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BREXIT: gli antichi hanno sempre ragione?! (o Sulla Democrazia)
June 28, 2016
Irene Piccolo
http://www.ameimportasoltantodisapere.c ... bc2451d3a6
Uno dei motti preferiti da mio padre era “Gli antichi hanno sempre ragione”. Così in questi giorni mi son venuti in mente frasi fatte e modi di dire che hanno acquistato ai miei occhi significati nuovi, anzi significati più consapevoli, di quelli che avevo sempre dato loro: “troppi cuochi guastano la cucina” e molti altri ancora.
Tuttavia, prima di partire voglio fare una precisazione: se nel corso della lettura sarete tentati di classificarmi, fermatevi, perché non sarò il tipo di blogger adatta a voi. Mi spiego meglio: quando ho scritto del TTIP mi hanno dato della complottista o della grillina (a piacere!), quando ho detto che le potenze occidentali hanno violato il diritto internazionale intervenendo in Siria mi hanno definita anti-americana o filorussa (a voi la scelta!), quando ho detto che per il caso Marò la giurisdizione appartiene all’Italia e sono state commesse numerose violazioni mi son presa della fascista o, nella migliore delle ipotesi, della militarista. Ora, a parte fare fatica a inquadrarmi contemporaneamente in tutte queste categorie, e pur essendo consapevole che già solo il fatto di pubblicare mi espone a un giudizio ed è un rischio che ho accettato di correre già da molto tempo, il mio invito non è a non classificarmi bensì a essere consapevoli che, nel momento in cui mi state classificando, state sbagliando a identificarmi.
Mi rendo conto che ci troviamo in un mondo in cui si è così poco abituati ad avere di fronte persone veramente libere per cui l’approccio con cui ci si avvicina a ogni cosa, e soprattutto persona, è quello di farla rientrare in uno schema, per meglio “comprenderla”, misurarla, dargli una posizione e quindi poterla catalogare. E, al contempo, se non rientri in una categoria, in questo mondo, finisci per non essere nessuno.
Visto che proprio una categoria bisogna trovarla allora ve la suggerisco io: classificatemi semplicemente come “persona libera”. Non ho l’obbligo di usare toni diplomatici, non devo compiacere nessuno e non devo convincere nessuno. Scrivo perché vedo tante cose che non mi piacciono e soprattutto sento tante di quelle cose che so essere menzogne al punto da avere il rifiuto interiore a stare zitta, sto quasi male fisicamente a sentirle certe cose. È il dolore fisico dell’indignazione.
E non considero menzogne le opinioni che non condivido, né mi sento la depositaria della verità. In genere, invece, le mie riflessioni partono dal fatto che qualcuno, il più delle volte in TV, sta tentando di convincere la gente che 2+2 fa 5, ma la gente questo non può coglierlo perché magari, giustamente, non ha sotto mano un articolo di una qualche convenzione internazionale. Ma se io che conosco quell’articolo mi rendo conto che chi sta in TV racconta solo una parte di quell’articolo, che magari – nel suo prosieguo taciuto – prevede deroghe, eccezioni, precisazioni interpretative, allora consentitemi di dire che quello è un inganno! Non si tratta di interpretazione libera di una norma: quella è nella migliore delle ipotesi - perché non c’è cattiva intenzione – ignoranza; nella peggiore è malafede e truffa. A danno degli individui.
Esempio concreto: ipotesi portata avanti da alcuni, di uscire dall'Euro ma rimanendo nell'Unione Europea. Ve lo dico già da adesso: questa possibilità non esiste!
Il Trattato sull'Unione Europea così come quello sul suo funzionamento, e altrettanto può dirsi per il diritto europeo nel suo complesso, non prevede la possibilità di uscire dall'Euro - una volta che ci sei dentro: o opti per non entrarvi fin dall'inizio (vedi Regno Unito, Danimarca) o, una volta che l'hai adottato, "te ne puoi liberare" solo uscendo dall'Unione nel suo complesso. Non si può avere "la botte piena e la moglie ubriaca". Per cui chi vi dice che al momento si può fare, vi sta raccontando una bugia.
Ovviamente non posso escludere che in un futuro futuribile gli Stati si riuniscano, decidano di modificare i Trattati e allora questa possibilità venga contemplata. Al momento così non è.
Ora partiamo.
Questioni di egemonia
Il Regno Unito, per tradizione, non ha mai voluto occuparsi dei fatti europei fintantoché qualche Paese continentale non avesse deciso di fare l’egemone e quindi rischiasse di “romperle le uova nel paniere” (altro detto!). L’esempio classico è l’intervento negli affari del continente quando Napoleone rischiava di far diventare la Francia concorrente dell’Inghilterra.
Altrimenti, in generale, l’Inghilterra, in quanto isola, non si è mai sentita parte dell’Europa e ha sempre guardato altrove: in linea di massima a tutto ciò che era extraeuropeo (Nord America, Africa, Asia, Australia) e, specificamente, verso l’Asia Centrale da quando a fine Ottocento alcune teorie geopolitiche hanno elaborato il concetto di “isola mondo” e soprattutto “cuore del mondo” (altrimenti noto come Heartland, sebbene la traduzione italiana non sia letterale), identificando quest’ultima appunto con l’attuale Asia centrale.
Se tutti si scannano su determinati pezzi di terra, vedi Vietnam, Afghanistan, Medio Oriente in generale, c’è un motivo: o quei pezzi di terra coincidono perfettamente con il “cuore del mondo” o costituiscono un ingresso al suddetto “cuore del mondo”. Per cui, gli Stati geograficamente lì vicini si troveranno quasi sempre a “giocare in difesa” - che può essere anche una difesa di tipo aggressivo eh! -, ma in linea di massima reagiscono a una minaccia del loro posizionamento rispetto al “cuore del mondo” (vedi la Russia); gli Stati invece geograficamente lontani li ritroveremo sempre lì in trasferta, con scuse più o meno valide (vedi gli Usa, e ancor prima Gran Bretagna e Francia, che guarda caso tra India, Indocina e Cocincina, si erano tutti belli piazzati proprio alle porte del “cuore del mondo”. E nel momento in cui, con la terribile battaglia di Dien Bien Phu nel 1954, il generale vietnamita Giap caccia i francesi e fa loro perdere la guerra di Indocina, gli americani danno il cambio alla Francia: infatti, sebbene l’invio di truppe risalga al 1965, già a partire dall’amministrazione Eisenhower gli Stati Uniti faranno avere il loro supporto al Vietnam del Sud tramite finanziamenti, rifornimenti e invio di consiglieri militari e agenti della CIA).
Tutto questo affannarsi si ha perché, secondo la teoria geopolitica che vi ho appena citato, “chi possiede il cuore del mondo possiede l'isola mondo e chi possiede l'isola mondo possiede il mondo”. Se adesso la politica statunitense con Obama è tornata ad essere “Pivot to Asia” c’è un perché, di certo non solo legato all’espansione economica – e di altro tipo - della Cina con la sua collana di perle. Ritrovate in questa cartina dove sta l’Afghanistan. Fatevi due conti di quali sono i posti cui gli USA guardano di più. Se dopo la caduta dello scià, gli USA si sono comunque fatti piacere l’Arabia Saudita un motivo ci sarà..
Ciò spiega per quale motivo gli Usa stiano abbandonando il Mediterraneo e, in parte, anche il Medio Oriente (rispetto ovviamente alla presenza assicurata in precedenza). Gli Usa, tuttavia, non sono andati via senza nominare un “delegato – protettore dell’Europa”. E questo delegato non è, come ci si potrebbe aspettare per affinità elettive con gli americani, la Gran Bretagna; il delegato americano è la Germania.
Quando il Regno di Sua Maestà mise piede in Europa
Il Regno Unito aveva tentato fin dal 1961 di entrare nell’allora Comunità Economica Europea, non tanto perché si interessasse troppo ai fatti europei quanto per assicurarsi di non essere tagliata fuori; ma ben due volte De Gaulle gli diede il ben servito. Al terzo tentativo De Gaulle non c’era più e il suo sostituto, Georges Pompidou, non si oppose all’ingresso britannico.
Inquadriamo un attimo il periodo: prima metà degli anni ’70.
Il 15 agosto 1971 Nixon annuncia il fallimento del Gold Exchange Standard, altrimenti noto come sistema di Bretton Woods (gli accordi di Bretton Woods furono quelli, per intenderci, in cui furono creati la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale). Questo sistema prevedeva che la moneta di ancoraggio del sistema internazionale fosse il dollaro statunitense, il cui valore era però ancorato all’oro. Tradotto: il cambio del dollaro era sempre uguale (35$= un'oncia d’oro), mentre il cambio di tutte le altre monete era stabilito in base al dollaro. Quindi il dollaro veniva ad essere l’ago della bilancia. Tuttavia, per via delle molte spese della macchina americana, non da ultimo l’impegno militare in Vietnam, più altre problematiche di rilievo, il dollaro non ce la fece più a reggere il sistema, quindi Nixon si “arrese”, dichiarando fallito il sistema e da allora si avviò il sistema dei cambi flessibili, che è sostanzialmente quello che conosciamo adesso. Preferibile o meno che sia, il sistema di cambi flessibili fa fluttuare il valore della moneta e questo significa, necessariamente, imprevedibilità, non stabilità, continui su e giù. Così l’economia dei Paesi del mondo, chi più chi meno, inizia a fare anch’essa su e giù;
nel 1972 la diplomazia triangolare di Kissinger fa sì che la Cina nazionalista (ora Taiwan) venga estromessa dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a favore della Cina popolare di Mao Zedong;
nel 1973 scoppia la prima seria crisi petrolifera (basti ricordare quando nascono le targhe alterne);
nel 1974 c’è la Rivoluzione dei Garofani in Portogallo, che fa terminare la dittatura di Salazar e comporta anche la decolonizzazione di Angola e Mozambico sino ad allora colonie portoghesi;
nel 1974 ha termine, in Grecia, la “dittatura dei Colonnelli”, il governo della Giunta (ἡ Χούντα) iniziato nel 1967;
nel 1975 muore Francisco Franco e anche la Spagna fa la transizione dalla dittatura alla democrazia richiamando Juan Carlos sul proprio territorio;
nel 1975 c’è la Conferenza di Helsinki, sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, cui partecipano l’Est e l’Ovest del mondo, dalla Russia (rectius, Unione Sovietica) agli USA, e in cui si fissano i principi di democrazia e diritti umani cui ancora ci rifacciamo nella maggior parte degli atti giuridici internazionali e nelle decisioni di politica internazionale, quali il riconoscimento di nuovi Stati (vedi i fatti di Crimea di alcuni anni fa).
L’Italia quando il Regno Unito fece il suo ingresso
In quegli stessi anni, l’Italia era piuttosto forte a livello comunitario: nel 1970 il ruolo della guida della Commissione spettava all’Italia e Moro, allora Ministro degli Esteri, decise di mandarvi Franco Maria Malfatti come presidente, affiancandogli tra i commissari Altiero Spinelli. L’agenda dell’Europa in quel momento era davvero complessa:
il negoziato per l’adesione di Regno Unito, Norvegia, Danimarca, Irlanda alla CEE;
la trasformazione del bilancio comunitario;
i primi progetti di creazione di una politica monetaria europea (lo SME, meglio noto come “serpentone” vedrà la luce poco dopo);
le difficili relazioni economiche con gli Stati Uniti.
Malfatti fece buone cose ma commise un errore che molto gli fu rimproverato: si dimise con alcuni mesi di anticipo rispetto alla scadenza del mandato naturale, al fine di potersi candidare in Italia per altri incarichi. Questo fu visto dagli ambienti politici e di stampa europei come la prova che l’impegno europeista dell’Italia era solo di facciata; molte parole ma poco effettivo interesse. Purtroppo, sebbene il gesto di Malfatti non sia di per sé, a mio modo di vedere, davvero indicativo, il sentire comune da allora fino ai nostri giorni è tuttora questo: se ci pensate, chi si manda al Parlamento europeo? Veline, cantanti, politici di cui ci si vuole sbarazzare nel contesto nazionale. Insomma, coscienti o incoscienti, quel che mandiamo ogni volta a Bruxelles son gli scarti. E a Bruxelles se ne accorgono.
Ora, in tutta onestà, se non vi prendete/ci prendiamo cura del nostro giardino, davvero poi possiamo lamentarci del fatto di venire punti dai rovi che nel nostro giardino sono cresciuti per colpa della nostra incuria?
Mi si opporrà che tanto il Parlamento europeo non conta nulla. A parte dirvi che state sbagliando, perché conta in molte cose solo che preferiscono farvi credere che non conti nulla perché così possono tranquillamente continuare a mandarci chi pare a loro tanto a voi non interessa, e uno varrà l’altro, vi dico anche un’altra cosa: ammettiamo che davvero il Parlamento europeo non conti nulla. Esso è divenuto eleggibile solo nel 1979. Ciò significa che prima i parlamentari erano scelti dagli Stati e non dai cittadini. Quindi, teoricamente, contava ancor meno di adesso.
Allora, mi sapete dire per quale strano assurdo motivo l’Italia in Europa contava di più prima che dopo il 1979?
Al posto di Malfatti, l’Italia nominò Carlo Scarascia Mugnozza, che aveva come competenze all’interno della Commissione la politica agricola, quella dei consumatori, dei trasporti e dell’informazione: in questi anni l’Italia iniziò a conseguire alcuni vantaggi nel quadro della PAC (Politica Agricola Comune), che negli anni ’70 assorbiva il 70% del bilancio europeo, mentre attualmente solo il 34% è destinato all’agricoltura.
In quegli anni la Francia aveva ottenuto – dopo che nel 1965 De Gaulle si era dato alla “politica della sedia vuota” - che le spese destinate alle politiche agricole fossero coperte essenzialmente dalle c.d. risorse proprie europee: tradotto, con l’IVA. Sì, l’IVA è un’imposta che viene introdotta (in Italia nel 1972) in virtù dell’appartenenza all’Europa per favorire l’agricoltura soprattutto dell’Europa meridionale ma, poi, l’alta protezione accordata dalla CEE ai suoi prodotti agricoli trovò la forte ostilità di Stati Uniti e di tutti gli altri Paesi che non riuscivano ad accedere coi propri beni agricoli al mercato europeo.
"Batti e ribatti si piega anche il ferro" e, soprattutto, l’allargamento verso nord della CEE porta a modificare la PAC europea, al punto che – per fare selezione e quindi ridurre la quantità di prodotti agricoli europei da piazzare sul mercato – si è passati all’iper-regolamentazione. Così vedi le quote latte, le quote sugli agrumi che hanno costretto il Sud d’Italia a vedere marcire sul terreno arance e mandarini. Ecc. ecc. ecc.
Pur non essendo mai in toto protagonista assoluta, l’Italia era ben vista e abbastanza riconosciuta fino ad allora dagli altri Paesi europei. In quegli anni, proprio con il negoziato per l’allargamento, qualcosa cambia. All’inizio del 1970 l’ambasciatore britannico a Roma, sir Patrick Hancock disse:
“Il nostro maggior interesse per ciò che concerne l’Italia è stato ovviamente quello relativo all’Europa.
Con l’abbandono del Ministero degli Esteri da parte di Nenni, quando nel luglio è caduto il governo Rumor,
l’Italia si è rivelata meno efficace nei negoziati europei.
Il suo successore, Moro, è noto per la sua abilità di non dire niente con tante parole.
È risultato quindi deludente sebbene non sorprendente che nelle settimane che hanno preceduto il vertice dell’Aja gli italiani abbiano offerto un’impressione di confusione e debolezza.
Con Nenni in carica forse essi sarebbero stati in grado di mantenersi fermi su quanto desideravano ottenere dal vertice, in particolare un accordo sulla PAC di carattere provvisorio e non definitivo.
In realtà, alla fine del vertice gli italiani hanno capitolato su questo punto per paura di restare isolati.
Né Moro né Rumor hanno giocato un ruolo significativo nei lavori svoltisi all’Aja. Gli italiani restano sostenitori dell’ingresso britannico nella Cee. Ma in base al fatto che non risultano molto efficaci neppure nel difendere i propri interessi, non possiamo aspettarci molto da loro nel difendere i nostri.
Il massimo che ci possiamo attendere è che, nel caso di coincidenza fra i loro e i nostri interessi (cosa che avviene spesso) facciano quanto possano”
Questo non è solo il pensiero degli inglesi di allora, bensì più o meno il sentire comune con cui gli Stati europei ci percepiscono da allora fino ad ora, con piccole rare eccezioni.
Anche se eleggessimo direttamente tutti i nostri delegati in Europa, se la loro qualità non migliora, credete davvero che l’elezione da parte nostra ne cambierà i risultati? No, se non cambia la qualità, anche i risultati rimarranno sempre gli stessi. Se non cambia la mentalità e soprattutto il campanilismo becero italiano, così come sono divisi adesso gli italiani a Bruxelles lo saranno anche quando saranno stati eletti uno per uno. Il valore aggiunto sarà stato solo che il loro campanilismo e le loro divisioni saranno state avallate anche da un voto popolare: questa sì che la definirei una conquista…
La mia visione della Brexit
Dal suo ingresso nella CEE (1973), il Regno Unito è stato disposto a cessioni di sovranità a lento rilascio a favore dell’organizzazione europea, ma la sua condizione è sempre stata quella di “tenere il piede in due scarpe”. Quando si è trattato di entrare nell’area Schengen, ha detto no. Nella disciplina di Dublino, sul sistema d’asilo, ha adottato l’opt-out. Sull’Euro idem. Non è stata di certo l’unica a farlo: la Danimarca non è da meno. E altri Stati hanno fatto un po’ e un po’. Solo che il Regno Unito fa più notizia, ovviamente.
Per tutte queste ragioni, tuttavia, fare un continuo paragone tra l’uscita del Regno Unito e quella (ipotetica) dell’Italia non regge. Non regge perché da un lato l’Italia non ha il sistema economico del Regno Unito, hanno solidità (o insolidità) economiche diverse; dall’altro lato, il Regno Unito non ha gli stessi lacci normativi – regolamentari da sciogliere dell’Italia, che in caso di #exit si ritroverebbe in un intreccio molto più complesso.
Come leggere quindi questa #brexit? Una delle letture che a me risultano più lampanti è che, dal 2008, quando Obama è stato eletto e ha iniziato concretamente a realizzare la strategia Pivot to Asia, lasciando nelle mani della Merkel (da tre anni già cancelliere tedesco) la guida dell’Europa, il Regno Unito ha iniziato ad avere moti di “disagio” interno. Sia ai vertici che nei vari strati della popolazione.
Parlando un attimo dei vertici, la mia visione è che – non essendo riusciti a contrastare di fatto l’egemonia tedesca – hanno tentato il ricatto ed è andata male. Quindi la vedo non la vittoria di chi si è liberato dalle catene comunitarie, bensì la sconfitta di chi non è riuscito ad imporre la propria leadership a un gruppo (i Paesi UE) ed è andato via sbattendo la porta.
Il Regno Unito non ha mai voluto fare da comprimario a nessuno; non è fatto per stare in comunità se non come primus inter pares (vedi il Commonwealth). Non è adatto alla comunità non tanto perché, come sentito negli ultimi giorni, ha ancora pensieri imperialisti. Forse qualche inglese sì, nella propria testa li ha, ma per lo più l’isolamento “sociale” del Regno Unito è legato al suo essere isola. Come sempre la geografia spiega tante cose: essa influenza un popolo nel suo sviluppo e nelle caratteristiche che acquisisce.
La Germania, invece, per quanto ci abbia provato nei secoli, non è mai riuscita ad essere un vero impero: sembrava andarci vicino con Bismark a fine Ottocento, ma di fatto – dopo quella breve parentesi - è sempre uscito sconfitto da tutti i tentativi di imperialismo portati avanti. Anche adesso, nonostante il mandato e la benedizione americana, la Germania non riesce ad essere un vero leader: quando le si riconosce autorità, le si dà la stessa autorità che si dà a un tiranno.
Dal canto suo la Germania di adesso preferirebbe farsi gli affaracci suoi anziché doversi occupare, ovviamente per interessi suoi, anche degli affari degli altri. Lo fa a malincuore e, potremmo dire, per causa di forza maggiore. Una copertina molto azzeccata dell’Economist mi è sempre rimasta molto impressa: quella in cui la Germania era definita “L’egemone riluttante”.
La rivoluzione inglese
Dal punto di vista degli altri strati della società (tradotto: il popolo), la cosa è ancora più interessante. Tutti sapete che il Regno Unito non ha una Costituzione scritta. Esso vive e le sue istituzioni si reggono prevalentemente su consuetudini, regole non scritte, desunte da accordi fatti nel tempo e qualche decreto qua e là. Quindi potrete facilmente capire:
l’astio naturale per l’iper-regolamentazione della normativa comunitaria (che sebbene non sia una britannica, sta in odio anche a me);
l’incapacità psicologica di comprendere la necessità di un Trattato - Costituzione europea, come la si voleva fare nel 2004 (ricordate il meeting a Roma per la sua firma?), sebbene poi a farla fallire non siano stati i britannici ma siano bastati i referendum tenuti in Francia e Olanda;
quanto per i britannici il referendum non sia la massima espressione della sovranità.
Ok, qui lo so, vi ho spiazzato!