L'assurdità di una fede che ha come perno il rabbino ebreo Cristo divinizzato a figlio di Dio, a incarnazione di Dio.???
Papa: fede ideologica adora un dio che non ha le piaghe dei fratelligiovedì 2 marzo 2017
http://it.radiovaticana.va/news/2017/03 ... ta/1296000La bussola del cristiano è seguire Cristo crocifisso, non un dio disincarnato, ma Dio fatto carne, che porta su di sé le piaghe dei nostri fratelli: così il Papa nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti:
All’inizio della Quaresima risuona forte l’invito a convertirsi. E la Liturgia del giorno – osserva il Papa – pone questa esortazione davanti a tre realtà: l’uomo, Dio e il cammino. La realtà dell’uomo è quella di scegliere tra il bene e il male: “Dio ci ha fatto liberi, la scelta è nostra” - ha affermato Francesco - ma “non ci lascia soli”, ci indica la via del bene con i Comandamenti. Poi c’è la realtà di Dio: “per i discepoli era difficile capire” la via della croce di Gesù. Perché “Dio ha preso tutta la realtà umana, meno il peccato. Non c’è Dio senza Cristo. Un dio senza Cristo, ‘disincarnato’, è un dio non reale”:
“La realtà di Dio è Dio fatto Cristo, per noi. Per salvarci. E quando ci allontaniamo da questo, da questa realtà e ci allontaniamo dalla Croce di Cristo, dalla verità delle piaghe del Signore, ci allontaniamo pure anche dall’amore, dalla carità di Dio, dalla salvezza e andiamo su una strada ideologica di Dio, lontana: non è Dio che venne a noi e si è fatto vicino per salvarci, ed è morto per noi. Questa è la realtà di Dio”.
Il Papa cita il dialogo tra un agnostico e un credente, riportato da uno scrittore francese del secolo scorso:
“L’agnostico di buona volontà domandava al credente: ‘Ma come posso … per me, il problema è come Cristo è Dio: non posso capire questo. Come Cristo è Dio?’. E il credente rispose: ‘Eh, per me questo non è un problema. Il problema sarebbe stato se Dio non si fosse fatto Cristo’. Questa è la realtà di Dio: Dio fatto Cristo, Dio fatto carne e questo è il fondamento delle opere di misericordia. Le piaghe dei nostri fratelli sono le piaghe di Cristo, sono le piaghe di Dio, perché Dio si è fatto Cristo. La seconda realtà. Non possiamo vivere la Quaresima senza questa realtà. Noi dobbiamo convertirci, non a un Dio astratto, ma al Dio concreto che si è fatto Cristo”.
Infine, c’è la terza realtà, quella del cammino. Gesù dice: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”:
“La realtà del cammino è quella di Cristo: seguire Cristo, fare la volontà del Padre, come Lui, prendere le croci di ogni giorno e rinnegare se stesso per seguire Cristo. Non fare quello che io voglio, ma quello che vuole Gesù; seguire Gesù. E Lui parla che su questa strada noi perdiamo la vita, per guadagnarla dopo; è un continuo perdere la vita, perdere di fare quello che io voglio, perdere le comodità, essere sempre sulla strada di Gesù che era al servizio degli altri, all’adorazione di Dio. Quella è la strada giusta”.
“L’unico cammino sicuro - ha concluso il Papa - è seguire Cristo crocifisso, lo scandalo della Croce”. E queste tre realtà, l’uomo, Dio e il cammino, “sono la bussola del cristiano” che non ci fa sbagliare strada.
San Giovanni in Laterano. Papa ai parroci di Roma: «Gesù è il perno della nostra fede»(I.Sol.) giovedì 2 marzo 2017
https://www.avvenire.it/papa/pagine/pap ... si-di-roma A sorpresa papa Francesco prima di tenere la sua meditazione odierna ha scelto di confessare alcuni parroci e sacerdoti, rivoluzionando la “scaletta” dell’incontro di inizio Quaresima con i parroci di Roma, nel giovedì che segue il Mercoledì delle Ceneri, nella Basilica di San Giovanni in Laterano.
Ai sacerdoti della diocesi di Roma, il Papa ha offerto una meditazione (il testo integrale è pubblicato sul sito della Santa Sede) ricca di spunti e suggestioni, di cui ne riportiamo solo alcuni temi.
Papa Francesco ha fatto ricorso a un'immagine sportiva molto tecnica per far capire quanto debba essere salda la fede in Gesù: «Quando parlo di punti fermi o di fare perno, l'immagine che ho presente - ha confidato nella meditazione tenuta per il clero romano nella Basilica di San Giovanni in Laterano - è quella del giocatore di basket o pallacanestro, che inchioda il piede come "perno" a terra e compie movimenti per proteggere la palla, o per trovare uno spazio per passarla, o per prendere la rincorsa e andare a canestro».
Papa Francesco e il basket: «Gesù il perno della nostra fede»
«Per noi quel piede inchiodato al suolo, intorno al quale facciamo perno, è la croce di Cristo», ha spiegato il Papa ai sacerdoti della sua diocesi citando «una frase scritta sul muro della cappella della Casa di Esercizi di San Miguel, a Buenos Aires», che diceva: “Fissa sta la Croce, mentre il mondo gira”, che è il motto di san Bruno e dei Certosini.
Secondo Francesco, «la fede, il progresso e la crescita nella fede, si fonda sempre sulla Croce». Perché, ha ricordato con le parole di San Paolo ai corinzi, «è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione» di «Cristo crocifisso: scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani».
«Tenendo dunque, come dice la Lettera agli Ebrei, fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento, noi - ha scandito il Papa - ci muoviamo e ci esercitiamo nella memoria - ricordando la moltitudine di testimoni e corriamo con speranza «nella corsa che ci sta davanti», discernendo le tentazioni contro la fede, senza stancarci né perderci d'animo».
La sconfitta e il trionfo: «andare avanti senza darsi per vinti»
In seguito, il Papa si è soffermato sul senso di sconfitta, che trasforma – ha precisato – «in pessimisti scontenti e disincantati dalla faccia scura». Si tratta di «una delle tentazioni più serie che soffocano il fervore e l’audacia» per questo «nessuno può intraprendere una battaglia se in anticipo non confida pienamente nel trionfo. Chi comincia senza fiducia ha perso in anticipo metà della battaglia e sotterra i propri talenti», ha così spiegato papa Francesco al clero di Roma, citando il documento programmatico del suo Pontificato, l’Evangelii gaudium. Secondo Francesco, quindi, “anche se con la dolorosa consapevolezza delle proprie fragilità, bisogna andare avanti senza darsi per vinti, e ricordare quello che disse il Signore a san Paolo: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”».
Concentrando la sua meditazione sulla fede che deve operare per mezzo della carità e che deve essere sostenuta dalla speranza ed essere radicata nella fede della Chiesa, il Papa ha poi sottolineato che “il trionfo cristiano è sempre una Croce, ma una Croce che al tempo stesso è vessillo di vittoria, che si porta con una tenerezza combattiva contro gli assalti del male. Il cattivo spirito della sconfitta è fratello della tentazione di separare prima del tempo il grano dalla zizzania, prodotto di una sfiducia ansiosa ed egocentrica». «Ci sono circostanze – ha aggiunto – nelle quali siamo chiamati a essere persone-anfore per dare da bere agli altri. A volte l’anfora si trasforma in una pesante croce, ma è proprio sulla Croce dove, trafitto, il Signore si è consegnato a noi come fonte di acqua viva. Non lasciamoci rubare la speranza!».
Padre Pepe, il prete villero, esempio per la Chiesa
Padre Pepe, Josè Maria Di Paola, sacerdote villero (di periferia) minacciato di morte (sorte toccata lo scorso 5 ottobre al suo amico padre Juan Viroche) è stato proposto da papa Francesco come un esempio a cui tutti i parroci romani possono ispirarsi «per far vedere che quello che aiuta nella crescita della fede è tenere insieme il proprio peccato, il desiderio del bene degli altri, l’aiuto che riceviamo e quello che dobbiamo dare noi».
In particolare il Papa ha citato un aneddoto che riguardava «un giovane uomo che si stava recuperando nell’Hogar de Cristo di padre Pepe a Buenos Aires, che la mente gli giocava contro e gli diceva che non doveva stare lì, e che lui lottava contro quel sentimento. E diceva che padre Pepe lo aveva aiutato molto. Che un giorno gli aveva detto che non ce la faceva più, che sentiva molto la mancanza della sua famiglia, di sua moglie e dei due figli, e che se ne voleva poteva andare. Ma il prete gli disse: “E prima, quando andavi in giro a drogarti e a vendere droga, ti mancavano i tuoi? Pensavi a loro?”».
«Io – ha confidato quell'uomo a papa Francesco che ha riportato ai parroci di Roma le sue parole – feci segno di no con la testa, in silenzio, e il prete, senza dirmi nient’altro, mi diede una pacca sulla spalla e mi disse: “Vai, basta così. Come per dirmi: renditi conto di quello che ti succede e di quello che dici. ‘Ringrazia il cielo che adesso senti la mancanza”». «Quell’uomo – ha commentato il Papa – diceva che il prete era un grande. Che gli diceva le cose in faccia. E questo lo aiutava a combattere, perché era lui che doveva metterci la sua volontà».
Il Papa: scegliere Dio, Lui dà gioia; non i soldi, che rendono tristiFrancesco a Santa Marta: non si possono seguire due «padroni», il Signore e le ricchezze, ma uno solo. Attenzione però: la vera, piena, contentezza deriva soltanto da Cristo
domenico agasso jr
http://www.lastampa.it/2017/02/28/vatic ... agina.htmlIl Signore dona «pienezza» di vita e contentezza, invece le ricchezze, alla fine dei conti, danno solo tristezza. «Non si possono servire due padroni», o si segue Dio o le ricchezze. La vera gioia però deriva solo da Cristo. Lo afferma papa Francesco nella Messa di questa mattina, 28 febbraio 2017, a Casa Santa Marta, come riporta Radio Vaticana.
La pienezza di Cristo è «annientata», culmina nella Croce, dice il Pontefice. Alla vigilia del Mercoledì delle Ceneri, il Vescovo di Roma evidenzia che, in questi giorni prima della Quaresima, la Chiesa «ci fa riflettere sul rapporto fra Dio e le ricchezze». Ricorda l’incontro fra il «giovane ricco, che voleva seguire il Signore, ma alla fine era tanto ricco che ha scelto le ricchezze».
Papa Bergoglio sottolinea qui quanto Dio doni tutto Se Stesso in una misura traboccante. Osserva Francesco come il commento di Gesù impaurisce i discepoli: «Quanto difficile è che un ricco entri nel Regno dei Cieli. È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago»; il Vangelo di Marco mostra san Pietro mentre domanda a Dio che ne sarà di loro che hanno abbandonato tutto. Pare quasi – riflette il Papa – che «Pietro gli passasse il conto al Signore: non sapeva cosa dire: “Sì, questo se ne è andato, ma noi?”. La risposta di Gesù è chiara: “Io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato tutto senza ricevere tutto”. “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto”. “Riceverete tutto”, con quella misura traboccante con la quale Dio dà i suoi doni. “Riceverete tutto. Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madri o padri o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora in questo tempo cento volte tanto in case, fratelli, sorelle, madri, campi, e la vita eterna nel tempo che verrà”».
Tutto, quindi: «Il Signore non sa dare meno di tutto. Quando Lui dona qualcosa dona sé stesso, che è tutto». Però attenzione: «C’è una parola», in questo brano evangelico, «che ci fa riflettere: riceve già ora in questo tempo cento volte in case, fratelli insieme a persecuzioni». Ecco, questo è «entrare» in un «altro modo di pensare, in un altro modo di agire», ossia: «Gesù dà se stesso tutto, perché la pienezza, la pienezza di Dio è una pienezza annientata in Croce».
Questo è il dono del Signore: «La pienezza annientata. E questo è lo stile del cristiano: cercare la pienezza, ricevere la pienezza annientata e seguire per quella strada». Certo, «non è facile, non è facile questo - riconosce il Papa - E qual è il segno, qual è il segnale che io vado avanti in questo dare tutto e ricevere tutto? L’abbiamo sentito nella Prima Lettura: “Glorifica il Signore con occhio contento. In ogni offerta mostra lieto il tuo volto, con gioia, consacra la tua decima. Dà all’Altissimo secondo il dono da Lui ricevuto”».
Quindi, ci vuole «occhio contento, lieto il volto, gioia, occhio contento… Il segno che noi andiamo su questa strada del tutto e niente, della pienezza annientata, è la gioia». Al contrario, il giovane ricco del Vangelo odierno «si fece scuro in volto e se ne andò rattristato». Perché «non è stato capace di ricevere, di accogliere questa pienezza annientata – ammonisce il Pontefice – i Santi, Pietro stesso, l’hanno accolta. E in mezzo alle prove, alle difficoltà avevano lieto il volto, l’occhio contento e la gioia del cuore». Eccolo, «il segno».
Il Papa parla poi di san Alberto Hurtado, cileno: «Lavorava sempre, difficoltà dietro difficoltà, dietro difficoltà… Lavorava per i poveri… È stato davvero un uomo che ha fatto strada in quel Paese… La carità per l’assistenza ai poveri… Ma è stato perseguitato, tante sofferenze. Ma lui quando era proprio lì, annientato in croce, la frase era: “Contento, Señor, Contento”, “Felice, Signore, felice”». Infine, un’invocazione al Santo cileno: «Che lui ci insegni ad andare su questa strada, ci dia la grazia di andare su questa strada un po’ difficile del tutto e niente, della pienezza annientata di Gesù Cristo e dire sempre, soprattutto nelle difficoltà: “Contento, Signore, contento”».