Carta universale dei diritti religiosi e spirituali

Re: Carta ogneversal dei diriti rełijoxi e spirituałi

Messaggioda Berto » sab dic 10, 2016 11:12 pm

La giornata in cui non si nomina il nemico dei diritti: l’islam
di Simona Sidoti

http://www.lintraprendente.it/2016/12/l ... tti-lislam

Zeid Ràad Al Hussein Ginevra alto Commissario Onu per i diritti umani apre la giornata per i diritti umani con una dichiarazione lapidaria: “Il 2016 è stato un anno disastroso per i diritti umani nel mondo” e la “pressione senza precedenti sugli standard internazionali dei diritti umani rischia azzerare l’insieme unico di protezioni messe in atto dopo la seconda guerra mondiale”. Lui, come pressoché tutti quelli che hanno preso parola in nome delle libertà e del diritto del singolo, hanno parlato dei “movimenti estremisti”, di “orribili violenze”, dei conflitti e delle discriminazioni. Parla poi, il Commissario, delle “sirene che sfruttano le paure, seminano disinformazione e divisione”.

In alcune parti “d’Europa, e negli Stati Uniti, la retorica xenofoba, piena di odio e violenza, sta proliferando ad un livello spaventoso e sempre più incontrastata”, continua. E la costante è che nessuno parla del vero nemico di questi anni, che si tratti di Boko Haram, dell’Isis, degli attentati, dell’Iran, dell’integralismo che non può che essere regime totalitario e assassino dove viene applicato, nessuno parla del nemico numero uno dei diritti umani: l’islam. Nessuno dice che è quel fondamentalismo alla base di violenze atroci. Cristiani crocefissi, donne trattate da esseri inferiori, vilolate, vendute, lapidate. Bambini istruiti alla jihad, bambine violentate, nemici sgozzati, infedeli perseguiti. Nessuna libertà di culto né basilare. Eppure nessuno lo dice, oggi. Nessuno parla delle violenze di quell’islam killer. Che abbia ragione Magdi Allam o meno, convinto non esista un islam moderato, nessuno prende in considerazione quel nemico che c’è e gode del fatto che l’Occidente continua a non difendersi in una guerra senza confini.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Carta ogneversal dei diriti rełijoxi e spirituałi

Messaggioda Berto » dom dic 11, 2016 8:05 am

Perfetto, questa è la pura e semplice verità dei fatti.
Mi pare che parli con la mia stessa bocca e che esprima i miei stessi pensieri.

https://www.facebook.com/islamicamentan ... 3589204998
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Carta ogneversal dei diriti rełijoxi e spirituałi

Messaggioda Berto » mar feb 07, 2017 6:35 pm

???

“Liberi di uscire dall’Islam”, svolta storica del Marocco
Nessuna condanna a morte per l’apostata, e libertà di scelta per chi vuole abbracciare altre fedi: così si è espresso per la prima volta il Consiglio superiore degli Ulema in Marocco, aprendo la strada al riformismo dell’Islam
2017/02/07
karima moual

http://www.lastampa.it/2017/02/07/ester ... agina.html

Nessuna condanna a morte per l’apostata, e libertà per coloro che dall’Islam vogliono uscire e abbracciare altre fedi. É una posizione storica, quella presa dalla massima rappresentanza religiosa del Marocco, il Consiglio superiore degli Ulema, che continua coraggiosamente ad aprire la strada al riformismo in casa islam - almeno la propria - senza ombre o ambiguità. Si punta dunque su un livello alto della discussione, anche facendo un passo indietro rispetto al passato. Il Consiglio infatti rigetta una sua precedente fatwa del 2012 secondo la quale i marocchini colpevoli di apostasia avrebbero un unico destino: la morte. Una regola comune per tutti i paesi musulmani e prevista dalle norme giuridiche in vigore.

Una posizione però che già all’epoca aveva fatto discutere molto in un paese che del pluralismo religioso ne ha fatto il proprio fiore all’occhiello, e che più di altri ci tiene e porta avanti un lavoro immenso per difendere la propria posizione e visione di un “islam moderato”.

Il Consiglio degli Ulema dunque, cerca di tracciare una linea chiara su un tema di grande attualità, politicamente e socialmente scomodo e che in futuro si sarebbe presentato come una trappola micidiale proprio perché nel paese sono emersi senza più filtri marocchini passati dal sunnismo allo sciismo ( si sono aperti solo lo scorso anno i primi centri sciiti) così come quelli al cristianesimo piuttosto che all’ateismo. Voci che nell’ultimo periodo sono uscite dalla clandestinità sfidando l’ipocrisia che li conosce ma non li vuole riconoscere.

Con la questione “apostasia”, il consiglio degli Ulema affronta un punto quasi intoccabile da sempre nel dibattuto in casa islam ma difficile da controribaltare ufficialmente nella sua interpretazione. Eppure nel Corano non si parla direttamente di apostasia, si rimprovera più volte coloro che rinnegano l’Islam ma non si prevede per loro alcun castigo terrestre per mano d’altri. Certo, Dio promette grande castigo a chi abbandona la religione, ma un castigo, come nelle altre religioni peraltro - che avverrebbe nell’aldilà e non certamente in Arabia Saudita e per mano di un boia come vuole l’slam più oscurantista che trova appoggio nella sunna.

Il nodo infatti è custodito in un famoso hadith che sentenzia “chi cambia religione uccidetelo”. Quanto basta per portare la condanna di morte agli apostati sono ai nostri giorni. Non più per gli Ulema del Marocco, che argomentano così la loro nuova fatwa: “La comprensione più accurata, e la più coerente con la legislazione islamica e la sunna del Profeta, è che l’uccisione dell’apostata significava l’uccisione del traditore del gruppo, l’equivalente di tradimento nel diritto internazionale, gli apostati in quell’epoca rappresentavano i nemici della Umma proprio perché potevano rivelare segreti agli avversari”. Insomma, un contesto bellico e ragioni più politiche che religiose alla base della ferma condanna per apostasia.

Tutti riferimenti, che ancora di più fanno emergere questa fatwa, come un passo inedito e incoraggiante perché contestualizza storicamente un fatto, rivalutandolo nel nostro presente. Se l’islam ortodosso in tutti gli angoli del mondo procedesse nell’analisi e nell’interpretazione in questa linea si farebbero molti passi in avanti di cui i musulmani ne hanno urgentemente bisogno oggi più che mai.


Le leggi costituzionali e dei codici penale e civile che discriminano e perseguitano i diversamente religiosi pergano, quindi questa pronuncia di fatto non alcun valore, serve soltanto alla propaganda pro-Islam
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Carta ogneversal dei diriti rełijoxi e spirituałi

Messaggioda Berto » gio feb 23, 2017 7:52 pm

Ricco libanese imponeva il Corano ai figli: «Dovete essere integralisti»
La madre, funzionaria Fao, denuncia l’ex marito: «Non voleva che i bambini entrassero in chiesa o mangiassero maiale. Imponeva lo studio dell’arabo e voleva scegliere le maestre». L’imprenditore, è finito sotto processo per maltrattementi
di Giulio De Santis
19 febbraio 2017

http://roma.corriere.it/notizie/cronaca ... 7635.shtml

«L’ingresso in Chiesa era vietato mentre lo studio dell’arabo era obbligatorio. Il motivo? Voleva indottrinare i nostri figli. Avrebbero dovuto essere integralmente musulmani secondo lui». È stata una testimonianza drammatica quella resa dalla signora L. P., 42 anni, funzionaria della Fao, che ha ripercorso davanti al giudice i motivi che l’hanno convinta a denunciare l’ex marito, un ricco imprenditore libanese finito sotto processo con l’accusa di maltrattamento nei confronti della donna e dei loro due bambini, di 4 e 6 anni.

Carne di maiale vietata

Una deposizione, durata due ore, interrotta più volte dalle lacrime: «Il suo obiettivo era crescere i nostri come integralisti musulmani. Non voleva che entrassero in chiesa, e li minaccia ventilando duri castighi nel caso avessero disobbedito – ha spiegato la signora, assistita dagli avvocati Francesco Caroleo Grimaldi e Ludovica Paroletti - Gli vietava persino di mangiare la carne di maiale. E, soprattutto, da dopo il divorzio pretendeva di scegliere le maestre che insegnassero l’arabo ai bambini. Una volta un’insegnante non ha fatto fare merenda a mio figlio perché non aveva detto le preghiere in arabo. Io non volevo questa educazione, cosi è finita». La natura del rapporto con i figli è stata il centro della storia di una relazione durata dieci anni: «Sosteneva davanti a loro, che l’Italia non era il luogo in cui dove avrebbero dovuto crescere. Mio figlio non andò una comunione di un amichetto per il terrore della punizione che avrebbe potuto subire se fosse entrato in chiesa».

Il rapporto della coppia

L’uomo era presente in aula, vestito con abiti eleganti, ed per tutta la durata della deposizione è rimasto in silenzio ad ascoltare con attenzione le parole della ex moglie. Che a un certo punto ha ricordato perché sposò chi poi ha denunciato: «Lo conobbi andando a un concerto di musica classica. Lui era seduto tra la gente, concentrato ad ascoltare. Fui affascinata dalla ricchezza della sua cultura, credetti che fosse un uomo di mondo. E invece a un certo punto della nostra storia si è trasformato. Forse a causa di problemi economici di cui tuttavia non ho mai avuto chiara l’origine, ne tantomeno se poi fossero veri».

«È cambiato all’improvviso»

Durante le due ore del racconto della funzionaria, l’argomento affrontato più spinoso è stato il rapporto con la religione della coppia, poi divorziatasi: «Sapevo che era musulmano, ma essendo abituata a frequentare persone di culture diverse, non mi costituiva un problema. Anche lui mi pareva indifferente al fatto che fossi cristiana. Poi però è cambiato tutto all’improvviso». Anche il suo ruolo di donna è stato oggetto della deposizione: «Mi teneva fuori dalla sua vita, non voleva che conoscessi i suoi amici, i suoi clienti, con chi parlava al telefono. Schermava il nostro rapporto, dicendo che erano donna, che dovevo occuparmi delle faccende di casa. Quando poi però ha avuto problemi di denaro, si è rivolto a me, e con modi irruenti. Come se gli fosse dovuto avere da me dei soldi». Il processo continuerà il prossimo 3 marzo.

La minaccia di portarli via

A marzo dello scorso anno il gip aveva disposto il divieto di avvicinamento dell’uomo alla sua ormai ex famiglia. Tra le ragioni addotte dal gip Maddalena Cipriani c’era anche l’educazione: «Si erano informalmente accordati a lasciare loro la liberta di scelta sulla religione da professare per poi in età matura sposarne consapevolmente la dottrina», ma poi tutto è mutato. L’uomo quando vedeva i figli gli diceva che «la scuola italiana non andava bene perché venivano impartite morali contrarie al Corano. Impediva a entrambi di fare sport perché il Corano – sosteneva l’uomo - stabiliva che non potevano fare la doccia nudi con gli altri compagni nello spogliatoio. Gli aveva anche precluso l’opportunità di andare alle grigliate per evitare che mangiassero le salsicce. I figli vivevano la situazione intimoriti, al punto che tremavano, quando entravano in chiesa, luogo che erano costretti a chiamare “edificio” per volontà del padre. A un certo punto il libanese minacciò anche di portare i figli lontano dall’Italia».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Carta ogneversal dei diriti rełijoxi e spirituałi

Messaggioda Berto » ven mar 10, 2017 4:16 am

.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Carta ogneversal dei diriti rełijoxi e spirituałi

Messaggioda Berto » mar mar 14, 2017 12:55 pm

Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell'Unione Europea Il velo islamico sul posto di lavoro? Decide l'azienda La sentenza è destinata ad armonizzare le pratiche dei datori di lavori sui simboli religiosi in tutta l'Unione Europa
14 marzo 2017
http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... 82e03.html

Le aziende europee possono proibire alle dipendenti di indossare il velo islamico e più in generale di indossare in maniera visibile simboli politici, religiosi o filosofici. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell'Unione Europea. La sentenza nasceva da due casi, uno francese e uno belga, sull'uso del velo islamico nel mondo degli affari: poichè la questione è decisamente 'sensibile', le Corti Costituzionali di entrambi i Paesi avevano chiesto alla massima istanza giudiziaria europea di chiarire la sua interpretazione della direttiva 2000 sulla parita' di trattamento in materia di occupazione.

"Un codice applicativo interno che proibisca di indossare in maniera visibile qualsiasi segno politico, filosofico o religioso non costituisce una discriminazione diretta", ha stabilito nella sua sentenza la Corte. La sentenza è destinata ad armonizzare le pratiche dei datori di lavori sui simboli religiosi in tutta l'Unione Europa.

Il caso La sentenza riguarda il caso di una donna musulmana, Samira Achbita, assunta nel 2003 come receptionist dall'impresa G4S in Belgio. All'epoca dell'assunzione, una regola non scritta interna alla G4S vietava ai dipendenti di indossare sul luogo di lavoro segni visibili delle loro convinzioni politiche, filosofiche o religiose. Nell'aprile 2006, la signora Achbita ha informato il datore di lavoro del fatto che intendeva indossare il velo islamico durante l'orario di lavoro. La direzione le ha comunicato che non sarebbe stato tollerato, in quanto portare in modo visibile segni politici, filosofici o religiosi era contrario alla neutralità cui si atteneva l'impresa nei suoi contatti con i clienti. La signora ha insistito, e l'azienda ha modificato il regolamento interno per mettere nero su bianco "il divieto ai dipendenti di indossare sul luogo di lavoro segni visibili delle loro convinzioni politiche, filosofiche o religiose e/o manifestare qualsiasi rituale che ne derivi".
Dopo il rifiuto di rispettare la norma, la signora Achbita è stata licenziata, ed ha contestato tale licenziamento dinanzi ai giudici del Belgio, che a loro volta hanno chiamato in causa la Corte Ue. Secondo la Corte, che ha valutato il caso alla luce della direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, "la norma interna non implica una disparità di trattamento direttamente fondata sulla religione o sulle convinzioni personali". Potrebbe tuttavia, sottolinea la Corte, rappresentare una discriminazione "indiretta", qualora venga dimostrato che l'obbligo di abbigliamento neutrale comporta un particolare svantaggio per le persone che aderiscono ad una determinata religione o ideologia. Ma anche in questo caso, la "discriminazione indiretta può essere oggettivamente giustificata da una finalità legittima, come il perseguimento, da parte del datore di lavoro, di una politica di neutralità politica, filosofica e religiosa nei rapporti con i clienti".
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Carta ogneversal dei diriti rełijoxi e spirituałi

Messaggioda Berto » sab mag 20, 2017 7:13 am

Islam e integrazione: il problema della Dichiarazione Islamica dei Diritti Umani
Written by Staff Rights Reporter on Gen 25, 2015

http://www.rightsreporter.org/islam-e-i ... itti-umani

Si fa un gran parlare di integrazione da parte degli stranieri e si arriva pure a sostenere che l’aumento dell’estremismo islamico in Europa sia il frutto proprio della mancanza di una adeguata politica di integrazione.

Noi non siamo molto d’accordo con questa teoria e spieghiamo perché. Secondo il nostro modestissimo parere la mancata integrazione degli stranieri nei Paesi europei (nel nostro caso parleremo di Italia) non dipende tanto dalla situazione sociale in cui molti stranieri si vengono a trovare, che è certamente importante, ma non decisiva per una piena comprensione dei valori che alimentano le nostre democrazie, valori che dovrebbero essere proprio alla base di qualsiasi forma di integrazione. Per capire meglio il nostro ragionamento prendiamo proprio i casi più eclatanti di mancata integrazione che riguardano principalmente gli immigrati musulmani (anche di seconda e terza generazione) che in moltissimi casi rifiutano di accettare quei valori fondamentali su cui si basano le democrazie europee, valori che fanno capo a due documenti specifici che sono la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

In particolare, inutile negarlo, lo scontro tra la nostra cultura e quella musulmana si manifesta su tutti quegli articoli che parlano di libertà individuali e di parità di Diritti tra generi e soprattutto nel differente approccio al concetto di legge. Mentre nelle due dichiarazioni sopra citate i punti focali sono i Diritti Individuali basati esclusivamente su un concetto laico del Diritto, nella Dichiarazione Islamica dei Diritti Umani il concetto di fondo è la legge islamica, la Sharia, che si basa esclusivamente su precetti religiosi.

E chiarissimo e lampante che tra le due visioni di insieme la differenza è abnorme e non conciliabile. E’ quindi impossibile che un qualsiasi residente in Europa possa accettare che i propri concetti di Diritto laici vengano spazzati via da un concetto teocratico che in molti punti fa addirittura a pugni con quanto stabilito dalle dichiarazioni dei Diritti accettate nel nostro continente in quanto stabilisce con chiarezza la supremazia della legge islamica rispetto alle leggi nazionali. In particolare nei seguenti articoli che non possono in nessun caso essere accettati in Europa e che, per dirla tutta, andrebbero messi fuorilegge:

Art. 4 – Il diritto alla giustizia

1) Ogni individuo ha diritto di essere giudicato in conformità alla Legge islamica e che nessun’altra legge gli venga applicata…

5) Nessuno ha il diritto di costringere un musulmano ad obbedire ad una legge che sia contraria alla Legge islamica. Il musulmano ha il diritto di rifiutare che gli si ordini una simile empietà, chiunque esso sia: «Se al musulmano viene ordinato di peccare, non è tenuto né alla sottomissione né all’obbedienza» ( ḥadīth )[1].

O ancora la definizione di equità di un processo e di presunzione di innocenza:

Art. 5 – Il diritto ad un processo giusto

1) L’innocenza è condizione originaria: «Tutti i membri della mia Comunità sono innocenti, a meno che l’errore non sia pubblico» ( ḥadīth ). Questa presunzione di innocenza corrisponde quindi allo «statu quo ante» e deve rimanere tale, anche nei confronti di un imputato, fino a che esso non sia stato definitivamente riconosciuto colpevole da un tribunale che giudichi con equità.

2) Nessuna accusa potrà essere rivolta se il reato ascritto non è previsto in un testo della Legge islamica… …

4) In nessun caso potranno essere inflitte pene più gravose di quelle previste dalla Legge islamica per ogni specifico crimine: «Ecco i limiti di Allah, non li sfiorate» (Cor. II:229)…

Inoltre, relativamente al libero pensiero, troviamo delle fondamentali differenze tra le due Dichiarazioni; infatti per i Paesi firmatari della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo si legge:

Articolo 18

Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti.

Articolo 19

Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.

mentre nella Dichiarazione islamica troviamo:

Art. 12 – Il diritto alla libertà di pensiero, di fede e di parola

1) Ogni persona ha il diritto di pensare e di credere, e di esprimere quello che pensa e crede, senza intromissione alcuna da parte di chicchessia, fino a che rimane nel quadro dei limiti generali che la Legge islamica prevede a questo proposito. Nessuno infatti ha il diritto di propagandare la menzogna o di diffondere ciò che potrebbe incoraggiare la turpitudine o offendere la Comunità islamica: «Se gli ipocriti, coloro che hanno un morbo nel cuore e coloro che spargono la sedizione non smettono, ti faremo scendere in guerra contro di loro e rimarranno ben poco nelle tue vicinanze. Maledetti! Ovunque li si troverà saranno presi e messi a morte» (Cor., XXXIII:60-61). … 4) Nessun ostacolo potrà essere frapposto alla diffusione delle informazioni e delle verità certe, a meno che dalla loro diffusione non nasca qualche pericolo per la sicurezza della comunità naturale e per lo Stato: «Quando giunge loro una notizia rassicurante o allarmante, essi la divulgano; se l’avessero riferita all’Inviato di Dio e a quelli di loro che detengono l’autorità, per domandare il loro parere avrebbero saputo se era il caso di accettarla, perché di solito si fa riferimento alla loro opinione» (Cor. 4,83).

Ora, è chiaro che se anche le seconde generazioni di musulmani crescono apprendendo che i loro Diritti sono tutelati dalla Dichiarazione islamica dei Diritti Umani invece che dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani o dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, lo scontro tra civiltà e ideologie diverrà immancabile e a farne le spesa sarà proprio quella integrazione di cui tanto si parla.

E qui sarebbe il caso anche di fare un lungo ragionamento sul concetto di integrazione, che non significa che noi europei ci dobbiamo adattare alle usanze e alle leggi di chi viene nel nostro continente ma è esattamente il contrario. Come si risolve questo problema? Si risolve dal basso, inserendo obbligatoriamente lo studio dei Diritti Umani nelle scuole e un piano di studio che compari le varie dichiarazioni e ne evidenzi le differenze in termini di Diritto. Se a una bambina musulmana viene spiegato che lei ha gli stessi Diritti di un maschio musulmano quando questa andrà a casa saprà che qualsiasi forma di costrizione nei suoi confronti è di fatto una violazione della legge, della nostra legge che è l’unica che tutti sono tenuti a rispettare se veramente vogliono essere integrati. Ed è questo il punto focale della nostra iniziativa: è impossibile accettare che la legge islamica prevalga sulle leggi nazionali e per questo che dai prossimi giorni daremo il via a due iniziative congiunte. La prima è volta a chiedere che in Italia l’insegnamento dei Diritti Umani così come enunciati nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani venga reso obbligatorio e non come semplice complemento dello studio del Diritto Civile. La seconda iniziativa è volta rendere fuorilegge la dichiarazione islamica dei Diritti Umani in quanto chiaramente incompatibile sia con le nostre leggi che con tutte le legislazioni dell’Unione Europea in quanto pone la legge islamica al di sopra delle leggi nazionali, un vero e proprio bastione contro l’integrazione. Le due iniziative, in particolare quella in Europa, verranno aperte da un dettagliato esposto che renderemo pubblico appena possibile cioè non appena verranno recepiti e messi in discussione, il che ci auguriamo avverrà prima possibile.


Preistoria e storia del diritto, fonti varie
viewtopic.php?f=205&t=2521

Diritto islamico

Shariʿah o sharia
https://it.wikipedia.org/wiki/Shari'a
Shariʿah o sharia (in arabo: شريعة‎, sharīʿa) è un termine arabo dal senso generale di "legge" (letteralmente "strada battuta"), che può essere interpretata sotto due sfere, una più metafisica e una più pragmatica. Nel significato metafisico, la sharīʿah è la Legge di Dio e, in quanto tale, rimane sconosciuta agli uomini.

Sharia o legge islamica per Maometto ed il Corano
viewtopic.php?f=188&t=1460

La Sharia non è la legge di D-o ma soltanto quella dell'idolo Allah
viewtopic.php?f=188&t=2470
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 8731864964
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Carta ogneversal dei diriti rełijoxi e spirituałi

Messaggioda Berto » sab mag 20, 2017 1:46 pm

Cassazione: "Migranti devono conformarsi a nostri valori"
Condannato un indiano Sikh che voleva circolare con un coltello 'sacro' secondo i precetti della sua religione: "Non è tollerabile che l'attaccamento ai propri valori porti alla violazione di quelli della società ospitante". Cei: "Decisione equilibrata, ma politica non strumentalizzi"
15 maggio 2017

http://www.repubblica.it/politica/2017/ ... -165521982

ROMA - Gli immigrati che hanno scelto di vivere nel mondo occidentale hanno 'l'obbligo' di conformarsi ai valori della società nella quale hanno deciso 'di stabilirsi' ben sapendo che 'sono diversi' dai loro. "Non è tollerabile che l'attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante". A stabilirlo è la Cassazione, che ha condannando un indiano Sikh che voleva circolare con un coltello 'sacro' secondo i precetti della sua religione.

Nessuna deroga a sicurezza. Secondo la Cassazione, "in una società multietnica la convivenza tra soggetti di etnia diversa richiede necessariamente l'identificazione di un nucleo comune in cui immigrati e società di accoglienza si debbono riconoscere. Se l'integrazione non impone l'abbandono della cultura di origine, in consonanza con la previsione dell'art. 2 della Costituzione che valorizza il pluralismo sociale, il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante".

Il caso. I supremi giudici hanno respinto il ricorso di un indiano sikh condannato a duemila euro di ammenda dal Tribunale di Mantova, nel 2015, perché il 6 marzo del 2013 era stato sorpreso a Goito (Mn), dove c'è una grande comunità sikh, mentre usciva di casa armato di un coltello lungo quasi venti centimetri. L'indiano aveva sostenuto che il coltello (kirpan), come il turbante "era un simbolo della religione e il porto costituiva adempimento del dovere religioso". Per questo aveva chiesto alla Cassazione di non essere multato e la sua richiesta era stata condivisa dalla Procura della Suprema Corte che, evidentemente ritenendo tale comportamento giustificato dalla diversità culturale, aveva chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza di condanna.

Ad avviso della Prima sezione penale della Suprema Corte, invece, "è essenziale l'obbligo per l'immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi, e di verificare preventivamente la compatibilità dei propri comportamenti con i principi che la regolano e quindi della liceità di essi in relazione all'ordinamento giuridico che la disciplina".

Il verdetto aggiunge che "la decisione di stabilirsi in una società in cui è noto, e si ha la consapevolezza, che i valori di riferimento sono diversi da quella di provenienza, ne impone il rispetto".

Le reazioni. Una sentenza che "non fa sconti a nessuno". Così la deputata Forza Italia, Daniela Santanché, commenta la decisione della Suprema Corte: "è sacrosanta. Alla faccia dei buonisti e del tutto è permesso, questa sentenza non fa sconti a nessuno...Oggi era un indiano che voleva girare libero con un coltello sacro per le vie della città e magari domani potevamo imbatterci in una bella carovana di elefanti che trasportavano merci di ogni genere. Siamo in Italia - termina Santanchè - e chi viene ospite nel nostro Paese ha il dovere di seguire le regole che ci impone il codice civile, quello penale e la nostra Costituzione".

Il capogruppo di Fratelli d'Italia-Alleanza nazionale, Fabio Rampelli, parla di "de profundis per l'ideologia buonista": Chi viene in Italia deve rispettare le nostre leggi, le nostre regole, i nostri valori. Per noi è assodato, per la sinistra multiculturalista che ha promosso un'accoglienza contraria alla legalità e al diritto no. Rom, estremisti islamici, osservanti della sharia che non intendono adeguarsi devono andare fuori dall'Italia. O si rispettano le leggi o non c'è spazio".

Emanuele Fiano, responsabile Sicurezza del Partito democratico, si augura che la sentenza non sia strumentalizzata: "Speriamo che ora non sia usata come una clava dai vari Salvini! Perchè la sentenza della cassazione, che richiama gli immigrati che hanno scelto di vivere nel mondo occidentale 'all'obbligo' di conformarsi ai valori della società nella quale hanno deciso 'di stabilirsi', dichiara un principio semplice e giusto. E si riferisce a un caso singolo. A noi preoccupa la fanfara della xenofobia che userà una sentenza che difende un corretto uso del diritto di tutti come un'arma nei confronti di qualcuno".

Di decisione 'equilibrata', che, però, non va strumentalizzata dalla politica parla anche la Cei, che evidenzia come il giudizio dei giudici sottolinei "anche il valore della diversità e della multiculturalità e la necessità di un cammino di integrazione degli immigrati, oltre a ribadire che ciò non può prescindere dal rispetto giuridico e legale di alcune regole su cui è strutturata la nostra società, con i suoi valori", ha detto monsignor Giancarlo Perego direttore di 'Migrantes', la fondazione della Cei che si interessa di migranti, rifugiati, profughi.

Il senatore Roberto Calderoli, vice Presidente del Senato e Responsabile Organizzazione e Territorio della Lega Nord, ribadisce che la sentenza "rappresenta un precedente che, da adesso, deve riportare al rispetto totale delle nostre leggi, a cominciare da quella che vieta di girare in luoghi pubblici con un copricapo o un velo che travisano o nascondono il volto, per cui basta burqa o niqab in luoghi pubblici". Ma soprattutto, prosegue il rappresentante del Carroccio, "questa sentenza deve rappresentare un chiaro monito a chi vuole vivere qui: se non accetti tutte le nostre regole qui non puoi restare e se queste regole non ti vanno bene puoi andartene altrove o tornare da dove sei venuto".



'Gli immigrati devono conformarsi ai nostri valori'. Ad esempio quali?
Guido Rampoldi

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05 ... li/3594138


Ahi, i nostri valori. Ogni volta che li sento evocare mi chiedo quali mai saranno, questi nostri valori, i valori di noi italiani. Ma niente, non te lo dicono. Dev’essere una specie di segreto nazionale, e così ben protetto che mica lo raccontano alla gente comune. O magari una parola d’ordine tra persone d’un certo rilievo. “I nostri valori”: capisci subito di avere a che fare con uno affidabile, uno che conta. Politici, giornalisti, intellettuali, adesso anche i giudici della Corte di Cassazione, prima sezione.

Hanno confermato la condanna di un cittadino indiano, un Sikh che se ne andava in giro con una daga (un coltello sacro, ndr), in quanto oggetto richiesto da un rito della sua religione. Avrebbero potuto motivare: chiunque arrivi in Italia, migrante o turista, deve rispettare le leggi italiane, così come richiede ogni Stato di questo pianeta. Ma sarebbe suonato banale. Avrebbero potuto aggiungere, per fare sfoggio di erudizione che nell’era di Tony Blair, all’inizio la polizia lasciò che mini-comunità asiatiche ignorassero varie sezioni dei codici britannici e applicassero le loro leggi tradizionali, pestassero le mogli, brutalizzassero le figlie. Ma se ne pentì e ammise che quella politica si era rivelata disastrosa.

Invece, i giudici l’hanno buttata sui valori. I nostri contrapposti ai loro, i valori degli stranieri. E i nostri in Cassazione risultano essere “i valori occidentali”. Qui le cose si complicano, neppure a Pechino, a Tokyo o a Marrakech la gente può andarsene a zonzo con una durlindana, perché ‘valori occidentali’? Ma il culturalismo inebria e ormai i giudici si sono entusiasmati: poche righe dopo ricordano ai migranti “il limite invalicabile (…) della nostra civiltà giuridica”.

Ora, tutto questo è detto con garbo e rispetto, senza l’ombra dell’aggressività che usa la politica per declinare tesi analoghe. Ma mettiamoci nei panni di un poveretto che arriva da un Paese lontano, un migrante, un ignaro. Apprende che deve accostumarsi ai “valori italiani” e prova a ricavarli dagli italiani che conosce o vede in tv: avrà l’impressione che di italiani ve ne siano di molto diversi, e differenti anche i loro valori.

Se poi lo straniero chiede esempi della “nostra civiltà giuridica” a, mettiamo, corrispondenti esteri in Italia, probabilmente si sentirà rispondere: il G8 di Genova e l’esito delle inchieste che ne sono seguite; l’assenza nei nostri codici del reato di tortura; l’inconcludenza di tanti tra i più grandi processi della nostra storia repubblicana.

Morale: oltre a spiegare ai migranti in Italia quali sono le nostre leggi, dovremmo avvertirli di non prenderci troppo sul serio: tipico della “nostra cultura” è parlare a vanvera.


Alberto Pento
Un valore tra i tanti è che non si va in giro armati di coltellacci. E non è un valore da niente. Mi meraviglio che a un testone come lei non sia venuto in mente un valore semplice ed elementare come questo. Forse importando ossessi religiosi dovremmo in cominciare anche noi a girare armati e non solo di coltellacci da 20 cm di lama ma di pistole e fucili automatici.




La rabbia dei sikh contro l'Italia per il coltello proibito
La comunità sikh indiana critica la sentenza con cui la Corte di Cassazione ha stabilito che i migranti devono conformarsi ai nostri valori, condannando un indiano che era stato fermato a Mantova dalla polizia perché trovato in possesso di un coltello kirpan, che per quella religione è un simbolo religioso e non un’arma impropria
Raffaello Binelli - Mer, 17/05/2017

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 98273.html

Niente da fare, quella sentenza della Cassazione proprio non è piaciuta alla comunità sikh indiana.

Stiamo parlando, ovviamente, della sentenza che stabilisce che i migranti devono conformarsi ai nostri valori. Nello specifico la Cassazione aveva condannato un indiano trovato in possesso di un coltello kirpan, che per quella religione è un simbolo religioso e non un’arma impropria. ma per le leggi italiane resta pur sempre un'arma proibita.

Il partito Shiromani Akali Dal e il comitato dello Shiromani Gurdwara Parbandhak (Sgpc), il più importante organo della fede sikh, esprimono "angoscia" e promettono battaglia, dicendo che solleveranno la questione nelle sedi appropriate per assicurare "giustizia" ai loro fedeli presenti nel nostro Paese. La Cassazione ha "ignorato" il fatto che portare un kirpan è un fattore essenziale e obbligatorio per il nostro codice religioso, afferma in un comunicato un portavoce di Akali Dal. "È una questione di fede e di diritti fondamentali dei sikh" e questo divieto "significa che nessun sikh potrà vivere in Italia dopo questa sentenza".

Il presidente dell’Sgpc, Avtar Singh Makkar, ricorda che ogni religione ha la propria dignità e il proprio codice di comportamento e vietare queste tradizioni è inaccettabile: "C’è una volontà del nostro Dio, imposta da un Paese che è stato salvato dalla comunità sikh durante la Prima e la seconda guerra mondiale. Essere ingiusti verso questa comunità e attaccare la sua dignità è deplorevole". Il massimo organo della comunità ha chiesto al governo indiano di trovare con il governo italiano una soluzione al problema. La decisione della Corte di Cassazione ha scosso la comunità sikh di tutto il mondo".

Trenta milioni di fedeli, i sikh sono una comunità religiosa e politico-militare dell’India, fondata nel Punjab da Nanak (1469-1538) nell’intento di unire indù e musulmani nella fede in un Dio unico, che non doveva essere rappresentato con figurazioni materiali, e nel rifiuto di ogni distinzione castale. I sikh sono monoteisti e credono nella legge del karma e nella reincarnazione.



Ira sikh: “Non rinuncio al coltello, ricorrerò alla Corte europea”
Singh Jatinder, il sikh condannato a pagare una multa di due mila euro per via di quel pugnale infilato nella cintola ricorrerà alla Corte europea di Giustizia e annuncia: “Io il Kipran non me lo tolgo”
Elena Barlozzari - Gio, 18/05/2017

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 98813.html

Rispetta la giustizia italiana, dice, ma solo sulla carta perché non rinuncerà al suo coltello.

Questa, in estrema sintesi, la posizione di Singh Jatinder, 33 anni ed una multa di duemila euro da pagare per quel pugnale infilato nella cintola. Così il giovane sikh promette: “Ricorrerò alla Corte europea di giustizia”.

Qualche giorno fa, infatti, la Cassazione ha stabilito che “è essenziale l’obbligo per l’immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale”. Nel caso specifico, quindi, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso presentato da Jatinder, già condannato dal Tribunale di Mantova per via del coltello tradizionale, il Kirpan, che porta sempre addosso come simbolo di devozione religiosa.

Ma, nonostante il provvedimento avverso, il giovane indiano non intende rinunciare al suo pugnale, né pagare la multa: “Io il Kirpan non me lo tolgo”, ha detto ad un cronista della Gazzetta di Mantova. Nel frattempo Singh Dilbagh, rappresentante della comunità sikh, ha annunciato: “Rispettiamo la sentenza, abbiamo fiducia nella giustizia italiana, così come rispettiamo le leggi italiane. Si vede che non siamo riusciti a spiegarci bene davanti ai giudici; per questo ricorreremo alla Corte europea di giustizia”.

A scatenare la reazione della comunità sikh, che si è stretta attorno al giovane, è la dimensione collettiva che assume il provvedimento: “Noi non la viviamo come una cosa personale, ma collettiva”. Anche se, in Italia, non vige il sistema di common law e la giurisprudenza non fa diritto, un precedente così autorevole rischia di influenzare le future decisioni dei giudici. E sarebbero due, a Quistello e ad Acquanegra, i membri della comunità denunciati per la stessa ragione. “La normativa sulle armi bianche – spiegano i sikh – dice che se non hanno la punta e non tagliano, come il nostro pugnale, e non possono far male, non vengono considerate tali. Speravamo che i giudici ci dicessero di portarlo in un determinato modo. Un no secco è incomprensibile. Però, siamo pronti al dialogo su questo argomento”.




Mantova, il sikh condannato per il coltello sacro: 'Ora ci controllano tutti, ma il tasso di criminalità per noi è zero'
La Cassazione sul suo caso ha sancito che i migranti devono conformarsi a nostri valori. "Sono deluso e arrabbiato, i miei connazionali vengono fermati ogni giorno perché adesso i vigili sanno che portiamo il kirpan, che però è un simbolo di opposizione al male. Vogliamo rivolgerci alla Corte europea per far valere questo nostro diritto"
di ZITA DAZZI
17 maggio 2017

http://milano.repubblica.it/cronaca/201 ... -165610991

"Sono amareggiato, deluso, arrabbiato. Io mi sento ormai integrato nella vostra società, non ho mai commesso reati, sono sempre stato una persona onesta che ha lavorato e pagato le tasse. Proprio non ci sto a essere trattato come se fossi uno che potrebbe commettere un crimine, solo perché porto il kirpan, il pugnale che per noi sikh, è un simbolo religioso da indossare obbligatoriamente". Per colpa di quel pugnale, sequestrato dai vigili urbani, è stato condannato in via definitiva a pagare una ammenda di 2mila euro, il signor Singh Yantinder, 32 anni, che è in Italia da anni e vive a Goito, in provincia di Mantova, con la moglie. L'uomo, turbante d'ordinanza e carta di soggiorno, è un piccolo imprenditore del settore terziario legato all'industria alimentare, come molti altri suoi connazionali, che nella bassa mantovana, come nel bresciano e in molte parti della pianura Padana mandano avanti il settore caseario locale.

Signor Singh, per lei il Kirpan è un simbolo religioso, ma per la legge italiana è un'arma contundente che non si può portare in giro. La sentenza della Corte di Cassazione è chiara.
"Né io né la mia comunità capiamo questa sentenza, che va a incidere sulla nostra libertà religiosa e di culto prevista dalla Costituzione. Nessuno di noi ha mai fatto il male con il kirpan, anzi è un simbolo di resistenza al male, proprio il contrario di quello che sostiene la sentenza".

Ma come è iniziata questa storia?
"Era il marzo del 2015, stavo camminando per strada, con il kirpan alla vita, ignaro che questo potesse essere un problema. MI hanno fermato i vigili di Goito, chiedendomi di giustificare questo pugnale, che è racchiuso in un fodero molto elaborato. Ho provato a spiegare che è un simbolo obbligatorio per la mia religione, come i capelli lunghi che tutti noi portiamo, senza tagliarli mai, legati con un pettinino di legno, sotto al turbante. Dobbiamo anche avere braccialetto. Insomma, come gli ebrei indossano la kippah, come le donne islamiche indossano il velo sul capo, anche noi abbiamo le nostre usanze".

I vigili quindi non ascoltarono le sue ragioni?
"Ho spiegato che per noi sikh è obbligatorio tenere addosso i simboli della religione, ma gli agenti mi hanno sequestrato il pugnale, anche se ho spiegato che questo era molto grave. Ma non c'è stato verso, anzi, da quel giorno è stato avviato un procedimento di contravvenzione nei miei confronti, secondo la legge 110 del 1975. Ma per me è assurdo, non ho commesso reati, come è stato scritto, ma solo rispettato le regole della mia religione, come fanno altri 30 milioni di sikh nel mondo, 160mila dei quali in Italia. E noi siamo una comunità molto pacifica, come tutti sanno, abbiamo un tasso di criminalità pari a zero".

Quindi adesso che farà?
"Adesso a Goito, il mio paese, e a Mantova, abbiamo tutti paura e timore. Diversi altri miei connazionali e correligionari vengono fermati ogni giorno, anche a Cremona e a Crema perché i vigili adesso sanno che tutti portiamo il kirpan e vogliono farlo togliere a tutti noi. Questo è molto doloroso e ci dobbiamo riunire con i vertici della nostra comunità per capire come muoverci, con chi possiamo andare a parlare per ottenere ascolto".

Pensate ancora di riuscire a far cambiare idea alla magistratura su questo tema?
"Noi siamo disponibili a ridurre la dimensione del pugnale, anche a portarlo sotto i vestiti, invece che alla cintola e in modo visibile, se la questione è di ordine pubblico, ci adatteremo. Faremo di tutto pur di arrivare a una mediazione su un simbolo religioso, che non sarà mai e non è mai stato uno strumento di offesa, caso mai il suo contrario. Un simbolo di opposizione al male".

Ma la legge italiana non consente di portare oggetti contundenti e armi se non c'è un giustificato motivo, lo sa?
"E allora perché il macellaio, il falegname, il chirurgo, possono portare i loro strumenti di lavoro in giro? Perché la religione non è anche essa un giustificato motivo? Faremo qualsiasi cosa che ci consenta di rispettare il nostro credo. Nessuno di noi è stato mai stato fermato per aver commesso reati o fatto male a qualcuno con il kirpan. Per noi non è nemmeno come il crocefisso, cioè un simbolo religioso che si può inossare o meno, a seconda dei gusti. Per noi è obbligatorio indossarlo, non farlo è una grave mancanza religiosa, che non ha equivalenti nella religione cristiana".

Se non otterrete giustizia, che farete?
"Non so se decideremo di andare via dall'Italia per questo motivo, ma siamo molto perplessi, perché
in altri paesi sia europei sia extra europei persone di religione sikh sono accettate anche col kirpan. C'è addirittura un ministro in Canada che ci va in palamento. Noi siamo una comunità pacifica, siamo in Italia per integrarci e per rispettare i valori che sono alla base della società e della legislazione italiana. Ma per noi la fede è una cosa importantissima. Vorremmo anche andare alla Corte europea per far valere questo nostro diritto".



Anche la legge può essere un valore o un disvalore

La spada sikh è questione di legge, non di valori
Davide 19 maggio 2017
DI MASSIMO FINI

https://comedonchisciotte.org/la-spada- ... -di-valori

La sentenza della Corte di Cassazione che obbliga lo straniero che vive in Italia a conformarsi ai nostri valori (e implicitamente a quelli occidentali) è aberrante, inquietante, pericolosa e oserei dire paranoica.

Lo straniero che vive in Italia ha il solo obbligo, come tutti, di rispettare le leggi dello Stato italiano. Punto. Il sikh che girava con un coltello kirpan, sacro nella sua cultura, doveva essere condannato perché in Italia è vietato andare in giro armati. Se si accettasse il principio enunciato dalla Corte di Cassazione un italiano che vive in un paese islamico dovrebbe, in conformità alla cultura di quel paese, farsi musulmano (??? infatti nei paesi islamici le religioni non islamiche sono limitate, soggette a molte restrizioni e diviete e perseguitate).

La sentenza della Cassazione è incostituzionale perché viola l’articolo 3 della nostra Carta che recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

La questione non riguarda semplicemente le differenze religiose, punto su cui si sono soffermati quasi tutti, ma è molto più ampia: riguarda l’identità culturale, religiosa e non religiosa. La Cassazione afferma: “La società multietnica è una necessità, ma non può portare alla formazione di arcipelaghi culturali confliggenti a seconda delle etnie che la compongono”. Non so dove la Cassazione sia andata a scovare un principio di questo genere, inaudito nel senso letterale di mai udito fino a oggi. Lo straniero che vive in Italia non ha l’obbligo di conformarsi alle nostre tradizioni, ha il sacrosanto diritto di conservare le sue, sempre che, naturalmente, come si è già detto, non siano in contrasto con le nostre leggi (!!! le leggi sono anche valori o disvalori). Al limite lo straniero non ha nemmeno l’obbligo di imparare la nostra lingua, sarebbe più intelligente se lo facesse ma non ne è obbligato (!!! allora niente cittadinanza). Per decenni ci sono stati italiani emigrati in America che non spiccicavano nemmeno una parola di inglese, ma non per questo sono stati sanzionati.

La questione della sicurezza, importante ma che non ha nessuna rilevanza se lo straniero rispetta le leggi del nostro Stato (il burka va vietato non perché è un simbolo religioso ma perché copre l’intero viso e le nostre leggi prevedono che si debba andare in giro a volto scoperto !!!), sta facendo dell’ ‘arcipelago culturale’ occidentale un sistema totalitario che non tollera le diversità culturali sia all’esterno (vedi le aggressioni armate ad altri Paesi, dalla Serbia alla Libia) sia al proprio interno. Stiamo di fatto calpestando proprio quei valori, democrazia in testa, cui diciamo di appartenere e ai quali vorremmo costringere qualsiasi ‘altro da noi’. Alla povera gente che migra nel nostro Paese e negli altri stati europei, a causa molto spesso delle nostre prevaricazioni economiche e armate che abbiamo fatto nei loro, vorremmo togliere, alla fine, anche l’anima (??? non è vero).

Spostando il discorso mi piacerebbe sapere quali sono i nostri valori. A parte quello di una democrazia che in realtà non è tale, perché non appartiene ai cittadini ma è nel pieno possesso di oligarchie, nazionali e internazionali, non vedo in Occidente un altro valore che non sia l’adorazione del Dio Quattrino e la supina subordinazione alle leggi del mercato (???).

Siamo molto gelosi della nostra identità, più che altro a parole perché un’identità non l’abbiamo più (???), ma non tolleriamo quella altrui (???). Io sono libero di essere sikh, sono libero di essere indù, sono libero di essere musulmano (???), sono libero, se abito in un Paese di cultura diversa, di essere laico e non credente (???).

Dell’Illuminismo abbiamo conservato e sviluppato il peggio, ma abbiamo dimenticato il meglio che sta nella famosa frase di Voltaire: non sono d’accordo con le tue idee ma difenderò il tuo diritto a esprimerle fino alla morte. E per ‘idee’ bisogna intendere anche le tradizioni, la cultura, la religione, direi meglio: la spiritualità di chi è diverso da noi (!!! non si tratta di spiritualità ma di religiosità, la spiritualità e una e universale, quell che cambia caso mai è la religiosità).

La sentenza della Cassazione ci dice che anche i magistrati –che per fortuna non fanno le leggi (??? perché i politici che fanno le leggi sono forse migliori? e non sbagliano mai?) ma devono solo applicarle e giudicare caso per caso- hanno perso di vista i princìpi fondamentali del nostro diritto e della nostra cultura (???). Ma più in generale direi che noi occidentali abbiamo perso la testa (???).



Alberto Pento
No Fini, tu sei libero di essere quello che sei e che vuoi, soltanto se rispetti i Valori i Doveri e i Diritti Umani Universali nel loro Ordine Naturale, cosa che per esempio non fa l'immigrazione clandestina e selvaggia e nemmeno l'Islam che non è tanto una religione ma una "cultura" politico-religiosa legata a un certo territorio con tendenze egemoniche, imperialiste e violente.





Migranti devono conformarsi ai nostri valori, parola di Cassazione

Cassazione penale, sez. I, sentenza 15/05/2017 n° 24084
Pubblicato il 16/05/2017

http://www.altalex.com/documents/news/2 ... /immigrati

Una pronuncia che farà discutere e che dividerà le opinioni, non solo tra i differenti schieramenti politici, quella emanata ieri dalla I Sezione penale della Cassazione.

Immediate le reazioni da parte di alcuni esponenti dei partiti. Nell’Italia che si tinge di differenti culture, ma che stenta ad accettare la metamorfosi, il massimo consesso ha rilevato “l’obbligo per l’immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi”, nonché di verificare preventivamente la conciliabilità della propria condotta con i principi che regolano la società in cui pretende di convivere.

In una società multietnica, la convivenza tra soggetti di gruppi differenti richiede l’identificazione di un nucleo comune in cui immigrati e società di accoglienza si debbono riconoscere. A mente dell’art. 2 della Carta Costituzionale, l’integrazione non impone l’abbandono della cultura di origine, bensì il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante. L’immigrato che decide di stabilirsi in una società in cui è consapevole che i valori di riferimento sono differenti da quella da cui proviene, ne impone il rispetto. Non è infine tollerabile che l’attaccamento ai propri valori, anche se leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante.
Questo quanto riportato nella sentenza n. 24084 della I sezione Penale, con la quale la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indiano Sikh, condannato a duemila euro di ammenda per aver portato, fuori dalla propria abitazione, e senza alcun giustificato motivo, un coltello di quasi 20 centimetri, quindi considerato idoneo all’offesa.

Per essere scriminato, l’indiano aveva invocato il giustificato motivo e, nello specifico, aveva sostenuto che il coltello in questione doveva considerarsi un simbolo religioso e la condotta del portarlo appresso l’adempimento del relativo dovere. Ma i giudici ermellini, nel confermare la condanna, evidenziano che la decisione, presa dall’immigrato, di stabilirsi in una società dove i valori di riferimento sono diversi rispetto a quella di provenienza, ne impone il rispetto e non è tollerabile che l’attaccamento ai propri valori, seppur leciti nel paese di origine, conduca alla violazione consapevole di quelli della società ospitante.

Nel motivare il dictum, gli ermellini hanno richiamato, oltre alla legislazione italiana, anche l’articolo 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, il quale stabilisce che la libertà di manifestare la propria religione può essere oggetto di quelle sole restrizioni che, stabilite per legge, costituiscono misure necessarie in una società democratica, per la protezione dell’ordine pubblico, della salute o della morale pubblica, ovvero per la protezione dei diritti e della libertà altrui.
Immediate le reazioni da parte di alcuni esponenti politici. La deputata Daniela Santanché (Forza Italia), esprimendosi con favore alla decisione, ha ricalcato che chi è ospite in Italia ha il dovere di seguire le regole che ci impongono i codici e la Costituzione. Identico giudizio per Fabio Rampelli (capogruppo di Fratelli d’Italia - Alleanza nazionale), ma aggiungendo, categorico, che “O si rispettano le leggi o non c’è spazio”. Dal versante opposto, Emanuele Fiano (responsabile Sicurezza del Partito democratico), formula l’auspicio che il verdetto non venga strumentalizzato a fini differenti da quelli propri e, parlando al plurale, ha concluso “A noi preoccupa la fanfara della xenofobia che userà una sentenza che difende un corretto uso del diritto di tutti come un’arma nei confronti di qualcuno”.

(Altalex, 16 maggio 2017)





CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Sezione Prima Penale

Sentenza 15 maggio 2017, n. 24084
Presidente Mazzei
Relatore Novik

Rilevato in fatto

1. Con sentenza emessa il 5 febbraio 2015, il Tribunale di Mantova ha condannato Si. Ja. alla pena di Euro 2000 di ammenda per il reato di cui all'art. 4 legge n. 110 del 1975, perché "portava fuori dalla propria abitazione senza un giustificato motivo, un coltello della lunghezza complessiva di cm 18,5 idoneo all'offesa per le sue caratteristiche". Commesso in Goito il 6 marzo 2013.

2. Risulta in fatto che l'imputato era stato trovato dalla polizia locale in possesso di un coltello, portato alla cintura. Richiesto di consegnarlo, aveva opposto rifiuto adducendo che il comportamento si conformava ai precetti della sua religione, essendo egli un indiano "SIKH".
Secondo il giudice di merito, le usanze religiose integravano mera consuetudine della cultura di appartenenza e non potevano avere l'effetto abrogativo di norma penale dettata a fini di sicurezza pubblica.

3. Avverso questa sentenza ha presentato ricorso l'imputato personalmente chiedendone l'annullamento per violazione dell'art. 4 della Legge n. 110/1975 e vizio di motivazione. Ritiene che il porto di coltello era giustificato dalla sua religione e trovava tutela dell'articolo 19 della Costituzione. Il coltello (KIRPAN), come il turbante, era un simbolo della religione e il porto costituiva adempimento del dovere religioso. Chiede quindi l'annullamento della sentenza.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato.

2. Va premesso, in termini generali, che il reato contestato ha natura contravvenzionale, è punito anche a titolo di colpa, ed è escluso se ricorre un "giustificato motivo". L'assenza di giustificato motivo è prevista come elemento di tipicità del fatto di reato (trattasi di elemento costitutivo della fattispecie, come precisato da Sez. Un. n. 7739 del 9.7.1997). La giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che il giustificato motivo di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 4, comma 2, ricorre quando le esigenze dell'agente siano corrispondenti a regole relazionali lecite rapportate alla natura dell'oggetto, alle modalità di verificazione del fatto, alle condizioni soggettive del portatore, ai luoghi dell'accadimento e alla normale funzione dell'oggetto (ex multis, Sez. 1 n.4498 del 14.1.2008, rv. 238946). Per fare alcuni esempi, è giustificato il porto di un coltello da chi si stia recando in un giardino per potare alberi o dal medico chirurgo che nel corso delle visite porti nella borsa un bisturi; per converso, lo stesso comportamento posto in essere dai medesimi soggetti in contesti non lavorativi non è giustificato e integra il reato.

2.1. Nel caso specifico, la sentenza impugnata da' atto che, al momento del controllo di polizia, l'imputato si trovava per strada e teneva il coltello nella cintola. A fronte della allegazione di circostanze di obiettivo rilievo dimostrativo, scatta l'onere dell'imputato di fornire la prova del giustificato motivo del trasporto.

2.2. L'imputato ha affermato che il porto del coltello era giustificato dal credo religioso per essere il Kirpan "uno dei simboli della religione monoteista Sikh" e ha invocato la garanzia posta dall'articolo 19 della Costituzione. Il Collegio, pur a fronte dell'assertività dell'assunto, non ritiene che il simbolismo legato al porto del coltello possa comunque costituire la scriminante posta dalla legge.

2.3. In una società multietnica, la convivenza tra soggetti di etnia diversa richiede necessariamente l'identificazione di un nucleo comune in cui immigrati e società di accoglienza si debbono riconoscere. Se l'integrazione non impone l'abbandono della cultura di origine, in consonanza con la previsione dell'art. 2 Cost. che valorizza il pluralismo sociale, il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante. È quindi essenziale l'obbligo per l'immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi, e di verificare preventivamente la compatibilità dei propri comportamenti con i principi che la regolano e quindi della liceità di essi in relazione all'ordinamento giuridico che la disciplina. La decisione di stabilirsi in una società in cui è noto, e si ha consapevolezza, che i valori di riferimento sono diversi da quella di provenienza ne impone il rispetto e non è tollerabile che l'attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante. La società multietnica è una necessità, ma non può portare alla formazione di arcipelaghi culturali configgenti, a seconda delle etnie che la compongono, ostandovi l'unicità del tessuto culturale e giuridico del nostro paese che individua la sicurezza pubblica come un bene da tutelare e, a tal fine, pone il divieto del porto di armi e di oggetti atti ad offendere.

2.4. Nessun ostacolo viene in tal modo posto alla libertà di religione, al libero esercizio del culto e all'osservanza dei riti che non si rivelino contrari al buon costume. Proprio la libertà religiosa, garantita dall'articolo 19 invocato, incontra dei limiti, stabiliti dalla legislazione in vista della tutela di altre esigenze, tra cui quelle della pacifica convivenza e della sicurezza, compendiate nella formula dell' ordine pubblico; e la stessa Corte costituzionale ha affermato la necessità di contemperare i diritti di libertà con le citate esigenze. Come osserva il Giudice delle leggi nella sentenza numero 63 del 2016 Tra gli interessi costituzionali da tenere in adeguata considerazione nel modulare la tutela della libertà di culto - nel rigoroso rispetto dei canoni di stretta proporzionalità, per le ragioni spiegate sopra - sono senz'altro da annoverare quelli relativi alla sicurezza, all'ordine pubblico e alla pacifica convivenza.

2.5. Nello stesso senso, si muove anche l'articolo 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo che, al secondo comma, stabilisce che La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo può essere oggetto di quelle sole restrizioni che, stabilite per legge, costituiscono misure necessarie in una società democratica, per la protezione dell'ordine pubblico, della salute o della morale pubblica, o per la protezione dei diritti e della libertà altrui.

2.6. La giurisprudenza Europea, a proposito del velo islamico, in Leyla Sahin c. Turchia [GC], n. 44774/98, § 111, CEDU 2005 XI ; Refah Partisi e altri c. Turchia [GC], n. 41340/98, 41342/98, 41343/98 e 41344/98, § 92, CEDU 2003 II, ha riconosciuto che lo Stato può limitare la libertà di manifestare una religione se l'uso di quella libertà ostacola l'obiettivo perseguito di tutela dei diritti e delle libertà altrui, l'ordine pubblico e la sicurezza pubblica. Nella causa Eweida e altri contro Regno Unito del 15 gennaio 2013, la Corte ha riconosciuto la legittimità delle limitazioni alle abitudini di indossare visibilmente collane con croci cristiane durante il lavoro e ha suffragato l'opinione ricordando che, nello stesso ambiente lavorativo, dipendenti di religione Sikh avevano accettato la disposizione di non indossare turbanti o Kirpan (in questo modo dimostrando che l'obbligo religioso non è assoluto e può subire legittime restrizioni).

3. Pertanto, tenuto conto che l'articolo 4 della legge n. 110 del 1975 ha base nel diritto nazionale, è accessibile alle persone interessate e presenta una formulazione abbastanza precisa per permettere loro - circondandosi, all'occorrenza, di consulenti illuminati - di prevedere, con un grado ragionevole nelle circostanze della causa, le conseguenze che possono derivare da un atto determinato e di regolare la loro condotta (Go. ed altri c. Polonia (Grande Camera), n 44158/98, § 64, CEDU 2004), va affermato il principio per cui nessun credo religioso può legittimare il porto in luogo pubblico di armi o di oggetti atti ad offendere.

4. Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Carta ogneversal dei diriti rełijoxi e spirituałi

Messaggioda Berto » sab lug 29, 2017 7:53 am

Libertà di parola, di pensiero, di critica, di spiritualità e di religione
viewtopic.php?f=141&t=2503

Libertà di pensiero, di critica e di espressione contro i dogmi e l'idolatria
viewtopic.php?f=201&t=2138


Giudizio (negativo) sull'islam: sospeso il prof
Giuseppe De Lorenzo - Ven, 28/07/2017

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 25544.html

Vietato dare giudizi (negativi) sull'islam. Lo sa bene Pietro Marinelli, 61enne docente di Diritto ed Economia all'Istituto superiore “Falcone-Righi” di Corsico, piccolo comune nell'hinterland milanese.

Marinelli vanta oltre 30 anni di carriera, la laurea in Giurisprudenza, un'altra in Scienze religiose e un curriculum di tutto rispetto. Cui però ora dovrà aggiungere le accuse di islamofobia.

Tutto inizia il 31 maggio scorso. Il professore entra in una classe quinta per la lezione di diritto internazionale. Tema: lo Stato Islamico. E visto che al “Falcone-Righi” ancora si rispettano le buone maniere, quando il prof entra in classe gli studenti si alzano in piedi. Tutti, tranne lei: un'alunna 18enne di origine egiziana che si giustifica affermando di essere in periodo di ramadan. “Una pratica religiosa non ti dà certo diritto di non rispettare una consuetudine dell'Istituto”, fa notare il docente. Ma tant'è. “Per sviluppare il suo senso critico ho provato a chiederle cosa significasse il ramadan. E lei sosteneva fosse solo un periodo di riflessione. Le ho detto che non è così. Che viene celebrato per ricordare la discesa dal cielo del Corano, parola increata di Allah”. Ne nasce allora una discussione in cui Marinelli spiega l'origine e il significato del rito musulmano, accennando però valutazioni critiche nei confronti dell'islam e di una pratica di digiuno che “non mi sembra umana”. Apriti cielo.

La studentessa esce dalla classe senza permesso, salta la lezione sull'Isis e si becca una nota. Ma non è lei a doversi preoccupare. Poche ore dopo la madre scrive una lettera alla preside, Maria Vittoria Amantea, denunciando “un terribile" fatto "di intolleranza religiosa”. Nella missiva vengono riportate alcune frasi che Marinelli avrebbe pronunciato al fine di “offendere e sminuire" la fede musulmana: l'islam è una religione priva di senso; il Corano è una ridicolaggine insensata; il Ramadan è disumano; l'islam dovrebbe essere vietato dalla legge e via dicendo. “Alcune sono state palesemente esagerate – dice il professore – altre totalmente inventate”.

Fatto sta che ragazza presenta pure un esposto ai carabinieri e lo stesso farà la preside “a tutela dell'onorabilità dell'istituto”. Nemmeno si trattasse di lesa maestà, scatta il procedimento disciplinare: Marinelli è accusato di aver offeso l'alunna e di essere venuto meno “al suo principale dovere come docente e educatore”.“Prima di avviare l'iter non hanno neppure tenuto conto della mia dichiarazione, protocollandola volutamente in ritardo”, denuncia lui, che in tutta risposta ha depositato due contro-esposti (la preside, contattata per telefono e mail, non è ancora risultata reperibile). Il 24 giugno il caso finisce in presidenza per l'audizione in difesa. Obiezioni, spiegazioni, precisazioni: tutto inutile. Arriva una punizione esemplare: sette giorni di sospensione e relativa decurtazione dello stipendio.

Marinelli però rivendica “libertà di opinione”: “Io non ho offeso, ho solo dato una mia valutazione dell'islam alla luce dei miei studi. Una cosa sono le affermazioni sulle persone, altro quelle sulla religione. Credo rientri nei miei obblighi educativi stimolare gli studenti ad avere una visione critica della vita, anche rispetto alle proprie tradizioni religiose". Difficile dargli torto. "Come i cristiani ascoltano le lezioni sulle crociate o sull'Inquisizione e non presentano esposti contro i docenti - continua - così devono fare pure gli islamici. Anche quando si dice che l'Isis è il vero riferimento del mondo islamico oppure che nell'islam ci sono meno libertà rispetto al cristianesimo”.

Il ragionamento non fa una piega. Ma non aiuta: condannato per aver violato gli articoli 3 e 19 della Costituzione (uguaglianza e libertà di culto) e due articoli del codice deontologico. “Io non ho insultato nessuno né limitato la libertà di alcuno. Ho solo espresso un giudizio sull'islam”. Tradotto: critichi Maometto e finisci nei guai.



Alberto Pento
Questa è una grave violazione dei Diritti Umani Universali, dei valori e delle livertà democratiche e della stessa costituzione italiana.


Al professore si contesta di aver violato i seguenti articoli della costituzione:

Articoli 3 e 19 della Costituzione (uguaglianza e libertà di culto)

Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 19. Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purchè non si tratti di riti contrari al buon costume


Si consideri come la religione islamica abbia riti e prescrizioni giuridiche contro il buon costume ed altre leggi: per esempio le preghiere contro i non islamici e in particolare contro gli ebrei e i cristiani; inoltre andrebbero considerate tutte anche le prescrizioni coraniche che violano i diritti umani, le leggi italiane ed europee, contro i diversamente religiosi e pensanti, contro gli apostati, le donne, contro gli omosessuali ...
Tali aspetti criminali della religione islamica o ideologia politica mussulmana rendono tale "culto" molto simile se non peggiore al nazismo maomettano e pertanto sono crimini contro l'umanità che violano e sminuiscono fortemente e irreparabilmente la dignità umana.


Si considerino anche questi altri articoli a favore del professore: l'islam promuove e prescrive la violenza e la guerra contro i non islamici e ciò è contro l'articolo 11 della Costituzione, inoltre le reazioni della ragazza mussulmana, della madre e della preside violano l'art. 21 della Costituzione Italiana.

Art. 11. L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parita' con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranita' necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Art. 21. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo d'ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.


Siamo al paradosso per il quale una studentessa islamica viene sostenuta ed appoggiata nella sua convinzione che la critica all'Islam sia una offesa a lei come persona; il fatto ancora più grave è che un'autorità statale italiana adotti come criterio di giudizio la mentalità islamica, secondo la quale ogni fedele è parte integrante della "umma", ossia la comunità musulmana, per cui l'offesa alla religione islamica viene considerata come offesa alla persona del credente islamico.
https://www.facebook.com/pietro.marinel ... 3583063468

Carmelo Marletta
Egregio professore, la sua preside , più che la umma e le leggi islamiche , dovrebbe seguire l'Ordinamento italiano, visto che in Italia ancora vige la nostra Costituzione e non le leggi coraniche.E' opportuno che i Dirigenti di Scuole italiane (non islamiche) promuovano l'integrazione DI TUTTI GLI STUDENTI, anche quelli di fede islamica.Questi comportamenti, anzi, dovrebbero essere segnalati dalla Scuola in sede di valutazione di un'eventuale cittadinanza italiana. Di recente la Cassazione si è pronunciata in merito all'integralismo di persone che vengono VOLONTARIAMENTE nel nostro Paese che ha usi, costumi e religione, lontano anni luce dalla loro. Ecco un estratto della recente la sentenza della Prima sezione penale della Suprema Corte, di cui la sua preside, la studentessa e l'agguerrita mamma devono tenere conto. “E' essenziale l’obbligo per l’immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi, e di verificare preventivamente la compatibilità dei propri comportamenti con i principi che la regolano e quindi della liceità di essi in relazione all’ordinamento giuridico che la disciplina”.Il verdetto aggiunge che “la decisione di stabilirsi in una società in cui è noto, e si ha la consapevolezza, che i valori di riferimento sono diversi da quella di provenienza, ne impone il rispetto”. https://www.fattidalweb.com/2017/05/19/ ... tu-approvi

https://www.facebook.com/Solidariet%C3% ... 8051095731
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Carta ogneversal dei diriti rełijoxi e spirituałi

Messaggioda Berto » mar mar 20, 2018 7:57 pm

Un appello contro il “nuovo totalitarismo islamista”
Giulio Meotti
20/03/2018

https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... 1070209938

Un appello contro il “nuovo totalitarismo islamista” è stato lanciato sul Figaro da 100 intellettuali francesi fra cui gli storici Georges Bensoussan e Alain Besançon, il medievista Rémi Brague, lo scrittore Pascal Bruckner, l'ex ministro Luc Ferry, i filosofi Alain Finkielkraut e Jean-Pierre Le Goff, lo studioso Pierre Nora, il professor Robert Redeker, il romanziere algerino Boualem Sansal, il politologo Pierre-André Taguieff e altri.

“Non molto tempo fa, l'apartheid regnava in Sud Africa. Oggi l'apartheid di un nuovo tipo viene proposta alla Francia, una segregazione capovolta grazie alla quale i 'dominati' preserverebbero la loro dignità riparandosi dai 'dominatori'.

Il nuovo separatismo avanza mascherato. Vuole apparire benigno, ma è in realtà l'arma della conquista politica e culturale dell'islamismo. Vogliamo vivere in un mondo in cui entrambi i sessi si guardano l'un l'altro senza sentirsi insultati dalla presenza dell'altro. Vogliamo vivere in un mondo in cui le donne non sono giudicate inferiori per natura. Vogliamo vivere in un mondo in cui le persone possano incontrarsi senza paura. Vogliamo vivere in un mondo in cui nessuna religione detta legge”.

Non so se la Francia sia perduta, come spesso temo, ma almeno esistono ancora delle teste pensanti che hanno il coraggio di battersi per ciò che siamo e che sanno bene quale sia la minaccia più grande alla nostra cultura.



La star atea viene fischiata quando critica l’islam. Dawkins e soci nei guai
di Giulio Meotti

https://www.facebook.com/antonello.busa ... n__=K-RH-R

Vada definire sant’Agostino un “ignorante”, bollare il Dalai Lama come un “monarca ereditario”, chiamare Blaise Pascal “sordido”, liquidare lo scrittore inglese C. S. Lewis come un uomo “patetico”, il re David come un “bandito”, Martin Luther King come un “orgiasta” e Mosè come “un autoritario sanguinario che incitava al genocidio”. Ma guai a definire il Corano come un “libro sessuofobo” o affermare che i kamikaze sono espressione dell’islam. L’ateo non si porta più quando critica il Corano. Era già successo in Italia al compianto Christopher Hitchens, che il nostro ateista militante Piergiorgio Odifreddi chiamò “reazionario” per via delle sue idee sull’islam.

“Sono i nuovi islamofobi”, attacca un lungo articolo sul magazine progressista Salon dedicato ai nuovi atei, o come li ha definiti il filosofo inglese John Gray, autore di “Cani di paglia” (Ponte alle Grazie), lo “squadrone anti Dio”. Richard Dawkins, il più celebre ateo del mondo, ha perso molti lettori dopo che ha definito l’islam “la più grande forma di male al mondo”. Il 25 marzo il noto evoluzionista incalza: “Non devi aver letto il Corano per avere una opinione dell’islam, così come non devi aver letto il ‘Mein Kampf’ per avere una opinione sul nazismo”. Sembra di sentir parlare l’olandese volante Geert Wilders. Ma è solo un assaggio della miscellanea atea del biologo Dawkins, che riscuoteva ben maggiori consensi quando paragonava il cristianesimo paolino alle molestie sessuali e l’educazione cattolica alla pedofilia.

Lo scorso dicembre l’International Humanist and Ethical Union, l’associazione che raggruppa centoventi organizzazioni “atee, razionaliste e umaniste” in oltre quaranta paesi, in occasione della Giornata mondiale per i diritti umani ha pubblicato la sua “watch list”, chiamata “Freedom of Thought 2012”, per denunciare i paesi che perseguitano i “senza dio”. In classifica svettano sette paesi islamici.

La settimana scorsa Dawkins è incappato nella contestazione degli studenti musulmani dell’University College London, dove si era recato per una conferenza. È successo che l’aula, a causa dell’alta presenza di alunni di fede islamica, era stata divisa fra uomini e donne, in omaggio alla sharia, la legge islamica. Dawkins ha detto che non avrebbe avallato questa “segregazione sessuale”, questa forma di “apartheid”. Giù contestazioni e fischi, quando Dawkins è solito ricevere soltanto applausi. L’altro ateo di lusso che se la passa male è John Harris, le cui critiche all’islam sono non meno tranchant: a suo dire “gli attentati suicidi sono stati razionalizzati da buona parte del mondo musulmano”. Harris critica coloro che ne minimizzano la relazione con la religione (“chiunque affermi che i precetti dell’islam ‘non hanno nulla a che fare col terrorismo’ non fa che giocare con le parole”) e con i sacri testi (“siamo in guerra proprio con quella visione del mondo prescritta a tutti i musulmani dal Corano, e poi ulteriormente elaborata nella letteratura degli hadith”). Per queste e altre esternazioni, Harris si è visto tagliare i contatti da parte di organizzazioni liberal come il Center for Inquiry, l’American Humanist Association e Americans United for Separation of Church and State. Anche l’ateo più discusso di Francia, Michel Onfray, l’autore di quel “Trattato di ateologia” che ne ha fatto il più ricercato opinionista anticattolico (“ateo di servizio”, si è definito egli stesso), è caduto in disgrazia per i commenti anti islamici. Sul Monde, Maurice T. Maschino, autore del pamphlet anticristiano “La République des bigots”, ha pubblicato un articolo dal titolo: “Michel Onfray ha perduto il suo spirito ribelle?”, perché a suo dire dell’islam dimostra di vedere solo “la faccia nera, cupa e tragica”. E, orrore, scrive Maschino rivolgendosi a Onfray, “ti allinei a Houellebecq”, che per le sue idee anti islamiche fu messo a processo a Parigi. La “colpa” di Onfray è aver dichiarato al giornale arabo al Watan che “dopo secoli di cultura musulmana non c’è stata nessuna invenzione, nessuna ricerca… sul terreno della scienza laica”.
E come a voler coronare questa cacciata dei nuovi atei dal parterre culturale c’è la messa al bando dei libri darwiniani di Dawkins dalla Turchia neo islamica di Tayyip Erdogan. Per essere osannato, l’intellettuale ateo deve accusare Dio o Yahweh, ma riceverà soltanto fischi quando se la prenderà con Allah.


Gino Quarelo
Non occorre essere atei per criticare la mostruosa e criminale idolatria nazi maomettana.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

PrecedenteProssimo

Torna a Diritti e doveri umani naturali e universali

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 2 ospiti

cron