Un pensiero e un sentire che si "avvicina" all'aidolismo, alla spiritualità naturale e universale ad un credere innato che non è religiosamente orientato verso una qualsivoglia interpretazione del divino o idolo e proprio di tutte le creature della terra e del Creato; pur restando legato alla idolatria cristiana del credere che Cristo fosse e sia Dio.La nuova Chiesa di Karl Rahner. Il teologo che ha insegnato ad arrendersi al mondo. : News dell'Osservatorio
12 luglio 2017
Silvio Brachetta
http://www.vanthuanobservatory.org/ita/ ... i-al-mondoIl cardinale Giuseppe Siri aveva riassunto nella «concezione del soprannaturale non-gratuito» il nucleo dell’errore teologico di Karl Rahner. Lo scrive in Getsemani, nel 1980, per i tipi della Fraternità della Vergine Maria.
In altre parole, per Rahner il soprannaturale è legato «necessariamente» alla natura umana: ma, in questo caso, la grazia non sarebbe più gratuita; non sarebbe più un dono; non potrebbe più essere accettata o rifiutata liberamente dall’uomo. Insomma, una sorta di soprannaturale imposto da Dio all’uomo.
Una gratuità obbligatoria.
Se fosse vero quanto sostiene Rahner – afferma Siri – si giungerebbe «all’inutilità dell’atto di fede», poiché «nella mia essenza c’è Dio». Non devo accettarlo o rifiutarlo: Dio fa già parte di me, che lo voglia o meno. Il teologo tedesco non si rese conto, evidentemente, che con tale assunto «tutti i principi, tutti i criteri e tutti i fondamenti della fede» sono stati «messi in questione e si sfaldano».
Ma il problema non è l’opinione di un teologo eterodosso. È dimostrabile che le suggestioni rahneriane abbiamo coinvolto e sovvertito gran parte della teologia degli ultimi sessant’anni. Rahner «sembra aver vinto», scrive Stefano Fontana nel suo ultimo saggio, dedicato al «teologo che ha insegnato» alla Chiesa «ad arrendersi al mondo». Non è un’esagerazione: «da un’inchiesta – scrive Fontana – condotta nell’immediato postconcilio alla Pontificia Università Lateranense emerse che per i seminaristi, che lì studiavano teologia, il più grande teologo cattolico di tutti i tempi fosse non San Tommaso d’Aquino o Sant’Agostino, ma Karl Rahner».
Un Dio atematico
Fontana descrive la parabola del pensiero rahneriano inserita fatalmente nel metodo moderno di fare filosofia e, quindi, teologia. È un metodo che Fontana aveva anche già esposto nel suo saggio precedente “Filosofia per tutti” (Fede & Cultura, 2016) e che consiste nell’assumere, di volta in volta, una certa forma del «trascendentale moderno»: il filosofo o il teologo della modernità, cioè, non concepisce più un rapporto diretto con la realtà da conoscere, ma pensa che «l’uomo veda il mondo attraverso degli occhiali dai quali non può liberarsi». Questi occhiali sono le forme a priori della conoscenza di un qualsiasi oggetto, che però lo modificano e lo limitano, rendendo impossibile ogni certezza o conclusione su di esso. L’oggetto della conoscenza diviene così, fosse un tavolo o Dio stesso, mai completamente comprensibile, mai conosciuto con sicurezza.
Rahner non fugge da questa prassi e da questa logica. Il paio di occhiali con cui legge ogni aspetto della realtà (Dio compreso) si chiama – scrive Fontana – «buco della serratura». Ogni pensatore della modernità ha, in fondo, un suo apriorismo gnoseologico. Quello di Rahner è tale per cui «Dio si rivela nel buio che precede e circonda il buco della serratura». Si rivela in modo atematico, cioè privo di contenuti. Quello al di là del buco, invece, è il mondo dell’esperienza, delle parole umane. Ma che rapporto possono avere quest’esperienza e queste parole con la verità? Un rapporto equivoco, fatto di dubbio e d’incertezza, perché ogni criterio di giudizio è colto al di qua della serratura, dove mi trovo io e si trova Dio, ma dove c’è solo silenzio e buio. È come misurare delle lunghezze con un metro deformato. Non si potrà mai pervenire all’estensione delle cose, per via di un difetto iniziale dovuto allo strumento di misura. Le cose corrispondono alla realtà oggettiva e lo strumento deformato sta nell’uomo, che è la realtà soggettiva.
Rahner trae queste convinzioni dall’apriorismo di Kant, ma è soprattutto in Heidegger che fonda la propria gnoseologia: precisamente nel principio – scrive Fontana – secondo cui «l’uomo, che si chiede cosa sia l’essere, è dentro il problema e quindi non c’è conoscenza di un oggetto che non sia anche soggettiva». Si tratta di una resa incondizionata all’opinione, al «punto di vista» personale. Se, inoltre, il soggetto è difettoso, lo diviene anche l’oggetto, il mondo, Dio, la mia esperienza nel mondo, la verità del mondo e di Dio.
Scompare la natura umana
Ben altri insegnamenti provengono dalla filosofia classica, dalla teologia cattolica e dal magistero della Chiesa. Da Platone a San Tommaso d’Aquino non si è mai insinuata la tentazione di dire che l’uomo non potesse accedere alla verità, seppure in modo imperfetto. Il trascendentale classico è ben diverso da quello moderno: è ricco di contenuti e di speranza nella capacità conoscitiva umana; pone il criterio del giudizio sul mondo oltre il cosmo; accetta l’aiuto di un Dio che si rivela e parla; non ha problemi d’individuare la reale vocazione della persona oltre la fisica, oltre il fenomeno, situando nella metafisica l’orizzonte umano proprio.
A ben vedere, l’errore di Rahner individuato da Siri – circa il soprannaturale legato alla natura umana – è forse l’ultimo da prendere in considerazione, poiché scomparsa la metafisica, scompaiono anche i contenuti relativi ai concetti di natura, di essenza e di sostanza. È ancora possibile concepire, nel pensiero rahneriano (o moderno in genere), una natura umana? Fontana dice di no: nella prospettiva del teologo tedesco «diventa difficile adoperare ancora il termine “natura”». Nella visione esistenzialista di Heidegger e di Rahner «l’uomo non ha natura» in quanto «è un essere storico». L’essere, nel tempo e nella storia, si fluidifica e ‘diviene’ senza sosta, laddove la natura classica poggia, al contrario, su una verità stabile. Con la caduta della natura, quindi, cade a ruota la legge naturale e qualsiasi discorso sulla soprannatura. Non ci sono due livelli in Rahenr (natura e soprannatura) – scrive Fontana – ma «un unico livello, quello della storia, che è insieme storia sacra e storia profana». Qua s’inserisce anche il pensiero di Hegel.
I cristiani anonimi
Inseguendo inoltre le suggestioni della teologia protestante novecentesca, il rahnerismo giunge così a prospettare una «deellenizzazione» del cristianesimo, laddove l’ellenizzazione era stato l’uso, da parte della teologia, delle categorie filosofiche greche. Non vi è più una dottrina con cui discernere il tempo presente e su cui organizzare una prassi. Viceversa, la prassi ha il primato assoluto e ogni conclusione (se mai ce ne fosse una) dovrebbe sempre seguire il divenire storico. Tutto allora è assorbito dallo storicismo: la dottrina, il dogma, l’insegnamento. Tutto diventa relativo ai tempi e ai costumi. Tutto è questionabile, interpretabile – continua Fontana. Tutto evolve: persino la Rivelazione, che si dà nell’immanenza della storia e non è mai da intendersi come conclusa.
In continuità con il protestantesimo, la fede viene privata delle categorie razionali e si pone, così, in antitesi con la ragione. Non solo: per il fatto di avere un accesso alla religione mediante il trascendentale a priori, tutti gli uomini sono accomunati nella Rivelazione, tutti sono equidistanti dalla verità. Non serve più una Chiesa che insegni e nemmeno un’opera di evangelizzazione. Secondo Rahner, tutti gli uomini – scrive Fontana – «sono cristiani, o cristiani-anonimi», ovvero «cristiani che non sanno di esserlo». Il compito del cristiano battezzato o del chierico non è più, dunque, quello di «governare, insegnare e santificare» qualcuno, ma quello di «ascoltare» e «accogliere» il non credente.
Il dogma non è più una parola definitiva
Se è ancora da verificare fino a che punto il rahnerismo abbia intaccato il tessuto della Chiesa, c’è l’evidenza di quanto le suggestioni delle nuove correnti teologiche siano coincidenti con il pensiero di Rahner. E una tale evidenza porta ad «affermare che tutte le teologie del progressismo teologico del postconcilio trovino in Karl Rahner il loro padre». C’è un unico comun denominatore dietro la priorità che molti vescovi danno all’azione pastorale, alla svalutazione del tomismo, al dialogo a tutti i costi, al primato dell’esperienza atematica, alla predilezione per il linguaggio del mondo, al concetto di concilio (o di sinodo) dove prevale l’azione del convenire sui contenuti effettivi degli incontri.
Fontana porta l’esempio del cardinale Walter Kasper, molto attivo all’ultimo Sinodo della famiglia, la cui formazione è del tutto rahneriana. Per Kasper, il moderno metodo teologico non deve più partire dai dogmi, ma deve anzi «vedere il dogma come intermedio tra la Parola di Dio e la situazione di vita della comunità cristiana». Non più un dogma «visto come qualcosa di definitivo», ma una pura espressione linguistica, che si deve piegare alla situazione reale della persona e alle mutate percezioni storiche.
La cosa che maggiormente colpisce in Ranher, tuttavia, è che «nei suoi confronti non è stata emessa nessuna condanna, nonostante i numerosi e fondamentali punti contrari alla dottrina cattolica». Giovanni XXIII lo chiamò al Concilio Vaticano II come perito. Qualcosa non torna.
Stefano Fontana, “La nuova Chiesa di Karl Rahner. Il teologo che ha insegnato ad arrendersi al mondo”, Fede & Cultura, 2017, pp. 109, euro 13,00
Karl Rahner (Friburgo in Brisgovia, 5 marzo 1904 – Innsbruck, 30 marzo 1984) è stato un gesuita e teologo tedesco, cattolico, fra i protagonisti del rinnovamento della Chiesa che portò al Concilio Vaticano II.
https://it.wikipedia.org/wiki/Karl_Rahner Il gesuita Karl Rahner, l’eresiarca del XX secoloFonte web
http://www.parrocchie.it/correggio/asce ... r_2014.htm INTRODUZIONE
Ho terminato la lettura di un libro in lingua originale, cioè l’inglese americano, intitolato A Critical Examination of the Theology of Karl Rahner, SJ, scritto dallo studioso texano Robert C. McCarthy, pubblicato nel 2001. È stato molto faticoso, perché ho dovuto usare moltissimo i vocabolari cartacei e quelli on-line, ma ne è valsa la pena. L’opera di McCarthy, purtroppo, in Italia non è mai stata pubblicata e, sicuramente, non sarà pubblicata neppure in futuro.
Secondo McCarthy, l’intelligentissimo padre gesuita Karl Rahner ad un certo punto della sua vita, cominciò letteralmente a disprezzare la “Chiesa di sempre” e la “fede di sempre”. Non credette più alla Rivelazione del Dio che si abbassa fino alla sua creatura prediletta, l’uomo. Considerò la “vecchia fede” del tutto inadeguata all’uomo moderno e si mise all’opera per “conformare” la teologia cattolica alla modernità. Rahner, in pratica, non cercò più – come invece dovrebbe fare ogni cattolico, specialmente un sacerdote – di convertire l’uomo a Dio, ma di adattare Dio all’uomo.
«Il padre Rahner ha detto che la teologia suole dare l’impressione, oggi giorno», ha spiegato un discepolo del gesuita tedesco, «di dar risposte mitologiche o almeno non scientifiche… Il teologo solo può superare questo… partendo dall’uomo e dalle sue esperienze». Rahner, dunque, non “partiva” da Dio, ma dall’uomo.
Basandosi, in questo senso, sulle “esperienze dell’uomo”, in particolare di quello moderno, Rahner scopre la sua dottrina del “soprannaturale esistenziale”. L’uomo moderno non può, né deve, considerarsi “segnato dal peccato”; anzi, deve necessariamente ritenersi buono, bravo e bello. L’uomo può smettere di credere al vecchio dogma cattolico del peccato originale. Non ha più bisogno di credere che il soprannaturale, la Grazia di Dio, siano al di sopra della natura umana. Non esiste, in realtà, il peccato originale, né i suoi nefasti effetti sulla natura dell’uomo. Esiste invece una natura umana imperfetta, la quale può, evolvendosi, diventare perfetta, se non addirittura tendere alla divinizzazione.
Rahner, partendo dalla concezione meravigliosa, senza macchia, che l’uomo moderno deve avere di sé, raggiunge rapidamente le più temibili eresie moderne, che costituiscono la base dell’apostasia contemporanea: il rifiuto del soprannaturale e la negazione del peccato originale.
Rahner, come teologo e soprattutto come sacerdote, non poteva salire senza macchia, secondo McCarthy, dopo tale assurda demolizione, delle dottrina cattolica di base. Questa è, sempre secondo l’autore texano, la spiegazione della quasi impenetrabile oscurità del più famoso gesuita del XX secolo, e della sua invenzione di strambe teorie come il “soprannaturale esistenziale” e il “cristianesimo anonimo”. In ciò che il maestro è scuro, a schiarire ci pensano i suoi discepoli. E molti discepoli di Rahner sono diventati vescovi e principi della Chiesa (Carlo Maria Martini, Karl Lehmann, Walter Kasper, Reinhard Marx, Robert Zollitsch, etc…).
Se dunque l’uomo, seguendo il pensiero rahneriano, viene al mondo non condannato dal peccato, ma solo con quell’incompletezza che tende alla perfezione, addirittura alla divinizzazione, che bisogno ha di redenzione o di un Redentore? Per Rahner l’uomo diventa perfetto, persino divino, con l’evoluzione, non con la Grazia. Gesù di Nazaret è l’uomo che più di ogni altro è riuscito a perfezionare, ad evolvere, la natura umana, divinizzandola. Per il gesuita tedesco, infatti, non è in discussione il fatto che Cristo sia Dio, anzi, ne era convintissimo. La tragedia è che, per Rahner, Gesù Cristo non è il Dio vivente fatto uomo, ma l’uomo che si è fatto Dio.
Mediante questa “dottrina gnostica” di Dio che non discende fino alla natura umana, trasfigurandola per mezzo della sua Grazia, ma dell’uomo che si “evolve”, s’impossessa della natura divina, Rahner mette assieme, in un modo molto contorto, religione e filosofia moderna (Hegel, Heidegger e Kant), ma di fatto nega e rifiuta l’Incarnazione e la Redenzione.
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BIBLIOGRAFIA
“La svolta antropologica di Karl Rahner”, di P. Cornelio Fabro (Editrice del Verbo Incarnato)
“Karl Rahner – Il Concilio tradito”, di P. Giovanni Cavalcoli (Fede & Cultura)
“Saggio sull’etica esistenziale formale di Karl Rahner”, di P. Tomas Tyn (Fede & Cultura)
“Vera e falsa teologia – Come distinguere l’autentica scienza della fede da un’ambigua filosogia religiosa”, di mons. Antonio Livi (Casa Editrice Leonardo da Vinci)
Conferenza 3a del Prof. P. Serafino M. Lanzetta, FI.
La critica di Tomas Tyn all'etica di Karl Rahner. Conferenza di P. Serafino M. Lanzetta FI
Fonte web
“Leggete Rahner. Voi non capirete molto ma è importante che lo leggiate lo stesso”. Con questo appello ironico ai suoi studenti, alcuni anni fa, un professore di teologia sintetizzava in modo mirabile due aspetti fondamentali del pensiero di Karl Rahner, teologo gesuita del xx secolo, morto nel 1984: la difficoltà di comprendere fino in fondo il suo pensiero dovuta ad un linguaggio ostico e, nello stesso tempo, la rilevanza di un teologare che lo ha reso uno dei più celebrati soloni della teologia degli ultimi tempi.
UN LINGUAGGIO DIFFICILE
I professori Rahner e RatzingerQuello del linguaggio rahneriano non è un problema indifferente. In un articolo sull’Osservatore Romano del 28 Dicembre del 2009, F. G. Brambilla, preside della facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, lo definisce “tormentata lingua”, tale da renderlo meno leggibile rispetto ad altri teologi. Capire esattamente la portata del suo pensiero non è semplice per chi non si occupa di teologia a tempo pieno (e spesso anche per chi se ne occupa). Non si tratta, infatti, del solito linguaggio da professore teutonico disseminato di termini vigorosi: Christliche Weltanschauung, Formgeschichte, etc. In Rahner è operante invece lo scontro quotidiano tra il desiderio, esplicitato dallo stesso teologo, di rendersi comprensibile all’uomo comune e l’incapacità quasi strutturale di riuscire ad esprimersi in un modo tale da poterlo raggiungere. Una vera eterogenesi dei fini, se leggiamo quello che confessò a Vittorio Messori: “Non sono mai stato un teologo chiuso agli influssi esterni. Se studiavo un argomento è perché dalla mia attività pastorale, dai miei contatti con la gente, mi rendevo conto che quell’argomento faceva problema; che qualcuno poteva essere aiutato da una ricerca”.
UN TEOLOGARE ONNICOMPRENSIVO
Rahner ancora giovane gesuita, indossava ancora un clergymen. Fra poco dismetterà e per sempre i segni esteriori del suo sacerdozio
Sulla grandezza della sua riflessione teologica non ci sono dubbi. Pensiamo, ad esempio, a quello che gli deve la teologia trinitaria. Rahner ha formulato l’assioma “La Trinità economica è la Trinità immanente e viceversa”, mostrando che è solo a partire dalla sua manifestazione nella storia – con la rivelazione di Cristo – che possiamo sapere qualcosa del Dio Uno e Trino così come è in sé. La Commissione Teologica Internazionale, nel documento Desiderium et cognitio dei del 1981, ha reso più esplicito questo assioma, evitando alcuni seri rischi. Giustamente, però, Luis Ladaria, attualmente segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha sottolineato che “sono chiare le coincidenze con il modo di esprimersi di Rahner. E’ sua l’intuizione che in fondo si accetta”. E non è solo la teologia trinitaria ad essergli debitrice. Rahner fu chiamato come teologo perito al Concilio Vaticano II e presto divenne un personaggio chiave nell’assise conciliare. Inoltre, basta dare uno sguardo alla sterminata bibliografia del gesuita (circa 4000 scritti) per capire che egli si è occupato di molteplici settori della teologia: Sulla teologia della morte, La gerarchia nella Chiesa, Ascesi e mistica nei Padri della Chiesa, La Trinità, Le dimensioni politiche del cristianesimo, Il sacerdote e la fede oggi, Corso fondamentale sulla fede, Eucaristia, Sul battesimo, etc. E lo ha fatto sempre in modo significativo e mai scontato.
LA SVOLTA ANTROPOLOGICA DI RAHNER
Il padre Cornelio Fabro. Parlò per primo di “svolta antropologica” in RahnerE’ stato il padre stimmatino Cornelio Fabro, nel 1974, ad usare l’espressione “svolta antropologica” in relazione alla teologia di Rahner. Uno dei primi, anche, ad esprimere una critica nei confronti dell’osannato gesuita. Rahner parte dall’uomo per il suo discorso su Dio. Egli, infatti, “era persuaso che il dato della fede va messo in rapporto fin quasi a rinascere nell’esperienza che l’uomo ha di sè. Dunque l’antropologia ha da portare alla teologia un contributo fondamentale” (A. Bertani, Jesusn.4 Aprile 2004). Fondamentale, certo, ma anche deleterio nel momento in cui la teologia si ritrova a dover dipendere da questa. Scrive Rahner: “La teologia oggi deve assolutamente tener conto di tutte le scienze antropologiche moderne, che non esistevano in passato, così come deve conoscere e rispettare l’uomo nella prospettiva delle scienze naturali moderne”. In una simile affermazione c’è un che di sinistro: il tono stesso. Sembrerebbe quasi sostenere l’impossibilità per il discorso teologico di essere articolato senza il contributo vincolante dei dati delle moderne scienze antropologiche. Non sembra qui di risentire l’eco della mai sopita tentazione di voler ridurre Dio alla “misura” dell’uomo? Infatti, padre Giovanni Cavalcoli, un teologo domenicano che ha criticato la teologia rahneriana, spiega: “InRahner l’uomo si ripiega sulla sua illimitata autocoscienza perché egli ha assolutizzato se stesso”.
PADRE DEL RELATIVISMO?
In un articolo su Il Foglio del 2009, intitolato in modo molto significativo Rahner, maestro del Concilio, di Martini e della coscienza relativa, Roberto De Mattei presenta la figura del teologo tedesco come “padre del relativismo teologico contemporaneo”. Un relativismo che drammaticamente è cresciuto in maniera esponenziale dopo il Concilio Vaticano II. Non sono però i documenti conciliari i responsabili di questa deriva ecclesiale. Nel discorso alla curia romana del 2005, Papa Benedetto XVI ha spiegato, infatti, che sono state due le ermeneutiche di questo grande evento: una – quella “della riforma” – che, pur nel silenzio ha prodotto buoni frutti; l’altra – quella “della discontinuità e della rottura” – che ha interpretato il Vaticano II come evento che rompe con il passato preconciliare e la Tradizione. Il già citato padre Cavalcoli non ha dubbi su chi sia uno degli indiziati maggiori all’origine di questa “ermeneutica della discontinuità”: proprio Rahner, perché egli “ha concepito il progresso come rottura, come contraddizione col passato di una tradizione cristiana sacra e perenne” operando non “in nome di una sana modernità, ma di un rinnovato modernismo peggiore di quello dei tempi di san Pio X” (Radici Cristiane, n. 47, Agosto-Settembre 2009). Al teologo tedesco, padre Cavalcoli ha dedicato pure un libro dal titolo emblematico: K. Rahner. Il Concilio tradito, che rincara la dose.
PERICOLOSE DERIVE DOTTRINALI?
Il padre dell’esistenzialismo Martin Heidegger: Una pericolosa passione di Rahner.
Heinz J. Vogels – che certo non può essere considerato un tradizionalista – ha messo in evidenza i principali pericoli insiti nella teologia rahneriana: Padre, Figlio e Spirito Santo visti come tre modi di manifestarsi di un’unica Persona divina e non come tre Persone distinte (modalismo); Gesù Cristo solo espressione storica del Padre, non Persona divina preesistente (adozionismo); mancato riconoscimento del carattere di persona dello Spirito Santo; una rischiosa tendenza a vedere operante in Gesù Cristo un’unica energia (monoenergismo) e un’unica volontà (monotelismo), quella divina, mettendo in ombra la componente umana; la maternità divina di Maria messa implicitamente in discussione; affermazione della capacità dell’uomo di auto-redimersi. Anche ad una rapida occhiata, è possibile comprendere che qualcosa non va nella teologia dell’illustre gesuita. E non dimentichiamo, infine, l’attrazione fatale di Rahner per Heidegger, padre dell’esistenzialismo che, come ricorda Messori in Vivaio, Edith Stein riteneva non adatto ad un cristiano perché negava l’esistenza di Dio così come lo intende la fede cattolica. Pur nella grande fama riconosciuta al teologo tedesco, c’è, dunque, in Rahner il pericolo implicito di una teologia che, portata all’estreme conseguenze, conduca su binari che si discostano dall’ortodossia cattolica. Non sarebbe il primo caso, nella storia della Chiesa, di un teologo che, pur mantenendo se stesso all’interno della fede cattolica, ha di fatto, suo malgrado, dato il via a rovinose deviazioni dottrinali che hanno poi ripercussioni gravissime nella vita spirituale dei fedeli, e prima ancora nei seminaristi e dunque nei futuri sacerdoti.
UN USO MODERATO PER “NON NUOCERE GRAVEMENTE ALLA SALUTE” DELL’ANIMA
Karl Rahner negli ultimi anni. Sempre giacca e cravatta. Morì nel 1984Torniamo all’appello del professore con cui abbiamo aperto questo scritto: “Leggete Rahner. Voi non capirete molto ma è importante che lo leggiate lo stesso”. Le sue parole si persero nell’aria mite di un pomeriggio. Nel corso degli anni, però, alla luce di questi nuovi studi, sono ritornate in mente. Anche perché, nel frattempo, quel professore, che era pure prete, ha lasciato l’abito sacerdotale ed è convolato a nozze con una donna, con la quale aveva da tempo una relazione segreta. Ci sarebbe da chiedersi: una pagina di Rahner al giorno toglie la vocazione di torno? Lasciamo perdere una facile ironia: la teologia rahneriana non merita un simile trattamento.
Una considerazione è tuttavia obbligatoria, a questo punto. In un’epoca in cui le scomuniche sono quasi del tutto scomparse, in cui l’imprimatur, come il saluto, non si nega a nessuno, in cui i teologi cattolici – alcuni fedeli all’ortodossia e altri “allegramente disinvolti” nei confronti di questa – raggiungono facilmente, con i mezzi di comunicazione odierni, l’ignaro popolo cattolico, sarebbe necessario se non altro un punto fermo. Quale? Che almeno una voce autorevole, in ogni seminario, facoltà teologica, istituto di scienze religiose, si prendesse la briga di premettere qualche “avvertenza” e un invito “a non abusare” di certi teologi per “non nuocere gravemente alla salute” della vita spirituale. Non il ripristino di un moderno Indice – che indurrebbe anzi ad una maggiore attenzione verso pagine tanto suadenti quanto pericolose – ma qualche chiara “istruzione per l’uso” per mettere al sicuro la fede di chi si accosta a questi celebrati quanto ambigui teologi. Non sarebbe anche questo amore per il prossimo?
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