Spiritualità e religiosità non sono la stessa cosa

Re: Spirtoałetà e rełijoxetà no łe xe ła mema roba

Messaggioda Berto » sab gen 07, 2017 10:23 pm

Anca a ƚe bestie ghe piaxe l’ebrèsa/ivrèsa e l’estaxi
viewtopic.php?f=142&t=1257
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Spirtoałetà e rełijoxetà no łe xe ła mema roba

Messaggioda Berto » gio gen 12, 2017 9:43 pm

???

"L'occidente è diventato la tomba di Dio". Il j'accuse dal cardinale Sarah
"La cultura occidentale si è organizzata come se Dio non esistesse. Siamo noi ad averlo ucciso. L'uomo non sa più né chi sia né dove vada". Il testo completo sull'ultimo numero di Vita e Pensiero
Matteo Matzuzzi
12 Gennaio 2017

http://www.ilfoglio.it/chiesa/2017/01/1 ... w.facebook

"La vera crisi che attraversa ora il nostro mondo non è essenzialmente economica o politica, ma è una crisi di Dio e nello stesso tempo una crisi antropologica", scrive il cardinale Robert Sarah prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, in una riflessione pubblicata sull'ultimo numero della rivista Vita e Pensiero, oggi in uscita. "Certo, oggi si parla solo di quella economica: nello sviluppo della potenza dell'Europa – dopo i suoi orientamenti originali più etici e religiosi – l'interesse economico è diventato determinante, in modo sempre più esclusivo".

Il silenzio di Dio
L’uomo postmoderno non comprende più la misteriosa eternità divina. Senza rumore cade in un’inquietudine sorda e lancinante. Il nuovo libro del cardinale Robert Sarah.

"La cultura occidentale – scrive Sarah – si è progressivamente organizzata come se Dio non esistesse: molti oggi hanno deciso di fare a meno di Dio. Come afferma Nietzsche, per molti, in occidente, Dio è morto. E siamo noi ad averlo ucciso, noi siamo i suoi assassini e le nostre chiese sono le cripte e le tombe di Dio. Un buon numero di fedeli non le frequentano più, non vanno più in chiesa, per evitare di sentire la putrefazione di Dio; ma così facendo, l'uomo non sa più né chi sia né dove vada: vi è una sorta di ritorno al paganesimo e all'idolatria; la scienza, la tecnologia, il denaro, il potere, il successo, la libertà a oltranza, i piaceri senza limiti sono, oggi, i nostri dei".

La preghiera è silenzio, il troppo rumore allontana l'uomo da Dio
"Non si può che restare impressionati dal silenzio di Gesù di fronte al Sinedrio, al governatore romano Pilato e al re Erode. Il vero e buon silenzio appartiene sempre a chi vuole lasciare il proprio posto agli altri, e soprattutto al totalmente altro, a Dio". Il cardinale prefetto della Congregazione per il Culto divino riflette sul valore dell'ascesi cristiana.

È dunque necessario mutare prospettiva, spiega il cardinale guineano: "Dobbiamo ricordare che in Dio 'viviamo, ci muoviamo ed esistiamo' (At 17,28). In Lui, tutto sussiste. Egli è il Principio, sede di ogni Pienezza, ci dice san Paolo; fuori di Lui, nulla regge: ogni cosa ritrova in Dio il proprio essere e la propria verità, ovvero è Dio o niente. Certo, esistono problemi enormi, situazioni spesso dolorose, un'esistenza umana difficile e angosciante; eppure dobbiamo riconoscere che è Dio a dare senso a ogni cosa. Le nostre preoccupazioni, i nostri problemi, le nostre sofferenze esistono e ci preoccupano, ma sappiamo che tutto si risolve in Lui, sappiamo che è Dio o niente, e lo percepiamo come un'evidenza che si impone a noi non dall'esterno, ma dall'interno dell'anima, perché l'amore non si impone con la violenza, ma seducendo il cuore con una luce interiore".


Questo idolatra presuntuoso confonde D-o con gli idoli delle religioni. Costui è di quelli che santificano il terrorista assassino Maometto e che lo definiscono benefattore dell'umanità e l'Islam come grande religione di pace e di fraternità al pari del cristianismo con il quale condividerebbero lo stesso Dio.
Ditemi voi se si possa trattare di D-o oppure se si tratta soltanto di un medesimo idolo.
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Re: Spirtoałetà e rełijoxetà no łe xe ła mema roba

Messaggioda Berto » gio gen 12, 2017 10:39 pm

???

Il silenzio di Dio
L’uomo postmoderno non comprende più la misteriosa eternità divina. Senza rumore cade in un’inquietudine sorda e lancinante. Il nuovo libro del cardinale Robert Sarah.
Matteo Matzuzzi
9 Ottobre 2016

http://www.ilfoglio.it/chiesa/2016/10/0 ... dio-105069

“Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo corso, la tua parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio, portando, come spada affilata, il tuo ordine inesorabile” (Sapienza 18,14)

"Io grido a te ma tu non mi rispondi, insisto ma tu non mi dai retta”, urla Giobbe contro quel Dio che aveva servito e riverito e dal quale era stato messo alla prova, piagato nel corpo, lasciato quasi solo al mondo. È l’imprecazione dell’uomo, umanissima, naturale. Disperata e disarmata dinanzi a quel silenzio incomprensibile. Gustave Flaubert ha elevato quelle pagine alla cosa più bella mai letta nella vita; Benedetto XVI, varcando i confini di Auschwitz, dieci anni fa, chiedeva conto a Dio del perché avesse taciuto davanti al lungo camino che lavorava indefesso nel compiere lo sterminio voluto da mano umana. Al silenzio (dell’uomo, di Dio, dell’uomo davanti a Dio e di Dio davanti all’uomo) il cardinale Robert Sarah ha dedicato il suo ultimo libro, pubblicato qualche giorno fa in Francia ed edito da Fayard, La forza del silenzio. Contro la dittatura del rumore, una conversazione con Nicolas Diat, con il quale aveva già firmato Dio o niente (2015). Il Dio silenzioso, che non parla né interviene nelle cose di questo mondo in modo palese è anche la più ovvia delle giustificazioni per quanti ne negano l’esistenza, professandosi banalmente agnostici o rifacendosi a dotte elucubrazioni kantiane.

Il silenzio è un tema complesso che ha scandagliato l’anima dei padri della chiesa fin dai primi tempi, che ha angustiato filosofi credenti e atei, posto interrogativi e indotto a pensare. Soren Kierkegaard – citato ampiamente nel volume – vi dedicò pagine stupende, basti pensare all’indagine sul silenzio di Abramo, angosciante e sofferente. “Devo umilmente riconoscere che ho balbettato di fronte a un così grande mistero”, scrive Sarah. “Chi potrebbe parlare del silenzio, e soprattutto di Dio, in una forma adeguata? Possiamo tentare di parlare di Dio solo a partire dalla nostra propria esperienza di silenzio. Perché Dio è avvolto nel silenzio e si rivela nel silenzio interiore del nostro cuore”. Nel cuore dell’uomo c’è “un silenzio innato, perché Dio abita nel profondo di ogni persona. Dio è silenzio, e questo silenzio divino abita l’uomo. In Dio, noi siamo inseparabilmente legati al silenzio. La chiesa può affermare che l’umanità è figlia di un Dio silenzioso”. Un silenzio che, scriveva Thomas Merton, può essere insopportabile ed è proprio qui che sta la più grande difficoltà dell’uomo: cercare Dio nel (e con il) silenzio. È qui che gioca un ruolo determinante la fede, perché “il silenzio divino è una rivelazione misteriosa”. Si torna al punto di partenza, al tentativo di comprendere quel silenzio nel dramma dell’umanità. Elie Wiesel scrisse che per lui Auschwitz non fu solo uno scandalo umano ma anche teologico: come è stato possibile, dov’era Dio mentre i treni piombati entravano nel campo polacco? Il filosofo tedesco di religione ebraica Hans Jonas ha tentato di rispondere con argomentazioni alte e sopraffini, concludendo che Dio non può essere onnipotente, avendo la libertà umana in fondo la possibilità di fermare la mano divina.

“Ma se Dio rinuncia alla potenza, allora non è Dio”, scrive Sarah. “L’infinito di Dio non è un infinito nello spazio, un oceano senza fondo e senza sponde”. Dio – osserva il cardinale – “non è indifferente al male. In primo luogo, possiamo credere che Dio permetta il male per distruggere gli uomini. Ma se Dio tace, soffre con noi per il male che ha lacerato e sfigurato la terra. Se cerchiamo di essere con Dio nel silenzio, si capisce la sua presenza e l’amore”. L’uomo è ansioso di dare una risposta alle difficoltà, alle sofferenze, ai disastri che si abbattono sull’umanità. Da sempre è così, fino dai tempi di Giobbe. “Ma ci dimentichiamo che l’origine dei nostri mali nasce dall’illusione che siamo qualcosa di diverso dalla polvere. L’uomo che si fa divinità non vuole riconoscere che è un mortale”. Giovanni Paolo II disse che “il silenzio divino è spesso motivo di perplessità e persino di scandalo, tuttavia non si tratta di un silenzio che indica un’assenza, quasi che la storia sia lasciata in mano ai perversi e il Signore rimanga indifferente e impassibile”. In realtà, chiosava Karol Wojtyla, “quel tacere sfocia in una reazione simile al travaglio di una partoriente che s’affanna, sbuffa e urla. E’ il giudizio divino sul male, raffigurato con immagini di aridità, distruzione, deserto, che ha come meta un risultato vivo e fecondo”.

Il fatto è che “molti dei nostri contemporanei non possono accettare il silenzio di Dio. Non ammettono che sia possibile entrare in comunicazione in modo diverso che non siano le parole, i gesti o le azioni concrete e visibili”. Ma “Dio parla attraverso il silenzio”. Il suo silenzio è una parola. Per comprenderlo, oggi, si deve salire su qualche eremo isolato o calpestare le pietre fredde di vecchi monasteri – sempre più rari – rimasti quasi uguali nei secoli. O ancora, scalare le vette montane, come suggeriva Giovanni Paolo II, per accorgersi che Dio effettivamente esiste, ché quella beltà non può che derivare dal disegno misterioso e affascinante del Creatore.

“Credo che noi siamo le vittime della superficialità, dell’egoismo e dello spirito mondano. Ci perdiamo in lotte per stabilire l’influenza, in conflitti tra persone, in un narcisistico e vano attivismo”, ha detto il cardinale Robert Sarah in una recente intervista concessa alla Nef. “Ci gonfiamo di orgoglio e di pretese, prigionieri di una volontà di potenza. Per cercare titoli, incarichi professionali o ecclesiastici accettiamo compromessi vili. Ma tutto ciò passa, come il fumo. Nel mio libro – aggiunge – ho voluto invitare i cristiani e le persone di buona volontà a entrare nel silenzio. Senza di esso, ci troviamo in un’illusione. L’unica realtà che merita la nostra attenzione è Dio stesso, e Dio tace. Aspetta il nostro silenzio per rivelare se stesso”. Anche per questo, scrive ne La forza del silenzio, “è necessario uscire dal tumulto interiore per trovare Dio. Nonostante i turbamenti, il consumismo, i piaceri facili, Dio resta silenziosamente presente. E’ in noi come un pensiero, una parola e una presenza le cui fonti segrete sono nascoste nello stesso Dio, inaccessibili agli occhi umani”.

C’è un paradosso, se si vuole considerarlo tale, nell’invocare la solitudine, l’isolamento da tutto per ritrovare se stessi e gli altri. “La solitudine è lo stato migliore per trovare il silenzio di Dio. Per chi vuole trovare il silenzio, la solitudine è la montagna che deve essere scalata”. Un’impresa, insomma. Perché oggi, e Sarah lo ripete più volte, “i poteri mondani che cercano di plasmare l’uomo moderno scartano metodicamente il silenzio”. In un mondo ipertecnologico come quello contemporaneo, come è possibile trovare questo silenzio? Non è questione di iscriversi a corsi per sconnettersi da internet né di spegnere per qualche ora lo smartphone che spesso fa percepire come vere e reali relazioni che in realtà sono meramente virtuali. “Abbiamo la sensazione che il silenzio sia divenuto un’oasi inattingibile. Senza rumore, l’uomo postmoderno cade in una inquietudine sorda e lancinante. E’ abituato a un rumore di fondo permanente, che lo rende malato e lo rassicura”.

Senza rumore, aggiunge il cardinale prefetto del Culto divino e la disciplina dei sacramenti, l’uomo pare perduto. Il rumore lo rassicura, come una droga da cui è divenuto dipendente. L’agitazione diviene un tranquillante, un sedativo, una dose di morfina, una forma di sogno, d’onirismo senza consistenza”. Uno stato che fa perdere i riferimenti vitali e necessari e ancora di più il contatto con Dio, con la preghiera. “Il nostro mondo non comprende più Dio perché parla continuamente, a un ritmo e a una velocità della luce, per non dire niente. La civiltà moderna non sa tacere, nega il passato e vede il presente come un vile oggetto di consumo. Guarda l’avvenire attraverso le ragioni di un progresso quasi ossessivo”. C’è l’illusione che con “le manifestazioni esteriori”, osserva il cardinale, si abbia la prova della prossimità divina: ma “i nostri amici più vicini, a volte, sono lontani da noi, impediti dall’amarci”.

In uno scritto pubblicato all’inizio dell’anno, Sarah osservava che “in senso negativo il silenzio è l’assenza di rumore. Può essere esteriore o interiore”. Nel corso della sua visita a Sulmona, nel luglio del 2010, Benedetto XVI aveva riflettuto proprio su questo punto, sottolineando come noi “viviamo in una società in cui ogni spazio, ogni momento sembra debba essere riempito da iniziative, da attività, da suoni; spesso non c’è il tempo neppure per ascoltare e per dialogare. Non abbiamo paura di fare silenzio fuori e dentro di noi, se vogliamo essere capaci non solo di percepire la voce di Dio, ma anche la voce di chi ci sta accanto, la voce degli altri”.

La riflessione di Robert Sarah si sposta sull’occidente, incapace di godere del silenzio e quindi di pregare. Lui, uomo d’un piccolo villaggio della Guinea che proprio in un monastero francese si è convinto sempre di più di quanto il silenzio orante sia svanito, portandosi dietro molto dell’eredità che aveva reso grande e prospero il cristianesimo nel Vecchio mondo. Senza silenzio si perde anche il senso del sacro, scrive oggi. E’ sufficiente guardare, in molte realtà grandi e piccole, lo stato della liturgia, gli abusi e le frequenti “autocelebrazioni di preti che entrano in chiesa trionfalmente”. Silenzio e sacro: i due aspetti sono connessi, se cade uno cade anche l’altro. L’aveva già rimarcato qualche mese fa, auspicando anche una riscoperta della pratica ascetica, divenuta ormai cosa per pochi eletti. L’ascesi, “una parola estranea alla nostra società consumistica che spaventa i nostri contemporanei, compresi anche i cristiani, che subiscono l’influenza dello spirito mondano è un mezzo indispensabile che ci aiuta a togliere dalla nostra esistenza tutto quanto l’appesantisce, vale a dire ciò che ostacola la nostra vita spirituale o interiore, e che dunque costituisce un ostacolo per la preghiera. Ed è proprio nella preghiera che Dio ci comunica la sua Vita, ossia manifesta la sua presenza nella nostra anima, irrigandola con i flutti del suo Amore trinitario: il Padre attraverso il Figlio nello Spirito Santo. E la preghiera è essenzialmente silenzio”.

Oggi, invece, si moltiplicano le “immense celebrazioni eucaristiche composte da migliaia e migliaia di partecipanti” che altro non fanno se non favorire il pericolo di “trasformare l’eucaristia, il grande mistero della fede, in una banale kermesse”, scrive il cardinale. “I preti che distribuiscono le sacre specie non conoscono nessuno e danno il corpo di Gesù a tutti, senza discernimento tra i cristiani e i non cristiani, partecipano alla profanazione del santo sacrificio eucaristico”. Il risultato di queste “gigantesche e ridicole autocelebrazioni” è che “davvero pochi comprendono che ‘voi annunciate la morte del Signore affinché egli venga’”. Di nuovo, serve silenzio. “Non illudiamoci. Questa è la cosa veramente urgente: riscoprire il senso di Dio”, ha aggiunto ancora alla Nef: “Il Padre si lascia avvicinare solo nel silenzio. Ciò di cui la chiesa ha più bisogno oggi non è una riforma amministrativa, un altro programma pastorale, un cambiamento strutturale. Il programma c’è già: è quello che abbiamo sempre avuto, tratto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. È centrato su Cristo stesso, che dobbiamo conoscere, amare e imitare, per vivere in Lui e per Lui, per trasformare il nostro mondo che è degradato, perché gli esseri umani vivono come se Dio non esistesse”.
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Re: Spirtoałetà e rełijoxetà no łe xe ła mema roba

Messaggioda Berto » sab gen 14, 2017 6:23 pm

Storia delle religioni a scuola? ecco perchè no
Ne discutiamo con Alberto Melloni, Caterina Bori, Davide Romano, Stefano Bettera e Svamini Hamsananda Giri
giovedì 12 gennaio 2017

http://www.lindro.it/storia-delle-relig ... -perche-no

Da decenni ormai si assiste ad una proliferazione di iniziative, tavole rotonde, dialoghi con le Istituzioni con l’obiettivo di portare la storia delle religioni sui banchi delle scuole, per rispondere alle esigenze di una società sempre più plurale e diversificata, onde evitare di lasciare che siano i pregiudizi e le incomprensioni a strutturare il pensiero sul ‘diverso’.

I cattolici battezzati in Italia sono 58.769.882, secondo il Cesnur (il Centro Studi sulle Nuove Religioni in Italia), mentre le minoranze religiose compongono il 3,2% della popolazione totale e sono così suddivise: Ebrei 36.256 (2.0%), Ortodossi 212.318 (11.9%), Protestanti 450.392 (25.3%), Testimoni di Geova 424.259 (23.8%), Musulmani 302.090 (17%), Induisti 35.672 (2,0%), Buddhisti 157.011 (8.8%).

Ad oggi, all’interno delle scuole pubbliche italiane è previsto soltanto l’insegnamento della religione cattolica, insegnamento facoltativo e operato da un insegnante approvato dalla Santa Sede. L’insegnamento delle altre religioni e della loro storia è lasciato alla libera iniziativa del singolo insegnante, il quale, però, non ha spesso le conoscenze adatte.

Se guardiamo all’insegnamento universitario, vediamo altresì che in Italia sono presenti corsi di laurea, sia triennali che specialistici, denominati ‘Scienze delle religioni’ che formano specialisti nella comprensione del ‘fatto religioso’ tramite un approccio interdisciplinare, a metà strada fra la storia, l’antropologia, la filosofia e la sociologia. Oggi i laureati in queste discipline sono riconosciuti idonei dal Ministero dell’Istruzione ad insegnare Storia e Filosofia nelle classi superiori, grazie al recente DPR del 14 febbraio 2016, n. 19, che ha corretto la precedente legge del 6 agosto 2008, n. 133. Precedentemente, infatti, ai laureati magistrali in Scienze delle religioni era riservato esclusivamente -e inspiegabilmente, secondo gli addetti ai lavori- l’insegnamento di Geografia e Storia dell’arte nelle scuole secondarie, insegnamento possibile solo dopo aver conseguito un cospicuo numero di crediti extra, non essendo né la geografia né la storia dell’arte materie presenti tra gli esami del corso di laurea in Storia delle religioni.
L’insegnamento della religione nella scuola italiana è, ad oggi, prerogativa solo di coloro che hanno conseguito la laurea triennale in Educazione Religiosa e la Laurea Magistrale in Pedagogia e Didattica della Religione o in altri corsi universitari approvati dalla Santa Sede, riconosciuti al paragrafo 4 dalle Intese MIUR-CEI del 1985 e del 2012 sull’Insegnamento della religione cattolica. Al momento, non è previsto l’insegnamento di nessun’altra religione, in modo così privilegiato come per il cattolicesimo, all’interno delle scuole pubbliche, nonostante le Intese che le varie minoranze religiose presenti sul territorio nazionale hanno siglato con lo Stato italiano, li riconoscano formalmente come ‘enti formatori’. Nessun insegnamento delle religioni del mondo, quindi, è possibile in Italia, né per gli storici delle religioni né per le comunità religiose, durante l’orario delle lezioni.

I dati pubblicati annualmente dall’apposito servizio della CEI sugli ‘avvalentesi della religione cattolica’, registrino negli ultimi anni un calo nell’adesione a questo insegnamento nelle scuole primarie e secondarie: se nel 2001 erano il 93,4% gli studenti che si avvalevano dell’Irc (l’Insegnamento della Religione Cattolica), nel 2007-08 sono scesi al 91%, al 90% del 2009-10 fino all’87,8% del 2014-15; il 90% di questi è nella scuola di base e del primo ciclo, l’81,6% nelle superiori. Altresì, è evidente la disparità geografica: nelle regioni del Nord, infatti, le percentuali dei ‘non avvalentesi’ si mantengono sensibilmente superiori alla media nazionale, attestandosi sul 17,8%, mentre al Sud non si supera il 2,3%, percentuale addirittura superiore alla rilevazione del triennio precedente (2,1%).

La situazione di stallo nello sviluppo di un insegnamento che vada a comprendere anche le altre culture religiose del mondo sembrerebbe essere da addebitare principalmente alla permanenza in vigore degli accordi sanciti tra lo Stato fascista e la Chiesa cattolica con i Patti Lateranensi del 1929 -in particolare con gli artt. 1 e 36- e la cosiddetta legge sui ‘culti ammessi’ (24 giugno 1929, n. 1159), accordi rivisti solo con il Concordato, detto Craxi-Casaroli, del 1984. Quest’ultimo, se ha fatto cadere gli articoli 1 e 36, ha, però, proposto una formula laica alquanto ambigua, che ha teso a confondere le idee più che chiarirle: «La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado. Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento», recita l’art. 30. Viene introdotto, quindi, per la prima volta il principio di non obbligatorietà dell’insegnamento della religione cattolica, ma, allo stesso tempo, viene legittimato con il riconoscimento della fondamentale portata culturale della storia del cristianesimo cattolico; il privilegio confessionale viene giustificato con ragioni storico-culturali. La Costituzione, altresì, non ha dissipato le ambiguità circa lo statuto di questo insegnamento: mentre afferma la laicità dello Stato e i principi di libertà religiosa e uguaglianza tra i cittadini (artt. 2,3,8,19,20) con l’art.7 cade in contraddizione: «lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi».

Fin qui il quadro costituzionale che circonda la problematica relativa all’insegnamento delle altre religioni nella scuola pubblica italiana. Se di attività ‘dal basso’, dalle Università, dalle associazioni o dalle comunità religiose ce ne sono state e ce ne sono a decine, vale la pena menzionare anche un paio di iniziative ‘dall’alto’, provenienti dalle Istituzioni, che vanno nella stessa direzione.

Il 16 settembre 2010 il deputato Giovanna Melandri avanza una proposta di legge (n. 3711), sottoscritta da alcuni rappresentanti delle diverse forze politiche sia della maggioranza che dell’opposizione, intitolata ‘Istituzione dell’insegnamento dell’ ‘Introduzione alle religioni’ nella scuola secondaria di primo grado e nella scuola secondaria superiore'; la proposta non è mai stata discussa in Parlamento, non ha avuto nessun seguito.

Il 7 marzo 2014, sulla scia degli attentati di Parigi e della pubblicazione dei dati sulla recente disaffezione degli studenti italiani per l’insegnamento della religione cattolica, i deputati del Movimento 5 Stelle, Vega Colonnese, Silvia Giordano e Roberto Fico presentano un’interrogazione parlamentare al Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini dove chiedono quale posizione intenda assumere rispetto all’ora di religione nelle scuole. L’interrogazione non ha ricevuto alcuna risposta da parte del Ministro.

Il 23 aprile 2015 viene istituita, all’interno del Ministero dell’Istruzione, accanto alla Commissione sull’Irc, la ‘Commissione sul pluralismo, la libertà e lo studio delle Scienze religiose nella scuola’ (COPLES), coordinata da Alberto Melloni, ordinario di storia del cristianesimo all’Università di Modena-Reggio Emilia e, nel 2015, Consigliere del Ministro dell’Istruzione Giannini; la Commissione all’atto della sua istituzione era composta da studiosi esperti di Islam, di Ebraismo, di Protestantesimo e, per la restante parte, la maggioranza, esperti di cattolicesimo o di diritto ecclesiastico.

Tale Commissione si è riunita per la prima volta il 12 maggio e dopo solo altre due volte; ad oggi, come ci spiega la professoressa Caterina Bori, “purtroppo la Commissione non viene riunita da più di un anno, né mi pare particolarmente attiva, né è stata ufficialmente disattivata. Tutto dipende dal professor Melloni che ne è a capo e convoca le riunioni. Con il cambio di Governo non so neppure se Melloni sia ancora il consulente del Ministro per l’Istruzione. Da quando è stata istituita si è riunita solo tre volte ed io ho partecipato a due di queste”.

Alberto Melloni spiega così il proprio punto di vista sulla questione dell’insegnamento: “Portare la storia delle religioni nelle classi medie inferiori e superiori è materia che ricade sul Parlamento, e non su una Commissione. Personalmente sono molto scettico sul fatto che la ‘storia delle religioni‘, che nei diversi Paesi europei ha profili epistemologici radicalmente diversi, sia la risposta all’analfabetismo religioso. Penso, piuttosto, che serva una buona storia del buddhismo, dell’ebraismo, del cristianesimo, dell’islam, dell’ateismo, là dove il corso di storia, letteratura, filosofia, diritto, sociologia, psicologia inciampa su questi temi nei quali i pregiudizi – dal più classico antisemitismo alla più tollerata islamofobia – dilagano con ancor più rapida presa”.
Aggiunge Melloni, riguardo alla professionalizzazione dei laureati in Scienze delle religioni, che “in ogni caso, la Commissione sta attendendo la rettifica del DPR 19/2016”, Decreto del Presidente della Repubblica del 14 febbraio 2016, in vigore dal 23/02/2016, sulla razionalizzazione e accorpamento delle classi di concorso a cattedre e posti di insegnamento, “nel quale sono state fissate la lauree specialistiche con le quali si va a concorso per la scuola: la laurea specialistica di Scienze delle religioni è stata espunta da 24 su 26 classi di concorso in cui l’avevamo iscritta; inoltre, per chi insegna a scuola non è previsto che debba sapere nulla di specialistico sulla conoscenza storico-religiosa delle storie e delle dottrine delle comunità di fede”.

La Commissione che dovrebbe indicare le strade su come realizzare il pluralismo religioso è composta, abbiamo visto, per 3/4 da studiosi di cristianesimo e da soli tre membri rappresentanti le altre culture religiose esistenti.

Sull’assenza di una richiesta di partecipazione di un portavoce buddhista -minoranza che in Italia conta 157.000 seguaci- si pronuncia Stefano Bettera, membro del Consiglio Direttivo dell’Unione Buddhista Italiana: “Il fatto che al momento siano seduti al tavolo soltanto confessioni monoteiste potrebbe essere dovuto al fatto che siamo ancora in una fase sperimentale, è un progetto del 2015, quindi praticamente nato ieri, spero che ci sia la volontà di aprire il tavolo anche alle altre confessioni religiose presenti sul territorio nazionale, non vedo perché non farlo. Anche perché, le Intese firmate dalle varie confessioni religiose con il Governo e lo Stato Italiano non si limitano a dire che si può fare una cosa del genere, dicono che si deve fare. Lo Stato deve assumersi l’onere di includere tutte le confessioni religiose ad un eventuale tavolo istituzionale, non è un optional, è un obbligo. Quando si firma l’Intesa con il Governo, il Governo ti riconosce come confessione religiosa presente sul territorio nazionale al pari di tutte le altre confessioni religiose. Quindi non può fare un tavolo che riguardi l’insegnamento delle religioni nelle scuole che coinvolga solo alcune confessioni, non può proprio farlo; è una discriminazione religiosa anche abbastanza grave. Mi auguro che questo sia solamente un elemento di costruzione di un percorso, diciamo che forse a causa di una mancanza di conoscenza, come spesso accade, questo tavolo si è istintivamente aperto alle confessioni che conosce di più. Mi auguro che ci sia la sensibilità di allargare questo tema e questo lavoro a tutti quanti. Noi non eravamo a conoscenza che esistesse questa Commissione, sono molto felice che sia stata istituita, sono dei passi importanti che il Governo fa, e mi auguro che questo porti ad un effettivo lavoro comune”.

Abbiamo chiesto anche al vice-presidente dell’Unione Induista Italiana, Svamini Hamsananda Giri, che pure ha firmato un’Intesa del tutto speculare a quella buddhista con lo Stato, come vede questa esclusione: “Ero a conoscenza di questa Commissione”, afferma Giri, “e ho anche incontrato il suo rappresentante, Alberto Melloni, perché è una cosa strana che in una Commissione del genere non siano presenti i rappresentanti di fede. Sono presenti solo porta voci delle religioni monoteiste, categoria che viene impropriamente applicata solo alle tre religioni abramitiche, mentre noi invece siamo politeisti, o almeno è questo che loro insegnano. Ecco da dove parte l’ignoranza. Non sono ottimista su questo campo”.

Molto più confortante è la situazione se guardata dal punto di vista delle iniziative attuate a livello locale, dai tavoli di confronto alle attività promosse dai Comuni italiani più lungimiranti.

Il 29 ottobre 2014 è stata convocata una tavola rotonda presso l’Università degli studi di Padova -uno dei due atenei, insieme a quello della Sapienza di Roma, ad offrire il corso di laurea in Scienze delle religioni- dal titolo ‘Una proposta educativa: storia delle religioni (o scienze delle religioni?) a scuola‘, promossa da Paolo Scarpi, Presidente del corso di Laurea Magistrale interateneo in Scienze delle Religioni che coinvolge le Università di Padova e di Venezia Ca’ Foscari. Tra i partecipanti sono intervenuti docenti di diverse aree di studio che afferiscono a varie università italiane, che hanno stilato un documento ufficiale.
Il 26 gennaio 2016 a Montecitorio si è tenuto il convegno dal titolo ‘Scuola&Religioni. Buone pratiche dell’offerta didattica e formativa della scuola pubblica italiana‘, organizzato dall’Associazione Benvenuti in Italia, al quale sono stati invitati i maggiori esperti sul tema, e tra questi anche Professor Alberto Melloni. Rispetto all’attività collegata al mondo della scuola, l’Associazione Benvenuti in Italia e gli studiosi intervenuti al Convegno si sono concentrati sulle modalità per rendere possibile l’attuazione di percorsi di storia delle religioni nelle ore di alternativa attraverso, sia la formazione dei formatori, sia la diposizione e diffusione di strumenti e materiali didattici; sull’attivazione di una ricerca che abbia come focus i libri di testo, che devono essere analizzati criticamente da un’equipe di professori e studiosi di discipline che hanno a oggetto la religione; e sulla riapertura del dibattito sull’insegnamento della religione cattolica.
Il 2 aprile 2016 si è tenuto a Torino al Circolo dei Lettori il convegno organizzato dal Centro Studi Calamandrei dal titolo ‘L’insegnamento della materia ‘storia delle religioni e del libero pensiero’ nella scuola‘. Tra gli organizzatori anche UVA-Universolaltro e la Fondazione Benvenuti in Italia. I rappresentanti delle istituzioni hanno dialogato nuovamente con Mariachiara Giorda e con Alberto Melloni, nel tentativo di trovare una sintesi che si possa trasformare in politiche pubbliche efficaci.

Un altro esempio di attività promosse ‘dal basso’ che testimonia, oltre alla forte volontà di riuscire a trovare un dialogo con le istituzioni, anche l’estrema concretezza e praticità delle soluzioni proposte è il Progetto IERS, (Intercultural Education Through Religious Studies) iniziativa biennale avviata nel dicembre 2013, grazie al finanziamento europeo del Lifelong Learning Programme – Comenius Multilateral Project (a cui è stata chiesta e accettata un’estensione fino al 31 Aprile 2016) e coordinato dall‘Università Ca‘ Foscari di Venezia, attraverso il Dipartimento di Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea. Lo scopo principale del progetto IERS è quello di costruire e sperimentare degli strumenti didattici identificati come Moduli Digitali, che combinano le tecnologie informatiche ai più recenti studi in ambito di storia delle religioni, per offrire una panoramica strutturata attraverso un percorso storico e comparativo su diverse tradizioni religiose. I destinatari sono gli insegnanti di scuola media superiore di materie storiche, sociali, letterarie, artistiche, filosofiche, religiose, affinché completino le loro lezioni curricolari con elementi di storia delle religioni.

Con Torino, Padova, Venezia e Roma, anche Milano è in prima linea in quanto alla promozione di attività che favoriscano l’integrazione e la cultura religiosa nelle scuole, ci dice Stefano Bettera: “A Milano, e non so se anche in altre città d’Italia, ma non credo onestamente, è stato fatto, in questi due anni, un percorso voluto dal Comune di Milano, che ha istituito il Tavolo delle Comunità religiose e, a fronte di questo, dei percorsi di insegnamento delle religioni altre rispetto al cattolicesimo nelle scuole e questo percorso ha visto partecipare l’Unione Buddhista Italiana e i centri e i monasteri buddhisti presenti sulla città di Milano tramite l’insegnamento della meditazione nelle scuole. C’è da dire che in alcune scuole della periferia di Milano la presenza di bambini che arrivano da paesi di cultura e di religione buddhista è abbastanza ingente: faccio un esempio, nella zona sud di Milano è presente una comunità cingalese buddhista di circa 40.000 persone, che è la comunità che frequento io”.

Una delle problematiche che viene più frequentemente sollevata dai membri delle comunità religiose riguardo l’insegnamento di elementi della storia della loro fede religiosa riguarda le lacune e i pregiudizi presenti nei testi scolastici; come fa notare Davide Romano, portavoce della sinagoga Beth Shlomo di Milano, a proposito della storia dell’ebraismo: “È difficile per uno studente capire chi sono gli ebrei, se va bene ha letto qualcosa dalla Bibbia, sa che gli ebrei erano schiavi in Egitto e sa che c’è stato un primo Stato d’Israele tramite la conoscenza della figura di re Davide o di re Salomone. Dopo questo si assiste ad un salto temporale per cui gli ebrei scompaiono dai libri di storia per 2000 anni per ricomparire all’improvviso nel 1930-1940 per essere perseguitati dal nazifascismo. Il popolo ebraico scompare dai libri di storia per 2000 anni e questo è un peccato per tutti”.

Dall’altra parte, c’è anche chi non accetterebbe un insegnamento storico-religioso della propria confessione, e, in questo senso, le maggiori resistenze provengono tanto dal mondo cattolico -per cui l’insegnamento è riservato ad insegnanti uscenti dalle Facoltà Teologiche- quanto, per esempio, da quello induista. Il vice-presidente dell’Unione Induista Italiana afferma: “La questione dell’insegnamento delle religioni a scuola è problematica per due motivi. Il primo, perché l’induismo è visto dall’Occidente con un sacco di pregiudizi e con una visione eurocentrica ed è divulgato nei testi di scuola con troppi errori; noi stiamo lavorando con il Miur da tanti anni su questo fronte perché, purtroppo, queste tematiche non sono errate solo alle elementari ma si diffondono persino nelle università e quindi questo vuol dire che la formazione di coloro che devono insegnare la storia delle religioni già è errata. Questo, secondo noi, è il primo problema: abbiamo dei testi che non sono scritti da induisti e quindi possono essere manipolati dagli storici e dagli studiosi dando una visione dell’induismo in termini di inferiorità, di panteismo e di politeismo. Ed eccoci al secondo problema: la religione non è una questione di storia, la religione è la materia dello spirito di una comunità vivente, allo stesso modo, io non posso sostituire la storia della matematica alla matematica perché non imparerei a fare le operazioni. La religione, quando è data motivo di studio, motivo di critica, è una materia molto pericolosa, può fare dei danni molto grossi, e questo è vero soprattutto per le religioni orientali, che non hanno una storia qui in Occidente. Io lo ritengo un tema molto delicato, che deve essere affrontato con una stretta collaborazione della comunità religiosa, tramite l’ascolto e il rispetto delle diverse comunità perché la sensibilità religiosa può far assumere anche atteggiamenti molto pericolosi e negativi; come stiamo vedendo oggi, i costumi occidentali possono infastidire un certo tipo di persone”.

Come si evince è, quindi, molto ampio il ventaglio delle proposte e delle attività che nascono e si sviluppano sul suolo italiano, soprattutto ‘dal basso’ ormai da tempo. Il problema è sicuramente di natura istituzionale, poiché non esiste una legge che sancisca questo tipo di insegnamento, ma non solo. Parlando di religioni, è complicato fare una legge che metta d’accordo tutti gli attori in campo, siano essi studiosi o ministri di culto. Si tratta di percorso accidentato sia per colpa delle forze politiche e delle Istituzioni sia, anche, per responsabilità di coloro che dovrebbero beneficiare dell’introduzione di un valido insegnamento, alcuni dei quali tendono a confondere il catechismo con la storia delle religioni.
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Re: Spirtoałetà e rełijoxetà no łe xe ła mema roba

Messaggioda Berto » ven feb 03, 2017 8:11 am

Allahu Akbar (Allah è il più grande) non è l'espressione della grandezza spirituale dell'Islam bensì l'espressione più evidente della sua inconsistenza spirituale e della sua idolatria: infatti gridare Allah è il più grande è l'ammissione inconsapevole che Allah non D-o ma uno dei tanti dei o idoli ritenuto il più grande.
La vera spiritualità "monoteista" non potrebbe mai usare espressioni analoghe come "D-o è il più grande", tanto meno quella di "D-o è grande" poiché tessere lodi a D-o è solo un segno della spiritualità idolatra e religiosa.
L'uomo veramente spirituale manifesta la grandezza di D-o soltanto vivendo in pienezza la natura umana creata da D-o.
Il martirio assassino e terrorista islamico è l'espressione più chiara dell'inconsistenza spirituale dell'islam;
uccidere la vita per imporre un idolo è la negazione assoluta della spiritualità e di D-o che solo un idolo infernale di morte può esigere.
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Re: Spirtoałetà e rełijoxetà no łe xe ła mema roba

Messaggioda Berto » dom feb 12, 2017 1:22 pm

Québec: La crisi dell'Occidente
di Giulio Meotti
12 febbraio 2017
Pezzo in lingua originale inglese: Quebec: The Crisis of the West
Traduzioni di Angelita La Spada

https://it.gatestoneinstitute.org/9940/quebec-crisi


Il Québec, come l'intero Occidente, sta affrontando una crisi esistenziale demografica e religiosa.

La spirale di morte del Québec è esplicitamente collegata alle richieste di intensificare l'immigrazione. Il premier canadese Justin Trudeau, che ha posto fine alla campagna militare contro lo Stato islamico, ha appena esortato i migranti musulmani ad andare nel suo paese.

L'opposizione al drammatico declino del Cristianesimo in Québec non richiede necessariamente l'adesione a un vecchio Cattolicesimo, ma sicuramente ha bisogno di una sana riscoperta di quello che una democrazia occidentale dovrebbe essere. Questo include un apprezzamento dell'identità occidentale e dei valori giudaico-cristiani, ciò che il governo Trudeau e gran parte dell'Europa evidentemente si rifiutano di accettare.

Benvenuti in Québec, con il suo sapore di vecchia provincia francese, dove le strade hanno nomi di santi e dove un uomo armato qualche giorno fa ha ucciso sei persone in una moschea locale.

La violenza può essere la conseguenza di sconvolgimenti sociali, come il massacro compiuto nel 2011 sull'isola di Utoya, in Norvegia, un paese che andava fiero di essere ultrasecolarizzato e di far parte "dell'alta società" mondiale. Anche il Québec, come l'intero Occidente, sta affrontando una profonda crisi demografica e religiosa.

In un articolo apparso sulla rivista americana First Things, George Weigel ha definito il Québec "quarto vuoto del Cattolicesimo". "Non c'è luogo religiosamente più arido", si legge nel saggio, "tra il Polo Nord e la Terra del Fuoco; non potrebbe esserci luogo religiosamente più arido sul pianeta".

Sandro Magister, uno dei maggiori vaticanisti italiani, ha scritto: "Mentre a Roma si discute, il Québec è già stato espugnato".

In Québec, gli edifici cattolici sono vuoti; il clero sta invecchiando. Oggi, all'interno della Chiesa di Saint-Jude, a Montréal, i personal trainer hanno preso il posto dei preti. Il Théatre Paradoxe, a Montréal, ha rilevato la chiesa di Notre-Dame-du-Perpétuel-Secours dopo la sua chiusura. L'ex navata centrale della chiesa è oggi teatro di concerti e conferenze, e gli spettacoli da discoteca hanno sostituito gli inni della domenica.

La chiesa di Saint-Jude, a Montréal, è oggi la "Saint-Jude spa" per "adoratori del benessere", completa di personal trainer, cocktail alla moda e panche a forma di crocefisso negli spogliatoi. (Fonte dell'immagine: Montreal.TV video screenshot)

La diocesi cattolica di Montréal ha venduto 50 chiese ed altri edifici religiosi negli ultimi quindici anni. Il 24 maggio 2015, è stata celebrata l'ultima messa nella famosa chiesa di San Giovanni Battista, dedicata al patrono dei canadesi francesi. Il vescovo ausiliare del Québec, Gaetan Proulx, ha detto che "metà delle chiese in Québec" chiuderà nei prossimi dieci anni.

Nel film di Denys Arcand "Le invasioni barbariche", c'è una scena in cui un prete mostra a un'esperta d'arte la paccottiglia liturgica di cui è piena la sua diocesi, per sottolinearne l'irrilevanza. Il vecchio sacerdote dice:

"Il Québec era cattolico come la Spagna o l'Irlanda. Tutti credevano. A un certo punto, nel 1966, le chiese improvvisamente si svuotarono nel giro di mesi. Uno strano fenomeno che nessuno è mai stato in grado di spiegare".

"L'uomo senza storia, senza cultura, senza paese, senza famiglia e senza civiltà non è libero: è nudo e condannato alla disperazione", scrive il filosofo del Québec Mathieu Bock-Côté.

Lo stato del Cattolicesimo in Québec oggi è davvero disperato. Nel 1966, c'erano 8.800 sacerdoti; oggi ce ne sono 2.600, la maggior parte dei quali anziani e molti in case di cura. Nel 1945, la partecipazione alla messa settimanale era pari al 90 per cento; oggi siamo a quattro per cento. Centinaia di comunità religiose sono semplicemente scomparse.

Il Consiglio del Québec per il patrimonio religioso ha riferito che un record di 72 chiese sono state chiuse solo nel 2014. La situazione è ancora peggiore nell'arcidiocesi di Montréal. Da 257 parrocchie nel 1966 si è passati a 250 parrocchie nel 2000 e a 169 nel 2013. Il Cristianesimo sembra a rischio di estinzione: l'arcivescovo di Montréal, Christian Lépine, ha lanciato una moratoria sulla vendita delle chiese.

Mentre le autorità del Québec hanno usato un secolarismo aggressivo come strumento per promuovere il multiculturalismo, il Québec ha assistito a un drastico aumento del numero di giovani musulmani che si sono uniti allo Stato islamico. Gli attacchi terroristici sono stati compiuti da individui convertiti all'Islam – gente che ha respinto il relativismo canadese per abbracciare il fanatismo islamista. "Un fondamentalismo laicista che è arrivato al punto di imporre in tutte le scuole statali e private del Québec – primo caso al mondo – un corso obbligatorio di 'etica e cultura delle religioni'", ha scritto Sandro Magister.

Uno studio accademico ha concluso:

"I dati demografici mostrano che l'Islam è la religione più diffusa nel paese e che anche se gran parte della crescita della popolazione musulmana è legata al tasso di natalità e alla migrazione, a partire dal 2001 la popolazione musulmana è aumentata anche a causa delle conversioni religiose da parte dei canadesi non musulmani".

Anche il calo demografico del Québec è eloquente. Il tasso di natalità è sceso da una media di quattro figli per coppia a 1,6, ben al di sotto di quello che i demografi chiamano il "tasso di sostituzione". Il calo della fertilità in Québec è stato così rapido e netto che non ha uguali nei paesi sviluppati.

La spirale di morte del Québec è esplicitamente collegata alle richieste di intensificare l'immigrazione. Il premier canadese Justin Trudeau, che ha posto fine alla campagna militare contro lo Stato islamico, ha appena esortato i migranti musulmani ad andare nel suo paese.

Secondo i demografi, la provincia del Québec ha bisogno tra i 70.000 e gli 80.000 immigrati all'anno per compensare il suo basso tasso di natalità. Ma per compensare un calo demografico, che cosa succede quando uno dei più famosi territori cattolici al mondo subisce una rivoluzione culturale e religiosa del genere?

L'opposizione al drammatico declino del Cristianesimo in Québec non richiede necessariamente l'adesione a un vecchio Cattolicesimo, ma sicuramente ha bisogno di una sana riscoperta di quello che una democrazia occidentale dovrebbe essere. Questo include un apprezzamento dell'identità occidentale e dei valori giudaico-cristiani, ciò che il governo Trudeau e gran parte dell'Europa evidentemente si rifiutano di accettare. La metà dei ministri del governo Trudeau non hanno prestato giuramento religioso. Si sono rifiutati anche di dire "con l'aiuto di Dio".

Il motto del Québec è "Je me souviens": mi ricordo. Ma cosa, esattamente, si ricorda oggi in Québec? Nel "quarto vuoto del Cattolicesimo", il vincitore sarà l'Islam?

Giulio Meotti, redattore culturale del quotidiano Il Foglio, è un giornalista e scrittore italiano.
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Re: Spirtoałetà e rełijoxetà no łe xe ła mema roba

Messaggioda Berto » lun feb 13, 2017 9:46 pm

https://www.facebook.com/giovanni.raimo ... 9166215677


Alberto Pento
Credere è insito nel vivere, nell'essere, nel respirare. Credere nello Spirito Universale o D-o, istintivamente, naturalmente non va confuso con il credere idolatra delle religioni, di tutte le religioni. Questo credere non è un atto di fede dogmatica e idolatra ma è l'atto stesso del vivere, dell'essere. Questo credere è una dotazione universale di ogni creatura e non dipende da rivelazioni, da profeti, da libri, da ideologie, da dogmi, da preghiere e da miracoli o da particolari meriti e grazie divine.

Piercarlo Accornero
Giusta riflessione!

Giovanni Raimondo
Alberto Pento, capisco la tua posizione e la condivido in parte, ma vedi, la fede in Dio, deve passare anche per un processo razionale(Dio ci ha donato l'intelligenza per capire), che la storia e archeologia ci forniscono e quindi ci confermano che quanto scritto è vero. Ultima scoperta fatta dagli archeologi sono i "Rotoli del Mar Morto", altro elemento che ci farà capire ancora di più cosa vuole dirci Dio attraverso la Bibbia. Dio ci ha donato tre cose: Intelligenza, Amore e Razionalità oltre che Libertà. Usiamole al dovere!

Piercarlo Accornero
La fede non ha bisogno di prove storiche (prove a che, se la fede so definisce per categorie astoriche...?).Ha bisogno di rispondere a un'esigenza antropologica umana: quella di consistere su qualcosa/ qualcun o.

Alberto Pento
Giovanni Raimondo io non ho fede, io non credo nel senso che intende lei. Io vivo e nel vivere sono impliciti il credere e la fede ma non in qualcosa o in qualcuno ma semplicemente nel vivere e in tutto ciò che il vivere comporta e implica anche di naturalmente spirituale e che mi connette all'intero universo. Il Dio dei Rotoli del Mar Morto e della Bibbia che lei cita, per me non è D-o ma semplicemente un idolo. Riesce a capirmi? Il suo Dio su cui insiste non è D-o ma un idolo, il suo idolo ebraico-cristiano. Il D-o a cui mi riferisco io è universale e non ha nome oltre a quello generico di D-o e la sua religione è quella naturale del vivere ed è comune a tutte le creature e a tutti gli uomini e sta oltre gli idoli delle loro religioni e si rivela da sempre e ovunque nel Creato e nel cuore di ogni cretaura e materia vivente.

Piercarlo Accornero
La sua posizione è interessante. Molto simile alla spiritualità degli "animisti", definizione impropria e superata. La vedo somigliante a quella degli indiani delle praterie...Mi tolga una curiosità, se posso permettermi: com'è che scrive Dio con un trattino fra D e o? La domanda non è peregrina: ho amici di fede ebraica che scrivono così- Penso sia un resto delle idee che avevano sull'estremo rispetto per il Nome di Dio.

Alberto Pento
E' proprio una derivazione ebraica, io considero l'ebraismo la religione più umana e la meno idolatra che vi sia, dopo quella naturale e universale.

Piercarlo Accornero
La ringrazio per la risposta. Lei saprà che gli ebrei definivano Dio con Maqom, il Luogo, quindi come qualcosa di presente e reale?

Alberto Pento
No, non lo sapevo, non ho approfondito così tanto la religione ebraica. Grazie dell'informazione.

Piercarlo Accornero
Prego. Tuttavia la religione (per me ideologia) più aniconica è islam. Se lei va a vedere le sinagoghe tra il I e III secolo, in Palestina e altrove, vedrà immagini di mosaici con una descrizione realistica della natura sconvolgenti, tenendo conto che si tratta di luoghi di culto ebraico. Per esempio, quella di Dura-Europos.

Alberto Pento
L'islam è aniconico solo parzialmente poiché il gioco arabesco decorativo non figurato è anch'esso una "raffigurazione" in più è anche parolatra, il Corano è la parola di Allah e in quanto tale è idolatra tanto quanto le altre religioni che sono anche iconiche come il cristianismo e l'ebraismo. L'unica chiesa non idoplatra di D-o è il Creato o la Creazione.

Piercarlo Accornero
E' peggio: è così adorante dell'astrazione da essere disumano, anzi, odiante della realtà. Paradossalmente, è l'ideologia più idolatra che esista: asservisce alla sua adorazione il Nulla.

Alberto Pento
Sì astrazione figurativa, ma che come rappresentazione visiva è anch'essa una forma e perciò una sorta di figura; in più nel Corano vi è la rappresentazione della divinità nella forma verbale umana e anche questa è una sorta di figura/rappresentazione di Dio in forma sonora.

Piercarlo Accornero
La plasticità ossessiva delle descrizione islamiche, la loro dovizia di particolari truculenti, è una sorta di rivincita della carnalità che si vuole esorcizzare. Parafrasando: disumano, troppo disumano. Ecco perché ritengo islam una malattia dell'umanità.

Piercarlo Accornero
Un vero e proprio cancro. Se lei ha dimestichezza di pagine islamiche, vedrà la pochezza di argomentazioni, che quasi tutte si riducono ad un 'apologia della loro fede, apologia infantile, come contenuto. E questa sarebbe la cultura islamica? Questa ideologia è lo zombi di una religione che visse sì e no il tempo di Maometto e poi sfumò nella carica spirituale.

Giovanni Raimondo
Considerare il Cristianesimo una forma d'idolatria mi sembra molto assurdo e vorrei capire il perchè di questa tua posizione che fino adesso non ho capito. Che qualcuno ci ha creati, questo non desta dubbio, tranne a quelli che vogliono seguire la teoria del caso...

Alberto Pento
Chi ci ha creati non è né qualcosa, né qualcuno.

Giovanni Raimondo
E chi è, secondo te???

Alberto Pento
E' ciò che è e a me è più che sufficente, ad andare oltre si incontrano soltanto gli idoli.

Giovanni Raimondo
Si, ma aver creato tutto questo, secondo me richiede la mano di qualcuno, altrimenti non si spiega. Se seguiamo la teoria del caso, andiamo in un vicolo cieco, non credi???

Alberto Pento
Nessuna mano e la spiegazione e il senso sta nella vita e nel vivere e basta, il resto è idiozia e presunzione. D-o non ha mani e non è un idolo, l'uomo non può attribuire alcunché a D-o. L'uomo come tutte le altre creature può soltanto percepire il pulsare di D-o nel suo cuore e basta. Il porsi domande sul fine ultimo o altro del Creato non è affare dell'uomo ma di D-o, porsi queste domande è un non senso, un assurdo, un voler presuntuoso di essere D-o.

Alberto Pento
Il Creato in realtà è la Creazione che è perennemente in atto.

Giovanni Raimondo
Non ho capito, poichè prima dice che nessuno ci ha creato e poi dice che qualcuno ci ha creati e l'uomo non può attribuire alcunchè a Dio, ma può soltanto percepire il pulsare di Dio nel suo cuore e basta. Se come ha detto alla fine, che "il Creato in realtà è la Creazione che è perennemente in atto" significa che qualcuno ha progettato e ha piggiato on, altrimenti non si spiega...Chiarisca meglio la sua posizione, perchè sinceramente cerco di capirla ma mi è molto difficile proprio perchè prima esprime un pensiero e poi ne esprime un altro in contrasto con quello precendente.

Alberto Pento
Ripeto D-o non è né qualcosa né qualcuno.

Giovanni Raimondo
Ma allora chi è???

Alberto Pento
È D-o! E non si può aggiungere altro perché se si aggiungesse trasformerebbe D-o in un idolo;poiché soltanto gli idoli sono una cosa o qualcuno.

Piercarlo Accornero
Credo che Alberto Pento voglia insistere sull'assoluta alterità di Dio...

Giovanni Raimondo
Ma a Dio, non vengono associati idoli. Poi bisogna vedere quale sono gli idoli secondo lei....

Alberto Pento
"Alterità" in un certo senso indefinibile che però anima la vita e che è presente in ogni tempo, in ogni luogo in ogni cosa e creatura.

Alberto Pento
Per esempio: Cristo Dio e Allah di Maometto e del Corano sono idoli.

Piercarlo Accornero
Bisogna che chiarisca lui il suo pensiero...per me è abbastanza evidente: tutto sommato, è una concezione di Dio già testimoniata in storia delle religioni, arcaica e bella, e pure estremamente moderna, se riesce ad affascinare anche oggi...

Giovanni Raimondo
Cristo un idolo??? No, questo non è vero. E appurato storicamente che Cristo è nato, vissuto e fatto i miracoli ed è morte in croce.. Se si legge le fonti romane che ne sono a quantità, capirà.

Alberto Pento
Cristo era un uomo, un rabbino ebreo, crocifisso dai romani invasori, che divinizzato si è trasformato in un idolo, l'idolo dei cristiani.

Giovanni Raimondo
Mi creda, si legga le fonti romane che parlano chiaro su questo...

Piercarlo Accornero
Però questa è la concezione cristiana, cui si può anche arrivare dopo un lungo percorso. insomma, è lo stesso atteggiamento dell'imperatore Inca, quando gettò via il Vangelo che un frate gli porgeva sostenendo che "era quel libro che gli diceva la religione". L'imperatore lo portò alle orecchie e, siccome non gli "diceva" nulla, lo buttò via. Diversità di aspettative dal divino.

Piercarlo Accornero
C'è comunque il rischio che la figura di Gesù venga degradata a idolo, basta vedere certa religiosità popolare.

Alberto Pento
La presunzione dei frati alla corte dell'imperatore Inca è pari alla loro idolatria. La vera spiritualità non può essere che universale ed è quella che va coltivata per rendere l'umanità più fraterna.

Piercarlo Accornero
L'universalismo della spiritualità è una delle idee cardine della Bibbia.

Alberto Pento
Sì lo Spirito Santo non può che essere universale ma anche eterno, infinito e vario e la varietà si manifesta nella Creazione perennemente in atto che perciò comprende e implica l'evoluzione dall'uno all'infinito attraverso la varietà dal semplice al complesso ed è in tale processo creativo che può trovare posto, senso e giustificazione la teoria dell'evoluzionismo darwiniano.
La rivelazione divina è nella creazione stessa e c'è da sempre e ovunque nel cuore di ogni creatura e non ha bisogno di manifestarsi attraverso profeti o incarnatori divini e non capita di tanto in tanto nella storia per qualche capriccio o caso divino idolatra.

Scusatemi se non sono allineato e intervengo a dire la mia da aidolo.
Riprendo o cito da un'altra discussione: "Sì lo Spirito Santo non può che essere universale ma anche eterno, infinito e vario e la varietà si manifesta nella Creazione perennemente in atto che perciò comprende e implica l'evoluzione dall'uno all'infinito attraverso la varietà dal semplice al complesso ed è in tale processo creativo che può trovare pienamente e armoniosamente posto, senso logico e giustificazione ragionevole la teoria dell'evoluzionismo darwiniano.
La rivelazione divina è nella creazione stessa e c'è da sempre e ovunque nel cuore di ogni creatura e non ha bisogno di manifestarsi, di tanto in tanto nella storia, attraverso profeti o incarnatori divini e non capita di tanto in tanto nella storia per qualche capriccio o caso divino idolatra."
La teoria evoluzionista non è altro che quel filo logico e sensato che lega la variazione degli organismi dal semplice al complesso ed è assolutamente naturale e spiritualmente ragionevole.

Alberto Pento
Gentile Giovanni Raimondo, per me non vi è nulla di più naturale e sensato del caso, cioè di ciò che capita ma che al momento quando capita non si spiega e non si comprende ma che è comunque naturalmente causato, ragionevolmente spiegabile e del tutto comprensibile non appena si maturerà tutto ciò che serve alla piena consapevolezza.

Piercarlo Accornero
In effetti, l'autentica spiritualità, meglio, la comprensione non puramente meccanicistica o materialistica del kosmos (non trovo ora altra parola), che è appunto kosmos=bellezza, ordine, contrario di khaos, riguarda tutte le culture, perché tute le culture sono opera dell'unico essere umano, diffuso dal polo nord a quello sud. Questo è il senso dell'"alleanza noachica" della Bibbia. e va bene. Il problema si profila, allorché qualcuno, mortale, si arroga di essere l'unico rappresentante valido di un'"autentica" religione=relazione con l'Invisibile. Tutti così i vari profeti, e in particolare l'ultimo, Maometto. Questo forse è l'unico punto su cui concordo con quanto dicono i musulmani: che Maometto sia l'ultimo dei profeti. Dei profeti come li ha descritti lei: essenzialmente bugiardi e arroganti. Gesù Cristo, tuttavia, è difforme rispetto a questa norma: non rimanda mai a se stesso come fondatore della "vera" fede, ma al Dio dell'accezione primigenia.

Alberto Pento
Su Maometto convengo che sia stato un profeta del demonio o un falso profeta idolatra dell'idolo dell'orrore e del terrore.
Per quanto riguarda l'ebreo Cristo, fintantoché ci si limita a considerarlo un rabbino, un uomo spirituale, un profeta tra i tanti mi sta bene e non trovo critiche da muoverli se non alle sue credenze sul vivere la vita sulla terra in funzione della vita in cielo dopo morti, che per me non esiste in quanto la vita è solo quella sulla terra che va vissuta pienamente di per sè e quando si muore si smette la propria responsabilità umana e si torna nelle disponibilità del Creatore; ma quando lo si tratta come Dio allora non posso che definirlo un idolo e bugiardo se a trattarsi come Dio è lui stesso oppure devo chiamare bugiardi e idolatri i suoi discepoli, apostoli e seguaci se son loro che da uomo ne hanno fatto un Dio.

Piercarlo Accornero
Lei ha messo il dito sul discrimine fra essere cristiano oppure no...Non contesto le sue idee sulla vita dopo la passeggiata terrena, sono le mie stesse. L'unica cosa che mi lascia perplesso (anche perché non corrisponde al senso delle parole di Gesù, almeno biblicamente...) è la sua opinione sul vivere la vita terrena in funzione di una supposta tale celeste. La basileia ton ouranon non è un "dopo" fisico, il regno dei cieli futuro, ma è un "oltre" teologico, metafisico, un modo di vivere, questa vita, riconoscendo la sua dipendenza dall'Invisibile. Come vede, molto simile alla sua concezione e quella dei popoli alla cui spiritualità guardo ...
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Re: Spirtoałetà e rełijoxetà no łe xe ła mema roba

Messaggioda Berto » lun feb 13, 2017 11:55 pm

Evoƚousion/raxon e creasion/fede no ƚe se contradixe/ o dà contro
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Re: Spirtoałetà e rełijoxetà no łe xe ła mema roba

Messaggioda Berto » mer mar 22, 2017 9:19 am

Religione e religiosità come ossessione, come grave malattia, grave disturbo della mente e dell'anima o psico-emotivo
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Re: Spirtoałetà e rełijoxetà no łe xe ła mema roba

Messaggioda Berto » ven mar 31, 2017 6:50 am

Le idiote analisi dei presuntuosi cristiani.


In Giappone picco di suicidi: l’Oriente risponde al senso della vita?
Calendar 30 marzo 2017

http://www.uccronline.it/2017/03/30/in- ... della-vita

Si parla molto del Giappone in questo periodo, in particolare per quanto riguarda il caso delle sempre più numerosi morti solitarie e dell’aumento dei suicidi.

Solitudine e disperazione sono fenomeni collegati tra loro, segno di una civiltà e di una cultura che non è riuscita ad offrire risposte al bisogno dell’uomo. «La solitudine e la rottura dei legami familiari», si legge, «sono ormai la cifra di una società, quella giapponese, sempre più frammentata». Sono numerose le persone anziane i cui corpi senza vita vengono scoperti spesso dopo settimane o addirittura mesi: 30mila all’anno.

Sono invece tra i 20.000 e 30.000 i suicidi. Secondo una recente ricerca governativa, solo il 20% è stato causato da motivi economici, il 60% è legato alla depressione. Quasi il 25% dei giapponesi adulti ha pensato seriamente a suicidarsi. Non c’è un collante sociale, da un sondaggio del 2008 è risultato che il 39% riferisce di avere una fede religiosa, di cui il 34% segue il buddhismo, il 3% lo shintoismo, l’1% il cristianesimo (0,7% protestantesimo, 0,3 % cattolicesimo) e un altro 1% ha dichiarato di seguire altre religioni. Evidentemente, per esclusione, gran parte della società non aderisce ad alcuna religione.

Tra «lezioni di Nirvana e il Buddha in fila indiana», sono tanti gli occidentali che guardano all’Oriente in cerca di se stessi, per una rinascita personale. Ma il vescovo giapponese mons. Isao Kikuchi ha spiegato che all’origine di tale tragica situazione vi è proprio la mancanza, nella cultura giapponese, di una ragione plausibile per vivere. «Una delle ragioni di questo fenomeno», ha detto, «è la mancanza di religione nella vita quotidiana delle persone in Giappone. È ovvio che un’abbondanza di ricchezze terrene e materiali o lo sviluppo tecnologico non possono provvedere a un arricchimento spirituale, al contrario alimentano la vuotezza nei cuori di molti. Mentre la società ha continuato a cercare lo sviluppo materiale, la spiritualità religiosa ha perso il proprio posto nella società e nella comunità locali ed è stata distrutta, lasciando le persone isolate. L’isolamento è una delle principali cause che spinge le persone a mettere fine alla propria vita».

Con solo l’1% di cristiani, la popolazione giapponese è divisa tra un’assenza di spiritualità e un monismo olistico come quello che caratterizza buddhismo e shintoismo. Come ha spiegato il teologo Joseph Ratzinger nella sua monumentale opera, «nelle religioni come il buddhismo, Dio è concepito in maniera del tutto impersonale, ossia come nulla assoluto rispetto a quel tutto che l’uomo è in grado di cogliere come reale, non può esservi una relazione positiva “di Dio” con il mondo. E il mondo diventa una valle di lacrime non più a cui dar forma, bensì da superare». Così, «la religione anziché fornire dei criteri per poter vivere nel mondo, dei modelli di responsabilità sociale a cui ispirarsi, suggerisce la via per travalicare il mondo terreno, la via della liberazione dal fardello delle apparenze» (J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana 2003, p.19).

Tutto il contrario del cristianesimo, dove è forte il concetto di identità personale e unicità della persona la quale acquista un valore infinito laddove si riconosce voluta e amata dal Dio che non ha disdegnato farsi Uomo per divenire incontrabile, compagno di vita. La valle di lacrime ha così possibilità di trasformarsi in una realtà buona, positiva, occasione di liberazione e di riscoperta di se stessi.



Alberto Pento
La ragione per vivere sta nella vita stessa e non in un idolo o nelle fantasie idolatre delle religioni.
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