Le leggi internazionali che violano i nostri diritti umani

Le leggi internazionali che violano i nostri diritti umani

Messaggioda Berto » mer nov 16, 2022 8:16 pm

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Berto
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Le leggi internazionali che violano i nostri diritti umani

Messaggioda Berto » mer nov 16, 2022 8:16 pm

16)
Demenzialità contro la Francia e indirettamente contro di Noi, l'Europa, l'Occidente, i bianchi e i cristiani


È demenziale, stupido e controiproducente usare la propaganda del panarabismo e del panafricanismo inventata e adoperata dai social nazi comunisti come Gheddafi e dai nazi maomettani in generale (che trala'tro furono i primi schiavisti non africani dell'Africa) per dare contro alla Francia perché questa si ritorce anche contro di noi, contro tutta l'Europa e l'Occidente, i bianchi e i cristiani con le sue menzogne e le sue calunnie.
Questo è un articolo parzialmente demenziale e falso laddove dà contro alla Francia che viene malamente utilizzato da certuni sulla questione della nave dei clandestini per dare contro alla politica della Francia ma che contiene un mucchio di falsità. La politica e le parole della Francia sulla questione dei migranti clandestini è condizionata fortemente dalla demenziale sinistra anti europea, antioccidentale, anti bianca e dai troppi nazi maomettani africani presenti in Francia e provenienti dalle ex colonie francesi che ricattano non solo la Francia per via del passato coloniale, del periodo imperiale schiavista e della modernità industriale e capitalista e multinazionale.



Ecco l'articolo del Giornale


"L'Africa non si aiuta aprendo i porti. Così ci priviamo dei nostri giovani"
Elena Barlozzari
15 novembre 2022

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 84152.html

"L’ipocrisia francese mi indigna". Non usa mezzi termini Louis Michel Nekam, nato 38 anni fa a Yaoundé, la capitale del Camerun. Dalla sede della Association de Coopération Italie-Afrique, di cui è segretario generale, segue con apprensione quello che sta accadendo al di là del Mediterraneo. La sua associazione si occupa di formare e avviare al lavoro i giovani africani: "Solo così possiamo sperare di tenerli qui, il Paese ha bisogno di loro", ci dice. Racconta di essere letteralmente saltato sulla sedia quando ha saputo dello stop francese ai ricollocamenti dei rifugiati dall’Italia. "È una vergogna", continua a ripeterci dall’altro capo della cornetta.

La notizia non l’ha lasciata indifferente.

"Come potrebbe? La Francia ha depredato e sfruttato l’Africa per secoli. Tuttora esercita il suo potere su di noi, stampando e imponendo una moneta coloniale (Franco CFA, ndr) che limita la nostra sovranità monetaria e ostacola lo sviluppo".

Quindi?

"Quindi l’ipocrisia francese mi indigna: Parigi accusa di disumanità l’Italia e poi nega l’accoglienza agli stessi africani che ha contribuito ad affamare con le sue politiche. Non può lavarsene le mani. È un dovere e un risarcimento".

Cosa pensa della gestione del dossier immigrazione da parte del governo italiano?

"Penso che la linea sia giusta. È chiaro che bisogna fare verifiche e controlli. Le faccio un esempio: lei a casa propria lascerebbe entrare chiunque? Non è aprendo le porte a tutti quelli che vogliono arrivare in Italia che si risolvono i problemi dell’Africa".

Si spieghi meglio…

"Favorendo le partenze dei giovani africani si continua ad impoverire l’Africa, togliendole ogni chance di riscatto. Il contributo delle nuove generazioni è essenziale per lo sviluppo dei nostri Paesi. Se non si impegnano loro per il futuro della nostra terra, su chi altro potremmo contare?".

È colpa delle Ong?

"Sicuramente la loro presenza incoraggia le partenze, così come l’atteggiamento delle istituzioni europee e dei governi italiani che si sono avvicendati in questi anni: dire accogliamoli tutti è solo uno slogan ed i risvolti sono drammatici".

Qualche giorno fa il deputato ivoriano Soumahoro è andato a Catania per salire a bordo della nave Humanity1.

"Lo so, ho visto il suo video e mi ha rattristato. Soumahoro dimostra di non avere a cuore la sua terra e la sua gente. Con la sua voce potrebbe attirare l’attenzione sui veri problemi dell’Africa e dire ai giovani di non partire, perché attraversare il mare è pericoloso e lavorare nei campi per pochi euro l’ora è schiavitù. Così dovrebbe parlare un onorevole".

Insomma, lei appoggia in pieno la linea Meloni.

"Assolutamente sì, Giorgia Meloni è l’unica ad aver avuto il coraggio di dire che bisogna fare il blocco navale per impedire agli africani di andare a morire in mezzo al mare. Credo debba andare avanti, non sarà facile cambiare quello che è stato fatto per anni ma lei ha la stoffa per riuscirci".

Condivide l’idea di un Piano Marshall per l’Africa?

"Certo, ed è in piccolo quello che facciamo noi con l’associazione: formiamo i giovani e li sosteniamo nella ricerca del lavoro. Dobbiamo dare ai nostri ragazzi strumenti e motivi per restare. Solo così possiamo aiutare veramente l’Africa".



Alberto Pento

L'Africa non ha bisogno di piani Marshall.
L'Africa si deve arrangiare, perché solo arrangiandosi e sabagliando a proprie spese si impara a vivere e a risolversi i problemi.
Di piani Marshall per l'Africa nel corso del Novecento ne sono stati varati molti, troppi come per il Mezzogiorno in Italia e hanno fatto crescere solo la dipendenza parassitaria, l'irresponsabilità e il ricatto mafioso.
Eppoi noi europei non siamo in grado di aiutare economicamente e finanziariamente nessuno petrché siamo pieni di problemi, l'Ucraina la guerra e la sua ricostruzione, il costo energetico, la povertà diffusa in molti paesi europei, le paghe troppo basse in molti paese e che comportano una ridotta natalità.
I 100 miliardi di euro per l'Africa preventivati dal ministro degli esteri italiano Tajani, andrebbeo piuttosto investiti in Europa a beneficio degli europei e dei giovani europei affinché possano avere un futuro (e noi con loro) un lavoro, una famiglia e dei figli; gli africani di figli ne fanno anche troppi, che ne facciano meno e che imparino a mantenerseli.
Solo alcuni progetti africani sensati e verificati mille volte potrebbero essere sostenuti ma solo se condotti da mani pulite a beneficio degli africani e sopratutto non mani nazi maomettane e social nazi comuniste proprie delle varie dittature sanguinarie dell'Africa che in parte inducono e promuovono l'emigrazione clandestina.


Demenze antifrancesi e l'incendio di Notre Dame
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... =92&t=2853

Ma la Francia sfrutta colonialmente l'Africa? No!
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 175&t=2854
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 4085574741

Da qualche tempo circola sul web la diceria che la Francia sfrutta le sue ex colonie attraverso un nuovo colonialismo finanziario, economico e politico.
Questa diceria ha fatto presa nelle teste vuote dei complottisti ed è montata negli ambienti grillini dove i complottisti sono la maggioranza e in quelli della destra nazionalista italiana dove non mancano; con qualche ripresa anche nell'area leghista e venetista.

Le demenziali menzogne sull'Africa del vittimismo africano
viewtopic.php?f=175&t=2953
https://www.facebook.com/Pilpotis/posts/877868459456592



Migranti, la richiesta di Tajani alla Ue: «Per l'Africa 100 miliardi». Il piano speciale su flussi e Ong
Dossier al tavolo dei ministri degli Esteri: «Ponti aerei verso gli Stati di bandiera delle navi che trasportano i migranti»
Lunedì 14 Novembre 2022
https://www.ilmattino.it/primopiano/cro ... 51690.html

Oggi a Bruxelles, Antonio Tajani squadernerà sul tavolo europeo il lungo cahier de doléances dell’Italia sull’emergenza migranti. Il ministro degli Esteri, che è riuscito a imporre il dossier al vertice Ue, porrà ai colleghi europei «un problema politico»: «Serve un coordinamento Ue vero ed efficace dei flussi migratori. L’Italia non può essere lasciata sola». In più, Tajani solleciterà l’adozione di «regole certe» per le navi Ong e un «piano Marshall per l’Africa da oltre 100 miliardi», in modo da «estirpare all’origine» le ragioni degli esodi che portano centinaia di miglia di persone a lasciare il continente africano.

Il ministro degli Esteri, nel suo discorso, cercherà di by-passare lo scontro con Parigi. «Non vado lì ad aizzare gli animi», ha anticipato al Messaggero, «vado a Bruxelles per far capire che serve più Europa. Il problema non è Parigi, non è Berlino. È la mancanza di regole e di una concreta solidarietà nella redistribuzione dei migranti». Redistribuzione che «non ha funzionato e non funziona. Tant’è, che su 90mila persone sbarcare in Italia, solo 117 su 8mila ne sono state ricollocate».

Migranti, piano italiano per la Ue: fondi e militari in Africa. Si punta al “modello Turchia”

Dal vertice non si attendono risposte concrete, queste arriveranno (forse) a fine novembre al Consiglio dei ministri degli Interni. Tajani però comincerà a istruire la pratica delle regole per le navi Ong. La prima: il natante dovrà fare rotta verso lo Stato di bandiera. La seconda: se ciò non sarà possibile (molte navi sono tedesche o di Paesi del Nord) lo Stato di bandiera delle imbarcazioni delle Ong «dovrà farsi carico» delle persone salvate in mare. Come? «Con un ponte aereo per portare in patria i naufraghi», dice una fonte di governo, «oppure concordando con il Paese di primo approdo un impegno per la redistribuzione immediata delle persone salvate». In questo caso, con queste garanzie, l’Italia potrebbe autorizzare gli sbarchi nei propri porti. Di certo, «lo Stato dovrà esercitare la giurisdizione e il controllo sulle navi battenti la propria bandiera». Perché, come dirà Tajani oggi a Bruxelles, «le Ong non possono fare i taxi del mare, con appuntamenti nel Mediterraneo con i trafficanti. E non devono essere utilizzate dagli altri Stati europei per permettere ai loro mercantili di mantenere la rotta commerciale senza effettuare i salvataggi dei migranti».

Il ministro degli Esteri cercherà di affermare anche il principio che «l’Italia non è l’unico porto sicuro, non è il solo luogo dove far sbarcare» i naufraghi, «ci sono anche i porti francesi, maltesi, tunisini...». E, in base a questo schema, chiederà a Bruxelles di «adottare una politica migratoria comune».

«Più Europa» vale anche per l’Africa. «Va ripetuto il modello turco», dice Tajani. E alla Turchia, per fermare la rotta balcanica che metteva in ginocchio la Germania, l’Europa ha dato diverse decine di miliardi di euro. Ebbene, il ministro degli Esteri chiederà un «piano Marshall per l’Africa da oltre 100 miliardi. Per favorire lo sviluppo dei Paesi, fronteggiare i cambiamenti climatici che innescano carestie e alluvioni». «Nel 2050», spiega Tajani, «ci saranno in Africa più di tre miliardi di persone. Se non affrontiamo subito il problema ci saranno milioni di persone che si sposteranno verso Nord fuggendo a guerre, fame, povertà».

I fondi, nel breve periodo, servirebbero anche per allestire nel Nord del continente, in particolare in Tunisia e Libia, dei campi profughi (con presenza di organizzazioni umanitarie e forze militari europee) dove identificare i migranti e raccogliere le domande d’asilo. Poi, chi avrà diritto allo status di rifugiato, dovrebbe essere «redistribuito» tra i vari Stati europei. Con due risultati: i Paesi mediterranei dell’Ue non sarebbero più il luogo di sbarco e si metterebbe fine al massacro di migranti annegati in mare.

Ma il primo nodo da sciogliere è quello delle Ong. E siccome Germania e Francia le difendono, è difficile che passi la stretta chiesta dal governo italiano. Così, potrebbero essere riesumati da Roma i decreti Salvini che prevedevano maxi-multe e il sequestro delle navi. Oppure, per evitare di esacerbare lo scontro, si valuta di adottare il “codice di condotta” che nel 2017 l’allora ministro degli Interni Marco Minniti firmò assieme ad alcune Ong. Questo codice prevedeva diversi «impegni»: «Non entrare nelle acque territoriali libiche», non disattivare gli apparecchi di localizzazione (in modo da permettere alle autorità italiane di verificare la rotta delle navi), «non effettuare comunicazioni o inviare segnalazioni luminose per agevolare la partenza e l’imbarco di natanti che trasportano migranti». E l’impegno a ricevere a bordo, su richiesta delle autorità italiane, funzionari di polizia italiani.




Ecco il coro cristiano sinistrato

Risparmiateci la retorica del Piano Marshall per l’Africa
HuffPost Italia
15 novembre 2022

https://www.huffingtonpost.it/blog/2022 ... -10646193/

Quando emerge una disputa in Parlamento si propone subito una commissione d’inchiesta, quando le dimensioni del fenomeno da gestire sono di portata planetaria il consenso vira subito sulla necessità di lanciare un “Piano Marshall”, l'ultimo candidato per il salvataggio è il continente africano.

L'Africa ha oltre 1,3 miliardi di persone che entro il 2050 arriveranno a essere un quarto della popolazione globale con l’età media più bassa del mondo. Parlare di “Africa” è fare un torto a chi ci vive, non solo stiamo parlando di 54 stati indipendenti con sistemi politici e istituzionali molto diversi tra loro, ma abbiamo a che fare con decine di lingue ufficiali e migliaia di dialetti, culture, tradizioni, religioni e costumi differentissimi tra loro. In Africa c’è oltre il 60% della terra arabile incolta del mondo e giacimenti di ogni tipo di minerale - per non parlare del più alto tasso di biodiversità umana e vegetale del pianeta.

Un “mondo” che dovremmo studiare a fondo, conoscere nelle sue complessità e rispettare, e per certi versi onorare, dopo che per secoli lo abbiamo saccheggiato. Andrebbe valorizzato nelle sue risorse umane, naturali e culturali, e non “solo” aiutato per evitare che i problemi che lo interessano arrivino da noi.

Africa non è sinonimo di disperazione, desertificazione, discriminazioni e povertà Il Center for International Development prevede infatti che sette paesi africani saranno tra i 15 in più rapida crescita economica nei prossimi cinque anni. Il miglioramento dei sistemi educativi e l'aumento del commercio anche inter-africano stanno migliorando la vita di centinaia di milioni di persone. Il tasso di povertà continua a scendere mentre la migrazione intra-africana è in aumento stimolando imprenditorialità e investimenti. Giusto per fare un esempio di cose “incredibili”, all’inizio di novembre l’Uganda ha lanciato il suo primo satellite (l’Uganda, che sicuramente non brilla per democraticità, ha però una ministra per la scienza).

Da anni è in fase di negoziato un accordo che creerà la prima area di libero scambio a livello continentale generando benefici economici significativi per tutti i paesi che vi parteciperanno.

Certo in Africa restano “accesi” diversi conflitti e negli ultimi anni abbiamo perfine assistito al ritorno di colpi di stato militare, certo la democrazia e il pieno godimento dei diritti umani restano una realtà per poche regioni e le opposizioni fanno fatica a vincere elezioni un po’ dappertutto, ma esistono, come esiste una società civile vivace con mezzi di comunicazione tanto creativi quanto aggressivi nei confronti del conservatorismo delle classi dominanti.

Anche per tutti questi motivi l’Africa di oggi non è nelle condizioni economiche o strutturali in cui era l’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale quando gli USA decisero di organizzarci il futuro. È vero che “piano Marshall” è un’espressione usata come sinonimo di aiuto e/o attenzione, ma quello di cui necessita l’Africa è un rapporto di genuina partnership bi e multilaterale fatto di investimenti e scambi, oltre che di libera circolazione di persone e merci. Una partnership per il futuro di chi in Africa vive e ci vuole restare e di chi, magari da altrove, vuole andare a costruirsi una vita. Disegnare “aiuti” per tamponare motivi di scontento o dissidi europei o per tentare di non far partire chi “migra” ci farà tornare ogni volta al punto di partenza.

Negli ultimi 20 anni, solo la Germania ne ha preparati una decina di Piani Marshall per l’Africa - l’ultimo un paio d’anni fa. A quanto pare però o questi pani non bastano, oppure sono disegnati secondo logiche che non tengono di conto della complessità di avere a che fare con 54 governi la cui legittimità spesso è claudicante e che nella stragrande maggioranza dei casi sono in competizione, se non in conflitto, tra loro.

Esiste una soluzione? Esiste la reputazione.

A febbraio del 2020, nei giorni in cui l’Associazione Luca Coscioni teneva il suo VI Congresso Mondiale per la Libertà di Ricerca Scientifica presso la Commissione dell’Unione africana ad Addis Abeba, l’intera Commissione europea si incontrava con l’istituzione gemella africana in quello che sembrava un cambiamento di approccio e relazione tra i due continenti. Di lì a poco, purtroppo, il mondo sarebbe entrato in lockdown per via della pandemia e tutti i buoni propositi del summit etiope sarebbero andati a cozzare con la necessità di proteggere l’Europa dal virus.

Malgrado progetti di cooperazione sanitaria dai nomi altisonanti presentati in conferenze online alla presenza delle massime istituzioni internazionali, al 10 luglio 2022 solo il 21% della popolazione africana aveva terminato il primo ciclo di vaccinazione. Anche se durante l’estate le cose sono migliorate, il progetto COVAX non è riuscito nell’intento di immunizzare l’Africa mentre da noi si distruggono oltre un miliardo di dosi di vaccino perché scadute.

Le mancate promesse sui vaccini sono giusto un esempio dell’atteggiamento che viene costantemente tenuto nei confronti dell’”Africa”. Si fanno promesse, principalmente di prima assistenza, senza però organizzarsi per mantenerle o rendere effettive.

Oltre ai fondi della Commissione, la quasi totalità degli Stati Membri dell’Unione europea ha progetti di cooperazione e sviluppo con l’Africa. Spesso, all’interno di uno stato, ci sono centinaia di iniziative di cooperazione decentrata; per anni tutto è andato avanti non solo senza una strategia complessiva ma anche senza un coordinamento efficace, spesso con finanziamenti che sono andati a progetti il cui impatto non era calcolato sulle necessità dei beneficiari ma sugli interessi dei benefattori.

Un cambio di strategia nei confronti dell’Africa ha sicuramente bisogno di put one's money where one's mouth is cioè di tradurre le parole in fatti. Ma prima di prevedere delle risorse da destinare a progetti vecchi e nuovi, occorre selezionare non solo quali iniziative, ma anche quali interlocutori. Se l’Unione europea ha aperto procedure sanzionatorie nei confronti dell’Ungheria per le violazioni dello Stato di Diritto, come potrà avere a che fare coi governi di Libia, Sudan, Tunisia, Egitto, Eritrea o l’Etiopia, giusto per citare quelli da cui arrivano più “migranti”? In quei paesi quotidianamente vengono violati i diritti umani (anche) dei cittadini di residenza, quale speranza ci può essere che i soldi che verranno elargiti andranno a migliorare le condizioni di vita in quelle zone tanto da scongiurare la fuga o il passaggio verso il nord?

Prima di farsi venire l’idea dell’ennesimo summit Europa-Africa occorre occorrerebbe valutare, insieme alla Banca Mondiale, l’FMI, FAO, PAM e, almeno, gli USA chi finanzia cosa, dove, come e, forse ancora di più, con quali risultati. Cina e Russia, ma anche Turchia e India hanno centinaia di progetti in corso che rarissimamente vanno a vantaggio delle popolazioni o delle infrastrutture dello Stato, più spesso, oltre ad arricchire l’establishment dei paesi donatori, servono a consolidare il potere dei regimi più autoritari.

L’Africa va ingaggiata politicamente con dinamiche di scambio e non imposizione dall’alto perché così facendo non si raggiungeranno le società che, almeno in teoria, si vogliono “aiutare a casa loro”.


Enrico Mattei, antiamericano, sinistrato e filo URSS ?
Meloni, il piano per l’Africa e la fascinazione della destra per Enrico Mattei
Andrea Turco

https://www.valigiablu.it/governo-meloni-piano-mattei/

“Di sicuro c’è solo che è morto” è uno dei più celebri titoli della storia del giornalismo italiano, scelto da Tommaso Besozzi in una bellissima inchiesta, pubblicata dalla rivista L’Europeo nel 1950, che rovesciava la verità ufficiale sulla morte del bandito siciliano Salvatore Giuliano. E potrebbe essere anche il tragico epitaffio su Enrico Mattei, il fondatore di ENI, di cui il 27 ottobre ricorre il 60esimo anniversario della morte. Uno di quei misteri d’Italia, per usare una formula abusata ma tuttora valida, che hanno fatto appassionare schiere di lettori e lettrici, giornali, procure, intellettuali, perfino gli stessi funzionari di ENI.

In realtà qualcosa di più sulla morte di Mattei si sa. Grazie a un’inchiesta della procura di Pavia negli anni ‘90, di cui si può trovare una sintesi e un approfondimento nel libro Il caso Mattei (Chiarelettere), si dà ormai per assodato il suo assassinio, attraverso un esplosivo piazzato nel velivolo Morante-Saulnier, in cui Mattei viaggiava insieme al pilota professionista Irnerio Bertuzzi e al giornalista statunitense William McHale, che esplose nel cielo di Bascapè durante la fase di atterraggio verso l’aeroporto di Linate. Va comunque ricordato che fu lo stesso procuratore Vincenzo Calia a chiedere l’archiviazione, dopo dieci anni di indagini, perché le prove raccolte non furono ritenute sufficienti per sostenere un dibattimento. Ad esempio Calia (e tutti coloro che hanno indagato dopo di lui) non ha mai saputo indicare né gli autori né i mandanti dell’attentato. Anche per questo motivo i dubbi sulla morte del più famoso e potente manager di Stato, indicato dalla BBC come “l’italiano più famoso dopo Giulio Cesare”, hanno finito per alimentare dietrologie e teorie del complotto, raccolte in una pubblicistica copiosa e in continuo aggiornamento.

Se è vero che Mattei è stato assassinato, chi ne ha voluto la morte? L’ex numero due nonché suo successore Eugenio Cefis, che un appunto dei servizi segreti ritiene essere il fondatore della P2 (per chi volesse saperne di più su uno degli uomini più misteriosi e chiacchierati della Repubblica si consiglia il libro Eugenio Cefis - Una storia italiana di potere e misteri)? Le “sette sorelle”, un’espressione coniata dallo stesso Mattei che indicava le grandi compagnie petrolifere di quel periodo che ostacolavano gli sforzi di ENI per ingrandirsi e sfruttare nuovi giacimenti in giro per il mondo? La CIA, con gli Stati Uniti che non vedevano di buon occhio né l’accordo commerciale firmato da Mattei con l’Unione Sovietica né il ruolo di “Stato nello Stato” esercitato dall’Ente Nazionale Idrocarburi? L’Oas, l’organizzazione paramilitare francese che era a conoscenza dell’enorme mole di denaro versata da Mattei ai gruppi indipendentisti algerini (una tesi recentemente riproposta dal libro Enrico Mattei e l’intelligence)?

Sono vicende solo apparentemente lontane nel tempo. Il nome di Enrico Mattei infatti torna spesso nella cronaca quotidiana. A lui ad esempio è intitolato il gasdotto Transmed che porta il gas dall’Algeria alla Sicilia, vale a dire il principale sostituito del gas russo, come confermano gli ultimi dati del bilancio nazionale di gas che viene pubblicato dal Ministero della Transizione Ecologica:

Non sorprende perciò che nella giornata di commemorazione di Enrico Mattei, che si tiene a Matelica (nelle Marche), oltre al neoministro dell’Ambiente e della Sicurezza Gilberto Pichetto Fratin sarà presente anche il ministro della Repubblica Algerina Democratica e Popolare Laid Rebigua. E non ha sorpreso neppure la citazione della premier Giorgia Meloni, che nel discorso di insediamento alla Camera ha parlato di “un piano Mattei per l’Africa”.

Un riconoscimento, l’ennesimo, per l’uomo forse più influente del Dopoguerra italiano. Torna alla mente l’auspicio che la nipote Rosangela Mattei mi consegnò in un’intervista di alcuni anni fa:

Fare conoscere tutto ciò ai giovani e rendere note storie significative, come il fatto che per dieci anni Mattei, pur alla guida prima di Agip e poi di ENI, non ha preso uno stipendio. Può insegnare molto ai cosiddetti grandi manager attuali, che intascano 10 milioni l’anno a scapito dei propri dipendenti. Mattei è l’esempio migliore di come lo Stato possa gestire bene la cosa pubblica. E mentre in Nord Africa e in Medio Oriente ancora lo idolatrano, qui si parla solo della sua morte. Che sia stato ucciso ormai lo sanno tutti, non vorremmo che si parlasse sempre delle stesse cose

L’ossessione del ruolo nel Mediterraneo e il legame tra energia e migrazioni

Le coordinate geografiche indicate da Rosangela Mattei sono in fondo le stesse alle quali fa riferimento Giorgia Meloni:

Credo che l’Italia debba farsi promotrice di un ‘piano Mattei’ per l’Africa, un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione Europea e nazioni africane, anche per contrastare il preoccupante dilagare del radicalismo islamista, soprattutto nell’area sub-sahariana. Ci piacerebbe così recuperare, dopo anni in cui si è preferito indietreggiare, il nostro ruolo strategico nel Mediterraneo

Quella del Mediterraneo è un’ossessione italiana sulla quale l’influenza e il ruolo di ENI è innegabile. Che va dalle strategie di Mattei, il quale consolidò la presenza dell’azienda in Egitto, Algeria e Libia, a quelle di Claudio Descalzi, attuale amministratore delegato di ENI che dal 2002 al 2005 è stato “direttore dell’area geografica Italia, Africa e Medio Oriente”. Proprio a lui e alle sue relazioni il governo Draghi si è affidato per diversificare gli approvvigionamenti di gas. Nella mappa realizzata dalla stessa ENI il disegno è lampante:

Lo stesso, a quanto pare, intende fare il governo Meloni. D’altra parte la presenza di ENI nel continente africano è notevole:

Rispetto all’era Mattei, le attività attuali di ENI non riguardano però solo le fonti fossili:

In Africa trovano spazio i capisaldi del nostro business: il percorso di decarbonizzazione, il modello di cooperazione e il modello operativo (...) Nell’ambito dell’economia circolare, il continente africano è al centro della nostra strategia di approvvigionamento sostenibile di feedstock per le bioraffinerie, la quale coinvolge numerosi paesi (tra i quali Congo, Costa d’Avorio, Kenya, Angola, Mozambico, Benin e Ruanda) in nuove forme di partenariati di lungo termine con il mondo agricolo locale, che prevedono lo sviluppo di una rete di agri-hub volti alla raccolta e al trattamento di culture a basso rischio di Indirect Land-Use Change (ILUC) e alla valorizzazione di scarti e residui agricoli non in competizione con la filiera alimentare. Grazie a questi innovativi progetti è possibile dare nuovo valore ai terreni marginali, contribuendo nel contempo allo sviluppo economico delle comunità coinvolte. L’Africa è anche destinazione di iniziative relative alle nuove tecnologie pulite e proprio nel corso del 2021 abbiamo siglato accordi con paesi di presenza storica come l’Algeria o l’Egitto per valutare progetti congiunti per la produzione di idrogeno e per la cattura, utilizzo e stoccaggio di CO2. Inoltre, continuiamo a collaborare con diversi paesi dell’area per assicurare all’Italia e all’Europa l’approvvigionamento sicuro e stabile del gas naturale in eccesso rispetto alla domanda locale

Anche se Meloni non ha dato ulteriori indicazioni su questo “piano Mattei”, appare evidente che il riferimento è alla cosiddetta “formula Mattei”, con la quale il presidente dell’ENI tra la fine degli anni ‘50 e gli inizi degli anni ‘60 offrì condizioni molto vantaggiose ai paesi africani che detenevano petrolio e gas, in modo da sottrarli allo sfruttamento delle sette sorelle che, nelle parole dello stesso Mattei, “erano abituate a considerare i mercati di consumo come riserve di caccia per la loro politica monopolistica”. II presidente dell’azienda di Stato garantiva agli Stati africani la maggior parte degli introiti, superando la regola in vigore da più di un secolo del 50 e 50 tra compagnie petrolifere e paesi produttori. Un dato che, a detta dell’azienda e dei governi italiani che si sono succeduti in questi decenni, renderebbe la presenza di ENI meno “coloniale” rispetto alle altri grandi multinazionali energetiche. In un mito che punta a garantire in questo modo sviluppo locale, allo scopo di evitare il fenomeno migratorio così come lo conosciamo. Sarà banale farlo notare, ma fino ad ora di questo presunto benessere garantito dalle attività di ENI non è che si siano viste grandi tracce nei paesi africani in cui l’azienda opera.

Inoltre la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha allargato il suo desiderio di “collaborazione e crescita” all’Unione Europea, che già di suo guarda da tempo all’Africa come il più grande fornitore energetico. Nel sito del Consiglio d’Europa si riporta che:

Nel febbraio 2022 i leader africani ed europei hanno concordato una visione comune per un partenariato rinnovato. L'obiettivo del partenariato è conseguire la solidarietà, la sicurezza, la pace e uno sviluppo economico e una prosperità sostenibili e sostenuti per i cittadini dell'Unione africana e dell'Unione europea ora e in futuro, riunendo persone, regioni e organizzazioni. Tale partenariato rinnovato comporta:

Un pacchetto di investimenti Africa-Europa da 150 miliardi di EUR
La fornitura di 450 milioni di dosi di vaccino all'Africa entro la metà del 2022
Una cooperazione rafforzata per la pace e la sicurezza
Un partenariato rafforzato per la migrazione e la mobilità
In impegno a favore del multilateralismo

Di abissi tra annunci e azioni, lo sappiamo, è zeppa la politica a ogni latitudine. Avviene anche nel settore energetico, secondo il racconto riportato da Il Giornale in un’intervista ad Antonio Gozzi, presidente di Federacciai. All’Energy Business Forum Algeria-Unione Europea, tenutosi ad Algeri l’11 e il 12 ottobre, Gozzi era l’unico imprenditore italiano invitato:

L'Algeria ha presentato un piano da 50 miliardi nei prossimi 5 anni che dovrebbe portare la produzione di gas algerino da 120 miliardi attuali a 160 di metri cubi annui, da dare all’Europa. Chiedono un sostegno del 10 per cento a partner stranieri, europei se saranno capaci, ma soprattutto chiedono un trasferimento di tecnologie per rinnovabili e idrogeno. E lì purtroppo l’Europa è stata una delusione perché aveva chiesto questo forum per chiedere aiuto sul gas, ma senza un piano

Difficile garantire sviluppo se si intende solo prendere senza dare.
Se il partigiano diventa un patriota nel nome dell’interesse nazionale

L’omaggio di Giorgia Meloni a Enrico Mattei, lo abbiamo sostenuto prima, non ha sorpreso chi studia la storia di ENI. A destra l’apprezzamento arriva all’esaltazione. Particolarmente significativo è l’intervento di Andrea Muratore su Il Giornale, arrivato a caldo della citazione:

Enrico Mattei, il prototipo dei patrioti; Mattei, il principale ricostruttore del Paese; Mattei, il "corsaro" che alla guida dell'Eni proiettava, con originalità, il Paese all'estero sul piano politico, economico, diplomatico. Mattei, anche se non soprattutto, la vittima del suo amore per l'Italia, come Paolo Borsellino e Giovanni Falcone (...) la lezione di Mattei è soprattutto strategica e politica. E si può riassumere in un concetto: pensare originalmente, ma pensare in grande. Pensare a un rinnovato ruolo dell'Italia nel sistema del Mediterraneo e giocare tutte le carte a propria disposizione per proiettare l'interesse nazionale nel quadro del terreno di gioco delineato dalle alleanze di riferimento del Paese. In passato, Mattei portò l'Eni e la diplomazia italiana a giocare da protagonisti nell'agone di riferimento. Il fine primario della sua azione, ereditato dallo spirito di lotta partigiana, era per l’imprenditore marchigiano, il bene comune dello Stato italiano nella sua interezza, precisamente l’interesse nazionale.

In poche righe ci sono tutti i valori del conservatorismo, insieme alla nostalgia di un’Italia forte che sapeva farsi rispettare. Per una destra che rinnega il fascismo, come ha fatto la stessa Meloni, di fronte all’interesse nazionale si può anche reinterpretare il passato da partigiano di Enrico Mattei in chiave nazionalista. Una storia che viene invece ricordata da Repubblica:

Nella sua prima vita era stato un partigiano di primissimo piano oltre che esponente di punta del Comitato di Liberazione Nazionale. Nome di battaglia "Marconi", arrestato nel 1944 dai repubblichini della Guardia Nazionale di Salò guidati dal capomanipolo (si chiamavano proprio così) Giorgio Almirante, poi liberato in modo rocambolesco, Mattei fu a capo di una formazione pluripremiata dell'Oltrepò Pavese che al 25 aprile 1945 aveva 40mila effettivi

Da Almirante, fondatore del partito del Movimento Sociale Italiano da cui è cominciata la storia politica di Fratelli d’Italia, si passa ora all’uomo d’industria e di ingegno, il self-made man dalle umili origini, le stesse ricordate da Giorgia Meloni nel discorso alla Camera.

D’altra parte era stato un altro partigiano come Giorgio Bocca a usare per Mattei la parola “patriota”, tanto cara alla destra italiana:

Che cosa era Enrico Mattei? Un avventuriero? Un grande patriota? Uno di quegli italiani imprendibili, indefinibili, che sanno entrare in tutte le parti, capaci di grandissimo charme come di grandissimo furore, generosi ma con una memoria di elefante per le offese subite, abili nell'usare il denaro ma quasi senza toccarlo, sopra le parti ma capaci di usarle, cinici ma per un grande disegno

È un ritratto generoso, quello di Bocca, così come ne sono arrivati tanti altri. Si sa che la morte improvvisa dona una certa indulgenza alla memoria. Di charme l’Ingegnere, come era soprannominato, in realtà non ne aveva granché, basta guardare i video raccolti su di lui nel canale YouTube di ENI. Tuttavia Mattei morì al culmine della sua influenza - secondo Benito Li Vigni, un suo stretto collaboratore che al fondatore dell’ENI ha dedicato più di un libro, era imminente una visita al presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy. E allora al rammarico sul futuro, su ciò che sarebbe potuta diventare l’Italia con Mattei ancora vivo, si accompagna anche uno sguardo romantico al passato, quando tutto era più semplice e più autentico. Ne è un esempio la nota morigeratezza dell’ex partigiano. In un documento del 1957, l'ambasciatore a Roma, Ashley Clarke annota che Enrico Mattei, “a differenza di molti esponenti democristiani non sembra corrotto a livello personale. Vive in modo tutto sommato modesto. Il suo unico svago è la pesca: non ci pensa due volte a volare in Alaska per una battuta di pesca di una settimana”.

Ovviamente l’aspetto più ammirato di Mattei a destra è lo sforzo per garantire all’Italia un’indipendenza energetica che, in questi tempi di crisi e di rincaro delle bollette, è ancora più centrale nei desiderata del governo. Da Presidente del Consiglio, gli unici riferimenti di Meloni sulle fonti di energia vanno in questa direzione: all’assenza del gas russo Meloni intende sopperire anche attraverso un aumento della produzione nazionale di gas, perché “i nostri mari sono ricchi di giacimenti di gas che abbiamo il dovere di sfruttare appieno”. In realtà le stime più ottimistiche, provenienti dall’ormai ex ministero della Transizione Ecologica con il PiTESAI, indicano che nel sottosuolo italiano ci sarebbero 350 miliardi di metri cubi di gas naturale, tra riserve già confermate che potenziali, che basterebbero a garantire l’attuale consumo di gas per appena 5 anni.

L’altra priorità è quella delle energie rinnovabili, incensate non per il minore impatto ambientale ma unicamente come risorse energetiche alternative. “La nostra Nazione, in particolare il Mezzogiorno – ha ricordato ancora Meloni – è il paradiso delle rinnovabili, con il suo sole, il vento, il calore della terra, le maree e i fiumi. Un patrimonio di energia verde troppo spesso bloccato da burocrazia e veti incomprensibili

Insomma, ancora una volta si insegue il mito dell’autosufficienza energetica. In più, rispetto agli intenti passati, la presidente del Consiglio rispolvera il principio liberale del lassez-faire. Quando alla Camera Giorgia Meloni afferma che "il motto del governo sarà non disturbare chi vuole fare" l’eco dei precedenti governi Berlusconi è fortissima. Con un richiamo ulteriore, questa volta implicito, a Enrico Mattei. Fu proprio il fondatore dell’ENI a capire che, in assenza di petrolio, l’Italia dovesse puntare sul metano. Tanto che persino lo storico logo del cane a sei zampe venne ideato nel 1952 per promuovere i due punti di forza dell’allora Agip: la benzina Supercortemaggiore e il metano Agipgas. Per questo motivo l’azienda energetica costruì nel giro di pochi anni una rete di gasdotti lunga 2000 chilometri che è l’ossatura di quella esistente. Perché questo aneddoto dovrebbe essere caro alla destra? Per le modalità con cui ciò venne realizzato. Come ha raccontato Il Post in occasione del 50esimo anniversario della morte di Enrico Mattei:

Ci sono parecchi racconti di piccoli paesi che si svegliarono una mattina trovando i campi sventrati dagli operai ENI che avevano scavato i canali dove impiantare i metanodotti. All’epoca non c’era nemmeno il tempo di organizzare un comitato civico per fermare i lavori. Mattei collegò tutta l’Italia con i suoi gasdotti, distribuì quasi ovunque i benzinai AGIP e impiantò i primi grandi poli petrolchimici, come quello di Ravenna

Magari il paragone tra l’industrializzazione del boom economico e la crisi energetica attuale è fuorviante. Ma è la destra italiana che, nel tentativo di appropriazione della figura di Enrico Mattei, dimentica o mette da parte gli enormi cambiamenti storici che nel frattempo sono avvenuti: dalla quotazione in borsa delle aziende di Stato alla globalizzazione che rende le economie sempre più interconnesse fino ai mercati finanziari che dettano i prezzi di una risorsa fisica come il gas. Apprezzare dal punto di vista storico un personaggio assolutamente centrale per l’Italia come Enrico Mattei è un conto, farne il vessillo per i propri piani di governo è un altro. Anche perché per una destra che a fatica prova a convincere l'establishment del proprio posizionamento europeo e filoatlantico, rifarsi a figure complesse e lontane nel tempo come il fondatore dell’ENI potrebbe risultare uno scivolone. Secondo una circolare dell’intelligence inglese, pubblicata da WikiLeaks e risalente ad agosto 1962, appena due mesi prima della morte, Enrico Mattei avrebbe dichiarato: "Ci ho messo 7 anni per condurre il governo italiano verso una apertura a sinistra. E posso dirle che mi ci vorranno meno di 7 anni per far uscire l’Italia dalla Nato e metterla alla testa dei paesi neutrali". Sarebbe interessante scoprire cosa ne pensa la destra italiana di questa (presunta) versione del piano Mattei.



Sbaglia anche la Meloni.
Senza gli africani nessun “piano” per l’Africa è efficace

https://lanuovabq.it/it/senza-gli-afric ... e-efficace

«L’Europa deve varare un piano di sviluppo dell’Africa dove alcuni Paesi non sono padroni del proprio sottosuolo e la gente viene sfruttata in maniera terribile. Se vogliamo risolvere il problema dei migranti, risolviamo i problemi dell’Africa». «L’Italia deve farsi promotrice di un “piano Mattei” per l’Africa, un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione Europea e nazioni africane, anche per contrastare il preoccupante dilagare del radicalismo islamista». A parte l’espressione “piano Mattei”, al posto del solito “piano Marshall” per l’Africa, più volte proposto nel corso degli anni, di per sé le dichiarazioni riportate non esprimono concetti e intenti sostanzialmente nuovi. Tuttavia, meritano attenzione perché sono state fatte la prima dal Papa, che è la nostra massima autorità morale, e la seconda dal nostro Presidente del Consiglio.

La prima riflessione che le due dichiarazioni suggeriscono deriva dal loro concentrarsi sull’Africa parlando di due fenomeni mondiali. Sia l’emigrazione illegale verso l’Europa sia il radicalismo islamista sono fenomeni presenti ovunque. Quest’anno un terzo degli emigranti finora sbarcati in Italia, 30mila persone, proviene da cinque Paesi asiatici soltanto, in testa il Bangladesh con quasi 13mila arrivi. Al Qaeda è stata fondata da Osama Bin Laden, l’Isis da Abu Musab al-Zarqawi. Entrambe le organizzazioni si sono insediate e consolidate in Paesi asiatici prima di diffondersi in Africa. Stranamente, però, l’Asia non viene mai tirata in ballo. Nessuno dice che per fermare immigrati e jihadisti bisogna risolvere i problemi dell’Asia, che l’Europa deve creare piani di sviluppo per l’Asia e per i suoi Paesi.

È come se invece quelli africani non fossero Stati sovrani come quelli asiatici e tutti gli altri, ma fossero ancora colonie europee; non ci fossero l’Unione Africana, le comunità economiche regionali, la Banca africana di sviluppo; gli africani non disponessero di eserciti nazionali e regionali: e fosse quindi compito, responsabilità e diritto europeo risolverne i problemi economici, sociali e di sicurezza. Oppure è come se gli africani non fossero ancora in grado di decidere da sé e di se stessi benché lo abbiano fatto per millenni e solo per pochi decenni siano stati sottomessi e dipendenti da governi stranieri: e anche allora, sotto dominio coloniale, sono stati capaci di scegliere il loro futuro, prova ne sia che sono insorti, hanno rivendicato il diritto all’autodeterminazione e hanno lottato per diventare indipendenti.

La seconda, alquanto amara riflessione riguarda l’effettivo ruolo che l’Europa può svolgere, posto che sia suo dovere e diritto assumerlo. È indubbio che gli emigranti diretti in Europa, quelli illegali beninteso, e i jihadisti affiliati ad al Qaeda e all’Isis pongano problemi che ormai riguardano l’umanità intera e che richiedono provvedimenti urgenti per essere risolti. Ma l’Europa attualmente non sembra in grado di programmare neanche il proprio sviluppo, figurarsi quello di altri continenti. L’Italia in particolare presenta tassi di povertà, di disoccupazione e di emigrazione per motivi economici (specie nella fascia di età giovanile) troppo elevati per pensare che possa e debba farsi carico di piani globali di sviluppo in Africa o altrove.

Un’ultima riflessione. La scelta delle parole è importante. «Un modello virtuoso di collaborazione tra Unione Europea e nazioni africane» suona meglio che «risolviamo i problemi dell’Africa». Ma, allora, con chi collaborare, esattamente? Da mesi, l’unica buona notizia dall’Africa è la sospensione dei combattimenti in Etiopia dopo due anni di guerra, posto che duri. Pessime notizie invece continuano ad arrivare dalla maggior parte dei paesi: in particolare, da Mali e Burkina Faso, sempre più devastati dal jihad che i governi non combattono e anzi alimentano, Sudan, dove a uccidere sono i conflitti tribali e i militari autori di due colpi di stato in tre anni, Sudan del Sud, che ha conosciuto finora solo due anni di pace (nel 2013 le due etnie dominanti, 25 mesi dopo l’indipendenza dal Sudan, hanno scatenato una guerra per il potere), Repubblica Centrafricana, senza pace nonostante i tavoli di trattative e le tregue promesse dal 2013, Nigeria, alla prese con una violenza ormai fuori controllo, che non risparmia nessuno, Ghana, colpito da una inspiegabile, gravissima crisi economica (dalla quale il presidente Nana Akufo-Addo cerca di distogliere l’attenzione reclamando risarcimenti per gli Africani vittime della tratta atlantica degli schiavi), Repubblica democratica del Congo, Rwanda e Uganda, a un passo dal dichiararsi guerra, Camerun, dove la minoranza di lingua inglese è in rivolta e tuttavia stanno per iniziare grandi festeggiamenti per celebrare i 40 anni di presidenza di Paul Biya, in carica dal 1982. Più longevo ancora di Biya è Teodoro Nguema, presidente della Guinea Equatoriale da 43 anni, al potere dal 1979 con un colpo di Stato. Il Paese andrà al voto il 20 novembre e Nguema si è candidato per un sesto mandato: dice di aver garantito ai guineani decenni di pace, ma, come Biya in Camerun, governa con pugno di ferro e la sua famiglia considera proprio patrimonio personale il petrolio i cui proventi se ben amministrati renderebbero i circa 1,4 milioni di abitanti del paese i più ricchi del continente.



Alberto Pento

Sia chiaro che all'Africa e agli africani non dobbiamo niente di niente e che non abbiamo alcuna responsabilità e alcuna colpa sul loro sottosviluppo economico e sulla loro povertà e sulla loro conflittualità tribale, ideologica e politico religiosa dovuta all'internazi comunismo e al nazismo maomettano.

All'Africa e agli africani non dobbiamo nulla, ma proprio nulla, niente di niente, tanto meno agli asiatici e ai nazisti maomettani d'Asia e d'Africa. Ci dispiace per i cristiani ma non possiamo accogliere tutti perché non vi è spazio, non vi sono risorse e non c'è lavoro, in Italia vi sono già milioni di poveri, di disoccupati e di giovani costretti a migrare; e un debito pubblico tra i più alti del mondo occidentale che soffoca lo sviluppo e alimenta i parassiti e la corruzione. Gli africani si arrangino e restino in Africa a risolvere i loro problemi.
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 194&t=2494
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Messaggioda Berto » mer nov 16, 2022 8:16 pm

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Messaggioda Berto » mer nov 16, 2022 8:17 pm

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Messaggioda Berto » mer nov 16, 2022 8:17 pm

17)
Gli USA e i clandestini

I repubblicani che amano e rispettano il loro paese e i primari diritti dei cittadini e i demenziali democratici che invece non li rispettano per nulla. Fortunatamente gli USA sono un paese federale dove i singoli stati possono agire come vogliono.

Il governatore del Texas Greg Abbott ha dichiarato che è in corso un invasione di immigrati clandestini al confine meridionale e si è mosso per invocare le clausole delle Costituzioni degli Stati Uniti e del Texas per consentirgli di aumentare la sicurezza al confine.
16 novembre 2022

https://www.facebook.com/francesco.terr ... JBY9UuPXpl

"Sto usando quell'autorità costituzionale, e altre autorizzazioni e ordini esecutivi per mantenere il nostro Stato e il nostro paese al sicuro", ha detto Abbott in un tweet .
Il governatore, che è stato rieletto la scorsa settimana, prevede di intraprendere una serie di azioni, tra cui il dispiegamento della Guardia Nazionale per respingere gli immigrati che stanno tentando di attraversare il confine illegalmente, inviando il Dipartimento della pubblica sicurezza del Texas ad arrestare i clandestini e costruendo un muro di confine in più contee.
Ha in programma qualsiasi azione tesa a proteggere il confine, designare i cartelli della droga messicani come organizzazioni terroristiche straniere, stipulare accordi con altri Stati per migliorare la sicurezza delle frontiere e inviare risorse alle contee di confine per aiutarle a rispondere all' invasione dei clandestini.
L'articolo IV della Costituzione degli Stati Uniti afferma che il governo federale deve proteggere ogni Stato da qualsiasi minaccia alla sicurezza interna.
Il miglioramento della sicurezza delle frontiere è stata una questione chiave per la campagna di rielezione di Abbott contro il democratico Beto O'Rourke. Abbott ha vinto quella gara comodamente di circa 11 punti.
L'amministrazione Biden è stata oggetto di critiche per la situazione al confine meridionale poiché gli Stati Uniti hanno registrato livelli storicamente elevati di persone che hanno attraversato il confine nell'ultimo anno.
Anche Abbott e un paio di altri governatori repubblicani hanno ricevuto attenzione negli ultimi mesi poiché hanno trasportato in autobus o trasportato in aereo immigrati verso città del nord gestite da democratici, spesso senza dirlo ai funzionari responsabili di quelle città.
I critici hanno accusato i governatori di usare gli immigrati come pedine politiche.
Il governatore Greg Abbott non fa altro che difendere il suo Stato da ondate di immigrati clandestini.
È un suo sacrosanto diritto.
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Messaggioda Berto » mer nov 16, 2022 8:17 pm

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Messaggioda Berto » mer nov 16, 2022 8:18 pm

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Messaggioda Berto » mer nov 16, 2022 8:18 pm

18)
Il sentimento, la coscienza, la volontà della maggioranza degli italiani rispetto all'invasione clandestina e all'immigrazione in generale




Immigrazione, il sondaggio e la sorpresa: cosa vogliono gli elettori Pd
Arnaldo Ferrari Nasi
16 novembre 2022

https://www.liberoquotidiano.it/news/po ... ri-pd.html

Tendenzialmente non cambia l'atteggiamento dell'opinione pubblica italiana, nei confronti della questione immigrazione. Per quasi i due terzi della popolazione «lo Stato Italiano, rispetto ad ora, dovrebbe comportarsi in modo più severo». Anche le altre rilevazioni, effettuate negli anni, hanno dato sempre lo stesso risultato, se non ancora più deciso. Ad esempio, durante nel 2013, quando era in carica il governo di centrosinistra guidato da Enrico Letta, che evidentemente da questo punto di vista era giudicato lascivo, il dato era del 76%. Otto anni dopo, con Mario Draghi a Montecitorio ed il ministro Lamorgese al Viminale, 67%.

Oggi, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che non ha mai nascosto le sue intenzioni sul tema e che ha già iniziato ad operare in tale senso, ha, a livello popolare, un sostegno che proviene, non solo dal centrodestra, 81% di media, con Forza Italia un po' più tiepida degli altri, ma anche da una grande proporzione degli elettorati dei partiti di opposizione. Nel dettaglio, sorprende anzitutto chi vota Partito democratico, che per il 61% è d'accordo affinchè ci sia maggior fermezza sulla questione.Viene da ripensare a quanto fu criticato dai propri colleghi dirigenti del Partito Democratico, Marco Minniti, al tempo risoluto Ministro dell'Interno del Governo Gentiloni. Inaspettato anche il dato accorpato delle piccole formazioni di sinistra-sinistra (Verdi, Articolo 1, e le altre formazioni) che nel loro agire prevedono l'accoglienza senza se e senza ma: il 55% del loro elettorato è d'accordo con una maggior severità. Il Terzo Polo, guidato da Matteo Renzi e Carlo Calenda, è diviso a metà (49%), mentre i Movimento 5 Stelle si trova in linea con la politica da sempre sostenuta, 55%. Ricordando che la definizione di «Ong taxi dei mari» fu coniata proprio dagli esponenti grillini. Il cosiddetto "blocco navale" su cui Fratelli d'Italia insiste da almento cinque anni, ottiene anch'esso l'approvazione della maggior parte della popolazione (57%).

Obiettivamente, la stessa definizione della proposta, per quanto sintetica, risulta un po' forte: viene sicuramente in mente il blocco navale di Cuba da parte degli Usa, durante la crisi dei missili del 1962, o quello operato dalla Grand Fleet britannica sui porti tedeschi per la quasi totale lunghezza della Prima Guerra Mondiale. In ogni caso, anche durante la recente campagna elettorale e nelle sue prime dichiarazioni da premier, la Meloni ha ben spiegato che questa deve essere una operazione europea disposta in accordo con i governi nordafricani, il cui scopo sarebbe quello di selezionare in partenza, e non all'arrivo, gli aventi diritto di asilo, evitando quindi di intasare gli approdi italiani, bloccando inoltre l'orrido mercato umano gestito dagli scafisti. Anche in questo caso, la maggior parte della popolazione risulta essere d'accordo con la proposta (57%) e, tra gli elettorati, si ripete lo schema che già prima si è visto. Forse con un po' meno di entusiasmo nell'opposizione, ma i valori rimangono importanti: 44% nel Pd e 43% nei partiti alla sinistra del Nazareno.
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Messaggioda Berto » mer nov 16, 2022 8:18 pm

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