Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » mar lug 21, 2020 8:27 pm

I falsari e la realtà
Niram Ferretti
14 luglio 2020

http://www.linformale.eu/i-falsari-e-la-realta/

Su “Bet Magazine Mosaico” organo ufficiale della Comunità ebraica di Milano del 13 luglio appare un appello dal titolo, Contro l’annessione: una voce ebraica italiana, una protesta globale. Già il titolo, nella sua iperbole, evoca un orizzonte assai ampio, tuttavia il respiro dello scritto è corto, quasi asfittico, diremo, nonostante l’entusiasmo del titolatore.

Il pezzo si associa vibrantemente a un altro appello, quello promosso e capeggiato a maggio da settanta parlamentari del centrosinistra e indirizzato al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, allo scopo di condannare Israele nella sua intenzione di estendere la propria sovranità su una porzione di territori della Giudea e Samaria (Cisgiordania, West Bank).

A leggere alcune delle firme in calce alla protesta ebraica su Mosaico, non si può fare a meno di notare quanto, alcune di esse, rappresentino il fior fiore della Haskalah diasporica italiana, ovvero la rappresentanza degli ebrei illuminati e giusti per i quali, i correligionari che dissentono appartengono proverbialmente alla categoria guarescana dei trinariciuti.

L’appello è un esemplare breviario di luoghi comuni stagionati e falsità consolidate che farebbe la letizia dell’ufficio propaganda dell’OLP o dell’Autorità Palestinese, con l’aggiunta di nuove gemme.

Vediamoli.

Portatori di sensibilità politiche e religiose differenti, ci accomuna la forte opposizione all’occupazione israeliana dei territori palestinesi e, oggi, al piano di annessione previsto…L’annessione unilaterale di porzioni della Cisgiordania rappresenta un colpo fatale per la realizzazione di un futuro di giustizia e pace tra israeliani e palestinesi e viola il diritto internazionale.

La sensibilità comune è un collante forte, ma non basta a trasformare la realtà in fiction. I territori “palestinesi” sono tali geograficamente, in quanto ubicati al di fuori di Israele. Solo in questo senso eminentemente toponomastico si possono definire “palestinesi”. Non esiste, infatti, sui territori della Giudea e Samaria alcun detentore sovrano legittimo dal 1948 ad oggi. Il massimo che si possa dire, in ossequio al diritto internazionale, è che essi siano contesi, tuttavia, vi è una forte, anzi fortissima legittimità israeliana su di loro, sancità dal Mandato Britannico per la Palestina del 1922, mai abrogato nelle sue disposizioni originarie.

Il termine “occupazione” consegue all’abbaglio di fare credere che essi siano palestinesi di dotazione e che gli israeliani vi permangano abusivamente. Le parole stregano, non solo quelle dei poeti, ma soprattutto quelle di megafoni solerti al servizio della propaganda, come ben sapeva il dottor Goebbels. Altra fola perpetrata ad arte e tutta giocata sull’ambiguità del termine. Va aggiunto inoltre che il concetto stesso di “occupazione” è stato svuotato di senso con gli Accordi di Oslo e in modo evidente con l’Accordo Provvisorio del 1995 il quale, all’articolo XI stabilisce che i poteri civili e l’autorità in tutti i territori sia esercitata dall’Autorità Palestinese con l’esclusione dell’Area C, sulla quale il potere dell’Autorità Palestinese non si estende. Lo stesso Accordo stabilisce all’Articolo XII(1), stipulato, come gli altri, con i palestinesi, che Israele abbia il diritto di permanere a tutela difensiva degli insediamenti ebraici e della loro popolazione. In altre parole, “l’occupazione” riguarderebbe la salvaguardia israeliana sulla popolazione ebraica legittimamente insediata nella porzione di territorio che le compete.

“Annessione” è altro termine fraudolento, così come è del tutto falso affermare che l’estensione di sovranità, perchè questo è, sarebbe in violazione del diritto internazionale. Quale diritto internazionale? Gli autori o l’autore dell’appello non lo dice. Si limita al flatus vocis della formula. In verità non può esservi annessione laddove i territori in oggetto sono già stati allocati a Israele nel 1922 dal Mandato Britannico per la Palestina, e sui quali Israele ha piena legittimità giuridica di estendere la propria sovranità.

Nessuna delle numerose risoluzioni ONU prodotte negli anni a ritmo serrato contro lo Stato ebraico con il copioso concorso degli Stati musulmani e arabi, e nelle quali viene ribadita la presunta illegalità della presenza israeliana in Cisgiordania e degli insediamenti ivi presenti, ha valore sul piano legale, non essendo alcuna delle risoulzioni in oggetto giuridicamente vincolante.

Gli stessi Accordi di Oslo del 1993-1995 prevedono che la questione relativa alla distribuzione e all’eventuale cedimento dei territori da parte israeliana avvenga nel contesto di negoziati tra le parti. Dopo 25 anni e dopo il costante rifiuto arabo di accettare le proposte israeliane, da Camp David nel 2000, a Taba nel 2001, e in seguito con la proposta fatta da Ehud Olmert ad Abu Mazen nel 2008, anch’essa respinta, è giunta l’ora di riconoscere il fallimento degli Accordi e procedere a legalizzare una porzione (il 30%) dei territori.

La tanto invocata pace a cui l’appello fa riferimento, non è mai giunta a realizzarsi, unicamente e inequivocabilmente, in virtù della indisponibilità araba a ogni intesa con Israele, cominciando dal 1947 in sede ONU, quando, dopo la Risoluzione 181, in cui il territorio demandato agli ebrei dal Mandato Britannico per la Palestina del 1922, veniva ulteriormente decurtato a favore degli arabi, essi rigettarono la Risoluzione e procedettero ad attaccare il nascituro Stato ebraico nel 1948 allo scopo di annientarlo. Ad oggi in nessun documento ufficiale sia dell’OLP che dell’Autorità Palestinese è riconosciuta la legittimità esistenziale di Israele. Vi è stato solo ed unicamente da parte dell’Autorità Palestinese un riconoscimento formale di fatto.

Se portata a termine, l’annessione consoliderà de jure la discriminazione sistematica dei palestinesi, negando i loro diritti individuali e collettivi. Inoltre il Primo Ministro israeliano ha dichiarato che hai residenti palestinesi dei territori annessi non verrebbe conferita la cittadinanza.

Così come la gatta frettolosa fece i gattini ciechi, il falsario poco esperto crea patacche grossolane. Basterebbe conoscere le disposizioni vigenti degli Accordi di Oslo per sapere che nella tripartizione delle aree della Cisgiordania, A, B e C, l’Autorità Palestinese ha piena giurisdizione legale e politica sulla prima, e in parte sostanziale anche sulla seconda, e che, unicamente l’Area C è demandata al controllo politico e militare israeliano. L’eventuale estensione di sovranità sul 30% dei territori circoscritti nel perimetro di tale area, lascerebbe agli arabi palestinesi ivi dimoranti la la loro specificità, non facendoli diventare automaticamente cittadini israeliani, nella prospettiva di un futuro Stato palestinese nei quali confluirebbero. E questa sarebbe una forma di “discriminazione”?

La criticità di questo progetto è resa ancora più acuta dal quadro all’interno del quale si inserisce, il ‘Deal of the Century’ del Presidente Trump, che dietro la falsa promessa della creazione di uno Stato palestinese, prospetta in realtà una entità priva di continuità territoriale e di sovranità politica.

I falsari che accusano di falsità chi non lo è sono pari alle donne di facili costumi che danno lezioni di virtù, suscitano sconcerto e ilarità. La continuità territoriale di un possibile Stato palestinese, per le evidenti caratteristiche geografiche del territorio in essere, non può essere omogenea. Nonostante ciò, il piano di pace targato Trump prevede un notevole investimento in infrastrutture nel quale sarebbe anche ipotizzato un collegamento tra la Cisgiordania e Gaza. La sovranità sullo Stato palestinese sarebbe pienamente demandata agli arabi palestinesi, tuttavia, lo Stato non potrebbe avere un proprio esercito così come altri Stati, il Liechtenstein, Monaco, Panama, Grenada, senza per questo che la loro sovranità sia diminuita.

I fatti parlano sempre il linguaggio inequivocabile della realtà, l’ideologia, di cui, questo appello è impregnato come una spugna, si incarica di sostituirli con dei simulacri.



Il nuovo governo Netanyahu, con la annunciata decisione di estendere la sovranità israeliana a circa il 30% della Giudea e Samaria, ha aperto un gigantesco vaso di Pandora che ha scatenato le prevedibili reazioni contrarie della comunità internazionale con a capofila l’Alto Rappresentante degli affari esteri UE Josep Borrell e il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres. Seguita o anticipata da più o meno tutti i rappresentanti degli Stati Occidentali ad esclusione dell’Amministrazione Trump.

L’accusa è di quelle gravi e senza appello: violazione del diritto internazionale. Però come quasi sempre accade, l’accusa così formulata non fornisce mai alcun dettaglio di quale legge o principio del diritto internazionale Israele violerebbe.

Talvolta però, in qualche dichiarazione o comunicato, il capo di Stato o diplomatico di turno (quasi sempre un rappresentante irlandese, svedese, lussemburghese, francese, o belga), parla di “occupazione illegale di terre palestinesi”.

A questo punto è opportuno cercare di fare chiarezza andando a ritroso storicamente per cercare di capire chi ha la titolarità legale su questi territori.

La storia, dei territori di Giudea e Samaria (Cisgiordania, West Bank), degli ultimi 100 anni è molto lineare: l’ONU del tempo (la Società delle Nazioni) dopo aver deciso di sottrarli all’autorità legittima ottomana, nell’ambito della risistemazione di tutto il Medio Oriente con la creazione del sistema dei mandati e di vari Stati indipendenti arabi, decise di assegnarli al Mandato per la Palestina affidato alla Gran Bretagna. Complessivamente i Mandati approvati (per il Medio Oriente), in prima battuta a Sanremo nel 1920 e successivamente ratificati dopo le paci di Sevres e Losanna furono 4: Il Mandato per la Palestina, il Mandato per il Libano, il Mandato per la Siria e per la Mesopotamia (Iraq). L’intento dichiarato era quello di gestire questi territori – diventati internazionali con il sistema dei Mandati – per renderli autonomi e farne nel tempo degli Stati indipendenti al fine di garantire l’autodeterminazione della popolazione locale.

Nel caso specifico del Mandato per la Palestina, come si evince in modo inequivocabile leggendo il preambolo, l’Art. 2, l’Art. 4, l’Art. 6 e l’Art. 7, l’intento era quello di creare uno Stato indipendente per il popolo ebraico.

Dopo l’approvazione ufficiale del Mandato del 22 luglio 1922, la Gran Bretagna in qualità di autorità mandataria e in base all’art. 25 del Mandato stesso, decise di dividere il Mandato, con un proprio memorandum presentato al Consiglio della Società delle Nazioni e da esso approvato definitivamente il 23 settembre 1922, in due unità amministrative separate: la Palestina (dove rimanevano in vigore tutti gli obblighi mandatari per la creazione dello Stato degli ebrei previsti dal Mandato stesso) e la Transgiordania retta dall’Emiro Abdallah con l’intento di creare uno Stato arabo precluso agli ebrei (una sorta di Stato judenrein ante litteram) visto il divieto agli ebrei di risiedervi imposto dalle autorità inglesi in modo arbitrario e forse anche illegale. Il “confine amministrativo” tra le due porzioni del mandato correva lungo il fiume Giordano (si veda la cartina 1).

In estrema sintesi si può affermare che il Mandato per la Palestina, quando è nato, è nato “duplice” ad ovest del Giordano per un futuro Stato del popolo ebraico, e uno ad est del fiume per il popolo arabo. Le cose sono proseguite così fino al 1946, quando la Gran Bretagna, in qualità di autorità mandataria riconobbe il fatto che la Transgiordania, dal quel momento, era in grado di diventare uno Stato indipendente, che divenne così l’attuale Giordania.

Ciò che rimaneva in vigore come Mandato internazionale amministrato dalla Gran Bretagna era la Palestina, cioè la porzione di territorio ad ovest del Giordano, quindi compresi anche i territori di Giudea e Samaria, ovvero il territorio istituito per creare lo Stato degli ebrei.

Nell’aprile del 1947 gli inglesi decisero di rinunciare ad amministrare il Mandato per la Palestina e di rimetterlo all’ONU, che nel 1946 era subentrata alla Società delle Nazioni assumendone tutti gli obblighi ancora in essere. La questione dei Mandati in vigore – quello per la Palestina non era l’unico ancora operante – fu disciplinata con l’art. 80 dello Statuto.

La decisione inglese fu presa per un duplice motivo: l’impossibilità economica di mantenere la presenza militare nel territorio e soprattutto per la sempre maggiore ostilità della locale popolazione ebraica e araba ormai in procinto di combattere una vera a propria guerra civile.

Vista l’impossibilità di trovare un accordo tra arabi ed ebrei (gli arabi non volevano in nessun modo permettere la creazione di uno Stato degli ebrei), l’Assemblea Generale interpellata sulla questione, con la Risoluzione 181 del 29 novembre 1947, decise la partizione del territorio del Mandato per la Palestina. Con questa Risoluzione l’Assemblea Generale, non fece altro che una “raccomandazione” alla Gran Bretagna, in qualità di potenza mandataria, di procedere alla spartizione territoriale del Mandato (vedi cartina 2), così come era stata suggerita dalla commissione ONU, l’UNSCOP, incaricata di studiare come risolvere il problema di convivenza tra ebrei e arabi all’interno del territorio mandatario (su questo torneremo in dettaglio più avanti).

Questo suggerimento fu accettato dagli ebrei ma fu rifiutato dagli arabi che, con l’aiuto degli Stati arabi confinanti, decisero di espellere tutti gli ebrei che abitavano nel territorio mandatario.

Gli ebrei che vivevano nel territorio mandatario decisero di proclamare la loro indipendenza il 14 maggio 1948, in virtù anche delle disposizioni mandatarie che prevedevano la creazione di uno Stato per il popolo ebraico.

Immediatamente il nuovo Stato fu attaccato da 5 eserciti arabi oltre che dalla locale popolazione araba. Nel 1949 furono firmati gli armistizi tra Israele e l’Egitto, la Giordania, il Libano e la Siria. Successivamente Israele come Stato indipendente fu ammesso in seno all’ONU come 59° Stato membro. L’ammissione di Israele all’ONU aveva una peculiarità: non aveva confini ufficiali e ben definiti ma linee armistiziali provvisorie. Rispetto ai confini mandatari Israele aveva perduto i territori di Giudea e Samaria – che la Giordania aveva illegalmente occupato e nel 1950 annesso – e la Striscia di Gaza a sud occupata illegalmente dall’Egitto (vedi cartina 3).

Questa situazione provvisoria si protrasse fino al 1967. Senza che mai Israele rinunciasse alla rivendicazione dei territori persi durante la guerra di indipendenza. La rivendicazione territoriale israeliana aveva (e ha) il suo fondamento nel principio, internazionalmente utilizzato per stabilire i confini dei nuovi Stati, dell’Uti Possidetis con il quale si sono stabiliti tutti i confini degli Stati mediorientali nati dal rispettivi mandati: Libano, Siria, Iraq e non da ultimo la Giordania nata come abbiamo visto dal medesimo Mandato per la Palestina da cui è nato Israele.

Israele, nel 1967, uscito vincitore dalla guerra dei Sei Giorni riconquistò i territori di Giudea, Samaria e Striscia di Gaza. Inoltre conquistò il Golan e la penisola del Sinai.

Tra il 1979 e il 1982, Israele dopo aver firmato il trattato di pace con l’Egitto si ritirò dalla penisola del Sinai stabilendo il confine internazionale con l’Egitto sul confine preesistente tra Egitto e Mandato per la Palestina.

Nel 2005 Israele decise di rinunciare alla sovranità sulla Striscia di Gaza e di trasferite tutta la popolazione ebraica presente, affidando le competenze del territorio all’ANP nata con gli Accordi di Oslo del 1993-1995.

Diversa è la situazione di Giudea e Samaria, che dal 1950 sono noti anche come West Bank o Cisgiordania dal periodo di occupazione illegale giordana. Questi territori come si accennava furono riconquistati da Israele con la guerra del 1967. Quindi Israele, conquistando e amministrando, questi territori non ha compiuto nessun atto illegale per il diritto internazionale per due motivi: 1) Israele come Stato aggredito dalla Giordania ha il diritto ai territori in base all’art. 51 dello Statuto dell’ONU. Cosa riconosciuta dalle Risoluzioni 242 e 338 del Consiglio di Sicurezza. 2) per il principio del diritto internazionale: ex iniura non oritur ius (un atto illegale non genera legge) cioè la precedente illegale occupazione giordana non ha mai dato diritto alla Giordania al possesso dei suddetti territori. In conclusione i territori di Giudea e Samaria o sono territori internazionali non assegnati (quindi territori contesi) oppure appartengono ad Israele che li rivendica per il principio dell’uti possidetis.

Anche gli Accordi di Oslo, entrati in vigore dal 1995, non hanno intaccato le rivendicazioni legali di Israele perché tali accordi con la neo costituita Autorità Nazionale Palestinese sono accordi di tipo amministrativo e non statuale. Gli eventuali confini, se il processo politico in corso approderà alla soluzione di due Stati, saranno discussi tra le parti. Da dove nasce dunque l’iniziale affermazione di “occupazione illegale di terre palestinesi”? Da una interpretazione politica – non basata sul diritto internazionale – della già citata Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale dell’ONU.

Come si evince chiaramente dalla cartina 3, i “confini” della “Cisgiordania occupata” non coincidono con quelli proposti con la Risoluzione 181. Ma sono bensì delle linee di armistizio alla conclusione della guerra del 1948-49. Inoltre, mai nessuno Stato al mondo nonché nessuna organizzazione dell’ONU (Consiglio di Sicurezza, Assemblea Generale o altri) ha mai dichiarato Giudea e Samaria (Cisgiordania) “territorio palestinese occupato” quando fu annessa alla Giordania dal 1950 al 1967. Perché? Perché non vi erano le basi legali per farlo e non ci sono neanche oggi. Ma allora come è nata la Risoluzione 181 e qual è il suo valore legale?

Quando la Gran Bretagna, in qualità di potenza mandataria, nell’aprile del 1947 formalizzò la sua rinuncia a continuare ad amministrare il Mandato per la Palestina, ne diede notizia formale all’Assemblea Generale convocata ad hoc (come previsto dall’art. 27 del Mandato per la Palestina). L’Assemblea Generale fu convocata in base alle disposizioni dell’art. 10 dello Statuto dell’ONU. Questo è un aspetto giuridico di fondamentale importanza. Perché, come prevede lo Statuto stesso, le decisioni dell’Assemblea Generale rientrano nell’ambito di questo articolo e non hanno potere vincolante. L’unica eccezione al questa disposizione è rappresentata dall’art. 17 che prevede la competenza vincolante dell’Assemblea Generale in materia di finanziamento delle organizzazioni dell’ONU oltre che dell’Assemblea stessa. In conclusione l’Assemblea Generale poteva solo “raccomandare” e non “decidere” sul destino del Mandato per la Palestina perché non aveva – e non ha – il titolo per poterlo fare. La cosa si evince dalla formulazione stessa della Risoluzione 181: “l’Assemblea Generale raccomanda alla Gran Bretagna, in qualità di potenza mandataria e […] il Consiglio di Sicurezza di implementare …” (cioè rendere vincolante legalmente) le raccomandazioni formulate nella Risoluzione. In pratica l’Assemblea Generale chiede ad altri due soggetti (potenza mandataria e Consiglio di Sicurezza) di attuarne le disposizioni. Perché lo chiede ad altri? Perché non ha il potere legale per poterlo fare. Infatti gli Stati arabi per giustificare la loro invasione del neonato Stato di Israele dichiararono che tale Risoluzione non aveva potere legale. E avevano ragione su questo punto.

Quindi, l’affermazione “occupazione illegale di terre palestinesi” non ha basi giuridiche perché uno Stato arabo palestinese non è mai sorto su quelle terre: per l’invasione araba e perché la Gran Bretagna e il Consiglio di Sicurezza non hanno dato seguito al suggerimento dell’Assemblea Generale. E avrebbero dovuto farlo con l’uso della forza per contrastare l’invasione araba (gli ebrei erano d’accordo sulla partizione) come previsto dalla Risoluzione 181.

Ne consegue che, se Israele non ha titolo di legittimità territoriale in Giudea e Samaria, dal punto di vista legale, non ha titolo alla sua stessa esistenza. Perché, come evidenziato, questo titolo gli deriva dal Mandato Britannico per Palestina che comprendeva anche Giudea e Samaria.

L’operazione politico-diplomatica intesa a evidenziare una pretesa violazione da parte di Israele del diritto internazionale in virtù della presenza di cittadini ebrei in quelle terre e/o la volontà di estendere la propria sovranità su di esse equivale a riconoscere l’illegittimità di Israele stesso.

La questione legata a Giudea e Samaria è solo il primo passo, da parte degli arabi, per procedere verso il vero obiettivo: la dichiarazione e il riconoscimento che tutto Israele è illegale dal punto di vista del diritto internazionale.
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Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » mar lug 21, 2020 8:28 pm

Israele, l’eccezione
David Elber
21 Luglio 2020

http://www.linformale.eu/israele-leccezione/

La proposta del governo israeliano di procedere all’estensione della sua sovranità sopra il 30% della Giudea e Samaria (Cisgiordania, West Bank) ha ridato vigore al ben noto mantra secondo il quale, con questa azione, Israele violerebbe, il diritto internazionale.

Per il diritto internazionale l’annessione unilitarale da parte di un Stato nei confronti di territori fuori dai propri confini, sarebbe illegale. Le cose stanno davvero in questi termini? Non si sono mai verificate annessioni unilaterali a partire della Seconda Guerra mondiale che la comunità internazionle non abbia sanzionato?

A scanso di equivoci, per prima cosa è da rimarcare che nel caso di Israele e dei territori della Giudea e della Samaria non si può parlare di annessione ma semplicemente di estensione della sovranità. Argomento già trattato su L’Informale con vari articoli apparsi dal 20 maggio scorso.

Si tratterà qui di prendere in esame alcuni esempi tra i più noti di annessione unilaterale accaduti nel mondo. E’ importante sottolineare che per il diritto internazionale non esiste un trattato che disciplina la questione delle annessioni. Per questa ragione “fanno legge” altri due principi, come si evince dall’art. 38 dello Statuto della Corte di Giustizia Internazionale:

la consuetudine internazionale, come prova
i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili

Relativamente al punto c, il principio generale accettato da giuristi e – in teoria – dagli Stati è quello che sancisce che una annessione unilaterale non è mai ammessa perché potrebbe diventare una scusa per uno Stato abbastanza forte militarmente per una invasione territoriale di un altro Stato, con il pretesto di una aggressione subita al fine di giustificare le proprie mire espansioniste. Per questa ragione i principi generali sono contrari all’annessione anche in caso di guerra difensiva. In pratica, come si è comportata la consuetudine internazionale relativamente a casi specifici?

Gli esempi che contraddicono il principio generale sopra esposto sono davvero numerosi. Vediamone alcuni.

Isole Curili

Questo arcipelago di isole a nord del Giappone, fino al 1945 apparteneva all’Impero giapponese. L’Urss lo occupò nelle ultime settimane della Seconda Guerra mondiale. Da allora hanno fatto parte dell’Urss e poi della Russia. Mai è stato firmato un accordo di pace tra Giappone e Urss (poi Russia) che ponesse fine allo stato di belligeranza tra i due paesi. Quindi, si tratta di una annessione unilaterale derivante da una guerra difensiva. Nessuno a livello internazionale (ad esclusione del Giappone) ha mai eccepito nulla.

Penisola Coreana

Alla conclusione della guerra di Corea nel 1953, dopo l’aggressione Nord coreana ai danni della Corea del sud, la Corea del sud controllava – e controlla tuttora – un ampia zona a nord del 38° parallelo che sanciva il “confine” tra le due Coree. Questa zona fu conservata perché di strategica importanza militare. Le due Coree non hanno mai firmato un accordo di pace. Questa zona è di fatto annessa alla Corea del sud. Quindi si tratta di annessione unilaterale di una guerra difensiva. Nessuno a livello internazionale ha mai eccepito nulla.

Kashmir

La regione del Kashmir che si colloca tra India, Pakistan e Cina, con l’indipendenza di India e Pakistan aveva deciso per la propria indipendenza (era un principato). Durante la prima guerra indo-pakistana fu invaso dai due paesi confinanti e di fatto spartito (2/3 all’India e 1/3 al Pakistan). Entrambi i paesi hanno annesso unilateralmente le zone conquistate militarmente. Nessuno a livello internazionale ha mai eccepito nulla.

Oltre a questi esempi, ci sono tantissimi casi di annessione unilaterale dopo un atto di palese aggressione. Tra i tanti si possono citare l’annessione di Lituania, Lettonia e Estonia da parte dell’Urss. La Crimea da parte della Russia, parti della Georgia da parte della Russia, il Tibet da parte della Cina. Di tutti questi casi nessun organo onusiano ha mai condannato le annessioni. Non da ultimo, quando la Giordania, nel 1950 si annesse gli stessi territori della Giudea e dela Samaria in modo illegale, non vi fu alcun biasimo o condanna da parte dell’ONU o di un altro organismo internazionale.

Infine molto interessante, e poco noto, è anche il caso della città di Trieste. La città fu occupata nel 1945 dalle truppe angolo-americane – dopo la breve e drammatica occupazione titina – e nel 1947, dopo la firma del trattato di pace tra l’Italia e gli alleati, divenne città libera (internazionale) con la Risoluzione 16 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Trieste passò sotto il controllo italiano nel 1954 dopo la firma del memorandum di Londra. Tale memorandum di fatto formalizzò una situazione provvisoria della città, in quanto esso non accennava alla piena sovranità italiana della città ma al semplice passaggio d’amministrazione. In pratica la città fu annessa all’Italia senza che l’Italia ne avesse i pieni titoli legali, infatti la Risoluzione 16 del Consiglio di Sicurezza non è mai stata abrogata, anche dopo il trattato di Osimo.

Questo episodio dovrebbe far riflettere chi si ostina a rifiutare la legalità di Gerusalemme come capitale di Israele.

In conclusione, come si evince chiaramente dagli esempi riportati, il diritto internazionale è basato tante volte (quando non ci sono dei trattati specifici) su dei principi generali che sono ampiamente sconfessati dalla pratica consuetudinaria degli Stati. Pratica ammessa per tutti gli Stati tranne uno: Israele, anche quando ha la rivendicazione legale per poterlo fare.

Questo tema è ritornato di attualità in merito alla proposta del governo israeliano di procedere all’estensione della sovranità al 30% della Giudea e Samaria. Questo progetto è stato subito bollato dalla quasi totalità della comunità internazionale come un “atto contrario al diritto internazionale”. Cosa c’è di vero in questa affermazione? E come si è comportata la stessa comunità internazionale di fronte ad altri casi di annessione unilaterale?
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Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » gio lug 30, 2020 8:15 pm

I falsari di nuovo all'opera
30 luglio 2020

http://www.linformale.eu/i-falsari-di-nuovo-allopera/

Dopo la lettera appello del gruppo di giovani ebree ed ebrei italiani apparsa su Bet Magazine e Joimag, contro la cosiddetta “annessione” dei territori della Cisgiordania da parte di Israele di cui l’Informale ha già dato conto, Joimag, con un articolo del 27 luglio, pone delle domande ai promotori, in guisa di approfondimento.

Purtroppo questi ultimi, continuano imperterriti a reiterare falsità e deformazioni. La giovane età non è ostativa allo studio e all’approfondimento, anzi, e dispiace che le giovani e i giovani ebrei contrari all’”annessione” offrano un campionario così scarso di conoscenza, o meglio, si prestino a fare da gran cassa alla più vieta propaganda.

Prenderemo ad esempio alcuni scampoli dell’approfondimento. “ Gli organi giuridici della comunità internazionale riconoscono che si tratta di territori occupati…”affermano i promotori dell’appello a proposito dei territori della Cisgiordania. Quali sarebbero gli “organi giuridici” della comunità internazionale non è specificato. Probabilmente l’ONU, forse la UE. Peccato che nè l’uno nè l’altro abbia alcuna titolarità giuridica per stabilire norme del diritto internazionale ma l’importate è creare l’impressione che “l’occupazione” sia di per sé una violazione e che essa sia stata sanzionata da un’autorità indiscussa. Così non è.

In realtà esistono una serie di Risoluzioni ONU avverse a Israele e volute da paesi arabi e musulmani con l’ausilio solerte di numerosi altri paesi, tra cui anche gli Stati Uniti, che contestano a Israele di occupare i territori della Cisgiordania, in totale sprezzo del fatto che essi vennero assegnati agli ebrei dal Mandato Britannico per la Palestina del 1922. Il diritto internazionale è terreno scivoloso e di fatto, valgono sempre in primis trattati e consuetudini a stabilrne il nomos. Nel caso di Israele e dei territori che sarebbero “occupati”, l’unico documento che possa essere considerato alla stregua di un trattato è quello del Mandato. Tutto il resto è labile.

Successivamente gli autori affermano che “Il governo e la Corte Suprema israeliani stessi hanno applicato le norme internazionali di forza occupante nel governare i suddetti territori, riconoscendo implicitamente che si tratta di territori occupati”. Si tratta di una pura falsità. Israele applica solo alcune norme internazionali, ma applica anche norme del codice civile giordano e mandatario e addirittura ottomano proprio per favorire le usanze della popolazione civile araba cosa non prevista da un regime di occupazione dove vige esclusivamente la giustizia militare. Occorre ricordare che alcune zone di Israele – all’interno delle linee armistiziali del 1949 – e fino agli anni Sessant\ AWE546213456a erano governate da tribunali militari e non per questo sono mai state considerate zone occupate. La decisione di usare questo status legale è esclusivamente di natura politica in previsione di eventuali accordi di pace con gli arabi che non hanno mai visto la luce.

“L’annessione unilaterale di qualsiasi parte dei territori occupati violerebbe la norma fondamentale che vieta l’annessione di un territorio invaso con la forza, anche se in seguito a un atto di difesa”. Si tratta di una mezza verità: questo principio generale di diritto è nei fatti disatteso in modo flagrante dal diritto consuetudinario degli Stati che non l’hanno mai applicato, vedi i casi delle isole Curili e della Corea. Se le giovani ebree e i giovani ebrei che fanno questa affermazione sono in grado di trovare un solo esempio di condanna internazionale in un caso del genere, noi de L’Informale siamo disposti a conferire loro un premio.

I giovani incalzano: “Inoltre il progetto di annessione negherebbe il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese. A sostegno di questa tesi si possono leggere numerosi pareri, tra cui, oltre a quello del Segretario Generale delle Nazioni Unite, quello dei 47 esperti di diritto internazionale ascoltati dalla Commissione dei diritti umani delle Nazioni Unite, o l’appello di 271 professori di diritto internazionale di tutto il mondo”.

Qui la menzogna è eclatante. Il 95% della popolazione palestinese rimarrebbe amministrata dall’Autorità Nazionale Palestinese. Il fatto che 47 “esperti” affermino ciò non conferisce all’affermazione un valore decisivo. Sarebbe di non poco interesse conoscere i curricula degli esperti citati e capire con quale criteri sono stati selezionati dalla Commissione dei Diritti Umani dell’ONU, che ha tra i suoi Stati aderenti, Venezuela, Arabia Saudita, Cuba, Egitto, Cina, Burundi, Emirati arabi, Ruwanda e il quale si occupa, tramite l’Articolo 7, esclusivamente delle presunte violazioni di Israele in Cisgiordania. Dalla sua istituzione ad oggi ha emesso più di settanta risoluzioni avverse a Israele e solo sette che hanno preso di mira l’Iran, ma per la gioventù ebraica contro l'”annessione”, si tratta di commissione dal pedigree autorevole.

Il meglio ci è, però, riservato dal finale.

“Il progetto di annessione consoliderebbe la condizione in cui i cittadini israeliani godono di pieni diritti civili e politici, mentre la popolazione palestinese, all’interno di quei territori, non può esercitare i diritti più basilari e in particolare il diritto alla proprietà, l’accesso all’acqua e la libertà di movimento”.

Se l’estensione della sovranità di Israele su alcune parti della Cisgiordania significasse “consolidare” i diritti civili degli ebrei mentre gli arabi non potrebbero godere dei diritti basilari, ciò vorrebbe dire che Israele, il quale vi estenderebbe leggi già applicate nel resto del paese, di fatto è dotato di un sistema discriminatorio, un sistema di apartheid. Le giovani e i giovani ebrei non usano questo termine, ma è sottointeso in modo evidente dalle affermazioni esorbitanti secondo la quale all’interno dei territori della Cisgiordania, amministrati secondo le disposizioni congiunte arabe-israeliane degli Accordi di Oslo del 1993-1995, i palestinesi non avrebbero diritto né alla proprietà, né all’acqua e non sarebbero liberi di muoversi liberamente. Come è, noto, l’ingresso in Israele dei palestinesi residenti nei territori, nulla ha a che fare con la discriminazione ma è esclusivamente disciplinato in funzione della legalità e della sicurezza.

In conclusione. Ancora una volta ci troviamo al cospetto di un cumulo di falsità, deformazioni e omissioni. Quanto siano in buona o malafede non è dato saperlo, ma una cosa è certa, l’unico modo in cui è possibile offrire proposte utili che possano essere sia a vantaggio di Israele che degli arabi palestinesi è uscire dal vicolo cieco della demagogia e della propaganda e aderire ai fatti.


L'illusionista
14 agosto 2020

http://www.linformale.eu/lillusionista/

L’ennesima doccia fredda all’estensione di sovranità israeliana sulla Cisgiordania (Giudea e Samaria, West Bank) arriva nella forma di un accordo di cooperazione tra gli Emirati arabi e Israele, sotto l’egida degli Stati Uniti. L’accordo, annunciato festosamente come un episodio epocale per il Medio Oriente, proclama che “Come risultato di questa svolta diplomatica e su richiesta del presidente Trump con il sostegno degli Emirati Arabi Uniti, Israele sospenderà la dichiarazione di sovranità sulle aree delineate nel President Vision for Peace e concentrerà i propri sforzi sull’espansione dei legami con altri paesi nel mondo arabo e musulmano “.

Dunque, quella che avrebbe dovuto essere una mossa dirompente e di impatto concreto sul terreno, l’estensione di sovranità israeliana sul 30% dei territori in Cisgiordania, mossa concessa da Donald Trump a Israele, unico presidente americano ad averlo fatto dal 1967 a oggi, viene adesso congelata se non affossata, in vista di un accordo diplomatico e del futuro roseo che ne dovrebbe conseguire.

L’antecedente più prossimo a questo esito si è avuto il 12 giugno scorso, quando Yousef Al Otaiba, ambasciatore degli Emirati a Washington, scrisse un pezzo pubblicato su Yedioth Ahronoth in cui diceva chiaramente che il proposito del governo Netanyahu di estendere la sovranità israeliana su una porzione della Cisgiordania avrebbe capovolto “certamente e immediatamente le aspirazioni israeliane di una maggiore sicurezza, i legami economici e culturali con il mondo arabo e con gli Emirati Arabi Uniti”.

Nel pezzo, Al Otaiba, elencava i vantaggi che Israele avrebbe avuto dai buoni rapporti con gli Emirati, distensione e collaborazione; “Queste sono le carote – gli incentivi, i lati positivi – per Israele. Maggiore sicurezza. Collegamenti diretti. Mercati espansi. Accettazione crescente. Questo è ciò che potrebbe essere la norma. Normale non è l’annessione. Invece, l’annessione è una provocazione fuorviante di ordine diverso. E continuare a parlare di normalizzazione sarebbe solo un’errata speranza di rapporti migliori con gli stati arabi. Negli Emirati Arabi Uniti e in gran parte del mondo arabo, vorremmo credere che Israele rappresenti un’opportunità, non un nemico. Affrontiamo troppi pericoli comuni e vediamo il grande potenziale di legami migliori”. L’articolo si concludeva con questa frase. “La decisione di Israele a proposito dell’annessione sarà un segnale inequivocabile se la vediamo allo stesso modo”.

Linguaggio suadente, amichevole, ma, allo stesso tempo, perentorio. Se procedete con l’estensione di sovranità, “l’annessione” non avrete amici ma nemici. E Israele, dietro pressione americana, ha ceduto, come ha già ceduto in passato con gli Accordi di Oslo del 1993-1995 e lasciando Gaza nel 2005. Certamente si tratta di casi diversi, ma fino a un certo punto. Allora si trattava di terra in cambio di pace (mai arrivata), qui si tratta di riunciare a un diritto legittimo e riconosciuto per la prima volta, da un presidente americano, quindi, ancora una volta, di terra in buona sostanza, in cambio di un rapporto più disteso e proficuo con gli Emirati, di una promessa di amicizia.

Poco conta che un sempre meno credibile Benjamin Netanyahu affermi nella conferenza stampa seguita all’annuncio, che il piano di estendere la sovranità su parte della Cisgiordania non è stato accantonato. Non costa nulla affermarlo. Di fatto è stato sospeso sine die, è un morto che cammina.

Se Trump non dovesse essere rieletto, per almeno quattro anni l’iniziativa sparirebbe completamente dalla scena. Nel caso in cui Trump venisse riconfermato, Netanyahu, sempre che riesca ancora a dominare la scena politica israeliana per altri quattro anni (cosa assai improbabile), non prenderà alcuna iniziativa che non abbia il placet americano. Nel frattempo, i buoni rapporti tra Emirati e Israele non sposteranno di un millimetro l’accanimento dei suoi nemici, Iran in testa, con al seguito la Turchia e le sigle del terrore, Hamas, Jihad Islamica, Hezbollah.

Il retrocedere di Israele dall’iniziativa annunciata e l’accordo con gli Emirati, salutato con entusiasmo anche da Joe Biden, che in parte se lo intesta, come coronamento della politica perseguita da Barack Obama, certifica, ancora una volta, la persistenza di uno stallo che solo pochi mesi fa sembrava avviarsi a una parziale e necessaria soluzione


La concessione di Israele
Niram Ferretti
15 Agosto 2020

http://www.linformale.eu/la-concessione-di-israele/

Per quanto alto sia il prezzo pagato da Israele agli Emirati arabi in vista di una futura collaborazione su vari fronti, la rinuncia (inutile chiamarla sospensione) a estendere la propria sovranità sul 30% dei territori della Cisgiordania, è indubbio che questo accordo segni un successo diplomatico sia per Israele che per gli Stati Uniti.

Nel novembre del 2019, l’amministrazione Trump aveva ridefinito lo status degli insediamenti in Cisgiordania, considerandoli correttamente come non in violazione della legge internazionale e modificando, in questo modo, per la prima volta, la posizione consolidata degli Stati Uniti che ebbe Jimmy Carter quale apripista nel 1978. Successivamente, si inaugurò per Israele la prospettiva di potere estendere la propria sovranità su una porzione della Cisgiordania.

Benjamin Netanyahu colse subito l’occasione per annunciare in campagna elettorale che, qualora fosse stato nuovamente eletto avrebbe dato seguito all’operazione. Di fatto, la strada si presentò presto accidentata, con Washington che mise il freno, e a luglio, quando Netanyahu avrebbe dovuto passare ai fatti, l’estensione di sovranità era già stata congelata.

La questione non è più all’ordine del giorno. La novità è l’apertura degli Emirati nei confronti di Israele, già preparata nei mesi scorsi da una serie di incontri e scambi tra i vari potentati della costellazione sunnita, Washington e Gerusalemme. Parigi vale bene una Messa, Abu Dhabi vale bene l’estensione della sovranità sulla Cisgiordania.

A conferma di ciò giungono le parole del principale garante dell’accordo con gli Emirati Uniti, Donald Trump:

“Israele è d’accordo nel non procedere. Più che archiviare la questione, hanno deciso di non procedere, e penso che sia molto importante, ritengo si tratti di una grande concessione da parte di Israele”.

Sì, indubbiamente una grande concessione. In cambio di cosa? Di una legittimazione che non è determinata da una accettazione maturata negli anni e sfociata nel riconoscimento della legittimità esistenziale dello Stato ebraico, ma sulla base del comune coagularsi sunnita in funzione antisciita. Nel momento in cui il regime iraniano sarà caduto, solo allora, si potrà valutare la consistenza di questo avvicinamento, la sua reale fibra.

Per la rinuncia dell’estensione alla sovranità, il decoro politico suggerisce il termine soft “sospensione”, rende la pillola meno amara, soprattutto per chi desidera crederci. “Non posso parlare di un periodo specifico nel futuro” ha dichiarato il presidente americano a proposito della fine della “sospensione”. Tradotto, l’estensione di sovranità è spedita nel limbo.

Se il prezzo pagato da Israele per l’accordo con gli Emirati è molto alto e richiesto esplicitamente dal loro portavoce a Washington, Yousef Al Otaiba, con un pezzo fatto pubblicare a giugno su uno dei principali quotidiani israeliani, Yedioth Ahronoth, l’incasso immediato (quello futuro lo si vedrà) in termini di immagine e consenso è apparentemente lucroso.

Oltre a conferire a Israele una nuova legittimità regionale isola ulteriormente l’Autorità Palestinese e circoscrive in modo netto il perimetro dei nemici: l’Iran, la Turchia e le sigle del terrore, Hamas, Jihad Islamica, Hezbollah. L’intesa consolida la strategia americana del progressivo riavvicinamento sunnita agli Stati Uniti dopo la parentesi di Obama, cominciato fin da subito, quando Riad fu la destinazione privilegiata di Donald Trump durante il suo primo viaggio all’estero.

Donald Trump può apparire come lo scafato negoziatore che ha predisposto il venire in essere dell’intesa e Benjamin Netanyahu, ultimamente assai in affanno, come il suo contraltare. Soprattutto il secondo, in un momento di marcato calo di consensi aveva sicuramente bisogno di un rilancio. Tuttavia, per Netanyahu, l’archiviazione della promessa di estendere la sovranità, lo smarca ulteriormente dalla parte dell’elettorato che gli aveva dato credito e dalla componte politica interna ed esterna al Likud, tutti in attesa di quella che Naftali Bennett ha definito, “Una occasione storica mancata”.



E l’Olp grida al tradimento
16 Agosto 2020
Francesco Semprini

https://www.italiaisraeletoday.it/e-lol ... radimento/

L’accordo tra Emirati Arabi Uniti e Israele, patrocinato dagli Stati Uniti, non ferma le annessioni dei territori, semplicemente le rimanda. È un accordo che mira a salvare il governo Netanyahu dalla crisi e a evitare la sconfitta di Trump alle presidenziali. Chiediamo un intervento deciso della Lega araba». A spiegare la «vera natura» dell’ intesa sul Medio Oriente è il maggior generale Sobhi Abou Arab, membro di spicco dell’ Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) e capo delle Forze di sicurezza nazionale che controllano, tra l’ altro, Ain el-Hilweh a Sidon, il più grande campo rifugiati del Libano.


Generale, cosa pensa dell’ accordo?

«Ciò che hanno fatto gli Emirati è un allontanamento dal consenso diffuso del mondo arabo, e una sfida alla sua iniziativa di pace, in particolare a uno degli articoli più importanti nel quale si stabilisce che la normalizzazione delle relazioni con Israele avrà luogo solo dopo l’ istituzione di uno Stato palestinese indipendente entro i confini stabiliti il 4 giugno 1967 e con Gerusalemme capitale. L’articolo prevede inoltre una soluzione giusta per risolvere la questione dei rifugiati palestinesi secondo le risoluzioni di legittimità internazionale. I Paesi arabi sono pertanto tenuti a prendere misure punitive contro il passo degli Emirati».


Lo considera un tradimento?

«Il popolo palestinese, guidato dall’Olp, ha svolto un ruolo importante nel fermare il piano di annessione israeliano, non è la normalizzazione degli Emirati che ferma Israele.

Al contrario, è un incoraggiamento e una ricompensa per lo Stato occupante per i soprusi compiuti a danno del nostro popolo, dei suoi interessi, del suo futuro e dei suoi diritti nazionali che godono di un ampio consenso arabo e internazionale. Respingiamo pertanto l’accordo e lo consideriamo un modo per legittimare l’ occupazione e salvare il governo di Netanyahu dalla sua situazione difficile e dalla crisi. La normalizzazione con l’occupazione israeliana è equivalente alla resa e alla sottomissione, e non cambierà le sorti del conflitto, piuttosto renderà l’azione israeliana contro i palestinesi più violenta».

Cosa chiedete ai vostri alleati?

«Chiediamo alla Lega araba di rifiutare l’accordo in quanto prevede un normalizzazione finta e pericolosa, soprattutto perché coincide con un’ insistenza israeliana sull’attuazione del piano di annessione semplicemente rinviandolo, non cancellandolo. Questo passo, funzionale agli sforzi di Trump di non perdere alle imminenti elezioni presidenziali va anche contro gli interessi del popolo emiratino ed è una negazione degli interessi di tutti i popoli arabi di fronte alle ambizioni israeliane».

Cosa intende fare l’Autorità palestinese?

«Ha richiamato il suo ambasciatore negli Emirati. Il prossimo passo è convocare un vertice arabo per assumere fermo rifiuto dell’ intesa. Al contempo tutte le forze e le fazioni palestinesi, in particolare Fatah e Hamas, devono portare a compimento il processo di riconciliazione palestinese e convocare il Consiglio nazionale palestinese e il Comitato esecutivo per intraprendere i passi necessari a fermare questo accordo dannoso. È indispensabile essere uniti per attivare un’ efficace resistenza».

Escludete quindi di dare fiducia a Trump?

«L’accordo uccide la speranza per la soluzione dei due popoli e due Stati, destabilizzerà permanentemente la regione perché non c’ è pace negando al popolo palestinese i suoi diritti nazionali e il ritorno alla sua terra. Quando Trump ha annunciato che avrebbe fatto l’ accordo del secolo, poi ha dichiarato Gerusalemme capitale di Israele, ha sospeso gli aiuti alle istituzioni educative e sanitarie e all’Unrwa (l’ agenzia Onu, ndr), e ha fatto tutto quanto fosse possibile per perdere la fiducia della leadership palestinese. È dalla parte di Israele e contro di noi».
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Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » ven ago 14, 2020 6:09 pm

PACE ISRAELE-EMIRATI, INTESA NOMINATA "'ACCORDO DI ABRAMO".
IL TESTO INTEGRALE

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 2254018781

Passerà alla storia con il nome di 'Accordo di Abramo' l'intesa annunciata nelle scorse ore che getta le basi per una normalizzazione dei rapporti tra Israele ed Emirati. Lo riportano i media israeliani, ricordando come lo Stato ebraico abbia firmato finora accordi di pace solo con altri due Paesi arabi, l'Egitto nel 1979 e la Giordania nel 1994. Gli Emirati, come la maggior parte dei Paesi arabi, non riconosceva Israele e non aveva relazioni diplomatiche ed economiche ufficiali, almeno fino ad oggi.

Questo il testo integrale dell’accordo sottoscritto tra le parti:

"Il presidente americano, Donald J. Trump, il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, e Sua Altezza lo sceicco Mohamed bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario di Abu Dhabi e vice comandante supremo delle forze armate degli Emirati Arabi Uniti, hanno avuto un colloqui oggi e hanno concordato la piena normalizzazione delle relazioni tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti. Questa storica svolta diplomatica farà avanzare la pace nella regione del Medio Oriente ed è una testimonianza dell'audace diplomazia e visione dei tre leader e del coraggio degli Emirati Arabi Uniti e di Israele nel tracciare un nuovo percorso che sbloccherà il grande potenziale nella regione. Tutti e tre i Paesi affrontano molte sfide comuni e trarranno vantaggio reciprocamente dal risultato storico di oggi. Le delegazioni di Israele e degli Emirati Arabi Uniti si incontreranno nelle prossime settimane per firmare accordi bilaterali in materia di investimenti, turismo, voli diretti, sicurezza, telecomunicazioni, tecnologia, energia, sanità, cultura, ambiente, istituzione di ambasciate reciproche e altre aree di reciproco vantaggio.
L'apertura di legami diretti tra due delle società piu' dinamiche del Medio Oriente e le economie avanzate trasformera' la regione stimolando la crescita economica, migliorando l'innovazione tecnologica e creando relazioni più strette tra le persone. Come risultato di questa svolta diplomatica e su richiesta del presidente Trump con il sostegno degli Emirati Arabi Uniti, Israele sospendera' la dichiarazione di sovranita' sulle aree delineate nella Vision for Peace del presidente e concentrera' i suoi sforzi sull'espansione dei legami con altri paesi nel Mondo arabo e musulmano. Gli Stati Uniti, Israele e gli Emirati Arabi Uniti sono fiduciosi che siano possibili ulteriori scoperte diplomatiche con altre nazioni e lavoreranno insieme per raggiungere questo obiettivo. Gli Emirati Arabi Uniti e Israele si espanderanno e accelereranno immediatamente la cooperazione per quanto riguarda il trattamento e lo sviluppo di un vaccino per il coronavirus. Lavorando insieme, questi sforzi aiuteranno a salvare vite musulmane, ebraiche e cristiane in tutta la regione. Questa normalizzazione delle relazioni e la diplomazia pacifica riuniranno due dei partner regionali più affidabili e capaci d'America. Israele e gli Emirati Arabi Uniti si uniranno agli Stati Uniti per avviare un'agenda strategica per il Medio Oriente per espandere la cooperazione diplomatica, commerciale e di sicurezza. Insieme agli Stati Uniti, Israele e gli Emirati Arabi Uniti condividono una visione simile per quanto riguarda le minacce e le opportunità nella regione, nonche' un impegno condiviso a promuovere la stabilità attraverso l'impegno diplomatico, una maggiore integrazione economica e un piu' stretto coordinamento della sicurezza.
L'accordo di oggi porterà vita migliore per i popoli degli Emirati Arabi Uniti, Israele e della regione. Gli Stati Uniti e Israele ricordano con gratitudine la presenza degli Emirati Arabi Uniti al ricevimento della Casa Bianca tenutosi il 28 gennaio 2020, in cui il presidente Trump ha presentato la sua Vision for Peace, ed esprimono il loro apprezzamento per le relative dichiarazioni di sostegno degli Emirati Arabi Uniti.
Le parti continueranno i loro sforzi a questo riguardo per raggiungere una soluzione giusta, globale e duratura al conflitto israelo-palestinese. Come stabilito nella Vision for Peace, tutti i musulmani che vengono in pace possono visitare e pregare alla moschea di Al Aqsa, e gli altri luoghi santi di Gerusalemme rimarranno aperti per i fedeli pacifici di tutte le religioni.
Il primo ministro Netanyahu e il principe ereditario Sheikh Mohamed bin Zayed Al Nahyan esprimono il loro profondo apprezzamento al presidente Trump per la sua dedizione alla pace nella regione e per l'approccio pragmatico e unico che ha adottato per raggiungerla".




IL PIATTO DI LENTICCHIE?
Niram Ferretti
13 agosto 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

L'estensione di sovranità di Israele sui territori della Cisgiordania (Giudea e Samaria) si allontana ulteriormente. Si era già allontanata dal primo di luglio, data in cui avrebbe dovuto essere annunciata ufficialmente e ora...chissà.

Cosa è successo? Che gli Emirati arabi uniti hanno siglato un accordo con Israele per una completa normalizzazione dei rapporti. In un comunicato unificato, Donald Trump, Benjamin Netanyahu e lo sceicco Mohammed Bin Zayed, principe reale di Abu Dhabi, hanno salutato questa intesa come un momento storico.

Nel comunicato si parla di accordi bilaterali tra Israele e gli Emirati arabi che riguardano il turismo, investimenti, sicurezza, tecnologia, telecomunicazioni, energia, ambiente, addirittura apertura di reciproche ambasciate, ecc.

L'intesa viene salutata come un avvenimento di portata storica, e sicuramente è un bene che vi sia una ufficializzazione dei rapporti tra lo Stato ebraico e gli Emirati, tuttavia la questione sul tappeto resta irrisolta.

La posizione di Israele nei territori che la comunità internazionale, con l'eccezione degli Stati Uniti (al presente), considera illegittima, non muta, così come resta in uno stato ibrido lo status dei 620.000 residenti ebrei nell'area ai quali, Netanyahu aveva garantito in campagna elettorale che, in buona parte, sarebbero stati regolarizzati pienamente una volta che Israele avrebbe esteso la propria sovranità sul 30% dei territori.

La Casa Bianca ha chiesto una sospensione dell'estensione di sovranità. Quanto potrà durare? Tra due e mesi e mezzo ci saranno le elezioni americane e se Trump non dovesse essere rieletto e vincesse Joe Biden, questa opportunità sparirà dalla scena per almeno quattro anni, se non per sempre, e, ne caso in cui Trump dovesse essere rieletto, si vedrà.

Quali frutti concreti porterà la normalizzazione dei rapporti tra Israele e gli Emirati arabi è tutto da vedere. Sicuramente avrà un'incidenza nulla sui nemici di Israele, in primis l'Iran e di seguito la Turchia, e poi Hezbollah, Hamas, l'Autorità Palestinese.

Congelare un diritto legittimo, ed è la prima volta da quando Israele esiste, che una amministrazione americana ha riconosciuto la legittimità degli insediamenti ebraici in Cisgiordania (Giudea e Samaria), concedendo il semaforo verde per la loro inclusione nello Stato ebraico in nome di una intesa con gli Emirati, suona ancora una volta come una riedizione di terra in cambio di pace. In questo caso la terra non viene ceduta ma viene restituita al suo stato attuale, senza uno statuto definito. Non si congela per la pace (gli Emirati non sono in guerra con Israele) ma per la distensione.
Che non sia il proverbiale piatto di lenticchie.



https://www.facebook.com/simona.piazzao ... 8097435965

Bibi avrebbe, con l' approvazione di Trump, rinunciato, non so' se per sempre o solo temporaneamente ,all' annessione della Valle del Giordano ,in cambio di una pace con gli Emirati. Io credo che Bibi,lo abbia fatto solo per il bene del popolo ebraico . Gli Emirati Arabi ,possono avere scambi commerciali con Israele, potrebbero aprire sedi ,e far aprire aziende israeliane a Dubai,portando, una crescita economica non indifferente. Non solo ,ma ,essendo i maggiori finanziatori di Hamas ed Al Fatha,Israele potrebbe fare richieste in merito. Una volta che, i palestinesi ed i vertici ,sia di Hamas che Al Fatha, non riceveranno più alcun aiuto economico, Israele avrà sconfitto i palestinesi veramente. Non sempre le guerre si vincono sul campi di battaglia ,spesso ,le guerre e la supremazia economica ,da potere e solidità. Si può dire tutto di Benjamin Netanyahu, ma non che ,non sia un leader ,e soprattutto ,non sia lungimirante. La grandezza di un uomo politico ,così come quella di un generale, qual'e' stato Netanyahu, è riconoscere ,il momento della guerra e quello della diplomazia. Nel frattempo, i palestinesi sono lividi....




Medio Oriente, Israele fa pace con gli Emirati Arabi e rinuncia alla Cisgiordania. Trump: «Intesa storica». Netanyahu: «È un vero accordo di pace»
13 agosto 2020

http://amp.ilsole24ore.com/pagina/ADexqKj

“Enorme svolta oggi! Storico accordo di pace tra due nostri grandi amici, Israele e Emirati Arabi”: Donald Trump ha annunciato cosi' su Twitter l'accordo tra i due Paesi per stabilire piene relazioni diplomatiche come parte di una intesa per fermare l'annessione delle terre occupate perseguita dai palestinesi per il loro futuro Stato.

Israele ha accettato di sospendere l'annessione di parti della Cisgiordania in cambio della normalizzazione dei legami con gli Emirati Arabi Uniti. La vicenda è contenuta nel comunicato congiunto tra Israele, Emirati e Usa pubblicato da Trump su Twitter.

“Su richiesta del presidente Donald Trump, col sostegno degli Emirati Arabi, Israele sospenderà la dichiarazione di sovranità sulle aree indicate nel piano di pace Usa e concentrerà i suoi sforzi sull'espansione dei suoi legami con altri Paesi nel mondo arabo e musulmano”: lo rende noto Trump su Twitter, aggiungendo che i tre Paesi “confidano che siano possibili ulteriori svolte diplomatiche con altre nazioni”.

“Un accordo di pace pieno e formale” per un “momento storico” di svolta per “la pace nella regione”. Così il premier Benyamin Netanyahu ha definito l'intesa con gli Emirati Arabi. “E' mio privilegio firmare il terzo accordo di pace con un paese arabo, dopo quello di Begin con l'Egitto e Rabin con la Giordania”. Netanyahu si è poi detto convinto che altri paesi arabi si uniranno all'intesa ed ha esaltato gli investimenti economici per entrambi i paesi. Le annessioni - ha aggiunto - sono sempre sul tavolo “anche se Trump ha detto di attendere”.

Il principe ereditario degli Emirati Mohammed Bin Zayad ha confermato su twitter che Israele ha concordato nel sospendere l'annessione di parti della Cisgiordania, ma ha parlato solo di lavoro per la normalizzazione delle relazioni. “Nel corso di una conversazione telefonica con il presidente Trump e il premier Benyamin Netanyahu - ha scritto Bin Zayed - è stato raggiunto un accordo per fermare ulteriori annessioni di territorio palestinese. Gli Emirati e Israele hanno convenuto di cooperare e di stabilire una road map per l'istituzione di relazioni bilaterali”.

“Un giorno storico per la pace in Medio Oriente”: così il segretario di Stato Usa Mike Pompeo ha definito l'accordo tra Israele ed Emirati Arabi per ristabilire e normalizzare le loro relazioni. “Gli Stati Uniti sperano che questo passo coraggioso sia il primo di una serie di accordi che mettano fine a 72 anni di ostilità nella regione”, ha aggiunto, sottolineando che l'intesa ha un “potenziale simile” a quello degli accordi di pace tra Israele ed Egitto, Giordania, e “la promessa per giorni migliori nell'intera regione”.

La cerimonia per la firma dell'accordo di pace tra Israele ed Emirati Arabi potrebbe svolgersi alla Casa Bianca: lo ha detto il segretario di stato Mike Pompeo. Anche i presidenti Jimmy Carter e Bill Clinton tennero cerimonie analoghe quando Israele normalizzo' rapporti con l'Egitto e con la Giordania. La firma, secondo i media Usa, potrebbe avvenire nelle prossime settimane, prima comunque delle elezioni, per rilanciare l'immagine del tycoon.

Nel documento congiunto, postato da Donald Trump su Twitter, si dice che Usa, Israele ed Emirati hanno “concordato per la piena normalizzazione delle relazioni tra Israele e gli Emirati stessi”. “La storica svolta diplomatica - si prosegue - farà avanzare la pace in Medio Oriente” e le delegazioni dei due Paesi “si incontreranno nelle prossime settimane per firmare accordi bilaterali” su numerose iniziative. Come risultato di questa “storica svolta” - è detto ancora - Israele “sospenderà la dichiarazione di sovranità sulle aree indicate nel piano di pace del presidente Trump” e si focalizzeranno “gli sforzi nell'allargare i legami con altri Paesi nel mondo arabo e musulmano”. “Usa, Israele ed Emirati sono fiduciosi che altre svolte diplomatiche con altre nazioni siano possibili e lavoreranno insieme per raggiungere questo risultato”. “Israele ed Emirati - si sottolinea infine nel documento - si uniranno agli Usa nel lancio di un'Agenda strategica per il Medio Oriente per allargare la cooperazione diplomatica, commerciale e di sicurezza”.

Hamas e la Jihad islamica hanno attaccato l'annuncio di relazioni diplomatiche tra Israele e gli Emirati Arabi. Ogni “normalizzazione” con Israele è “un tradimento” ha detto Hamas riportata dal sito, vicino all'organizzazione, Al Quds. “Israele - ha dichiarato il portavoce Fawzi Bahoum- viene premiata per i suoi crimini contro i palestinesi”. Anche la Jihad islamica, citata dai media, ha detto che la “normalizzazione è una sottomissione e non cambia i fatti del conflitto”.

Il capo dello Stato israeliano Reuven Rivlin ha invitato il principe ereditario degli Emirati Mohammed Ben Zayed a Gerusalemme. “Mi congratulo con presidente Donald Trump, col premier Benyamin Netanyahu e con il principe Mohammed Ben Zayed per questo accordo importante e vistoso” ha scritto Rivlin su twitter. “Invito il principe a visitare Gerusalemme” ha aggiunto concludendo icon parole di benvenuto in arabo: 'Ahlan va-sahlan'. Rivlin auspica che l'accordo “metta in moto ulteriori processi” e rafforzi la fiducia reciproca fra i popoli della Regione.

L'Autorità nazionale palestinese del presidente Abu Mazen ha respinto “con forza” l'accordo tra Israele ed Emirati Arabi: “quest'ultimi - ha spiegato - non hanno il diritto di parlare a nome dei palestinesi”. “Questo passo - ha aggiunto- mina l'iniziativa per la pace araba, le decisioni dei vertici arabi e islamici, la legittimità internazionale e l'aggressione contro il popolo palestinese”. Abu Mazen ha quindi chiesto “una immediata” riunione di emergenza della Lega Araba e dell'Organizzazione per la Cooperazione Islamica “per respingere questa dichiarazione”.



LA TURCHIA CONDANNA L'ACCORDO DI PACE TRA ISRAELE E EMIRATI ARABI UNITI

https://www.facebook.com/noicheamiamois ... 6878374019

Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha detto che il popolo palestinese ha il diritto di "reagire con forza" all'accordo e che "la storia predice la sconfitta di coloro che hanno tradito il popolo palestinese". Il ministero degli Esteri di Ankara ha rilasciato una risposta aspra all'accordo di pace: "La storia non perdonerà gli Emirati Arabi Uniti".
A seguito dell'accordo di pace con Israele, la Turchia ha annunciato che valuterà la chiusura della sua ambasciata negli Emirati Arabi Uniti e il congelamento dei rapporti.

L'Oman e il Bahrein: " Sosteniamo l'accordo tra Emirati Arabi Uniti e Israele. Questa decisione promuoverà la pace e la sicurezza nella regione e porterà stabilità e prosperità ai popoli della regione".


IL TROFEO
Niram Ferretti
14 agosto 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

"È tragico che Netanyahu non abbia colto il momento, né abbia raccolto il coraggio di applicare la sovranità anche a un solo centimetro della Terra di Israele", ha dichiarato Naftali Bennett, aggiungendo, "Ha mancato un'occasione che si presenta una volta sola in un secolo"

Difficile dargli torto. "Coraggio", è la parola chiave qui, ma è una dote che non appartiene al makeup politico di Netanyahu. Molto intelligente, scaltro, spregiuducato, abile tessitore di accordi internazionali, tutte doti indubbie, ma il coraggio politico no, non gli appartiene. Non è Begin, non è Sharon.

Ora tutti, o quasi tutti, si spellano le mani per applaudire al fatto che gli Emirati arabi abbiano concesso a Israele un'apertura di credito. E' un fatto positivo, indubbiamente, ma il problema di Israele non sono mai stati gli Emirati arabi. In ogni caso la richiesta per questa concessione, (evidenziamo il termine "concessione") è che Israele metta in naftalina la propria intenzione di estendere la sua sovranità su una parte della Cisgiordania. Lo ha scritto chiaramente l'ambasciatore degli Emirati a Washington, Yusef Al Otaiba, il giugno scorso. Il succo del suo discorso è stato, "Noi vi veniamo incontro ma voi dovete rinunciare all'annessione".

Come ha evidenziato Seth Frantzman sul "Jerusalem Post":

"In questi anni era risaputo che Israele e gli stati del Golfo si stavano avvicinando. La visita del primo ministro Benjamin Netanyahu in Oman nel 2018, le discussioni sull'Accordo del secolo in Bahrain nel 2019, la Conferenza sul dialogo di Manama e altri incontri hanno indicato che le intese erano appena dietro l'angolo. Tuttavia, il quadro generale è sempre stato che le intese si potevano stabilre solo con una sorta di concessione da parte di Israele. Questo è stato il modello abituale per i passati accordi di pace, quindi gli Emirati Arabi Uniti avevano bisogno di qualcosa da mostrare per giustificare la loro decisione di procedere".

Frantzman ha il pregio di dire una cosa fondamentale, il modello per i passati accordi di pace, da Camp David, a Oslo a Gaza, è stato che Israele facesse generosamente la mossa principale. E così ha fatto. Solo con l'Egitto è arrivata la pace, ma è sempre una pace sospesa, con Oslo e Gaza si è visto come è andata. Gli Emirati non sono in guerra con Israele, ma, anche loro, hanno voluto che Israele rinunciasse a qualcosa di importante, e così è stato. Per un bene maggiore. Ecco sì, quello che verrà se verrà. Intanto l'estensione di sovranità è stata archiviata.

Il termine usato nel comunicato ufficiale dell'accordo raggiunto è "sospensione". Sì. Funziona così. Non si può dire che l'estensione di sovranità è stata cassata, sarebbe troppo forte e Netanyahu pagherebbe un prezzo politico piuttosto alto. Bisogna usare un linguaggio soft.

Ma, basterebbe un po' di buonsenso e di logica. Se l'apertura nei confronti di Israele da parte degli Emirati e i futuri reciproci vantaggi (vedremo) è subordinata alla rinuncia dell'estensione di sovranità israeliana in Cisgiordania, è chiaro che qualora Israele dovesse metterla in atto, gli Emirati porrebbero fine alla loro concessione.



Accordo Israele-UAE, ma per Netanyahu i piani di annessione dei territori in Cisgiordania rimangono
13.08.2020

https://it.sputniknews.com/politica/202 ... rimangono/

Nonostante l'accordo di pace con gli Emirati Arabi Uniti, i piani di Israele sull'annessione di parti della Cisgiordania rimangono. Si tratta solo di un rinvio, ha affermato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha parlato alla nazione dopo l’annuncio dell’accordo di pace con Emirati Arabi Uniti, che tra le clausole prevedeva la sospensione dell'estensione di sovranità su parti della Cisgiordania da parte di Tel Aviv.

“Quando ho annunciato l’estensione della sovranità (su parti della Cisgiordania, ndr), mi hanno detto che non sarei mai riuscito a stringere un accordo di pace con nessuno Stato arabo a tali condizioni. E guardate ora, non ci sono cambiamenti nel mio programma per l’estensione della sovranità. E prometto che non ci saranno. I piani di annessione rimangono su tavolo”, ha detto Netanyahu.

Il primo ministro ha sottolineato che il compimento dei piani sull'annessione sarà realizzato in contatto con gli Stati Uniti: per ora i partner statunitensi hanno chiesto ad Israele di rimanere in attesa.

"Ho sempre detto che l'attuazione dei piani sulla sovranità sarà effettuata solo in coordinamento con gli Stati Uniti (...) Trump, uno dei più grandi amici di Israele, ci ha chiesto di aspettare ancora un po' con l’avvio dell’espansione della sovranità. Non rinuncerò mai all'idea di sovranità. Promuoveremo questa idea. Non rinunceremo mai ai nostri diritti sulla nostra terra", ha aggiunto.

Era stato il presidente statunitense Donald Trump ad annunciare l’accordo di pace tra Israele ed Emirati Arabi Uniti. Si prevede che prossimamente le parti firmeranno accordi bilaterali in settori qualiinvestimenti, turismo, voli diretti, sicurezza, telecomunicazioni, tecnologia, energia, sanità, cultura, ambiente, sull’apertura di ambasciate equivalenti e in altre aree di interesse comune.




Il realista scettico: Intervista a Martin Sherman
Niram Ferretti
26 Agosto 2020

http://www.linformale.eu/il-realista-sc ... n-sherman/


Consigliere ministeriale di Yitzhak Shamir, docente di Scienze politiche, relazioni internazionali e studi strategici all’Università di Tel Aviv, Martin Sherman è stato il primo direttore accademico della Conferenza di Herzliya. È il fondatore e direttore esecutivo dell’Israel Institute for Strategic Studies il cui scopo esplicito è “Confrontare, contenere e contrastare la” resa intellettuale “ai dettami della correttezza politica post-sionista spesso riflessa nella condotta dei responsabili politici israeliani ufficiali e all’interno del processo decisionale ufficiale israeliano ”.

Già ospite de L’informale, lo abbiamo intervistato relativamente ai recenti sviluppi di politica estera israeliana.

La notizia che Israele e gli Emirati Arabi Uniti hanno concordato di sviluppare pieni rapporti diplomatici è stata reputata dalla maggior parte dei commentatori come un punto di svolta per il Medio Oriente e per il futuro di Israele. Non per lei. Può spiegarci perché?

Penso che l’accordo con gli Emirati Arabi Uniti sia un passo positivo, ma non sono tra coloro che si uniscono all’euforia generale. Fondamentalmente ciò che Israele sta facendo è di formalizzare relazioni esistenti, quindi, in altre parole, sta formalizzando qualcosa che è già in corso. Può aiutare un po’, ma gli Emirati Arabi Uniti sono un paese di un milione di cittadini e nove milioni di espatriati e migranti, alcuni dei quali vivono in condizioni pessime. Il PIL pro capite in Israele è leggermente superiore a quello degli Emirati Arabi Uniti, quindi non vedo l’accordo come una grande miniera d’oro. Avrà effetti positivi ma abbiamo firmato accordi di pace che avrebbero dovuto avere un impatto molto maggiore, ad esempio quello con l’Egitto, che è il più grande paese arabo del mondo, e l’accordo non si è certo rivelato qualcosa di spettacolare.
È molto più una tregua che un accordo di pace. Siamo stati molto fortunati che non si sia dissolto una volta che i Fratelli Musulmani hanno preso il potere. È stato un colpo di fortuna che Al Sisi abbia preso il potere in Egitto e che abbia impedito un deterioramento nonostante il trattato di pace. Penso che l’importanza principale dell’accordo con gli Emirati Uniti sia che potrebbe rappresentare un puntello alla coreografia di uno scenario più grande, e cioè se avrà un impatto sulle elezioni di novembre negli Stati Uniti, perché se questo accordo è percepito come un successo di politica estera che aiuta a portare Trump alla vittoria, si tratta di un incasso strategico per Israele. Se dovesse vincere Trump saremo in grado di sentirci sollevati, se dovesse vincere Biden penso che avremo molti problemi nei prossimi quattro anni o forse otto, perché il partito Democratico è diventato per molti versi un partito anti israeliano. Quindi, se questo accordo è percepito come un successo per Trump, questo sarà il suo principale vantaggio strategico per Israele. Potrebbero esserci diversi tipi di ricadute economiche per il turismo. Da paese agricolo povero Israele è riuscito a svilupparsi in una economia moderna postindustriale senza avere molte relazioni con i paesi arabi. Quindi sarò molto circospetto nello stappare le bottiglie di champagne.

Nel suo articolo sull’accordo pubblicato su Israel Hayom il 21 agosto, Caroline Glick ha scritto che il cuore della questione è il veto palestinese, in altre parole l’affermazione che il diritto di Israele di esistere è subordinato alla soddisfazione delle rivendicazioni palestinesi contro di esso. È d’accordo?

C’è una certa verità nell’affermare che questo accordo è stato concluso senza alcuna concessione da parte palestinese, ma si può dire la stessa cosa dell’accordo con la Giordania. Si potrebbe sostenere che l’accordo con la Giordania sia stato un derivato degli Accordi di Oslo. Se non fosse stato per gli Accordi di Oslo non ci sarebbe stato un accordo con la Giordania. Penso che sia innegabile che la questione palestinese abbia perso parte della sua centralità nell’agenda internazionale, ma il fatto che l’accordo con gli Emirati sia legato alla questione della sovranità sembra ridimensionarlo un po’ perché alcune concessioni sono state fatte al fronte palestinese nel rinunciarvi e questo è problematico poiché ci sono tutta una serie di fattori che militano a favore dell’intraprendere l’estensione della sovranità prima piuttosto che dopo. Uno di questi è che potrebbe esserci un cambiamento di amministrazione negli Stati Uniti a novembre, e se l’estensione della sovranità non viene eseguita prima delle elezioni e Joe Biden vince, possiamo dimenticarci di estendere la sovranità per il prossimo futuro. Il secondo fattore è che prima delle elezioni Trump ha bisogno di ottenere il voto evangelico, e gli evangelici sono molto favorevoli alla sovranità, quindi questo potrebbe essere il momento giusto per spingere la sovranità prima di novembre. Il terzo fattore è che se questo accordo è stato descritto come un accordo che soddisfa l’interesse nazionale degli Emirati, perché Israele dovrebbe dare qualcosa in cambio per aiutare gli Emirati a perseguire il loro interesse nazionale? Non dovrebbe pagare alcun prezzo. L’attrazione per Israele da parte dei cosiddetti Stati moderati sunniti è dovuta al fatto che si tratta di un partner forte, ma se Israele è costretto a fare concessioni ai palestinesi, lo renderà più vulnerabile e molto meno attraente come partner forte, perché dovrà dedicare gran parte delle sue risorse a occuparsi del fronte palestinese, piuttosto che a occuparsi del fronte comune contro l’Iran. Se Trump dovesse vincere a novembre e si potranno avere sia i rapporti con gli Emirati che la sovranità, allora sì. Se si deve rinunciare alla sovranità per formalizzare relazioni che esistono già nonostante l’accordo, questo è un prezzo troppo alto da pagare. Per Israele è un interesse nazionale vitale impedire qualsiasi presa di potere ostile della Giudea e della Samaria, gli altopiani che si affacciano sulla pianura costiera e che rappresentano un baluardo contro ogni incursione da oriente. Estendere la sovranità a quelle aree sarebbe un passo importante per soddisfare questo interesse nazionale, fare marcia indietro potrebbe mettere in pericolo la sua eventuale attuazione. Sebbene considero gli accordi in generale come qualcosa di positivo, ho molte riserve sulla loro effettiva rilevanza.

Ha delle riserve sul fatto che gli Stati Uniti possano vendere agli aerei F-35 agli Emirati?

Al momento la questione non sembra essere direttamente legata all’accordo. C’è chi afferma che non sarà un pericolo per Israele perché la portata di quegli aerei non è abbastanza lunga per raggiungere Israele direttamente senza rifornimenti. Questa non è la mia principale preoccupazione perché ogni volta che un paese arabo ha firmato un accordo con Israele, per qualche motivo è sempre stato ricompensato con la modernizzazione del suo esercito. La stessa cosa è successa con gli egiziani e probabilmente era un pericolo maggiore. Tuttavia, ciò non può sospendere la disposizione americana secondo la quale la sicurezza di Israele e il suo vantaggio tecnologico devono essere presi in considerazione prima di concludere qualsiasi accordo. Non sono sicuro che questa sia una minaccia immediata. Rinunciare alla sovranità è un prezzo molto molto alto da pagare più della modernizzazione della tecnologia militare degli Emirati. Israele è riuscito a superare le minacce tecnologiche con successo, quindi a meno che non ci sia una rivoluzione negli Emirati, penso che questi aerei non costituiscano una grande minaccia per Israele.

Per la prima volta dal 1967 un presidente americano, Donald Trump, ha fatto la mossa senza precedenti di far dichiarare al Dipartimento di Stato che gli insediamenti in Giudea e Samaria non violano il diritto internazionale. Di conseguenza ha dato il via libera a Israele di estendere la sua sovranità sopra il 30% dei territori. È stato un cambiamento storico, ma ora il quadro è cambiato. Cosa ne pensa?

Mi consenta di dire almeno due cose. Senza alcun dubbio l’amministrazione Trump è stata sotto il profilo strategico lo sviluppo più positivo per Israele da molti decenni a oggi. C’è un’intera processione di mosse importanti realizzate che sono state molto positive per Israele, dal riconoscimento di Gerusalemme come sua capitale, al trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme, dal riconoscere la sovranità israeliana sul Golan, all’avere tolto i fondi all’UNRWA e all’Autorità Palestinese, e al ritiro dall’accordo sul nucleare iraniano. Queste sono state tutte grandi vittorie strategiche per Israele. D’altra parte Israele è stato molto reticente nel promuovere i propri interessi. Trump è probabilmente più filo-israeliano dello stesso governo israeliano. Il riconoscimento di Gerusalemme e il trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme penso sia stata molto più un’iniziativa americana che il risultato della pressione israeliana, e lo stesso vale per l’UNRWA. Tutti sapevano che farsa fosse l’UNRWA, e Israele non l’ha mai posta veramente in primo piano in ambito diplomatico. Israele avrebbe potuto essere molto più assertivo, premendo per la sovranità. La questione di fondo è che Israele non può permettere che quel territorio cada in mani ostili, quindi, alla fine, l’unica soluzione è che Israele estenda la propria sovranità su di esso, e questo non è stato chiarito abbastanza o presentato abbastanza energicamente dalle amministrazioni israeliane per un lungo periodo.
Non ho visto Netanyahu essere davvero molto entusiasta dell’idea. In politica si segue la linea della minore resistenza e penso che quando gli americani hanno visto che non c’era grande entusiasmo da parte israeliana hanno optato per qualcos’altro, in fondo hanno coreografato un’alternativa, dicendo che la sovranità è stata ritardata dando in cambio un successo politico a un importante paese arabo. Spero che questo sia solo un ritardo. Molto dipende dal risultato delle elezioni di novembre negli Stati Uniti. La posizione strategica di Israele è migliorata enormemente dal 2014 e 2016 a causa di eventi che non sono il risultato della politica israeliana. Il primo è stato la presa di potere di Al Sisi ai Fratelli Musulmani in Egitto, e il secondo è stata la vittoria del tutto inaspettata di Trump alle elezioni americane. Come ho detto, entrambi questi eventi non sono stati il risultato della politica israeliana, ma hanno migliorato immensamente la posizione strategica di Israele. Sarei stato molto più felice se il miglioramento della posizione strategica israeliana fosse stato il risultato di una politica mirata, ma fondamentalmente la politica estera israeliana sembra interessata a gestire al meglio lo status quo.

Questo ci conduce alla domanda successiva. Qual è la sua valutazione generale della politica di Benjamin Netanyahu in relazione agli insediamenti e a Gaza?

Me lo lasci dire fin da subito, non sono un apologeta acritico di Netanyahu, ma nel complesso Netanyahu è stato un Primo Ministro rivoluzionario per Israele. Ha ottenuto grandi successi praticamente in ogni campo, ha esteso la portata diplomatica di Israele in molti posti nel mondo, Sud America, Africa, India, è riuscito a tenere a bada l’amministrazione molto ostile di Obama, è riuscito a neutralizzare sostanzialmente gran parte dell’opposizione della UE nei confronti di Israele inserendo un cuneo nell’Unione tramite le alleanze con i paesi dell’Europa centro-orientale e riducendo la dipendenza economica di Israele da una Unione Europea ostile. Per quanto riguarda il terrorismo, ci sono state fiammate, ma ha ridotto il terrorismo nella maggior parte del paese. Detto questo, la mia principale critica nei suoi confronti, collegata alla sua domanda, è che non ha investito abbastanza nella diplomazia a favore di Israele. Penso che la diplomazia sia uno strumento strategico. Dico da anni che se Israele investisse l’1% del bilancio statale nella diplomazia, sarebbe oltre un miliardo di dollari. Con un miliardo di dollari puoi conquistare molti cuori e cambiare molte menti, e non l’abbiamo fatto, e questo ha certamente ridotto la libertà di movimento di Israele in molti altri campi. Non credo che Netanyahu sia stato abbastanza tenace nell’incrementare gli insediamenti. Ad esempio, mettere fuori scena la terra in cambio di pace, avrebbe avuto un effetto molto positivo sui prezzi delle case in Israele, perché avrebbe fornito una grande offerta di alloggi vicino al centro del paese, la Giudea e la Samaria sono molto vicine al principale centro abitato della piana costiera. Questa è una delle mie maggiori critiche a Netanyahu. Per quanto riguarda Gaza il problema non è operativo, è concettuale. Finché i palestinesi verrano concepiti come potenziali partner di pace piuttosto che come essi stessi dicono di essere, implacabili nemici, non si sarà mai in grado di formulare una politica efficace. Se provi a contenere la violenza a un livello di accettabilità, continuerà a crescere. Quando contrasti la violenza solo con una risposta ridotta, non la dissuadi, immunizzi semplicemente il nemico contro la paura, in modo che quando la violenza scoppierà di nuovo, aumenterà di grado. Se si guarda alla capacità militare che hanno a Gaza ora, è molto al di là di ciò che chiunque avrebbe potuto immaginare. Se qualcuno avesse predetto nel 2005 che il futuro di Gaza sarebbe stato quello che è adesso, sarebbe stato liquidato come uno allarmista irrealistico, ma è quello che si ha oggi. Credo che non ci sia una soluzione consensuale per Gaza. L’unica soluzione è riprenderla e condurre un’iniziativa per l’immigrazione su larga scala da Gaza ad altri paesi. Se si guardano i sondaggi e gli sforzi disperati di molti abitanti di Gaza che cercano di fuggire dal luogo, penso che incentivare l’immigrazione su larga scala sarà molto più facile di quello che la maggior parte delle persone immagina.

Quindi è favorevole a che Israele riprenda il controllo di Gaza. Pensa che questo possa essere fatto con il concorso dell’Egitto?

Non so cosa succederà in Egitto. Al Sisi non resterà al potere per sempre. I Fratelli Musulmani in questo momento, sono contenuti nel paese, ma sono sempre attivi. Se due mesi prima della cacciata di Mubarak qualcuno avesse detto che sarebbe accaduto, nessuno lo avrebbe preso sul serio. Alcuni degli esperti più informati dicevano il giorno prima che Mubark fosse estromesso, che non sarebbe successo. C’è una tremenda crisi economica in Egitto, non so cosa succederà alla diga etiope sul Nilo. Se dovesse ridurre il flusso del Nilo verso l’Egitto, l’Egitto sarà condannato. L’Egitto sta affrontando enormi problemi. Penso che il futuro dell’Egitto sia molto cupo. Tornando a quello che ha detto, no, non credo che l’Egitto dovrebbe essere un partner nella conquista di Gaza e Israele non può evitare che questo accada. Se continua così, gli ebrei inizieranno a lasciare il Negev e il sud. Perché qualcuno dovrebbe fare crescere i propri figli in quel tipo di atmosfera se il governo lo tollera? Senza una massiccia risposta militare ai palloni incendiari e ai razzi, si sta legittimando l’incendio dei campi agricoli israeliani. È solo una pura fortuna che le case non siano state incendiate. Si sta anche legittimando il lancio dei razzi. Perché ai palestinesi dovrebbe essere consentito di lanciare anche un solo razzo sugli insediamenti israeliani?

Tornando agli accordi UE-Israele, il Ministro degli Affari Esteri dell’UE ha sottolineato che il Paese che garantisce gli accordi sono gli USA. Jared Kushner ha detto la stessa cosa. Sembra che Israele sia legato a un obbligo americano.

L’America ha certamente una grande influenza sulla politica israeliana, ma questo non significa che ne abbia il controllo. Sotto questa amministrazione, come ho già detto, gli Stati Uniti sono più filo-israeliani del governo israeliano medesimo. Penso che nulla di ciò che Israele ha ottenuto con questa amministrazione sarebbe accaduto per iniziativa israeliana autonoma. Penso che Israele sia stato molto rilassato nel promuovere i propri interessi. La chiave è investire in molte più risorse e molta più determinazione nella sua diplomazia. Yigal Allon, il defunto ministro laburista per gli Affari Esteri, una volta disse che gli arabi possono perdere molte guerre e nonostante ciò sopravvivere, ma Israele non può perdere una sola guerra perché ciò significherebbe l’estinzione della maggior parte della sua popolazione e la distruzione dello Stato ebraico. Ritengo che i successi di Israele abbiano in qualche modo accecato le persone sulla realtà della sua vulnerabilità.
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Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » gio set 17, 2020 6:11 am

La pace di Trump - Gli Accordi di Abramo e i morsi della realtà
Niram Ferretti
16 Settembre 2020

http://www.linformale.eu/gli-accordi-di ... la-realta/

La vexata quaestio della presenza ebraica in alcune aree ad ovest del Giordano è tornata di attualità numerose volte in questi ultimi mesi, per diversi avvenimenti e ricorrenze che si sono succeduti dal novembre dello scorso anno.

Il primo tra questi è stato il discorso del Segretario di Stato Mike Pompeo, con il quale chiariva in modo lineare che la presenza ebraica in tutto il territorio ad ovest del Giordano è perfettamente compatibile con il diritto internazionale (più oltre entreremo nel dettaglio della fonte stessa del diritto). Questa dichiarazione è stata duramente condannata dalla UE e da numerosi altri Stati senza che nessuno di essi, peraltro, abbia fornito la benché minima plausibile prova dell’eventuale sbaglio giuridico. Il tutto si è, unicamente, come sempre, limitato a considerazioni politiche.

Successivamente sono state le dichiarazioni pre-elettorali di Netanyahu a porre l’attenzione mondiale su questo fazzoletto di terra: la precisa volontà del candidato Premier di estendere la sovranità israeliana al 30% del territorio di Giudea e Samaria (la così detta Area C uscita dalla penna degli Accordi di Oslo). Anche in questo caso la quasi totalità della comunità internazionale ha gridato allo scandalo e alla violazione del diritto internazionale. Ma anche questa volta senza mai menzionare la presunta violazione giuridica.

Il 25 aprile di quest’anno è stato il centenario della Conferenza di Sanremo (1920) con la quale si sanciva, per il diritto internazionale, la necessità e la legalità di una patria per il popolo ebraico nella terra di Israele. In ben pochi hanno posto il dovuto accento su questo primo e fondamentale atto di diritto internazionale ancora oggi perfettamente valido.

L’ultima (per ora) tappa, che ha riacceso i riflettori su questo minuscolo territorio, è stata la clamorosa retromarcia di Netanyahu che, contestualmente all’accordo di pace con gli Emirati Arabi (poi esteso al Bahrein), ha di fatto congelato la già annunciata estensione di sovranità sulla Area C di Giudea e Samaria.

Ma qual è la fonte del diritto internazionale ancora valida che deve essere utilizzata per capire la fondatezza delle rivendicazioni territoriali? L’unica fonte legalmente valida è il Mandato di Palestina approvato dalla Società delle Nazioni.

Il Mandato di Palestina fu approvato in maniera definitiva il 24 luglio 1922, dal Consiglio supremo della Società delle Nazioni e ratificato da tutti i 50 Stati che componevano la Società delle Nazioni (l’ONU dell’epoca) il 23 settembre 1922. Quindi, il Mandato di Palestina, essendo stato approvato da tutte le nazioni del mondo (di allora) – e questo vale anche per tutti gli altri 20 mandati costituiti – ha il valore di trattato internazionale vincolante cioè è fonte primaria del diritto internazionale. Poc’anzi si è sottolineato la differenza di data tra l’approvazione definitiva del Mandato (luglio 1922) e la sua ratifica (settembre 1922). Questa discordanza di date ha assunto, come vedremo, un valore fondamentale: infatti, il 16 settembre, la Gran Bretagna in qualità di potenza mandataria, sottopose al Consiglio della Società delle Nazioni – in base all’art. 25 del Mandato stesso – un memorandum (che fu immediatamente approvato) con il quale si divideva il Mandato in due unità amministrative distinte: il Mandato di Palestina propriamente detto e il territorio di Transgiordania affidato all’Emiro Abdallah (vedi cartina 1). Da questo momento in avanti furono creati, ufficialmente, i confini tra le due parti del mandato. Queste due aree mandatarie dovevano portare alla creazione di due Stati indipendenti: uno Stato per il popolo ebraico e uno per la locale popolazione araba. Questi due Stati divennero Israele (1948) e Giordania (1946).

In pratica l’unica fonte primaria del diritto internazionale – il Mandato Britannico per Palestina – oggi ancora valida, dichiara in modo inequivocabile che tutta la terra che va dal mar Mediterraneo al fiume Giordano era destinata al popolo ebraico per ricostruirvi la propria patria. Vediamo, nel Mandato stesso, dove si avvalorano queste conclusioni.

I collegamenti storici e legali, tra il popolo ebraico e la Palestina, individuati nel Mandato sono presenti: nel preambolo, nell’art. 2, nell’art. 4, nell’art. 6 e nell’art. 7.

Nel preambolo del Mandato si legge:

Whereas recognition has thereby been given to the historical connection of the Jewish people with Palestine and to the grounds for reconstituting their national home in that country;
Considerando che in questo modo è stato riconosciuto il legame storico del popolo ebraico con la Palestina e le ragioni per ricostituire la loro patria nazionale in quel paese;

Si evince immediatamente che il legislatore, quando decise di inserire nel preambolo del Mandato, la frase “ricostruire la loro casa nazionale” e non la frase “costruire la loro casa nazionale”, lo fece, intenzionalmente, per rafforzare il concetto di uno Stato vero e proprio in quanto già effettivamente esistito in passato. Di fondamentale importanza è anche la frase relativa alla “storica connessione” tra gli ebrei e la Palestina che diviene così appartenente all’intero popolo ebraico. Il Mandato perciò deve essere interpretato come lo “strumento” atto a ricreare le condizioni necessarie a ricostruire lo Stato del popolo ebraico in Palestina.

Il Mandato per la Palestina ha due distinti principi da portare a compimento: l’art. 22 dello Statuto della Società delle Nazioni e la Dichiarazione Balfour che sono entrambi incorporati nel Mandato (fanno parte del preambolo) e sono quindi legalmente vincolanti. Perciò se l’espressione “Jewish National Home” fosse solo un’espressione intesa a creare un mero “centro spirituale per gli ebrei” (come vogliono far credere alcuni giuristi) e non uno Stato vero e proprio non avrebbe senso l’art. 2 del Mandato che si riporta integralmente:

The Mandatory shall be responsible for placing the country under such political, administrative and economic conditions as will secure the establishment of the Jewish national home, as laid down in the preamble, and the development of self-governing institutions, and also for safeguarding the civil and religious rights of all the inhabitants of Palestine, irrespective of race and religion.
Il Mandatario avrà la responsabilità di porre il Paese sotto condizioni politiche, amministrative ed economiche tali da garantire l’istituzione della casa nazionale ebraica, come stabilito nel preambolo, e lo sviluppo di istituzioni di autogoverno, nonché di salvaguardare i diritti civili e religiosi di tutti gli abitanti della Palestina, indipendentemente da razza e religione.

A questo si può aggiungere che la Commissione Mandati della Società delle Nazioni, durante la 7° sessione nell’ottobre del 1925, ribadì in modo inequivocabile che la ragione stessa dell’esistenza del Mandato per la Palestina risiedeva nel portare avanti i “principi essenziali” contenuti nel Mandato stesso: la creazione di uno Stato ebraico e i principi dell’art. 22 dello Statuto della Società delle Nazioni. E che il Mandato è lo strumento per lo sviluppo economico e politico del paese per questo fine.

Va sottolineato che il Mandato per la Palestina, rispetto agli altri mandati di classe A, era dotato di scarsa autonomia (quasi ogni aspetto era delegato alla potenza mandataria). Ciò era dovuto al fatto che la popolazione locale era scarsa e frammentata nei suoi diversi gruppi etnici. La comunità ebraica – unico caso fra tutti i mandati – era intesa come quella già insediata in Palestina e quella vivente altrove ma facente parte integrante e “virtuale” della popolazione palestinese in base all’Art. 4, seconda disposizione, del Mandato, che si qui si riporta:

The Zionist organization, so long as its organization and constitution are in the opinion of the Mandatory appropriate, shall be recognised as such agency. It shall take steps in consultation with His Britannic Majesty’s Government to secure the co-operation of all Jews who are willing to assist in the establishment of the Jewish national home.
L’organizzazione sionista, fintanto che la sua organizzazione e costituzione sono considerate adeguate secondo il parere del Mandatario, sarà riconosciuta come tale agenzia. Essa adotterà misure in consultazione con il governo di Sua Maestà britannica per garantire la cooperazione di tutti gli ebrei che sono disposti a collaborare alla creazione della casa nazionale ebraica.

Questa disposizione fa intendere che il mandatario (la Gran Bretagna) è a tutti gli effetti un “amministratore provvisorio” di qualcuno che è “provvisoriamente assente”. Se ne deduce che gli obblighi della Gran Bretagna, in qualità di mandatario, sono rivolti sia verso la popolazione che già abita in Palestina sia verso chi ancora non vi si trova.

Mentre all’art. 6 si legge:

The Administration of Palestine, while ensuring that the rights and position of other sections of the population are not prejudiced, shall facilitate Jewish immigration under suitable conditions and shall encourage, in co-operation with the Jewish agency referred to in Article 4, close settlement by Jews on the land, including State lands and waste lands not required for public purposes.
L’Amministrazione della Palestina, pur assicurando che i diritti e la posizione di altre componenti della popolazione non siano pregiudicati, faciliterà l’immigrazione ebraica in condizioni adeguate e incoraggerà, in cooperazione con l’agenzia ebraica di cui all’articolo 4, uno stretto insediamento degli ebrei nella terra, comprese le terre demaniali e le terre desolate e non necessarie per scopi pubblici.

Dalla lettura dell’art. 6 del mandato si capisce in modo chiaro che agli ebrei è dato il diritto di “insediarsi” in tutto il territorio libero del Mandato, che come abbiamo visto in precedenza, dal settembre 1922 è stato circoscritto nella parte di territorio che va dal Mediterraneo al fiume Giordano (vedi cartina 2).

Con la costituzione, nel giugno del 1945, dell’ONU con il trattato di San Francisco e la successiva abrogazione della Società delle Nazioni, nel 1946, tutti i mandati ancora in essere furono riconosciti validi e incorporati dall’ONU con l’Art. 80 dello Statuto.

La validità legale di tale decisione è stata ribadita con la Risoluzione 276 del Consiglio di Sicurezza in occasione della disputa con il Sud Africa che occupava, ormai illegalmente, il Mandato di Namibia (diventato con la creazione dell’ONU un’amministrazione fiduciaria dell’ONU). Cosa ribadita anche dalla Corte Internazionale di Giustizia (Namibia exception) nel 1971. Quindi non ci sono dubbi sulla continuità del valore legale del Mandato di Palestina – e di tutte le sue disposizioni – dal 1922 al 1948 fino alla sua sostituzione con lo Stato di Israele che in base al principio legale dell’ uti possidetis iuris ne ha ereditato i confini. Neanche la quasi ventennale occupazione illegale di alcune sue porzioni di territorio, da parte di Giordania (Giudea e Samaria o Westbank) e Egitto (Striscia di Gaza), ne ha mai inficiato la rivendicazione legale da parte di Israele. In conclusione, come abbiamo potuto vedere, la presenza ebraica in tutte le terre ad ovest del Giordano fino al Mediterraneo (entro i confini mandatari stabiliti nel settembre 1922) fonda le sue radici legali in un trattato internazionale (il Mandato per la Palestina) ancora valido a tutti gli effetti con la creazione dello Stato di Israele che ne è il legale successore.
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Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » dom feb 14, 2021 10:11 pm

Giudea e Samaria: Analisi legale
David Elber
14 Febbraio 2021

http://www.linformale.eu/giudea-e-samar ... si-legale/

La questione relativa alla terra di Giudea e Samaria non è semplice a partire dal nome che si vuole dare a quel piccolo pezzo di terra. Il nome di questa area infatti, come l’intera questione legata ad Israele, è stato fortemente politicizzato nel corso degli anni, quindi già l’utilizzo di un nome al posto di un altro ha assunto connotazioni politiche che travalicano le ragioni storiche e legali. Se qualcuno in Europa o negli USA si riferisce a quei territori con i loro antichi nomi di Giudea e Samaria diventa automaticamente “ultra nazionalista”, “colono” o peggio. Mentre se si utilizzano i nomi più “neutri” di “West Bank” o “Cisgiordania” è sicuramente un uomo di dialogo o un “volenteroso uomo di pace”. Come stanno per davvero le cose?

Per prima cosa è opportuno evidenziare che i termini “Giudea” e “Samaria” sono stati utilizzati per secoli, continuativamente, senza clamori. Anche l’amministrazione britannica li ha utilizzati nel periodo mandatario. Infine, anche la “non capita” Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale fa riferimento a questo territorio con quei nomi. Così come il rapporto dell’UNSCOP con il quale si suggeriva la spartizione del Mandato per evitare la guerra.

Quando nasce il termine West Bank o Cisgiordania in italiano? Molto più recentemente: nel 1950 quando la Giordania decise di annettere queste terre occupate illegalmente nel 1948. Ma come mai un termine molto più recente e frutto di un’aggressione illegale ha soppiantato un nome millenario? Semplice, per la stessa ragione per il quale il termine “Palestina” ha soppiantato il termine “Giudea” nel Secondo secolo dopo Cristo e oggi il termine “Palestina” vuole soppiantare il termine “Israele”: cancellare il legame tra il popolo ebraico e la terra in cui – anche per il diritto internazionale – ha diritto di vivere.

Le fonti del Diritto Internazionale

La più importante fonte di diritto internazionale in merito alla sovranità del popolo ebraico nella terra ad ovest del fiume giordano è il Mandato di Palestina del 1922. L’ufficialità la si ebbe il 16 settembre 1922 con l’approvazione del memorandum britannico con cui si divideva in due unità amministrative il Mandato approvato il 24 luglio dello stesso anno in base all’Articolo 25 del Mandato stesso. Qui si riporta copia del verbale del Consiglio della Società delle Nazioni.



Il memorandum dice, con espliciti riferimenti topografici, dove passava il confine lungo il fiume Giordano. Quindi essendo Giudea e Samaria ad ovest del Giordano non ci sono dubbi a chi sarebbe appartenuta la sovranità di quella: al popolo ebraico.

Ma l’intera questione è più complessa di come appare. Infatti il Mandato per la Palestina è un atto legale che è un combinato disposto di due principi:

L’autodeterminazione dei popoli in base all’Articolo 22 del Patto della Società delle Nazioni.
La Dichiarazione Balfour che riconosceva il dritto alla creazione di Stato nazionale ebraico in Palestina (diventata legalmente vincolante con la Risoluzione di Sanremo del 1920).

Questi due principi sono inseriti nel Preambolo del Mandato con l’aggiunta fondamentale dello storico legame del popolo ebraico con la terra.

Come si è visto il 16 settembre 1922 sono stati definiti i confini del Mandato in modo certo e definitivo, che si riportano di seguito:



La complessità della questione risiede nel fatto che tutto l’impianto dei mandati internazionali era rivolto ai popoli e non alla sovranità territoriale. In parole povere, la struttura del Mandato per la Palestina è stata creata al fine di realizzare l’autodeterminazione del popolo ebraico su una terra che non era “pienamente di sua sovranità” ma lo sarebbe diventata al termine del Mandato stesso. Questo concetto vale per tutti i mandati creati e per tutti i popoli che, nei territori essegnati, vi vivevano. In pratica i mandati erano delle “strutture amministrative provvisorie” create per dare la possibilità di autodeterminazione ai popoli. Allo stesso modo il Libano fu creato per dare uno Stato ai cristiani maroniti, mentre la Giordania, la Siria e la Mesopotamia (Iraq) furono creati per dare degli Stati agli arabi musulmani. Ma di fatto a chi apparteneva la sovranità territoriale? E questo è l’aspetto più importante.

Fino al 1917 all’Impero ottomano. Successivamente alle Grandi Potenze, cioè a Gran Bretagna e Francia, che avevano sconfitto i turchi. Questo punto fondamentale lo si capisce dal fatto che furono loro a firmare il trattato di pace con i turchi, prima a Sevres nel 1920, e poi quello decisivo a Losanna nel 1923 e non la Società delle Nazioni. Infatti, è solo dopo la stipula del Trattato di Losanna che tutti i mandati di categoria A sono entrati in vigore ufficialmente. E questo perché la sovranità, per il diritto internazionale, era passata dalla Turchia alla Francia e alla Gran Bretagna. Inoltre, a ulteriore riprova di questo assunto, basta leggersi tutti i mandati creati per vedere che erano le Grandi Potenze che concedevano i territori ai mandatari e non la Società delle Nazioni, la quale non aveva potere legale per farlo.

La sovranità, di Francia e Gran Bretagna, non era “esclusiva” ma era “limitata”, a “tempo determinato” al fine di accettare il sistema dei mandati nei territori preposti. Concetto che ribadì in modo molto chiaro Lord Balfour in occasione della diciottesima sessione del Consiglio della Società delle Nazioni nel maggio del 1922 quando dichiarò: “ … il Mandato è una auto imposta limitazione dei vincitori [Francia e Gran Bretagna] alla sovranità che hanno ottenuto sui territori conquistati…”.

In pratica la Gran Bretagna accettando i dettami dell’Articolo 22 del Patto della Società delle Nazioni si “auto imponeva una limitazione della propria sovranità territoriale”. A favore di chi? Del popolo ebraico in base ai dettami del Mandato per la Palestina. Quindi era la Gran Bretagna che si auto imponeva una limitazione di sovranità e non la Società delle Nazioni che la imponeva alla Gran Bretagna. Questo passaggio è decisivo per comprendere appieno il valore legale della Risoluzione 181 dell’Assemblea generale dell’ONU.

Se la sovranità, anche se limitata e temporanea, era della Gran Bretagna come poteva l’ONU che era subentrata alla Società delle Nazioni in base all’articolo 80 dello Statuto, disporre di un territorio di cui non possedeva la sovranità? Semplicemente non aveva la minima autorità per poterlo fare. E questo in base al principio di diritto che sancisce: Nemo dat quod non habent. Nessuno può dare ciò che non possiede. È sufficiente leggere la Risoluzione 181 per capire che in nessun passaggio è mai menzionata la decisione di spartire la terra. Si dà solo un suggerimento alla Gran Bretagna e al Consiglio di Sicurezza per “prendere misure” al fine di dividere il territorio allo scopo di evitare un conflitto. E l’ONU non poteva fare diversamente visto che non aveva titolo sul territorio. Chi sostiene la validità legale della spartizione sulla base della Risoluzione 181 prende un enorme abbaglio. In definitiva la continuità di sovranità territoriale passa dall’Impero ottomano alla Gran Bretagna in modo auto limitato e temporaneo, infine al popolo ebraico e con i confini stabiliti con il Mandato per la Palestina in base al principio legale dell’Uti possidetis iuris.

La successiva occupazione giordana del 1948-1967 di parti del territorio mandatario è chiaramente illegale. Questa illegalità di possesso giordana si basa su due palesi violazioni internazionali:

Atto di aggressione militare quando occupò quelle terre nel 1948 contravvenendo alle disposizioni dell’articolo 2 dello Statuto dell’ONU.
Violazione dei termini del cessate il fuoco del 3 aprile 1949 quando decise l’annessione la loro annessione.

Inoltre per il principio dell’Ex iniura non oritur ius; in nessun modo la Giordania poteva vantare, anni dopo l’occupazione illegale, titolarità sui territori di Giudea e Samaria, essendo fin dall’origine una presenza illegale.

Quando nasce, allora, l’accusa infondata nei confronti di Israele di occupare illegalmente quelle terre?

Dopo la guerra dei Sei giorni del 1967. In verità a seguito di quella guerra difensiva, Israele non ha fatto altro che riconquistare terre che già gli appartenevano legalmente anche se non ne aveva il possesso. E se per alcuni giuristi il “non averne possesso” ad indipendenza avvenuta ne inficiava la rivendicazione, la conquista illegale giordana non forniva – ai giordani – maggiore titolo di possesso per il principio legale dell’Ex iniura non oritur ius. Essendo invece la successiva riconquista israeliana frutto di una guerra difensiva perfettamente legale, come stabilito anche dal Consiglio di Sicurezza e dall’Assemblea Generale, dal punto di vista del diritto internazionale, in nessun caso si può parlare di “presenza illegale”. Da tutti i punti di vista Israele è il soggetto che vanta più titoli legali su quella terra.

Quindi per concludere si può affermare che il territorio noto come Giudea e Samaria o Cisgiordania, per il diritto internazionale – secondo il principio dell’uti possidetis – apparteneva ad Israele, come legittimo successore del Mandato per la Palestina del 1922. Ma per 19 anni, tra il 1948 e il 1967, fu occupato illegalmente dalla Giordania senza che mai Israele abbia rinunciato alla sua piena sovranità. Inoltre, nel 1967 la Giordania aggredì militarmente Israele, il quale sconfisse i giordani e riconquistò (non conquistò) i suddetti territori. La disputa territoriale è finita nel 1994 con la firma del trattato di pace tra i due paesi, con il quale la Giordania rinunciava ad ogni rivendicazione territoriale sulla Giudea e Samaria (Cisgiordania).

Mentre per quel che concerne i palestinesi, essi non erano un popolo riconosciuto come tale dal diritto internazionale né nel 1948 né nel 1967. Come tali sono stati riconosciuti dalla comunità internazionale solo nel 1970 (Risoluzione 2672C dell’8 dicembre 1970 – Assemblea Generale). Per questa ragione non possono accampare prerogative su quella terra ex post. Fino a quella data erano “semplicemente” un popolo arabo indistinguibile da giordani o siriani (cosa che è così ancor oggi per lingua e cultura). Il diritto alla terra lo avrebbero potuto avere se avessero accettato le disposizioni della Risoluzione 181, che è bene ribadire che non aveva nessun potere legale in sè, ma che se fosse stata accettata non solo dagli ebrei ma anche dagli arabi avrebbe implementato il diritto in base al principio legale del pacta sunt servanda. Di seguito ci sarebbe stato un preciso iter legale: implementazione da parte del Consiglio di Sicurezza con relativa risoluzione vincolante in base al Capitolo VII. Cosa che non avvenne a causa della guerra voluta dagli arabi.

In conclusione gli arabi (oggi i palestinesi) potevano scegliere tra la guerra e la pace con relativa spartizione della terra (già assegnata agli ebrei con il Mandato di Palestina, la parte assegnata agli arabi era stata già riconosciuta indipendente con lo Stato di Giordania nel 1946) hanno scelto la guerra, l’hanno persa e con essa la possibilità di qualsiasi rivendicazione territoriale. Invocare oggi la Risoluzione 181 per accampare diritti è tentare, come ha magistralmente detto il giurista Julius Stone: “…un’impresa ancora più miracolosa di quanto sarebbe la rinascita dei morti. È un tentativo di dare vita a un’entità che gli stessi Stati arabi avevano abortito prima che arrivasse alla maturità e alla nascita”.

La stessa cosa la si può dire delle varie risoluzioni dell’Assemblea Generale dell’ONU o della famigerata Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza, in quanto nessuna di esse ha il potere di annullare il diritto legale sancito dal Mandato per la Palestina, che può avvenire solo tramite negoziati diretti tra le parti, in base al già citato principio legale del pacta sunt servanda. In aggiunta, il principio del diritto di integrità territoriale di uno Stato è superiore al diritto di autodeterminazione come sancito anche dalla Risoluzione 3314 del 14 dicembre 1974 che definisce gli atti di aggressione. In altre parole, per il diritto internazionale, l’integrità territoriale di uno Stato non può essere messa in discussione dalle rivendicazioni di un popolo che per giunta è diventato tale dopo la creazione dello Stato di cui reclama il territorio retroattivamente.
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Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » mar mag 11, 2021 9:25 pm

I nazi maomettani impropriamente detti palestinesi hanno attaccato Israele


Gerusalemme, scontri tra le forze di sicurezza e i cittadini radunati contro lo sfratto delle famiglie palestinesi: 170 feriti
8 maggio 2021

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/0 ... i/6191276/

Le forze di sicurezza israeliane si sono scontrate con i manifestanti radunati per difendere i diritti delle famiglie palestinesi al centro di un controverso caso di proprietà terriera. Nel quartiere di Sheikh Jarrah, vicino alla Città Vecchia di Gerusalemme, gli ebrei israeliani sostenuti da tribunali hanno preso il controllo delle case in virtù del fatto che le famiglie ebraiche vivevano lì prima della fuga causata dalla guerra d’indipendenza di Israele del 1948. La Corte Suprema di Israele si è pronunciata in favore dello sfratto delle quattro famiglie il 6 maggio, scatenando le proteste sfociate in guerriglia. In serata sono state bruciate anche alcune vetture.
Almeno 163 palestinesi e sei agenti di polizia sono rimasti feriti negli scontri. All’inizio i tafferugli si sono concentrati sulla Spianata delle Moschee e poi si sono estesi a tutta la città. La Mezzaluna Rossa ha detto che gli scontri più violenti sono avvenuti nel complesso della moschea di Al-Aqsa e che la maggior parte delle ferite sono state causate da proiettili di gomma. Decine di dimostranti sono rimasti sul luogo delle preghiere e hanno cominciato a protestare contro gli sfratti di famiglie palestinesi nel quartiere di Sheikh Jarrah nella parte est della città. I media locali hanno anche riferito dell’allestimento di un ospedale da campo per curare l’elevato numero di feriti.



Medio Oriente: Corte suprema annulla udienza su sfratto palestinesi a Sheikh Jarrah
Gerusalemme, 09 mag 2021 - (Agenzia Nova) -
https://www.agenzianova.com/a/6097fd92e ... ikh-jarrah

La Corte suprema israeliana ha annullato un'udienza prevista per domani, che avrebbe potuto determinare lo sfratto di quattro famiglie palestinesi a Sheikh Jarrah, un quartiere di Gerusalemme. Lo riferisce il quotidiano israeliano "The Times of Israel". La decisione di annullamento arriva dopo che l'ufficio del procuratore generale Avichai Mandelblit ha chiesto alla Corte suprema due settimane per esaminare la questione. Il tribunale ha concesso a Mandelblit tempo fino all'8 giugno per esaminare la questione, quindi gli sfratti previsti - già approvati dai tribunali inferiori - non andranno avanti nel frattempo. Il provvedimento riguarda oltre 70 palestinesi che vivono nel quartiere di Sheikh Jarrah e potrebbero essere costretti a lasciare le loro case a ebrei israeliani di destra. I palestinesi vivono in case costruite su terreni che, secondo i giudici, appartenevano ad associazioni religiose ebraiche prima dell'istituzione di Israele nel 1948. Le famiglie palestinesi avevano fatto appello contro la decisione alla Corte suprema di Israele, che aveva previsto l'udienza per domani, giorno in cui si commemora la Giornata di Gerusalemme, ovvero la presa del controllo della città da parte degli israeliani nel 1967. I palestinesi sostengono che una legge israeliana del 1970 - sebbene non sia discriminatoria in apparenza - in pratica consente solo agli ebrei di reclamare la proprietà persa a Gerusalemme est. La questione dello sfratto dei palestinesi a Sheikh Jarrah ha spinto la comunità internazionale a esprimere preoccupazione. Inoltre, la questione degli sfratti, legata al rinvio delle elezioni palestinesi, ha portato a una nuova ondata di tensione nella città santa negli ultimi giorni. (Res)




TUTTO QUELLO CHE DEVI SAPERE SU SHEIKH JARRAH, GERUSALEMME EST
9 maggio 2021
https://www.facebook.com/noicheamiamois ... 0417612991

1875: Terreno acquistato dagli ebrei.
1948: Pulizia etnica degli ebrei da parte della Giordania.
1950: Sotto il controllo giordano gli arabi occupano le abitazioni.
1973: Il terreno viene registrato da un'organizzazione ebraica.
1982: I residenti riconoscono la proprietà ebraica. La Corte stabilisce che gli affittuari paghino l'affitto. La battaglia legale prosegue per anni.
2020: Il tribunale israeliano decide che gli affittuari devono essere sfrattati perché rifiutano di pagare l'affitto.
2021: esecuzione dello sfratto e sospensione dello sfratto da parte della Corte Suprema

Daniel Emme Rossi
la prima decisione che rispecchia le idee del prossimo governo sinistroide illegale in israele è di oggi dove la corte suprema ha bloccato lo sgombro ...... insomma le prime ripercussioni di un governicchio truffaldino di sinistra.



Il contenzioso sulle case di Sheikh Jarrah: innanzitutto i fatti
Israele.net
9 maggio 2021

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 3097880689
https://www.israele.net/il-contenzioso- ... to-i-fatti

I mass-media rendono un pessimo servizio alla verità e al dialogo quando tacciono una lunga serie di informazioni senza le quali la vicenda appare interamente stravolta

La posizione di Sheikh Jarrah rispetto alla Città Vecchia di Gerusalemme e alla ex linea armistiziale che per 19 anni ha diviso la parte israeliana della città, a ovest, dalla parte occupata dalla Giordania a est (clicca per ingrandire)

“Le proteste palestinesi sono state innescate dal fatto che diverse famiglie palestinesi rischiano di essere sfrattate dalle loro case a Sheikh Jarrah, un quartiere di Gerusalemme est, che sono state assegnate a coloni israeliani” (così la Reuters il 9.5.21). Quante volte si sono lette frasi come questa sulla stampa internazionale? Ebbene, le cose non stanno così. E prima di formulare qualunque giudizio politico, è necessario conoscere i fatti.

La causa su cui si sono dovuti pronunciare i tribunali israeliani, e che ora è sul tavolo della Corte Suprema, riguarda il tentativo da parte di proprietari israeliani di rientrare in possesso di alcuni terreni e immobili a Sheikh Jarrah di cui hanno dimostrato d’essere i legali proprietari.

Sheik Jarrah è un quartiere arabo fondato nel 1865 poco a nord delle mura della Città Vecchia di Gerusalemme. Dal 1875 fino al 1948 è esistito al suo interno anche un settore ebraico. Da secoli, infatti, quest’area è conosciuta anche con il nome di Shimon HaTzadik” (Simone il Giusto), dal nome del famoso saggio rabbinico del periodo del Secondo Tempio la cui tomba si trova nel quartiere. Proprio per la presenza della venerata sepoltura, nel 1875 i rabbini Avraham Ashkenazi e Meir Auerbach acquistarono da venditori arabi la tomba e il terreno circostante (4,5 acri, circa 1.82 ettari) per conto delle comunità sefardita e ashkenazita in Terra d’Israele, allora sotto dominazione turco-ottomana. Poco tempo dopo in quell’area, così come a Kfar Hashiloah, un altro quartiere di Gerusalemme chiamato anche Silwan, vennero ad abitare parecchi ebrei per lo più yemeniti, “saliti a Sion” nel 1881. Va ricordato che sin dal 1844 gli ebrei costituivano il più numeroso gruppo etnico della variegata popolazione di Gerusalemme. Tra il 1936 e il 1938, a fronte delle crescenti violenze arabe, per disposizione delle autorità britanniche la comunità ebraica yemenita venne sgomberata da Silwan. Rimasero invece diversi ebrei a Sheik Jarrah, almeno fino al 1948.

Vedutra aerea di Sheikh Jarrah nel 1931

Nel 1946, le organizzazioni non governative ebraiche Va’ad Eidat HaSfaradim e Va’ad HaKlali L’Knesset Yisrael si adoperarono per far registrare l’atto di proprietà presso le autorità di quella che allora era la Palestina Mandataria britannica. Due anni dopo, nel 1948, la Transgiordania (oggi Giordania) attaccava lo stato d’Israele appena fondato, nel quadro del dichiarato intento dell’intera Lega Araba di impedire con la forza l’applicazione della risoluzione 181/47 delle Nazioni Uniti (che prevedeva la nascita di due stati palestinesi, uno ebraico e uno arabo), di distruggere sul nascere lo stato ebraico e di “buttare a mare gli ebrei”. Con quella aggressione, la Legione Araba di Transgiordania occupò illegalmente Giudea e Samaria (da allora rinominate West Bank o Cisgiordania), tutta la Città Vecchia di Gerusalemme e diversi quartieri circostanti, compreso il quartiere Shimon HaTzadik/Sheikh Jarrah. La Legione Araba impose la totale “pulizia etnica” in tutte le aree conquistate: a nessuno ebreo venne permesso di rimanere, neanche a quelli le cui famiglie avevano vissuto nella regione per secoli, sin da prima dell’invasione araba nel VII secolo. Nelle case rimaste vuote a Sheikh Jarrah, la Giordania insediò nel 1956 una trentina di famiglie di profughi palestinesi ai quali aveva nel frattempo conferito la cittadinanza giordana. A quanto risulta, costoro iniziarono a pagare un affitto alla Custodia Giordana delle Proprietà del Nemico.

Nel 1967 Israele, di nuovo aggredito dai paesi arabi (guerra dei sei giorni), tolse alla Giordania il controllo su Cisgiordania e parte est di Gerusalemme. Nel 1970 venne varata una legge in base alla quale gli ebrei israeliani che possono documentare d’aver avuto le loro proprietà confiscate dalla Giordania quando questa occupò abusivamente la Cisgiordania e Gerusalemme est, possono chiederne la restituzione, a meno che gli attuali residenti non riescano a dimostrare un valido procedimento di acquisto o trasferimento della proprietà. Nel 1973, sulla base dei documenti ottomani e britannici, gli immobili in questione venivano registrati presso le autorità israeliane come proprietà delle organizzazioni Va’ad Eidat HaSfaradim e Va’ad HaKlali L’Knesset Yisrael. Nel 1982, un certo numero di residenti, compresi genitori e nonni di alcuni degli attuali occupanti, convennero in tribunale che le due organizzazioni israeliane erano le proprietarie legali, accettando il principio di pagare un affitto

Ebrei in pellegrinaggio alla tomba di Shimon HaTzadik (Simone il Giusto) nel 1927

Nel 2003 le due ong hanno venduto gli immobili a un’altra organizzazione ebraica, Nahalat Shimon. Tuttavia, i palestinesi che occupavano le abitazioni vennero autorizzati a continuare ad abitarvi godendo dello status di “residenti protetti”. Ma per legge, gli inquilini dovevano pagare un affitto alla proprietà, cioè a Nahalat Shimon. Fu solo dopo che i residenti palestinesi si rifiutarono di farlo (mentre nel frattempo avevano ampliato illecitamente la proprietà e in parte l’avevano subaffittata a terze parti) che Nahalat Shimon avviò la causa per lo sfratto.

Dal canto loro, gli occupanti si oppongono allo sfratto sostenendo d’aver acquistato gli immobili nel 1991 (quasi vent’anni dopo che erano stati registrati come di proprietà delle ong israeliane) da un uomo di nome “Ismail” che, secondo il tribunale, gli appellanti non hanno mai meglio identificato né documentato. Sostengono inoltre che la proprietà era stata loro promessa “in dono” dalle autorità giordane all’epoca in cui la Giordania occupava la parte est di Gerusalemme. Anche questa un’affermazione che il tribunale ha giudicato non suffragata da prove né testimonianze attendibili.

Nell’ottobre 2020 il tribunale di Gerusalemme si è pronunciato a favore di Nahalat Shimon, sottolineando fra l’altro che i residenti, dopo aver sostenuto di non essere inquilini bensì proprietari, di fronte all’evidente mancanza di prove hanno iniziato ad affermare di essere inquilini ma che non potevano essere sfrattati. Lo scorso 10 febbraio 2021, il tribunale distrettuale di Gerusalemme ha confermato la decisione di primo grado dell’ottobre 2020, chiedendo ai residenti in questione di sgomberare le proprietà entro il 2 maggio 2021, avendo constatato che “le persone che attualmente vivono in queste case lo hanno fatto abusivamente per decenni senza pagare affitto né avere documenti che ne attestino la proprietà”.

Manifestazione palestinese contro le sentenze di sfratto sulle case di proprietà ebraica a Sheikh Jarrah. Sul cartello: “Basta rubare le nostre case”

Gli occupanti hanno presentato ricorso alla Corte Suprema. Inizialmente, la Corte Suprema ha esortato le parti a trovare un accordo entro il 6 maggio. Ma di fronte al rifiuto delle famiglie arabe di accettare qualsiasi accordo che implicasse il riconoscimento della proprietà ebraica, la Corte Suprema aveva fissato per lunedì 10 l’udienza sulla decisione definitiva. Tuttavia, alla vigilia della data, la Corte Suprema ha rinviato l’udienza “alla luce delle circostanze [le violenze in corso a Gerusalemme] e della richiesta del procuratore generale Avichai Mandelblit”.

Tutte queste informazioni mancano quasi completamente dai resoconti dei mass-media. Quando la Reuters scrive che “dei coloni ebrei sostenuti da un tribunale israeliano hanno preso il controllo di alcune case” a Sheikh Jarrah/Shimon HaTzadik, o la Associated Press riferisce che “decine di palestinesi stanno battendosi contro il tentativo da parte di coloni israeliani di sfrattarli dalle loro case”, rendono impossibile una discussione minimamente informata sulla complessa e delicata questione.




"La libertà dell'occidente si difende sotto le mura di Gerusalemme" scriveva il leader repubblicano Ugo La Malfa decenni fa.
Dario Berardi
https://www.facebook.com/dario.berardi. ... 6342485211

Come tutte le grandi verità diventano ancora più reali col passare del tempo perché i nemici della libertà dell'occidente oggi come oggi sostengono l'ideologia filopalestinese ed i bombardamenti di Hamas che si stanno verificando in queste ore nel sud di Israele.
Lo schieramento filopalestinese è in realta purtroppo molto variegato:
Si va dalla Ue che sono decenni che da finanziamenti copiosi ad Hamas, si parla di miliardi di euro dati ad un gruppo di terroristi e pedofili, e che ha vietato qualche mese fa al governo serbo e kosovaro di andare in Israele per riconoscere Gerusalemme capitale. Sarebbe stato il primo incontro tra due paesi in guerra da 10 anni ma "quelli che hanno permesso la pace negli ultimi 80 anni in Europa" lo hanno impedito minacciando sanzioni economiche.
C'è Biden che deve dare la ricevuta dopo i milioni incassati dalle organizzazioni jihadiste per la sua campagna elettorale e non è un caso che, con lui presidente degli Usa, sia a partita ora una nuova offensiva araba.
Ci sono i partiti radicalchic come Più Europa che appoggiano le rivendicazioni palestinesi perché hanno come ricambio un finanziamento politico da parte dei governi del Qatar e dell'Arabia Saudita per promuovere l'immigrazione islamica in Europa.
Ovviamente ci sono i fascisti che odiano gli ebrei per partito preso e dulcis in fundo ci sono i comunisti che sono come i fascisti, tranne meno sinceri, perché odiano ugualmente gli ebrei per partito preso ma che fanno passare questa cosa come "anti imperialismo" ed "autodeterminazione dei popoli".
Israele vincerà anche questa volta, ne sono sicuro: il problema è che noi che amiamo l'Occidente e l'Europa, quella vera che non è rappresentata dalla Ue, stiamo perdendo perché siamo rappresentati da antisemiti, anti occidentali ed anti europei. Tutta gente che sarebbe meglio che se ne andasse a Gaza in gommone insieme a Chef Rubio
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Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » mer mag 12, 2021 1:36 am

I nazi maomettani impropriamente detti palestinesi hanno attaccato Israele


Palestinesi: il nostro vero obiettivo è distruggere Israele
Bassam Tawil
11 maggio 2021

https://it.gatestoneinstitute.org/17363 ... c.facebook

Hamas e le migliaia di palestinesi che hanno inneggiato slogan a sostegno di Hamas e Deif, tuttavia, hanno in mente una soluzione diversa: l'annientamento di Israele e la morte degli ebrei, e più si è, meglio è. Nella foto: un condominio ad Ashkelon, in Israele, che è stato danneggiato dai razzi lanciati dalla Striscia di Gaza, governata da Hamas, nella notte tra il 10 e l'11 maggio 2021 (Foto di Jack Guez / AFP via Getty Images)

Quando nel 1991 l'ex dittatore iracheno Saddam Hussein lanciò 39 missili Scud contro Israele, numerosi palestinesi scesero in strada per celebrare gli attacchi. Molte manifestazioni di protesta ebbero luogo in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza e a Gerusalemme Est, anche se i palestinesi erano stati provvisti dalle autorità israeliane di maschere antigas, da indossare per proteggersi da un possibile attacco chimico da parte dell'Iraq contro Israele.

Il Los Angeles Times riportò allora che "diversi palestinesi hanno espresso gioia per l'assalto missilistico [iracheno] della scorsa settimana a Tel Aviv e Haifa".

Quando nel 2015 il gruppo terroristico Hezbollah, sostenuto dall'Iran, lanciò una serie attacchi missilistici contro Israele dal Libano, i palestinesi scesero in strada per festeggiare, tenendo in mano le bandiere di Hezbollah e distribuendo dolci a guidatori e passanti.

Per i palestinesi, chiunque attacchi Israele o minacci di distruggerlo è un vero "eroe".

Nei giorni scorsi i palestinesi hanno acclamato un altro "eroe": Mohammed Deif, figura oscura che guida l'ala militare del movimento islamista palestinese Hamas.

Deif è il terrorista più ricercato da Israele negli ultimi 25 anni, a causa del suo coinvolgimento in diversi attacchi terroristici, tra cui l'uccisione di soldati israeliani, attentati suicidi e rapimenti. Nel 2015, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti aggiunse Deif alla lista degli Specially Designated Global Terrorists (SDGTs), ("terroristi globali particolarmente pericolosi", N.d.T.)

A causa del suo coinvolgimento diretto nel terrorismo contro Israele, Deif è sempre stato considerato da molti palestinesi un "eroe".

Ora, dopo che Deif ha minacciato Israele di ritorsioni, se non cambia le sue politiche a Gerusalemme Est, sembra essere ancora più popolare tra i palestinesi.

In una rara dichiarazione pubblica, il terrorista, che vive nella Striscia di Gaza governata da Hamas, ha dichiarato che Israele pagherà un "prezzo molto elevato", se non fermerà lo sgombero delle famiglie palestinesi che vivono nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme. "Questo è un chiaro e definitivo avvertimento", ha minacciato Deif, accennando al fatto che Hamas avrebbe ripreso i suoi attacchi missilistici e altre forme di terrorismo contro Israele.

La minaccia è stata lanciata dopo che un tribunale di Gerusalemme aveva approvato lo sfratto di un certo numero di famiglie arabe residenti a Sheikh Jarrah dalle case che erano appartenute agli ebrei prima della fondazione di Israele nel 1948.

Durante le manifestazioni di massa tenutesi negli ultimi giorni a Gerusalemme e in alcune parti della Cisgiordania, migliaia di palestinesi hanno scandito slogan in lode di Deif e lo hanno esortato a mettere in atto la sua minaccia di lanciare razzi contro Israele. I palestinesi hanno anche scandito slogan a sostegno dell'ala militare di Hamas, Izaddin al-Qassam, responsabile di migliaia di attacchi terroristici contro Israele negli ultimi tre decenni.

"Siamo gli uomini di Mohammed Deif", hanno ripetuto ritmicamente migliaia di palestinesi durante una manifestazione alla Moschea di al-Aqsa, il terzo luogo più sacro dell'Islam. Lo hanno anche esortato a "colpire" Tel Aviv con i razzi, facendo eco all'appello del 1991 a Saddam Hussein: "O amato Saddam, colpisci, colpisci Tel Aviv!".

Le manifestazioni a Gerusalemme sono iniziate il primo giorno del mese di digiuno musulmano del Ramadan, quando decine di giovani hanno attaccato agenti di polizia e residenti ebrei con pietre, bombe incendiarie e altri oggetti. I manifestanti hanno inizialmente giustificato gli attacchi sostenendo che la polizia israeliana aveva installato barricate in uno degli ingressi della Città Vecchia di Gerusalemme, impedendo così loro di riunirsi di notte per celebrare il Ramadan.

Le rivolte, tuttavia, sono continuate anche dopo che la polizia ha rimosso le barricate. I rivoltosi hanno detto che stavano protestando contro il possibile sfratto delle famiglie da Sheikh Jarrah e contro i tentativi degli ebrei di "assaltare" la Moschea di al-Aqsa, un riferimento alle visite di routine degli ebrei al Monte del Tempio, il luogo più sacro dell'Ebraismo.

E allora come si inserisce Deif, il capo terrorista di Hamas, negli scontri tra i palestinesi e la polizia israeliana a Gerusalemme?

Invocando il nome di Deif e invitandolo a bombardare Tel Aviv, i manifestanti hanno rivelato la verità: che le loro proteste non riguardavano la moschea di al-Aqsa, le polemiche sulle case di Sheikh Jarrah o sule barriere della polizia nella Città Vecchia, ma puntavano all'eliminazione di Israele.

Occorre notare che Israele non ha adottato nuove misure per "alterare lo status storico o legale" della Moschea di al-Aqsa, come hanno affermato i palestinesi e altri arabi.

I palestinesi sono irritati perché agli ebrei è permesso recarsi sul Monte del Tempio. I palestinesi non vogliono che gli ebrei visitino il loro luogo sacro; non vogliono vedere ebrei a Gerusalemme, e non vogliono assolutamente vedere nessun ebreo nella terra che si estende dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo.

In che modo il bombardamento di Tel Aviv aiuta i casi delle famiglie arabe di Sheikh Jarrah, che contestano l'ordine di sfratto nei tribunali israeliani? In che modo invitare Hamas a lanciare attacchi terroristici contro Israele aiuta i palestinesi nella loro campagna finalizzata a impedire agli ebrei di visitare il Monte del Tempio?

Alzando le bandiere di Hamas e scandendo slogan a sostegno di un arci-terrorista alla Moschea di al-Aqsa, i manifestanti hanno profanato il luogo sacro, non gli ebrei. Coloro che hanno usato il complesso della moschea per lanciare pietre e altri oggetti contro gli agenti di polizia sono coloro che hanno contaminato il luogo sacro. Non si possono attaccare gli agenti di polizia e poi lamentarsi del fatto che Israele abbia inviato la polizia a "fare irruzione" e a "profanare" la Moschea di al-Aqsa, a meno che la tua mente non sia stata distorta dalla logica del terrorismo.

Nessuno contesta il diritto dei palestinesi di protestare contro le politiche israeliane. Ma quando le proteste si trasformano in grandi manifestazioni pro-Hamas, con appelli per bombardare Tel Aviv e uccidere gli ebrei, smascherano le vere intenzioni mortali dei manifestanti.

Quando migliaia di palestinesi scandiscono lo slogan "Siamo tutti Mohammed Deif", intendono dire che si vedono come terroristi pronti ad attaccare e distruggere Israele e che Deif è il loro modello perché è riuscito a uccidere molti ebrei e rimane a piede libero, nonostante i tentativi israeliani di arrestarlo o ucciderlo.

La violenza scoppiata a Gerusalemme negli ultimi giorni mostra che Hamas ha un ampio seguito tra i palestinesi, compresi i residenti di Gerusalemme Est in possesso di carte d'identità rilasciate da Israele, ma non sono cittadini israeliani. Dopo che Israele annesse Gerusalemme Est nel 1968, concesse ai palestinesi lì residenti il diritto di richiedere la cittadinanza israeliana. La maggior parte di loro, tuttavia, ha scelto di non chiedere la cittadinanza israeliana per paura di essere bollata come traditrice.

Da residenti permanenti di Israele, i residenti palestinesi di Gerusalemme godono di tutti i diritti concessi ai cittadini israeliani con un'eccezione: il diritto di votare per il Parlamento israeliano, la Knesset. Allo stesso tempo, questi residenti hanno il diritto di richiedere la cittadinanza israeliana ogni volta che lo desiderano e diverse migliaia di loro lo hanno già fatto.

La popolarità di Hamas è in aumento non solo a Gerusalemme Est, ma anche in Cisgiordania, dove alcuni palestinesi hanno anche elogiato Deif e lo hanno esortato a scatenare una nuova ondata di terrore contro Israele.

Hamas deve la sua crescente popolarità alla provocatoria campagna anti-israeliana condotta dai media palestinesi, in particolare dalle piattaforme dei social media, dalle moschee e dalla retorica pubblica dei leader palestinesi. Hamas deve la sua popolarità anche alla corruzione in atto e all'incompetenza dell'Autorità Palestinese e del suo autocratico presidente, Mahmoud Abbas.

Abbas aveva buone ragioni per ritardare fino a nuovo avviso le elezioni legislative e presidenziali che aveva in programma di tenere il 22 maggio e il 31 luglio. Sapeva benissimo che i suoi rivali di Hamas erano diretti verso una vittoria simile a quella ottenuta nelle ultime elezioni legislative tenutesi nel 2006.

Eppure Abbas non ha avuto il coraggio di ammettere che questo era il vero motivo per cui ha annullato le elezioni. Invece, ha preferito incolpare Israele accusandolo falsamente di impedire ai palestinesi di Gerusalemme di partecipare alle elezioni.

Seduto nel suo soggiorno a guardare in tv le migliaia di palestinesi a Gerusalemme che lo denunciano come traditore e salutano Hamas e Deif, Abbas deve aver tirato un sospiro di sollievo per il fatto che le elezioni sono state rinviate a tempo indeterminato. Le manifestazioni pro-Hamas a Gerusalemme dovrebbero preoccupare non solo Israele, ma anche Abbas e la sua Autorità Palestinese.

Le manifestazioni a favore di Hamas dovrebbero anche essere un campanello d'allarme per l'amministrazione Biden e servire da indicatore accurato delle priorità palestinesi. L'amministrazione Biden parla di rilanciare il processo di pace in stallo tra Israele e i palestinesi sulla base della "soluzione dei due Stati". Hamas e le migliaia di palestinesi che hanno inneggiato slogan a sostegno di Hamas e Deif, tuttavia, hanno in mente una soluzione diversa: l'annientamento di Israele e la morte degli ebre e più si è, meglio è.

Bassam Tawil è un musulmano che vive e lavora in Medio Oriente.



I FATTI E I TRAVESTIMENTI
Niram Ferretti
10 maggio 2021

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

"La Corte Suprema ha rinviato la decisione sul possibile sfratto di una ventina di famiglie che vivono nelle zone di Sheikh Jarrah e Silwan dopo che alcune organizzazioni di coloni oltranzisti hanno ottenuto dal tribunale la conferma del diritto di proprietà sugli edifici: appartenevano a ebrei prima della nascita dello Stato d’Israele nel 1948, i palestinesi ci abitano da almeno sessant’anni".
Così l'imparziale, neutro, oggettivo Davide Frattini, il corrispondente in Israele non de "Il Manifesto" ma de "Il Corriere della Sera".
"Coloni oltranzisti" è un abbinamento che fa un certo effetto. Già c'è il "colono", brutta specie, poi, quando è oltranzista è addirittura feccia umana. Dall'altra parte ci sono i buoni. I palestinesi che nelle case di Sheikh Jarah ci abitano da "almeno sessant'anni".
I coloni oltranzisti vogliono cacciarli. Siamo in piena telenovela. Va avanti dal 1967, e non ha mai smesso un giorno. Pulizie etniche, genocidi, eccidi, israeliani con le mani grondanti di sangue raffigurati come nazisti, ecc. ecc.
Ieri Progetto Dreyfus ha elencato in modo protocollare i fatti.
"Secondo la Corte Suprema, la terra in questione, era di proprietà del rabbino capo (Hacham Bashi) Avraham Ashkenazi e del rabbino capo Meir Orbach. Fu acquistata nel 1875 da cittadini arabi, all’epoca Gerusalemme era sotto l’occupazione Turca (1872-1917).
Dopo l’acquisto, la terra rimase sotto la proprietà di Avraham Ashkenazi e Meir Orbach, fino alla prima guerra d’indipendenza dello Stato di Israele avvenuta nel 1948.
Due anni prima, nel 1946, le organizzazioni ebraiche, Va’ad Eidat HaSfaradim e Va’ad HaKlali L’Knesset Yisrael, durante il Governo del Mandato Britannico (1920-1948), si attivarono per la registrazione di questo terreno.
Nel 1973, le proprietà sono state registrate presso le autorità israeliane sotto queste due organizzazioni. Le stesse organizzazioni, nel 2003 hanno venduto le proprietà all’organizzazione Nahalat Shimon.
Secondo una decisione dell’Alta Corte del 1979, e riaffermata ripetutamente nei casi successivi, come nel caso di qualsiasi inquilino che vive sulla proprietà di qualcun altro, i residenti che vivevano sul terreno di proprietà delle due organizzazioni sopra citate erano tenuti a pagare l’affitto alle stesse organizzazioni , visto che possedevano la titolarità delle proprietà.
La loro incapacità di farlo, insieme a casi di costruzione illegale e affitto illegale di proprietà ad altri, ha portato all’attuale procedimento legale contro di loro, culminato nella decisione del Tribunale Distrettuale.
Nel 1982, un certo numero di residenti, compresi quelli i cui discendenti si appellarono al Tribunale Distrettuale, concordarono con la Corte che le due organizzazioni no profit israeliane erano i proprietari legali della terra".
Vuoi però mettere i fatti, nudi, crudi, poveri di attrattiva, con il travestimento sgargiante della propaganda? Con l'irresistibile romanzo nero su Israele?



Sono pienamente d’accordo con le parole contenute in questo messaggio di Trump; la politica dell’amministrazione Biden, con le persone che odiano visceralmente Israele che sono ai vertici della politica DEM, hanno portato ad un cambio nefasto per la situazione in Israele.
Emanuel Segre Amar
11 maggio 2021

https://www.facebook.com/emanuel.segrea ... 0038058416

Loretta Greco
La politica di Biden (Obama) contro Israele , in favore di Gaza e dell'Iran ,è dissennata. Con Trump presidente ,questi attacchi non ci sarebbero stati.



Il membro della "Squad",la Rappresentante Democratica Rashida Tlaib, sostiene che Israele "promuove il razzismo e la disumanizzazione" sotto il "sistema dell'apartheid senza fornire prove come al solito".
L'Osservatore Repubblicano
11 maggio 2021

https://www.facebook.com/ORepubblicano/ ... 0596820943

La rappresentante Rashida Tlaib, Democratica del Michigan, ha affermato lunedì, senza alcuna controreplica da parte della MSNBC, che il governo israeliano sia colpevole di "promuovere il razzismo e la disumanizzazione" sotto un "sistema di apartheid" che discrimina i palestinesi.
Il membro della "Squad" di Estrema Sinistra ha fatto questa l'affermazione mentre appariva al fianco di Ayman Mohyeldin della rete liberal per esternare la sua reazione alla violenza che si sta svolgendo in Israele. La Tlaib ha anche paragonato la situazione dei palestinesi agli afro americani negli Stati Uniti che affrontano la brutalità della polizia.
Mohyeldin ha iniziato la discussione chiedendo a Tlaib la sua reazione agli sviluppi che stanno avvenendo in Israele, in riferimento all'aumento delle tensioni a Gerusalemme e agli scambi tra l'organizzazione terroristica Hamas e le forze israeliane nelle ultime settimane.
"Questo è un sistema di apartheid, Ayman. La stessa eminente organizzazione israeliana per i diritti umani B'Tselem lo ha dichiarato, Human Rights Watch lo ha dichiarato", ha detto la Tlaib, "e i palestinesi sul posto ci dicono da decenni che... le loro case sono state demolite, che sono state prese di mira, che la violenza è stata accettata dalle forze guidate da Israele sotto le politiche razziste di Netanyahu".
Ha continuato a sostenere, senza fornire prove, che il messaggio che gli Stati Uniti stanno inviando ai palestinesi che lottano contro il "sistema dell'apartheid" è lo stesso messaggio che viene dato agli afro americani "che lottano contro la brutalità della polizia", cioè che non esiste una forma di resistenza accettabile alla violenza dello stato.
"Dobbiamo fermarci e guardare il fatto che il nostro stesso paese lo sta permettendo con miliardi di dollari ogni anno che vengono inviati a Israele, anche se stanno promuovendo il razzismo e la disumanizzazione", ha detto la Tlaib, senza fornire esempi specifici.
Mohyeldin non ha dato alcuna risposta a Tlaib o chiesto qualche prova per corroborare le sue affermazioni, ma le ha invece chiesto se pensasse che l'amministrazione Biden dovesse prendere una posizione più forte nei confronti di Israele in risposta alle azioni intraprese dalle forze israeliane.
La Tlaib, che è palestinese-americana, ha risposto che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha corso per la rielezione sulla base di una retorica anti-araba e che dovrebbe essere ritenuto "responsabile" dalle leggi internazionali sui diritti umani. Inoltre, ha affermato che Netanyahu stia "permettendo" alle forze israeliane di schierarsi con i cittadini israeliani nel deportare i palestinesi dalle loro case, riferendosi ad una disputa sugli sfratti di decine di palestinesi dalle loro case a Gerusalemme Est.
"I dollari dei contribuenti americani non dovrebbero essere usati per commettere violazioni dei diritti umani. Questo deve essere detto. Non ho ancora sentito nessuno dell'amministrazione Biden dichiarare questo, che i nostri soldi non saranno usati per degradare, disumanizzare e uccidere o sfrattare le persone dalle loro case", ha concluso.
Mohyeldin ancora una volta non ha chiesto alla Tlaib di fornire alcuna prova per sostenere le sue affermazioni prima di proseguire.
La Tlaib è andata sui social media per condividere queste affermazioni, ma ha ricevuto pesanti critiche, anche dall'ambasciatore di Israele negli Stati Uniti.



Israeli ambassador accuses Tlaib of 'stoking tensions' over Al-Aqsa mosque
Evie Fordham
4 minuti

https://www.foxnews.com/politics/israel ... ib-al-aqsa


Israel's ambassador to the U.S. criticized Rep. Rashida Tlaib, D-Mich., for "stoking tensions" with her comments about Israel's deadly clashes with Hamas.

"Congresswoman @RashidaTlaib maybe you should open your eyes to the whole picture? Islam’s 3rd holiest site is being used to stockpile Molotov cocktails and rocks that are being lobbed at the police and at Jewish worshippers praying at the Western Wall, below the Temple Mount," Israel's Ambassador Gilad Erdan wrote on Twitter on Monday.

"Congresswoman, instead of calling for peace and calm, your tweets are the stoking tensions," Erdan wrote in another post. "Maybe you don't realize that your words encourage terror groups such as Hamas to fire rockets into civilian populations and carry out attacks against Jews."

Tlaib criticized Israel after Israeli police and Palestinians clashed Friday at the Al-Aqsa mosque compound, a major holy site sacred to Muslims and Jews in Jerusalem. Tlaib is the first Palestinian-American woman elected to Congress.

REP. ILHAN OMAR ACCUSES ISRAEL OF 'TERRORISM' AMID CLASH WITH HAMAS

Tlaib targeted some of her statements at President Biden and Secretary of State Antony Blinken, questioning the White House's reasoning for providing aid to Israel.

"I was 7 years old when I first prayed at the Al Aqsa with my sity [sic]. It's a sacred site for Muslims. This is equivalent to attacking the Church of the Holy Sepulchre for Christians, or the Temple Mount for Jews. Israel attacks it during Ramadan. Where's the outrage @POTUS?" Tlaib wrote on Twitter.

"American taxpayer money is being used to commit human rights violations. Congress must condition the aid we send to Israel, and end it altogether if those conditions are not followed. Statements aren't working @SecBlinken. Enough is enough," she wrote in a separate tweet.

Israel on Tuesday called on 5,000 reserve soldiers to help bolster its defenses as rockets continued to fly into its territory from Gaza, striking buildings and prompting warning sirens to wail in cities and towns throughout the region.

On Monday night, 26 Palestinians -- including nine children and a woman -- were killed in Gaza, mostly by Israeli airstrikes, Gaza health officials said. The Israeli military said at least 16 of the dead were militants. During the same period, Gaza militants fired hundreds of rockets toward Israel, killing two Israeli civilians and wounding 10 others.
Palestinians begin to clear rubble following Israeli airstrikes that destroyed a building belonging to the Hamas movement's, Al-Salah Charitable Association, in Deir Al Balah, central Gaza Strip, Tuesday, May 11, 2021. (AP Photo/Khalil Hamra)

Palestinians begin to clear rubble following Israeli airstrikes that destroyed a building belonging to the Hamas movement's, Al-Salah Charitable Association, in Deir Al Balah, central Gaza Strip, Tuesday, May 11, 2021. (AP Photo/Khalil Hamra)

An Egyptian intelligence official told the Associated Press on Tuesday that Egypt is engaged in "intensive" talks with Israel and Gaza militants on reaching a cease-fire to end the latest round of violence.

The official said the efforts began in late April as the situation in Jerusalem worsened. He said Israeli actions, including the recent storming of the Al-Aqsa mosque and the planned evictions of Palestinian families from their homes in an East Jerusalem neighborhood, have frustrated the mediators.

Fox News' inquiry to Tlaib's office was not returned at the time of publication.
Fox News' Greg Norman and the Associated Press contributed to this report.



Dichiarazione di Donald J. Trump, 45° presidente degli Stati Uniti d'America
Quando ero in carica eravamo conosciuti come la presidenza della pace, perché gli avversari di Israele sapevano che gli Stati Uniti stavano fortemente dalla parte di Israele e che ci sarebbe stata una rapida punizione se Israele fosse stato attaccato.

L'Osservatore Repubblicano
11 maggio 2021

https://www.facebook.com/ORepubblicano/ ... 1903487479

Sotto Biden, il mondo sta diventando più violento e più instabile perché la debolezza di Biden e la mancanza di sostegno a Israele sta portando a nuovi attacchi ai nostri alleati.
L'America deve sempre stare con Israele e chiarire che i palestinesi devono porre fine alla violenza, al terrore e agli attacchi missilistici, e chiarire che gli Stati Uniti sosterranno sempre con forza il diritto di Israele a difendersi.
Incredibilmente, i Democratici continuano anche a sostenere la pazza anti-americana Rep. Ilhan Omar, ed altri, che attaccano selvaggiamente Israele mentre sono sotto attacco terroristico.

David Di Porto
Da persona di religione ebraica posso dirvi che non ho mai sentito di avere amici alla Casa Bianca come quando c'era Trump. Adesso noi della comunità sappiamo tutti benissimo che gli USA di Biden non sono più da considerarsi un solido alleato, come non lo erano gli USA di Obama.
Mi vergogno solamente per gli ebrei che hanno votato DEM.



Pollak: l'amministrazione Biden premia i palestinesi per la violenza e l'incitamento ad essa.
L'Osservatore Repubblicano
11 maggio 2021

https://www.facebook.com/ORepubblicano/ ... 6003487069

Immaginate l'assurdità di una situazione in cui il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu chiama Joe Biden per esprimere preoccupazione sul modo in cui il governo federale americano sta trattando i partecipanti alla rivolta del Campidoglio, o sulla "violenza della polizia" contro gli afro americani.
Questo è l'equivalente di quello che il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ha fatto questo fine settimana, quando ha chiamato la sua controparte israeliana per esprimere "serie preoccupazioni" sui disordini che sono stati fomentati dai palestinesi e che sono incitati dall'Autorità Nazionale Palestinese.
Gli "scontri" a Gerusalemme non sono il risultato delle politiche israeliane, come sostengono gli attivisti anti-israeliani, ma sono uno sforzo per fare pressione sulla Corte Suprema israeliana su una disputa di proprietà che si è snodata nei tribunali per decenni - e per distrarre la pubblica opinione dal fatto che il presidente Mahmoud Abbas, ora nel 17° anno del suo primo mandato quadriennale, ha nuovamente rinviato le elezioni.
Essi coincidono anche con la fine del Ramadan - spesso un periodo di proteste anti-israeliane, specialmente in Iran - e la data dell'indipendenza di Israele nel calendario secolare, il 15 maggio, che è un'occasione che i palestinesi chiamano "Nakba", la "catastrofe".
La disputa sulle proprietà a Sheikh Jarrah, un quartiere di Gerusalemme, non riguarda la "pulizia etnica" degli arabi, ma degli ebrei. Le famiglie ebree possedevano delle case lì prima della guerra del 1948. Quando le truppe giordane, guidate dagli inglesi, presero Gerusalemme Est, cacciarono gli ebrei e permisero ai proprietari arabi di prendere il sopravvento. Dopo che Israele ha preso la zona nella guerra del 1967, gli ebrei hanno rivendicato le loro case. La questione su cosa fare con gli occupanti è una spinosa questione legale in cui non ci sono risposte facili.
I palestinesi hanno usato l'occasione per affermare, come spesso fanno, che Israele stia minacciando di rimuovere tutti i residenti arabi da Gerusalemme e di attaccare i siti sacri islamici sul Monte del Tempio, che Israele custodisce dal 1967. Il tutto è una noiosa replica dei precedenti sforzi per dipingere Israele come l'aggressore e per incoraggiare la pressione sul governo israeliano.
L'amministrazione Biden sta al gioco, o deliberatamente per creare della "distanza" con Israele - come Biden ha fatto durante l'amministrazione Obama - o perché sono stupidi.
Va osservato che Sullivan è facilmente soggetto dalle bufale. È stato uno dei principali promotori della bufala della "collusione con la Russia", testimoniando (erroneamente) al Congresso che Michael Flynn avesse violato il Logan Act, e ragguagliando i "professionisti dell'informazione" del paese, falsamente, sulla presunta collusione di Flynn con il governo russo.
Ma l'amministrazione Biden non è solo un osservatore passivo. Probabilmente, ha contribuito a fomentare la violenza.
Il mese scorso, Joe Biden ha dato ai palestinesi impegni per centinaia di milioni di dollari dei contribuenti statunitensi - probabilmente in violazione del Taylor Force Act, che impedisce il finanziamento dell'Autorità Nazionale Palestinese da parte degli Stati Uniti finché non cesserrà di pagare i terroristi e le loro famiglie. Biden non ha cercato alcuna concessione dai palestinesi in cambio di quel finanziamento - nessun nuovo negoziato con Israele quindi, nessuna fine dell'incitamento all'odio.
Ora l'amministrazione Biden sta premiando i palestinesi per la violenza chiedendo a Israele di fermare gli scontri - come se Israele desiderasse su tutto quel che accade in quelle zone. Il paese non ha ancora un nuovo governo diverse settimane dopo le elezioni di marzo e la violenza sta minacciando di interrompere i negoziati di coalizione tra i partiti di opposizione che vogliono sostituire l'attuale primo ministro Netanyahu. Il paese è ancora in lutto dopo la morte di 45 pellegrini religiosi in una ressa il mese scorso.
Ironicamente, il governo che andranno a sostituire Netanyahu sarebbe, teoricamente, più favorevole alla prospettiva di Biden sul Medio Oriente. Premiando la violenza palestinese e aiutandoli ad isolare Israele nella comunità internazionale, Biden sta rendendo più difficile per i partiti di opposizione ebraici di lavorare con i partiti arabi di Israele, i cui voti sono necessari per la formazione della coalizione di governo.
In questo modo, l'intervento di Biden è tanto sprovveduto quanto distruttivo.
Questo non sarebbe successo sotto Donald Trump.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » mer mag 12, 2021 1:45 am

Lerner un demente ebreo antisemita nella sua versione moderna antisraeliana e filo nazi maomettana


PARAGONI IMPROPONIBILI
Niram Ferretti
9 maggio 2021

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Gad Lerner, quando parla di Israele, tocca un argomento che gli si ritorce sempre contro. Il motivo è semplice. Come tutti i parlati, Lerner usa solo stereotipi, un prontuario già confezionato a cui attingere senza grosso sforzo. Israele è troppo reazionario per questo stagionato ex lottatore continuo. Non gli piace proprio. Non gli piace il nazionalismo, non gli piace Netanyahu, non gli piace un ebraismo ben radicato nella terra, troppo mosaico, troppo arcaico. Un ebreo diasporico come lui ha altri orizzonti, quelli del mondo, non quelli angusti di un piccolo stato in Medio Oriente.
Ma con cosa ci ha deliziato Lerner ultimamente? Con uno dei suoi pensosi Tweet.
"Lo sfratto di 4 case abitate da palestinesi nel quartiere Sheikh Jarrah a Gerusalemme giustificato come restituzione perchè 73 anni fa avevano proprietari ebrei è un caso di pulizia etnica. In base a questo principio quante case andrebbero restituite ai palestinesi"?
Potere dire che Israele pratica la pulizia etnica non è una meraviglia? Certo è un topos un po' usurato, ma è sempre efficace. Illan Pappe, il ciarlatano Pappe, ci ha costruito su un libro pieno zeppi di omissioni, una patacca smascherata puntualmente da Benny Morris. Ma qui non è necessario Morris.
Esiste una legge del 1970, secondo la quale è possibile per ebrei israeliani a cui vennero confiscate le abitazioni dalla Giordania quando occupò abusivamente la Cisgiordania e Gerusalemme Est, di chiederne la restituzione. Perchè questo Lerner non lo dice, che dal 1948 al 1967 la Giordania occupò del tutto illegalmente un territorio che il Mandato Britannico per la Palestina del 1922, unico documento di pregnanza giuridica sotto il profilo del diritto internazionale, aveva assegnato agli ebrei. Non conviene dirlo. Come non conviene dire che nel 1950 si annesse i territori.
Il paragone con le abitazioni che gli arabi, non i "palestinesi" Lerner, non i palestinesi, nel 1948 dei palestinesi come pueblo, in Palestina non c'era ancora traccia, è pura demagogia.
Proveremo a ricordare a Lerner cosa accadde, molto in sintesi. Quando venne proclamata la nascita di Israele nel maggio del 1948 il nascituro stato venne attaccato dagli eserciti arabi con lo scopo di annientarlo. Non ci riuscirono. Gli arabi che abbandonarono le loro case e divennero poi rifugiati, lo fecero 1) sollecitati dai comandi arabi, 2) perchè vennero cacciati, 3) perchè scapparono per la paura. C'era infatti una guerra. Guerra di aggressione. Come conseguenza di questa guerra la Giordania occupò la Cisgiordania destinata agli ebrei e Gerusalemme Est. Cacciò tutti gli ebrei ivi residenti, e che erano riusciti a permanerci anche durante il dominio turco, e confiscò ogni loro proprietà. A Gerusalemme Est distrusse le sinagoghe e al loro posto edificò delle latrine.
Però, mi raccomando, i discendenti di quegli ebrei cacciati nel 1948 da un paese che aveva partecipato all'aggressione di Israele sono la stessa cosa degli arabi che a causa della decisione musulmana di aggredire ed eliminare Israele furono costretti a lasciare le loro abitazioni.
Certo anche i secondi sono vittime, ma non degli israeliani, ma degli arabi che provocarono la guerra.



I FATTI E I TRAVESTIMENTI
Niram Ferretti
11 maggio 2021

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

"La Corte Suprema ha rinviato la decisione sul possibile sfratto di una ventina di famiglie che vivono nelle zone di Sheikh Jarrah e Silwan dopo che alcune organizzazioni di coloni oltranzisti hanno ottenuto dal tribunale la conferma del diritto di proprietà sugli edifici: appartenevano a ebrei prima della nascita dello Stato d’Israele nel 1948, i palestinesi ci abitano da almeno sessant’anni".
Così l'imparziale, neutro, oggettivo Davide Frattini, il corrispondente in Israele non de "Il Manifesto" ma de "Il Corriere della Sera".
"Coloni oltranzisti" è un abbinamento che fa un certo effetto. Già c'è il "colono", brutta specie, poi, quando è oltranzista è addirittura feccia umana. Dall'altra parte ci sono i buoni. I palestinesi che nelle case di Sheikh Jarah ci abitano da "almeno sessant'anni".
I coloni oltranzisti vogliono cacciarli. Siamo in piena telenovela. Va avanti dal 1967, e non ha mai smesso un giorno. Pulizie etniche, genocidi, eccidi, israeliani con le mani grondanti di sangue raffigurati come nazisti, ecc. ecc.
Ieri Progetto Dreyfus ha elencato in modo protocollare i fatti.
"Secondo la Corte Suprema, la terra in questione, era di proprietà del rabbino capo (Hacham Bashi) Avraham Ashkenazi e del rabbino capo Meir Orbach. Fu acquistata nel 1875 da cittadini arabi, all’epoca Gerusalemme era sotto l’occupazione Turca (1872-1917).
Dopo l’acquisto, la terra rimase sotto la proprietà di Avraham Ashkenazi e Meir Orbach, fino alla prima guerra d’indipendenza dello Stato di Israele avvenuta nel 1948.
Due anni prima, nel 1946, le organizzazioni ebraiche, Va’ad Eidat HaSfaradim e Va’ad HaKlali L’Knesset Yisrael, durante il Governo del Mandato Britannico (1920-1948), si attivarono per la registrazione di questo terreno.
Nel 1973, le proprietà sono state registrate presso le autorità israeliane sotto queste due organizzazioni. Le stesse organizzazioni, nel 2003 hanno venduto le proprietà all’organizzazione Nahalat Shimon.
Secondo una decisione dell’Alta Corte del 1979, e riaffermata ripetutamente nei casi successivi, come nel caso di qualsiasi inquilino che vive sulla proprietà di qualcun altro, i residenti che vivevano sul terreno di proprietà delle due organizzazioni sopra citate erano tenuti a pagare l’affitto alle stesse organizzazioni , visto che possedevano la titolarità delle proprietà.
La loro incapacità di farlo, insieme a casi di costruzione illegale e affitto illegale di proprietà ad altri, ha portato all’attuale procedimento legale contro di loro, culminato nella decisione del Tribunale Distrettuale.
Nel 1982, un certo numero di residenti, compresi quelli i cui discendenti si appellarono al Tribunale Distrettuale, concordarono con la Corte che le due organizzazioni no profit israeliane erano i proprietari legali della terra".
Vuoi però mettere i fatti, nudi, crudi, poveri di attrattiva, con il travestimento sgargiante della propaganda? Con l'irresistibile romanzo nero su Israele?


IL CONTENZIOSO SULLE CASE DI SHEIKH JARRAH: INNANZITUTTO I FATTI
Progetto Dreyfus si trova presso Jerusalem, Capital of Israel.
11 maggio 2021

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 3097880689

“Le proteste palestinesi sono state innescate dal fatto che diverse famiglie palestinesi rischiano di essere sfrattate dalle loro case a Sheikh Jarrah, un quartiere di Gerusalemme est, che sono state assegnate a coloni israeliani” (così la Reuters il 9.5.21). Quante volte si sono lette frasi come questa sulla stampa internazionale? Ebbene, le cose non stanno così. E prima di formulare qualunque giudizio politico, è necessario conoscere i fatti.
La causa su cui si sono dovuti pronunciare i tribunali israeliani, e che ora è sul tavolo della Corte Suprema, riguarda il tentativo da parte di proprietari israeliani di rientrare in possesso di alcuni terreni e immobili a Sheikh Jarrah di cui hanno dimostrato d’essere i legali proprietari.
Sheik Jarrah è un quartiere arabo fondato nel 1865 poco a nord delle mura della Città Vecchia di Gerusalemme. Dal 1875 fino al 1948 è esistito al suo interno anche un settore ebraico. Da secoli, infatti, quest’area è conosciuta anche con il nome di Shimon HaTzadik” (Simone il Giusto), dal nome del famoso saggio rabbinico del periodo del Secondo Tempio la cui tomba si trova nel quartiere. Proprio per la presenza della venerata sepoltura, nel 1875 i rabbini Avraham Ashkenazi e Meir Auerbach acquistarono da venditori arabi la tomba e il terreno circostante (4,5 acri, circa 1.82 ettari) per conto delle comunità sefardita e ashkenazita in Terra d’Israele, allora sotto dominazione turco-ottomana. Poco tempo dopo in quell’area, così come a Kfar Hashiloah, un altro quartiere di Gerusalemme chiamato anche Silwan, vennero ad abitare parecchi ebrei per lo più yemeniti, “saliti a Sion” nel 1881. Va ricordato che sin dal 1844 gli ebrei costituivano il più numeroso gruppo etnico della variegata popolazione di Gerusalemme. Tra il 1936 e il 1938, a fronte delle crescenti violenze arabe, per disposizione delle autorità britanniche la comunità ebraica yemenita venne sgomberata da Silwan. Rimasero invece diversi ebrei a Sheik Jarrah, almeno fino al 1948.
Nel 1946, le organizzazioni non governative ebraiche Va’ad Eidat HaSfaradim e Va’ad HaKlali L’Knesset Yisrael si adoperarono per far registrare l’atto di proprietà presso le autorità di quella che allora era la Palestina Mandataria britannica. Due anni dopo, nel 1948, la Transgiordania (oggi Giordania) attaccava lo stato d’Israele appena fondato, nel quadro del dichiarato intento dell’intera Lega Araba di impedire con la forza l’applicazione della risoluzione 181/47 delle Nazioni Uniti (che prevedeva la nascita di due stati palestinesi, uno ebraico e uno arabo), di distruggere sul nascere lo stato ebraico e di “buttare a mare gli ebrei”. Con quella aggressione, la Legione Araba di Transgiordania occupò illegalmente Giudea e Samaria (da allora rinominate West Bank o Cisgiordania), tutta la Città Vecchia di Gerusalemme e diversi quartieri circostanti, compreso il quartiere Shimon HaTzadik/Sheikh Jarrah. La Legione Araba impose la totale “pulizia etnica” in tutte le aree conquistate: a nessuno ebreo venne permesso di rimanere, neanche a quelli le cui famiglie avevano vissuto nella regione per secoli, sin da prima dell’invasione araba nel VII secolo. Nelle case rimaste vuote a Sheikh Jarrah, la Giordania insediò nel 1956 una trentina di famiglie di profughi palestinesi ai quali aveva nel frattempo conferito la cittadinanza giordana. A quanto risulta, costoro iniziarono a pagare un affitto alla Custodia Giordana delle Proprietà del Nemico.
Nel 1967 Israele, di nuovo aggredito dai paesi arabi (guerra dei sei giorni), tolse alla Giordania il controllo su Cisgiordania e parte est di Gerusalemme...



Fiano un demente ebreo antisemita nella sua versione moderna antisraeliana e filo nazi maomettana
Mentre scrivo Hamas ha chiesto all’Egitto di trattare una tregua.
Emanuele Fiano
10 maggio 2021

https://www.facebook.com/emanuele.fiano ... 4536131430

Morti, feriti, missili da Gaza alla cieca su insediamenti residenziali israeliani, 150 missili, rifugi antiaerei aperti a Tel Aviv e altre città, operazioni militari israeliane su Gaza su obiettivi militari. Prima, nella mattinata, manifestazioni a Gerusalemme. Stamattina gli scontri alla spianata delle moschee. Evacuato il Muro del Pianto. Lanci di pietre e granate assordanti nel Giorno di Gerusalemme: tra i feriti 300 palestinesi e 21 agenti.
Ora, appena avrò finito di scrivere questo post sarò sommerso di critiche. Da parte ebraica e israeliana perché non avrò difeso abbastanza Israele e non avrò attaccato abbastanza i palestinesi. Da parte palestinese o filo palestinese perché non avrò attaccato abbastanza Israele. Sto aspettando ma sono sicuro che arriveranno.
Dirò la mia e poi attaccatemi pure.
Tirare missili verso Israele alla cieca su centri residenziali è un atto di guerra terroristica, quale che sia la motivazione, si tratta di un atto incivile e spietato, la risposta non potrà che essere militare verso Gaza, una striscia di terra densamente popolata da civili. Dunque drammaticamente magari ci saranno morti civili stanotte a Gaza, speriamo di no ma è drammatico e facile prevederlo. Anche perché quasi sempre le strutture militari di Hamas e Jihad sono mescolate agli insediamenti civili, come è noto a tutti.
Una tragedia continua.
D’altra parte far finta di non vedere, che come ultimo episodio, nel quartiere di Sheikh Jarrah nella parte araba di Gerusalemme, si sia infiammata la città nell’ultimo mese per via del possibile sfratto di alcune famiglie palestinesi in favore di nuovi inquilini ebrei, vuol dire giocare a fare i ciechi, e permettere la visita programmata di alcuni parlamentari del partito di estrema destra “Sionismo religioso” vuol dire di nuovo giocare con il fuoco e provocare una reazione.
In più io penso che vi siano opposti estremismi che fanno a gara per impedire un possibile governo israeliano a guida Lapid e non Nethaniau e che i disordini, i feriti e i morti siano purtroppo funzionali a non trovare una soluzione di governo alternativo in Israele, magari con l’appoggio di parlamentari arabi, dopo anni di Nethaniau. Non so se qualcuno abbia studiato a tavolino questa conseguenza ma l’effetto ci sarà.
Ora attaccatemi pure ma io continuerò a pensare quello che ho sempre pensato.
In quella terra insanguinata si scontrano due diritti e non un diritto ed un torto.
Io difendo il diritto dello Stato di Israele ad esistere e a difendere la propria popolazione e insieme difendo il diritto del popolo palestinese ad avere un proprio stato democratico accanto a quello di Israele. Non ci sono altre strade, anche se io ho perso quasi tutta la speranza. Ma comunque pensare che gli opposti estremismi di chi nega uno di questi due diritti potrà mai raggiungere il proprio obiettivo è follia.
Nel frattempo in Israele una frammentazione politica perpetua porta a coalizioni eterogenee ed espone alla divisione permanente.
E anche il rinvio delle elezioni palestinesi è la conferma di una crisi di leadership che si trascina da anni senza trovare sbocco.
In uno scenario cosi prevedere una soluzione di pace è arduo.
La pace appare una parola espunta dal dizionario in quella terra. Vivere in pace in quella terra è molto più difficile che morire purtroppo, e la speranza la pianta più difficile da coltivare.


Ovadia un demente ebreo antisemita nella sua versione moderna antisraeliana e filo nazi maomettana

L'attacco di Moni Ovadia: "La politica di Israele è infame, strumentalizza la shoah"
11 maggio 2021

https://www.globalist.it/culture/2021/0 ... 80170.html

In una intervista Moni Ovadia, commenta l'escalation di violenza in Medio Oriente che è sfociata in una lunga notte di bombardamenti tra Israele e la Striscia di Gaza: "La politica di questo governo israeliano è il peggio del peggio. Non ha giustificazioni, è infame e senza pari. Vogliono cacciare i palestinesi da Gerusalemme est, ci provano in tutti i modi e con ogni sorta di trucco, di arbitrio, di manipolazione della legge. E' una vessazione ininterrotta che ogni tanto fa esplodere la protesta dei palestinesi, che sono soverchiamente le vittime, perché poi muoiono loro, vengono massacrati loro".

"La politica di Israele è segregazionista, razzista, colonialista -scandisce l'attore, musicista e scrittore di origine ebraica- E la comunità internazionale è di una parzialità ripugnante. Tranne qualche rara eccezione, paesi come la Svezia e qualche paese sudamericano, non si ha lo sguardo per vedere che la condizione del popolo palestinese è quella del popolo più solo, più abbandonato che ci sia sulla terra perché tutti cedono al ricatto della strumentalizzazione infame della shoah". Moni Ovadia spiega ancora meglio: "Tutto questo con lo sterminio degli ebrei non c'entra niente, è pura strumentalizzazione. Oggi Israele è uno stato potentissimo, armatissimo, che ha per alleati i paesi più potenti della terra e che appena fa una piccola protesta tutti i Paesi si prostrano, a partire dalla Germania con i suoi terrificanti sensi di colpa".

"Io sono ebreo, anch'io vengo da quel popolo -incalza l'artista- Ma la risposta all'orrore dello sterminio invece che quella di cercare a pace, la convivenza, l'accoglienza reciproca, è questa? Dove porta tutto questo? Il popolo palestinese esiste, che piaccia o non piaccia a Nethanyau. C'è una gente che ha diritto ad avere la propria terra e la propria dignità, e i bambini hanno diritto ad avere il loro futuro, e invece sono trattati come nemici".
E sulle reazioni della comunità politica internazionale e in particolare dell'Italia, Ovadia è netto: "Ci sono israeliani coraggiosi che parlano, denunciano -affonda- Ma la comunità internazionale no, ad esempio l'Italia si nasconde dietro la sua pavidità, un colpo al cerchio e uno alla botte. Ci dovrebbe essere una posizione ferma, un boicottaggio, a cominciare dalle merci che gli israeliani producono in territori che non sono loro".

La pace "si fa fra eguali, non è un diktat come vorrebbero gli israeliani -conclude Moni Ovadia- Io non sono sul foglio paga di nessuno, rappresento me stesso e mi batto contro qualsiasi forma di oppressione, è il mio piccolo magistero. Sono con tutti quelli che patiscono soprusi, sopraffazioni e persecuzioni e questo me l'ha insegnato proprio la storia degli ebrei. Io sono molto ebreo, ma non sono per niente sionista".


Ebrei di sinistra, sinistre mostruosità umane assai razziste
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2802
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Israele non ha rubato e occupato alcuna terra altrui

Messaggioda Berto » mer mag 12, 2021 7:03 am

L'ONU antisemita-antisraeliano e filo nazi maomettano condanna Israele perché si difende e difende i diritti degli ebrei contro le prepotenze criminali e omicide dei nazi maomettani.
L'ONU un covo del male mondiale!


L’ONU condanna le violenze nei territori palestinesi e in Israele
11 maggio 2021

https://www.cdt.ch/mondo/l-onu-condanna ... d=5Id7hhhC

«Siamo profondamente preoccupati da questa escalation» ha detto a Ginevra il portavoce dell’Alto commissariato per i diritti umani

L’Alto commissariato Onu per i diritti umani ha condannato oggi «tutte le violenze» e le violazioni del diritto internazionale nell’ambito delle tensioni e incidenti a Gerusalemme e nella Striscia di Gaza negli ultimi giorni.

«Siamo profondamente preoccupati dalla escalation delle violenze nei territori palestinesi occupati, Gerusalemme est inclusa, e in Israele nei giorni scorsi», ha detto oggi a Ginevra il portavoce dell’Alto commissariato per i diritti umani, Rupert Colville. «Condanniamo tutte le violenza e l’incitamento alla violenza, nonché le divisioni etniche e le provocazioni», ha aggiunto.

L’Onu ha affermato che le forze di sicurezza israeliane devono consentire e garantire l’esercizio del diritto alla libertà di espressione, associazione e riunione. «Nessuna forza dovrebbe essere usata contro coloro che esercitano pacificamente i loro diritti. Quando necessario, l’uso della forza dovrebbe essere pienamente conforme agli standard internazionali sui diritti umani. Ciò include il divieto di uso della forza non necessario o sproporzionato. Non è stato così negli ultimi giorni», ha detto Colville.

Il portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha aggiunto che gruppi armati palestinesi hanno lanciato circa 250 razzi verso Israele nelle ultime 24 ore, ferendo almeno 17 civili israeliani. «L’uso di armi indiscriminate, come i razzi lanciati contro Israele, è severamente proibito dal diritto internazionale umanitario e deve cessare immediatamente», ha detto e in quanto alla risposta delle forze di difesa israeliane che hanno effettuato attacchi aerei su Gaza, il portavoce ha sottolineato che «Israele deve rispettare il diritto internazionale umanitario sulla condotta delle ostilità, vale a dire distinzione, proporzionalità e precauzioni» e astenersi da misure «che puniscono l’intera popolazione civile di Gaza».



Alberto Pento
Io bandirei l'ONU e l'UNESCO dal Veneto, come bandirei Amnesty International, Emergency di Gino Strada e la Corte penale internazionale dell'Aja, tutte organizzazione sinistre antisemite, filo nazi maomettane, antibianche, antioccidentali che violano i nostri diritti umani, civili e politici di veneti, italiani ed europei.



La Corte Penale Internazionale contro Israele, Corte antisemita internazi comunista e filo nazi maomettana
viewtopic.php?f=197&t=2946

L'ONU internazi comunista e nazi maomettano antisemita e antisionista
viewtopic.php?f=197&t=2950
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