Storia delle religioni a scuola? ecco perchè noNe discutiamo con Alberto Melloni, Caterina Bori, Davide Romano, Stefano Bettera e Svamini Hamsananda Giri
giovedì 12 gennaio 2017
http://www.lindro.it/storia-delle-relig ... -perche-noDa decenni ormai si assiste ad una proliferazione di iniziative, tavole rotonde, dialoghi con le Istituzioni con l’obiettivo di portare la storia delle religioni sui banchi delle scuole, per rispondere alle esigenze di una società sempre più plurale e diversificata, onde evitare di lasciare che siano i pregiudizi e le incomprensioni a strutturare il pensiero sul ‘diverso’.
I cattolici battezzati in Italia sono 58.769.882, secondo il Cesnur (il Centro Studi sulle Nuove Religioni in Italia), mentre le minoranze religiose compongono il 3,2% della popolazione totale e sono così suddivise: Ebrei 36.256 (2.0%), Ortodossi 212.318 (11.9%), Protestanti 450.392 (25.3%), Testimoni di Geova 424.259 (23.8%), Musulmani 302.090 (17%), Induisti 35.672 (2,0%), Buddhisti 157.011 (8.8%).
Ad oggi, all’interno delle scuole pubbliche italiane è previsto soltanto l’insegnamento della religione cattolica, insegnamento facoltativo e operato da un insegnante approvato dalla Santa Sede. L’insegnamento delle altre religioni e della loro storia è lasciato alla libera iniziativa del singolo insegnante, il quale, però, non ha spesso le conoscenze adatte.
Se guardiamo all’insegnamento universitario, vediamo altresì che in Italia sono presenti corsi di laurea, sia triennali che specialistici, denominati ‘Scienze delle religioni’ che formano specialisti nella comprensione del ‘fatto religioso’ tramite un approccio interdisciplinare, a metà strada fra la storia, l’antropologia, la filosofia e la sociologia. Oggi i laureati in queste discipline sono riconosciuti idonei dal Ministero dell’Istruzione ad insegnare Storia e Filosofia nelle classi superiori, grazie al recente DPR del 14 febbraio 2016, n. 19, che ha corretto la precedente legge del 6 agosto 2008, n. 133. Precedentemente, infatti, ai laureati magistrali in Scienze delle religioni era riservato esclusivamente -e inspiegabilmente, secondo gli addetti ai lavori- l’insegnamento di Geografia e Storia dell’arte nelle scuole secondarie, insegnamento possibile solo dopo aver conseguito un cospicuo numero di crediti extra, non essendo né la geografia né la storia dell’arte materie presenti tra gli esami del corso di laurea in Storia delle religioni.
L’insegnamento della religione nella scuola italiana è, ad oggi, prerogativa solo di coloro che hanno conseguito la laurea triennale in Educazione Religiosa e la Laurea Magistrale in Pedagogia e Didattica della Religione o in altri corsi universitari approvati dalla Santa Sede, riconosciuti al paragrafo 4 dalle Intese MIUR-CEI del 1985 e del 2012 sull’Insegnamento della religione cattolica. Al momento, non è previsto l’insegnamento di nessun’altra religione, in modo così privilegiato come per il cattolicesimo, all’interno delle scuole pubbliche, nonostante le Intese che le varie minoranze religiose presenti sul territorio nazionale hanno siglato con lo Stato italiano, li riconoscano formalmente come ‘enti formatori’. Nessun insegnamento delle religioni del mondo, quindi, è possibile in Italia, né per gli storici delle religioni né per le comunità religiose, durante l’orario delle lezioni.
I dati pubblicati annualmente dall’apposito servizio della CEI sugli ‘avvalentesi della religione cattolica’, registrino negli ultimi anni un calo nell’adesione a questo insegnamento nelle scuole primarie e secondarie: se nel 2001 erano il 93,4% gli studenti che si avvalevano dell’Irc (l’Insegnamento della Religione Cattolica), nel 2007-08 sono scesi al 91%, al 90% del 2009-10 fino all’87,8% del 2014-15; il 90% di questi è nella scuola di base e del primo ciclo, l’81,6% nelle superiori. Altresì, è evidente la disparità geografica: nelle regioni del Nord, infatti, le percentuali dei ‘non avvalentesi’ si mantengono sensibilmente superiori alla media nazionale, attestandosi sul 17,8%, mentre al Sud non si supera il 2,3%, percentuale addirittura superiore alla rilevazione del triennio precedente (2,1%).
La situazione di stallo nello sviluppo di un insegnamento che vada a comprendere anche le altre culture religiose del mondo sembrerebbe essere da addebitare principalmente alla permanenza in vigore degli accordi sanciti tra lo Stato fascista e la Chiesa cattolica con i Patti Lateranensi del 1929 -in particolare con gli artt. 1 e 36- e la cosiddetta legge sui ‘culti ammessi’ (24 giugno 1929, n. 1159), accordi rivisti solo con il Concordato, detto Craxi-Casaroli, del 1984. Quest’ultimo, se ha fatto cadere gli articoli 1 e 36, ha, però, proposto una formula laica alquanto ambigua, che ha teso a confondere le idee più che chiarirle: «La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado. Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento», recita l’art. 30. Viene introdotto, quindi, per la prima volta il principio di non obbligatorietà dell’insegnamento della religione cattolica, ma, allo stesso tempo, viene legittimato con il riconoscimento della fondamentale portata culturale della storia del cristianesimo cattolico; il privilegio confessionale viene giustificato con ragioni storico-culturali. La Costituzione, altresì, non ha dissipato le ambiguità circa lo statuto di questo insegnamento: mentre afferma la laicità dello Stato e i principi di libertà religiosa e uguaglianza tra i cittadini (artt. 2,3,8,19,20) con l’art.7 cade in contraddizione: «lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi».
Fin qui il quadro costituzionale che circonda la problematica relativa all’insegnamento delle altre religioni nella scuola pubblica italiana. Se di attività ‘dal basso’, dalle Università, dalle associazioni o dalle comunità religiose ce ne sono state e ce ne sono a decine, vale la pena menzionare anche un paio di iniziative ‘dall’alto’, provenienti dalle Istituzioni, che vanno nella stessa direzione.
Il 16 settembre 2010 il deputato Giovanna Melandri avanza una proposta di legge (n. 3711), sottoscritta da alcuni rappresentanti delle diverse forze politiche sia della maggioranza che dell’opposizione, intitolata ‘Istituzione dell’insegnamento dell’ ‘Introduzione alle religioni’ nella scuola secondaria di primo grado e nella scuola secondaria superiore'; la proposta non è mai stata discussa in Parlamento, non ha avuto nessun seguito.
Il 7 marzo 2014, sulla scia degli attentati di Parigi e della pubblicazione dei dati sulla recente disaffezione degli studenti italiani per l’insegnamento della religione cattolica, i deputati del Movimento 5 Stelle, Vega Colonnese, Silvia Giordano e Roberto Fico presentano un’interrogazione parlamentare al Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini dove chiedono quale posizione intenda assumere rispetto all’ora di religione nelle scuole. L’interrogazione non ha ricevuto alcuna risposta da parte del Ministro.
Il 23 aprile 2015 viene istituita, all’interno del Ministero dell’Istruzione, accanto alla Commissione sull’Irc, la ‘Commissione sul pluralismo, la libertà e lo studio delle Scienze religiose nella scuola’ (COPLES), coordinata da Alberto Melloni, ordinario di storia del cristianesimo all’Università di Modena-Reggio Emilia e, nel 2015, Consigliere del Ministro dell’Istruzione Giannini; la Commissione all’atto della sua istituzione era composta da studiosi esperti di Islam, di Ebraismo, di Protestantesimo e, per la restante parte, la maggioranza, esperti di cattolicesimo o di diritto ecclesiastico.
Tale Commissione si è riunita per la prima volta il 12 maggio e dopo solo altre due volte; ad oggi, come ci spiega la professoressa Caterina Bori, “purtroppo la Commissione non viene riunita da più di un anno, né mi pare particolarmente attiva, né è stata ufficialmente disattivata. Tutto dipende dal professor Melloni che ne è a capo e convoca le riunioni. Con il cambio di Governo non so neppure se Melloni sia ancora il consulente del Ministro per l’Istruzione. Da quando è stata istituita si è riunita solo tre volte ed io ho partecipato a due di queste”.
Alberto Melloni spiega così il proprio punto di vista sulla questione dell’insegnamento: “Portare la storia delle religioni nelle classi medie inferiori e superiori è materia che ricade sul Parlamento, e non su una Commissione. Personalmente sono molto scettico sul fatto che la ‘storia delle religioni‘, che nei diversi Paesi europei ha profili epistemologici radicalmente diversi, sia la risposta all’analfabetismo religioso. Penso, piuttosto, che serva una buona storia del buddhismo, dell’ebraismo, del cristianesimo, dell’islam, dell’ateismo, là dove il corso di storia, letteratura, filosofia, diritto, sociologia, psicologia inciampa su questi temi nei quali i pregiudizi – dal più classico antisemitismo alla più tollerata islamofobia – dilagano con ancor più rapida presa”.
Aggiunge Melloni, riguardo alla professionalizzazione dei laureati in Scienze delle religioni, che “in ogni caso, la Commissione sta attendendo la rettifica del DPR 19/2016”, Decreto del Presidente della Repubblica del 14 febbraio 2016, in vigore dal 23/02/2016, sulla razionalizzazione e accorpamento delle classi di concorso a cattedre e posti di insegnamento, “nel quale sono state fissate la lauree specialistiche con le quali si va a concorso per la scuola: la laurea specialistica di Scienze delle religioni è stata espunta da 24 su 26 classi di concorso in cui l’avevamo iscritta; inoltre, per chi insegna a scuola non è previsto che debba sapere nulla di specialistico sulla conoscenza storico-religiosa delle storie e delle dottrine delle comunità di fede”.
La Commissione che dovrebbe indicare le strade su come realizzare il pluralismo religioso è composta, abbiamo visto, per 3/4 da studiosi di cristianesimo e da soli tre membri rappresentanti le altre culture religiose esistenti.
Sull’assenza di una richiesta di partecipazione di un portavoce buddhista -minoranza che in Italia conta 157.000 seguaci- si pronuncia Stefano Bettera, membro del Consiglio Direttivo dell’Unione Buddhista Italiana: “Il fatto che al momento siano seduti al tavolo soltanto confessioni monoteiste potrebbe essere dovuto al fatto che siamo ancora in una fase sperimentale, è un progetto del 2015, quindi praticamente nato ieri, spero che ci sia la volontà di aprire il tavolo anche alle altre confessioni religiose presenti sul territorio nazionale, non vedo perché non farlo. Anche perché, le Intese firmate dalle varie confessioni religiose con il Governo e lo Stato Italiano non si limitano a dire che si può fare una cosa del genere, dicono che si deve fare. Lo Stato deve assumersi l’onere di includere tutte le confessioni religiose ad un eventuale tavolo istituzionale, non è un optional, è un obbligo. Quando si firma l’Intesa con il Governo, il Governo ti riconosce come confessione religiosa presente sul territorio nazionale al pari di tutte le altre confessioni religiose. Quindi non può fare un tavolo che riguardi l’insegnamento delle religioni nelle scuole che coinvolga solo alcune confessioni, non può proprio farlo; è una discriminazione religiosa anche abbastanza grave. Mi auguro che questo sia solamente un elemento di costruzione di un percorso, diciamo che forse a causa di una mancanza di conoscenza, come spesso accade, questo tavolo si è istintivamente aperto alle confessioni che conosce di più. Mi auguro che ci sia la sensibilità di allargare questo tema e questo lavoro a tutti quanti. Noi non eravamo a conoscenza che esistesse questa Commissione, sono molto felice che sia stata istituita, sono dei passi importanti che il Governo fa, e mi auguro che questo porti ad un effettivo lavoro comune”.
Abbiamo chiesto anche al vice-presidente dell’Unione Induista Italiana, Svamini Hamsananda Giri, che pure ha firmato un’Intesa del tutto speculare a quella buddhista con lo Stato, come vede questa esclusione: “Ero a conoscenza di questa Commissione”, afferma Giri, “e ho anche incontrato il suo rappresentante, Alberto Melloni, perché è una cosa strana che in una Commissione del genere non siano presenti i rappresentanti di fede. Sono presenti solo porta voci delle religioni monoteiste, categoria che viene impropriamente applicata solo alle tre religioni abramitiche, mentre noi invece siamo politeisti, o almeno è questo che loro insegnano. Ecco da dove parte l’ignoranza. Non sono ottimista su questo campo”.
Molto più confortante è la situazione se guardata dal punto di vista delle iniziative attuate a livello locale, dai tavoli di confronto alle attività promosse dai Comuni italiani più lungimiranti.
Il 29 ottobre 2014 è stata convocata una tavola rotonda presso l’Università degli studi di Padova -uno dei due atenei, insieme a quello della Sapienza di Roma, ad offrire il corso di laurea in Scienze delle religioni- dal titolo ‘Una proposta educativa: storia delle religioni (o scienze delle religioni?) a scuola‘, promossa da Paolo Scarpi, Presidente del corso di Laurea Magistrale interateneo in Scienze delle Religioni che coinvolge le Università di Padova e di Venezia Ca’ Foscari. Tra i partecipanti sono intervenuti docenti di diverse aree di studio che afferiscono a varie università italiane, che hanno stilato un documento ufficiale.
Il 26 gennaio 2016 a Montecitorio si è tenuto il convegno dal titolo ‘Scuola&Religioni. Buone pratiche dell’offerta didattica e formativa della scuola pubblica italiana‘, organizzato dall’Associazione Benvenuti in Italia, al quale sono stati invitati i maggiori esperti sul tema, e tra questi anche Professor Alberto Melloni. Rispetto all’attività collegata al mondo della scuola, l’Associazione Benvenuti in Italia e gli studiosi intervenuti al Convegno si sono concentrati sulle modalità per rendere possibile l’attuazione di percorsi di storia delle religioni nelle ore di alternativa attraverso, sia la formazione dei formatori, sia la diposizione e diffusione di strumenti e materiali didattici; sull’attivazione di una ricerca che abbia come focus i libri di testo, che devono essere analizzati criticamente da un’equipe di professori e studiosi di discipline che hanno a oggetto la religione; e sulla riapertura del dibattito sull’insegnamento della religione cattolica.
Il 2 aprile 2016 si è tenuto a Torino al Circolo dei Lettori il convegno organizzato dal Centro Studi Calamandrei dal titolo ‘L’insegnamento della materia ‘storia delle religioni e del libero pensiero’ nella scuola‘. Tra gli organizzatori anche UVA-Universolaltro e la Fondazione Benvenuti in Italia. I rappresentanti delle istituzioni hanno dialogato nuovamente con Mariachiara Giorda e con Alberto Melloni, nel tentativo di trovare una sintesi che si possa trasformare in politiche pubbliche efficaci.
Un altro esempio di attività promosse ‘dal basso’ che testimonia, oltre alla forte volontà di riuscire a trovare un dialogo con le istituzioni, anche l’estrema concretezza e praticità delle soluzioni proposte è il Progetto IERS, (Intercultural Education Through Religious Studies) iniziativa biennale avviata nel dicembre 2013, grazie al finanziamento europeo del Lifelong Learning Programme – Comenius Multilateral Project (a cui è stata chiesta e accettata un’estensione fino al 31 Aprile 2016) e coordinato dall‘Università Ca‘ Foscari di Venezia, attraverso il Dipartimento di Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea. Lo scopo principale del progetto IERS è quello di costruire e sperimentare degli strumenti didattici identificati come Moduli Digitali, che combinano le tecnologie informatiche ai più recenti studi in ambito di storia delle religioni, per offrire una panoramica strutturata attraverso un percorso storico e comparativo su diverse tradizioni religiose. I destinatari sono gli insegnanti di scuola media superiore di materie storiche, sociali, letterarie, artistiche, filosofiche, religiose, affinché completino le loro lezioni curricolari con elementi di storia delle religioni.
Con Torino, Padova, Venezia e Roma, anche Milano è in prima linea in quanto alla promozione di attività che favoriscano l’integrazione e la cultura religiosa nelle scuole, ci dice Stefano Bettera: “A Milano, e non so se anche in altre città d’Italia, ma non credo onestamente, è stato fatto, in questi due anni, un percorso voluto dal Comune di Milano, che ha istituito il Tavolo delle Comunità religiose e, a fronte di questo, dei percorsi di insegnamento delle religioni altre rispetto al cattolicesimo nelle scuole e questo percorso ha visto partecipare l’Unione Buddhista Italiana e i centri e i monasteri buddhisti presenti sulla città di Milano tramite l’insegnamento della meditazione nelle scuole. C’è da dire che in alcune scuole della periferia di Milano la presenza di bambini che arrivano da paesi di cultura e di religione buddhista è abbastanza ingente: faccio un esempio, nella zona sud di Milano è presente una comunità cingalese buddhista di circa 40.000 persone, che è la comunità che frequento io”.
Una delle problematiche che viene più frequentemente sollevata dai membri delle comunità religiose riguardo l’insegnamento di elementi della storia della loro fede religiosa riguarda le lacune e i pregiudizi presenti nei testi scolastici; come fa notare Davide Romano, portavoce della sinagoga Beth Shlomo di Milano, a proposito della storia dell’ebraismo: “È difficile per uno studente capire chi sono gli ebrei, se va bene ha letto qualcosa dalla Bibbia, sa che gli ebrei erano schiavi in Egitto e sa che c’è stato un primo Stato d’Israele tramite la conoscenza della figura di re Davide o di re Salomone. Dopo questo si assiste ad un salto temporale per cui gli ebrei scompaiono dai libri di storia per 2000 anni per ricomparire all’improvviso nel 1930-1940 per essere perseguitati dal nazifascismo. Il popolo ebraico scompare dai libri di storia per 2000 anni e questo è un peccato per tutti”.
Dall’altra parte, c’è anche chi non accetterebbe un insegnamento storico-religioso della propria confessione, e, in questo senso, le maggiori resistenze provengono tanto dal mondo cattolico -per cui l’insegnamento è riservato ad insegnanti uscenti dalle Facoltà Teologiche- quanto, per esempio, da quello induista. Il vice-presidente dell’Unione Induista Italiana afferma: “La questione dell’insegnamento delle religioni a scuola è problematica per due motivi. Il primo, perché l’induismo è visto dall’Occidente con un sacco di pregiudizi e con una visione eurocentrica ed è divulgato nei testi di scuola con troppi errori; noi stiamo lavorando con il Miur da tanti anni su questo fronte perché, purtroppo, queste tematiche non sono errate solo alle elementari ma si diffondono persino nelle università e quindi questo vuol dire che la formazione di coloro che devono insegnare la storia delle religioni già è errata. Questo, secondo noi, è il primo problema: abbiamo dei testi che non sono scritti da induisti e quindi possono essere manipolati dagli storici e dagli studiosi dando una visione dell’induismo in termini di inferiorità, di panteismo e di politeismo. Ed eccoci al secondo problema: la religione non è una questione di storia, la religione è la materia dello spirito di una comunità vivente, allo stesso modo, io non posso sostituire la storia della matematica alla matematica perché non imparerei a fare le operazioni. La religione, quando è data motivo di studio, motivo di critica, è una materia molto pericolosa, può fare dei danni molto grossi, e questo è vero soprattutto per le religioni orientali, che non hanno una storia qui in Occidente. Io lo ritengo un tema molto delicato, che deve essere affrontato con una stretta collaborazione della comunità religiosa, tramite l’ascolto e il rispetto delle diverse comunità perché la sensibilità religiosa può far assumere anche atteggiamenti molto pericolosi e negativi; come stiamo vedendo oggi, i costumi occidentali possono infastidire un certo tipo di persone”.
Come si evince è, quindi, molto ampio il ventaglio delle proposte e delle attività che nascono e si sviluppano sul suolo italiano, soprattutto ‘dal basso’ ormai da tempo. Il problema è sicuramente di natura istituzionale, poiché non esiste una legge che sancisca questo tipo di insegnamento, ma non solo. Parlando di religioni, è complicato fare una legge che metta d’accordo tutti gli attori in campo, siano essi studiosi o ministri di culto. Si tratta di percorso accidentato sia per colpa delle forze politiche e delle Istituzioni sia, anche, per responsabilità di coloro che dovrebbero beneficiare dell’introduzione di un valido insegnamento, alcuni dei quali tendono a confondere il catechismo con la storia delle religioni.