Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » mar gen 11, 2022 8:45 pm

IN RICORDO DI ARIEL SHARON: IL SABRA CHE SALVÒ ISRAELE. DUE VOLTE
di Gil Troy
Progetto Dreyfus
11 gennaio 2022

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 8174765883

Ariel Sharon ha contribuito a salvare Israele almeno due volte. La prima volta, nel corso della guerra di Yom Kippur del 1973, gli è valsa il plauso di tutto il mondo libero. La seconda volta, tre decenni più tardi, nella guerra contro il terrorismo di Yasser Arafat, gli è valsa grandi critiche e accuse generalizzate. Questo slittamento riflette perfettamente il cambiamento di tattica nella pluridecennale guerra contro l’esistenza di Israele, e il conseguente crollo dell’immagine d’Israele agli occhi del resto del mondo.
Sharon, un fiero combattente che era rimasto così gravemente ferito nella guerra del 1948 da essere dato per morto, e che nel 1967 aveva ideato nuove tattiche di battaglia coi carri nel deserto, nell’ottobre 1973 rischiò la corte marziale quando attraversò con le sue truppe il Canale di Suez. Israele aveva vacillato sotto l’offensiva siriano-egiziana sferrata nel giorno di Kippur. Scontrandosi coi suoi superiori Sharon insistette perché, anziché battersi sulla difensiva, passasse all’offensiva ed entrasse in territorio egiziano. La sua audace manovra funzionò, arrivando ad accerchiare nel Sinai l’intera Terza Armata egiziana e contribuendo in modo determinante alla vittoria finale di Israele.
Questo era il tipico sionismo da “sabra” (che significa: ebreo nato in terra d’Israele) di Sharon, era il suo Israele coraggiosamente determinato a decidere del proprio destino. Milioni brindarono a Sharon e alla riscossa del suo piccolo e valoroso paese dal vile attacco a sorpresa.
Dopo quella sconfitta militare degli arabi, i paesi confinanti con Israele non hanno più tentato di invadere direttamente lo Stato ebraico. Piuttosto, mentre il conflitto arabo-israeliano si trasformava gradatamente in conflitto israelo-palestinese, la tattica araba si spostava da quella degli eserciti a quella del terrorismo e della delegittimazione internazionale. Nel 1975, quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò la diffamante risoluzione che equiparava il sionismo al razzismo (poi revocata nel 1991), l’approccio palestinese teso a globalizzare la guerra contro Israele era già decollato. Ancorando la lotta contro Israele alla più ampia lotta post-colonialista, puntando tutta l’attenzione sulle sofferenze palestinesi e sui controversi insediamenti israeliani nei territori (un tema ovviamente assente nella furiosa pubblicistica anti-israeliana dei decenni precedenti), si poteva far apparire Israele agli occhi del mondo come l’aggressore dei palestinesi, e non la vittima degli aggressori arabi.
Israele, come si vede nelle recenti prese di posizione per il boicottaggio accademico, venne grottescamente dipinto come un fuorilegge internazionale, come l’ultimo Stato imperialista, colonialista e razzista, senza alcun riguardo per tutto ciò che smentisce quelle accuse: dai profondi legami degli ebrei con quella terra, al carattere anti-coloniale e di autodeterminazione nazionale del movimento sionista, alla natura democratica dello Stato d’Israele. Oggi lo Stato ebraico è diventato il bersaglio prediletto del bullismo delle élite radicali proprio come un tempo gli ebrei erano il bersaglio prediletto di bulli soltanto un po’ più rozzi.
Nel corso dei decenni, poi, il conflitto è diventato più complicato in parte anche a causa del contribuito dato da Sharon. L’ascesa al governo del Likud e il declino dei laburisti ha reso Israele molto meno popolare in Europa e nei paesi socialdemocratici. Gli insediamenti, da quello che erano all’inizio (avamposti di sicurezza creati lungo le linee di una futura separazione dai territori, in stile Piano Allon, più il ristabilimento di alcune comunità ebraiche come Kfar Etzion distrutte nel 1948), si sono trasformati nella creazione di avamposti ideologici spesso nel bel mezzo della popolazione palestinese: un sviluppo che si è rivelato profondamente divisivo. Inoltre, nella la guerra del 1982 in Libano contro l’Olp Sharon, come ministro della difesa forzò la mano arrivando fino a invadere Beirut, dove non seppe impedire le stragi di palestinesi a Sabra e Shatila per mano di arabi cristiani falangisti. Tutte mosse che hanno permesso agli accusatori di Israele di dipingere lo stato ebraico come un Golia contro il nuovo Davide palestinese. Ne derivò che, nel 2000, quando Arafat mortificò Bill Clinton ed Ehud Barak respingendo le loro serissime proposte di pace e riconducendo il suo popolo al peggior terrorismo, molti fuori da Israele ne incolparono gli stessi israeliani, e in particolare Sharon, anziché Arafat e la parte palestinese.
Le ondate di attentati suicidi palestinesi che ne seguirono catapultarono Sharon al governo come primo ministro, nel marzo 2001. Ma solo un anno più tardi, a ben 18 mesi dell’inizio dell’intifada delle stragi, dopo che i terroristi avevano assassinato più di 130 israeliani nel solo mese di marzo – e dopo che gli attentati dell’11 settembre avevano contribuito a cambiare la percezione occidentale e la posizione politica americana – solo allora Sharon contrattaccò. L’offensiva militare “Scudo Difensivo” dell’aprile 2002 contro le centrali terroristiche nelle città della Cisgiordania riuscì finalmente a riportare la calma, ma fece di Sharon una figura odiata dai “pacifisti” internazionali e in tutto il mondo arabo.
Gli israeliani hanno fatto un errore madornale non celebrando quella vittoria di dieci anni fa sul terrorismo. Si meritavano fanfare e sfilate di vittoria per come avevano resistito e contrattaccato. E Sharon avrebbe dovuto essere glorificato per quello che aveva fatto. Come Giosuè seppe vedere “latte e miele” dove i suoi esploratori vedevano solo spaventosi giganti, così Sharon aveva mostrato agli israeliani – e a un mondo letteralmente terrorizzato – che le democrazie possano sconfiggere i terroristi.
Costruendo una barriera di sicurezza e lanciando una controffensiva militare, Sharon mostrò come la sterzata palestinese dal negoziato al terrorismo avesse smentito le illusioni in cui si erano cullate sia la sinistra che la destra israeliane. Con la sua mossa finale, il disimpegno nell’estate del 2005 dalla striscia di Gaza e da una parte della Cisgiordania, mostrò che, se è vero che assecondare i terroristi palestinesi non avrebbe portato la pace, d’altra parte è anche vero che non si possono ignorare le aspirazioni dei palestinesi.
Coloro che considerano un fallimento il disimpegno da Gaza dimenticano troppo facilmente il pesante prezzo militare, umano e diplomatico che Israele pagava restando a Gaza: Sharon contribuì a tamponare quella emorragia.
È logico che il mezzo secolo trascorso da Ariel Sharon sulla ribalta della storia sia terminato lasciando nella confusione i suoi avversari, giacché lui non ha mai spiegato fino in fondo la sua nuova visione. Gli ictus che l’hanno colpito dopo il disimpegno hanno lasciato amici e nemici ad arrovellarsi su come avrebbe reagito alle prime ondate di razzi palestinesi da Gaza, al colpo di stato con cui Hamas vi ha preso il potere cacciando Fatah e alle altre sfide che nel frattempo si sono poste a cominciare dalle turbolenze in tutto il mondo arabo circostante.
Quello che ci insegna la carriera di Sharon è valorizzare le tattiche non convenzionali, le sagacia, le complessità e la necessità di un approccio pragmatico, non millenaristico. Non ci sarà pace finché i partigiani di tutti i versanti non saranno capaci di ammettere che la situazione ha tante dimensioni ed è dinamica, rendendosi conto che a volte i generali possono diventare statisti, i falchi possono essere i veri costruttori di pace, le ipotesi di vecchia data possono rivelarsi idee obsolete, i nemici possono diventare alleati o addirittura amici.
I zig-zag di Sharon sono la manifestazione e la conferma che il pragmatismo non messianico è stata la chiave del successo del sionismo. La maggior parte dei palestinesi rimane schiava di fantasie massimaliste e irrealistiche, condannandosi al fallimento. I sionisti hanno avuto successo affrontando e risolvendo i problemi senza perseguire una giustizia messianica, suprema e integrale, nemmeno dopo le mostruosità naziste. Questa ricerca di soluzioni realistiche, questa capacità di adattare l’ideologia alle nuove percezioni della realtà, è ciò che portò David Ben-Gurion ad accettare la spartizione dell’Onu del 1947, che portò Yitzhak Rabin alla scommessa di Oslo del 1993-95, che portò Ariel Sharon a rimandare i soldati nelle città di Cisgiordania nel 2002, a costruire una barriera di sicurezza fra Israele e palestinesi, ad abbandonare la striscia di Gaza.
Ariel Sharon non aveva il carisma di Bill Clinton, l’eloquenza di Ronald Reagan, la fermezza di principi di Menachem Begin, i sogni visionari di Theodor Herzl. Ma “Arik” era la personificazione stessa della personalità del “sabra” israeliano coraggioso, capace di improvvisare, pratico e fiducioso.
Tutti noi che auspichiamo la pace e aborriamo il terrorismo dovremmo essere grati al grandioso sionismo pragmatico di Ariel Sharon, di ampio respiro e dal piglio sicuro.

Alberto Pento
Nell'articolo trovo questa frase in cui si parla dei falangisti libanesi come di "arabi cristiani":
"Inoltre, nella la guerra del 1982 in Libano contro l’Olp Sharon, come ministro della difesa forzò la mano arrivando fino a invadere Beirut, dove non seppe impedire le stragi di palestinesi a Sabra e Shatila per mano di arabi cristiani falangisti."
Mi chiedo ma perché chiamare arabi questi cristiani libanesi, cosa mai hanno di arabo?
Finché il Libano era a maggioranza libanese cristiana e non araba e mussulmana era un paese prospero e pacifico, poi con l'arrivo dei "rifugiati arabo-maomettani palestinesi" e l'alterazione etnica che ne seguì divenne gradualmente un inferno di miseria e di violenza.


Falangi Libanesi
https://it.wikipedia.org/wiki/Falangi_Libanesi
Falangi Libanesi (in arabo الكتائب اللبنانية, al-Katā'eb al-Lubnāniyya), o Partito Falangista Libanese, è un partito politico fondato nel 1936 da Pierre Gemayel. Il movimento, nazionalista e a prevalenza cristiano maronita, lottò contro i francesi per l'indipendenza fino al 1943 e costituì milizie armate durante la guerra civile libanese dal 1975 al 1990.
Le Falangi fanno prevalere un'ideologia multi-confessionale nel quadro nazionale unitario, richiamandosi al preteso sostrato fenicio del paese. In pratica, però, le Falangi sono un movimento eminentemente cristiano-maronita e considerato come tale dalla maggioranza dei musulmani libanesi. Benché nazionalista e conservatrice, la formazione mira a costruire uno Stato democratico a forte partecipazione cristiana.[senza fonte]
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » sab gen 22, 2022 8:33 am

Israeliani sinistrati contro l'espansione degli insediamenti ebrei in Giudea-Samaria (Cisgiordania)
https://www.facebook.com/watch/?ref=sav ... 8160829634

הבוקר הותקפו בשומרון פעילי שמאל על ידי מתיישבים רעולי פנים. העימות בין אג׳נדות בחברה הישראלית , והויכוח הישן: ״כיבוש״ - או התיישבות בשטחי אבות השייכים לנו, לא מסתיים. אלו חשים עצמם ״מגיני זכויות אדם ומוסריון עליון של המדינה״, ומנגד אלו בטוחים שלנו ארץ זו, וכל ערעור על כך הוא סיוע לאויב.
ואני שואל אתכם: האם ימין ושמאל יכולים להגיע לאיזשהו אופק משותף, שאינו עימות בלתי נגמר בתוכנו?
״אופק בהסכמה״ שאליו חותרים יחד?
יש ״חיה״ כזו לדעתכם?
מי מעלה כאן פתרון יצירתי וחכם לעניין?

Questa mattina attivisti di sinistra sono stati attaccati in Samaria da coloni mascherati. Il conflitto tra le agende della società israeliana e la vecchia tesi: "Occupazione" - o insediamento nei territori degli antenati che ci appartengono, non finisce. Questi si sentono "Protettori dei diritti umani e della morale superiore del paese", e sono contro la sicurezza del nostro paese sicuro, e ogni appello di costoro è aiuto al nemico.
E vi chiedo: la destra e la sinistra possono raggiungere qualche orizzonte comune, che non sia un confronto senza fine dentro di noi?
"Un orizzonte d'accordo" a chi rompiamo insieme?
Pensi che esista un tale "possibilità di intesa"?
Chi può tirare fuori una soluzione creativa e intelligente a questo problema?



Alberto Pento
Queste terre si chiamano Giudea e Samaria e non Cisgiordania e sono terre ebraiche e questi ebrei non sono coloni ma ebrei che si sono stabiliti in terre ebraiche. Essi lottano per la loro terra, la loro patraia, la loro terra storica e terra promessa, il loro spazio vitale, per poter continuare a vivere e ad esistere come ebrei, come uomini liberi e sovrani ebrei.

Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e occupato alcuna terra altrui e non opprimono nessuno
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 205&t=2825
Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e non hanno occupato nessuna terra altrui, nessuna terra palestinese poiché tutta Israele è la loro terra da 3mila anni e la Palestina è Israele e i veri palestinesi sono gli ebrei più che quel miscuglio di etnie legate dalla matrice nazi maomettana abusivamente definito "palestinesi" e tenute insieme dall'odio per gli ebrei e dai finanziamenti internazionali antisemiti.




Giudea e Samaria: Analisi legale
David Elber
14 Febbraio 2021

http://www.linformale.eu/giudea-e-samar ... si-legale/

La questione relativa alla terra di Giudea e Samaria non è semplice a partire dal nome che si vuole dare a quel piccolo pezzo di terra. Il nome di questa area infatti, come l’intera questione legata ad Israele, è stato fortemente politicizzato nel corso degli anni, quindi già l’utilizzo di un nome al posto di un altro ha assunto connotazioni politiche che travalicano le ragioni storiche e legali. Se qualcuno in Europa o negli USA si riferisce a quei territori con i loro antichi nomi di Giudea e Samaria diventa automaticamente “ultra nazionalista”, “colono” o peggio. Mentre se si utilizzano i nomi più “neutri” di “West Bank” o “Cisgiordania” è sicuramente un uomo di dialogo o un “volenteroso uomo di pace”. Come stanno per davvero le cose?

Per prima cosa è opportuno evidenziare che i termini “Giudea” e “Samaria” sono stati utilizzati per secoli, continuativamente, senza clamori. Anche l’amministrazione britannica li ha utilizzati nel periodo mandatario. Infine, anche la “non capita” Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale fa riferimento a questo territorio con quei nomi. Così come il rapporto dell’UNSCOP con il quale si suggeriva la spartizione del Mandato per evitare la guerra.

Quando nasce il termine West Bank o Cisgiordania in italiano? Molto più recentemente: nel 1950 quando la Giordania decise di annettere queste terre occupate illegalmente nel 1948. Ma come mai un termine molto più recente e frutto di un’aggressione illegale ha soppiantato un nome millenario? Semplice, per la stessa ragione per il quale il termine “Palestina” ha soppiantato il termine “Giudea” nel Secondo secolo dopo Cristo e oggi il termine “Palestina” vuole soppiantare il termine “Israele”: cancellare il legame tra il popolo ebraico e la terra in cui – anche per il diritto internazionale – ha diritto di vivere.

Le fonti del Diritto Internazionale

La più importante fonte di diritto internazionale in merito alla sovranità del popolo ebraico nella terra ad ovest del fiume giordano è il Mandato di Palestina del 1922. L’ufficialità la si ebbe il 16 settembre 1922 con l’approvazione del memorandum britannico con cui si divideva in due unità amministrative il Mandato approvato il 24 luglio dello stesso anno in base all’Articolo 25 del Mandato stesso. Qui si riporta copia del verbale del Consiglio della Società delle Nazioni.

https://www.filarveneto.eu/wp-content/u ... 22-ONU.jpg
Immagine


Il memorandum dice, con espliciti riferimenti topografici, dove passava il confine lungo il fiume Giordano. Quindi essendo Giudea e Samaria ad ovest del Giordano non ci sono dubbi a chi sarebbe appartenuta la sovranità di quella: al popolo ebraico.

Ma l’intera questione è più complessa di come appare. Infatti il Mandato per la Palestina è un atto legale che è un combinato disposto di due principi:

L’autodeterminazione dei popoli in base all’Articolo 22 del Patto della Società delle Nazioni.
La Dichiarazione Balfour che riconosceva il dritto alla creazione di Stato nazionale ebraico in Palestina (diventata legalmente vincolante con la Risoluzione di Sanremo del 1920).

Questi due principi sono inseriti nel Preambolo del Mandato con l’aggiunta fondamentale dello storico legame del popolo ebraico con la terra.

Come si è visto il 16 settembre 1922 sono stati definiti i confini del Mandato in modo certo e definitivo, che si riportano di seguito:

https://www.filarveneto.eu/wp-content/u ... e-1922.jpg
Immagine


La complessità della questione risiede nel fatto che tutto l’impianto dei mandati internazionali era rivolto ai popoli e non alla sovranità territoriale. In parole povere, la struttura del Mandato per la Palestina è stata creata al fine di realizzare l’autodeterminazione del popolo ebraico su una terra che non era “pienamente di sua sovranità” ma lo sarebbe diventata al termine del Mandato stesso. Questo concetto vale per tutti i mandati creati e per tutti i popoli che, nei territori essegnati, vi vivevano. In pratica i mandati erano delle “strutture amministrative provvisorie” create per dare la possibilità di autodeterminazione ai popoli. Allo stesso modo il Libano fu creato per dare uno Stato ai cristiani maroniti, mentre la Giordania, la Siria e la Mesopotamia (Iraq) furono creati per dare degli Stati agli arabi musulmani. Ma di fatto a chi apparteneva la sovranità territoriale? E questo è l’aspetto più importante.

Fino al 1917 all’Impero ottomano. Successivamente alle Grandi Potenze, cioè a Gran Bretagna e Francia, che avevano sconfitto i turchi. Questo punto fondamentale lo si capisce dal fatto che furono loro a firmare il trattato di pace con i turchi, prima a Sevres nel 1920, e poi quello decisivo a Losanna nel 1923 e non la Società delle Nazioni. Infatti, è solo dopo la stipula del Trattato di Losanna che tutti i mandati di categoria A sono entrati in vigore ufficialmente. E questo perché la sovranità, per il diritto internazionale, era passata dalla Turchia alla Francia e alla Gran Bretagna. Inoltre, a ulteriore riprova di questo assunto, basta leggersi tutti i mandati creati per vedere che erano le Grandi Potenze che concedevano i territori ai mandatari e non la Società delle Nazioni, la quale non aveva potere legale per farlo.

La sovranità, di Francia e Gran Bretagna, non era “esclusiva” ma era “limitata”, a “tempo determinato” al fine di accettare il sistema dei mandati nei territori preposti. Concetto che ribadì in modo molto chiaro Lord Balfour in occasione della diciottesima sessione del Consiglio della Società delle Nazioni nel maggio del 1922 quando dichiarò: “ … il Mandato è una auto imposta limitazione dei vincitori [Francia e Gran Bretagna] alla sovranità che hanno ottenuto sui territori conquistati…”.

In pratica la Gran Bretagna accettando i dettami dell’Articolo 22 del Patto della Società delle Nazioni si “auto imponeva una limitazione della propria sovranità territoriale”. A favore di chi? Del popolo ebraico in base ai dettami del Mandato per la Palestina. Quindi era la Gran Bretagna che si auto imponeva una limitazione di sovranità e non la Società delle Nazioni che la imponeva alla Gran Bretagna. Questo passaggio è decisivo per comprendere appieno il valore legale della Risoluzione 181 dell’Assemblea generale dell’ONU.

Se la sovranità, anche se limitata e temporanea, era della Gran Bretagna come poteva l’ONU che era subentrata alla Società delle Nazioni in base all’articolo 80 dello Statuto, disporre di un territorio di cui non possedeva la sovranità? Semplicemente non aveva la minima autorità per poterlo fare. E questo in base al principio di diritto che sancisce: Nemo dat quod non habent. Nessuno può dare ciò che non possiede. È sufficiente leggere la Risoluzione 181 per capire che in nessun passaggio è mai menzionata la decisione di spartire la terra. Si dà solo un suggerimento alla Gran Bretagna e al Consiglio di Sicurezza per “prendere misure” al fine di dividere il territorio allo scopo di evitare un conflitto. E l’ONU non poteva fare diversamente visto che non aveva titolo sul territorio. Chi sostiene la validità legale della spartizione sulla base della Risoluzione 181 prende un enorme abbaglio. In definitiva la continuità di sovranità territoriale passa dall’Impero ottomano alla Gran Bretagna in modo auto limitato e temporaneo, infine al popolo ebraico e con i confini stabiliti con il Mandato per la Palestina in base al principio legale dell’Uti possidetis iuris.

La successiva occupazione giordana del 1948-1967 di parti del territorio mandatario è chiaramente illegale. Questa illegalità di possesso giordana si basa su due palesi violazioni internazionali:

Atto di aggressione militare quando occupò quelle terre nel 1948 contravvenendo alle disposizioni dell’articolo 2 dello Statuto dell’ONU.
Violazione dei termini del cessate il fuoco del 3 aprile 1949 quando decise l’annessione la loro annessione.

Inoltre per il principio dell’Ex iniura non oritur ius; in nessun modo la Giordania poteva vantare, anni dopo l’occupazione illegale, titolarità sui territori di Giudea e Samaria, essendo fin dall’origine una presenza illegale.

Quando nasce, allora, l’accusa infondata nei confronti di Israele di occupare illegalmente quelle terre?

Dopo la guerra dei Sei giorni del 1967. In verità a seguito di quella guerra difensiva, Israele non ha fatto altro che riconquistare terre che già gli appartenevano legalmente anche se non ne aveva il possesso. E se per alcuni giuristi il “non averne possesso” ad indipendenza avvenuta ne inficiava la rivendicazione, la conquista illegale giordana non forniva – ai giordani – maggiore titolo di possesso per il principio legale dell’Ex iniura non oritur ius. Essendo invece la successiva riconquista israeliana frutto di una guerra difensiva perfettamente legale, come stabilito anche dal Consiglio di Sicurezza e dall’Assemblea Generale, dal punto di vista del diritto internazionale, in nessun caso si può parlare di “presenza illegale”. Da tutti i punti di vista Israele è il soggetto che vanta più titoli legali su quella terra.

Quindi per concludere si può affermare che il territorio noto come Giudea e Samaria o Cisgiordania, per il diritto internazionale – secondo il principio dell’uti possidetis – apparteneva ad Israele, come legittimo successore del Mandato per la Palestina del 1922. Ma per 19 anni, tra il 1948 e il 1967, fu occupato illegalmente dalla Giordania senza che mai Israele abbia rinunciato alla sua piena sovranità. Inoltre, nel 1967 la Giordania aggredì militarmente Israele, il quale sconfisse i giordani e riconquistò (non conquistò) i suddetti territori. La disputa territoriale è finita nel 1994 con la firma del trattato di pace tra i due paesi, con il quale la Giordania rinunciava ad ogni rivendicazione territoriale sulla Giudea e Samaria (Cisgiordania).

Mentre per quel che concerne i palestinesi, essi non erano un popolo riconosciuto come tale dal diritto internazionale né nel 1948 né nel 1967. Come tali sono stati riconosciuti dalla comunità internazionale solo nel 1970 (Risoluzione 2672C dell’8 dicembre 1970 – Assemblea Generale). Per questa ragione non possono accampare prerogative su quella terra ex post. Fino a quella data erano “semplicemente” un popolo arabo indistinguibile da giordani o siriani (cosa che è così ancor oggi per lingua e cultura). Il diritto alla terra lo avrebbero potuto avere se avessero accettato le disposizioni della Risoluzione 181, che è bene ribadire che non aveva nessun potere legale in sè, ma che se fosse stata accettata non solo dagli ebrei ma anche dagli arabi avrebbe implementato il diritto in base al principio legale del pacta sunt servanda. Di seguito ci sarebbe stato un preciso iter legale: implementazione da parte del Consiglio di Sicurezza con relativa risoluzione vincolante in base al Capitolo VII. Cosa che non avvenne a causa della guerra voluta dagli arabi.

In conclusione gli arabi (oggi i palestinesi) potevano scegliere tra la guerra e la pace con relativa spartizione della terra (già assegnata agli ebrei con il Mandato di Palestina, la parte assegnata agli arabi era stata già riconosciuta indipendente con lo Stato di Giordania nel 1946) hanno scelto la guerra, l’hanno persa e con essa la possibilità di qualsiasi rivendicazione territoriale. Invocare oggi la Risoluzione 181 per accampare diritti è tentare, come ha magistralmente detto il giurista Julius Stone: “…un’impresa ancora più miracolosa di quanto sarebbe la rinascita dei morti. È un tentativo di dare vita a un’entità che gli stessi Stati arabi avevano abortito prima che arrivasse alla maturità e alla nascita”.

La stessa cosa la si può dire delle varie risoluzioni dell’Assemblea Generale dell’ONU o della famigerata Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza, in quanto nessuna di esse ha il potere di annullare il diritto legale sancito dal Mandato per la Palestina, che può avvenire solo tramite negoziati diretti tra le parti, in base al già citato principio legale del pacta sunt servanda. In aggiunta, il principio del diritto di integrità territoriale di uno Stato è superiore al diritto di autodeterminazione come sancito anche dalla Risoluzione 3314 del 14 dicembre 1974 che definisce gli atti di aggressione. In altre parole, per il diritto internazionale, l’integrità territoriale di uno Stato non può essere messa in discussione dalle rivendicazioni di un popolo che per giunta è diventato tale dopo la creazione dello Stato di cui reclama il territorio retroattivamente.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » gio feb 23, 2023 7:47 pm

DALLA GIORDANIA IL DOCUMENTO CHE DIMOSTRA LA PROPRIETÀ EBRAICA DI SHEIKH JARRAH
25 gennaio 2022

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 8174765883

Un documento redatto dal Ministero degli Esteri giordano dimostra che le proprietà insite nel quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme, sono ebraiche. È un contratto del 1954 che è stato stipulato fra l’Agenzia Onu per i palestinesi, meglio nota come UNRWA, e la controparte giordana ed è stato pubblicato lo scorso anno dall’agenzia Petra News. Nell’accordo oltre a stabilire la creazione di unità abitative per ventotto famiglie, era scritto chiaramente che “saranno costruite nel quartiere di Sheikh Jarrah di Gerusalemme su proprietà precedentemente ebraiche affittate dal Custode delle Proprietà Nemiche al Ministro dello Sviluppo ai fini di questo progetto”.

https://www.filarveneto.eu/wp-content/u ... JARRAH.jpg
Immagine




Gino Quarelo

Il testo non mi è molto chiaro:
... È un contratto del 1954 che è stato stipulato fra l’Agenzia Onu per palestinese, meglio nota come UNRWA, e la controparte giordana ed è stato pubblicato lo scorso anno dall’agenzia Petra News. Nell’accordo oltre a stabilire la creazione di unità abitative per ventotto famiglie, era scritto chiaramente che “saranno costruite nel quartiere di Sheikh Jarrah di Gerusalemme su proprietà precedentemente ebraiche affittate dal Custode delle Proprietà Nemiche al Ministro dello Sviluppo ai fini di questo progetto”.
1) stipulato dall'UNRWA per conto dei palestinesi ?
2) case costruite per i palestinesi ?
3) su proprietà precedentemente ebraiche che poi hanno smesso di esserlo per qualche ragione non meglio specificata?
4) propietà affittate dal Custode delle Proprietà Nemiche al Ministro dello Sviluppo ai fini di questo progetto, ma chi sarebbero mai questo Custode e questo Ministro, forse israeliani?
5) l'affitto riguardava solo il terreno su cui poi saranno erette le case per i palestinesi o anche per le case stesse e chi doveva pagarlo o avrebbe dovuto pagarlo questo affitto o affitti forse il Ministro israeliano dello Sviluppo?
6) ma i palestinesi a cui sarebbero andate le case che avrebbero abitato, dovevano anch'essi pagare l'affitto e a chi, con un contratto che qui non è specificato?
7) forse il Custode e il Ministro sono giordani e allora si spiega quel "su proprietà precedentemente ebraiche";
8 ) sarebbe il caso di spiegare e raccontare gli sviluppi successivi quando l'area è passata/ritornata sotto il dominio e il controllo di Israele ... con quindi il ritorno della proprietà agli ebrei, ma resta l'incognita dell'affitto chi avrebbe dovuto parlo, la Giordania o i palestinesi che abitavano queste case?


I FATTI E I TRAVESTIMENTI

Niram Ferretti
10 maggio 2021

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

"La Corte Suprema ha rinviato la decisione sul possibile sfratto di una ventina di famiglie che vivono nelle zone di Sheikh Jarrah e Silwan dopo che alcune organizzazioni di coloni oltranzisti hanno ottenuto dal tribunale la conferma del diritto di proprietà sugli edifici: appartenevano a ebrei prima della nascita dello Stato d’Israele nel 1948, i palestinesi ci abitano da almeno sessant’anni".
Così l'imparziale, neutro, oggettivo Davide Frattini, il corrispondente in Israele non de "Il Manifesto" ma de "Il Corriere della Sera".
"Coloni oltranzisti" è un abbinamento che fa un certo effetto. Già c'è il "colono", brutta specie, poi, quando è oltranzista è addirittura feccia umana. Dall'altra parte ci sono i buoni. I palestinesi che nelle case di Sheikh Jarah ci abitano da "almeno sessant'anni".
I coloni oltranzisti vogliono cacciarli. Siamo in piena telenovela. Va avanti dal 1967, e non ha mai smesso un giorno. Pulizie etniche, genocidi, eccidi, israeliani con le mani grondanti di sangue raffigurati come nazisti, ecc. ecc.
Ieri Progetto Dreyfus ha elencato in modo protocollare i fatti.
"Secondo la Corte Suprema, la terra in questione, era di proprietà del rabbino capo (Hacham Bashi) Avraham Ashkenazi e del rabbino capo Meir Orbach. Fu acquistata nel 1875 da cittadini arabi, all’epoca Gerusalemme era sotto l’occupazione Turca (1872-1917).
Dopo l’acquisto, la terra rimase sotto la proprietà di Avraham Ashkenazi e Meir Orbach, fino alla prima guerra d’indipendenza dello Stato di Israele avvenuta nel 1948.
Due anni prima, nel 1946, le organizzazioni ebraiche, Va’ad Eidat HaSfaradim e Va’ad HaKlali L’Knesset Yisrael, durante il Governo del Mandato Britannico (1920-1948), si attivarono per la registrazione di questo terreno.
Nel 1973, le proprietà sono state registrate presso le autorità israeliane sotto queste due organizzazioni. Le stesse organizzazioni, nel 2003 hanno venduto le proprietà all’organizzazione Nahalat Shimon.
Secondo una decisione dell’Alta Corte del 1979, e riaffermata ripetutamente nei casi successivi, come nel caso di qualsiasi inquilino che vive sulla proprietà di qualcun altro, i residenti che vivevano sul terreno di proprietà delle due organizzazioni sopra citate erano tenuti a pagare l’affitto alle stesse organizzazioni , visto che possedevano la titolarità delle proprietà.
La loro incapacità di farlo, insieme a casi di costruzione illegale e affitto illegale di proprietà ad altri, ha portato all’attuale procedimento legale contro di loro, culminato nella decisione del Tribunale Distrettuale.
Nel 1982, un certo numero di residenti, compresi quelli i cui discendenti si appellarono al Tribunale Distrettuale, concordarono con la Corte che le due organizzazioni no profit israeliane erano i proprietari legali della terra".
Vuoi però mettere i fatti, nudi, crudi, poveri di attrattiva, con il travestimento sgargiante della propaganda? Con l'irresistibile romanzo nero su Israele?
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Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » gio feb 23, 2023 7:48 pm

L'occupazione secondo il diritto internazionale
28 maggio 2022

http://www.linformale.eu/loccupazione-s ... nazionale/

Cercheremo qui di fornire al lettore alcuni elementi per capire se per il diritto internazionale una occupazione territoriale è sempre illegale, o se può essere perfettamente legale. Infine cercheremo di spiegare come il concetto stesso di “occupazione” è cambiato nel corso degli ultimi decenni con la creazione dell’ONU.

Prima di addentrarci compiutamente nell’argomento è utile per i lettori conoscere alcuni dati relativi all’utilizzo dei termini “occupazione” o “territori occupati” utilizzati dall’ONU a partire dal 1946 tramite i propri organi, a partire dal Consiglio di Sicurezza e dall’Assemblea Generale fino alle meno importanti agenzie onusiane. Una interessante indagine in questo senso è stata compiuta, alcuni anni fa, dal giurista americano Eugene Kontorovich e dal suo staff. I dati emersi dal loro lavoro sono sconcertanti. Kontorovich ha scoperto che l’ONU ha utilizzato i termini di “occupazione” o “territori occupati” circa 2.600 volte in relazione a tutti i casi mondiali di “occupazione” e in tutti i casi – tranne 16 volte – i termini sono stati utilizzati in riferimento al solo Israele. Se a questi dati aggiungiamo il fatto che Israele è accusato di “occupare” dei territori a partire dal 1967 e i dati ONU partono dal 1946 si può ben comprendere come Israele, uno dei più piccoli Stati del mondo, sia visto di fatto come l’”unico” Stato occupante al mondo dalla Seconda guerra mondiale ad oggi.

Evidentemente, per l’ONU, non c’è mai stata l’occupazione di parte di Cipro, dell’Afghanistan, di parte dell’Ucraina, della Cambogia, di Timor Est, del Tibet, del Vietnam, del Nagorno Karabakh e di altre decine di territori sparsi per il mondo per breve o lungo periodo. Una conseguenza diretta di questa “politica” (da non confondere con il diritto internazionale) da parte del più importante organo internazionale è la sua ricezione acritica dalla quasi totalità dei media. Per queste ragioni l’opinione pubblica mondiale è portata a credere con convinzione che Israele sia uno Stato “occupante” (anzi l’unico), o “colonialista” o perfino “imperialista”. Se è certificato dall’ONU rimangono pochi spazi per i dubbi.

Qui non entreremo in merito alla falsa accusa di “occupazione” attribuita a Israele, questione della quale L’Informale si è occupato in numerosi articoli, ma vedremo semplicemente come si è evoluto il concetto di “occupazione” e di “annessione” nel diritto internazionale a partire dalla Seconda guerra mondiale.

Per prima cosa è importante conoscere la fonte del concetto di occupazione nel diritto internazionale. La definizione di occupazione, si trova nell’Art. 42 della Convenzione dell’Aia del 1907, che recita:

«Un territorio è da considerarsi occupato quando si trova sotto l’autorità di un esercito ostile. L’occupazione si applica solo al territorio, dove questa autorità è stabilita e può essere esercitata.»

In pratica, la Convenzione dell’Aia, stabilisce che c’è occupazione quando esiste un “effettivo” controllo di un esercito su un determinato territorio e sulla relativa popolazione che vi abita. Di questo principio esistono due principali interpretazioni: una, più restrittiva, della Corte Internazionale di Giustizia (sentenza del 2005 sul caso Congo Vs Uganda) e una più ampia del Tribunale di Norimberga. Entrambe sottolineano il requisito della presenza delle forze armate sul territorio.

Sono, quindi, tre le condizioni necessarie affinché si possa parlare di occupazione:

Un esercito “fisicamente” dislocato nel territorio.

Il legittimo governo non è in grado di esercitare il potere amministrativo nel territorio e sulla popolazione.

Quindi il primo, e il più importante principio del diritto internazionale relativo all’occupazione, è riferito all’occupazione da parte di uno Stato di un territorio sovrano di un altro Stato. In pratica il prerequisito fondamentale affinché si possa parlare di occupazione territoriale è che l’occupante e l’occupato (parzialmente o totalmente) siano due Stati riconosciuti. Come vedremo non vi possono essere altri casi.

Nel 1947 l’ONU, tramite l’Assemblea Generale, decise di creare la “International Law Commission” per sviluppare e codificare il diritto internazionale. Tra i compiti assegnati alla Commissione, ci fu quello di dare una interpretazione ai principi contenuti nello Statuto dell’ONU che fosse condivisa e vincolante per tutti gli Stati che entravano a far parte di questa organizzazione mondiale.

Uno degli argomenti più dibattuti e discussi fu la legalità dell’acquisizione territoriale da parte di uno Stato belligerante. Tra i risultati più importanti raggiunti dalla Commissione ci fu quello di redigere due codici di diritto internazionale: 1) il “A draft declaration on the rights and duties of states” del 1949 e 2) il “A draft code of offences against the peace and securiry of Mankind” del 1954. Il secondo testo in particolare è la codificazione dei principi contenuti nei processi di Norimberga e fatti propri dall’ONU con la risoluzione 177 dell’Assemblea Generale.

Durante la stesura di questi due codici si svolse, tra i giuristi incaricati di redigerli, un ampio e approfondito dibattito in merito alla legalità dell’acquisizione territoriale – conquista e annessione – tramite la guerra. Tra i principali punti emersi durante la stesura dei codici, ci fu quello relativo all’articolo 2 dello Statuto dell’ONU che proibisce la guerra come strumento di conquista. In passato questa pratica era generalmente accettata secondo il principio generale dell’uti possidetis de facto. Ora la Commissione stabiliva che per il diritto internazionale non tutte le acquisizioni territoriali ottenute con la forza erano legali, ma, altresì, stabiliva che le acquisizioni territoriali avvenute tramite una guerra difensiva, erano perfettamente legali. Erano illegali sono quelle ottenute con una guerra d’aggressione. Da questo momento in avanti, per il diritto internazionale, si creava la netta distinzione tra occupazione illegale e occupazione legale, quest’ultima poteva fornire ad uno Stato il diritto ad annettersi un territorio di un altro Stato.

Questo importante principio fu originato dalla situazione territoriale emersa dalla Seconda guerra mondiale, soprattutto in Europa, dopo la sconfitta della Germania e dei suoi alleati. Tra i tanti esempi di territori occupati e annessi dopo il secondo conflitto mondiale, si possono ricordare le annessioni da parte dell’URSS, della Polonia, della Cecoslovacchia ma anche da parte di Francia, Jugoslavia, Olanda, Belgio e Danimarca. Tutte queste acquisizioni territoriali furono ottenute secondo il principio della guerra difensiva e del principio secondo il quale uno Stato aggredito e vittorioso doveva “essere in qualche modo ricompensato” soprattutto in termini di maggiore sicurezza rispetto alla situazione antebellum. E’ da rimarcare che in nessun caso gli aggiustamenti di frontiera e le annessioni furono fatti consultando la locale popolazione per sapere il loro parere in merito. Anzi il più delle volte furono portate avanti, soprattutto nell’Europa dell’Est, vere e proprie campagne di pulizia etnica per rendere questi territori il più etnicamente omogenei (solo i tedeschi che lasciarono le proprie case e i propri beni nei nuovi Stati furono oltre 14 milioni). Tutto ciò fu considerato lecito dalla comunità internazionale. Quindi per tutti i giuristi dell’epoca era comune pensare che i cambiamenti “forzati” di territorio con uso della forza fossero leciti mentre erano illegali sono quelli palesemente ottenuti con atti di deliberata aggressione.

Questo modo di interpretare l’annessione legale o illegale in base ad atto difensivo o di aggressione è cambiato nel corso del tempo, soprattutto a partire dagli anni ’70. Infatti, è dai primi anni ’70 che la maggior parte dei giuristi ha preferito assumere una posizione molto più rigida in materia perché si temeva che alcuni Stati potessero usare il pretesto di una possibile minaccia di aggressione per nascondere delle velleità di conquista.

Un altro principio molto importante scaturito da questi codici di diritto internazionale fu che solo la conquista del territorio appartenente ad uno Stato da parte di un altro Stato era proibita se avvenuta con atto di aggressione, mentre nel caso di territori che non erano di sovranità di altri Stati (terra nullis), territori disputati o sotto mandato, quest’ultimo non rientrassero nel principio di proibizione. Nella stesura definitiva del codice del 1954, A draft code of offences against the peace and securirty of Mankind, si adottava, in modo unanime, la seguente dichiarazione: “E’ bandita l’annessione operata dalle autorità di uno Stato del territorio appartenente ad un altro Stato tramite atti contrari al diritto internazionale”. L’unico riferimento preso in considerazione dai giuristi fu quello relativo al territorio legalmente appartenente ad un altro Stato e non gli altri casi.

E’ da sottolineare che il codice non fu mai ratificato dagli Stati per diventare un trattato vero e proprio e quindi diritto internazionale a tutti gli effetti, ma, in ogni caso, rivela il cambiamento in corso nell’opinione dei giuristi in merito a questa pratica. Nel tempo è diventata una consuetudine ma ha lasciato aperta la porta a molte interpretazioni sui singoli casi di annessione. Si può sottolineare ad esempio che quando la Risoluzione 242 fu promulgata nel ’67 l’opinione della maggioranza dei giuristi più autorevoli vedeva l’acquisizione territoriale tramite l’uso della forza, in caso di guerra difensiva, come pienamente plausibile, soprattutto nel caso di territori “contesi”. Questo pensiero giuridico era presente anche nella “Speciale Commissione ONU” incaricata dall’Assemblea Generale nel 1963 di redigere i principi di diritto internazionale sfociati poi nella Risoluzione 2625 del 1970 intitolata “Dichiarazione sui principi di diritto internazionale sulle relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati”. Questa risoluzione è il primo documento nel quale si fa esplicita menzione di divieto – in tutti i casi – dell’uso della forza per acquisire un territorio. E’ importante notare che dal 1963 al 1970 in seno alla Commissione vi fu un grande dibattito tra i vari rappresentanti e molti di essi erano favorevoli all’uso della forza in talune circostanze e rimanevano ancorati alla possibilità di acquisire dei territori con una guerra difensiva, per questo motivo non fu raggiunto nessun accordo fino al 1970 e poco prima della promulgazione della risoluzione. Nelle discussioni all’interno della Commissione, che durarono quasi un decennio, molto peso ebbe la pratica utilizzata dagli Stati alla fine della Seconda guerra mondiale di annessione di territori degli Stati sconfitti.

In merito a quanto descritto appare del tutto evidente che concetti come “occupazione” o “annessione” nel diritto internazionale non sono sempre stati i medesimi ma sono mutati in modo sostanziale nel corso degli ultimi decenni. Il fatto che ancora oggi non esista un trattato internazionale che disciplini la materia in modo chiaro e privo di ambiguità, ma sia tutto lasciato a dei principi generali e alla pratica degli Stati come diritto consuetudinario è una chiara manifestazione di visioni differenti tra gli Stati in materia.
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Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » gio feb 23, 2023 7:48 pm

Ebrei a Gerusalemme nell'800

https://www.facebook.com/emanuel.segrea ... 2887691459

Gli ebrei 150 anni fa acquistarono le terre in prossimità del Monte del Tempio in un’area denominata Silwan (della quale si è parlato dopo l’attentato compiuto da un tredicenne) e in questa fotografia sono ripresi alcuni di loro.
Dopo il pogrom del 1936 furono cacciati dagli arabi e adesso se sono qui gli ebrei vengono definiti coloni da un Occidente che non vuole approfondire le realtà.
Ringrazio Sergio che mi ha fatto pervenire questa fotografia

https://www.filarveneto.eu/wp-content/u ... ell800.jpg
Immagine


Antonio Melai
In altre parti di Gerusalemme gli ebrei legittimi proprietari non riescono a tornare in possesso dei propri beni occupati illegalmente dagli arabi, neanche in via giudiziale.
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Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » gio feb 23, 2023 7:49 pm

Quando la politica usurpa il diritto
David Elber
23 Febbraio 2023

http://www.linformale.eu/quando-la-poli ... l-diritto/

Per capire come la politica possa usurpare il diritto, è indispensabile studiare il caso dell’OLP e dei “territori palestinesi occupati”. Si tratta di un caso da manuale a dimostrazione di come i fatti, la storia e il diritto vengano capovolti e riscritti per alterare la percezione dei fatti reali nell’opinione pubblica.

In questo modo, oggi, vi è la convinzione maggioritaria in base a quanto viene affermato dai mass media e dai politici, che esista uno Stato palestinese “occupato” da Israele. Si tratta di un dato ormai acquisito anche se nessuno è in grado di fornire i dettagli dei confini dello Stato palestinese, della sua capitale, di un suo presidente o di un primo ministro o anche di un despota che lo abbia governato. Si sente parlare confusamente di “confini del ‘67”, di “territori palestinesi occupati” (tesi in voga anche all’ONU e nella UE) o di “Gerusalemme capitale di due Stati”.

In estrema sintesi ripercorreremo alcune tappe storiche e fattuali per comprendere come si è giunti alla convinzione che esista uno “Stato di Palestina occupato da Israele”.

Come punto di partenza si farà riferimento alla fine del Mandato per la Palestina del 1922 e la nascita di Israele nel 1948. Il Mandato per la Palestina era stato istituito dalla comunità internazionale al fine di creare uno Stato per il popolo ebraico. In modo da evitare una guerra civile, nel 1947 l’ONU aveva suggerito di dividere il territorio già assegnato agli ebrei, per creare uno Stato ebraico e uno arabo. Questa proposta venne rifiutata dagli arabi che diedero vita alla guerra con il pieno sostegno di 5 Stati arabi che invasero il nascente Stato di Israele. Il risultato della guerra di indipendenza di Israele fu che i territori di Giudea e Samaria furono conquistati dalla Giordania e il territorio della Striscia di Gaza dall’Egitto. Nel 1950 la Giordania, poi, si annesse i territori occupati assieme alla parte est di Gerusalemme. Questa situazione si protrasse fino al 1967.

Durante questi anni non esisteva ancora un popolo palestinese ma abitanti arabo-palestinesi cioè popolazioni arabe che risiedevano nel territorio mandatario di Palestina. Nulla li distingueva dagli abitanti arabi di Giordania, Libano, Siria o Egitto. Dopo l’annessione giordana, a tutti gli arabi di Giudea e Samaria venne concessa la cittadinanza giordana. Fin dal 1949 iniziarono attacchi terroristici contro la popolazione civile israeliana. Tra le varie organizzazioni terroristiche arabo-palestinesi quella che catalizzò il maggiore successo e presa sulla popolazione araba fu l’OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina). Nata nel 1964 si dotò di un comitato centrale e di un proprio statuto. La cosa interessante dello statuto è che in esso si dichiarava di non volere esercitare alcuna sovranità territoriale sulla West Bank (in nome dato ai giordani a Giudea e Samaria dopo la loro occupazione) e sulla Striscia di Gaza, mentre si dichiarava la volontà di distruggere Israele.

Appare evidente che nel 1964 agli arabi-palestinesi non interessava la costituzione di un proprio Stato indipendente ma piuttosto la distruzione di un altro Stato. La rinuncia alla sovranità del territorio in “mano Araba” e la relativa rinuncia a contrastarne l’occupazione si accompagnava all’analogo atteggiamento della comunità internazionale che non denunciò mai formalmente l’occupazione giordana e egiziana dei “territori palestinesi”. Le cose cambiarono radicalmente dopo il 1967.

A conclusione della guerra dei Sei giorni, Israele riuscì a riprendersi i territori di Giudea, Samaria e Gaza che il diritto internazionale, fin dal 1922, aveva assegnato al popolo ebraico. La cattura da parte di Israele dei territori portò a un cambiamento epocale nella percezione internazionale di Israele. Soprattutto in virtù della propaganda sovietica, lo Stato ebraico iniziò a essere dipinto come uno Stato “imperialista” e “colonialista”. Il cambiamento di paradigma si rese palese nel nuovo statuto dell’OLP, all’interno del quale sono numerosi i riferimenti “all’entità sionista imperialista”, mentre sparisce l’articolo relativo alla rinuncia alla sovranità nella West Bank e a Gaza (ex Art. 24).

Grazie alla macchina propagandistica sovietica l’OLP e il suo leader Arafat iniziarono a diventare nella percezione internazionale un movimento di liberazione nazionale (di tutta la “Palestina”). Ciò avvenne attraverso un formidabile strumento politico: l’Assemblea Generale dell’ONU. In quella sede, nel 1970 venne sancito il riconoscimento di un “popolo palestinese” distinto dalle altre popolazioni arabe pur non avendo nulla (lingua, cultura, tradizioni proprie ecc,) che li distinguesse dagli altri. Il passo successivo fu l’approvazione della Risoluzione 3236 del novembre 1974 nella quale, tra le varie cose, si affermavano gli inalienabili diritti del popolo palestinese alla sovranità sulla Palestina.

Non essendo descritti i confini di questa entità statale per gli arabi e i loro sostenitori si trattava di tutto il territorio mandatario, quindi di un superamento della Risoluzione 181 del 1947 con la quale si proponeva di spartire il Mandato di Palestina. Ormai per Israele non c’era più posto. In virtù delle pressioni arabe, soprattutto tramite l’arma del ricatto petrolifero, anche in Occidente l’OLP iniziò ad avere maggiori sostenitori mentre Israele veniva percepito sempre più come “un fastidio” che poteva anche essere sacrificato. Iniziò così dopo il 1973 una potente campagna di delegittimazione dello Stato ebraico che perdura a oggi. Essa ha assunto due forme principali: l’ accusa di “occupazione illegale” e di “costruzione illegale di insediamenti ebraici”. Va subito precisato che le due accuse non sono corroborate da nessuna reale violazione del diritto internazionale ma sono di mera natura politica. Da esse, nel corso degli anni, ne sono progressivamente discese a cascata: crimini di guerra, crimini contro l’umanità e apartheid. Anche queste, come le prime, totalmente destituite di fondamento. Contestualmente l’organizzazione terroristica OLP, tramite l’Assemblea Generale, si trasformava in un rispettabile attore politico. Nel 1974 diventava ufficialmente il riconosciuto rappresentante del popolo palestinese. Sempre nel 1974 le veniva riconosciuto lo status di osservatore all’ONU con il quale poteva partecipare alle assemblea annuali dell’organizzazione.

Un enorme salto di qualità ci fu nel 1988 quando l’OLP con la propria “Dichiarazione di Algeri” proclamò la nascita dello “Stato di Palestina”, che ovviamente sostituiva quello ebraico. Fu un atto ben accolto dalla comunità internazionale. Il 15 dicembre 1988 l’Assemblea Generale con la Risoluzione 43/177 riconosceva la dichiarazione di indipendenza dello “Stato di Palestina” con ben 104 voti favorevoli. Contestualmente a questa votazione, il Segretario di Stato USA, George Shultz, rilasciava un’intervista al New York Times nella quale dichiarava per la prima volta che gli USA avrebbero aperto un “canale diplomatico” con l’OLP. Si trattò di fatto del riconoscimento USA nei confronti dell’organizzazione terroristica quale unico rappresentante del popolo palestinese e che aprì la strada agli Accordi di Oslo del 1993-95, nei quali si sempre e solo fatto riferimento a un accordo tra le parti e mai ad atti unilaterali. Il passo successivo fu la creazione dell’Autorità Palestinese creata dagli Accordi per amministrare il territorio di Giudea, Samaria e Gaza dove vive la popolazione palestinese.

Una conseguenza di queste aperture, sfociate negli Accordi di Oslo, fu una diversa percezione del contenzioso tra arabi ed ebrei. Quel potente strumento politico che è l’ONU, tramite le sue numerose agenzie, iniziò ad accusare Israele non più di “occupazione illegale di territori arabi” ma bensì di “occupazione illegale di territori palestinesi”, definizione, prontamente, ripresa anche dalla UE. Avvenne dunque per la prima volta nella storia che uno Stato mai esistito diventava occupato e veniva ammesso all’Assemblea Generale dell’ONU come “Stato non membro osservatore” (29 novembre 2012 Ris. 67/19). È superfluo aggiungere che non sussistono le minime basi legali né per la definizione di “territori palestinesi occupati” né per potere ammettere un non-Stato all’ONU. Ma la politica può arrivare dove il diritto si ferma.

In questo modo il principio universalmente accettato di accordo tra le parti è stato soppiantato da azioni politiche unilaterali, favorite dall’Assemblea Generale dell’ONU, che nulla hanno a che vedere con il diritto. Tutto ciò ha portato a un irrigidimento della posizione palestinese la quale ha cessato di trattare ponendo delle precondizioni negoziali che di fatto rendono impossibile ogni ulteriore accordo. Inevitabilmente l’opinione pubblica è stata ingannata e portata a considerare Israele come la parte illegittima e conquistatrice.

Come conseguenza di tutto ciò, oggi l’opinione pubblica, nella sua grande maggioranza, crede che sia esistito uno Stato palestinese e che questo sia “occupato illegalmente” da Israele. Diventa perciò ancor più importante conoscere i fatti, la storia e usare con precisione i termini per capire quando essi vengono usati fraudolentemente.




Democrazia etnica, apartheid e dhimmitudine

http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 141&t=2558


Dalla parte degli ebrei e di Israele che è la loro terra da migliaia di anni
viewtopic.php?f=197&t=3027#p40658

https://www.facebook.com/Pilpotis/posts ... gkQBq2sN7l
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Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » lun lug 31, 2023 7:26 pm

All'origine del mito dei "territori occupati"
David Elber
26 Maggio 2023

http://www.linformale.eu/allorigine-del ... pMxzi2G1Jw

Nel corso degli ultimi anni si è talmente radicata la convinzione che Israele “occupi” i territori di Giudea e Samaria che questa tesi è diventata una certezza in tutti i contesti relativi a Israele e/o al Medio Oriente. Tale convinzione è talmente radicata anche negli ambienti ebraici della diaspora e in Israele stesso – soprattutto in quelli di sinistra – che la si considera una certezza fattuale.

Da questo concetto di “occupazione” sono discese diverse altre affermazioni politiche come: “occupazione illegale”, “occupazione dei territori palestinesi”, “insediamenti illegali” e “insediamenti ostacolo alla pace” e concetti affini.

Del fatto che non si possa parlare di “occupazione” ne tanto meno di “occupazione illegale” ne abbiamo parlato diverse volte qui su L’Informale (http://www.linformale.eu/loccupazione-s ... azionale/; http://www.linformale.eu/giudea-e-samar ... i-legale/; http://www.linformale.eu/la-terra-di-is ... nazionale/). Qui ci occuperemo solamente del motore primo di tale mito, cioè di come è nata questa autentica leggenda che, nel corso dei decenni, è diventata un formidabile strumento per delegittimare Israele, soprattutto, ad opera di numerose amministrazioni USA, poi da parte dell’ONU e della UE.

Questa fiction, dai devastanti risvolti politici, nasce all’indomani della guerra dei Sei giorni con la quale Israele, benché aggredito da numerosi paesi arabi, riuscì a riconquistare i territori di Giudea e Samaria in quel momento occupati illegalmente, fin dal 1948, dalla Giordania. Il regista della fiction è Meir Shamgar, l’allora avvocato generale dell’esercito di Israele, poi diventato procuratore di Stato e presidente della Corte Suprema. E’ lui che decide che tutti i territori conquistati da Israele al termine della guerra saranno amministrati allo stesso modo: secondo quanto disposto dalle Convenzioni dell’Aia e di Ginevra che regolano i territori occupati dopo un conflitto. Questo a prescindere dal fatto che i vari territori conquistati da Israele (Giudea, Samaria, Striscia di Gaza) già appartenevano al popolo ebraico per il diritto internazionale e quindi dovevano essere amministrati in modo differente (in base alla legge civile israeliana) rispetto agli altri territori conquistati (Golan e Sinai) che dovevano essere amministrati, per il diritto internazionale, secondo i dettami dell’occupazione militare. Senza ombra di dubbio le pressioni internazionali giocarono un ruolo molto importante in questa decisione ma l’errore legale è da attribuire in ultima analisi a Shamgar e all’esecutivo di unità nazionale presieduto da Levi Eshkol. Infatti, quando fu presa questa decisione (che non ha basi nel diritto internazionale) poche settimane dopo la fine dei scontri armati, lo stesso esecutivo decideva per l’estensione della sovranità israeliana nella parte est di Gerusalemme (28 giugno 1967) con il Law and Administration Ordinance (Amendment No. 11). Perché questo doppio standard? Se erano territori “occupati” quelli di Giudea e Samaria lo era senza dubbio anche la parte est di Gerusalemme. La ragione fu squisitamente politica: mentre Gerusalemme non era negoziabile per l’esecutivo Eshkol, i territori di Giudea e Samaria lo erano. Questo almeno fino ai tre no di Khartoum nel settembre del ’67. Questo azzardo politico doveva essere corretto subito dopo l’intransigenza araba a non voler riconoscere Israele, la cosa non fu fatta e oggi si raccolgono i frutti di questa scellerata decisione. Tanto è vero che quando fu presa la decisione di amministrare Giudea e Samaria in base alle leggi di guerra, essa fu motivata dall’esecutivo non tanto perché era obbligato a farlo ma perché era più “utile” farlo. Infatti, nella motivazione resa pubblica (“Legal Concepts and Problems of the Israeli Military Government – the Initial Stage”) non c’è nessun riferimento alle leggi internazionali che obbligavano a farlo ma solo alla decisione governativa di farlo: in pratica il governo di Israele dichiarava che non era tenuto a farlo ma lo faceva perché era meglio per la popolazione. Però il governo non si premurò di spiegare perché Israele aveva tutti i diritti legali su quelle terre: la Risoluzione di Sanremo del 1920 e i dettami del Mandato per la Palestina del 1922 cioè le stesse basi legali della presenza ebraica in tutta la terra ad ovest del Giordano.

Questo fu solo il primo di una serie di clamorosi abbagli che hanno portato al mito dei “territori occupati”. L’equivalente accademico dell’errore politico del governo Eshkol, fu il lavoro del prof. Yoram Dinstein dell’Università di Tel Aviv (uno dei professori di diritto più rinomati di Israele). La sua tesi fu espressa in modo chiaro nell’articolo “Zion shall be Redeemed in International Law”, che fu pubblicato nella rivista HaPraklit nel marzo del 1971. In esso Dinstein sosteneva che Israele era una forza occupante perché il territorio apparteneva “legalmente alla Giordania” anche se l’aveva acquisito tramite una guerra d’aggressione (quindi illegalmente). Il motivo addotto? Secondo lui la Risoluzione 181 (che non ha nessun valore legale) dava al popolo palestinese (all’epoca ancora inesistente) il diritto di scegliere chi dovesse amministrare il territorio affidato agli arabi dalla comunità internazionale (anche se non aveva il potere legale per farlo), e i notabili arabi (che in realtà non avevano nessun potere decisionale) scelsero la Giordania anche se ex post l’invasione (e a prescindere dalla reale volontà della locale popolazione). Perciò, sulla base di queste inesistenti motivazioni legali, Israele diventava, per il professore di Tel Aviv, una “potenza occupante” e i territori di Giudea e Samaria “territori occupati”. Questa tesi molto creativa, con alcune varianti, fu poi ripresa da molti giuristi israeliani, formatisi alla scuola di Dinstein, e soprattutto dal consulente legale dell’amministrazione Carter, Herbert Hansell, che nel 1978 scrisse il suo famoso memorandum che è divenuto la base della posizione politica ufficiale americana in merito ai “territori” e agli “insediamenti”. Nel suo memorandum Hansell sosteneva che Israele era una “potenza occupante” e quindi gli “insediamenti violavano l’articolo 49 (6) della IV Convenzione di Ginevra. Va sottolineato che queste conclusioni sono state applicate unicamente ad Israele, tanto è vero che il giurista americano non fa nessun altro esempio per corroborare la propria tesi. Questa tesi, tuttavia, fu immediatamente fatta propria dall’ONU, dalla CEE e da gran parte della comunità internazionale.

Una cosa importante va evidenziata: sia nell’articolo di Dinstein che nel memorandum di Hansell la posizione di Israele da “occupante” a “legittimo sovrano” dei territori poteva avvenire in caso di accordo di pace con la Giordania, cosa che effettivamente avvenne nel 1994 con il trattato di pace tra Israele e Giordania con il quale la Giordania rinunciava formalmente alla sovranità su Giudea, Samaria e Gerusalemme (anche se non l’ha mai avuta legalmente), ma nonostante ciò, per la comunità internazionale, Israele è ancora una “potenza occupante”. Questo fatto fa ben comprendere i danni politico-diplomatici causati da un inesistente mito creato all’interno di Israele stesso. Nessuno si è mai prodigato a verificare la fondatezza di tale accusa: può bastare l’accusa in sé per demonizzare Israele, anzi il suo scopo era proprio questo.

Un’altra importante puntata di questa fiction pseudo legale, l’ha fornita la Corte Suprema di Israele grazie al suo Presidente di allora: Aharon Barak. Questi in almeno due sentenze (the case of Beit Sourik Village Council v. the Government of Israel, HCJ 2056/04 (judgment rendered on June 30, 2004); case of Gaza Coast Regional Council v. Knesset of Israel, HCJ 1661/05 (judgment rendered on June 9, 2005), ha dichiarato Giudea, Samaria e Gaza come “territori occupati” senza fornire alcuna informazione in merito a chi detenesse la sovranità prima della presunta “occupazione” israeliana. In pratica per Barak, Israele ha “occupato dei territori” senza che specificare a chi appartenessero precedentemente. Qui, bisogna ricordare che il termine “occupazione” è un termine legale e quindi non lo si può usare a casaccio come fanno i politici, gli esperti e i giornalisti per meri scopi propagandistici. Quando un giudice usa il termine “occupazione” deve fornirne tutti i dettagli legali. Tale modo di procedere è stato utilizzato contestualmente anche dalla Corte di Giustizia Internazionale in occasione della suo parere consultivo a proposito della barriera di sicurezza del 2004. Ciò fa ben capire come il diritto – solo nel caso di Israele – sia stato nei fatti soppiantato dalla fiction.

La conseguenza di tutto questo è stata quella du avere spostato subito a livello internazionale la suddetta tesi (l’occupazione) ingigantendola in modo sempre più accusatorio e falso: dai “territori occupati” si è passati nel corso degli anni al concetto di “occupazione illegale”, poi di “occupazione illegale dei territori palestinesi” e via via al concetto “insediamenti illegali” o “insediamenti ostacolo alla pace” anche se il concetto di “insediamento” nemmeno esiste nel diritto internazionale.

Come risulta chiaro da quanto esposto, un termine legale (occupazione) è stato deformato per diventare strumento politico e morale per accusare Israele di agire in modo abietto: appunto occupare illegalmente un territorio che non gli appartiene.

Questa convinzione generale ha avuto, come specificato all’inizio, la sua origine in seno allo Stato ebraico, non gli è stata applicata da nemici esterni. Costoro hanno soltanto trovato pronto su un vassoio d’argento il corpo contudente che non hanno mai smesso di utilizzare.





"Benvenuti a Tel Aviv nella Palestina occupata": Ryanair non ha ancora chiesto scusa
Commento di Deborah Fait
Testata: Informazione Corretta
Data: 19 giugno 2023

Forse la notizia, anche se gravissima, è passata inosservata visto che non c’è stata eco sui giornali. O forse cose come cancellare, seppur verbalmente, uno stato sovrano, nello specifico Israele, fa parte della normalità ormai. Una normalità inaccettabile e rivoltante. È accaduto che pochi giorni fa ai passeggeri del volo Ryanair, da Treviso a Tel Aviv, che si sono sentiti dire da un assistente di volo “Siete pregati di restare ai vostri posti. Stiamo atterrando a Tel Aviv, nella Palestina occupata”, in italiano e in inglese.
Un passeggero che, scandalizzato, aveva tentato di fotografare l’assistente in questione, è stato minacciato di arresto. Tutti gli altri, indignati, hanno immediatamente chiesto di correggere l’annuncio e di chiedere scusa. “Non abbiamo comprato il biglietto per sentire le opinioni politiche e antiisraeliane dell’assistente di volo. Tutto quello che gli abbiamo chiesto è stato correggere e dire che Tel Aviv è in Israele.”

Niente da fare, le loro rischiste sono state rifiutate e sono stati anche accusati di creare confusione e di mettere in pericolo il volo. L’assistente non portava la targhetta con il nome quindi è stato impossibile identificarlo per una ulteriore denuncia. Al momento la compagnia, la cui sede è a Dublino, Irlanda ( paese notoriamente antisionista/antisemita), ha rifiutato di rispondere alle tante proteste, tantomeno si è premurata di chiedere scusa.
Gli anni passano inesorabili ma il vizio resta.
L’immoralità della menzogna, dell’odio antiisraeliano, il malcostume di manipolare la storia di Israele a seconda della propria ideologia distorta e ignorante. Non è la prima volta che Israele viene cancellato e sostituito con una fantasiosa quanto inesistente Palestina. Era successo anni fa con l’Air France e anche, se non ricordo male, saltuariamente con altre compagnie aeree, a seconda delle idee politiche e in malafede del personale di volo. Assurdo, incredibile e scandaloso che la politica e la menzogna entrino a gamba tesa in quelli che dovrebbero essere solamente voli turistici, doverosamente imparziali e asettici nei confronti dei paesi in cui sono diretti. Il punto è che non esiste, né è mai esistita, alcuna questione storica in grado di coinvolgere l’opinione pubblica, supportando totalmente una causa, sempre e soltanto quella palestinese, come il conflitto arabo-israeliano. Ribaltare la storia e ritenere Israele colpevole di occupare terre altrui è parte del pensiero comune della maggior parte della gente, obnubilata dalla propaganda incalzante e dalla presa di posizione pro palestinese della maggior parte dei media internazionali. A chi non è capitato un tentativo di spiegare la situazione, adducendo le ragioni di un Israele da sempre aggredito nella sua esistenza, da sempre boicottato, esecrato, e di sentirsi rispondere con sufficienza: -si, si, questo lo dici tu ma l’altra campana?- Come l’altra campana! La sentono da sempre, lo scrivono i giornali, lo dicono le televisioni, lo piagnucolano a destra e a manca gli arabi cosiddetti palestinesi. L’altra campana la sentono quotidianamente con tutte le bugie e le manipolazioni che ciò comporta. Sono le ragioni di Israele, è la verità storica che rifiutano di ascoltare e di verificare perché significherebbe smettere di odiare, significherebbe ammettere finalmente di aver detto e ascoltato solo menzogne. Significherebbe finalmente capire la tragedia di un popolo che in tutta la sua storia non ha potuto godere un solo giorno di vera pace e che, nonostante tutto, non si lamenta e cerca di vivere felice. E capire non vogliono. La maggior parte dell’opinione pubblica vive della rendita di odio fornita su un piatto d’argento delle numerose campagne antiisraeliane degli anni 60/70/80/90 del secolo scorso quando l’ideologia terzomondista era al suo apice.Quando l’odio antisemita si abbeverava persino del sangue dei tanti ebrei ammazzati in Israele e in Europa dal terrorismo palestinese. Quanto dolore abbiamo provato nel vedere che per noi non c’era pietà. Quanta rabbia impotente quando, mentre venivamo massacrati dai kamikaze sugli autobus e nelle strade di Israele, dai porti italiani partivano le barche piene di gentaglia urlante Viva la Palestina, Viva Hamas, abbasso i sionisti. Si, passano gli anni, non passa l’odio, non passa l’ignoranza, non passa il pregiudizio. Un portavoce di Ryanair ha osato rilasciare il seguente comunicato “ Un errore inspiegabile ma innocente, senza sfumature o intenti politici ”. Eh no, bello mio. Quale errore? Cancellare uno stato sovrano e sostituirlo con un altro, per giunta inesistente, non è uno sbaglio, tantomeno innocente. Falsificare la storia non è un errore, è volontà di negare l’esistenza di un Israele sovrano nella sua terra. È ideologia antisemita, è odio, è propaganda! Non si può far passare per normale una cosa così. Lo so che non finirà mai, siamo tutti consapevoli che la manipolazione storica contro Israele è entrata nel DNA dell’opinione pubblica e degli organi che dovrebbero informare. La speranza che si esauriscano odio e pregiudizio è pura utopia da visionari. Una cosa però possiamo fare, la più semplice e forse la più stupida ma che potrebbe funzionare se non altro dal punto di vista morale: le compagnie aeree sono tante, non è necessario volare Ryanair!
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Deborah Fait
"Gerusalemme, capitale unica e indivisibile dello Stato di Israele"




Sentenza storica emessa nell’ambito di uno storico processo
La Corte d'Appello di Versailles ha riconosciuto che la c.d. occupazione israeliana della Cisgiordania è legale

Mariateresa Anfossi
31 luglio 2023

https://www.facebook.com/mariateresa.an ... 2354088777

Un caso storico - accuratamente non reso pubblico dai media -, la Corte d'Appello di Versailles ha riconosciuto che Israele occupa legalmente la Cisgiordania (come è stata chiamata dalla Giordania per 17 anni, ma con il suo vero nome di Giudea Samaria).
La storica sentenza trae origine da una controversia tra Alstom e Véolia e l'Autorità Palestinese.
La Corte d'Appello di Versailles è stata chiamata a esaminare i diritti di palestinesi e degli israeliani sulla Cisgiordania.
La sentenza ha accertato e dichiarato che i palestinesi non hanno alcun diritto - ai sensi del diritto internazionale - sulla regione, a differenza di Israele, che ha il diritto legittimo di occupare tutto il territorio.
Il contesto:
Negli anni '90, Israele indisse una gara d'appalto per la costruzione del tram di Gerusalemme.
La gara fu vinta dalle società francesi Veolia e Alstom.
Il tram è entrato in servizio nel 2011 e attraversa Gerusalemme da un capo all'altro, fino all'est e ai c.d. territori occupati.
A fronte di ciò, l'OLP ha presentato una denuncia all'Alta Corte di Versailles contro Alstom e Véolia, sostenendo che la costruzione della tramvia fosse illegale, poiché l'ONU, l'UE e numerose ONG e governi ritengono che Israele stia occupando illegalmente il territorio palestinese.
Per stabilire se la costruzione della tramvia fosse legale, il Tribunale ha dovuto fare ricerche sul diritto internazionale ed esaminare i trattati internazionali per stabilire i rispettivi diritti di palestinesi e israeliani.
Da quanto noto, è la prima volta che un tribunale non israeliano si pronuncia sullo status giuridico degli insediamenti in Cisgiordania.
Perché questo è un processo storico: è il primo dalla dichiarazione dello Stato di Israele nel 1948.
È la prima volta, dalla creazione dello Stato di Israele nel 1948, che un tribunale indipendente e non israeliano è chiamato a esaminare lo status giuridico dei territori in base al diritto internazionale, andando oltre le dichiarazioni di una parte o dell'altra.
È importante capire che le conclusioni della Corte non hanno alcun effetto sul diritto internazionale, ma si limitano a chiarire la realtà giuridica.
Le conclusioni del Tribunale di Versailles sono tanto clamorose quanto il silenzio con cui sono state accolte dai media: Israele ha diritti reali sui territori, la sua decisione di costruire una tramvia in Cisgiordania o qualsiasi altra cosa è legale, e i giudici hanno respinto in diritto tutte le argomentazioni dei palestinesi.
Le argomentazioni dei palestinesi:
L'OLP denuncia la deportazione della popolazione palestinese e la distruzione delle proprietà in violazione delle norme internazionali. Sulla base delle Convenzioni di Ginevra e dell'Aia e delle risoluzioni delle Nazioni Unite, ritiene che lo Stato di Israele stia occupando illegalmente il territorio palestinese e che stia attuando una colonizzazione ebraica illegale. La costruzione della tramvia è quindi essa stessa illegale.
L'OLP aggiunge che la costruzione della tramvia ha portato alla distruzione di edifici e case palestinesi, alla quasi eliminazione della Strada Nazionale 60, vitale per i palestinesi e le loro merci, e a numerosi espropri altrettanto illegali. Sono stati violati diversi articoli del Regolamento allegato alla Quarta Convenzione dell'Aia del 18 ottobre 1907.
Infine, l'OLP sostiene che Israele sta violando le disposizioni relative alla "protezione dei beni culturali" di cui all'articolo 4 della Convenzione dell'Aia del 14 maggio 1954, all'articolo 27 del Regolamento dell'Aia del 1907, all'articolo 5 della Convenzione dell'Aia IX del 1907 e all'articolo 53 del Protocollo aggiuntivo n. 1 alle Convenzioni di Ginevra.
La Corte d'Appello di Versailles non nega l'occupazione, ma smonta e demolisce uno per uno tutti gli argomenti palestinesi.
Facendo riferimento ai testi su cui si basa l'OLP, la Corte d'Appello ritiene che Israele abbia il diritto di garantire l'ordine e la vita pubblica in Cisgiordania, e quindi di costruire una tramvia, infrastrutture e condomini.
L'articolo 43 della IV Convenzione dell'Aia del 1907, citato dalla Corte, stabilisce che "essendo l'autorità del potere legale passata de facto nelle mani dell'occupante, quest'ultimo deve prendere tutte le misure in suo potere per ristabilire e assicurare, per quanto possibile, l'ordine e la vita pubblica, rispettando, a meno che non sia assolutamente impedito, le leggi in vigore nel Paese".
L'occupazione israeliana non viola alcuna legge internazionale
"l'Autorità Palestinese interpreta male i testi; essi non si applicano all'occupazione".
La Corte spiega che l'Autorità Palestinese interpreta erroneamente i testi e che essi non si applicano all'occupazione:
In primo luogo, tutti i testi internazionali presentati dall'OLP sono atti firmati tra Stati e gli obblighi o i divieti in essi contenuti sono rivolti agli Stati. Poiché né l'Autorità Palestinese né l'OLP sono Stati, nessuno di questi testi è applicabile.
In secondo luogo, afferma la Corte, questi testi sono vincolanti solo per coloro che li hanno firmati, cioè le "parti contraenti". Ma né l'OLP né l'Autorità Palestinese hanno mai firmato questi testi.
La propaganda non è diritto internazionale.
Un po' irritata dalle argomentazioni, la Corte si è fatta coraggio con un chiarimento e ha affermato che la legge "non può essere basata solo sulla valutazione [dell'OLP] di una situazione politica o sociale".
Il diritto umanitario non è stato violato
L'OLP si sbaglia sul testo, perché la Convenzione dell'Aia si applica in caso di bombardamenti. E... " Gerusalemme non è stata bombardata".
L'OLP invoca la violazione del diritto umanitario contenuto nelle Convenzioni di Ginevra e dell'Aia.
Ma da un lato, dice la Corte d'Appello, le convenzioni internazionali si applicano tra Stati, e l'OLP non è uno Stato: "la Corte internazionale di giustizia ha indicato che esse [le convenzioni] contengono solo obblighi a carico degli Stati, e che non è stata menzionata la possibilità per gli individui di avvalersene".
Ha poi sottolineato che solo le parti contraenti sono vincolate dalle convenzioni internazionali, e né l'OLP né l'Autorità Palestinese le hanno mai firmate.
Inoltre, conclude il tribunale, l'OLP si sbaglia sul testo, perché la Convenzione dell'Aia si applica in caso di bombardamento. E..." Gerusalemme non è stata bombardata".
La Corte ha concluso che l'OLP non può invocare nessuna di queste convenzioni internazionali.
Queste "norme convenzionali internazionali" non danno "al popolo palestinese, che l'OLP sostiene di rappresentare, il diritto di invocarle davanti a un tribunale".
La Corte d'appello ha quindi condannato l'AFPS (Association France Palestine Solidarité) e l'OLP a pagare 30.000 euro ad Alstom, 30.000 euro ad Alstom Transport e 30.000 euro a Veolia Transport.
Né l'OLP, né l'Autorità Palestinese, né l'AFPS hanno presentato ricorso alla Corte di Cassazione e la sentenza è diventata definitiva.
È la prima volta che un tribunale smonta legalmente le argomentazioni palestinesi a sostegno della tesi dell'occupazione illegale.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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