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Europa al capolinea post-cristiano
26 Marzo 2018
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Già nel 1799 Novalis avvertiva il rischio di una crisi epocale, rimpiangendo nel suo “La Cristianità, ossia l’Europa”, i “bei tempi in cui l’Europa fu terra cristiana”. Il suo saggio non fu accolto benissimo, tanto da essere pubblicato quasi trent’anni più tardi, nel 1826. La desacralizzazione del continente, da allora, non si è mai arrestata. Nel 2000, anno in cui si discuteva dell’inserimento del riferimento alle radici giudaico-cristiane nella Costituzione europea, l’allora cardinale Joseph Ratzinger disse che, prima che un concetto geografico, l’Europa era cultura e storia. Che l’Europa abbia perso la propria fede, insomma, non è una novità, ma la conferma definitiva arriva da un articolo del Guardian che indaga la crescita dei cosiddetti Nones, le persone senza affiliazione religiosa. La maggior parte dei giovani europei non crede in nessun Dio, ha perso ogni senso del sacro. Secondo il sondaggio citato dal Guardian, effettuato dalla St. Mary University Twickenham di Londra, l’Europa sta marciando dritta verso una società post-cristiana. In Repubblica ceca il 91 per cento dei giovani tra i 16 e i 29 anni dichiara di non avere affiliazioni religiose. In Estonia, Svezia e Olanda, la percentuale scende (di poco) tra il 70 e l’80 per cento. I paesi più religiosi sono la Polonia, dove soltanto il 17 per cento dei giovani adulti si definisce “non religioso”, e la Lituania, con il 25 per cento. Intervistato dal quotidiano britannico, il responsabile della ricerca, Stephen Bullivant, ha detto che “la religione è moribonda”.
L’ateismo sta diventando la norma, anche se ci sono delle divergenze significative. “Paesi vicini, con una storia simile, hanno profili estremamente differenti”, specifica Bullivant. Si prendano i due paesi più religiosi e i due, all’opposto, più atei: Polonia e Lituania, Repubblica ceca ed Estonia. Si tratta in tutti e quattro i casi di stati post comunisti, che però affondano le proprie radici su identità differenti, anche nel modo in cui la transizione dal regime sovietico è stata affrontata. Fra chi si dichiara credente, però, non tutti affrontano la propria dimensione spirituale allo stesso modo: praticanti ce ne sono sempre meno. Il sondaggio della St. Mary’s University, effettuato da un centro di ricerca intitolato – non a caso – a Benedetto XVI, non considera l’Italia (su cui Bullivant ha promesso un aggiornamento dei dati) ed evidenzia come soltanto in Polonia, Portogallo e Irlanda più del 10 per cento dei giovani vada a messa almeno una volta alla settimana. Molti giovani europei “dopo il battesimo non hanno più varcato la porta di un edificio di culto”.
Senza considerare poi l’immigrazione: nel Regno Unito per esempio, i dati vanno tarati considerando le persone che arrivano da fuori: un cattolico su cinque non è nato in Gran Bretagna. E poi ci sono i musulmani, che hanno un tasso di natalità e “un’affiliazione religiosa” molto più alti. L’Europa ormai è una terra senza Dio, e senza il cristianesimo, di cui si perde traccia anche nei paesi che storicamente hanno rappresentato la cultura europea: in Francia i cristiani adulti sono soltanto il 26 per cento, il 20 in Germania. Cosa sarà l’Europa, se sottomessa al politically correct o a un nuovo Dio, non si può dire. Per la sopravvivenza delle nostre radici forse, sarà comunque troppo tardi.
Gino Quarelo
Mi dispiace ma non condivido questo articolo idolatra. Dio non va confuso con gli idoli delle religioni. Perdere l'idolo religioso non è perdere Dio che è una dotazione naturale universale e coincide con la vita stessa. Perdere l'idolatria non è perdere Dio e una diminuzione umana, ma è una liberazione e una crescita esponenziale dell'umanità e della spiritualità non religiosa. Non mi si dica per favore che i maomettani sono dei credenti in Dio e che l'avranno vinta perché sono più credenti degli europei; quello dei maomettani non è Dio ma il peggiore degli idoli, l'idolo dell'orrore e del terrore, l'idola della morte contro il quale l'uomo di buona volontà, l'uomo spirituale vero non deve contrapporre un'altro idolo ma solo la sua umanità e i suoi valori di umanità, libertà, dignità, responsabilità. Alla disumanità dell'idolo Allah l'uomo universale di buona volontà deve contrapporre la forza della sua umanità dei suoi valori umani universali.
Usa, la fuga dei giovani americani dall’islam
di Matteo Matzuzzi
2018/03/29
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Roma. È vero che il numero dei musulmani negli Stati Uniti è cresciuto negli ultimi dieci anni, ma è altrettanto vero che è aumentata in modo esponenziale anche la quantità dei musulmani che non si identificano più con la fede dei padri.
Il Pew Research Center, uno dei più autorevoli istituti di ricerca americani, l’ha sottolineato: se sono sempre di più gli americani che si dichiarano atei o comunque non praticanti, lo si deve agli “abbandoni” tra i musulmani. Chi per convinta apostasia, chi per apatia, la tendenza è questa.
Rod Dreher, sull’American Conservative, ha scritto che i dati dimostrano come non si possa scappare dalla modernità: “Non ci si può nascondere dal secolarismo nel senso inteso da Charles Taylor, e cioè la consapevolezza che potremmo credere in qualcos’altro o in nulla. Questa è la condizione moderna.
Ha già colpito i cristiani, ma sta colpendo ora i musulmani e continuerà a farlo”. La “crisi di fede” colpisce soprattutto gli immigrati di seconda generazione, ma non mancano i casi tra chi in America ci vive da anni, si è sposato a devoti musulmani e ha accompagnato i figli in moschea per far loro studiare il Corano nel fine settimana. In ogni caso, ha notato l’Economist, “la stragrande maggioranza, sia giovane sia vecchia, tace sulla propria mancanza di fede”. Anche perché è spesso pericoloso confessare in famiglia il cambiamento: “Uno studente universitario musulmano, che tornò a casa ubriaco una sera, fu affrontato da suo padre. Poco lucido, il ragazzo spiegò di essere ateo. Il padre, a quel punto, rivelò anch’egli di aver perso la fede molti anni prima. Eppure rimproverava il figlio per non aver nascosto bene il suo segreto”.
C’è poi il dato di fatto imposto dalla realtà, e cioè che lasciare pubblicamente l’islam è complicato, innanzitutto perché spesso – soprattutto in paesi dove l’islam è minoranza tra le minoranze – i musulmani vivono in comunità affiatate.
Gli apostati restano nell’ombra, timorosi di scatenare faide non solo tra conoscenti ma pure in famiglia. Un problema comune, rilevava ancora l’Economist, ai mormoni e agli ebrei chassidici. Senza dimenticare che quando si vive in una sorta di enclave, uscirne significa rinunciare a una intera cerchia sociale. Il Pew Research Center ha stimato che tra i credenti over 55, il 53 per cento dichiara di recitare tutte e cinque le preghiere quotidiane prescritte. Una percentuale che scende al 33 tra i millennial. E questo, nota ancora Dreher, avviene in America, dove la libertà e la diversità rendono più complicato mantenere la fede tradizionale. In Iran, ha scritto Mustafa Akyol, saggista turco ed editorialista del New York Times, ciò che allontana i musulmani dalla loro fede è la troppa oppressione legata alla politicizzazione della religione.
In effetti, stime recenti – da prendere con prudenza – certificano una tendenza consolidata di conversioni al cristianesimo in Iran che fa preoccupare le autorità della repubblica teocratica. Il che fa dire a Dreher che il “laissez-faire” spingerà inevitabilmente i musulmani ad allontanarsi dalla loro fede. “La moderna società secolare non è neutrale rispetto alla religione. Se credi che i tuoi figli si ‘aggrapperanno’ alla fede (musulmana o meno) senza un vero lavoro da parte tua, stai ingannando te stesso. Devi in un certo senso inculcare nei tuoi figli la sensazione che la religione insegni la verità, non una verità tra le altre”.
In secondo luogo, il caso iraniano dimostra che l’autoritarismo non fa altro che peggiorare le cose: “Non si può costringere una persona a credere”. L’esempio che viene portato all’attenzione è quello del Ruanda, paese a forte maggioranza cristiana che vide un numero alto di conversioni all’islam dopo i massacri degli anni Novanta. “Ciò che molti uomini di religione non comprendono è quanto possa essere fragile la fede. Quei ruandesi che abbandonarono il cristianesimo non lo fecero perché convinti da motivazioni razionali sulla superiorità dell’islam. Si convertirono perché scossi dall’orrore e se Mustafa Akyol ha ragione, qualcosa di simile sta accadendo anche all’interno del mondo islamico”, osserva l’autore di The Benedict Option.
Fede naturale e fede religiosa
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