” dei palestinesi, siano poche, ripetute, e grottesche, un po’ come le false mappe della presunta espansione israeliana ai danni dei palestinesi, che circolano da anni, malgrado siano una bufala degna di Amici Miei https://www.israele.net/la-false-mappe- ... israeliana.

Ma c’è poco da fare, la coazione a ripetere è una prerogativa necessaria della propaganda, anzi è la sua stessa ragione d’essere, così, a proposito del rapporto in questione, sul sito citato leggiamo che:

“Nelle 278 pagine del rapporto di Amnesty International…vengono dettagliate le pratiche israeliane che portano al dominio e all’estrema discriminazione nei confronti dei palestinesi. I grandi limiti alla libertà di movimento, la requisizione delle terre, il divieto di edificare, le discriminazioni in tema di ricongiungimenti famigliari, le uccisioni illegali, le deportazioni di popolazioni o la loro cacciata da villaggi o quartieri, come è avvenuto a Gerusalemme Est nel maggio dello scorso anno, la ripartizione discriminatoria delle risorse. Sono queste ed altre le misure praticate da Israele”.

Queste sarebbero le accuse, che, saldate una all’altra come gli anelli di una solida catena imprigionerebbero i palestinesi nel ferreo giogo dell’apartheid. Sulla natura dell’apartheid, i suoi requisiti base, ha già chiarito nel suo articolo, David Elber http://www.linformale.eu/il-grottesco-i ... onal/sugli aspetti contenuti invece in questa requisitoria, è il caso di soffermarsi brevemente per decostruirne gli assunti base.

Procedendo con ordine dobbiamo iniziare con quella che sarebbe la prima libertà negata in Israele ai palestinesi. Da Gaza, l’enclave governata da Hamas dal 2007 i palestinesi cercano, se viene loro consentito, di andare a lavorare in Israele. Sono diecimila i permessi lavorativi istituiti da Israele per i palestinesi residenti nell’enclave. Nei cosiddetti territori “occupati”, ovvero la Giudea e Samaria (Cisgiordania, West Bank) i flussi di movimento dei frontalieri palestinesi che ogni giorno entrano in Israele è regolato da checkpoint, visto lo statuto speciale di questi ultimi, normato dagli Accordi di Oslo del 1993, così come si trovano checkpoint in altri punti del paese, la cui presenza, come quella della barriera fatta costruire nel 2002 durante la Seconda Intifada, si è resa necessaria per garantire la sicurezza dei cittadini israeliani. Anche essa un simbolo tangibile dell’apartheid.

Alcuni numeri possono farci capire in che misura il movimento dei palestinesi che vivono nei territori sia coartato. Sono 87.000 i palestinesi che, provenienti dai territori lavorano legalmente in Israele, mentre 35,000 lavorano negli insediamenti israeliani. Recentemente Israele ha concesso 16.000 permessi supplementari per aiutare la precaria economia dell’Autorità Palestinese. Sono dati che evidenziano quanto Israele limiti il movimento dei palestinesi residenti fuori dal suo perimetro.

Veniamo alla “requisizione delle terre” considerate di proprietà araba. Lo faremo facendo un salto indietro, retrocedendo per l’esattezza al periodo ottomano quando gli arabi possedevano circa il 15% della terra. Oggi, nel 2022, la percentuale è la medesima. Bisogna però dire che nel corso degli anni determinati terreni di proprietà araba laddove ritenuto necessario sono stati espropriati dallo Stato, sempre con compensazione economica nei confronti dei legittimi proprietari. Secondo le normative del diritto internazionale l’espropriazione di un terreno per ragioni di difesa militare, sempre dietro compensazione economica, è ammessa, così come stabilto con chiarezza dalla IV Convenzione dell’Aia del 1907.

In tutti i paesi civili, e Israele non si vede perchè dovrebbe fare eccezione, l’edificazione è consentita secondo le leggi vigenti, le edificazioni abusive sono considerte un reato. La percentuale di abusivismo edilizio palestinese in Israele, nonostante “l’apartheid”, è endemica. Ancora nel 2017, secondo quanto riferito alla Knesset da Marco Ben Shabat della Divisione di Vigilanza nell’Area C della Giudea e Samaria, il 60% delle strutture abusive palestinesi costruite era ancora intatto dal 2010. Fino al 2010 solo dal 10% al 15% delle strutture abusive era stato rimosso e solo il 30, 35% demolito. Evidentemente, per gli estensori del rapporto di Amnesty International, l’abusivismo palestinese dovrebbe essere condonato così come dovrebbero essere considerare illegali tutte le uccisioni di terroristi.

Si ricorda qui il caso della grande manifestazione organizzata da Hamas con la collaborazione parziale di Fatah e della Jihad islamica del 30 aprile 2017 al confine di Gaza con Israele e che avrebbe dovuto culminare tra il 14 e il 15 maggio dello stesso anno. In mezzo a 40,000 partecipanti, il 30 marzo, l’esercito israeliano uccise 16 manifestanti. Ventiquattro ore dopo l’esecrazione internazionale, l’IDF fu in grado di mostrare le fotografie dei 16 morti, qualificati dalla stampa di mezzo mondo come “innocenti” e “pacifici” manifestanti, in assetto militare. Erano infatti membri della Brigata Izz ad-Din al-Qassam, rivendicati successivamente da Hamas stesso come propri miliziani. Vi furono 62 altri morti successivamente, quelli che Massimo D’Alema, in una intervista, defini come vittime disarmate di un “barbaro eccidio”. Fu lo stesso portavoce di Hamas a specificare che no, non erano vittime disarmate ma, ancora una volta 50 dei propri miliziani. Gli esempi potrebbero essere molti altri, ma per Amnesty International, queste uccisioni sono da considerarsi “illegali”, come lo è l’uccisione di qualsiasi altro terrorista da parte della polizia israeliana o dell’esercito.

Discendendo per li rami, in Israele i ricongiungimenti familiari sono disciplinati burocraticamente come in qualsiasi altro paese, tuttavia vi è una legge restrittiva relativamente al ricongiungimento di cittadini palestinesi residenti nei territori, sposati con cittadini palestinesi residenti in Israele. La legge venne introdotta nel 2003 al culmine della Seconda Intifada per motivi di sicurezza dopo che un membro di Hamas, Shadi Tubasi, il quale ottenne la carta di identità israeliana in virtù del suo matrimonio, uccise sedici israeliani in uno dei più brutali attachi terroristici del periodo.

Circa 130,000 palestinesi ottennero il ricongiungimento familiare durante gli anni ’90. Secondo lo Shin Bet 155 di costoro e i loro discendenti si sono resi responsabili di atti di terrorismo dal 2001 in poi. Ma tutto questo scompare dalla scena per i fautori della “discriminazione” che questa legge esemplificherebbe, occultando le ragioni della sua entrata in vigore. Essa sarebbe un simbolo dell’apartheid che vigerebbe in Israele.

“La deportazione di popolazioni”, è forse il gioiello della corona del rapporto di Amnesty International e si coniuga perfettamente con l’accusa di “pulizia etnica”, quella che, nella fabula neocolonialista di Ilan Pappe, pupillo di ogni propalestinese duro e puro, sarebbe avvenuta da parte ebraica nei confronti della popolazione araba, durante la guerra del 1948. La pietra di inciampo, in questo caso è però vistosa.

È sempre la storia (ovvero i fatti) a sostenerci. Nel 1948 nel territorio mandatario risiedevano complessivamente circa 1.300.000 arabi. Oggi nello stesso territorio ne risiedono 6.400.000 (1.800.000 in Israele, 2.800.000 nei territori amministrati dall’ANP e 1.800.000 a Gaza). Per quanto riguarda Gerusalemme la situazione è la seguente: nel 1967 vi risiedevano 263.000 arabi, oggi sono 320,000 su 900.000 complessivi, ovvero la percentuale più (35%) dall’inizio del primo censimento effettuato nel 1840. Un caso davvero clamoroso quello di Israele, in cui la deportazione della popolazione araba l’ha esponenzialmente incrementata.

L’ultimo misfatto elencato è la discriminazione delle risorse, altro segno inequivocabile, secondo Amnesty International, del suprematismo razziale ebraico. In questa circostanza ci possono venire in soccorso gli Accordi di Oslo.

Nell’appendice I, all’Art.40, le parti concordarono in modo estremamente dettagliato l’utilizzo delle risorse, i compiti delle parti nella gestione del sistema idrico e lo stabilirsi di una commissione congiunta per la verifica del fabbisogno della popolazione. Tra i compiti assegnati alla parte israeliana c’era quello di fornire la maggior parte dell’acqua destinata alla popolazione palestinese, compito che Israele assolve ancora oggi.

Inizialmente, venne stabilito che le autorità israeliane dovessero fornire una quantita di acqua fresca pari a 28.6 mcm annuali. Nel corsi degli anni successivi la commissione congiunta aumentò enormemente l’erogazione dell’acqua per migliorare la situazione idrica dei palestinesi. Già nei primi anni 2000, la quantità di acqua erogata da Israele è passata dai 28.6 mcm iniziali (concordata con gli Accordi di Oslo) a 47 mcm annuali, fino a raggiungere i 52 mcm all’anno.

Tuttavia, per Riccardo Noury, rappresentante italiano di Amnesty International, non ci sono dubbi, l’apartheid israeliano è una realtà di fatto.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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