Idolatria e spiritualità naturale e universale

Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » mar dic 08, 2015 11:43 am

L'orenda union de łi idołatri cristiani e musulmani contro łi omani ke no vol credar a łi so idołi; i cristani ke łi se fa conpleçi del teror xlamego, de łi sasini xlameghi

Islam e cristianesimo: risposte diverse alla stessa secolarizzazione
A Milano un evento di Oasis su come la modernità sta intaccando società e fedi millenarie
Lex Robertson
Emanuele D'Onofrio/Aleteia
27 novembre 2014

http://it.aleteia.org/2014/11/27/islam- ... rizzazione

Islam e cristianesimo, due mondi che non sono apparsi mai così lontani come lo sono oggi, raccontati dai media, dai loro stereotipi e dai nostri pregiudizi. Eppure, le maggiori religioni monoteiste del globo attraversano sono attraversate da sfide che si assomigliano, dai processi in atto nel proprio tempo e dai cambiamenti di comunità sempre più intrecciate tra loro. Questi processi sono in buona parte il motore di ciò che chiamiamo secolarizzazione. Questa è una parola che fa pensare a tante cose: alla “laicità” dello Stato, alla riduzione di Dio e della nostra fede ad una dei tanti possibili stili di vita da adottare, quasi fosse una scelta estetica. Ma incontrando costumi sociali e approcci religiosi di fede, nei paesi cristiani e nei paesi musulmani, la secolarizzazione suscita reazioni diverse, che spaziano dalla violenza al revivalismo contaminato da una modernità sfrenata. Da dove viene la secolarizzazione? Come evolve e quali forme assume quando si manifesta all’interno di culture diverse? Che cosa comporta nel mondo contemporaneo, in cui la religione – data per spacciata da alcuni – si sta piuttosto trasformando? Queste ed altre sono le domande a cui proveranno a rispondere gli studiosi di area cristiana e di area islamica chiamati a convegno per l’incontro “Cristiani e musulmani alla prova della secolarizzazione” organizzato da Fondazione Oasis nell’ambito di Oasis eventi e che si è tenuto questo giovedì 27 novembre, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, a Milano. A questo proposito Aleteia ha intervistato il professor Giovanni Salmeri, docente di Storia del pensiero teologico all’Università degli Studi di Tor Vergata e coordinatore di uno dei gruppi di ricerca del progetto “Conoscere il meticciato” promosso dalla Fondazione Oasis con il contributo della Fondazione Cariplo.
La secolarizzazione sta colpendo i paesi musulmani nelle stesse forme e modalità con le quali sta colpendo la società occidentale cristiana?
Salmeri: Forse la prima cosa importante da notare è che ogni paese, ogni cultura, fa storia a sé. Esistono moltissime differenze tra i paesi di tradizione cristiana (e anche all'interno di essi) e moltissime tra i paesi di tradizione islamica. Spesso si osserva che il cristianesimo possiede al suo interno dei princìpi che muovono in direzione della secolarizzazione, che dunque può essere interpretata positivamente anche dal punto di vista teologico, per esempio come una maggiore responsabilizzazione dell'uomo di fronte al mondo. Questo è grosso modo vero, ma è anche vero che le varie forme di secolarizzazione sono un processo tipico della modernità, dovuto ad una serie di interazioni complesse. È evidente che nei paesi islamici sentiamo il bisogno di una presa di distanza tra politica e religione, ma non è detto che le modalità augurabili siano le stesse dell'Occidente. Ciò che accadrà nei prossimi anni e decenni è ancora tutto da vedere. Non si tratta comunque di processi ineluttabili: molto dipende dalle scelte culturali, sociali e politiche alle quali contribuiremo.

Tra gli effetti che la secolarizzazione causa c'è anche quello dell'estremismo religioso? In altre parole, estremismo secolarizzante produce estremismo religioso?

Salmeri: Qualche giorno fa è stato pubblicato un interessante studio a cura del “Centre de Prévention contre les dérives sectaires liées à'l'Islam” in cui risulta che l'80% dei giovani coinvolti nell'estremismo islamico proviene da famiglie atee: una percentuale molto significativa anche nella laica Francia, dove gli atei sono il 35%. Quindi, certo, legami esistono. Non credo che però possiamo interpretarli come passaggi da un estremismo all'altro: a prima vista si tratta della possibilità dell'estremismo di attecchire sul disorientamento e sulla fragilità causata dalla mancanza di legami spirituali significativi. Questa è certo una grande sfida per le nostre civiltà occidentali.

Le autorità religiose delle due religioni che compito hanno nell'accompagnare le loro comunità in questa fase?
Salmeri: Tutti i processi di «separazione» possono condurre ad una purificazione della fede. Una fede libera dai legami e dai compromessi con il potere è senza dubbio più libera di essere fede. Qui le guide religiose hanno un compito cruciale. Dall'altra parte, una fede più pura non dovrebbe rinunciare ad ispirare positivamente la vita comune, soprattutto perché questa in ultima analisi si basa su esperienze umane elementari che hanno in sé un valore religioso. E soprattutto una fede pura non dovrebbe mai rinunciare a legarsi fecondamente alle culture: quando le religioni pretendono questo tipo di falsa purezza, molto più facilmente degenerano nel fanatismo.

Le due religioni possono ritrovarsi come alleate o come più distanti, nell'affrontare questo comune "nemico"?
Salmeri: Anzitutto non è detto che la secolarizzazione sia sempre un nemico: in certe forme può essere anzi la maggiore amica delle religioni. Pensiamo per esempio a quanto il discorso sulla libertà religiosa, enunciato nel Vaticano II, ha aiutato a mettere a fuoco il valore della coscienza, riscoprendo così un tema cruciale delle origini del cristianesimo. In questo senso sì: cristianesimo e islam possono fare amicizia. L'importante, a mio parere, è che non si tratti di alleanze solo tattiche, in cui casuali e ambigue convergenze vengono usate per combattere nemici comuni. Certi fenomeni possono essere «nemici» per motivi molto diversi. La discussione sulla secolarizzazione va dunque affrontata con serenità e con profondità perché può aiutare ognuno a capire meglio sé stesso e l'altro, e questa è la base di un cammino comune fecondo.


L'identità aperta che serve per camminare sul crinale - Cristiani e musulmani, secolarizzazione e ideologia: la sfida di Oasis
Riccardo Redaelli
22 giugno 2013

http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/ ... inale.aspx

Sul crinale, senza dubbio. Non importa quanto erto o scivoloso possa essere: la volontà è di percorrerlo senza paura e senza cedere alla pericolosa tentazione di vederlo come un precipizio. Fin dal titolo «Sul crinale. Cristiani e musulmani tra secolarismo e ideologia», così evocativo, scelto dalla Fondazione Oasis per il suo decimo convegno internazionale tenutosi recentemente a Milano, si è voluto indicare un percorso di comprensione del rapporto fra religione e contemporaneità. A parlarne, si sono trovati decine di esperti, il comitato scientifico di questa fondazione internazionale – pensata, voluta e presieduta dal cardinale Angelo Scola – che si occupa di dialogo interculturale e interreligioso fra mondo occidentale e mondo islamico.
Un rapporto che sembra divergere al punto da rendere impossibile un approccio unitario: troppo Dio lungo la sponda sud del Mediterraneo, troppo poco in Europa. Le rivoluzioni arabe hanno portato al potere o fatto emergere una pluralità di movimenti dell’islam politico e del salafismo, spesso chiusi in una visione solipsista, ripiegatisi attorno a un’interpretazione dogmatica dell’islam, trasformato in un’ideologia che nega spesso la pluralità dell’interpretazione e delle fedi. Lungo le nostre sponde, al contrario, una secolarizzazione che trova insopportabilmente invadente un Dio che pretende di continuare a varcare le soglie dei propri templi, per camminare nella società e discutere di cose pubbliche. E scandalosa una dimensione della religiosità che non si lasci appiattire sull’orizzonte dell’immediato o del meramente privato.
In realtà, quanto è emerso con chiarezza nei due giorni di discussione è proprio la necessità di uno sguardo unitario, che rifugga le comode etichette di Occidente ateo e Oriente (troppo) religioso: il "meticciato" delle due sponde del Mediterraneo – per utilizzare un termine caro a Scola – l’interdipendenza politica ed economica ci spinge a ripensare il rapporto fra mondo contemporaneo e religione, con uno sguardo olistico che prescinde dai confini regionali. Certo, proprio le difficoltà del «dopo primavera araba» ci raccontano dei guasti della religione quando essa diviene ideologia politica invadente e totalizzante, l’unica fonte percepita di legittimità. Una difficoltà che si traduce facilmente in conflitto verso i non-musulmani, ma anche e soprattutto dentro l’islam, lungo le linee di faglia dell’opposizione sciiti-sunniti o fra dogmatici e liberali.
Ma allo stesso tempo, lo smarrimento e le paure di un Occidente colpito da una crisi economica che ha messo in crisi la fiducia così tardo-ottocentesca nel progresso materiale e nella dimensione economica dell’uomo, devono indurre a una riflessione – che rifugga dalla pura astrazione intellettualistica – in relazione "all’esistenza e all’esistente". Riscoprire il coraggio del porsi una domanda di senso sul vivere, e sull’esistenza di una direzione di cammino. E questo sforzo oggi trascende l’appartenenza a una fede, la dimensione dell’essere occidentale od orientale, gli steccati e le percezioni identitarie. Non solo perché il mondo è sempre più frammischiato, ma poiché – a un livello superiore – il bisogno che si fa strada è quello di una nuova interpretazione culturale del mondo e della sua dimensione religiosa. Una sfida che può essere raccolta solo se si allarga l’orizzonte del «noi», andando al di là di una visione statica della propria identità. Il che non significa annacquare la nostra identità religiosa; ma anzi riscoprirla e proporla di nuovo, consapevoli di una pluralità che impone con forza la questione dei diritti e delle libertà del singolo. Con la certezza che i tanti sentieri per risalire il crinale del rapporto fra religione e contemporaneità non sono sbarrati da burroni invalicabili. Quelli stanno tutti nelle menti e nei pre-giudizi in cui indugia spesso l’uomo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » mar dic 08, 2015 4:28 pm

???

Charlie Hebdo: promuovere la secolarizzazione dell’Islam
di Marcello Barison | 20 gennaio 2015
Filosofo

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01 ... am/1350434


Nei giorni successivi all’attentato di Parigi sono state fornite dell’Islam le rappresentazioni più grottesche e disparate. Si tratta, nella maggioranza dei casi, di ricostruzioni del tutto miopi, spesso unite dalla tesi per cui il mondo politico mediorientale, avendo mancato l’incontro con la modernità laica, cioè con la secolarizzazione della propria forma-Stato, sarebbe di fatto ancora del tutto irretito in un paradigma teocratico pre-moderno, caratterizzabile vuoi come intollerante, vuoi come feroce, repressivo o violento – poiché estraneo ai principi della democrazia occidentale. Ora, il fatto che una parte − certamente non irrilevante e comunque non sottovalutabile – del mondo musulmano, si sia trasformata in tutto questo, non significa affatto che le cose, anche nel recente passato, siano sempre state così. Una rapida analisi storica conduce infatti a valutazioni differenti.

Consideriamo, brevemente, prima il caso siriano ed iracheno; poi l’egiziano, il libico, ed infine quello iraniano.
Tanto la Siria di Hafiz al-Assad – dal 1970 in poi – quanto l’Iraq di Saddam Hussein – dal ’79 al 2003 – sono riconducibili all’ideologia del Partito Ba‘th, ossia alle teorie socialiste panarabe sviluppate originariamente da Michel ’Aflaq, siriano di nascita ma di formazione francese (completò gli studi alla Sorbona).
Al di là dell’orientamento apertamente socialista – propenso ad una più equa ripartizione del reddito nonché ad un progressivo miglioramento delle condizioni di vita della classe salariata −, tra i punti programmatici del primo Ba‘th vanno elencati la tutela della libertà di parola e dei diritti umani, nonché il principio della laicità dello Stato. Ora, come ha ampiamente mostrato John Devlin, è fuor di dubbio che i regimi di Saddam e Assad abbiano tradito i propositi iniziali del Ba‘th piegandoli all’instaurazione di domini dinastici autocratici; è però altrettanto vero che, in entrambi i casi, si è trattato di governi ampiamente secolarizzati, dove il legame con l’islamismo ha sempre svolto una funzione prevalentemente propagandistica − cioè mai fondamentalistica − finalizzata più che altro al mantenimento del consenso.

Il caso egiziano è altrettanto emblematico. Nasser prima, Anwar al-Sadat poi, ed infine Mubarak, pur perpetrando un regime militare certamente autoritario e quantomai lontano da una democrazia, hanno però sempre osteggiato l’affermarsi di formazioni politiche d’ispirazione fondamentalista. Basti pensare che dopo il colpo di stato repubblicano del ’52, Nasser, una volta divenuto Primo Ministro (’54), si scontrò duramente con i Fratelli Musulmani che tentarono persino di eliminarlo fisicamente mediante un attentato a seguito del quale i principali esponenti dell’organizzazione, sciolta manu militari, vennero condannati a morte. Il suo successore, Sadat, venne assassinato nel 1981 da un affiliato alla Jihad islamica egiziana che si ispirava all’islamismo radicale di Sayyid Qutb (esponente dell’ala oltranzista della Fratellanza, giustiziato nel ’66) − il che dimostra ancora una volta di più la profonda distanza del governo egiziano dall’islamismo fondamentalista.

Osservazioni analoghe potrebbero essere fatte circa la Libia di Gheddafi: il colpo di stato del 1969 che lo portò al potere, è ancora una volta riconducibile ai principi socialisti del panarabismo laico d’ispirazione nasseriana.

Vi sarà certamente chi, a scapito di queste tesi, vorrà addurre il caso dell’Iran. Si tratterebbe però di un’obiezione non pertinente. L’ascesa di Khomeini – e la conseguente trasformazione dell’Iran in una Repubblica Islamica – non è comprensibile senza considerare la destituzione del governo Mossadeq, rovesciato dopo aver intaccato gli interessi statunitensi con la nazionalizzazione dell’Anglo-Iranian Oil Company. Il colpo di Stato – la cosiddetta Operazione Ajax – ordito dai servizi segreti britannici e statunitensi – che nel ’53 riporto al potere lo Shāh Reza Pahlavi, stroncò infatti sul nascere le riforme democratiche promosse da Mossadeq. È dunque lampante che la rivoluzione conservatrice khomeinista del ’79 non fu che una diretta conseguenza della restaurazione, da parte statunitense, dell’autocrazia filo-occidentale dei Pahlavi. Avendo soffocato il processo di modernizzazione promosso da Mossadeq, fu proprio l’intervento statunitense a determnare quello stato di congestione politica che, imponendo il ritorno dello Shāh, creò terreno fertile per una reazione insurrezionale sotto il segno dall’islamismo politico degli Ayatollah.

Questo per dire che cosa? Semplicissimo: che Siria, Iraq, Iran, Libia ed Egitto erano già ben più che avviati in un autonomo – per quanto certamente sofferto e contraddittorio − percorso di modernizzazione in senso laico della società civile. I dilaganti focolai fondamentalistici che, più o meno recentemente, si sono sviluppati in quelle zone, altro non sono che l’esito della sciagurata politica messa in atto in quei territori dall’Occidente negli ultimi decenni – basti pensare all’appoggio, destabilizzante, degli Stati uniti alla ribellione contro Assad, su cui perfino Obama ha dovuto far marcia indietro, visto il progressivo affermarsi dell’Is. E che dire del nefasto intervento in Iraq? Un disastro strategico che ha irrimediabilmente sovvertito l’equilibrio politico della zona, così come le operazioni militari francesi (operazione Harmattan) e angloamericane (operazione Odyssey Down) in Libia per destituire Gheddafi o la gestione – dilettantesca – del collasso del regime di Mubarak che ha visto subentrare, almeno fino al 2013, l’islamismo dei Fratelli Musulmani guidati da Morsi. È stato l’Occidente, annichilendo ad uno ad uno tutti i tentativi politici di una modernizzazione laica del Medio Oriente, a trasformare il mondo islamico una polveriera ingestibile. Ora però che le forze fondamentaliste colpiscono nel cuore dell’Europa, rimaniamo atterriti e stupefatti innanzi al fanatismo politico musulmano rappresentando − secondo una stucchevole, autoassolutoria proiezione infantile − l’Islam come costitutivamente atavico e antiprogressista, quando sono state le politiche dei nostri governi a renderlo tale – peraltro anche piuttosto recentemente.

Che fare, allora? Rispetto all’attentato a Charlie Hebdo non è possibile assumere né l’atteggiamento giustificazionista dei terzomondisti da salotto, né quello – affannosamente oltranzista – di chi vorrebbe un Occidente neo-templare, asserragliato in se stesso, che dichiari la guerra santa contro l’Islam. Proprio alla luce delle sue colpe – ormai la frittata è fatta −, l’Occidente, specialmente la sinistra oggi visibilmente in panne, deve invece assumersi una responsabilità politica massimamente impegnativa, ma irrinunciabile: secolarizzare l’Islam.
Non coi droni o le granate, ma promuovendo in loco una radicale trasformazione dei suoi costumi e della sua dottrina. Il fondamentalismo va sconfitto nelle università, nelle scuole e nella società civile. Con un progetto culturale concreto e concorrenziale. Col cinema e con l’architettura. Innovando in infrastrutture e facendo leva sul sacrosanto desiderio di emancipazione che aleggia in quelle terre almeno quanto nelle nostre periferie più disagiate. Cioè a suon di investimenti e senza abbozzare catastrofiche crociate guerrafondaie.
Sempre che non si vogliano trasformare le città europee in un campo minato, coi metal detector nei supermercati. Dove, nel giro di pochi anni, diventerà impossibile persino prendere un autobus senza temere il peggio.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » mar dic 29, 2015 5:27 pm

La cexa de łi idołatri monodeisti

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... of-One.jpg


A Berlino si progetta la The House of One, un’unica chiesa per cristiani, ebrei e musulmani
Andrea D'Addio
giugno 26, 2014

http://www.wired.it/attualita/2014/06/2 ... -musulmani

Si chiamerà The House of One ed accoglierà i fedeli di tutte e tre le maggiori religioni monoteiste: cristiani, ebrei e musulmani. Sorgerà a Berlino, sempre che tutto vada bene. Lo scorso 3 giugno è infatti partita la campagna per raccogliere i 43 milioni di euro necessari per la sua costruzione. Chi vorrà potrà versare una donazione al costo simbolico di 10 euro a “mattone”.

L’idea in realtà è partita in realtà già nel 2006, quando, durante alcuni scavi sull’isola dei Musei (una sorta di isola Tiberina di Roma dove il Kaiser Federico Guglielmo IV di Prussia ha concentrato i maggiori musei cittadini) furono ritrovati i resti di ben cinque chiese cristiane, la più antica risalente al 1200. Si pensò che su quelle macerie sarebbe dovuto nascere qualcosa di speciale e così, dopo aver ricevuto autorizzazioni e aver messo definito ciò di cui si era in cerca, è stato indetto un concorso con il placet dell’amministrazione cittadina. A vincere, nel 2012, è stato il progetto dello studio d’architettura italo-tedesco Kuehn Malvezzi. A quel punto il problema è stato trovare tre rappresentanti dei vari credi che sostenessero il tutto. Se per la comunità ebraica e quella cristiana non ci sono stati grossi problemi, diverso è stato il discorso con i musulmani. La ricerca è finita solo qualche mese fa quando l’imam Kadir Sanci ha assicurato che farebbe confluire i propri fedeli nel nuovo luogo di culto. “Per noi musulmani è un’opportunità eccezionale”.

Dal punto di vista progettuale non è stato facile riuscire a pensare ad un luogo multi-religioso che tenga conto di tutte le esigenze dei fedeli. Se infatti, almeno per i cristiano protestanti, la direzione in cui è posto l’altare non è un problema, per musulmani ed ebrei la preghiera deve essere rivolta ad est. Non solo. Sempre per rispettare la religione islamica serve uno spazio quadrato dove potere stare fianco a fianco mentre per gli ebrei è importante avere una zona riparata per la celebrazione del Sukkot, la Festa delle capanne. Il Kuehn Malvezzi costruirà una sorta di cubo alto 44 metri rivestito di mattoni color senape. All’interno ci saranno tre settori separati (che per ebrei e musulmani saranno a loro volta divisi tra uomini e donne) senza simboli religiosi. Una quarta aerea sarà invece destinata per gli incontri tra tutti e tre i tipi di credenti.

Il nome The House of One richiama un Dio che si presume unico. Lo slogan, “Drei Religionen. Ein Haus” significa semplicemente “Tre religioni, una casa”. La speranza a questo punto è che dalle belle parole si passi ai fatti. Per partecipare al Crowfunding potete visitare il sito di The House of One.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » lun feb 01, 2016 10:05 pm

Islam, educazione contro la violenza - Intervista al teologo Adnane Mokrani - di Viviana Vestrucci
1 febbraio 2016

http://it.gariwo.net/interviste/islam-e ... 14480.html

L‘Islam non è una religione di pace, i musulmani devono ammettere che le istigazioni alla violenza sono nei testi sacri e assumere la responsabilità di ridefinire le basi della religione per spezzare il legame tra quest'ultima e l'estremismo islamico. Lo ha scritto Ayaan Hirsi Ali, attivista politica e scrittrice somala naturalizzata americana, nel libro “Eretica. Cambiare l’Islam si può”, indicando i principi su cui fondare la riforma: il Corano è solo un libro e non è depositario di verità divine; la vita terrena è più importante di ciò che accade dopo la morte; la ‘Shari’ah’ deve essere subordinata alle leggi dello Stato. Tesi che hanno suscitato molte reazioni all'uscita del libro e che tornano di attualità mentre in Europa crescono diffidenza e ostilità verso i musulmani dopo gli attentati dell'ISIS.

Per capire se la riforma dell'Islam sia una strada percorribile e possa favorire la convivenza tra le diverse comunità religiose ed etniche, Gariwo ha intervistato Adnane Mokrani, teologo musulmano e professore di studi islamici al Pontificio Istituto di Studi Arabi e di Islamistica (PISAI) e alla Pontificia Università Gregoriana.

Come teologo condivide queste proposte e le ritiene fattibili?

Da teologo musulmano mi è difficile dire che il Corano è solo un libro, come anche la Bibbia e i Veda. Sono i libri sacri e hanno un valore particolare perché nutrono l’esperienza spirituale che apre la persona alle verità divine. Dunque non si può dire che la verità divina è rinchiusa dentro un libro, ma il libro può essere lo strumento, l’inizio di un cammino: illumina ma non sostituisce l’esperienza religiosa individuale. Direi poi che la vita terrena è importante, perché chi non vive questa apertura all’umano e al divino e non respira il profumo del Paradiso oggi su questa terra, non riesce a viverla pienamente dopo. Penso inoltre che il musulmano debba rispettare la legge dello Stato, emanata da un parlamento libero scelto dal popolo secondo le regole democratiche. La 'Shari’ah' indica un modello di comportamento religioso, va intesa etica e non come legge.

Altri principi da abolire, secondo Hirsi, sono la coercizione e il conformismo imposto e la ‘Jihad’ come guerra contro i non musulmani e i musulmani eretici o apostati. È d’accordo?

La coercizione è inaccettabile soprattutto rispetto alla religione, che deve essere frutto della libera scelta, questo è detto in modo esplicito nel Corano, “Non c'è costrizione nella religione”, (2, 256). Il formalismo imposto non è altro che ipocrisia, vivere le regole senza convinzione non ha senso né significato religioso. Ovviamente alcuni gruppi musulmani non hanno capito questo insegnamento coranico e hanno seguito altre indicazioni che permettono l’uso della forza per vivere la religione.
Quanto alla ‘Jihad’, nel Corano questa parola non è sinonimo di uno sforzo bellico ma di qualsiasi sforzo il musulmano fa per servire Dio e quindi la gente e dunque per la giustizia sociale e la pace. La guerra nel Corano è permessa solo in caso di difesa: quando la nazione è attaccata da una forza straniera, si può combattere per difendere la nazione. Ovviamente nella storia troviamo musulmani che hanno fatto conquiste, guerre, invaso altri paesi: l’imperialismo islamico. Come gli altri uomini, i musulmani hanno seguito la logica del tempo in ogni epoca, ma è difficile trovare una giustificazione religiosa nel Corano per queste azioni.

La sua posizione di apertura, tolleranza e dialogo è condivisa dalla maggioranza dei teologi musulmani e dei musulmani stessi? E come può diffondersi in un contesto caratterizzato oggi da attacchi di gruppi armati per imporre l’Islam?

Nel mondo islamico, dal Marocco all’Indonesia, ci sono molti pensatori, sapienti e giovani convinti dei principi di pace e giustizia, anzi rappresentano la maggioranza assoluta, ma la scena internazionale è dominata dagli estremisti violenti che danno un’immagine opposta. In Siria il popolo aveva iniziato a manifestare in modo pacifico con la musica e il canto contro la dittatura, ma la risposta violenta del regime ha innescato una reazione simile da parte dei gruppi ribelli e così è scoppiata la guerra civile e la voce della guerra ha sovrastato quella della società civile. La minoranza violenta sul piano mediatico è molto presente, perché attacca, fa esplodere, fa rumore. In verità la soluzione deve essere politica e sociale, perché la riforma del pensiero religioso islamico non può essere una realtà accettata senza un’apertura politica che permetta la libertà d’espressione e di ricerca. Ci sono università e centri di studio che tentano di aprire un dibattito positivo e serio sul pensiero islamico contemporaneo, ma purtroppo in tanti paesi ci sono ostacoli politici e questo influisce anche sugli aspetti culturali e sociali del pensiero religioso. L’ignoranza e l’analfabetismo rappresentano un terreno fertile per lo sviluppo dell’estremismo e del fondamentalismo. Noi possiamo combatterli con una presa di coscienza democratica e soprattutto con l’educazione, non solo nei paesi a maggioranza islamica, ma ovunque si manifestino ostilità e chiusura. Quindi la chiave per fare progressi è aprire i due mondi a un incontro, a non considerarsi ostili solo perché diversi. Oggi i gruppi terroristici, in particolare l’ISIS, cercano di creare una spaccatura tra mondo islamico e occidente, un’ondata di odio che si traduce in paura, sospetto, razzismo, islamofobia e pressione nei confronti dei musulmani. In questo clima di terrore loro possono manipolare e rafforzarsi. Noi musulmani, cristiani, ebrei e altri anche senza convinzione religiosa dobbiamo essere solidali e non permettere la polarizzazione della società perché, se rispondiamo al terrorismo con la paura e il razzismo, si consolida il progetto terroristico e questo indebolisce la democrazia e colpisce l’Europa nell’anima.

Si è parlato della visita del Papa alla Moschea di Roma, la prima di un pontefice alla Moschea della capitale. Questo evento potrebbe aiutare a superare le barriere?

Sicuramente questo gesto può avere una grande importanza simbolica. Il Papa si è di recente recato alla Sinagoga di Roma e una futura visita alla Moschea significa in qualche modo un riconoscimento della comunità islamica italiana, un segno di dialogo e di apertura, che incoraggia le persone impegnate sul campo.

La disponibilità al dialogo e a riformare l’Islam, espresse da lei e altri teologi, riescono ad arrivare nelle mosche e ai comuni fedeli?

Le associazioni islamiche in Italia sono sempre più consapevoli del loro compito, della loro responsabilità, in tante hanno aderito al Giubileo della misericordia, apprezzando l‘iniziativa perché tocca un valore fondamentale per l’Islam: tornare alla misericordia significa riscoprire l’essenza della religione. Subito dopo gli attacchi a Parigi in gennaio e in novembre quasi tutte le associazioni hanno condannato in modo categorico il terrorismo. C’è questa volontà, ma l’Islam italiano ha bisogno di organizzarsi meglio e di ottenere l’intesa con lo Stato italiano, che conferirà alcuni diritti e vantaggi.

Le donne musulmane sono spesso in una condizione di isolamento, se non imparano la lingua e non lavorano. I responsabili delle comunità islamiche possono impegnarsi per migliorare la loro condizione?

L’immigrazione è costituita da persone di paesi e culture diversi, marocchini, algerini, tunisini, egiziani, ma quando arrivano in Italia sono messi tutti sotto la categoria dei “musulmani”. Dobbiamo vedere da dove vengono, spesso si tratta di villaggi rurali, qui in Italia manca una leadership culturale e le persone sono talvolta prive di strumenti per inserirsi e incapaci di confrontarsi con la società moderna. In questo caso non solo le associazioni islamiche, ma anche le associazioni italiane religiose e laiche devono intervenire perché l’integrazione non è un cammino naturale che procede in modo spontaneo, ma va accompagnata e incoraggiata. Questo forse manca in Italia, un progetto che aiuti gli immigrati a inserirsi nella società. E il primo passo è l’educazione, imparare la lingua italiana. Questo vale per la prima generazione, perché la seconda, costituita dai bambini nati qui, apprende nelle scuole la lingua, la cultura e la storia italiana.


Adnane Mokrani, nazionalità tunisina, teologo musulmano, professore di studi islamici al Pontificio Istituto di Studi Arabi e di Islamistica (PISAI) e alla Pontificia Università Gregoriana. Ha conseguito il Dottorato in Teologia Islamica presso l’Università Al- Zaytuna di Tunisi e in Dialogo Islamo-Cristiano presso il PISAI; poligotta (arabo, italiano, inglese, francesce) ha studiato l’ebraico biblico e il greco biblico.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » sab feb 13, 2016 10:49 am

"Togliete il nome di Allah da quelle scarpe", così i musulmani si scagliano contro la Nike
Serena Pizzi - Mer, 10/02/2016

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 22868.html


In più di 50mila stanno sostenendo la campagna contro la Nike. Secondo i fedeli musulmani, il simbolo della nota marca di scarpe richiama il nome di Allah.

"Togliete il nome di Allah dalle scarpe da ginnastica". In coro migliaia di musulmani marocchini gridano allo scandalo e pretendono che l'azienda statunitense ascolti le loro richieste. Hanno datto vita ad una vera lotta contro la Nike. Migliaia di musulmani hanno scritto sui social netowrk che il logo sulle suole delle scarpe ricorda il nome di Allah e per questo motivo devono essere messe fuori produzione. Allah non può essere offeso.

Una deputata del partito islamista marocchino ha preso a cuore il problema e ha indirizzato al Ministro dell'Industria e del Commercio una richiesta precisa. La politica vorrebbe avere spiegazioni "sulla distribuzione e la vendita di scarpe che recano offesa al nome di Allah". La questione non è ancora stata risolta e continua ad infiammare gli animi di tutti i musulmani che si sentono colpiti nell'animo.

Non è la prima volta che i muslumani dichiarano di essere stati feriti dalle scelte commericiali dell'azienda. Nel 1997, per esempio, la Nike fu costretta a ritirare 800mila paia di scarpe perchè la scritta "Air" in caratteri arabeggianti sembrava la parola "Allah". Per sapere il finale di questa vicenda, basterà aspettare ancora qualche mese: se le scarpe verranno fatte scomparire dal mercato, significherà che ancora una volta la cultura islamica avrà vinto su quella occidentale.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » mer mar 09, 2016 10:05 am

No xe łe rełijon e łe fedi ke łe ne porta ła spirtoałetà parké ła spertoałetà ła xe na despoxision natural e ogniversal ca ghè ente ogni creadura; łe fedi, i credi, łe rełixon łe xe lomè na enterpretasion, na deformasion, na manepołasion de ła spertołetà natural e 'nte sto senso łe xe tute pagane e eidołatre.

Non sono le religioni e le fedi che portano all'uomo la spiritualità, perché la spiritualità è una disposizione naturale e universale che c'è in ogni creatura; tutte le fedi, i credi, le religioni non sono altro che interpretazioni, deformazioni, manipolazioni della spiritualità natural e in questo senso sono tutte pagane e idolatre.


L'ombra di dio. Diverse Interpretazioni Della Comune Origine - Ebraismo, Cristianesimo e Islam

https://www.youtube.com/watch?v=J8Pv4XRC1bo
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » lun mar 28, 2016 1:23 pm

Qualcuno stoltamente crede che negare Dio o non credere in Dio significhi uccidere D-o

D-o non muore sono gli idoli che muoiono. Cristo-dio, Javè, Allah sono idoli e non D-o. Nessun uomo assennato, veramente religioso e non idolatra può dire che il suo Dio è D-o, perché D-o è universale e di tutti da sempre e non può essere imposto da qualcuno con le chiacchere o la violenza; con le chiacchere e la violenza si impongono gli idoli o la propria interpretazionde di Dio e non D-o che certamente non ha bisogno per esistere delle chiacchere e della violenza di chichessia.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » lun mar 28, 2016 2:27 pm

Ciao Alberto,

Può esistere un Dio assassino?

(28 marzo 2016)

Da agnostico convinto penso spesso a Dio.

Dio, dalla notte dei tempi, necessità primaria dell’uomo per dare un senso alla vita e vincere le sue paure ancestrali: ignoto, malattie, natura infida, morte. Paure e ansie ancora presenti, se non aumentate, in questa era iper-tecnologica che promette una continua, veloce e mirabolante connessione, spesso con il nulla, ma che rischia di ridurre/azzerare la nostra parte spirituale.

Sono convinto che Dio sia un’Entità molto soggettiva, personale e delicata; sicuramente buona e giusta. Invece, la storia insegna che in nome di Dio (con diverse denominazioni) si sono commesse atrocità indicibili. “Dio lo vuole!”, “in nome di Dio!“ accompagnato poi con “e per volontà della Nazione!” e avanti con l’odio e il sangue di cui grondano le varie chiavi dei regni dei cieli.

Qualsiasi cosa costruita intorno a Dio è opera dell’uomo, con i limiti che ne conseguono. Le caste, i privilegi, il potere, …, tutte infrastrutture che poco o nulla hanno a che fare con Dio, sono interpretazioni soggettive di gruppi di uomini, nate e sviluppate in certi contesti geografici, storici e sociali. Le religioni umane istituzionalizzate sono quasi sempre più materiali che spirituali. Da come agisci, posso intuire quello che immagini sia il tuo Dio.

L’autorità religiosa, per sua genesi non democratica, è sempre a rischio di tirannia. Chi afferma di essere stato nominato da Dio (l’unico vero Dio) per rappresentarlo in esclusiva, è un millantatore e commette un grande peccato di superbia. Nessun uomo ha la verità in tasca! Nessun uomo può parlare in nome di Dio! La capacità d’intermediazione Dio-Uomo è indimostrabile e non può comunque diventare un potere, anche se lo è sempre stato in passato e lo è tuttora. Purtroppo!

In ogni caso, nessun Dio ordina violenze/omicidi in suo nome. Un Dio del genere non può esistere, e chi lo usa come copertura per i propri delitti è doppiamente malvagio e reo di crimini contro l’umanità, con l’aggravante religiosa (peggiore di quella mafiosa). Il fanatismo religioso, con le sue false promesse di una meravigliosa vita ultraterrena, va oltre l’uomo, non prevede la pietà, ed è più forte/pericoloso di qualsiasi altra motivazione/ideologia.

Come può Dio creatore odiare gli uomini e armare la mano dell’uomo contro un altro uomo? L’unico Dio possibile, immaginabile, è un Dio mite, un Dio di amore, pace, perdono, vita, gioia, speranza e luce.

Il Dio di: “Morte agli infedeli!”, non esiste e squalifica chi lo proclama. Il proselitismo si può fare solo con l’esempio, senza nessuna coercizione, nemmeno in famiglia; una religione che, per fare adepti, prevede ed utilizza la violenza è un cancro che dopo un lento/subdolo inizio, va in metastasi, con virulenza mortale. Una religione siffatta è solo un’associazione criminale e deve essere messa al bando dal consorzio umano.

Tornando alla domanda iniziale: “Può esistere un Dio assassino?” La mia risposta è NO! Solo gli uomini possono essere violenti e assassini, e senza nessuna attenuante o alibi divini.


Buona vita!

Carlo
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » gio mar 31, 2016 9:32 pm

Benedetto XVI in Giordania: alleanza con l'islam per la promozione del ruolo pubblico della religione
Pubblicato 9-05-2009 alle 19:21 da Redazione Uaar

http://www.uaar.it/news/2009/05/09/bene ... -religione


Giunto ieri ad Amman ed accolto dal re Abdullah II di Giordania, Benedetto XVI si è espresso affinchè venga difesa la libertà religiosa ed ha auspicato la necessità di “un’alleanza di civiltà tra il mondo occidentale e quello musulmano, smentendo le predizioni di coloro che considerano inevitabili la violenza e il conflitto”.

Già durante il volo che l’avrebbe condotto ad Amman, Benedetto XVI ha sostenuto che “noi non siamo un potere politico, ma una forza spirituale […] che può contribuire ai progressi nel processo di pace”.

Tra i compiti della Chiesa, ha ribadito il papa, vi è quello di “aiutare a conoscere i veri criteri, i valori veri, e a liberarci da interessi particolari” e di parlare “alla ragione: proprio perché non siamo parte politica, possiamo forse più facilmente, anche alla luce della fede, vedere i veri criteri, aiutare nel capire quanto contribuisca alla pace e parlare alla ragione, appoggiare le posizioni realmente ragionevoli”.

Arrivato nella mattinata di oggi a Madaba, presso il quartiere cristiano, Benedetto XVI ha pronunciato un discorso nel luogo dove verrà costruita l’Università del Patriarcato Latino. Complimentandosi con i regnanti, che permettono la partecipazione di istituzioni cristiane nella promozione della cultura in Giordania, il papa sostiene che l’università permetterà non solo la ripresa socio-economica, ma “affinierà i […] talenti critici” degli studenti, “disperderà l’ignoranza e il pregiudizio, e li assisterà nello spezzare gli incantesimi creati da ideologie vecchie e nuove”, favorendo il dialogo tra le religioni.

Benedetto XVI coglie quindi l’occasione per ribadire che “la fede in Dio non sopprime la ricerca della verità; al contrario l’incoraggia”. Ammette che come “ogni espressione della nostra ricerca della verità” (al pari di scienza e filosofia, precisa) anche la religione può “corrompersi”, venendo “sfigurata quando viene costretta a servire l’ignoranza e il pregiudizio, il disprezzo, la violenza e l’abuso”. Ciò comporta “la corruzione della libertà umana, il restringersi e l’obnubilarsi della mente”, ma “un simile risultato non è inevitabile”. Benedetto XVI ribadisce che la scienza ha “i suoi limiti” e che “non può dar risposta a tutte le questioni riguardnti l’uomo e la sua esistenza”, che “la persona umana, il suo posto e il suo scopo nell’universo non può essere contenuto all’interno dei confini della scienza”: per questo la scienza “abbisogna della luce orientatrice della sapienza etica”, che “ha ispirato il giuramento di Ippocrate, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, la Convenzione di Ginevra ed altri lodevoli codici internazionali di comportamento”.

Giunto successivamente presso la moschea Al-Hussein Bin Talal di Amman, Benedetto XVI ha incontrato gli esponenti religiosi islamici, il corpo diplomatico e i rettori delle università del Paese, ai quali ha espresso la sua preoccupazione poiché oggi “con insistenza crescente, alcuni ritengono” che la religione generi odi e divisioni, piuttosto che armonia sociale, auspicando quindi che abbia una minore influenza nella sfera pubblica.
Benedetto XVI, pur dovendo ammettere che “il contrasto di tensioni e divisioni fra seguaci di differenti tradizioni religiose, purtroppo, non può essere negato”, si affretta a precisare che ciò avviene perché la religione subisce una “manipolazione ideologica”, “talvolta a scopi politici”.

Gli “oppositori della religione” cercherebbero non solo di “tacitarne la voce ma di sostituirla con la loro”. Per questo il papa ribadisce il suo plauso ai leader politici e religiosi della Giordania, che sostengono l’espressione pubblica della religione favorendo la sinergia tra enti cristiani e musulmani. Benedetto XVI afferma inoltre che “la ragione umana è in se stessa dono di Dio, e si eleva al piano più alto quando viene illuminata dalla luce della verità di Dio” e non sarebbe indebolita dalla fede, ma “rafforzata nel resistere alla presunzione di andare oltre ai propri limiti”. Per questo la religione favorirebbe la stabilità della società, in quanto la proteggerebbe “dagli eccessi di un ego ingovernabile, che tende ad assolutizzare il finito e ad eclissare l’infinito; fa sì che la libertà sia esercitata in sinergia con la verità, ed arricchisce la cultura con la conoscenza di ciò che riguarda tutto ciò che è vero, buono e bello”.

Non mancano però le critiche da parte islamica a Benedetto XVI, in relazione al suo discorso di Ratisbona di qualche tempo fa. Da segnalare Sheik Yusef Hussein, muftì della città di Karak, che sostiene: “Volevamo che si scusasse pubblicamente […]. Quello che il papa ha detto nel 2006 sul profeta Maometto è falso.
L’Islam non si è diffuso attraverso il potere della spada. È una religione di tolleranza e fede”.

Ke buxiari!
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Sixara » ven apr 01, 2016 8:36 pm

Ke bèlo 'verghe on fradelo ke l la pensa cofà ti: mi - de do - gnanca ona.
Ma d altra parte , 'sa dixelo Primo Levi : ki ca nàse ... :D
l è vera-verità eh, ke ki ca te conta buxie a 6-16-60 àni el te le contarà tuta la vita. Ke Dio li perdona.
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