Rasixmo,rasisti contro łi ebrei e Ixraele i crimini de l'ONU

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Messaggioda Berto » sab ott 21, 2017 6:20 pm

Le radici odierne dell’odio per Israele: Anamnesi politica
25 febbraio 2016
Niram Ferretti

http://www.linformale.eu/le-radici-odie ... i-politica

Ai giorni nostri la più profonda avversione nei confronti di Israele viene dal radicalismo di sinistra. E’ dentro la sinistra che sono stati incubati e hanno poi fruttificato tutti i paradigmi anti-israeliani in voga. Veri e propri memi culturali che strutturano oggi il discorso contro lo stato ebraico.

Gli antecedenti storici stanno nella propaganda sovietica contro Israele cominciata alla fine degli anni Cinquanta e saldatosi con quella araba. Marxismo e filo-islamismo costituiscono da allora l’alleanza fondamentale che ancora prosegue imperterrita.

L’odio antisionista che si è sviluppato negli ultimi quaranta anni ha le sue parole d’ordine in seno al marxismo e al socialismo rivoluzionario classico secondo il quale il nemico da abbattere è la società borghese. Una volta rimossa la società borghese nella forma della sua struttura economica capitalistica si avrà, finalmente, un mondo dis-alienato, libero dalle ingiustizie.

Non ha nessuna importanza che il comunismo come fenomeno storico sia fallito insieme ai modelli di economia pianificata di stato. La convinzione radicata che il capitalismo sia la fonte di ogni male è rimasta inscalfibile.

Il rifiuto di accettare l’esperienza è sostanziale per il visionario, perché per lui i fatti non hanno una vera consistenza ma sono totalmente subordinati allo schema del proprio modello. Se i fatti lo smentiscono, peggio per i fatti.

La demonizzazione di Israele è inserita in questo orizzonte di pensiero. Per gli estremisti di sinistra Israele rappresenta insieme agli Stati Uniti un modello di società liberale e democratica fondata su un’economia imprenditoriale che è, per definiendum, fonte di ingiustizia e oppressione. A questo schema si sovrappone quello di carattere etnico-razziale secondo il quale, all’ingiustizia determinata dal capitalismo si aggiunge nel Terzo Mondo, quella dei popoli sfruttati e oppressi in quanto “vittime” dell’imperialismo e del colonialismo occidentale. Ma non basta. Alla vittima deve anche essere riconosciuto lo stigma di un abuso etnico-razziale. L’impianto concettuale della narrazione della sinistra radicale è infatti il seguente: l’Occidente “bianco” e capitalista è anche suprematista, e il “nero” è per antonomasia lo sfruttato in quanto considerato inferiore. Il nero africano per slittamento e accorpamento metaforico è diventato anche l’arabo. L’arabo-palestinese, viene dunque rappresentato come vittima dalla potenza militare e culturale occidentale imperialista e colonialista fondata su quello che per Marx è il peccato originale: il capitalismo.

Non va dimenticato che fu l’Unione Sovietica, nel 1975 a fare passare la risoluzione ONU la quale definiva il sionismo una forma di razzismo. La definizione restò in vigore per sedici anni. Venne abolita solo nel 1991. Fu un colpo da maestri da parte dei russi alleati con gli arabi riuscire a fare in modo che questa equivalenza prendesse corpo. La sua efficacia è infatti è stata persistente.

L’alleanza islamo-marxista è ad oggi quella egemone. Coloro i quali sognano l’abbattimento di Israele e degli Stati Uniti, non è certo un caso che siano alleati con gli arabi, i quali, nella loro espressione radicale musulmana dichiarata, Hamas, considerano tutta intera la Palestina dār al–Islām (casa dell’Islam). Gli eredi del totalitarismo comunista sono i principali sostenitori del totalitarismo islamico in nome della rivoluzione anti-imperialista e anti-capitalista che libererà gli uomini e favorirà la sharia..

L’ammirazione di Hitler per l’Islam e la collaborazione tra il regime nazista e Amin Al Husseini, il Mufti di Gerusalemme negli anni Trenta, convergeva in un profondo antisemitismo eliminazionista. Al Husseini sperava in una vittoria di Rommel in Nord Africa in modo da potere collaborare attivamente con le forze militari tedesche allo sterminio degli ebrei in Palestina. Oggi, l’estrema sinistra, la quale ha egemonizzato la narrazione anti-israeliana, si augura che Israele cessi come stato affinché l’intero paese sia consegnato agli arabi.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Messaggioda Berto » mer gen 17, 2018 8:56 am

Incollo da un mio lungo post al sito "Deportati mai più".Ad A. Messina e D. Stimolo

https://www.facebook.com/francomatteo.m ... 5377578781

Spiace dover ripetere e ricordare ai lettori di formazione cristiana e laica che per secoli gli Ebrei viventi nei territori arabi son stati trattati dagli Arabi musulmani come "dhimmi", cioè cittadini "servi protetti", e obbligati al pagamento di una tassa speciale, detta "jiza". Che la Palestina è considerata dalle leggi della sharìa islamica passata e recente come terra eternamente araba, e che quindi gli Ebrei che avevano acquistato negli anni '30 e '40 terre arabe avrebbero avuto sì il diritto di possederle, ma sempre come "dhimmi" cioè soggetti alla rete generale della legislazione islamica e quindi senza alcun diritto di costruirvi un loro "Stato", visto come del tutto illegale ed usurpativo dei diritti della popolazione proprietaria araba, per diritto islamico.
IL PUNTO E' PROPRIO QUI.. Se gli Ebrei son stati in qualche modo costretti a edificare uno Stato "loro", per Ebrei, in Palestina, lo si deve al fatto che 1) era la loro casa patria da secoli, e da cui erano stati espulsi dai Romani di Tito, Vespasiano e Adriano, nel 70 e nel 135 era volgare; 2) nè i Cristiani cattolici nè gli ortodossi greci bizantini avrebbero mai permesso, a causa dell'antigiudaismo ecclesiastico perdurante nei secoli, la rinascita di uno Stato Ebraico; 3) e neanche il nascente Islam avrebbe permesso un'impresa del genere, per i pessimi rapporti instaurati da Maometto con gli Ebrei di Medina, con i quali entrò in guerra vittoriosamente per la stragrande forza del numero dei musulmani suoi seguaci. 4) ogni anno, da secoli, nella sera di Pasqua gli Ebrei ripetevano e ripetono verbalmente e con i sentimenti di nostalgia la speranza di poter ritornare nell'antico territorio di nascita come popolo (Mosè è di circa 13 secoli prima della nascita del Cristianesimo; il re Davide è di quasi 1000 anni av.C.); per cui dopo il crollo per sconfitta alla Prima Guerra Mondiale dell'Impero Ottomano, - che aveva avuto il dominio delle terre palestinesi, chiamate Siria del Sud - , (sorvolo sulla ben nota Dichiarazione Balfour, pur importante per capire la storia successiva) l'acquisto di terre palestinesi da parte di Ebrei durante il Mandato Britannico fu un fatto perfettamente legale, dichiarato tale a denti stretti perfino dall'antisemita imam egiziano Amin Al Husseini, capo religioso islamico dell'università religiosa del Cairo ( e amico di Hitler); un popolo schiavo degli altri per duemila anni riesce dopo fatiche e strazi inenarrabili (si pensi alle stragi scientifiche naziste) a comprarsi a carissimo prezzo pezzi di terra dell'antica patria, e con immenso sacrificio e fatica dissoda le terre incolte e le rende fruttifere, per amore di libertà e senso di felicità verso l'antica patria perduta (cfr Nabucco di Verdi) e in via di riconquista di diritto; cosa c'è in questo di colonialistico e oppressivo ? questo "ishuv" (villaggi e terre acquistate da Ebrei e abitate da coloni ebrei) fu visto come pericoloso dall'imam Amin Al Husseini, perchè temeva la formazione di un piccolo stato indipendente ebraico; per cui gli Arabi aizzati da questo criminale fanatico integralista islamico decisero di cacciar via gli Ebrei e di sterminarli, considerandosi i padroni eterni di quelle terre. La scelta del ritorno in Palestina fu fatta alla fine dell''800 dai Congressi Sionistici dei tempi di Herzl, perchè apparve la scelta più sensata e identificativa storico.spirituale e culturale, rispetto alla possibilità di erigere uno Stato altrove, in Uganda, per luna popolazione ebraica discriminata nel mondo (cfr. affare Dreyfus). Uno Stato indipendente per Ebrei nell'antica cara terra, dal momento che il ritorno a Sion fu visto come il più naturale e consono all'antica storia millenaria di popolo; in nessuna altra parte del mondo gli Ebrei avevano ricevuto e guadagnato il diritto di farlo. Lo Stato Ebraico fu dichiarato nel '48 perchè non vi furono le premesse per la costruzione di un solidale Stato Federale Israelo-Palestinese. La creazione di uno Stato come entità giuridico-politico.economica fu l'unico modo per essere indipendenti come Ebrei e non più essere soggetti alla schiavitù delle leggi islamiche ("dhimmitudine") o alle stelle gialle del MedioEvo cristiano, riprese poi dalle legislazioni antisemite cristiane cattoliche, e successivamente anche post-luterane protestantiche, e infinedai Tedeschi nazionalsocialisti che seppero sfruttare il vecchio antisemitismo cristiano, cattolico e protestante mai scomparso.
Per tutto questo, lo Stato d'Israele degli Ebrei rispose a una necessità storica oggettiva di difesa concreta ebraica dalle leggi islamiche oppressive e discriminatorie attuate nei confronti della popolazione ebraica nei secoli, per legislazione coranica ("dhimmitudine").-.
Se non si tiene conto di tutto questo, lo Stato d'Israele non potrà esser mai compreso nelle sue ragioni.
La mentalità palestinese ed araba in generale non tiene conto di questi importanti precedenti storici perchè esalta le leggi coraniche come un divino assoluto incontrovertibile ed insuperabile. E contro questa mentalità che non tiene conto della realtà antica e presente del popolo ebraico che gli Ebrei son costretti a scontrarsi ogni giorno, contro il pregiudizio storico-culturale per cui la terra palestinese è soltanto palestinese e gli Ebrei degli intrusi e dei violenti, che devono essere messi di nuovo nella condizione di "servi"..
Questa mentalità vetero-islamica ben viva a tutt'oggi (anche presso i numerosi amici dei "palestinisti") è secondo me la principale nemica dei diritti oggettivi della popolazione palestinese, che in realtà si trova strumentalizzata dagli stessi Arabi, ai quali piace continuamente gridare "al ladro sionista!" per mascherare la propria incapacità di riconoscere che il popolo ebraico ha tutto il diritto di possedere legalmente quella terra che era stata ebraica ben prima della nascita di Maometto, popolo ebraico che ha avuto tutto il diritto di tornare a casa dopo secoli di servaggio cristian-islamico comprando le proprie antiche terre, trovate per lo più abbandonate e in rovina, terre acquitrinose e malariche che gli Arabi non avevano mai dissodato con amore per il non cale arabo verso quella terra, vista come semplice appendice della Siria e non terra in qualche modo speciale. Non si capisce perchè per gli Arabi Gerusalemme sia dichiarata "santa", dal momento che essa era sempre stata tale solo per gli Ebrei e che Maometto, che pure agli inizi della sua missione pregava rivolgendosi verso Gerusalemme, in seguito pensò fosse meglio pregare rivolgendosi verso la Mecca, evidentemente ritenuta più santa di Gerusalemme, declassando in questo modo la santità di Gerusalemme, che prima sembra avere intuìto.
Gli errori oggettivi dei governi israeliani verso i Palestinesi nel tempo saranno sempre ricoperti dagli errori ben più madornali mentali e socioculturali e religiosi degli stessi Arabi, quando non riconoscono in alcun modo il diritto al ritorno degli Ebrei nella loro antica casa e non sono disponibili a convivere con loro, con loro che tramite Mosè e i profeti hanno insegnato il monoteismo e la civiltà dell'etica ebraica mosaica allo stesso Maometto.
Quando i Palestinesi e gli Arabi avranno imparato a rispettare i diritti ebraici sulla "Palestina" contesa, allora anche gli Israeliani saranno pronti a dare una mano ai fratelli palestinesi islamici (cosa che già di fatto avviene in vari modi nei territori contesi, perchè la legislazione israeliana tratta in modo civile i Palestinesi israeliani, contrariamente al modo con cui i Palestinesi trattano i cittadini Ebrei, visti come per lo più da eliminare con odio e disprezzo!).

Tutte le Tamimi 17enni palestinesi saranno sempre fuori strada quando accanto alla giusta lotta per i diritti palestinesi imboccheranno senza rendersene conto la vecchia mortale strada dell'odio agli Ebrei in quanto Ebrei, tipico della lettura coranica errata da secoli a questa parte.

Franco Mascolo (Milano)


Franco Matteo Mascolo
La mia conclusione popolare e se volete semplicistica elementare provocatoria sintetica ma essenziale, è: se c'era già la struttura religiosa ebraica di popolo, perchè crearne altre, come han fatto Cristiani e Musulmani?

Gino Quarelo
I cristiani all'inizio erano una fazione, una setta ebraica interna all'ebraismo, poi apertasi ai gentili è diventata completamente altro, nata con l'ebreo Cristo fanatico, esaltato con le sue fisse religiose contrarie ai sadducei, ai farisei e chissà a chi altro. I maomettani sono una mostruosità criminale disumana. Io che sono veneto cresciuto come cristiano cattolico romano e ora divenuto felicemente aidolo, personalmente non ho bisogno di alcuna religione anche se per molti aspetti sento pù umanamente vicina quella ebraica.

Franco Matteo Mascolo
Si legga del prof. David Flusser (z.l.), , insegnante universitario di Ebraismo del Secondo Tempio all'università gerosolimitana di Bar Ilan, scomparso non molti anni fa, il suo ricchissimo libretto "Jesus", in modo da avere un quadro della società in cui Jeshùa operava. Ma chi è poi lei che bacchetta Jeshua e lo chiama fanatico esaltato? questo commento non le fa onore come studioso...

Gino Quarelo
Altri ebrei lo chiamavano blasfemo. Io sono un uomo come lei e come Cristo e mi limito a definire Cristo esaltato e fanatico per taluni aspetti/elementi che emergono delle sue parole, dai suoi atti, dalle sue credenze: il credersi capro espiatorio dell'umanità intera è un elemento caratterizzante il fanatismo e l'esaltazione. Uno che si crede Dio poi! Io sono la via, la verità e la vita.

Franco Matteo Mascolo
lei prende per parole di Jeshua le interpretazioni dei suoi discepoli; io vi leggo invece il contrario, leggendo la Buona Notizia, è l'azione giusta e caritatevole che salva (cfr esempio shoccante del buon abitante di Samaria, considerato un grave eretico dagli Ebrei ortodossi) cioè la compassione verso chi si trovi in grave difficoltà, i sofferenti, i poveri, gli emarginati, i senza diritti, (gli "am ha aretz" il popolo della terra) più che le pratiche ritualistiche che vengano viste come più importanti del levitico amore verso il simile. Lei ha una concezione ancora cattolica di Gesù, per questo non lo può soffrire, perchè egli in realtà non si è caricato dei mali del mondo come un agnello di sacrificio come hanno creduto i suoi seguaci che erano ancora attaccati alla mentalità ebraica dei sacrifici vicari (ricordiamo che gli Ebrei dell'epoca seguendo le antiche usanze primitive tipiche di tutti i popoli antichi credevano che il sacrificio di una bestiola pura significasse un vero atto di pentimento agli occhi del Cielo - cosa già criticata dai Profeti!!!). Jeshua riprende la saggezza dei Neviim secondo i quali soltanto l'azione giusta è davvero gradita al Cielo...!

Gino Quarelo
Bene abbiamo appurato che per lei Cristo è solo un ebreo e non il Dio o idolo dei cristiani.
A me sta bene che Cristo sia solo un ebreo o giudeo, infatti io non credo minimamente, perché assurdo, che sia Dio e quindi io mi limito a esprimere il mio giudizio sul Cristo dei Cristiani.
Sul suo Cristo o sulla sua intepretazione di Gesù Cristo come ebreo e non come Dio o idolo dei cristiani possiamo tranquillamente discuterne.
Io sono un uomo veneto e non ho assolutamente bisogno di Cristo, né come uomo né come Dio o idolo.
Però la mia umanità si umanizza anche attraverso l'umanità altrui e i vari casi umani della storia e quindi anche attraverso il caso dell'ebreo Gesù Cristo con la cui esperienza può essere interessante confrontarsi.

Certo è che l'antisemitismo millenario dei cristiani nasce proprio in seno al mondo ebraico nel conflitto tra ebrei cristiani ed ebrei non cristiani.
Sarebbe assai interessante comprendere per bene questa contrapposizione da cui potrebbe risanarsi il conflitto sanguinoso.

Franco Matteo Mascolo
Non è esatto, gli Ebrei accettanti Jeshua come Masciach e sinceramente fedeli alla Torah erano ben accettati (cfr Atti degli Apostoli, vi erano perfino sacerdoti e farisei tra i seguaci di Rabbi Jeshua)...); non era facile capire la fede di Jeshua che ci insegna a potenziare la scintilla divina in noi in modo da avvicinarci sempre meglio al Padre; Rabbi Jesua era lontanissimo dal sentirsi divino ma insegnava un cammino che portava vicino al divino, il divino in noi da riscoprire e praticare. Nessuna trinità teologica (venuta molto dopo da parte dei Cristiani gentili) o interpretazione del tempo, nata per non perdere di vista il mistero profondo della potenza spirituale di Rabbi Jeshua, ma seppellendo la sua reale ebraicità sotto cumuili di teologia greca, lontana dal semplice credo ebraico ...

Gino Quarelo
Perché uccisero l'ebreo cristiano Stefano?

Franco Matteo Mascolo
Gli integralisti temono sempre le novità spirituali e Stefano poteva essere più diplomatico (almeno leggendo gli Atti); Simone Pietro non fu ucciso, nè con le pietre, nè con altro, evidentemente insieme ai principali seguaci sapeva distinguere la verità, accettando sia la Torah sia l'annuncio del Rabbi visto come annunciatore messianico supremo; fu ucciso secondo la tradizione dai Gentili al potere a Roma, perché evidentemente il nuovo movimento ebraico era visto come una guerra silenziosa al potere romano


Certo è che il suo Gesù Cristo non coincide con quello dei cristiani di tutto il mondo.
E ciò è un problema sia per gli ebrei, sia per i cristiani sia per l'umanità intera che è coinvolta direttamente o per riflesso da questa conflittualità per ora insanabile.



https://it.wikipedia.org/wiki/David_Flusser



La Birkat Ha Minim è la dodicesima benedizione dell'Amidah.

https://it.wikipedia.org/wiki/Birkat_Ha_Minim

Secondo il Talmud questa formula fu redatta da Samuele il giovane secondo le indicazioni di Gamaliele II, il capo del Sinedrio dal 70 d.C., e si traduce con:

« Per i calunniatori e per gli eretici non vi sia speranza, tutti si perdano presto, tutti i Tuoi nemici vadano in rovina repentinamente. Tu li annichilirai ai nostri giorni. Benedetto sii Tu o Signore che spezzi gli avversari ed umili i reprobi »
La Ha Minim e i rapporti tra ebrei e cristiani

La Ha Minim nella forma attuale è quella presente nel Talmud Babilonese. Una versione primitiva della benedizione nella liturgia sinagogale è stata ritrovata in un frammento della Ghenizah del Cairo (Egitto)[2] ed aveva forma significativamente diversa: "Che per gli apostati non ci sia speranza; sradica prontamente ai nostri giorni il regno dell'orgoglio; e periscano in un istante i nozrim e i minim; siano cancellati dal libro dei viventi e con i giusti non siano iscritti. Benedetto sei tu che pieghi i superbi." Come si può notare, accanto ai minim (eretici o dissidenti) si impreca contro i nozrim, i nazareni, cioè i seguaci di Gesù di Nazareth, a cui venne comminata la scomunica poiché, pur pretendendo di rimanere dentro la sinagoga, la dividevano nella fede, proteggevano i "gentili", soprattutto i romani, e distruggevano il principio dogmatico della habdàlàh ossia la separazione tra circoncisi e non[3]. La comunità giudeo-cristiana frequentava infatti il Tempio e le sinagoghe.

L'introduzione nella "Tefillah" (=preghiera) di una preghiera aggiuntiva (nella numerazione antica era la diciannovesima "benedizione"), due decenni dopo la distruzione del Tempio, sembra essere stata fatta proprio come maledizione contro la setta eretica dei giudeo-cristiani, sia per tenerli lontani dalla sinagoga, sia per proclamare formalmente la rottura definitiva tra le due religioni. Questa ipotesi è stata già formulata nel Medioevo da Maimonide e ripresa ai nostri giorni dal rabbino americano J. Petuchowski[4].

Preghiere ebraiche contro gli ebrei convertiti al cristianesimo sono menzionate anche da Giustino[5], Girolamo[6] e Epifanio di Salamina[7]. Altri studiosi, però, ritengono che la menzione dei Nazareni non sia originaria, ma sia stata aggiunta successivamente, senza riuscire tuttavia a precisare quando. La sostanza, tuttavia, non cambierebbe, in quanto i cristiani sarebbero stati implicitamente compresi fra gli eretici (i "minim").



Perché gli ebrei non hanno creduto a l'ebreo Cristo
viewtopic.php?f=197&t=2715
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Messaggioda Berto » mar apr 03, 2018 5:20 am

ONU - UNESCO e altri FAO - UNICEF (no grazie!) - e Facebook ?
Mito e organizzazioni parassitarie e criminali che non promuovono affatto i diritti umani, le libertà, il rispetto e la fraternità tra gli uomini, le genti, i popoli, le etnie, le nazioni, gli stati.
viewtopic.php?f=205&t=2404



Unesco, gli Usa lasciano l'organizzazione: "Ha persistenti pregiudizi contro Israele" Netanyahu: "Anche noi pronti a uscire"
di F. Q. | 12 ottobre 2017

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/10 ... le/3909895

Gli Stati Uniti lasciano l’Unesco. “Mi rammarico profondamente per la decisione, di cui ho ricevuto notifica ufficiale con una lettera del segretario di stato americano, Rex Tillerson“, si legge in un comunicato di Irina Bokova, direttrice generale dell’agenzia delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, cui nel 2011 Washington aveva sospeso i finanziamenti in seguito al riconoscimento della Palestina come membro dell’organizzazione. La decisione “non è stata presa a cuor leggero – si legge in un comunicato del Dipartimento di Stato – e riflette le preoccupazioni degli Stati Uniti per il crescente arretramento dell’Unesco, per la necessità di una fondamentale riforma dell’organizzazione e per i suoi persistenti pregiudizi anti-Israele“.

La decisione entrerà in vigore il 31 dicembre 2018, prosegue il dipartimento di Stato, aggiungendo che gli Usa intendono diventare poi un osservatore permanente della missione per “contribuire alle visioni, prospettive e competenze americane su alcune delle importanti questioni affrontate dall’organizzazione inclusa la tutela del patrimonio dell’umanità, la difesa della libertà di stampa e la promozione della collaborazione scientifica e dell’educazione”.

“La decisione del presidente Trump è coraggiosa e morale, perché l’Unesco è diventato un teatro dell’assurdo e perché piuttosto che preservare la storia la distorce”, ha commentato il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu. Che, in qualità di ministro degli affari esteri, ha dato istruzioni di “preparare l’uscita di Israele dall’Unesco in parallelo con gli Usa”. “La decisione di oggi è un punto d’inflessione per l’Unesco – ha affermato il governo israeliano – le assurde e vergognose risoluzioni dell’organizzazione contro Israele hanno conseguenze”, “oggi è un nuovo giorno alle Nazioni unite, dove c’è un prezzo da pagare per la discriminazione” del Paese.

A pesare sulla decisione di Washington le recenti risoluzioni adottate sulla questione israelo-palestinese incluse quella sulla città di Hebron, in Cisgiordania, dichiarata parte del patrimonio storico palestinese, e l’altra sulla Città Vecchia di Gerusalemme. Ma la decisione, la rivista Foreign Policy, sarebbe legata anche alla somma – circa 500 milioni di dollari – che gli Usa devono all’Unesco da quando hanno sospeso l’erogazione dei fondi annuali. Per l’organismo internazionale, il ritiro di Washington è stato un duro colpo finanziario, tanto che durante la gestione di Irina Bokova si è reso necessario un drastico taglio degli effettivi. Da soli gli Usa rappresentavano il 20% del bilancio dell’Unesco. Senza contare la ritorsione del Giappone, il secondo finanziatore più importante, che ha rifiutato di pagare la sua quota 2016 in seguito all’iscrizione, nel 2015, nel registro della memoria mondiale, del Massacro di Nankin, perpetrato dall’esercito imperiale giapponese nel 1937.

Intanto a Parigi si sta votando in questi giorni per eleggere il nuovo direttore generale. Per ora sono rimasti in lizza due soli candidati che sono pari a livello di preferenze: l’ex ministro della cultura francese Audrey Azoulay e il suo omologo del Qatar Hamad Bin Abdulaziz Al-Kawari su cui Israele ha già espresso le proprie preoccupazioni. Dal 1945, la poltrona di leader dell’organizzazione è stata occupata da europei, americani, un asiatico e un africano, e ora i Paesi arabi ritengono che sia arrivato il loro turno, tanto da schierare quattro pretendenti in lizza: oltre a Qatar ed Egitto, anche Libano e Iraq, che però alla fine ha ritirato la sua candidatura.


«Organizzazione anti israeliana» Gli Usa abbandonano l’Unesco
Milano, 12 ottobre 2017

http://www.corriere.it/esteri/17_ottobr ... 9b29.shtml

La delegazione ufficiale sarà sostituita da osservatori. Alla base della decisione americana la questione delle ripetute mozioni contro Gerusalemme sui luoghi sacri a ebrei, cristiani e musulmani definiti «patrimonio esclusivo dell’Islam». Anche Israele lascia

Gli Stati Uniti si sono ritirati dall’Unesco. La decisione è stata motivata accusando l’organizzazione dell’Onu basata a Parigi di «inclinazioni anti israeliane». Washington - ha affermato la portavoce del Dipartimento di Stato americano, Heather Nauert - sostituirà la propria rappresentanza attuale con una «missione di osservatori». La decisione è stata comunicata dal segretario di Stato Rex Tillerson alla direttrice generale dell’Unesco, Irina Bokova. Quest’ultima ha espresso “grande rammarico». E£ dopo Washington anche il governo Israeliano ha annunciato che lascerà l’organizzazione: lo ha confermato in serata il premier benjamin Netanyhau.


La questione di Gerusalemme

A spingere Washington alla clamorosa mossa sono state alcune decisioni recenti dell’organizzazione legata all’Onu. In particolare la risoluzione con la quale nel luglio scorso ha negato la sovranità di Israele sulla città di Gerusalemme vecchia e Gerusalemme est. In un vertice tenutosi a Cracovia l’Unesco aveva dichiarato che Israele è una «potenza occupante» sottolineato che i luoghi sacri per le religioni cristiana, ebraica e musulmana sono «patrimonio esclusivo dell’Islam». In precedenza era stato negato il legame culturale tra Israele e il Muro del Pianto. Sempre a Cracovia era stato riconosciuto quale «patrimonio dell’umanità» il sito della tomba dei Patriarchi a Hebron, definito tuttavia «sito palestinese». Decisione che il premier israeliano benjamin Netanyahu aveva definito «surreale».


Niente soldi dal 2011

Gli Stati Uniti avevano smesso di finanziare l’Unesco dopo la sua decisione di includere la Palestina come membro nel 2011, ma avevano mantenuto un ufficio nel quartier generale dell’agenzia a Parigi, per cercare di continuare ad avere un peso politico sulle decisioni. «La decisione non e’ stata presa alla leggera», si legge in una nota del dipartimento di Stato, in cui si cita anche «la necessita’ di una fondamentale riforma» dell’agenzia. Pur uscendo dall’Unesco, gli Stati Uniti intendono continuare a lavorare con l’agenzia in qualita’ di «osservatore non membro», in modo da fornire «il punto di vista e l’esperienza americana».


La leadership del Qatar

Va aggiunto che il favorito per l’incaricato di nuovo segretario generale dell’Unesco e’ il qatariota Hamad Bin Abdulaziz Al Kawari, primo con 19 voti al secondo turno delle votazioni, davanti all’ex ministro della Cultura francese Audrey Azoulay, secondo con 13 voti, e all’attivista egiziana Moushira Khattab, terza con 12 voti (che gode del sostegno di Arabia Saudita ed Emirati arabi uniti). Il Simon Wiesenthal Center con sede a Los Angeles ha accusato apertamente l’ex ministro della Cultura di Doha di antisemitismo. Il Qatar ha peraltro avuto un ruolo decisivo nelle ultime risoluzioni dell’Unesco che negano il legame ebraico con Gerusalemme ed Hebron. I candidati alla guida dell’Unesco devono ottenere il 50 per cento dei voti per sostituire la bulgara Irina Bokova: in mancanza del quorum, a partire da domani si procedera’ a maggioranza.



SULL'UNESCO TROPPE DISTRAZIONI
di Paolo Mieli, Corriere della Sera

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

La decisione statunitense di lasciare, entro la fine del 2018, l’Unesco (che non finanziavano più già dal 2011), a causa della sua comprovata ostilità allo Stato di Israele, non è manifestamente impropria e sarà utile, si spera, a puntare un riflettore sull’inesorabile deriva presa negli ultimi decenni dall’agenzia culturale delle Nazioni Unite. A partire dal 2019 gli Stati Uniti resteranno a Parigi dove ha sede l’Unesco come «osservatori», sia pure da «non membri». È una decisione presa in extremis, appena un attimo prima che sia nominato il nuovo direttore generale dell’Unesco stessa. Un esponente politico del Qatar, Hamad bin Abdulaziz Kawari, al primo provvisorio voto per l’importante incarico, ha ottenuto il maggior numero di suffragi. E il Qatar — ricordiamolo — è da tempo identificato come uno dei quattro o cinque Paesi al mondo più inclini ad alimentare il fondamentalismo islamico. In Italia questo problema è poco avvertito ed è ipotizzabile che all’origine della nostra distrazione sia la generosità con la quale l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani si è sempre mostrato disponibile a investire nel nostro Paese. L’indulgenza italiana nei confronti del Qatar è iniziata ai tempi del governo presieduto da Mario Monti: l’economia — per usare un eufemismo — andava male e i soldi dell’emirato, in quel- l’emergenza, furono considerati benvenuti. Vanno inserite in questo quadro una serie di operazioni immobiliari e finanziarie in Italia.

Il Qatar ha acquistato grattacieli a Milano, un bel pezzo di Costa Smeralda, il gruppo Valentino, una parte del gruppo Cremonini, numerosi hotel di lusso. O ltre allo stanziamento di venticinque milioni di euro per la costruzione di oltre trenta moschee e centri islamici nel nostro Paese. Ai tempi in cui presidente del Consiglio era Matteo Renzi, l’ex ministro della Cultura del Qatar, il succitato al Kawari, fu ricevuto dal ministro dell’Istruzione Stefania Giannini per un accordo con l’università romana di Tor Vergata che gli conferì una laurea «honoris causa» (concessa in maniera assai affrettata, tra i mugugni degli accademici più sensibili al decoro del loro ateneo). Un anno fa Kawari incontrò di nuovo Stefania Giannini e stavolta anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan assieme a quello della Cultura Dario Franceschini. Quest’«operazione simpatia» (accompagnata dalla promessa di nuove generose elargizioni) ha fatto sì che l’Italia lo abbia sempre appoggiato per l’elezione a Direttore generale dell’Unesco come successore dell’attuale direttrice, la bulgara Irina Bokova. Shimon Samuels, direttore del Centro Wiesenthal, a questo punto ha ricordato alla distratta Italia e agli altri sponsor del discusso uomo politico che fu proprio Kawari a far designare nel 2010 — sempre dall’Unesco — Doha «capitale della cultura araba»: dopodiché nella fiera internazionale del libro della principale città del Qatar furono esposti ben trentacinque titoli antisemiti tra cui nove edizioni dei Protocolli dei Savi di Sion e quattro del Mein Kampf . Kawari — come proprio ieri ha ricordato sul Foglio Giulio Meotti — ha per di più curato (firmandone la prefazione) Jerusalem in the Eyes of the Poets . Un libro che — avvalendosi di una testimonianza di Roger Garaudy, l’ex comunista francese convertito all’islamismo più radicale — denuncia il «controllo degli ebrei» (sottolineiamo: qui si parla di ebrei, non di israeliani) su media e case editrici degli Stati Uniti. Quanto a Israele, il volume prefato da Kawari stabilisce che lo Stato ebraico «è responsabile per la guerra civile in Libano, per la prima e la seconda Guerra del golfo, per l’invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan, per il caos in Sudan e in Egitto» .
Ma come è possibile che personaggi del genere siano anche solo presi in considerazione per guidare l’Unesco? La risposta è sempre la stessa. Il Qatar ha «donato» all’Unesco dieci milioni di dollari (non è il solo: l’Arabia Saudita ne regalò venti e il re Abdullah fu immediatamente insignito della medaglia per «la cultura del dialogo e della pace»). Per quel che riguarda l’Italia, poi, dobbiamo considerarci recidivi in questo genere di impresa: in passato sostenemmo la nomina a quello stesso incarico del-l’esponente egiziano Farouk Hosni. Hosni poi saltò allorché vennero rese note alcune sue prese di posizione inequivocabilmente antiebraiche (tra l’altro come ministro della Cultura si era detto disponibile a bruciare «di persona» libri israeliani nel caso qualcuno avesse pensato di introdurli nella biblioteca di Alessandria e aveva fatto bandire dalle sale cinematografiche il film «Schindler’s List»).

Può bastare? No. C’è un problema specifico tra Unesco e Israele. Esattamente un anno fa l’Unesco ha approvato una mozione in cui il Muro del Pianto non veniva più identificata con il nome ebraico «Kotel» ma con quello arabo «al Burak». A un tempo la Spianata delle moschee di Gerusalemme considerata sacra sia dai musulmani che dagli ebrei veniva chiamata solo con il nome islamico Al Haram Al Sharif. Ne è venuta fuori una tempesta intercontinentale. Persino la Bokova, protestò: «L’eredità di Gerusalemme è indivisibile, e ciascuna delle sue comunità ha diritto al riconoscimento esplicito della sua storia e del rapporto con la città», disse. Anche l’Italia, che al momento del voto su questa imbarazzante risoluzione si era astenuta, fu costretta a rivedere le proprie posizioni. Si dirà: sono controversie che hanno origini recenti e hanno colto i nostri governi impreparati. Non è così. La guerra dell’Unesco contro Israele iniziò nel 1974 quando lo Stato ebraico fu cacciato (per poi essere riammesso due anni dopo) dall’agenzia, all’epoca guidata dal senegalese Amadhou Mahtar M’Bow. E raggiunse l’apice l’anno passato quando, assieme alla non riconducibilità a Israele del Muro del Pianto, in una riunione a Cracovia, l’Unesco definì Israele «potenza occupante» e la Tomba dei Patriarchi di Hebron un sito «palestinese». Qualcuno sosterrà adesso che la decisione americana di rompere con l’agenzia per la cultura delle Nazioni Unite è stata precipitosa. Non è così. Forse servirà, anzi, a impedire all’ultimo minuto utile che l’uomo politico qatariota sia chiamato a guidare l’organizzazione che per conto delle Nazioni Unite dovrà valutare i danni arrecati da Daesh a Palmira senza ricondurne, per qualche via tortuosa, la responsabilità allo Stato ebraico.



All'UNESCO COMANDANO I CARNEFICI DI LIU XIABO, ASIA BIBI, E DEI DISSIDENTI IRANIANI

di Giulio Meotti, Il Foglio

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Scossa dall’uscita annunciata di Stati Uniti e Israele, l’Unesco si prepara ad accogliere il nuovo segretario generale, l’ex ministro della Cultura francese, Audrey Azoulay, eletta venerdì sera. La crisi con l’America e lo stato ebraico si è consumata stavolta sui “pregiudizi anti israeliani” palesi da parte dell’agenzia dell’Onu per la cultura, l’educazione e la scienza (le risoluzioni antisemite su Gerusalemme e Hebron). Ma c’è di più. C’è che nel board esecutivo dell’Unesco, l’autogoverno dell’agenzia, siedono alcuni dei regimi più oppressivi della terra per la cultura.

C’è il Libano, che ha appena arrestato il regista Ziad Doueiri all’aeroporto di Beirut di ritorno dalla mostra del cinema di Venezia. Doueiri è stato accusato di “collaborazionismo con Israele” per aver girato alcune scene nello stato ebraico. C’è la Cina, che ha appena lasciato morire in carcere Liu Xiaobo, lo scrittore e premio Nobel, l’autore di Carta 08, manifesto per la democrazia in Cina, condannato a undici anni di detenzione per “istigazione alla sovversione”, passato anche dai campi di rieducazione al lavoro. La morte in carcere di un poeta ha riportato alla memoria il terribile Novecento di Osip Mandel’stam, Isaak Babel e Dietrich Bonhoeffer.

All’Unesco c’è l’Iran, dove Rahim Safavi, capo dei pasdaran della Repubblica islamica, aveva promesso: “Dovremo tagliare la gola a qualcuno e la lingua a qualche altro”. La Repubblica islamica è oggi la più grande persecutrice al mondo di scrittori, poeti, editori. Come il poeta Said Sultanpour, rapito il giorno del matrimonio del figlio e ucciso in prigione a Teheran. L’Iran di Siamak Pourzand, che si è gettato dal sesto piano della sua abitazione a Teheran. Era uno scrittore e un decano del giornalismo iraniano, accusato di aver dichiarato la “guerra contro Dio” e di “consumo di vino”. Scriveva per la rivista francese di critica cinematografica Cahiers du Cinéma. C’è l’Algeria, dove gli imam sono liberi di condannare a morte scrittori come Kamel Daoud. Ci sono paesi, come Camerun, Ciad, Oman, Sudan e Uganda, dove scrittori, poeti e giornalisti sono gettati in carcere e perseguitati soltanto per sillabare qualcosa di ironico sui regimi al potere, dove non esiste libertà editoriale, accademica, letteraria. C’è il Pakistan, il paese dove una donna cristiana, Asia Bibi, sconta in carcere la propria condanna a morte da viva, “rea” di blasfemia, con la famiglia che si nasconde, l’avvocato minacciato di morte, governatori e ministri uccisi perché intervenuti a sua difesa. C’è l’Egitto, dove scrittori come Ahmed Naji, l’autore del romanzo “Using life”, sono arrestati e imprigionati per “oscenità”, per aver descritto la vita sessuale degli egiziani. C’è il Qatar, dove il poeta Rashid al Ajami ha scontato tre anni di prigione per aver composto una poesia critica del sovrano, l’emiro al Thani.

Negli anni Ottanta, Stati Uniti e Inghilterra uscirono dall’Unesco di fronte al grottesco più assurdo propugnato dall’Unione sovietica e dai suoi alleati. Mosca era riuscita a imporre all’ordine del giorno un orwelliano “nuovo ordinamento mondiale dell’informazione e della comunicazione”, in cui l’Unesco propugnò il filtraggio delle notizie attraverso Minculpop nazionali, discriminando fra le notizie “utili” ai cittadini e quelle “nocive”. Trent’anni dopo, le satrapie africani e mediorientali sono riuscite a impossessarsi a loro volta della cittadella della cultura, usando la propria posizione per mettere a tacere le critiche ai propri regimi e ideologie, comuniste e islamiste. Nell’emiciclo di Place de Fontenoy, dove c’è la sede dell’Unesco a Parigi, costruita da Pier Luigi Nervi con gli affreschi di Pablo Picasso, oggi comandano i carnefici della cultura.
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Rasixmo,rasisti contro łi ebrei e Ixraele i crimini de l'ONU

Messaggioda Berto » mar apr 03, 2018 5:24 am

ONU - UNESCO e altri FAO - UNICEF (no grazie!) - e Facebook ?
Mito e organizzazioni parassitarie e criminali che non promuovono affatto i diritti umani, le libertà, il rispetto e la fraternità tra gli uomini, le genti, i popoli, le etnie, le nazioni, gli stati.
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L’Unesco e Gerusalemme una ferita per l’umanità

Giuseppe Laras
Milano, 19 ottobre 2016

http://www.corriere.it/cultura/16_ottob ... 7d1f.shtml

Se si può negare il riferimento specifico del Monte del Tempio all’ebraismo, si può negare tutto, radicalmente, e cancellare, dopo la storia e le sue evidenze, gli esseri umani

Infamie e verità negate. Riguardo alle delibere Unesco e Onu sull’importanza di Gerusalemme per ebraismo, cristianesimo e islam, si vorrebbe pensar bene. Invece, circa il Monte del Tempio, i nomi appaiono solo in arabo e la pregnanza spirituale riconosciuta è solo islamica. Inoltre, compaiono riferimenti unilaterali alle violenze da parte ebraica, senza menzione alcuna circa i terroristi islamici e le efferatezze di cui, da sempre, sono vittime gli israeliani. Uno sguardo, infine, ai Paesi firmatari, per lo più islamici, molti dei quali non democratici, almeno per come è inteso in Occidente tale aggettivo; Paesi in cui è sconsigliabile e pericoloso appartenere a minoranze religiose (pena sottomissione o persecuzione), essere donna o gay.

La domanda è semplice: il Monte del Tempio è un sito solo islamico? Il muftì di Al-Aqsa, M. A. Hussein, sostiene addirittura che non sia mai esistito alcun Santuario sul Monte del Tempio, ma solo una moschea. Da sempre! E così, nella dichiarazione Onu-Unesco, la passata e presente memoria ebraica del Tempio scompare, nonostante Salomone, Erode, l’ebreo Gesù di Nazareth che vi pregò e i Romani che lo distrussero; nonostante migliaia di ebrei abbiano nei secoli successivi, non appena veniva concesso loro, continuato a recarvisi e a pregarvi; nonostante Karl Marx si sia lamentato per come i musulmani colà affliggessero gli ebrei; nonostante Freud, Einstein, Wiesel, Levinas, Buber e tanti altri (in teoria molto amati dagli occidentali); nonostante Shimon Peres, per cui i governanti italiani hanno versato lacrimucce. Meno male che, prima che della pace, Peres si preoccupò della sicurezza di Israele! La preghiera alla Spianata è riservata ai musulmani, che l’hanno interdetta a cristiani ed ebrei (a differenza del Muro, accessibile a chiunque). Perché alcuni ebrei potessero pregarvi, è stato necessario proteggerli con l’impiego di militari. Assieme ai check-point per contenere gli attentati e agli studi biblico-archeologici in loco, che — quale stranezza! — rinvengono reperti della storia ebraica, questi sarebbero i crimini degli israeliani controllanti il sito. E che dire del luogo (Hebron) ove sono sepolti Abramo, Isacco e Giacobbe — i Patriarchi del Popolo Ebraico — , definito con nomenclature solo islamiche?

Dietro alla clamorosa infamia politico-ideologica perpetrata, dimora un assunto teologico che i Paesi musulmani firmatari non dichiarano: secondo la loro tradizione religiosa, Abramo avrebbe legato sul Monte Moriah Ismaele e non Isacco, e la Bibbia, alterata a loro avviso dagli ebrei, risulterebbe falsa e ogni pretesa ebraica, dunque, illegittima. La Bibbia precede di secoli il Corano e la storia ebraica e cristiana, come pure ellenistica, romana e bizantina, narra ben altri fatti, comprovati peraltro da testimonianze archeologiche e filologiche. Per il muftì, invece, c’è la moschea dall’origine del mondo! Questo è il cul de sac in cui ci troviamo: la necessità di garantire degna libertà di culto a tutti e drammatiche omissioni più chiare di mille parole, almeno per chi sa leggerle.

A peggiorare le cose, ecco i Paesi Europei — Italia inclusa — , con la loro morale astensionistica (anzi anti-sionistica!), con cittadini musulmani da ingraziarsi più numerosi degli ebrei, con i ricatti economici dei Paesi islamici e, prima di tutto, con un’assordante pusillanimità culturale e morale. E i cristiani europei, i loro rappresentanti e le loro forze politiche dove sono? È nobile e doveroso l’impegno per la pace — che noi ebrei condividiamo — . Ne consegue che è parimenti nobile e doveroso affrontare il reale con le sue difficoltà e spigolature: tacere sulla santità e significanza del Monte del Tempio per gli ebrei, è tacerlo anche in relazione al cristianesimo. Anzi, negando agli uni ciò, lo si nega ai secondi, facendone rovinare a terra l’edificio religioso e simbolico. Ma anche da questi pulpiti silenzi e buonismo imperante. Dissimulato marcionismo di ritorno? Devo dedurre che il dialogo ebraico-cristiano è stato ed è una farsa?

La storia attesta che, quando dominata da cristiani o musulmani, Gerusalemme spesso risultò inaccessibile ai due restanti monoteismi. Pur con difficoltà e limiti, è divenuta città accogliente qualunque pellegrino (come pure chi non ha fede) solo da quando c’è lo Stato di Israele, e questo è un dato incontrovertibile. Se si può negare il riferimento specifico fondamentale e fondante del Monte del Tempio all’ebraismo e agli ebrei, si può negare tutto, radicalmente, e cancellare, dopo la storia e le sue evidenze, gli esseri umani. Negazionismo sub utraqua specie. E può accadere ovunque e non solo agli ebrei! Israele si conferma necessario e indispensabile freno a tale abominio, ed è doveroso l’appoggio dei Paesi liberi, altrimenti in contraddizione con loro stessi. Infine, se l’Italia non è riuscita a essere ferma su questo (sconfessando Spadolini e altri), mi chiedo come possa essere un credibile «agente di pace» in Medio Oriente. Da superstite della Shoah, da italiano e da ebreo, dinanzi a tale sì vile e infamante astensione, ritengo che, signori politici italiani, alle Giornate della Memoria e della cultura ebraica, dovreste starvene a casa vostra e non nausearci con discorsi melensi e ipocriti, per di più postumi, sconfessati dalle vostre stesse pratiche.




Palestinesi, la leggenda dell'Unesco
Paolo Guzzanti - Sab, 21/10/2017

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 54760.html

Nella seconda metà dell'Ottocento due scrittori che non si conobbero mai, l'americano Mark Twain e l'italiano Edmondo De Amicis (l'autore del libro Cuore) visitarono la Palestina e riferirono quel che avevano visto: una sassaia sterminata e disabitata, con pochi pastori, casematte militari turche che marcavano il territorio di una landa divisa in wilayat (provincie) con minuscole guarnigioni militari, pecore e capre, una terra in cui non viveva né poteva vivere alcun popolo.

A Gerusalemme vivevano ancora molte migliaia di ebrei che non avevano mai abbandonato la loro città che avevano difeso insieme ai musulmani dagli attacchi dei crociati cristiani (???). I palestinesi come popolo non esistevano. Quelli che arrivarono in seguito vennero da Egitto (Arafat era un ingegnere egiziano) Irak, Siria come braccianti agricoli per lavorare nei kibbutz socialisti ebraici su terreni acquistati da alcuni sceicchi e trasformati in fertili campi.

La leggenda di un antico popolo palestinese è falsa e Mark Twain ed Edmondo De Amicis lo testimoniarono quando a nessuno sarebbe passato per la mente di sostenere che Gerusalemme fosse una città nata con l'Islam. Ma è ciò che ha sostenuto quell'associazione per delinquere nella Storia che è l'Unesco e dalla quale l'America di Donald Trump e Israele di Benjamin Netanyahu se ne sono andati sbattendo la porta dopo decenni di sopraffazioni, menzogne e ridicoli «premi Nobel per la pace» e grottesche proclamazioni di «patrimoni dell'umanità».


Alberto Pento
(???) A Gerusalemme vivevano ancora molte migliaia di ebrei che non avevano mai abbandonato la loro città che avevano difeso insieme ai musulmani dagli attacchi dei crociati cristiani (???). Qui si dimenticano gli ebrei cristiani di Gerusalemme perseguitati dai mussulmani la cui difesa sta alla base delle prime crociate. Qui si altera il senso della storia.



I GIUDICI CHE GIUDICANO ISRAELE ALL'ONU

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Nikki Haley, l'ambasciatrice USA all'ONU è la scelta più felice fatta da Donald Trump. Da quando è arrivata al palazzo di Vetro, l'ex governatrice del Sud Carolina ha subito suonato uno spartito diverso rispetto a quello precedente evidenziando ciò che tutti sanno, che l'ONU è, dal 1967 in avanti una catena di montaggio di risoluzioni contro Israele.

Nessuno altro stato gode di questo privilegio.

In un recente studio pubblicato su The Wall Street Journal, a proposito della questione dei cosiddetti teritori "occupati", Eugene Kontorovich Kontorovich e Penny Grunseid hanno escritto:

“La nostra ricerca mostra che l’ONU usa una retorica e un insieme di concetti legali interamente diversi quando si occupa di Israele paragonato ad altre situazioni di occupazione o di insediamenti a livello mondiale. Per esempio, il riferimento a Israele come “potenza occupante” ricorre 530 volte nelle risoluzioni dell’Assemblea Generale. Tuttavia, in sette istanze maggiori di prolungata occupazione militare, presenti e passate, l’Indonesia a Timor Est, la Turchia nel nord di Cipro, la Russia in aree della Georgia, il Marocco nel Sahara occidentale, il Vietnam in Cambogia, l’Armenia in aree dell’Azerbaijan e la Russia nella Crimea ucraina, il numero è pari a zero. L’ONU non ha definito nessuno di questi paesi una “potenza occupante”. Nemmeno una volta. La situazione è andata peggiorando. Dal 1967, le risoluzioni dell’Assemblea Generale si sono riferite ai territori tenuti da Israele come “occupati” 2,342 volte, mentre i territori menzionati sopra sono definiti “occupati” appena 16 volte complessivamente. Il termine appare nel 90% delle risoluzioni relative a Israele, e soltanto il 14% nel numero assai minore di risoluzioni relative a tutte le altre situazioni, una differenza che supera notevolmente la soglia della significanza statistica. Allo stesso modo, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, si riferiscono ai territori disputati nel conflitto arabo-israeliano come “occupati” 31 volte ma solo un totale di cinque volte in riferimento a tutti gli altri sette conflitti accorpati”.

Nikki Haley, in un recente discorso, ha ribadito che se il Consiglio per i Diritti Umani dell'ONU, il quale nelle sue riunioni pone sempre come elemento di discussione l'Articolo 7, che riguarda espressamente la situazione in Cisgiordania, non rimuoverà l'articolo nel contesto di una riforma generale, gli USA lo abbandoneranno.

La farsa del Consiglio per i Diritti umani dell'ONU sta in alcuni degli stati membri che lo compongono, il cui pedigree di violazioni dei medesimi dovrebbe inibirgli di fatto di farne parte: Venezuela, Arabia Saudita, Cuba, Egitto, Cina. Burundi, Emirati arabi, Ruwanda.

Ma così non è.

Dore Gold, l'ex ambasciatore di Israele alle Nazioni Unite scrive:

“Il principale organismo dell’ONU relativo ai diritti umani, la Commissione per i Diritti Umani, venne fondata dopo la Seconda Guerra Mondiale e presieduta da nei suoi primi tempi da Eleanor Roosevelt, ma nel 2003 le Nazioni Unite elessero la Libia di Muammar Gheddafi, sponsor del terrorismo e prevaricatrice di diritti umani, a presiedere l’organismo. Fu un segnale eloquente della bancarotta della commissione la quale era rimasta in silenzio a proposito dei campi di sterminio cambogiani, degli assalti cinesi contro i manifestanti a Piazza Tienanmen, e degli omicidi di massa perpetrati in Uganda da Idi Amin. Vi fu altrettanto stupore quando, poche settimane dopo l’11 settembre, la Siria, uno dei principali stati sponsorizzatori del terrorismo internazionale, venne eletta al Consiglio di Sicurezza dell’ONU per un periodo biennale”.

Immaginiamoci una commissione sulla pedofilia presieduta tra gli altri membri, anche da membri pedofili, o una commissione sul narcotraffico, presieduta anche da narcotrafficanti, e avremo una buona analogia con la Commissione per i Diritti Umani dell'ONU.

Nemmeno il genio satirico di Aristofane poteva immaginare uno stato come il Venezuela o come Cuba che stigmatizzano Israele per violazione dei diritti umani.



L'Onu e i suoi fallimentari 70 anni (Auguri)
di Giulio Meotti
2015/09/21

http://www.ilfoglio.it/gli-inserti-del- ... guri-87706

Ci sono quaranta paesi produttori di vino in tutto il mondo. Chi volesse trovarli tutti sulla stessa carta, dai rossi italiani alle cantine di Samarcanda, deve riservare un tavolo alla Delegates Dining Room delle Nazioni Unite. Oggi è uno dei migliori ristoranti di New York. Dopo aver superato il controllo di sicurezza, da lì si potrà godere della vista spettacolare sull’East River e su Queens e gustare una cena per la modica cifra di 34 dollari. Se sei in compagnia di un dipendente dell’Onu puoi anche parcheggiare illegalmente nei dintorni, tanto le multe non le paghi e sfrutti lo status diplomatico. Oriana Fallaci non aveva messo piede in quel ristorante quando definì l’Onu “una banda di mangia-a-ufo, una mafia di imbroglioni che ci menano per il naso”. Neppure il segretario generale Kurt Waldheim ci aveva messo piede quando ebbe l’ardire di definire l’Onu “un parco buoi dove relegare ex amici e protetti che non servono più”. Ci avevano entrambi visto giusto.

“Immaginate una terra afflitta da inefficienza, burocrazia kafkiana e miasmi di corruzione” ha scritto Stephen Halper sul Wall Street Journal. “L’immaginazione non è necessaria, siete alle Nazioni Unite. Stipendi incredibilmente lucrativi vengono pagati presso la sede di New York, dove il salario medio di un ragioniere è di 84 mila dollari, mentre un ragioniere non dell’Onu ne prende 41 mila. Un analista di computer si aspetta di ricevere 111 mila dollari rispetto ai 56 mila fuori dalle Nazioni Unite. Un assistente del segretario generale riceve 190 mila dollari; il sindaco di New York è pagato 130 mila. I dati però non riflettono appieno la disparità, poiché gli stipendi delle Nazioni Unite sono esentasse”.

Quando la Carta dell’Onu fu firmata nel 1945, Winston Churchill si disse più che soddisfatto, ma annotò nei suoi diari che il tutto gli sembrava “la premessa di una babele”. Chissà cosa avrebbe scritto o pensato se avesse visto, nel 2015, i festeggiamenti per il settantesimo anniversario del Palazzo di vetro. “Settant’anni e mezzo trilione di dollari dopo: che cosa ha raggiunto l’Onu?” si è appena chiesto il Guardian. “Le Nazioni Unite hanno salvato milioni di vite e potenziato sanità e istruzione in tutto il mondo. Ma sono antidemocratiche e molto costose”. Persino troppo generoso il quotidiano inglese.

Due economisti di Harvard, Ilyana Kuziemko e Eric Werker, in un saggio intitolato “Cooperazione e corruzione alle Nazioni Unite” e pubblicato dal Journal of Political Economy, sostengono che i paesi membri dell’Onu cercano ormai l’elezione per un mandato biennale nel massimo organo di governo del mondo non per esercitare influenza sulla sfera internazionale. Lo fanno per la grana. L’assistenza finanziaria degli Stati Uniti ai paesi in via di sviluppo aumenta del 59 per cento quando ottengono un seggio al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Queste stesse nazioni ricevono anche un otto per cento in più di aiuti dalle agenzie della galassia delle Nazioni Unite e in particolar dall’Unicef, l’agenzia per il sostegno all’infanzia. In media il paese in via di sviluppo si aspetta sedici milioni di dollari in più dagli Stati Uniti e l’assistenza aumenta marcatamente in tempi di crisi: a 45 milioni di dollari da Washington e otto milioni di dollari dal Palazzo di vetro.

Per capire cosa siano diventate le Nazioni Unite bisogna dare un’occhiata alla Commissione economica dell’Onu per l’Europa. Questo sconosciuto organismo, che ha sede a Ginevra e si è annidato come un parassita nei meandri della rete burocratica umanitaria, ha pubblicato un rapporto di 44 pagine offrendo una serie di norme sui peperoni rossi e verdi, mettendo in evidenza le caratteristiche del prodotto per i commercianti alimentari “al fine di evitare muffa o scolorimento”. Nessuno, neppure gli stessi dipendenti, ha un’idea di cosa sia l’Onu.

Nella sola Ginevra, le Nazioni Unite hanno tenuto diecimila incontri in un anno, offerto 632 seminari di formazione e tradotto 220 mila pagine di documenti per annuari, report e documenti di lavoro dell’organizzazione. Cosa sia l’Onu lo spiega Jean-Pierre Lehmann, professore di Economia politica internazionale a Losanna, in Svizzera: “L’Onu è stata una terribile delusione rispetto agli ideali con cui è stata creata. Oggi serve come una miniera d’oro per un sistema occupazionale gonfio”. Quella commissione ginevrina ha 220 dipendenti e un budget di cinquanta milioni di dollari. Nessuno sa a cosa servano. Una delle priorità su cui sta lavorando adesso questa indispensabile agenzia dell’Onu è come permettere alle persone con disabilità visive di guidare le auto elettriche.

L’inconsistenza dell’Onu è impressa in tutti i volti dei suoi segretari generali. L’attuale, Ban ki-Moon, che quando venne eletto dieci anni fa si era definito un “bridge builder”, un costruttore di ponti, e un “armonizzatore”, è soprannominato “Ban-chusa”, Ban il burocrate, tanto per dare una vaga idea del suo eroico carattere. Per altri, è “l’uomo invisibile dell’Onu”. Il “successo” più grande di Ban, ironizzano da più parti, è stato la marcia contro il surriscaldamento globale a New York al fianco di Al Gore.

Trygve Halvdan Lie, il primo segretario, era di sinistra e scandinavo. Svedese anche Dag Hammarskjöld, “il signor H” come lo chiamavano per evitare la pronuncia. Anche lui di sinistra, inventò l’espressione “economia pianificata”. Un aristocratico, figlio di un ministro della Giustizia e membro di una famiglia al servizio dei re di Svezia da cinquecento anni. Alto, sguardo glaciale, senso del dovere luterano, il signor H. era anticolonialista al punto da schierare l’Onu a fianco del satrapo egiziano Nasser durante la crisi di Suez. Sithu U Thant, che gli succedette, quando nel 1967 Nasser gli chiese di togliere i Caschi blu che dieci anni prima “il signor H” aveva messo nel Sinai a tutela del diritto israeliano al transito per lo Stretto di Tiran lo fece, obbligando Israele alla guerra preventiva poi passata alla storia come “dei Sei giorni”. Preside di scuola media divenuto giornalista per sostenere l’indipendenza birmana, U Thant era infarcito del pregiudizio antioccidentale del vecchio militante anticolonialista e aveva un bisogno quasi buddhista di mantenersi imparziale. Poi arrivò Kurt Waldheim, uno spilungone austriaco democristiano con un ricattabilissimo passato durante la Seconda guerra mondiale. Memorabile la risoluzione sotto il suo mandato sul “sionismo come razzismo”. Gli succedette il peruviano Javier Pérez de Cuéllar, aplomb da gentiluomo ma quanto a fatti, pochi. Seguito da Boutros Boutros-Ghali, egiziano, aristocratico, una mummia faraonica, e poi dal ghanese Kofi Annan, studi americani e un matrimonio con una svedese della famiglia Wallenberg. Segretari come papi laici e simboli dell’inutilità delle Nazioni Unite.

L’organizzazione per l’infanzia dell’Onu, l’Unicef, ha fornito una formazione e un percorso di vita migliore per milioni di persone, tra cui l’attuale segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che da piccolo studiava in una scuola senza tetto, ultimo di otto fratelli, i genitori contadini che raccoglievano il grano. Programmi di sviluppo delle Nazioni Unite sono stati fondamentali nell’aiutare i paesi appena liberati dal dominio coloniale a governare se stessi. Ma i pochi successi dell’organizzazione non riescono a sopperire al suo vero volto: un covo vergognoso di dittature, una burocrazia paralizzante con i suoi istituzionali insabbiamenti, la corruzione e con le politiche antidemocratiche del suo Consiglio di sicurezza.

La spesa annua delle Nazioni Unite oggi è quaranta volte superiore a quella che era nei primi anni Cinquanta, quando nacque con le migliori intenzioni. L’organizzazione comprende oggi diciassette agenzie specializzate, quattordici fondi e un segretariato con diciassette dipartimenti che impiegano 65 mila persone. E’ la più grande burocrazia del mondo. Il suo bilancio ordinario è più che raddoppiato negli ultimi vent’anni, fino a cinque miliardi e mezzo di dollari. Ma questa è solo una piccola parte della spesa totale.

Il mantenimento della “pace” costa altri nove miliardi all’anno, con i 120 mila uomini delle forze di pace dispiegati soprattutto in Africa. Alcune missioni sono durate più di un decennio. E poi ci sono i contributi volontari dei singoli governi che vanno a finanziare gran parte delle operazioni di soccorso, il lavoro di sviluppo e le agenzie, come l’Unicef. Sono aumentati di sei volte nel corso degli ultimi venticinque anni, fino a trenta miliardi. Senza considerare la Corte penale dell’Aia. Milleduecento persone impiegate all’uopo nella città olandese, un budget annuale di cento milioni di dollari, la seconda spesa dell’Onu dopo quella per le missioni di peacekeeping, per una manciata di processi, qualche appello e tre casi in preparazione. Non esattamente un successo. Human Rights Watch ha accusato l’istituzione di essere “un buen ritiro legale”, più che una effettiva corte penale.

L’Onu è cresciuta così tanto che a volte lavora contro se stessa. I costi del personale rappresentano i due terzi o più delle uscite. Quanto prende il direttore associato di un ufficio delle Nazioni Unite? Il conto lo ha fatto il New York Daily News: 143 mila dollari all’anno, 65 mila dollari di benefit e il rimborso di una parte dei viaggi per tornare nel paese di origine e per l’istruzione dei figli. Per questo Mark Steyn in una memorabile column sul Chicago Sun Times ha definito l’Onu “un jet set umanitario”.

Come ha rivelato una inchiesta dell’ambasciatore Joseph Torsella, il diplomatico americano responsabile per la riforma e il management, nel solo biennio 2010-2011, l’Onu ha speso 575 milioni di dollari in viaggi. Visto che il campus sull’East River dove ha sede il Palazzo di vetro si estende su una superficie di 69 mila metri quadri su cui non cresce un solo albero da frutto o una pianta commestibile, l’Onu ha pensato bene di risolvere il problema del budget per frutta e verdura creando una serie di piccoli orticelli dentro al campus. Pomodori, zucchine, fagiolini, carote e altre verdurine biologiche oggi coltivate nel giardino dell’Onu verranno distribuite tra lo staff o donate a “food banks”. Ci sarebbe da ridere a crepapelle se non fosse tremendamente tragico il livello cui sono scese le Nazioni Unite.

Il Palazzo di vetro a New York, quartier generale delle Nazioni Unite dal 1951 (progetto di Oscar Niemeyer)

“Il concetto stesso di Nazioni Unite era nobile”, dice al Foglio Joseph Olmert, professore di Scienze politiche alla South Carolina University e fratello dell’ex primo ministro israeliano. “Il problema è che non funziona. La Lega delle Nazioni è stata un fiasco miserabile e l’Onu non è da meglio. Senza contare il doppio standard su Israele, che avviene a spese delle vere tragedie del nostro tempo”. “Considero le Nazioni Unite come una istituzione indegna, perché fu fondata per prevenire il genocidio, mentre è rimasta a guardare senza fare niente di fronte alle guerre e ai genocidi in Ruanda e Darfur” incalza al Foglio il padrino del movimento neoconservatore Norman Podhoretz.

“Se non bastasse, l’Onu ha condotto una campagna senza fine per delegittimare Israele, divenendo la principale fonte di antisemitismo nel nostro tempo. Per questa e altre ragioni, il mondo sarebbe un posto migliore se l’Onu non avesse mai visto la luce”.

Dello stesso avviso Yossi Klein Halevi, intellettuale americano che da qualche anno vive in Israele, collaboratore di New Republic e del New York Times, che ci spiega: “E’ oggi routine all’Onu condannare Israele più di qualsiasi altro paese, inclusa Corea del Nord, Iran, Sudan e Siria. L’Onu è una farsa, e un pericolo per il popolo ebraico”.

Caschi blu dell’Onu nell’isola di Haiti dopo le violenze e la cacciata del presidente Aristide

Già, Israele, la grande ossessione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Questo organismo sorge in quella Versailles diplomatica che è Ginevra. Nella città lacustre, la presenza del Palais des Nations è massiccia e incombente nella ricchezza della grande storia, il lusso del passato fastoso, il clamore della retorica pubblica e le migliaia di funzionari arrivati dai cinque continenti che costituiscono una folla pittoresca. Trenta sale per le riunioni, ognuna delle quali con materiali e decorazioni provenienti da questo o quel paese membro. La biblioteca custodisce seicentomila volumi. Il bel parco di ventidue ettari fu donato da una famiglia del patriziato ginevrino, i Revilliod de la Rive. Lo fece a una condizione: che vi si continuassero ad allevare quei pavoni che è facile incontrare, quando ci si aggira per il parco alla ricerca dello spirito di Jean-Jacques Rousseau. Bene, in quel Consiglio è entrato a far parte, tanto per citare un simpaticone democratico, Saeed Mortasavi, il pubblico ministero di Teheran che ha perseguitato scrittori e torturato intellettuali, noto come il “macellaio della stampa”. In passato è successo che la Libia ottenesse la presidenza di questo Consiglio o che l’Arabia Saudita, Cuba e lo Zimbabwe, questi modelli di condotta umanitaria, decidessero quali violazioni fossero da condannare.

Sono loro, le dittature o “stati parzialmente liberi”, forti di una maggioranza di 27 membri su 45, ad aver dato mandato alla commissione di Mary McGowan Davis di accusare Israele di “crimini di guerra” lo scorso giugno (e prima c’era stato il ridicolo Rapporto Goldstone). Come spiega Anne Bayefski, direttrice di Human Rights Voices, “Israele guida ogni anno la lista dei paesi più bersagliati da singole inchieste all’Onu, seguito da Siria, Sudan, Somalia, Iran…”. Si capisce allora perché Foreign Policy parla del bisogno di “riportare i diritti umani dentro al Consiglio per i diritti umani”. Ogni volta che nel Consiglio le democrazie hanno sollevato il problema della sharia e dei crimini commessi in suo nome (lapidazioni, amputazioni, esecuzioni, mutilazioni…) gli ambasciatori dei regimi islamici sono riusciti sempre a insabbiare tutto. Sempre a Ginevra c’è un’altra commissione, quella sulla Tortura, che un anno fa è riuscita a mettere sotto inchiesta il Vaticano per gli abusi sessuali, paragonati a una forma di tortura appunto.

“Le Nazioni Unite sono figlie di Franklin e Eleanor Roosevelt, due naïf che non avevano capito che l’Onu sarebbe diventato strumento di tiranni ed estremisti”, dice al Foglio lo studioso di medio oriente Daniel Pipes. Per dirla con lo storico inglese Paul Johnson, “oggi gli amici dei dittatori sono premiati con questi confortevoli posti a New York”. Solo nove paesi (oltre a Stati Uniti, Giappone, Germania, Regno Unito, Francia, Italia, Canada, Spagna e Cina) contribuiscono per il 75 per cento del budget totale dell’Onu. Ma ormai il Palazzo di vetro è dominato da dittature, oligarchie e satrapie. Non c’è cattivone al mondo che non abbia un posto che conta: Cina, Russia e Yemen hanno la vicepresidenza dell’Assemblea generale; l’Arabia Saudita sta nel comitato per il Disarmo; il Sudan siede nel Legal Committee; Congo e Iran sono membri della commissione sulle Donne; l’Unicef ha come paesi membri Cina, Pakistan e Iran; la commissione per la Prevenzione del crimine ha dentro Bielorussia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi; allo Sviluppo sostenibile ci sono Angola e Libano; al comitato per l’Informazione non potevano mancare Cina, Iran, Kazakistan e Libia.

Il presidente americano Barack Obama ha sempre definito l’Iran “isolato”. Ma all’Onu, Teheran è una rock star. Si è occupato di “diritti femminili” al programma per lo Sviluppo (nel 2009 l’Iran ne è stato presidente), è stato vicepresidente dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, è stato all’ufficio Onu per la Droga e il crimine, nella commissione sulla Prevenzione del crimine e la Giustizia penale, nel board esecutivo dell’Unicef e nella commissione per la Scienza, la Tecnologia e lo Sviluppo e nel “Comitato per l’uso pacifico dello spazio”.

Al Palazzo di vetro i tiranni si distribuiscono anche i premi: il principe saudita Nayef nel 2013 è stato insignito del premio per il suo “lavoro umanitario”; il premio per il “servizio pubblico” è andato al ministero dell’Interno del Libano, nelle mani dei terroristi di Hezbollah; Fidel Castro è stato nominato “eroe mondiale della solidarietà”, il presidente boliviano Evo Morales è “l’eroe mondiale della madre terra” e l’ex presidente della Tanzania, Julius Nyerere, è “l’eroe mondiale della giustizia sociale”. E ci fermiamo qui, per decenza. Il matematico francese Laurent Lafforgue ha commentato che “è come se un Alto consiglio dei diritti dell’uomo decidesse di fare appello ai Khmer rossi per costituire un gruppo di esperti per i diritti umani”.

In tutta la sua storia, il Consiglio di sicurezza si è mosso solo due volte per fermare aggressioni che hanno comportato violazioni di confini nazionali, il tipo di aggressioni, cioè, che statutariamente l’Onu è nata per impedire: in Corea nel 1950 e nel Kuwait fra 1990 e 1991. In entrambi i casi, però, le Nazioni Unite si sono semplicemente rivolte agli Stati Uniti e ai suoi alleati. Nata per prevenire altri genocidi, l’Onu non vanta un bel curriculum: un milione di Tutsi uccisi dagli Hutu in Ruanda nel 1994 mentre i Caschi blu restavano a guardare; diecimila musulmani bosniaci massacrati a Srebrenica quando dovevano essere protetti dalle truppe olandesi sotto egida dell’Onu; 200 mila sudanesi del Darfur sterminati mentre al Palazzo di vetro i burocrati discettavano se fosse o meno un “genocidio”; un milione di iracheni perseguitati da Saddam Hussein che rimpinzava il suo regime con il programma Oil for Food delle Nazioni Unite. E anche qui ci fermiamo, sempre per decenza.

[**Video_box_2**]Il brindisi, del luglio 1995, tra Ratko Mladic e Ton Karremans, comandante del contingente Onu preposto alla difesa dell’enclave, che sancì la resa della città e la consegna dei suoi abitanti alle forze militari serbo-bosniache, è una delle più nefande immagini che può stare a fianco di quelle che ritraggono i leader francese e britannico sorridenti a Monaco, mentre consegnano la Cecoslovacchia ad Adolf Hitler. Gli scherani di Mladic si presentarono ai civili di Srebrenica con i Caschi blu avuti dal contingente olandese, così che anche fisicamente i massacratori avevano la divisa dei pacificatori. Per questo le vedove di Srebrenica hanno fatto causa alle Nazioni Unite.

La “Golden Rule” di Norman Rockwell: dall’illustrazione è stato tratto un mosaico posto in una sala del Palazzo di vetro

Il genocidio è il “mai più” della comunità internazionale, ma impone l’obbligo di intervento. E l’Onu non interviene mai. A capo della missione dell’Onu in Ruanda, nel 1994, c’era un generale canadese, Roméo Dallaire. Nelle sue memorie, “Shake Hands with the Devil: The Failure of Humanity in Ruanda”, Dallaire racconta che, alcuni mesi prima dell’inizio del genocidio, era riuscito a scoprire i piani di sterminio. Riferì il tutto sia a Kofi Annan, allora sottosegretario generale incaricato di peacekeeping, sia al capo politico della missione Onu in Ruanda, ma la risposta fu allucinante: essere cauti, non divulgare queste informazioni, non disturbare il segretario generale, Boutros Boutros-Ghali, scordarsi ogni tipo di missione preventiva. Più tardi Dallaire chiese rinforzi, ottenendo invece una riduzione del suo contingente. Dopo un tentato suicidio, nel 2000 gli venne diagnosticata la sindrome da stress post traumatico.

Non che le altre agenzie stiano meglio. L’American Enterprise Institute ha messo sotto accusa il World Food Program in un meticoloso dossier. Ovviamente una agenzia simile, con uffici in ottanta paesi e responsabile della distribuzione di cibo a cento milioni di persone ogni anno, non può essere immune da problemi. Ma le sue falle sono ormai comiche e strutturali. In Etiopia, uno dei paesi che più beneficia del programma Onu, soltanto il dodici per cento del cibo arriva a destinazione. In Corea del nord, il dittatore Kim Jong-un storna gran parte dei fondi a favore dei corrotti del regime comunista. Il presidente del Senegal, Abdoulaye Wade, si è scagliato contro la Fao, l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura delle Nazioni Unite, definendola un “pozzo di denaro senza fondo” che dovrebbe essere abolita per aumentare la produzione alimentare mondiale. Gli analisti dicono che decenni di abbandono dell’agricoltura da parte di questa agenzia ha lasciato molti paesi con poco cibo per nutrire la loro gente. “C’è stato un fallimento istituzionale molto profondo su come risolvere i problemi alimentari”, ha dichiarato Peter Timmer, studioso della Stanford University che studia la sicurezza alimentare. La Fao, con sfavillante sede a Roma (e altre 130 sedi nel mondo), è diventata il bersaglio di pesanti critiche. Una revisione indipendente delle sue politiche ha rivelato che l’agenzia ha perso la fiducia dei donatori, che hanno costantemente ridotto i finanziamenti negli ultimi dieci anni. “La Fao è oggi alla deriva”, secondo la relazione del 2007 di un gruppo di esperti esterni.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Berto
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Rasixmo,rasisti contro łi ebrei e Ixraele i crimini de l'ONU

Messaggioda Berto » mar apr 03, 2018 5:27 am

ONU - UNESCO e altri FAO - UNICEF (no grazie!) - e Facebook ?
Mito e organizzazioni parassitarie e criminali che non promuovono affatto i diritti umani, le libertà, il rispetto e la fraternità tra gli uomini, le genti, i popoli, le etnie, le nazioni, gli stati.
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L'ONU è un mondezzaio umano di nazi maomettani antisemiti.

???

Gerusalemme capitale, scontri in Cisgiordania: un morto e oltre 210 feriti. Onu: "Sia capitale di entrambi gli Stati"
8 dicembre 2017

https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/1 ... ia/4026837

Un morto e oltre 200 feriti in Cisgiordania nel venerdì di preghiera in seguito all’appello di Hamas a una nuova Intifada. La tensione, dopo i 100 feriti di giovedì, è nuovamente salita a Gerusalemme, dove centinaia persone hanno sfilato verso gli insediamenti israeliani. Lì sono scoppiati scontri con i soldati: questi ultimi hanno aperto il fuoco sui manifestanti, provocando un morto (una seconda persona data per deceduta in un primo momento versa in realtà in gravi condizioni) a Gaza e almeno 217 feriti – secondo la Mezzaluna rossa palestinese – a Hebron, Qalqilya, Betlemme e Ramallah tra le migliaia di persone nelle strade. Proteste anche nel compound della moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, dopo la preghiera di mezzogiorno. In serata, sempre nella zona della Striscia, sono stati lanciati due razzi verso Israele: il primo è stato intercettato dal sistema di difesa Iron Dome mentre al momento attuale non è noto dove sia caduto il secondo. La popolazione israeliana della zona ha avuto istruzione di restare in prossimità dei rifugi o delle stanze blindate nelle loro abitazioni. Proteste anche in Indonesia, Malesia, Turchia, Egitto, Pakistan e Iran dove migliaia di musulmani protestano contro la decisione di Donald Trump di spostare l’ambasciata Usa a Gerusalemme, dichiarandola capitale di Israele.

Scontro Onu-Usa – L’inviato speciale delle Nazioni Unite per il Medio Oriente, Nickolay Mladenov, ha ricordato le parole del segretario generale Onu Antonio Guterres, secondo cui Gerusalemme deve essere la capitale dei due Stati. Durante la riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza dopo la decisione di Trump, Mladenov ha esortato “la comunità internazionale a onorare la sua responsabilità storica, aiutando Israele e Palestina” a raggiungere l’obiettivo. “L’Onu ha ripetutamente dichiarato che qualsiasi decisione unilaterale che cerchi di modificare lo status di Gerusalemme – ha concluso l’inviato delle Nazioni Unite – potrebbe seriamente minare gli attuali sforzi di pace e potrebbe avere ripercussioni in tutta la regione”. La risposta statunitense è stata affidata a Nikki Haley: l’ambasciatrice presso l’Onu, durante la riunione del Consiglio di sicurezza, ha accusato le Nazioni Unite di “ostilità contro Israele” da “molti anni” e ha difeso la decisione di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele definendola una scelta ‘ovvia’: “Le Nazioni unite hanno fatto più danno alle possibilità di una pace in Medio Oriente che farla progredire”.

Hamas: “Intifada non finisce oggi” – L’intifada potrebbe essere solo all’inizio, almeno a sentire Hamas. Il capo dell’ufficio politico, Ismail Haniyeh, ha affermato che “né Trump né alcun altro potrà cambiare la verità storica e geografica e l’identità della Città Santa”. Chi pensa che “tutto si esaurirà con le manifestazioni, sogna” perché “la santa intifada di oggi ha inoltrato due messaggi: il primo, che respingiamo la decisione di Trump e il secondo che siamo pronti a immolarci per difendere Gerusalemme”. Mentre le ripercussioni dello spostamento dell’ambasciata statunitense si riflettono anche sulla diplomazia: l’imam della moschea di Al-Azhar in Egitto, Sheikh Ahmed al-Tayeb, ha respinto l’incontro richiesto per il 20 dicembre dal vice presidente Usa, Mike Pence, in segno di protesta.

Mogherini invita Abu Mazen – Intanto l’alto rappresentante dell’Onu per la politica estera Federica Mogherini ha annunciato dopo l’incontro il ministro degli Esteri giordano, Ayman Al Safadi, che il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen (Mahmoud Abbas) parteciperà al prossimo Consiglio degli Esteri Ue a gennaio. “Lo ho invitato e lui ha accettato” per “un esercizio simile a quello che faremo lunedì prossimo con il premier israeliano Benjamin Netanyahu” per parlare del processo di pace, ha affermato Mogherini.

Musulmani in piazza in Indonesia – A Giacarta, in Indonesia, la nazione islamica più popolosa al mondo, più di 300 persone hanno marciato davanti all’ambasciata Usa al grido di ‘Israele vai all’inferno’, chiedendo a Trump di smettere con il suo ‘cieco sostegno allo stato ebraico. A Kuala Lumpur, invece, oltre mille persone guidate dal ministro dello Sport, Khairy Jamaluddin, hanno manifestato davanti all’ambasciata Usa dopo un corteo partito dalla moschea dove si sono tenute le preghiere del venerdì. Al grido di ‘Lunga vita all’Islam’ e ‘Distruggete i sionisti’, i manifestanti si sono appellati a Trump perché riveda la sua decisione. “Signor presidente, questo è un annuncio illegale. Gerusalemme è un territorio occupato. Non dovete nemmeno mettervi piede. Il mondo si ribellerà agli Usa”, ha detto il ministro nel suo discorso.

Migliaia in strada in Turchia – E in Turchia, nel giorno della preghiera islamica del venerdì, gruppi di manifestanti si sono riuniti davanti alla storica moschea di Fatih a Istanbul, luogo simbolo delle adunate dei movimenti islamisti, sventolando bandiere turche e palestinesi. Tra gli slogan più urlati, “Israele assassino, Stati Uniti collaborazionisti” e “Gerusalemme è nostra e resterà nostra”. Secondo i media turchi i manifestanti sarebbero stati almeno 10mila e alcune altre migliaia di persone sono scese in strada anche ad Ankara. Diverse proteste si erano svolte in Turchia già nei giorni scorsi, portando anche a un rafforzamento delle misure di sicurezza intorno alle missioni diplomatiche Usa.

“Morte all’America ed Israele” – Proteste anche in Iran, dove l’opposizione a Israele e il sostegno alla causa palestinese è al centro della politica estera dalla rivoluzione islamica del 1979. La tv ha trasmesso immagini di dimostranti che cantavano ‘Morte all’America’ e ‘Morte a Israele’. Portavano inoltre bandiere palestinesi e cartelli sui quali si leggeva ‘Quds appartiene ai musulmani’. Quds è il nome di Gerusalemme in arabo. In diverse città i manifestanti hanno bruciato immagini di Trump. L’opposizione a Trump ha unito di fatto in Iran le fazioni più radicali di Guardiani della rivoluzione e quella del presidente Hassan Rohani: entrambi i fronti hanno invitato gli iraniani a protestare oggi, soprannominato ‘giorno della rabbia’. Mercoledì, inoltre, la guida suprema iraniana, cioè l’ayatollah Ali Khamenei, aveva dichiarato che la decisione di Trump era un segno di incompetenza e fallimento.

Pakistan: “Trump non sta bene di testa” – Partiti religiosi, movimenti della società civile, commercianti, studenti ed avvocati sono scesi in piazza anche in numeose città del Pakistan. Ad Islamabad la manifestazione principale ha raccolto circa 300 persone nel mercato di Aabpara che hanno scandito slogan contro gli usa, Trump e Israele e mostrato cartelli con scritte del tipo ‘Al-Quds libera!’ e ‘Musulmani palestinesi, siamo con voi’. La principale richiesta è stata quella che Washington riveda la sua decisione, presa dal presidente “Donald Trump che non sta bene di testa”. Altre simili proteste, hanno riferito i media pachistani, sono state organizzate anche a Lahore, Quetta, Karachi, Peshawar ed in altre parti del Paese.

Tunisia ed Egitto in allarme – Reagisce anche la Tunisia che ha deciso di convocare l’ambasciatore statunitense Daniel H. Rubinstein. Il diplomatico avrà un colloquio con il presidente della Repubblica, Beji Caid Essebsi, nel quale il capo dello Stato esprimerà il rifiuto della Tunisia della decisione di Trump. Il principale sindacato del Paese nordafricano, l’Ugtt (Unione Generale lavoratori tunisini), premio Nobel per la Pace nel 2015, ha indetto nella capitale per oggi pomeriggio una grande manifestazione di sostegno al popolo palestinese. Un tweet della rappresentanza diplomatica italiana segnala un “rafforzamento” delle “misure sicurezza” al Cairo intorno all’ambasciata Usa e a quella di Israele. Nello stesso messaggio sui social si esorta ad “evitare assembramenti” e a tenersi informati sul sito Viaggiare sicuri della Farnesina. Poche ore dopo nella capitale, all’uscita dalla moschea di Al Azhar , luogo di culto del massimo centro teologico dell’islam sunnita, dopo la preghiera c’è stata una manifestazione di protesta di diverse centinaia di persone. “Siamo tutti contro questa decisione – ha scandito Mohamed Mehana, consigliere del grande imam di al-Azhar – Questa decisione ha dimostrato quanto sia incapace la comunità internazionale. Non ci potrà ma essere un’ambasciata a Gerusalemme, che sia degli Stati Uniti o di qualsiasi altro Paese”.

Gli Stati Uniti hanno posto il veto alla proposta egiziana di abolire il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele. L'ONU non avrebbe nulla da fare se non ci fosse ogni occasione per condannare Israele.

Gino Quarelo
Grazie Trump! Grazie tante, mille grazie!




L'ONU, sempre più asservita ai mussulmani e agli arabi.

https://www.facebook.com/zio.Ferdinando ... 3277311132

[dalla bacheca di amici, Agostino]

Si pensi che nella dichiarazione dei diritti umani, quando per non mettere i paesi mussulmani fuori legge, l'ONU, in fondo alla dichiarazione dei diritti, votò una postilla che esonerava i paesi mussulmani ad applicare tali diritti.
Essa diceva più o meno così: tutti i paesi devono osservare i diritti umani, salvo diversi usi adottati in singoli paesi se dettati da principi religiosi. E oggi, dietro pressione di quegli stessi mussulmani vorrebbe votare una risoluzione contro gli USA, che è di malavoglia il maggior finanziatore di questa istituzione che pare non serva più a niente e che costa un sacco di miliardi di dollari.
Mi sa tanto che con questo presidente USA stanno arrivando al capolinea.




"Gli offesi siamo noi". Gli Stati Uniti mettono il veto sulla risoluzione egiziana contro Gerusalemme capitale
2017/12/18

http://www.huffingtonpost.it/2017/12/18 ... a_23310822

Gerusalemme e Misurata. La Città eterna e quella diventata il simbolo insanguinato del Far West libico. Medio Oriente e Nord Africa, diversi scenari, lo stesso segno: la destabilizzazione. Al Palazzo di Vetro si combatte la "guerra delle ambasciate", a Misurata, in perfetto stile mafioso, il sindaco della città viene rapito, crivellato di colpi e il corpo privo di vita gettato davanti all'ospedale di Safwa. Onu: gli Usa contro tutti. Al Consiglio di sicurezza si fanno i conti sulla decisione degli Usa di trasferire l'ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendo quest'ultima capitale unica e indivisibile di Israele. Per Washington sono conti (politici) molto salati.

La risoluzione "afferma che le decisioni e azioni che pretendono di alterare lo status della Città Santa di Gerusalemme non hanno alcun effetto giuridico, sono nulle e devono essere annullate in conformità con le pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza Onu". Inoltre, il testo "richiede che tutti gli Stati membri osservino le risoluzioni del Consiglio riguardanti Gerusalemme e non riconoscano nessuna azione o misura contraria a tali risoluzioni". L'ambasciatore britannico al Palazzo di Vetro, Matthew Rycroft, ha affermato che il documento "è in linea con le precedenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza". Il testo non fa riferimento esplicito agli Stati Uniti, e questa mancata esplicitazione, confidano fonti diplomati al Palazzo di Vetro, è servita per mantenere uniti i Quattordici. "Si è trattato di una risoluzione in sintonia con la pressa di posizione del ministro degli Esteri Alfano e con quella esplicitata a nome dell'Unione europea dall'Alto rappresentante ella politica estera dell'Unione, Federica Mogherini", dice all'Huffington Post una fonte della Farnesina commentando a caldo il voto al Palazzo di Vetro. Un voto avvenuto sotto la presidenza italiana.

Nel corso della seduta, l'inviato dell'Onu per il Medio Oriente, Nickolay Mladenov è intervenuto facendo un quadro complessivo della situazione e criticando la politica degli insediamenti portata avanti da Israele a Gerusalemme Est e in Cisgiordania; una critica che ha investito anche le "misure legislative" adottate per ciò che concerne la legalizzazione delle colonie in Cisgiordania e l'uso di terre private palestinesi. Dura la replica dell'ambasciatrice statunitense al Palazzo di Vetro, Nikki Haley, secondo la quale la risoluzione 2334 contraria agli insediamenti israeliani nei Territori occupati, votata da 14 membri del Consiglio di sicurezza e approvata grazie all'astensione Usa, voluta dall'allora presidente Barack Obama, "è il vero ostacolo alla pace".

Alla fine, la risoluzione su Gerusalemme è votata da 14 dei 15 Paesi membri del massimo organismo decisionale delle Nazioni Unite, tra cui l'Italia, ma non passa per il veto degli Usa. Ma quel veto esercitato in solitudine rappresenta una sconfitta politica per la diplomazia americana Perché nonostante i tentativi di far recedere dal voto favorevole alcuni storici alleati degli Stati Uniti, in primis il Regno Unito, il fronte europeo ha tenuto, con tutti e 5 i Paesi membri del Consiglio (Francia, Regno Unito, Italia, Germania e Svezia) decisi a mantenere la linea su Gerusalemme. Ma la partita non si è chiusa. Perché subito dopo la conclusione della votazione, da Ramallah, con un comunicato ufficiale l'Autorità nazionale palestinese ha annunciato l'intenzione di presentare la risoluzione all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Per essere approvata, la risoluzione ha bisogno del voto favorevole di 2/3 dei 193 Paesi membri, ma anche se dovesse ottenerli, sarebbe un successo politico senza ricadute effettive, perché solo le risoluzione approvate dal Consiglio di sicurezza hanno un valore decisionale.

A sostegno di questa linea si è subito schierata la Turchia, oltre che la Lega Araba. "Il veto posto dagli Stati Uniti è inaccettabile – dice ad HuffPost Nabil Abu Rudeina, portavoce del presidente palestinese Abu Mazen -. Resta il fatto – aggiunge – che tutti gli altri 14 membri del Consiglio di sicurezza hanno difeso la legalità internazionale riconoscendo che azioni come quella intrapresa dagli Stati Uniti non hanno alcun valore effetto giuridico. Ora – conclude Abu Rudeina – chiediamo a tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite di attenersi alle indicazioni contenute nella risoluzione e di non seguire il presidente Trump su una linea destinata a distruggere ogni soluzione negoziale". Per Washington quel voto è uno schiaffo in faccia. Durissimo è il commento dell'ambasciatrice Haley: "Quel voto è un affronto che non dimenticheremo", avverte. È il primo veto posto dagli Stati Uniti sotto la presidenza Trump. Immediata la presa di posizione israeliana. "Grazie tante, ambasciatrice Haley. Grazie per aver acceso la candela della verità. Hai combattuto le bugie, grazie presidente Trump", ha twittato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Netanyahu.

A fianco della Haley si schiera l'ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Danny Danon che attacca frontalmente la risoluzione dei Quattordici: "Potete votare altre cento volte – dice Danon rivolgendosi polemicamente ai rappresentanti dei 14 Paesi che hanno votato la risoluzione- potete criticare quante volte volete la nostra presenza a Gerusalemme, ma non potrete mai cambiare la Storia". E ancora: "Mentre il popolo ebraico celebra la festività di Hannukkah che simboleggia il legame eterno con Gerusalemme, ci sono persone che pretendono di riscrivere la Storia. È tempo – conclude l'ambasciatore israeliano – che tutti i Paesi riconoscano che Gerusalemme è stata e sempre lo sarà capitale del popolo ebraico e capitale di Israele". Soddisfazione per il voto è stata invece espressa dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, che si è congratulato con il suo ambasciatore all'Onu per "il prezioso lavoro svolto in favore della pace e a sostegno dei diritti del popolo palestinese".

Ma la pace è parola sconosciuta in Terrasanta. Come nella martoriata Libia. Era stato rapito ieri prima del tramonto mentre tornava a casa dall'aeroporto, di ritorno da Istanbul dove si era recato in visita ufficiale a capo di una delegazione di funzionari locali. E poche ore dopo il sindaco di Misurata, Mohamed Eshtewi, è stato assassinato. Il quotidiano Libya Herald spiega che era insieme al fratello Ahmed e al loro autista, quando l'auto sulla quale viaggiavano è stata attaccata mentre era ferma al semaforo sulla via dell'aeroporto. Il fratello del sindaco è stato ferito con un colpo di pistola alla testa. Sulla schiena di Eshtewi tre fori di proiettile, ma secondo il consigliere comunale di Misurata Mustafa Krwat, responsabile della sicurezza in città, la causa della morte è stato un duro colpo in testa. Il portavoce dell'ospedale di Misurata, Akram Glewan, ha parlato anche di ferite d'arma da fuoco alle gambe. Il fratello Ahmed è ricoverato in terapia intensiva in gravi, ma stabili condizioni all'ospedale di Misurata. Gli assassini del sindaco di Misurata al momento non sono stati identificati, scrive il Libya Herald. I sospetti ricadono però su militanti islamisti attivi in città.

Il Consiglio militare di Misurata, guidato dall'islamista Ibrahim Ben Rajeb, in diverse occasioni aveva tentato con la forza di ottenere le dimissioni di Eshtewi, contestato per il suo sostegno all'Accordo politico libico e alla Presidenza del Consiglio. A maggio estremisti armati lo hanno costretto alle dimissioni, che però poco dopo son state ritirate. Un funzionario locale, che ha chiesto di restare anonimo, ha però messo in dubbio la possibilità che gli autori della linea dura possano essere gli autori dell'assassinio. "Hanno cercato di rimuoverlo per mesi. Ma ucciderlo non rientra nel loro stile", ha detto a Libya Herald. Secondo la fonte, ad assassinare Eshtewi potrebbero essere stati i sostenitori del generale Khalifa Haftar, l'uomo-forte della Cirenaica o del defunto colonnello Muammar Gheddafi. "E non escludiamo l'Isis", ha aggiunto. Basta questo elenco di possibili autori dell'assassinio di Eshtewi per dar conto che cosa sia oggi la Libia: una sorta di Far West nordafricano, dove a fronteggiarsi sono due governi, altrettanti parlamenti, oltre 250 tra milizie e tribù in armi, gruppi jihadisti affiliati allo Stato islamico o ad al-Qaeda del Maghreb Islamico (Aqmi), organizzazioni criminali dedite al traffico di esseri umani. E questo far west avviene a poche centinaia di chilometri dalle coste italiane. E l'Italia, non solo per vicinanza geografica, rischia sempre più di essere trascinata nel "pantano" libico. Un pantano insanguinato.


Gerusalemme capitale storica sacra e santa di Israele, terra degli ebrei da almeno 3 mila anni.
viewtopic.php?f=197&t=2472



Niram Ferretti

Dunque nella fabbrica mondiale delle risoluzioni politiche contro Israele, l'ONU, dove negli anni passati e ancora adesso teocrazie, satrapie, autocrazie, dittature, abusatori sistematici di diritti umani, hanno votato contro Israele, ci sia appresta ora dietro convocazione di due grandi democrazie come lo lo Yemen e la Turchia, a convocare l'Assemble Generale per contestare la decisione di Donald Trump su Gerusalemme capitale di Israele.
Dopo il veto americano al Consiglio di Sicurezza ora si cerca l'ampia convergenza dei paesi (193) che dovrebbero stigmatizzare la decisione USA. Il voto non avrebbe di fatto alcun valore giuridico, come non hanno alcun valore giuridico le innumerevoli risoluzioni contro Israele votate in questi decenni.
Nikki Haley ha fatto presente che gli Stati Uniti terranno conto debitamente dei paesi che voteranno contro.
Nel mentre gli USA chiedono al Consiglio di Sicurezza sanzioni contro l'Iran per azioni destabilizzanti in Medioriente e violazioni delle risoluzioni internazionali. Ovviamente la Russia si dice contraria.
L'ossessivo focus del carrozzone ONU è sempre stato Israele, dal 1967 ad oggi.
L'ONU è una barzelletta. Inutile, elefantiaco, completamente privo di una vera ragione d'essere se non quella di porre plasticamente al centro della scena veti, giochi di potere, parzialità furiose, risoluzioni che gridano vendetta.
Una ulteriore dimostrazione della completa inutilità degli organismi politici sovranazionali.



Giulio Meotti

Un video che spiega tutto. Eccoli, i membri del Consiglio di sicurezza dell'Onu mentre ieri alzavano la mano tutti assieme per condannare 4 parole: "Gerusalemme capitale di Israele". E la solita America con Nikky Halley che, da sola, alzava la mano per opporsi. Un carrozzone di stati illuminati e democratici (come Francia e Inghilterra), stati falliti e poveri (come il Senegal), giganti e dittature (come la Cina). Se le danno su tutto, ma sono tutti d'accordo nel processare di fronte all'opinione pubblica internazionale uno stato che copre lo 0,0001 per cento della superficie della terra, grande quanto il New Jersey e la Puglia, i cui abitanti ammontano a un millesimo della popolazione mondiale, ma che è l'unico stato al mondo degli ebrei. E questo è il problema. Nel video, in un angolo, si vede l'ambasciatore di Israele all'Onu. Non è uno spettatore. E' un imputato. E quelli che alzano la mano sono i suoi carnefici. Quanta viltà!

https://www.facebook.com/giulio.meotti/ ... 1550242426




Francesco Birardi
La vera soluzione sarebbe che gli Usa abbandonassero l'ONU al suo destino, lo buttassero fuori dalla bellissima sede di N.Y., e lasciassero ad altri l'onore e l'onere di mantenerlo. E di giocarci. Sinceramente, non si capisce perché continuino a tenere in piedi questo carrozzone inutile e ipocrita, terzomondista, filoarabo e antisemita, anticristiano e antioccidentale, superpagato dai cristiani e dagli occidentali...


https://www.facebook.com/hnaftali/video ... 6039945592


L'Onu dà uno schiaffo a Trump e l'Italia sta con la Palestina
Fiamma Nirenstein
24/12/2017

https://www.facebook.com/x.kisenefrega/ ... 1213545679

I palestinesi naturalmente festeggiano, la menzogna onusiana è la loro festa, Gerusalemme secondo il voto non è la capitale di Israele, tutte le delegazioni, i capi di stato, che hanno visitato la Knesset, si sono sbagliati.

Trump è stato letto male volontariamente: ha semplicemente riconosciuto una verità lapalissiana lasciando alle parti la sistemazione futura e chiedendo di mantenere fino ad allora lo status quo. Invece è stato assalito da un branco affamato di antiamericanismo, finalmente. La vittoria è stata la solita festa di odio cieco contro gli Usa e Israele. Che bello poter dire «colonialista» a Trump e a Israele come ha fatto il ministro degli esteri palestinese Ryiad Maliki, esaltare la «democrazia» di Erdogan contando sul doppio registro degli stati canaglia che hanno il loro ombrello nell'Onu.
Ma qualcosa è cambiato: è vero, ci sono stati solo 9 voti a favore dai soliti Paesi piccoli e coraggiosi. Ma ci sono state molte sorprese fra le 35 astensioni: l'Europa si è spaccata, l'Ungheria, la Croazia, la Repubblica Ceca, la Romania, la Lettonia, la Bosnia (musulmana!) hanno rotto il consueto consenso europeo nonostante Macron avesse insistito.

L'Italia ha accettato, ed è una vergogna, di più, un peccato mortale. Tutti i suoi ultimi primi ministri hanno parlato alla Knesset pretendendo amicizia immortale. Tutti hanno visto la bellezza della città amata da 3mila anni, mai capitale di nessun altro, e il rispetto democratico per le tre componenti religiose. Il voto è stato un misto di antisemitismo, di paura, di cecità di chi non vede che solo la verità può indurre un processo di pace, e che le menzogne odierne non hanno mai spinto i palestinesi a rinunciare al terrorismo e al rifiuto di Israele.
Il sogno atavico dell'Assemblea è umiliare gli Usa, vedendo in Israele la longa manus del potere americano. Non si sostenga che si è difeso un processo di pace che il mondo arabo ha sempre rifiutato, anche di fronte, due volte, all'offerta di buona parte Gerusalemme.
Qui si sottende che gli ebrei sono estranei a Gerusalemme e persino a Israele, e questo giustifica la «resistenza armata» ovvero il terrorismo, i razzi da Gaza.
Forse neppure la risoluzione che Obama fece votare al Consiglio di sicurezza fu cosi drammatica.
Ieri, è stata la più evidente verità a essere vituperata e messa al bando dall'Onu, insieme alla decisione americana di riconoscerla. Non è un bel risultato.

E anche una sorpresa che Colombia, Argentina, Messico, Malawi, Ruanda, Kenia, Congo si siano astenute: Africa e America Latina hanno risposto ai contatti impostati da Netanyahu quest'anno. Erdogan ormai abbracciato alla Russia e all'Iran, ha sbraitato, come usa ormai sempre, dicendo che «non si può comprare la democrazia turca coi tuoi dollari». Due accenni sbagliati per il leader di un Paese davvero poco democratico e molto corrotto. E cosi poco fine citare il denaro, come ha fatto Trump annunciando che si ricorderà di chi vota contro gli Usa, ma è anche illogico spendere tanti soldi per chi approfitta della prima occasione per insultarti e boicottarti.
II bugdet dell'Onu è pagato dagli Usa per il 22%, fra spese di routine e speciali si tratta di più di 800 miliardi. Secondo uno studio accademico recente, l'Onu è inquinata da un mare di corruzione e di comportamenti disgustosi fino allo sfruttamento sessuale. Nelle sue commissioni si occupa quasi esclusivamente di condannare Israele, mentre i Paesi violatori di ogni diritto umano fanno la parte dei giudici. Tenere in piedi una fabbrica di puro odio, è un'azione folle.



Ecco perché Trump taglia i fondi all’Onu. È tensione con l’Europa
Roberto Bongiorni
2017-12-26

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/20 ... d=AEfjUIXD

La decisione era nell’aria. Ma il taglio ai finanziamenti americani destinati alle Nazioni Unite rischia di esacerbare le già non idilliache relazioni tra Washington e i Paesi europei. L’amministrazione del presidente Donald Trump ha difatti iniziato a negoziare un taglio di 285 milioni di dollari per il 2018. Il piano è stato annunciato subito dopo che i Paesi membri avevano raggiunto un accordo, domenica, sul bilancio 2017-2018, pari a 5,4 miliardi di dollari. Il taglio americano sarebbe un duro colpo per le finanze dell’Onu in un periodo in cui gli altri Paesi membri non dispongono certo di facili risorse per coprire l’eventuale perdita dei finanziamenti americani.


Gerusalemme, Usa tagliano 285 milioni dollari a bilancio Onu

Viene da chiedersi: perché proprio ora? Leggere questa decisione come la prima rappresaglia della Casa Bianca contro la bocciatura, da parte dell’Assemblea Generale Onu, del riconoscimento di Gerusalemme quale capitale di Israele (annunciato da Trump il 6 dicembre), e del successivo spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv, è facile e apparentemente intuitivo.
Sono stati ben 128 i Paesi, tra cui l’Italia, insieme alla totalità dei Paesi più importanti dell’Unione europea, a votare contro lo strappo di Trump. L’ambasciatrice americana all'Onu Nikki Haley aveva promesso che gli Usa si sarebbero ricordati di chi gli ha voltato le spalle.


Guatemala sposterà ambasciata a Gerusalemme

Un appello, tuttavia, che finora non ha trovato molti sostenitori. Per ora solo il Guatemala ha seguito la Casa Bianca, annunciando a Natale, per bocca del presidente Jimmy Morales, l’intenzione di trasferire la propria ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. Tuttavia la mossa del Guatemala potrebbe non restare un caso isolato. Secondo i media israeliani, infatti, presto seguirà l’annuncio dell'Honduras, mentre sarebbero una decina i Paesi che stanno valutando la possibilità di allinearsi alla scelta di Washington sul riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele (tra cui Romania e Slovenia).


Gerusalemme capitale Israele: l’Onu vota contro il riconoscimento Usa

La decisione di tagliare una parte (e non tutti) dei finanziamenti all’Onu non è legata solo alla crisi su Gerusalemme. In verità Trump non ha mai gradito - e lo ha ribadito più volte - l’ingombrante presenza delle Nazioni Unite, che in molti casi confligge con le sue strategie geopolitiche. In un’occasione il presidente americano ha perfino definito questa grande organizzazione di Stati, creata dopo la Seconda Guerra Mondiale, un club triste che ha sprecato le sue potenzialità.

Ma la battaglia condotta dagli Stati Uniti contro l’Onu è una battaglia anche contro gli sprechi e le inefficienze che da tempo affliggono le Nazioni Unite, e sono in parte riconosciute anche dai suoi vertici e da molti Stati membri.
«L’inefficienza e le spese facili dell’Onu sono ben note» ha denunciato l’ambasciatore americano Nikky Haley e «noi non consentiremo più che la generosità del popolo americano sia sfruttata».


La prima rottura di Trump con la galassia Onu

Il finanziamento dell’Onu, come prevede un articolo della sua Carta, è soprattutto legato alla grandezza delle economie dei suoi Stati membri. Gli Stati Uniti sarebbero responsabili del 22% del budget operativo dell’Onu. Si tratta di gran lunga del più grande contributo. In numeri Washington ha sborsato 1,2 miliardi di dollari su 5,4 del budget 2016-2017.

Ma c'è di più. Gli Stati Uniti sono anche i maggiori contribuenti, in misura ancor più grande (28,5% del totale), alle missioni di peacekeeping dell’Onu, operazioni il cui budget, separato da quello generale, dovrebbe toccare nel 2017-2018 i 6,8 miliardi di dollari.

Resta da vedere se il piano di Trump si fermerà solo a 285 milioni di dollari. O se, come ha fatto intendere (forse solo per incutere timore) l’amministrazione americana, è solo l’inizio di un piano più vasto. In questo caso i problemi per l’Onu sarebbero davvero difficili da risolvere.



Donald Trump ha messo il Re a nudo: Nazioni Unite al capolinea?
Franco Londei
26/12/2017

http://www.rightsreporter.org/donald-tr ... -capolinea

Sbagliavo nel giudicare la politica di Donad Trump su Gerusalemme “troppo avventata” e le ultime mosse del Presidente USA vanno addirittura oltre. Per la prima volta un Presidente USA sta mettendo in discussione l’organismo più importante al mondo, l’ONU. Il Re è nudo e il mondo libero non può che trarne giovamento

Chi mi conosce e segue sa benissimo che non ho molta fiducia in Donald Trump. Non avevo stima per Obama per le ovvie ragioni spiegate mille volte ma in qualche modo Obama dava l’idea di avere una linea politica ben definita, criminale quanto volete, ma pur sempre una linea, una sensazione che Trump non mi aveva dato. Beh, mi sbagliavo.

Con il tempo mi rendo conto che le critiche che ho mosso a Trump per la tempistica dell’annuncio su Gerusalemme erano in gran parte ingiustificate. Certo, rimango ancora dell’idea che sarebbe stato più prudente attendere qualche mese e aspettare che l’avvicinamento tra Israele e Arabia Saudita fosse completo, però tutto il macello che mi aspettavo non si è verificato, anzi, come afferma la brava Maurizia De Groot Vos, Trump sta praticamente vincendo su tutta la linea.

Quello che mi ha veramente colpito di Donald Trump è la sua determinazione nello smantellare tutto ciò che aveva fatto Obama a livello internazionale (a livello interno non mi pronuncio perché non ne ho le competenze), a partire dall’accordo sul nucleare iraniano fino a quell’ultima porcheria fatta in seno alle Nazioni Unite a pochi giorni dal suo congedo, quando per la prima volta nella storia ordinò di non mettere il veto su una risoluzione che condannava gli insediamenti israeliani e li definiva illegali.

Per troppo tempo proprio le Nazioni Unite sono state lo scudo perfetto con il quale i peggiori antisemiti del mondo hanno coperto le loro malefatte contro Israele. Non solo, con il tempo l’ONU si è trasformato da una istituzione che avrebbe dovuto difendere la pace ed essere sopra le parti, in un mezzo per colpire le democrazie “scomode”. Peggio, è diventato una sorta di marionetta nelle mani dei peggiori regimi del mondo, una macchietta che pone l’Arabia Saudita alla guida del suo organismo per la difesa delle donne, l’Iran nella Commissione delle Nazioni Unite sulla condizione delle donne ecc. ecc. (qui trovate un quadro recente delle porcherie fatte dall’ONU nel 2017).

Di contro Donald Trump, attraverso la sua caparbia ambasciatrice all’ONU, Nikki Halley, non solo non ha lesinato critiche alle Nazioni Unite ma per la prima volta ha fatto chiaramente intendere che la pacchia è finita, che il mondo non può più tollerare un organismo costosissimo che non solo va contro il suo mandato, ma che con il tempo è diventato il mezzo più usato dai regimi di tutto il mondo per coprire le proprie malefatte.

Da anni, forse decenni, si parla di riformare le Nazioni Unite, di ridare a questo organismo il lustro che gli compete badando bene che rimanga realmente imparziale. Troppe inutili agenzie, stipendi faraonici per i suoi dipendenti, critiche da ogni dove sulla gestione delle missioni di pace, persino accuse di aver coperto abusi sessuali commessi dai caschi blu in diverse aree. E per non farsi mancare proprio nulla anche agenzie studiate ad hoc per creare profughi altrimenti inesistenti come la UNRWA. E’ davvero troppo.

Ora Donad Trump sembra non accettare più questo stato di cose, specie in qualità di primo contribuente delle Nazioni Unite. Ieri ha tagliato i primi 280 milioni di dollari. Non è tanto rispetto agli oltre tre miliardi di dollari che gli Stati Uniti forniscono ogni anno a questo vetusto organismo internazionale, ma è un bel segnale. Come ha detto Nikki Halley «gli Stati Uniti non permetteranno più che i loro nemici approfittino della generosità americana» che cioè usino le Nazioni Unite per i loro torbidi scopi.

Non so in quanti abbiano idea della portata di questa decisione americana, non tanto per la cifra quanto per il gesto. È il secondo indizio che Donald Trump intende mettere in discussione l’ONU. Il primo è stato l’uscita degli USA dall’UNESCO. Se la teoria dei tre tre indizi che fanno una prova è corretta il prossimo potrebbe essere un ulteriore taglio ai finanziamenti per le missioni di pace o l’uscita da un altro inutile organismo. Staremo a vedere. Per ora Trump sta metodicamente mettendo a nudo il Re. Nikki Halley è il rappresentate americano all’ONU più duro di sempre e non passa giorno che non svergogni questo organismo ormai alla frutta. Di questo passo ben presto il Re sarà totalmente a nudo e c’è da giurare che ne vederemo delle belle.




Profughi palestinesi, l’UNRWA gonfia i numeri di più del doppio
11 gennaio 2018

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 8469841842

http://www.progettodreyfus.com/profughi ... nesi-unrwa

Profughi palestinesi: secondo l’UNRWA in Libano il numero ammonta a 450,000. Il sito ufficiale dell’agenzia Onu, però, ne riporta un altro. Un recente censimento, invece, ha provato che l’esatto dato dei profughi palestinesi nel paese dei Cedri è pari a 174,422.

Una differenza abissale. Molto meno della metà.

Allora dove finiscono i fondi? Se ne vengono stanziati per 450,000 persone ma in realtà i bisognosi sono meno di 175, gli altri quale destinazione hanno?

Domande a cui forse un giorno verranno date risposte…

Intanto, come già dichiarato dal presidente Donald Trump, gli Stati Uniti stanno valutando la possibilità di effettuare un sostanzioso taglio agli aiuti palestinesi. La conferma arriva da un funzionario dell’esecutivo americano che però non ha specificato a quale tipologia di aiuti stiano lavorando i tecnici Usa:

“Stiamo rivedendo la nostra assistenza ai palestinesi alla luce della loro recente condotta”.

Condotta su cui ha espresso le proprie perplessità anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che riguardo all’Agenzia dell’Onu per i profughi palestinesi ha affermato:

“La mia proposta è che i fondi destinati all’UNRWA siano invece gradualmente versati all’Alto commissariato Onu per i rifugiati (UNHCR), con criteri chiari di sostegno per i profughi veri, e non per profughi fittizi come avviene oggi con l’UNRWA. Tale agenzia perpetua il problema dei profughi palestinesi, perpetua la richiesta di un preteso diritto del ritorno, nell’intento di distruggere lo Stato d’Israele. Pertanto l’UNRWA deve scomparire una volta per tutte”.

Ricapitoliamo:

In ambito internazionale esiste l’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite che ha come mandato la protezione di tutti i rifugiati e che dispone di 4,3 miliardi di dollari per assistere 15 milioni di profughi sparsi nel mondo che, una volta aiutati, cessano di essere tali.

L’UNRWA , invece, è un’agenzia specifica per i palestinesi che dispone di 2 miliardi di dollari per 5 milioni di profughi palestinesi, che non cessano mai di esserlo, anzi passano il testimone ai loro figli e ai loro nipoti.

In più l’UNRWA gonfia i numeri dei profughi per avere più fondi destinati non si sa bene a cosa.

Fino a quando dovremmo accettare tutto questo?


Basta finanziare il terrorismo arabo islamico palestinese antiebreaico e gli assassini di Allà
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Gli Usa tagliano a metà i fondi all’agenzia Onu che assiste i profughi palestinesi
francesco semprini
2018/01/16

http://www.lastampa.it/2018/01/16/ester ... agina.html

Il presidente americano Donald Trump ha deciso di dimezzare i fondi che l’America versa all’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi, l’UN Relief and Works Agency (Unrwa). Dopo un vertice con il Segretario di Stato Rex Tillerson, il Segretario alla Difesa James Mattis e il consigliere alla Sicurezza nazionale H R McMaster, il leader Usa ha concordato un taglio da 125 a 60 milioni di dollari. Gli Usa sono i maggiori contributori dell’agenzia, seguiti dalla Ue. L’Unrwa ha un bilancio annuale di circa 1,1 miliardi di dollari.

Mediazione di Tillerson

Washington aveva rinviato il pagamento del contributo, in teoria dovuto il primo gennaio, proprio in vista della decisione. Nikki Haley, ambasciatrice americana all’Onu, aveva chiesto un taglio totale e immediato, ma alla fine ha prevalso una posizione intermedia, sostenuta da Tillerson.

Caso unico

L’Unrwa è un caso unico fra le agenzie per i rifugiati dell’Onu. E’ nata 70 anni fa per occuparsi dei palestinesi sfollati dopo la prima guerra arabo-israeliana, circa 700 mila, ma oggi ha la responsabilità anche dei loro discendenti. Secondo i palestinesi sono in tutto oltre cinque milioni, anche se non ci sono censimenti precisi. In Libano recentemente il numero dei rifugiati è stato stimato in 170 mila, invece di mezzo milione.

Il segretario Guterres preoccupato

Trump ha anche chiesto una “riforma fondamentale” dell’agenzia, come chiede anche il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che ho proposto di affidare i rifugiati all’agenzia generale dell’Onu per questo compito, l’Unhcr. Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha espresso invece “la sua preoccupazione” per le conseguenze della decisione.

Il duello su Gerusalemme

Il taglio agli aiuti ai palestinesi era stato minacciato dalla Casa Bianca dopo la decisione di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele e la reazione durissima del presidente palestinese Abu Mazen, che si era ritirato dai negoziati di pace e respinto ogni ulteriore mediazione americana. Trump aveva detto che avrebbe tagliato i fondi all’Onu se non fosse tornato al tavolo delle trattative.

Fine degli accordi di Oslo

Abu Mazen non solo non lo ha fatto ma ha deciso un “cambio di strategia” che comporterà la sospensione del riconoscimento dello Stato ebraico da parte delle forze politiche palestinesi, a partire dall’Olp, e la fine degli accordi di Oslo del 1993 che dovevano portare alla risoluzione del conflitto e alla nascita di uno Stato palestinese a fianco di Israele. Una nuova polemica era poi esplosa sul programma di aiuti dell’Autorità palestinese alle famiglie di condannati in prigione per attacchi contro israeliani.

Abu Mazen ha respinto le pressioni americane e detto che “Gerusalemme non è in vendita né per denaro né per oro”, poi attaccato di nuovo gli Stati Uniti, come “non imparziali” e Israele, accusato di condurre una “politica di colonizzazione”. Mustafa Barghouti, membro del comitato esecutivo dell’Olp ha invece detto al Jerusalem Post che la decisione americana di tagliare in fondi all’Unrwa intende “liquidare i diritti dei rifugiati palestinesi, non è una mera questione di soldi”.

Il premier Netanyahu ha reagito e definito il discorso di Abu Mazen il disvelamento del “suo vero volto” e lo ha accusato a sua volta di non voler riconoscere lo Stato ebraico in “nessun confine”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Rasixmo,rasisti contro łi ebrei e Ixraele i crimini de l'ONU

Messaggioda Berto » mar apr 03, 2018 5:30 am

ONU - UNESCO e altri FAO - UNICEF (no grazie!) - e Facebook ?
Mito e organizzazioni parassitarie e criminali che non promuovono affatto i diritti umani, le libertà, il rispetto e la fraternità tra gli uomini, le genti, i popoli, le etnie, le nazioni, gli stati.
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Ciò che penso dell'ONU e delle sue varie branchie lo conoscete bene
Emanuel Segre Amar

https://www.facebook.com/emanuel.segrea ... 5121116918

Possibile che ci sia solo Giulio Meotti che denuncia queste porcherie? Io non sono un fan della lega, e non entro nelle questioni legate alla politica italiana, ma perché deve essere solo Salvini a denunciare queste verità?
Vi assicuro che la lettura di questo articolo ha superato la mia immaginazione. Aggiungo solo che gli uomini di Israele arrivarono ad Haiti nel giro di 24 ore e fecero un lavoro formidabile e ripartirono, ovviamente, senza macchia.

Dopo il sisma, Haiti travolta dal terremoto umanitario
Dal colera e gli stupri dell'Onu alle orge di Oxfam. Il colonialismo dei buoni

Roma. Erano arrivati a Haiti con le migliori intenzioni dopo il devastante sisma del 2010. Venerdì l’annuncio che gli inglesi di Oxfam lasceranno l’isola nel disonore. Haiti ha deciso di fare a meno dei servizi e della benevolenza della ong messa in ginocchio da una serie di scandali, su tutti le ormai celebri “orge in stile Caligola” consumatesi tra i funzionari di Oxfam e le vittime del terremoto.

Venerdì il presidente haitiano Jovenel Moïse ha detto che la vergogna di Oxfam è soltanto “la punta dell’iceberg”. Dopo il sisma, Haiti è stata infatti devastata da un altro terremoto, quello scatenato dagli operatori di pace. Mark Schuller, un professore di Antropologia dell’Università dell’Illinois, ha scritto un libro sullo “shock umanitario a Haiti”. È un sisma che non si misura con la magnitudo, ma col numero di infetti, morti e abusati.

Hanno iniziato i Caschi blu nepalesi che a Haiti hanno portato il colera, causando la morte di 8.774 persone. Schuller l’ha chiamata “killing with kindness”: uccidere con gentilezza. La malattia si è rivelata molto più rapida della burocrazia dell’Onu e ha contagiato Repubblica Dominicana, Cuba e Messico, facendo ammalare decine di migliaia di persone. L’Onu ha passato sei lunghi anni a negare l’evidenza prima che il segretario generale Ban Ki-moon ammettesse la responsabilità morale dell’epidemia. Come ha rivelato un’inchiesta del New York Times, il fondo da 400 milioni di dollari creato per risarcire le vittime del colera è, de facto, rimasto vuoto. Un altro fiasco. Dopo il colera, l’Onu ha introdotto ad Haiti gli stupri e le gravidanze indesiderate.

I Caschi blu, stavolta dello Sri Lanka, hanno abusato di bambini haitiani dai dieci ai sedici anni, nelle docce, nelle torrette di guardia, nei camion dell’Onu. L’allora presidente haitiano Michel Martelly lo descrisse come “stupro collettivo”. Una ragazza nota come “V01”, ovvero “Vittima numero 1”, fece sesso con cinquanta peacekeeper, incluso un comandante che le dava meno di un dollaro. Le zone disastrate sono diventate un magnete per i predatori. Così, Haiti è stata trasformata in un campo da gioco sessuale dall’Onu.

Cinquecento i casi, spesso riguardanti minorenni. Adesso le madri dei “peacekeeper babies” di Haiti hanno presentato la prima azione legale contro il Palazzo di vetro chiedendo all’Onu di far fronte alle spese dei bambini nati dalle violenze sessuali. Poco dopo aver partorito, una madre ha ricevuto 350 dollari dal soldato uruguaiano che l’aveva messa incinta. Da allora non ha ricevuto più nulla.

Otto anni fa il mondo piangeva con Haiti e, insieme alle nostre lacrime, è arrivata anche una delle risposte umanitarie più generose della storia. I privati hanno contribuito con 3,06 miliardi di dollari e i governi ne hanno promessi altri tredici. Ma la domanda da sedici miliardi di dollari è dove siano finiti tutti quei soldi. I piccoli segni di progresso sull’isola sono niente al confronto con i fondi ricevuti. Alcune ong hanno speso milioni per insegnare agli haitiani a lavarsi le mani proprio mentre i Caschi blu trasmettevano il colera a tutta l’isola dalle acque reflue. Alcuni dirigenti di Oxfam usavano invece i fondi del governo inglese stanziati per Haiti per pagare le orge, ricattando la popolazione più povera del mondo. E’ il colonialismo dei buoni. Il fardello dell’uomo bianco di Kipling impallidisce al confronto di questi Caligola umanitari.



Lotta al pregiudizio anti israele
7 marzo 2018

http://www.italiaisraeletoday.it/lotta- ... ti-israele

Sono onorata di poter dire che quando vengo qui ad AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) sono fra amici. Sapete, talvolta alle Nazioni Unite non abbiamo attorno molti amici. Ricordo l’anno scorso quando abbiamo votato l’opposizione di principio dell’America alla dittatura di Castro a Cuba. Il voto ci è stato contrario: 191 a 2. I due soli voti contro la dittatura – l’avete indovinato – sono stati quelli di Stati Uniti e Israele. Come dico sempre, la qualità è meglio della quantità.

Poco dopo la sua elezione nel 2016, il presidente Donald Trump mi chiese di servire nella sua amministrazione. Ci incontrammo e discutemmo di una serie di questioni. Per farla breve, un paio di giorni dopo la sua squadra mi chiamò e mi disse che Trump avrebbe voluto che fossi l’ambasciatrice alle Nazioni Unite. Risposi che, in quanto governatrice, non sapevo granché di Nazioni Unite. Se ne parlò un po’, ma l’argomento decisivo fu quando dissi al presidente: lei sa che non farò da tappezzeria né da mezzobusto: devo poter dire quello che penso. Senza alcuna esitazione il presidente Trump disse: questo è esattamente quello che voglio che lei faccia. Ed è stato di parola, e penso di esserlo stata anch’io.

Alcuni di voi avranno sentito che recentemente il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat ha voluto darmi un consiglio: mi ha detto di stare zitta. Signor Erekat, io sarò sempre rispettosa, ma non starò mai zitta.

Ora è più di un anno che sono in questa posizione e ho imparato molte cose su come funzionano le Nazioni Unite. Ma una cosa mi è diventata veramente chiara. È importante sapere il più possibile sulle esigenze e gli usi di ogni paese, ma questa non è la parte più importante di questo lavoro. La cosa più importante è non aver paura di attenersi ai propri principi fondamentali, anche quando vanno contro inveterate abitudini. Alcune di queste obsolete abitudini sono andate avanti per anni incontrastate. Uno di questi principi è che prendere posizione per i tuoi amici è cruciale. Solo un mese prima del mio arrivo all’Onu gli Stati Uniti permisero l’approvazione della risoluzione 2334. Fu un giorno ignominioso per l’America. Ci rifiutammo di difendere un nostro amico mentre veniva preso di mira con una tremenda sopraffazione. Nel mio primo giorno alle Nazioni Unite garantii all’ambasciatore d’Israele che durante il mio incarico una cosa del genere non sarebbe mai successa.

Un altro principio che mi ha accompagnato in questo incarico è che non ho nessuna tolleranza per il bullismo. Sono cresciuta nell’unica famiglia di origine indiana che viveva in una piccola città della Carolina del Sud. Complessivamente era una comunità bella e amichevole. Ma questo non significa che ogni giorno sia stato bello. I miei genitori erano immigranti.

Mio padre indossava il turbante, mia madre il sari, e non sono mancate occasioni in cui siamo stati vittime di bullismo. Successivamente, da governatrice, avviai un programma anti-bullismo. Ogni mese andavo nelle scuole di tutto lo stato a parlare contro il bullismo. Per me era assolutamente fondamentale. Non te la puoi prendere con qualcuno solo perché appare diverso da te, o perché la pensa diversamente da te. O semplicemente perché te le puoi permettere. È un’idea che mi accompagna da quando ero bambina, ma non pensavo certo che mi sarebbe servita alle Nazioni Unite. Invece, salta fuori che il bullismo è pratica comune alle Nazioni Unite.

Nel mondo reale Israele è un paese forte, con una vibrante economia e forze armate di prim’ordine. Sul campo di battaglia Israele non è certo una vittima indifesa del bullismo. Chiedetelo a iraniani e siriani.

Ma alle Nazioni Unite le cose stanno in modo diverso. All’Onu e nelle varie agenzie delle Nazioni Unite Israele è vittima di bullismo. E lo è perché i paesi che detestano Israele sono abituati a farla sempre franca. Proprio come quando ero una ragazzina in Carolina del Sud, questo semplicemente non mi sta bene.

Come sapete, una delle agenzie dell’Onu con la peggiore storia di pregiudizio anti-israeliano è l’Unesco. Fra tante altre ridicolaggini, l’Unesco vanta la vergognosa singolarità di voler cambiare la storia antica. Di recente l’Unesco ha proclamato uno dei luoghi più santi dell’ebraismo, la Tomba dei Patriarchi, come un sito del patrimonio palestinese bisognoso d’essere protetto da Israele. Era troppo. E così, a dieci mesi dall’inizio di questa amministrazione, gli Stati Uniti si sono ritirati dall’Unesco.

Ci sono molte altre cose, piccole e grandi, che facciamo settimana dopo settimana per contrastare il bullismo anti-Israele delle Nazioni Unite. Ogni mese il Consiglio di Sicurezza tiene una sessione dedicata al Medio Oriente. E ogni mese questa sessione diventa una seduta dedicata a dare addosso a Israele. E’ una cosa che va avanti da decenni, mese dopo mese. Per me era una novità, quando arrivai all’Onu. Fu veramente scioccante.

Alla prima di queste sessioni ho affermato pubblicamente: se vogliamo parlare di sicurezza in Medio Oriente dobbiamo parlare di Iran o di Siria, di Hezbollah o di Hamas o di Isis, o della carestia nello Yemen. Ci saranno almeno dieci grandi problemi che affliggono il Medio Oriente con i quali Israele non ha nulla a che fare. Da allora, ogni singolo mese, nella sessione sul Medio Oriente ho parlato di altre questioni che non riguardano Israele.

Non posso dire che abbiamo risolto il problema, ma posso dire che diversi altri paesi hanno seguito il nostro esempio. Quella che era una sessione mensile contro Israele adesso è perlomeno un po’ più equilibrata. Non abbiamo nessuna intenzione di tollerare il bullismo.

C’è un altro principio che mi era chiaro prima di arrivare all’Onu. Come la gran parte degli americani, io sapevo qual è la capitale di Israele. Sapevo che Gerusalemme era, è e sarà sempre la capitale di Israele. Non è una cosa che sia stata prodotta dal posizionamento di un’ambasciata. Non è una cosa che sia stata prodotta da una decisione americana. Non è l’America che ha fatto di Gerusalemme la capitale d’Israele. Quello che ha fatto il presidente Trump, e gliene va dato atto, è riconoscere una realtà che i presidenti americani si erano rifiutati di riconoscere per troppo tempo. Gerusalemme è la capitale d’Israele: è un dato di fatto. Prima o poi verrà il giorno in cui tutto il mondo riconoscerà questo dato di fatto. Si sa che la nostra decisione di aprire l’ambasciata a Gerusalemme ha suscitato un po’ di agitazione alle Nazioni Unite, e sono stata fiera di opporre il veto al Consiglio di Sicurezza quando è stata votata una condanna della nostra decisione.
Fino a quando la Tomba dei Patriarchi è rimasta sotto controllo arabo-islamico, agli ebrei era proibito avvicinarsi e pregare più in là del settimo gradino della scala esterna

Fino a quando la Tomba dei Patriarchi è rimasta sotto controllo arabo-islamico, agli ebrei era proibito avvicinarsi e pregare più in là del settimo gradino della scala esterna

La settimana successiva, la questione di Gerusalemme è stata portata all’Assemblea Generale. In quella votazione siamo stati battuti. Ma per la sorpresa di molti, ben 65 paesi si sono rifiutati di votare contro di noi.

Un record, nella lunga storia di sopraffazione all’Onu contro Israele. E noi non dimenticheremo quel voto. Come dissi al momento, durante quel voto ci siamo appuntati i nomi dei paesi.

Come i paesi votano all’Onu non può essere l’unico fattore nel decidere la nostra politica di aiuti: abbiamo molti interessi che vanno al di là dell’Onu. Ma certamente deve essere uno dei fattori, e il presidente e io stiamo spingendo in questo senso.
Le condanne del Consiglio Onu per i diritti umani dalla sua istituzione nel 2006 fino all’agosto 2015, suddivise per paese

Le condanne del Consiglio Onu per i diritti umani dalla sua istituzione nel 2006 fino all’agosto 2015, suddivise per paese

Alcuni ci accusano di favoritismo verso Israele. Innanzitutto, non c’è nulla di sbagliato nel favorire un alleato. E’ proprio questo che significa essere alleati. Ma in realtà il favoritismo, qui, non c’entra niente. In tutto ciò che facciamo, che sia la decisione sull’ambasciata o sull’Unesco, o quello che facciamo circa l’Unrwa – non fatemi nemmeno iniziare a parlare di quest’ultima – il nostro approccio circa Israele è legato a una idea principale: il semplice concetto che Israele deve essere trattato come ogni altro paese normale. Continueremo a esigere che Israele non venga trattato come una sorta di entità provvisoria e temporanea. Non può essere che un solo paese al mondo non può scegliere la sua città capitale. Non può essere che il Consiglio Onu per i diritti umani ha un ordine del giorno fisso su un solo paese. Non può essere che una sola comunità di profughi fra quelle di tutto il mondo sia conteggiata in modo tale che il suo numero continui a crescere all’infinito. Non può essere che un’organizzazione di 193 paesi come le Nazioni Unite impieghi metà del suo tempo ad attaccare un solo paese.

Non intendiamo accettare più tutto questo. E questa posizione è una posizione a favore della pace. Il pregiudizio delle Nazioni Unite contro Israele ha minato per lungo tempo la pace alimentando l’illusione che Israele sia destinato semplicemente a scomparire. Ma Israele non è destinato a scomparire. Quando tutto il mondo riconoscerà questo fatto, allora la pace diventerà possibile. Diventerà possibile perché tutte le parti si occuperanno della realtà, e non di fantasie. E quando ci si occupa della realtà, allora i compromessi ragionevoli, frutto del negoziato, possono avere la meglio sulle pretese assolute.

https://www.facebook.com/noicheamiamois ... 6765206713



IL CONSIGLIO DEI DIRITTI UMANI DELL'ONU: ISRAELE È PEGGIORE DI COREA DEL NORD, SIRIA E IRAN.
https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 6929041662

Le statuizioni deliranti del Consiglio dei Diritti Umani ONU si susseguono a un ritmo inquietante. Negli ultimi giorni, l'organo in questione ha approvato ben 5 risoluzioni contro Israele. Le stesse prese contro Siria (2), Iran (1), Corea del Sud (1) e Myanmar (1) messi insieme.

Insomma, l'applicazione della legge senza distinzione di etnia o religione che c'è in Israele merita più critiche delle centinaia di migliaia di persone torturate e uccise negli altri paesi.

Un'ossessione verso Israele che l'UNHRC ha manifestato in modo continuativo fin dalla sua istituzione. Questo, ovviamente, a causa della ridicola composizione dell'organo: 13 membri all'Africa, 13 all'Asia, 8 al Sud America, 6 all'Est Europa e solo 7 tra Europa occidentale e USA. In pratica, i membri del Consiglio che provengono da paesi non democratici o in cui si applica la sharia hanno, da sempre, una maggioranza schiacciante.


Alberto Pento
UNHRC una mostruosità razzista al massimo grado, da chiudere.
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Rasixmo,rasisti contro łi ebrei e Ixraele i crimini de l'ONU

Messaggioda Berto » ven dic 14, 2018 10:16 pm

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Rasixmo,rasisti contro łi ebrei e Ixraele i crimini de l'ONU

Messaggioda Berto » ven dic 14, 2018 10:17 pm

LA MOZIONE ANTI HAMAS ALL'ONU.
Niram Ferretti
A breve le Nazioni Unite si esprimeranno all'Assemblea Generale sulla mozione americana che condanna Hamas. Sarà l'ultima mozione presieduta da Nikki Haley in veste di Ambasciatore degli Stati Uniti all'ONU.
Per la prima volta sembra che l'Unione Europa appoggi Israele e gli USA sulla mozione. Se la mozione passerà sarà anche questa la prima volta che l'ONU condannerà il gruppo terrorista sunnita costola dei Fratelli Musulmani che controlla la Striscia dal 2007 dopo avere esautorato Fatah in un regolamento di conti sanguinario.
Va ricordato che su 193 stati membri, 22 sono arabi, che, assommati agli altri stati musulmani arrivano a 57 stati islamici. A questi vanno poi aggiunti tutti gli altri stati che subiscono la pressione araba e da cui in buona parte dipendono per il petrolio, il che significa che 120 stati su 193 sono generalmente sbilanciati a favore degli arabi-palestinesi.
Vedremo quali paesi UE voteranno a favore della condanna di Hamas.
Nell'attesa salutiamo la formidabile Nikki Haley. Non la dimenticheremo facilmente.


LA BANCARAOTTA MORALE
Niram Ferretti
6 dicembre 2018

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

“L'Assemblea Generale ha votato 700 risoluzioni di condanna nei confronti di Israele e nemmeno una di condanna nei confronti di Hamas" ha dichiarato Nikki Haley, dopo che ieri, la risoluzione di condanna di Hamas proposta dagli Stati Uniti all'ONU, non ha ottenuto i due terzi necessari a farla passare.

87 paesi hanno appoggiato il testo, 57 hanno votato contro, tra cui Russia e Cina, 33 si sono astenuti, e 23 non erano presenti.

Molti dei paesi che hanno votato contro la risoluzione hanno sperimentato il terrorismo islamico per decenni ma nonostante ciò hanno votato contro la risoluzione.

Danny Danon, l'ambasciatore israeliano all'ONU ha dichiarato:

“Il vostro silenzio difronte al male rivela chi siete veramente, rivela da che parte state".

"Non c'è nulla di più antisemita che rifiutarsi di condannare il terrorismo quando ha come obbiettivo lo Stato ebraico", ha evidenziato Nikki Haley.

Non bisogna essere sorpresi più di tanto dall'esito della votazione. Va ricordato che su 193 stati membri dell'ONU, 22 sono arabi, che, assommati agli altri stati musulmani arrivano a 57 stati islamici. A questi vanno poi aggiunti tutti gli altri stati che subiscono la pressione araba e da cui in buona parte dipendono per il petrolio, il che significa che 120 stati su 193 sono generalmente sbilanciati a favore degli arabi-palestinesi.

La Russia, erede dell'Unione Sovietica, il paese che più di ogni altro ha determinato la demonizazzione di Israele dal 1956 ad oggi, ha votato a favore del terrorismo jihadista di Hamas, nostante la questione cecena. La Cina le è andata dietro. Paesi autoritari, antidemocratici che non hanno nessun problema a usare la forza in modo assai risoluto quando si tratta della propria sicurezza e del proprio ordine interno ma che sostengono chi desidera la distruzione di Israele.

Non poteva però mancare la proverbiale ciliegina sulla torta. Dopo la mancata maggioranza per consentire l'approvazione della risoluzione di condanna contro Hamas, l'Assemblea Generale ha approvato una breve risoluzione proposta dall'Irlanda, il paese il cui Senato ha scelto di dare il proprio sostegno alla legislazione anti-Israele più estrema in Europa approvando la legge su i "territori occupati" in base alla quale è vietata l'importazione o la vendita di beni o servizi provenienti dalla comunità israeliane della Cisgiordania.

La risoluzione chiede la fine dell'"occupazione israeliana" e che Israele torni ai confini indifendibili pre-1967, quelli che Abba Eban, Ministro degli Esteri israeliano all'epoca della Guerra dei Sei Giorni, definiva, "i confini di Auschwitz".

La risoluzione è passata comodamente con 156 voti.







VERGOGNA. L’ONU non condanna Hamas. Che sorpresa…
Adrian Niscemi
7 dicembre 2018

https://www.rightsreporter.org/vergogna ... 8VIGV3z2vk

Solo una settimana fa eravamo felici per l’annuncio che nella giornata del 6 dicembre (ieri n.d.r.) l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la prima volta avrebbe votato una risoluzione di condanna contro Hamas. Ieri quella felicità si è tramutata in sgomento e forse schifo.

Nonostante il testo di condanna scritto e appoggiato dagli Stati Uniti avesse sulla carta un largo appoggio, i numeri non sono bastati per far passare la risoluzione contro Hamas.

Serviva che i due terzi dell’Assemblea votasse a favore della risoluzione di condanna e invece con 87 paesi a favore, 57 contrari e 33 astenuti (23 paesi erano addirittura assenti) la risoluzione non è passata.

Poco male, era un atto politico, oltre che fortemente simbolico, che avrebbe finalmente (ri)posto l’ONU al ruolo che gli compete che è quello di un organismo super partes che mira a garantire la pace e a condannare l’illegalità e la violenza. Invece come sempre l’ONU ha dimostrato la sua assoluta inutilità se non complicità con il terrorismo islamico.

Durissimo l’ambasciatore di Israele alle Nazioni Unite, Danny Danon, che seppur soddisfatto per essere riusciti a portare i terroristi di Hamas davanti alla giustizia internazionale, ha durramente criticato i paesi che hanno votato contro, che si sono astenuti o che addirittura non si sono presentati.

«Oggi abbiamo raggiunto una pluralità. Quella pluralità sarebbe stata una maggioranza se il voto non fosse stato condizionato da una mossa politica di procedura», ha detto Danny Danon, dopo il voto. «Ma con una sola voce forte e coraggiosa, abbiamo portato Hamas di fronte alla giustizia. Per quegli stati membri che hanno respinto questa risoluzione dico solo che dovrebbero vergognarsi do loro stessi» ha concluso l’ambasciatore israeliano.

La risoluzione intitolata “Attività di Hamas e altri gruppi militanti a Gaza”, avrebbe condannato Hamas «per aver lanciato ripetutamente missili contro Israele e per incitare alla violenza, mettendo così a rischio i civili».

Sarebbe stata la prima misura dell’Assemblea Generale a colpire il gruppo terroristico, che di fatto tiene in ostaggio la Striscia di Gaza con un governo dittatoriale.

Soddisfazione invece da parte dei terroristi islamici di Hamas. «Il fallimento dell’avventura americana alle Nazioni Unite rappresenta uno schiaffo per l’amministrazione statunitense e la conferma della legittimità della resistenza», ha scritto il portavoce Sami Abu Zahri su Twitter.

Soddisfatto anche il Presidente della Autorità Palestinese, Abu Mazen, che in un comunicato diffuso dall’Agenzia Wafa ha detto che «la presidenza della Autorità Palestinese ringrazia tutti gli stati che hanno votato contro la bozza di risoluzione americana, affermando così che non si consentirà la condanna della lotta nazionale palestinese».

Che dire? Uno schifo e una vergogna che resterà per sempre negli annali dell’ONU, un organismo di cui ormai davvero non si vede più l’utilità.



Nazioni Unite: un mezzo per legalizzare le prepotenze islamiche?
Franco Londei
8 dicembre 2018

https://www.rightsreporter.org/nazioni- ... m_Ox4qCwa4

Quanto successo giovedì alle Nazioni Unite, cioè la mancata condanna di Hamas, non dovrebbe stupire più di tanto. Se in tanti anni nessun organismo delle Nazioni Unite ha mai condannato Hamas, Hezbollah e altri importanti gruppi terroristici islamici un motivo c’è.

Qualcuno dirà che si tratta di odio verso Israele o addirittura di antisemitismo. E’ vero solo in parte. La Russia di Putin o la Cina, per fare solo due esempi di Paesi di grosso calibro che hanno votato contro la risoluzione presentata dagli Stati Uniti, non sono certo antisemiti. Non si possono considerare amici di Israele, ma non per sentimento anti-israeliano quanto piuttosto per ragioni geo-strategiche.

Quindi, se permettete, voglio evitare l’argomento dell’antisemitismo come motivo della mancata condanna di Hamas (e della Jihad Islamica). Può valere per alcuni, ma non per tutti e non basta a giustificare il fatto che alle Nazioni Unite i gruppi terroristici islamici non vengono mai condannati.

Temo purtroppo che la realtà sia diversa. Certo, Israele è da sempre nel mirino delle Nazioni Unite nonostante sia l’unica democrazia in Medio Oriente, ma l’argomento è più vasto, più complesso per essere circoscritto al solo fenomeno dell’antisemitismo o all’appoggio a quella malattia che si chiama “palestinesimo”.



Un ossimoro vivente

Le Nazioni Unite sono un ossimoro vivente. Piazzano i sauditi alla guida della Commissione ONU per i Diritti Umani e membro della UN Women, l’organismo delle Nazioni Unite deputato alla tutela della parità di genere e a combattere le discriminazioni verso le donne, l’Iran nella Commissione delle Nazioni Unite sulla condizione delle donne (Commission on the Status of Women).

E cosa dire del Sudan, accusato per il genocidio in Darfur e piazzato incredibilmente all’interno del Comitato ONU sulle ONG (UN Committee on NGOs) il potentissimo organismo delle Nazioni Unite che decide quali ONG per la difesa dei Diritti Umani possono essere accreditate all’ONU, nonché membro del Comitato esecutivo dell’UNESCO e del Comitato che governa le petizioni sui Diritti Umani (CR Committee)?

Questi sono solo pochi esempi delle tante porcherie che avvengono all’interno del Palazzo di Vetro. Mi viene in mente anche il Venezuela membro del Comitato Esecutivo del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (Executive Board of the U.N. Development Program) o la Siria che fa parte del Comitato di decolonizzazione (U.N. decolonization committee) che dovrebbe contrastare la sottomissione, la dominazione e lo sfruttamento dei popoli. Se non fossero cose così serie ci sarebbe da ridere.


La continua riaffermazione della prepotenza islamica

Quella che vediamo applicata alle Nazioni Unite è la continua riaffermazione delle prepotenza islamica che trova in Israele lo sfogo naturale in quanto lo Stato Ebraico è considerato il nemico numero uno dell’espansionismo islamico.

L’antisemitismo è solo un tassello del grande puzzle che purtroppo vede l’occidente supino, per interesse, alle prepotenze islamiche e che porta molte nazioni che fanno della difesa delle democrazia un proprio vanto, voltare le spalle a quell’unica democrazia che ancora si oppone ad un Medio Oriente completamente islamizzato.

Il bravissimo e sempre attento Niran Ferretti ci fa notare le parole di Nikki Haley, ambasciatrice americana all’ONU, purtroppo dimissionaria:

L’Assemblea Generale ha votato 700 risoluzioni di condanna nei confronti di Israele e nemmeno una di condanna nei confronti di Hamas

In poche parole viene racchiuso tutto quello che sono diventate oggi le Nazioni Unite e l’intero occidente, cioè un insieme completamente succube della prepotenza islamica, perché è impensabile che in quelle 700 risoluzioni contro lo Stato Ebraico, molte votate la scorsa settimana, non ci siano anche i voti dei Paesi occidentali (Italia compresa) che ha parole si dicono difensori della democrazia ma nei fatti assecondano proprio quella prepotenza islamica che immancabilmente dopo aver preso di mira Israele prenderà di mira anche le democrazie occidentali.

E allora viene da chiedersi: che senso hanno le Nazioni Unite se sono totalmente succubi delle prepotenze islamiche?

Un senso in realtà ce l’hanno. Sono diventate il mezzo per legalizzare e legittimare proprio quelle prepotenze islamiche che, tra le tante cose, portano gruppi terroristici come Hamas o come Hezbollah ad essere considerati “legittima resistenza” invece che pericolosissimi conquistatori islamici.

E quando anche le democrazie occidentali apriranno finalmente gli occhi e vedranno il mostro che hanno contribuito a creare, forse sarà troppo tardi.
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Messaggioda Berto » ven dic 14, 2018 10:18 pm

Salvini in Israele: "Sull'Onu ho la stessa visione di Netanyahu"
Renato Zuccheri - Mer, 12/12/2018

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/sal ... m7io1n0EVE

Il ministro dell'Interno, in visita a Gerusalemme, blinda l'asse con Israele e conferma che ci sarà un cambiamento dell'Italia sul tema delle risoluzioni Onu

Matteo Salvini è perfettamente in linea con Benjamin Netanyahu sul fronte delle risoluzioni delle Nazioni Unite riguardo Israele: "Ne ho parlato con Netanyahu abbiamo la stessa visione".

Il vicepremier e ministro dell'Interno ha dato questa risposta a un rappresentante della comunità italiana che gli ha chiesto come si ponesse sul tema delle "risoluzioni Onu anti-Israele". Al termine della visita al museo dell'Olocausto, tappa del viaggio in Israele, Salvini ha detto: "Settecento me ne ha contate di risoluzioni contro Israele". "Ci sarà un deciso cambiamento in questo senso", ha aggiunto rispondendo a chi gli domandava di un "appiattimento italiano sulla posizione Ue".

Al termine della visita allo Yad Vashem, il ministro dell'Interno ha dichiarato: "Ribadisco l'impegno mio e del governo italiano da uomo e da papà prima ancora che da ministro a fare tutto quello che è umanamente possibile perché non solo non si ripeta ma che non si possa neanche mai più pensare in futuro a crimini come quelli, che sono fortunatamente testimoniati e che arrivano dal passato, perché tutti i bimbi sorridano, e ci metteremo tutto l'impegno, il cuore, la testa e l'amore possibile". Poi Salvini ha concluso: "La prossima volta conto di tornarci con i miei figli".

Su Gerusalemme e sulla possibilità di considerarla la capitale di Israele, il discorso di Salvini è stato: "Sapete come la penso: step by step. C'è un governo di coalizione e quindi devo ascoltare anche i partner". "Per quanto riguarda il negazionismo e l'antisemitismo verrà combattuto in ogni sua forma: fortunatamente sono pochi e sono fuori dal mondo", ha concluso il vice premier.
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Messaggioda Berto » lun mag 27, 2019 6:37 am

CHE COS'È L'ANTISEMITISMO?
Progetto Dreyfus

https://www.facebook.com/groups/Fightin ... 7300661521

L'antisemitismo è una malattia dello spirito la cui cura non è nota. Consiste nella convinzione coatta che la colpa per tutti i problemi di questo e dell'altro mondo possa venire data a un gruppo di persone che dunque viene fatto soffrire (quasi in ogni Paese e quasi in ogni secolo) in forza di questa convinzione irrazionale.
La malattia assume molte forme: vi sono casi in cui gli ebrei sono biasimati per il fatto che esistono, altri casi in cui sono biasimati perché non esistono più. Sono incolpati contemporaneamente di essere pigri e perché comandano il mercato del lavoro.
Un antisemita è qualcuno che tranquillamente incolpa tutti gli ebrei per la loro ricchezza e si lamenta per i mendicanti ebrei; biasima gli ebrei in quanto capitalisti e in quanto comunisti; crede che gli ebrei abbiano un piano segreto per "impossessarsi del mondo", che comandino la stampa, i media, le banche ... tutto. C'è gente che considera gli ebrei come una vera e propria sottospecie, strettamente imparentata più coi roditori che con l'homo sapiens.
Per molto tempo gli ebrei credettero che sarebbero stati completamente accettati e che l'antisemitismo sarebbe arretrato e poi scomparso se essi avessero assunto completamente la "civilizzazione del Paese ospitante", identificandosi con essa. Questa istanza di soluzione è nota come assimilazione. Sfortunatamente divenne poi evidente che alcuni non riuscivano a distinguere la differenza tra un uomo e i suoi nonni, e dunque erano pronti a tormentarlo e a ucciderlo a causa della presunta identità che ebbe un suo antenato. Alcuni ebrei credettero che si sarebbero risparmiati altri problemi se avessero rinunciato alla loro religione per abbracciare il cristianesimo, ma la storia degli "ebrei battezzati" è stata altrettanto sanguinaria e deludente. Altri credevano di poter eliminare la malattia integrandosi e spendendo generosamente per cause non-ebraiche, o diventando più patriottici degli altri cittadini del Paese in cui vivevano, ancorché questi cittadini sovente derivassero da un insieme di popoli a loro volta invasori ... Altri ebrei credettero poi di poterla eliminare andandosene dal Paese ospite per creare un Paese loro, però scoprirono che proprio quelli che dicevano agli ebrei "tornate da dove siete venuti", si lamentavano amaramente se quelli lo facevano.
Sfortunatamente conosciamo altre "malattie" la cui cura consiste, per il primo passo, nel riconoscimento, da parte del malato, della propria malattia. Finora vi sono pochi segnali che gli antisemiti abbiano mai riconosciuto quanto sono malati. Persino nei casi di grave "epidemia" non è garantito che una data civilizzazione sappia produrre degli anticorpi capaci di resistenza. La prognosi è brutta e deprimente.

Tratto dal libro "99 domande sull'Ebraismo", di Walter L. Rothschild
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