Enuma Elish, Elixi/Elisi, Elohim, Allah, (Eleusi/Eleuxini ?)

Re: Enuma Elish, Elixi/Elisi, Eleusi/Eleuxini, Elohim, Allah

Messaggioda Berto » lun feb 09, 2015 4:24 pm

El Shaddai

http://it.wikipedia.org/wiki/El_Shaddai_(Ebraismo)
El Shaddai (in ebraico: אל שדי‎[?], anche El Shadday - IPA:[el ʃadːaj]) è uno dei nomi ebraici di Dio, con etimologia derivante dall'influenza della religione ugaritica sull'Ebraismo moderno. Shaddai era uno dei molti dei della religione cananea. El Shaddai viene convenzionalmente tradotto nella Bibbia con Dio Onnipotente. Mentre la traduzione di El con "dio" in ugaritico/cananaico è chiara, il significato letterale di Shaddai è oggetto di dibattito.

http://www.progettoatlanticus.net/2012/ ... to-il.html

...

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... /kw-41.jpg

El ’Šaddai.

Ai Patriarchi Dio si rivela come El ’Šaddai (Es. 6, 2-4).
Šaddai non ha nulla che vedere con il dio protettore amorrita Šedu, accadico šēdum, un demone, simbolo della energia vitale, spesso unito al protettore lamassu (‘ein Dämon, Lebenskraft’), l'ebraico šēd, aramaico šēdā.

Šaddai è la vetta, il monte, l’altura, il luogo preferito di culto della divinità; come le bāmōth del culto di Baal: questo stesso nome costituisce la base dell'italico fala nel senso di altura.
Šaddai corrisponde alla base di antico babilonese šaddā’u (abitatore dei monti, ‘Bergbewohner’).
In Assiria e in Babilonia l’immagine mitologica del monte richiama la dimora della divinità: il monte dei Cedri, sede degli dei, il monte dei Paesi, il monte dell'Assemblea, sopra le stelle di Dio: per essere a livello dell'Altissimo vi voleva salire il re di Babilonia (Is. 14, 13); il monte del vento.
In Fenicia (Ugarit), Saphon, nei miti di Rās Šamra, è la sede di Baal: Saphon è il monte Casio dove la mitologia greca pone la contesa tra Giove e Tifone.
La rivelazione di Dio a Mosè avviene sul monte di Jahweh, il Sinai (Es. 3, 1; 4, 27; 18, 5; 24, 13; IRe 19, 8; Num. 10, 33; Sal. 24, 3), il monte di Sion è il monte di Dio.
Questi richiami si chiariscono sullo sfondo della cosmologia babilonese che disegna lo spazio tra la terra e il firmamento come una grande montagna, casa della divinità.

???

Cfr. co Siddarta

http://it.wikipedia.org/wiki/Gautama_Buddha

Siddhārtha Gautama, meglio conosciuto come Gautama Buddha, il Buddha storico, Buddha Śākyamuni (शाक्यमुनि) o semplicemente Buddha[2] (sanscrito, devanāgarī सिद्धार्थ गौतम; pāli, Siddhattha Gotama; Lumbini, 566 a.C. – Kuśināgara, 486 a.C.), è stato un monaco buddhista, filosofo, mistico e asceta indiano, fondatore del Buddhismo, una delle più importanti figure spirituali e religiose dell'Asia.
Visse approssimativamente tra il 566 a.C. e il 486 a.C. e proveniva da una famiglia ricca e nobile del clan degli Śākya, da cui anche l'appellativo Śākyamuni (l'asceta o il saggio della famiglia Śākya).

???
http://it.wikipedia.org/wiki/Saci
http://en.wikipedia.org/wiki/Saka
The Saka (Old Persian: Sakā; New Persian/Pashto: ساکا‎; Sanskrit: शक Śaka; Greek: Σάκαι; Latin: Sacae; Chinese: 塞; pinyin: Sāi; Old Chinese: *Sək; Assyrian: Iskuzai/Askuzai) was the term used in Persian and Sanskrit sources for the Scythians, a large group of Eastern Iranian nomadic tribes on the Eurasian Steppe.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Enuma Elish, Elixi/Elisi, Eleusi/Eleuxini, Elohim, Allah

Messaggioda Berto » lun mar 02, 2015 3:26 pm

Esistono due Allah. Incredibile ma vero

di Fabio Della Pergola
venerdì 30 gennaio 2015
http://www.agoravox.it/Esistono-due-All ... le-ma.html
Apprendiamo con qualche incredulità che in Malesia la Corte d’appello federale ha emesso una sentenza definitiva per proibire l’uso del termine “Allah” usato dal giornale cattolico Herald Malaysia per indicare il nome di Dio.

Confermando così la validità del divieto decretato quasi trent'anni fa dal governo con un diktat dal sapore antico (e, si dice, incostituzionale). Il paese asiatico, a larga maggioranza islamica, ha infatti una Costituzione che garantisce i diritti civili e la libertà religiosa, ricorda la testata con toni ultimativi: "Ricordate, la Costituzione federale è per tutti i malesi ed è superiore a tutte le leggi statali e le decisioni delle autorità pubbliche".

Il settimanale, scritto in lingua “bahasha malaysia” è la voce della comunità cristiana locale che per indicare Dio usa appunto il termine Allah, fin dalle sue origini: un dizionario latino-malese, vecchio di 400 anni, è stato infatti presentato dall’avvocato della Chiesa cattolica malese, per dimostrare l’antichità del termine usato dalla comunità locale nella sua versione della Bibbia.

La vicenda è interessante perché lascia supporre o poco probabili forme sincretiche cristiano-islamiche oppure che nella lingua “bahasha malaysia” il termine ebraico-biblico “Elohim” - che è la forma al plurale di Eloah - sia stato tradotto al singolare (come peraltro fanno anche le versioni in greco o in latino con Thèos o Deus), ma utilizzando l’originale ebraico deformato da una forma dialettale. Cioè quella forma ancestrale derivante dal padre degli dèi El dei popoli fenicio-cananei che aveva, poco più a sud, le due forme tribali dell’ebraico Eloah e dell’arabo Allah, nome di una delle divinità del pantheon politeista della penisola arabica preislamica.

In ebraico il nome di Dio è impronunciabile e trascritto tradizionalmente solo con il tetragramma consonantico YHWH che è stato poi vocalizzato in vari modi. Ma non si era ancora mai visto, per quanto se ne sappia, che solo ad un quotidiano sia stato vietato - da un tribunale civile - l’uso di un nome divino per salvaguardare i fedeli dalla possibile confusione tra un dio e un altro, aventi, per l’appunto, lo stesso nome.

Hai visto mai che un fedele islamico si metta a pregare, per sbaglio, il Dio cristiano o che un cristiano si rivolga al Dio del Corano. Le conseguenze potrebbero essere inimmaginabili, si suppone, vista la decisione intransigente del Tribunale.

Ma l'arcivescovo di Kuala Lampur ci ha tenuto a rassicurare i suoi fedeli sulla legittimità dell'uso del nome Allah nelle loro preghiere.

L’omonimia divina sembra essere una novità sorprendente di questo confuso inizio del millennio. E che possano esistere, o meglio co-esistere, addirittura due Allah diversi non può che sorprendere.

Quello che non sorprende affatto è la confusione che sembra ottenebrare le menti degli uomini, anche quando paludati ed autorevoli, che per rivolgersi a un ente trascendente e non visto né sentito mai da nessuno, si devono accapigliare fra loro anche sull’esclusività del suo nome.


Vien spontaneo pensar ke anca el nome o deonemo Allah el sipia de la fameja de 'Elohim

http://it.wikipedia.org/wiki/Allah

Allah (in arabo: ﷲ, Allāh) è la parola araba con cui Dio definisce Se stesso nel Corano. Di conseguenza, visto il valore veicolare della lingua araba per la cultura islamica, è questo il nome prevalentemente usato per indicare Dio nei paesi di lingua araba e in tutto il mondo musulmano.
Derivante dalla radice arabo-semitica ʾ-l-h, che indica la generica "divinità " (arabo "al-ilāh"), il termine è passato in Italiano ad indicare il "Dio Uno e Unico" della religione musulmana (non quindi Uno e Trino come per la Cristianità).

I 99 nomi de Allah
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Łe orexeni de ła coultura ouropea, del fiłołogo Joani Semerano

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... /kw-41.jpg


’Elōhîm.
’Elōhîm, inteso come il plurale di ĕlōah, è il più infamante peccato grammaticale che gridi vendetta al cospetto del dio di Israele. Perché è difficile allora sfuggire all'insidiosa suggestione di un politeismo originario, anche ricorrendo a richiami testuali non pertinenti in cui, ad esempio Sin, la grande divinità mesopotamica, verrebbe designato " dei degli dei ". Non chiarisce gran che neppure l'idea che si tratti di una mimazione con analogie in testi di iscrizioni arabiche e forse ugaritiche e fenicie (D. Nielsen, Rās Šamrá Mythologie und biblische Theologie, Leipzig, 1936, p. 22 sgg.).
E inoltre il richiamo che si fa al plurale, accadico recente ilāni non ha senso per giustificare il plurale di 'Elōhîm perché la forma ilānu, ilāni indicò le singole grandi divinità (vS, 374) ed ’Elōhîm torna circa 2500 volte nell'Antico Testamento e non si può ammettere, senza un'enorme ironia, che tale plurale, recente e abnorme, possa essere stato usato per denominare la grande divinità di Israele, del popolo monoteista.
’Elōhîm alle origini scopre lo stesso valore di Jahweh, il dio del fuoco, come abbiamo visto, nel cui nome affiora la base haw < ham che ci riporta alla grande divinità egizia Amun, egizio Imno, sumero Amna, il sole.
'Elōhîm corrisponde ad accadico Elu- im(mi) (dio della luce, del calore, del giorno) : elu, ilu, aramaico ’ĕlāh e antico babilonese immu (day; Tageshitze, Tag), ugaritico hm (Hitze), il dio festeggiato al ritorno della primavera, nella grande festa della intronizzazione di Yahweh, la festa dei tabernacoli, perciò la base di immu fu scambiata per quella di ugaritico ḫjm (tenda, Zelt), egiziano hm (santuario, tabernacolo, shrine).


Alah (Allah)
viewtopic.php?f=188&t=1463
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Re: Enuma Elish, Elixi/Elisi, Eleusi/Eleuxini, Elohim, Allah

Messaggioda Berto » ven mar 20, 2015 7:28 am

Eliopoli
http://it.wikipedia.org/wiki/Eliopoli
Eliopoli (Ἡλίου πόλις - Heliopolis in greco) fu un'importante città dell'antico Egitto capitale del 13º distretto del Basso Egitto
Il sito si trova, attualmente, nella periferia del Cairo nei pressi del sobborgo detto el-Matariya.
Eliopoli era una delle più rilevanti località legate al culto solare da cui il nome greco, città del sole.
Il nome originale era Iunu o Iunet Mehet talvolta reso in greco come Ὁν (On) ed in ebraico come ˀÔn oppure ˀĀwen.

Il sito di Eliopoli fu occupato fin dal Periodo predinastico e vide il maggior sviluppo durante i periodi storici detti antico regno e medio regno. La maggior parte degli edifici venne distrutta durante la costruzione della città del Cairo allo scopo di riutilizzarne i materiali da costruzione, come le pietre.

La principale divinità adorata, inizialmente, ad Eliopoli fu il dio Atum, a cui fu dedicato il più antico tempio conosciuto: Per-Aa (pr ˁ3 - grande casa) detto anche Per-Atum (pr ỉtmw - Casa di Atum).
La città fu anche la sede originale del culto dell'Enneade.
Si ritiene, in base alle risultanze degli scavi archeologici (scarsamente sistematici e completi a causa dell'esistenza della città contemporanea) che Eliopoli ospitasse un tempio solare analogo a quello di Abu Gurab.
In seguito, quando il ruolo di divinità predominante fu assunto da Horo, il culto si focalizzò sulla divinità sincretica di Ra-Harakhti (letteralmente Ra [che è] Horo sui due orizzonti).
Durante il periodo di Amarna il re Akhenaton introdusse nella città il culto di Aton, il disco solare deificato, costruendo un tempio detto Wetjes Aten (wṯs ỉtn - elevazione del disco solare). Blocchi provenienti da questa costruzione furono reimpiegati nella costruzione delle mura medievali del Cairo e possono ancora essere osservati in alcune delle porte cittadine.
Ulteriore culto rilevante per Eliopoli fu quello del toro Mnevis, una incarnazione di Ra; a nord della città si trovava la necropoli riservata ai tori, analogamente a quanto avveniva a Saqqara, nel Serapeo, per i tori Api.
Gli scavi hanno riportato alla luce anche una necropoli riservata ai sacerdoti e datata alla V dinastia


Enneade
http://it.wikipedia.org/wiki/Enneade
si intende un gruppo di nove dei che stanno alla base della cosmogonia egizia.
Nella religione egizia si distingue una Grande Enneade, composta da Atum e da quattro coppie di dei: Shu e Tefnut, Geb e Nut, Osiride e Iside e Seth e Nefti; ed una Piccola Enneade, nella quale, oltre ai precedenti, o talvolta in sostituzione, sono presenti Anubi, Horo, Thot e Maat.
Il centro di culto originario dell'Enneade fu a Eliopoli (dal greco: città del sole), uno dei maggiori luoghi di culto di tutto l'Egitto.

Il mito della creazione legato all'enneade narra che:
in principio vi era il Nun, Caos incontrollato, elemento liquido e turbolento, il non creato. Dal Nun emerse una collinetta dalla quale nasce Atum (visto come Atum-Ra). Quest'ultimo sputando diede vita a Shu (l'aria) e Tefnut (l'umido), i quali a loro volta generarono Geb (la terra) e Nut (il cielo). Il mito racconta che questi ultimi se ne stavano sempre uniti e impedivano alla vita di germogliare, così Atum ordinò al loro padre, Shu, di dividerli. Con le mani Shu spinse Nut verso l'alto facendole formare la volta celeste e con i piedi calpestò Geb tenendolo sdraiato. In questo modo l'aria separò il cielo dalla terra. Geb e Nut, a loro volta, generarono quattro figli: Osiride, Iside, Nefti e Seth.

Atum
http://it.wikipedia.org/wiki/Atum
Atum (denominato anche Tem, Temu, Tum e Atem) è un'antica divinità della mitologia egizia. Originariamente associato con la terra, era considerato il dio creatore nella teologia eliopolitana.
Nel mito cosmogonico legato all'enneade di Eliopoli si narra che in principio vi fosse Nun, il Caos incontrollato, elemento liquido e turbolento, il non creato.
Dal Nun emerse una collinetta dalla quale nacque Atum. Questi sputando o eiaculando diede vita a Shu (l'aria) e Tefnut (l'umido), i quali a loro volta generarono Geb (la terra) e Nut (il cielo). Il mito racconta che questi ultimi se ne stavano sempre uniti e impedivano alla vita di germogliare, così Atum ordinò al loro padre, Shu, di dividerli. Con le mani Shu spinse Nut verso l'alto facendole formare la volta celeste e con i piedi calpestò Geb tenendolo sdraiato. In questo modo l'aria separò il cielo dalla terra. Geb e Nut, a loro volta, generarono quattro figli: Osiride, Iside, Nefti e Seth.
La mano divina di Atum è la dea Iusaas, identificata con la dea Amonet. Ella fu considerata la madre del creato e le fu dato l'appellativo di "la madre che è padre".
Nell'iconografia Atum viene raffigurato come un uomo, assiso sul trono o a volte in piedi, con in testa il copricapo con i simboli dell'Alto e del Basso Egitto.
In epoca tarda fu identificato con Ra, nella forma di Atum-Ra, simboleggiante il sole al tramonto spesso raffigurato come un vecchio barcollante verso l'orizzonte.

Iusaas
http://it.wikipedia.org/wiki/Iusaas
Iusaas ("la grande che si divide in quattro") o Iusaset è la prima dea della religione egizia. Essa viene anche descritta come "nonna di tutte le divinità". L'allusione è, senza alcun riferimento a un nonno vero e proprio, quindi ci potrebbe essere stato un remoto, ma ora perduto, mito secondo il quale si operò per partenogenesi come mezzo per la nascita delle divinità dalla regione in cui è sorto il suo culto nei pressi del delta del Nilo. Esistono molte grafie alternative per indicare il suo nome: Iusaaset, Juesaes, Ausaas e Jusas, così come in greco Saosis.

Nell'arte dell'antico Egitto, Iusaas appare come una donna che indossa la corona con l'avvoltoio cornuto con l'ureo e il disco solare, e che porta un ankh in una mano e uno scettro nell'altra. L'avvoltoio più sacro agli antichi Egizi e simboleggiato da Nekhbet, una delle due signore che proteggono l'Egitto , è stato pensato come simbologia di riproduzione per partenogenesi. Questa associazione potrebbe essere alla base, per similitudine, della maternità di Iusaas. Inoltre gli avvoltoi erano sempre stati considerati buone madri. Le corna, l'ureo e il disco solare fanno da collegamento religioso a Bat e Hathor.
A causa del legame di Iusaas con l'avvoltoio e l'ureo, si può presumere che volesse indicare l'unione fra alto e basso Egitto, proprio come la dea Mut alla quale era anche associata.
Anche se le sue origini non sono chiare, Iusaas sembra essersi attestata abbastanza presto nel pantheon egizio, in quanto associata alla creazione e alla nascita delle divinità. Molti miti raccontano che è stata vista come la madre delle prime divinità e la nonna delle divinità successive, avendo sorvegliato la nascita di quelli che erano i suoi nipoti. Essa resta come una divinità principale del pantheon in tutte le epoche della cultura, anche attraverso quella persiana, di Hyksos, greca e romana, e indipendentemente dalle variazioni dei miti specifici.

Iusaas venne associata alla pianta dell'acacia, considerato l'albero della vita, e quindi alla più antica conosciuta essendo situata appena a nord di Eliopoli, che in tal modo venne identificato come il luogo di nascita delle divinità. A Iusaas fu attribuito il possesso di un esemplare di questo albero. L'albero di acacia era rinomato per la sua forza, resistenza, per le proprietà medicinali e per la sua commestibilità. Le molteplici applicazioni utili gli conferirono un ruolo centrale nella cultura del tempo.


Enneade cfr. co:

Eanna
http://it.wikipedia.org/wiki/Eanna
L'Eanna era il tempio di Inanna, della dea poliade di Uruk (in Bassa Mesopotamia) e cuore della città, ovvero la zona dove era ubicata appunto la casa del cielo di Inanna, assieme ad altri templi ed edifici.
Eanna è una parola sumera, composta dall'ideogramma cuneiforme É, corrispondente alla parola "casa" o "tempio", e dal simbolo ana, corrispondente alla parola "cielo": letteralmente Eanna starebbe dunque per "Casa del cielo" (o, altrimenti, "casa di An").
L'Eanna era verosimilmente il nucleo più antico della città di Uruk, dato che, nella Lista reale sumerica, Meskiaggasher, primo re di Uruk, viene indicato come re dell'Eanna, mentre il secondo re, Enmerkar, viene indicato come fondatore ed edificatore di Uruk, ed anche tutti i re successivi vengono indicati ancora come re di Uruk e non più solo dell'Eanna.
http://en.wikipedia.org/wiki/Eanna
Eanna or the Temple of Eanna was an ancient Sumerian temple "the residence of Ishtar" and Anu mentioned several times in the Epic of Gilgamesh, and elsewhere. The evolution of the gods to whom the temple was dedicated is the subject of scholarly study.
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Re: Enuma Elish, Elixi/Elisi, Eleusi/Eleuxini, Elohim, Allah

Messaggioda Berto » dom mar 22, 2015 11:50 am

El (divinità)

http://it.wikipedia.org/wiki/El_%28divinit%C3%A0%29

El (ebraico אל, greco Ἐλ, "dio") o Il, Al, Eli è un dio del pantheon dell'area semitica siro-palestinese e mesopotamica, spesso presentato con caratteristiche di dio supremo, ed uno dei nomi di Dio nella Bibbia ebraica. Dalla medesima radice <-ˤ-l-h>, "altezza", "potenza", deriva in arabo il termine Allah.

Per gli antichi popoli della Siria El, letteralmente "il più alto", era il dio supremo.
La radice trilittera di riferimento <-ˤ-l-h> esprime appunto il significato di "essere in alto". Veniva chiamato per questo motivo "l'Altissimo" tra gli dèi, con un'evidente collocazione sovrastante il mondo terreno degli uomini, al di sotto del quale si collocano a loro volta le entità ctonie e quindi, per antitesi, divinità inferiori e tendenzialmente malvagie (pur se con qualche vistosa eccezione).

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Re: Enuma Elish, Elixi/Elisi, Eleusi/Eleuxini, Elohim, Allah

Messaggioda Berto » dom mar 22, 2015 9:00 pm

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Baxełega (basilica), Ziqqurat, Cexa, Tenpio, Palaso de la Raxon o de l’arengo e sala
viewtopic.php?f=44&t=76
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... xibkE/edit
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Axuro veneto - venetego e ouropeo
viewtopic.php?f=24&t=1430
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... VvazQ/edit
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Note, Nótt, Nox, Nyx o Nύξ, Nut, nuh
viewtopic.php?f=44&t=1485
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Re: Enuma Elish, Elixi/Elisi, Eleusi/Eleuxini, Elohim, Allah

Messaggioda Berto » lun mar 30, 2015 9:52 pm

IL “MONOTEISMO SOLARE” NELLA TRADIZIONE ANTICA
Claudio Mutti

http://www.ereticamente.net/2013/04/il- ... ntica.html

Gli dèi e l’Uno

“La dottrina dell’Unità, cioè l’affermazione secondo cui il Principio d’ogni esistenza è essenzialmente Uno, è – secondo René Guénon – un punto fondamentale comune a tutte le tradizioni ortodosse” (1). In altre parole, sempre secondo Guénon, “Qualunque vera tradizione è essenzialmente monoteista; per usare un linguaggio più preciso, ogni tradizione afferma innanzitutto l’unità del Principio Supremo, da cui tutto deriva e da cui tutto dipende integralmente, ed è questa affermazione, nell’espressione che riveste specialmente nelle tradizioni a forma religiosa, a costituire il monoteismo propriamente detto” (2).

Accettando questi presupposti, non può esistere nessuna forma tradizionale autentica che sia propriamente politeistica, ossia che ammetta una pluralità di princìpi considerati completamente indipendenti. Difatti lo stesso Guénon afferma che il politeismo costituisce la “conseguenza di un’incomprensione di talune verità tradizionali, e precisamente di quelle che si riferiscono agli aspetti, o attributi, divini” (3); e prosegue dicendo che “simile incomprensione è sempre possibile in individui isolati e più o meno numerosi, ma la sua generalizzazione, che corrisponde allo stato di degenerazione estrema di una forma tradizionale in procinto di scomparire, è stata senza dubbio più rara di quanto abitualmente si crede” (4).
Se la legittimità di una forma tradizionale è strettamente determinata dalla sua coerenza con la dottrina dell’Unità, qual è allora il grado di validità delle forme tradizionali dell’antico mondo europeo, che generalmente ci presentano una pluralità di divinità?
Non potendo affrontare questo problema in tutta la sua estensione, mi limiterò a considerare il caso della civiltà greca, tipica per quanto riguarda la molteplicità di figure divine, aventi per lo più un carattere antropomorfo.
È noto che la prospettiva politeistica si trova superata dal pensiero filosofico, la quale esordisce nella ricerca di un’arché unitaria e culmina nell’individuazione di una causa causarum, chiamata Sommo Bene da Platone, Motore Immobile da Aristotele, Lògos dagli Stoici.
Nella cultura latina, Cicerone definisce questa Causa prima come “il Dio sovrano, che regge tutto il mondo” (4bis).
Tuttavia in Grecia le attestazioni dell’Unità divina possono essere ritrovate anche in ambiti diversi da quello filosofico.

Nell’Iliade, ad esempio, compaiono tutti gli dèi e le dee dell’Olimpo, spesso in lotta fra loro, perché alcuni sono schierati a fianco degli Achei, altri a fianco dei Troiani; tuttavia non mancano, nella stessa Iliade, episodi che manifestano una visione religiosa in cui la molteplicità delle figure divine viene ricondotta ad un superiore, trascendente principio unitario.

Così, ad esempio, è nel libro VIII, dove troviamo un brano che costituisce il più antico documento greco relativo all’argomento che abbiamo affrontato. L’episodio è il seguente. Zeus convoca il concilio degli dèi sulla più alta cima dell’Olimpo, per enunciare solennemente il divieto di partecipare alla battaglia, divieto al quale tutti dovranno sottostare. Oltre a formulare una terribile minaccia di ritorsione nei confronti dell’eventuale trasgressore (sarebbe scagliato nelle profondità del Tartaro), Zeus lancia una sfida che intende mettere in evidenza la sua schiacciante superiorità su tutti gli dèi:
“Orsù dunque, provatevi, dèi, perché tutti possiate vedere;
fate pendere dal cielo una catena d’oro
e tutti quanti attaccatevi, dèi e dee:
ma non potrete tirare dal cielo sulla terra
Zeus, consigliere supremo, neppure se vi affaticaste moltissimo.
Invece, qualora io volessi tirare sul serio,
vi tirerei su con la terra e col mare,
e poi la catena a una cima d’Olimpo
legherei, e tutto rimarrebbe sospeso.
Tanto io sono al di sopra degli dèi e sono al di sopra degli uomini”. (5)

La superiorità del potere di Zeus sul potere di cui dispongono tutti gli dèi messi insieme simboleggia l’essenziale nullità della molteplicità degli enti divini di fronte all’unità principiale.
Ma il potere di Zeus, che pure è supremo in rapporto a quello degli altri dèi, trova il proprio limite nella volontà inflessibile della Moira. La subordinazione di Zeus, dio personale, a questa impersonale volontà risulta chiarissima nei passi dell’Iliade in cui il Padre degli dèi e degli uomini, per conoscere il decreto della Moira, deve pesare le sorti dei contendenti per mezzo di una bilancia cosmica. I passi più espliciti si trovano, rispettivamente, nel libro VIII (vv. 69-75) e nel libro XXII (vv. 209 segg.): nel primo vengono pesate le sorti collettive dei combattenti troiani ed achei, nel secondo le sorti individuali di Achille e di Ettore.
Cito dal secondo passo:
“Allora il Padre tese la bilancia aurea
e vi mise le due Chere di morte crudele,
quella di Achille e quella di Ettore domatore di cavalli
e, presala per il punto mediano, la tenne sospesa: precipitò il giorno fatale di Ettore
e andò all’Ade. Lo abbandonò Febo Apollo”. (6)
Apollo abbandona Ettore al suo destino, Atena annuncia ad Achille che la vittoria sarà sua, Zeus rinuncia ad ogni proposito di scampare Ettore dalla morte. Tutti gli dèi si adeguano obbedienti alla volontà di una forza divina che li trascende.
Una analoga affermazione del supremo valore di Zeus è presente nella parodo dell’Agamennone di Eschilo, dove il Coro, composto da dodici vecchi, dopo avere rievocato l’inizio della spedizione contro la città di Priamo, innalza un inno solenne:

“Zeus, chiunque mai sia, se con tal nome
gli è caro esser chiamato,
con questo lo invoco.
Nulla posso paragonare a lui,
tutto ponderando,
tranne Zeus, se il vano peso derivante dall’angoscia
si deve veramente gettar via”. (7)
Il Coro dice che, per liberarsi dall’angoscia causata dalla predizione di Calcante, secondo cui grande sarebbe stato l’odio di Artemide verso gli Atridi, è necessario ricorrere a Zeus, soltanto a Zeus, perché non c’è nulla e nessuno che possa stare alla pari con lui.

Zeus è il nome al quale ricorrono anche gli Stoici, per designare il Logos che plasma ogni essere e gli dà anima e vita. Espressione della religiosità stoica è l’Inno a Zeus composto da Cleante di Asso (IV-III sec.), che esordisce esaltando Zeus come origine e sovrano di tutto ciò che esiste:
“Gloriosissimo tra gl’immortali, dio dai molti nomi, onnipotente sempre, Zeus, principio della natura, Tu che governi tutto con la legge, salve!” (8)
Appena il filosofo poeta – scrive Max Pohlenz – “invoca Zeus ‘dai molti nomi’, i fedeli sentono che Zeus, Logos, Physis, Pronoia, Heimarmene non sono se non i nomi diversi dell’unica divinità universale” (9).
Anche Arato di Soli (320-250), nel solenne esordio dei Fainómena, chiama col nome di Zeus il principio della manifestazione cosmica, concepito come spirito onnipresente in ogni angolo del mondo:
“Cominciamo da Zeus! Lui, in quanto mortali, noi non tralasciamo mai di nominare. Piene di Zeus sono tutte le vie, tutte le piazze degli uomini, pieno ne è il mare e i porti; ed a Zeus in ogni circostanza tutti facciamo ricorso” (10).
Invece Plutarco, per simboleggiare l’Unità e Unicità divina, non ricorre alla figura divina di Zeus, ma a quella di Apollo. Nel dialogo Sulla E di Delfi, dove vengono proposte alcune interpretazioni della lettera E (epsilon) raffigurata all’ingresso del tempio delfico di Apollo, la spiegazione decisiva è quella del maestro di Plutarco, Ammonio, secondo il quale la E, essendo letta eî, coincide con la seconda persona singolare del presente di eimì e quindi significa “tu sei”. “Tu sei”, detto al dio che esorta l’uomo a conoscere se stesso (gnôthi sautòn era appunto una frase incisa sulla facciata del santuario delfico) è dunque un riconoscimento del dio quale Essere.
“Bisogna dunque rivolgersi a Lui e salutarlo, quando Lo si adora, in questo modo: ‘Tu sei’; oppure, per Zeus, dicendo, come alcuni tra gli antichi: ‘Sei Uno’. Infatti il divino non è pluralità, come ciascuno di noi, che è fatto di diecimila discordi passioni: cumulo multiforme, orgogliosa mescolanza. L’Essere, invece, è necessariamente Uno, così come l’Uno è necessariamente Essere. (…) Quindi sta bene al dio il primo dei Suoi nomi, nonché il secondo e il terzo. È Apollon, infatti, perché esclude la pluralità e nega il molteplice; è Ieios in quanto Uno ed Unico; Foibos, perché così era chiamato dagli antichi – non è vero? – tutto ciò che è puro e incontaminato”. (11)
Secondo un procedimento ermeneutico basato sul valore simbolico degli elementi di cui un vocabolo è costituito, il nome Apollon viene inteso come composto da a- privativo e da polýs, pollé, polý, “molto”; quindi: “senza molteplicità”. Il nome Ieîos è messo in rapporto con heîs, “uno”. Foîbos, etimologicamente connesso con fáos, “luce”, significa “lucente, puro”, quindi “non misto”. La Persona divina di Apollo, insomma, è simbolo del principio uno ed unico della manifestazione universale, è il Supremo Sé di tutto ciò che esiste.

Sulle tracce di Plutarco, Numenio di Apamea (II sec.) interpreta Délphios, epiteto di Apollo, come un antico vocabolo greco che significa “unico e solo” (12).

Il “monoteismo solare”
Nel quadro di quel “monoteismo solare” che con Aureliano (274 d. C.) diventa religione ufficiale dell’Impero romano, la figura di Apollo viene identificata con Helios, il cui stesso nome latino, Sol, riecheggia significativamente l’aggettivo solus, “unico”. All’epoca di Costantino le figure del dio solare – Apollo e Sol Invictus - risaltano sulle monete e nei rilievi dell’arco di trionfo.

È noto che nella fortuna del monoteismo solare nell’Impero romano ebbe un ruolo determinante un culto solare già molto diffuso fra i popoli del Mediterraneo orientale, specialmente in Siria. (???) Depurato degli aspetti meno accettabili dallo spirito romano, il culto del cosiddetto “dio solare di Emesa”, nato fra le popolazioni nomadi dell’Arabia preislamica, diventò un culto romano di Stato e il dio Sole fu identificato con Giove Capitolino e con Apollo. Questo fatto, che René Guénon avrebbe potuto definire come “un provvidenziale intervento dell’Oriente” a favore di Roma, poté verificarsi per la ragione che il culto solare della tarda antichità rappresentava la riemergenza di una comune eredità primordiale.

Ed è lo stesso Guénon che conviene citare per quanto concerne il significato del simbolismo solare:

“Il sole si impone (…) come il simbolo per eccellenza del Principio Uno (Allâhu Ahad): l’Essere necessario, quello che, solo, è sufficiente a Se stesso nella Sua assoluta pienezza (Allâhu es-Samad), e dal quale dipendono interamente l’esistenza e la sussistenza di tutte le cose, le quali senza di Lui nulla sarebbero. Il ‘monoteismo’ – se con questa parola si può tradurre ‘Et-Tawhîd’, benché se ne restringa un poco il significato facendo pensare quasi esclusivamente ad un punto di vista esclusivamente religioso – ha dunque un carattere essenzialmente ‘solare’. (…) Non si potrebbe trovare un’immagine più vera dell’Unità che si dispiega nella molteplicità, senza cessare di essere se stessa e senza esserne influenzata, e che riconduce a se stessa, sempre secondo le apparenze, tale molteplicità; questa, in realtà, non è mai esistita, dato che non può esservi nulla fuori del Principio, a cui nulla può essere aggiunto e nulla sottratto, rappresentando Esso l’indivisibile totalità dell’Esistenza Unica” (13).
La dottrina del cosiddetto “monoteismo solare”, secondo cui Helios è l’ipostasi del Principio, mentre le numerose divinità del pantheon greco-romano sono solo suoi aspetti specifici e settoriali, si trova esposta nell’inno Al Re Helios (Eis tòn basiléa Hélion) dell’imperatore Flavio Claudio Giuliano. Il riferimento fondamentale è Platone. Giuliano cita un brano della Politèia (508B-C) dal quale risulta che il Sole (Hélios) è, nel mondo sensibile (aisthetòs) e visibile (oratòs), ciò che il Sommo Bene, sorgente trascendente dell’essere, è nel mondo intelligibile (noetòs); in altre parole: l’astro diurno non è che un riflesso di quel Sole metafisico che illumina e feconda il mondo delle essenze archetipiche, le platoniche “idee”. Ovvero, per dirla con Julius Evola: “Helios è il Sole, non come astro fisico divinificato ma come simbolo di luce metafisica e di potenza in un senso trascendente” (14). Ma tra il mondo intelligibile dell’Essere puro e il mondo delle forme corporee percepibili dalla vista fisica e dagli altri sensi s’interpone un terzo mondo: un mondo che viene definito “intellettuale” (noeròs), ossia dotato di intelligenza.
Ricordo per inciso che il teosofo islamico Mahmûd Qotboddîn Shîrâzî (1237-1311) riassume la dottrina dei tre mondi dicendo che Platone e gli altri sapienti dell’antica Grecia “professavano l’esistenza di un doppio universo: da un lato l’universo del puro soprasensibile, che comprende il mondo della Divinità e il mondo delle Intelligenze angeliche; dall’altro, il mondo delle Forme materiali, vale a dire il mondo delle Sfere celesti e degli Elementi e, tra l’uno e l’altro mondo, il mondo delle Forme immaginali autonome” (15).

Ipostasi del Principio supremo (“figlio dell’Uno”) al centro di questo mondo mediano, Helios vi svolge una funzione mediatrice, coordinatrice e unificatrice in rapporto alle cause intellettuali e demiurgiche, partecipando sia dell’unità del Principio trascendente sia della molteplicità contingente della manifestazione fenomenica. La sua posizione è dunque la più centrale che possa essere concepita e giustifica il titolo di Re che gli viene riconosciuto. In termini teologici: tutti gli dèi dipendono dalla luce di Helios, che è l’unico a non essere sottoposto alla necessità costrittiva (anánke) di Zeus, con il quale, in realtà, egli si identifica.

Sulla scia di Henry Corbin, che include i “neoplatonici cosiddetti tardivi” (e quindi anche l’imperatore Giuliano) tra le coraniche Genti del Libro (16), uno studioso italiano ha suggerito che Helios “equivale a ciò che nell’Islam è chiamato an-nûr min ‘amri-llâh, ‘la luce che procede dal comando divino’”, per cui la divinità solare “non è altra cosa da quella ‘nicchia delle luci’ dalla quale (…) è attinta ogni sapienza” (17).

Giuliano viene poi a trattare dei poteri (dynámeiai) e delle energie (enérgheiai) di Helios, cioè, rispettivamente, delle sue potenzialità e delle sue attività in relazione ai tre mondi. L’aspetto più considerevole di questa parte dell’Inno (143b-152a) consiste nel tentativo di ricondurre la molteplicità degli dèi ad una Unità principiale rappresentata per l’appunto da Helios, cosicché le varie figure divine ci appaiono come suoi aspetti, ovvero come Nomi corrispondenti alle sue innumerevoli qualità. Una dottrina analoga, d’altronde, era stata formulata da Diogene Laerzio, il quale interpretava Zeus, Atena, Era, Efesto, Posidone, Demetra come appellativi corrispondenti ai “modi della potenza” dell’unico Dio (18).

In Helios, dunque, confluisce il potere demiurgico di Zeus; né d’altronde esiste alcuna reale differenza tra i due. Atena Prónoia è scaturita, nella sua integralità, dalla totalità di Helios; essendo l’intelligenza perfetta di Helios, essa riunisce gli dèi che lo circondano e realizza l’unione con lui. Afrodite rappresenta la fusione degli dèi celesti, l’amore e l’armonia che caratterizzano la loro essenziale unità. Ma soprattutto, in quanto racchiude in sé i principi della più armonica sintesi intellettuale, Helios viene identificato con Apollo, il quale, date le sue qualità fondamentali di immutabilità, perfezione, eternità, eccellenza intellettuale, è la personificazione dell’unità divina esprimentesi come intelligenza pura ed assoluta.

L’ultima parte dell’Innocontiene una rassegna dei doni e dei benefici dispensati da Helios al genere umano, che da lui trae origine e da lui riceve sostentamento. Padre di Dioniso e signore delle Muse, Helios elargisce agli uomini ogni saggezza; ispiratore di Apollo, di Asclepio, di Afrodite e di Atena, egli è il legislatore della comunità; infine è lui, Helios, il vero fondatore e protettore di Roma. È dunque a questo dio, creatore della sua anima immortale, che Giuliano rivolge la richiesta di accordare all’Urbe un’esistenza parimenti immortale, identificando così “non solo la sua missione personale sulla terra, ma anche la sua salvezza spirituale, con la prosperità dell’Impero” (19).
Il discorso è suggellato da una preghiera finale a Helios, la terza contenuta nell’Inno: che il Re dell’universo conceda al suo devoto celebrante una vita virtuosa e un più perfetto sapere e, nell’ora suprema, lo faccia ascendere in alto fino a Sé.
Giuliano dedica l’Inno al Re Helios a quel Salustio che nel trattatello Sugli dèi e il mondo formula la dottrina dell’Unità nei termini seguenti: “La causa prima conviene che sia una, poiché l’unità precede ogni molteplicità e supera tutto in potenza e bontà; e per questo è necessario che tutto partecipi di essa, poiché nient’altro la ostacolerà, data la sua potenza, né la allontanerà, data la sua bontà” (20).
Considerata in un quadro storico, la teologia solare di Giuliano si colloca in una fase matura del neoplatonismo, nella quale i cardini dottrinali di questo movimento spirituale si trovano già definitivamente fissati e consolidati. Se il fondatore della scuola, Plotino (204-270), aveva riconosciuto nell’Uno il principio dell’essere ed il centro della possibilità universale, il suo successore Porfirio di Tiro (233-305) aveva dedicato alla teologia solare un trattato Sul Sole, andato perduto (21). Ne sussiste una citazione nei Saturnalia, là dove Macrobio, riconducendo al principio solare Apollo, Libero, Marte e Mercurio, Saturno e Giove, dice che secondo Porfirio “Minerva è la forza del Sole che dà prudenza alle menti umane” (22). D’altronde nel trattato Sulla filosofia degli oracoli(23), Porfirio aveva citato un responso apollineo secondo il quale c’è un solo dio, Aiòn (“Eternità”), mentre gli altri dèi non sono altro che i suoi angeli.

Dopo Giuliano, è possibile seguire la tradizione “solare” fino a Proclo (410-485), autore fra l’altro di un Inno a Helios in cui Helios è invocato come “re del fuoco intellettuale” (pyròs noeroû basileû, v. 1) e “immagine del dio generatore di tutte le cose” (eikôn panghenétao theoû, v. 34) (24), cioè come epifania del Dio Supremo. Per quanto riguarda la pluralità degli dèi della religione, Proclo la risolve riportandola all’Uno; e l’Uno è Dio, perché, argomenta, il Bene e l’Uno sono la stessa cosa e il Bene si identifica con Dio (25). Si capisce allora perché Henry Corbin abbia caldamente auspicato il confronto tra la teologia di Proclo e le dottrine dello Pseudodionigi e dello Shaykh al-Akbar. In particolare, egli scrive, sarebbe molto istruttiva “una comparazione approfondita fra la teoria dei Nomi divini e delle teofanie che sono i Signori divini: voglio dire dal parallelismo tra Ibn ‘Arabî da una parte – l’ineffabilità del Dio, che è Signore dei Signori e le molteplici teofanie costituite dallan gerarchia dei Nomi divini – e Proclo dall’altra – la gerarchia che si origina nell’enade delle enadi manifestata da queste stesse enadi, e che si propaga attraverso tutti i gradi delle gerarchie dell’essere” (26).
Ma quella che è stata definita “l’ultima attestazione del sincretismo solare in Occidente” (27) è la preghiera di Filologia al Sole (28), “documento notevole della ‘teologia solare’ del tardo neoplatonismo” (29) dovuto ad un contemporaneo di Proclo, Marziano Capella. Ultima attestazione, perché verso il 531, con la fuga in Persia dello Scolarca Damascio (470-544) e degli altri neoplatonici, la tradizione “solare” continuerà la propria esistenza negli stessi luoghi dai quali si era irradiato, diffondendosi in tutta l’Europa, il culto di Mithra.

A parere di Franz Altheim, la teologia solare elaborata dai neoplatonici non fu priva di relazione col monoteismo islamico, tutt’altro. “Il messaggio di Maometto – egli scrive – era infatti incentrato sul concetto di unità ed escludeva che la divinità potesse avere un ‘compagno’, ricalcando così le orme degli antecedenti e conterranei Neoplatonici e Monofisiti. L’impeto religioso del Profeta riuscì quindi a far emergere con accresciuta forza ciò che prima di lui altri avevano sentito e anelato” (30).

1. R. Guénon, Aperçus sur l’ésotérisme islamique et le taoïsme, Gallimard, Paris 1973, p. 38.
2. R. Guénon, Monothéisme et angélologie, “Études Traditionnelles”, n. 255, ott.-nov. 1946.
3. Ibidem.
4. Ibidem.
4bis. “Princeps deus, qui omnem mundum regit” (Cicerone, Somnium Scipionis, 3).
5. Omero, Iliade, VIII, 23-27. (La traduzione di questo brano è stata eseguita da me, così come quelle degli altri testi greci e latini, ad eccezione del passo di Proclo che riportato nella versione di Michele Losacco).
6. Omero, Iliade, XXII, 209-213.
7. Eschilo, Agamennone, 160-166.
8. Cleante, Inno a Zeus, I Powell, 1-3.
9. M. Pohlenz, La Stoa. Storia di un movimento spirituale, La Nuova Italia, Firenze 1967, I, p. 218.
10. Arato, Fenomeni, 1-4.
11. Plutarco, De E apud Delphos, 393 b-c.
12. “Apóllona Délphion vocant, quod (…), ut Numenio placet, quasi unum et solum. Ait enim prisca Graecorum lingua délphon unum vocari” (Macrobio, Saturnalia, I, 17, 65).
13. R. Guénon, Et-Tawhîd, “Le Voile d’Isis”, luglio 1930.
14. J. Evola, Ricognizioni. Uomini e problemi, Edizioni Mediterranee, Roma 1974, p. 140.
15. H. Corbin, Corpo spirituale e Terra celeste. Dall’Iran mazdeo all’Iran sciita, Adelphi, Milano 1986, p. 140.
16. H. Corbin, Il paradosso del monoteismo, Marietti, Casale Monferrato 1986, p. 70.
17. R. Billi, L’Asino e il Leone. Metafisica e Politica nell’opera dell’Imperatore Giuliano, tesi di laurea, Università di Parma, anno acc. 1989-1990, pp. 79-80.
18. Diogene Laerzio, VII, 147 (Stoicorum Veterum Fragmenta, II, fr. 1021).
19. M. Mazza, Filosofia religiosa ed “Imperium” in Giuliano, in: AA. VV., Giuliano Imperatore, Atti del Convegno della S.I.S.A.C. (Messina, 3 aprile 1984), a cura di B. Gentili, QuattroVenti, Urbino 1986, p. 90.
20. Sallustio, Sugli dèi e il mondo, a cura di C. Mutti, Edizioni di Ar, 2a ed., Padova 1993, pp. 27-28.
21. Il trattato di Porfirio è citato da Servio (Commento alle Ecloghe, V, 66) ed è forse da identificarsi col trattato Sui nomi divini; o, forse, faceva parte della Filosofia degli oracoli. Cfr. G. Heuten, Le “Soleil” de Porphyre, in Mélanges F. Cumont, I, Bruxelles 1936, p. 253 sgg.
22. “et Porphyrius testatur Minervam esse virtutem Solis quae humanis mentibus prudentiam subministrat” (Macrobio, op. cit., I, 17, 70).
23. G. Wolff (a cura di), Porphyrii de philosophia ex oraculis haurienda librorum reliquiae, Springer, Berlin 1866.
24. Proclo, Inni, a cura di D. Giordano, Fussi-Sansoni, Firenze 1957, pp. 20-25.
25. Proclo, Elementi di teologia, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1983, pp. 94-95.
26. H. Corbin, Il paradosso del monoteismo, cit., p. 8.
27. R. Turcan, Martianus Capella et Jamblique, “Revue des Études Latins”, 36, 1958, p. 249.
28. Marziano Capella, De nuptiis, II, 185-193.
29. Martiani Capellae De nuptiis Philologiae et Mercurii liber secundus, Introduzione, traduzione e commento di L. Lenaz, Liviana, Padova 1975, p. 46.
30. F. Altheim, Deus invictus. Le religioni e la fine del mondo antico, Edizioni Mediterranee, Roma 2007, pp. 115-116.
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Re: Enuma Elish, Elixi/Elisi, Eleusi/Eleuxini, Elohim, Allah

Messaggioda Berto » mar apr 14, 2015 7:30 am

CONFORMAZIONE E CARATTERE RELIGIOSO DEL CIELO

Dai testi biblici si ricava la conformazione e il carattere religioso del mondo celeste ebraico, frutto di tante successive contaminazioni.

http://jewishcosmos.altervista.org/port ... %3Dnode/16

Il Cielo è per gli Ebrei, e quindi per i cristiani, la parte più eccelsa dell'universo, al di là dello spazio, sede della divinità. Esso è puro splendore, e la parola Luce ricorre spesso nell'Antico e nel Nuovo Testamento per indicare Dio e la sua dimora.
Il profeta Ezechiele, vissuto nella deportazione a Babilonia, scrive di aver visto in estasi il Cielo come un immenso fuoco ardente (perciò i cristiani lo chiameranno Empireo, dal greco empyreos, infuocato) al cui centro era il trono di Dio sorretto da quattro Esseri che, come gli dei astrali babilonesi, avevano aspetto di animali, fomiti di ali e di mani d'uomo.

Di qui l'idea dei cherubini (plurale di karub, dall'arcadico karubu, protettore) raffigurati sull'Arca dell'Alleanza, a cui la mitologia cristiana si ispirerà per simboleggiare i quattro evangelisti.

Sarà San Paolo il primo a rendere accessibile il cielo agli uomini (i giusti, i buoni) non solo in estasi, ma materialmente, rivestiti di corpo pneumatico, dopo la morte. Pertanto l'espressione "il regno dei Cieli", che per gli Ebrei significava "il regno di Dio", il suo dominio su tutto l'universo, diverrà per i cristiani un "regno nei cieli".

Il cielo stellato, visibile agli uomini, nell'astronomia ebraico-cristiana si trova molto al di sotto della sede di Dio, e non è uno spazio infinito ma - come appare ad occhio nudo - una volta solida (in ebraico raqià) dello spessore di pochi pollici, che Ezechiele definisce una superficie di ghiaccio. Nella traduzione latina il vocabolo "raqià" verrà reso con "firmamentum", ossia "sostegno", poiché esso sostiene la grande massa delle "acque superiori".

Dunque, tra il cielo di fuoco e il firmamento ghiacciato si trova "il ricettacolo della pioggia e della grandine" (Giobbe 38, 22) che Dio ha diviso, nella creazione, dalle acque inferiori (Genesi 1,6-7), cioè dai mari, che a loro volta formano i fiumi. Ancora San Tommaso, nel XIII secolo, crederà che i fiumi nascano dal mare. Il firmamento è sostenuto da quattro montagne e ha delle aperture (cateratte) per l'uscita della pioggia e della grandine, con saracinesche manovrate dalla mano di Dio. Sotto di esso, a livello dei monti, vi sono i serbatoi dei quattro venti (Geremia 10,13; Daniele 8,8) anch'essi regolati da Dio.

Al firmamento sono appesi, come lampade, i corpi celesti, tutti alla medesima distanza dalla Terra, che secondo la Mishnà (tradizione orale codificata nel I secolo d.C.) equivale ad un viaggio di 500 anni, e la maggior o minore luminosità degli astri dipende solo dalla loro differente grandezza.


http://it.wikipedia.org/wiki/Cherubino
Secondo l'Antico Testamento hanno quattro ali e quattro facce, ovvero una di uomo, una di vitello, una di leone ed infine una di aquila ("tetramorfo"), mentre nell'iconografia classica ed artistica, sono raffigurati con volti umani, di rarissima bellezza e splendore.

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Re: Enuma Elish, Elixi/Elisi, Eleusi/Eleuxini, Elohim, Allah

Messaggioda Berto » sab ott 29, 2016 7:00 am

???

Massimiliano Zari

1)"Elis" in accadico significa "In Alto"
2)Eleusi è il nome di una citta'
3)Imn (Amon) egizio significa "il nascosto"
4)il Sole in sumero è scritto Utu e non Amna (invenzione)
5)Il sumero Enlil non è il dio della montagna semmai quello dell'aria/del vento mentre il figlio Iskur è la divinita' dei fenomeni atmosferici (la tempesta).

In ultimo su Al Sdy (El Shadai) è completamente in errore: El non significa "Signore" semmai "Dio" e Shadai non ha nulla a che vedere con la montagna (che in ebraico è Hr) bensi' proprio con quello che l'articolo esclude ovvero con la divinita' "Shedu" (che non è amoritta semmai assiro) il "nume tutelare di genere maschile delle porte del tempio" (l'altro era il Lamassu di genere femminile). A confermare la stretta parentela tra lo Shedu assiro e lo Shadai ebraico segnalo l'usanza ebraica di porre le mezuzah (pergamene) sugli stipiti delle porte con incisa la parola Shadai che serve da acronimo alla frase "Shomer Doledot Israel" (trad. Guardiano delle Porte di Israele). Shadai significa sia "Nutritore" (Sd è "seno") che "Distruttore" (Sdd è "devastazione") che sono i due aspetti che in tempi piu' lontani erano associati alla divinita' Ninurta/Ningirsu ("Signore della Fondazione"). La stessa che piu' tardi diventera' conosciuta come Kronos (La Causa Prima)/Saturno (la Semenza) che era sia il Seminatore (quindi "Nutritore") che il Signore del Tempo (da cui tutto ha origine e a cui tutto ritorna ovvero"Distrugge"). L'ebraico YHWH (che riguarda cioè il significato proprio della parola/nome) ha invece molte affinita' con il semitico Ea. Da quando l’uso dei segni cuneiformi per il sillabario del periodo antico-accadico è divenuto più chiaro e soprattutto grazie alla scoperta degli archivi di Ebla è assodato che il segno E2 rappresentava una sillaba di tipo CV (Consonante-Vocale) che iniziava con una laringale occlusiva (aleph) = /’a/), lettura ´a3.
In Ebla in una lista lessicale (MEE 4, 803) vi è l’equazione (d)En-Ki = E2.BAD3 ´a3-u9) Leggere E2.A come ’a3-a riporta alla radice semitica Ḥ Y Y ("vivere") perché protosemitico /Ḥ/ diventa /’/ in accadico.
Il nome ’a3-a sarebbe un antico Stato determinato (o enfatico): "quello che è vivente“ resa che lo avvicina al significato di YHWH (l'Essere/Esso E'). Al pari di Ninurta (di aspetto guerriero) anche Ea è associato a Kronos/Saturno (nonche al Ptah egizio). Fine della lezione
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Re: Enuma Elish, Elixi/Elisi, Eleusi/Eleuxini, Elohim, Allah

Messaggioda Berto » sab ott 29, 2016 7:09 am

Mitołoja sumera

https://it.wikipedia.org/wiki/Mitologia_sumera

Anunnaki (assemblea di tutti gli dei)
An (dio del Cielo, uno dei quattro creatori)
An-Ki ("Montagna Cosmica", costituita dagli dei An e Ki)
Aruru (dea della creazione)
Ashnan (dea del grano)
Bau o Ninisinna o Gula (dea della medicina)
Belili (dea della luce, consorte del dio solare Bel)
Dimpemekug (dio scriba degli inferi)
Dumu-zi-Abzu (dio della vegetazione e della fertilità, equivalente al babilonese Tammuz[2])
Enlil (dio dell'Aria, uno dei quattro creatori)
Enki (dio dell'Acqua, uno dei quattro creatori)
Enkidu (fedele amico di Gilgamesh)
Ereshkigal (dea del mondo sotterraneo)
Geshtinanna (dea dell' "acqua vivificante")
Gilgamesh (mitico re di Uruk, protagonista dell'Epopea di Gilgamesh)
Haia (sposo di Nidaba)
Ki o Nantu o Ninhursag o Ninmah (dea della terra, uno dei quattro creatori)
Kur (dio del mondo sotterraneo)
Inanna (dea della fecondità e della bellezza)
Ishkur (dio della pioggia e degli uragani)
Ishtaran (dio preposto a comporre le divergenze)
Lahar (dio del bestiame)
Nammu (personificazione del mare primordiale)
Nanna o Sin (dio della luna)
Nidaba (dea della saggezza, della scrittura e della letteratura)
Nin-Asu (dea degli inferi, figlia di Ereshkigal)
Ninlil (dea dell'aria e del grano)
Ningal (madre di Utu e dea della luna)
Utu (dio del sole, equivalente al babilonese Shamash, anche Šamaš)
Ziusudra (l'uomo salvato dal diluvio universale, chiamato nell'Epopea di Gilgamesh Utnapishtim ossia "Giorno di vita")
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Re: Enuma Elish, Elixi/Elisi, Eleusi/Eleuxini, Elohim, Allah

Messaggioda Berto » sab ott 29, 2016 7:38 am

Mitołoja ebraega

https://it.wikipedia.org/wiki/Mitologia_ebraica

https://it.wikipedia.org/wiki/Yahweh

Il nome in questa forma "Yahweh" (e altre) rappresenta una moderna versione accademica dell'ebraico biblico יהוה, parola composta da quattro lettere (yodh, he, waw, he, in qualche modo corrispondenti alle lettere dell'alfabeto latino YHWH, o JHVH) e perciò detta "tetragramma". La lingua ebraica (a tutt'oggi) è dotata di lettere dal valore consonantico, mentre la vocalizzazione (variabile e importante ai fini del significato delle parole) è indicata ortograficamente attraverso altri segni diacritici, notazioni vocaliche introdotte in epoca storica molto più tarda delle consonanti, perché adottate dai Masoreti intorno alla seconda metà del I millennio d.C. Mentre è indiscusso che il nome del dio ebraico è indicato nella Bibbia con le quattro lettere summenzionate, resta incerta la sua pronuncia e oggetto di dibattito sia tra gli studiosi, sia tra i fedeli delle diverse confessioni che fanno riferimento al "Dio di Abramo".

Gli ebrei evitavano di pronunciarne il nome per non profanarlo ("non nominare il nome di Dio invano", terzo comandamento secondo la tradizione ebraica, secondo comandamento secondo la tradizione cattolica), mentre nella Bibbia è reso per iscritto soltanto con il tetragramma e quindi la pronuncia del nome è a tutt'oggi incerta: gli ebrei talvolta usavano il termine Adonai, che significa "Signore", uso poi ripreso dai cristiani. Gli ebrei continuano ad utilizzare forma "Adonai" per designare il dio di Israele. La House of Yahweh di Yisrayl Hawkins utilizza il nome di Yahweh per designare il corretto nome del dio. I Testimoni di Geova, invece preferiscono continuare ad usare il termine Yehowah, italianizzato in "Geova". Gli altri cristiani hanno preferito il termine Kyrios ("Signore", in lingua greca) ovvero Dominus ("Signore", in lingua latina), tant'è che nel Nuovo Testamento il termine non viene mai usato, non essendo presente negli originali greci, mentre compare circa 7.000 volte nell'Antico Testamento.

Le chiese cristiane, compresa la cattolica, pur avendo usato in passato sia il termine Yahweh (o Yahwè) sia il termine Geova (più raramente), oggi usano solo sporadicamente il termine Yahwè nella lettura di passi biblici dell'Antico Testamento e in alcuni canti religiosi, tranne appunto i Testimoni di Geova, che fanno un uso costante ed abituale del nome "Geova". Il termine Yahweh viene talora abbreviato in Yah o Jà (ad esempio allelu-jà, che significa "lode a Yahweh"). L'italiano Gesù deriva in ultima analisi, attraverso la mediazione greco-latina, dall'aramaico Yehošuah e che pacificamente significa "Yehowah è salvezza", molto simile (e corrispondente per significato) al nome ebraico Yĕhowašūà, reso in italiano come Giosuè, il che farebbe dubitare della correttezza della vocalizzazione prevalentemente prescelta per il tetragramma (sarebbe un caso di apofonia).

Alla luce di quanto ci viene rivelato da scavi e ritrovamenti archeologici, dai quali si intuisce che i primi Israeliti avevano cercato di distinguersi dai popoli vicini al loro territorio, in particolare dai Cananei, appare piuttosto interessante che Yahweh, proprio una delle divinità introdotte nel pantheon cananeo durante la cattività babilonese, sia divenuta durante il VI secolo a.C. il dio nazionale ed unico del popolo d'Israele. Le testimonianze archeologiche dimostrano che gli Israeliti durante questo periodo erano entrati a far parte del popolo dei Cananei. Yahweh (che dai Cananei veniva chiamato anche Yahu o Yahwi) veniva considerato un dio della guerra [senza fonte], al pari quindi di altre divinità simili come ad esempio El [senza fonte], ed era uno dei personaggi del ciclo mitologico di Baal [senza fonte]. Asherah, considerata spesso la dèa consorte di El nel pantheon cananeo, in numerose iscrizioni israelite più recenti viene ritenuta essere invece la consorte di Yahweh]. Inoltre migliaia di statuette di creta riportate alla luce suggeriscono che in realtà i primi Israeliti non adoravano un solo dio, bensì una moltitudine di dèi, e quindi erano politeisti.

Appare quindi probabile che l'adorazione di Yahweh si sia originata nel sud della terra di Canaan (Edom, Moab, Madian) a partire dall'Età del bronzo (XIV secolo a.C.) e che il suo culto sia stato diffuso a nord dalla popolazione nomade dei Cheniti. Cornelis Petrus Tiele, ideatore dell'"ipotesi Chenita" (1872), riteneva che storicamente Yahweh fosse stato una divinità dei Madianiti e che il profeta Mosè fosse uno di loro; sempre secondo Tiele, sarebbe stato Mosè a portare dal nord ad Israele il culto di Yahweh. Quest'idea è basata su un'antica tradizione (Libro dei Giudici 1,16,4,11) che vuole il padre adottivo di Mosè essere stato un sacerdote Madianita di Yahweh, che, per così dire, voleva preservare il ricordo dell'origine Madianita del dio. Mentre dagli studiosi e dagli storici moderni viene ampiamente accettato il ruolo che i Cheniti hanno avuto nel trasmettere il culto di Yahweh, quello di Mosè trova poco supporto negli studi moderni.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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