Idolatria e spiritualità naturale e universale

Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » mer mar 29, 2017 11:01 am

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L’intellettuale islamico che vede in Gesù Cristo il faro dell’umanità
Calendar 29 marzo 2017

http://www.uccronline.it/2017/03/29/lin ... ellumanita

Da alcuni mesi seguiamo le interessanti pubblicazioni di Mustafa Akyol, intellettuale turco di fede islamica ed editorialista del New York Times. In particolare da quando, nel dicembre scorso, ha invitato i musulmani a festeggiare la nascita di Cristo: «Anche se questa non è una festa musulmana, non abbiamo bisogno di opporci al Natale. La nascita miracolosa di Gesù – il profeta, il Messia, la “Parola” di Dio – non ci deve offendere. Il 25 dicembre i musulmani dovrebbero dire ai loro vicini cristiani “la pace sia con voi”, senza esitare ad aggiungere: “Buon Natale!”».

In un recente articolo, Akyol ha sorprendentemente indicato nella figura del Cristo un valido maestro anche per il mondo islamico, la cui sequela potrebbe fare soltanto bene all’Islam in forte crisi d’identità a causa del germe fondamentalista che lo sta dilaniando.
«Gesù ha affermato di essere il Salvatore -il Messia- che il suo popolo attendeva», ha scritto l’intellettuale islamico. «Ma a differenza di altri pretendenti messia del suo tempo, non ha scatenato una ribellione armata contro Roma. Ha posto la sua attenzione sul ravvivare la fede e riformare la religione del suo popolo. In particolare, ha invitato i suoi correligionari a concentrarsi sui principi morali della loro religione, piuttosto che ossessionarsi con i più piccoli dettagli della legge religiosa. Ha mostrato che sacrificare lo spirito della religione per il letteralismo porta ad orrori, ha anche insegnato che dedicarsi eccessivamente alle espressioni esteriori di pietà può coltivare una cultura dell’ipocrisia, come accade in alcune comunità musulmane oggi».

I cristiani lo sanno bene, ha proseguito Akyol, mentre «i musulmani hanno bisogno di prenderne atto. Perché loro stanno attraversando una crisi molto simile a quella a cui si rivolgeva Gesù: pur essendo pressati da una civiltà straniera, sono anche turbati dai propri fanatici che vogliono imporre una la Sharia e lottano per un governo teocratico. I musulmani hanno bisogno di una terza strada, che li renda fedeli alla loro fede ma anche liberi dai pesi della tradizione passata e dall’attuale contesto politico. Sarebbe una novità assoluta per i musulmani imparare da Gesù? In una certa misura, sì. Mentre i musulmani provano rispetto e amore per Gesù – e per sua madre immacolata, Maria – perché il Corano li loda profondamente, la maggior parte non ha mai pensato alla missione storica di Gesù, all’essenza del suo insegnamento e come esso possa riguardare la propria realtà».

A proposito della Sharia, l’intellettuale turco ha indicato la rivoluzione “liberale” di Gesù Cristo, quando ha detto: “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato!”. «Allo stesso modo noi musulmani dovremmo ragionare così: “La Shariah è fatta per l’uomo, non l’uomo per la Shariah”. Oppure, come Gesù, possiamo suggerire anche che il Regno di Dio – detto anche “Califfato” – sarà stabilito non all’interno di un sistema politico terreno, ma nei nostri cuori e nelle menti. Se Gesù è “un profeta dell’Islam”, come noi musulmani diciamo spesso con orgoglio, allora dovremmo pensare a queste domande. Perché Gesù ha affrontato i problemi stessi che ci perseguitano oggi e ha stabilito una saggezza profetica perfettamente adatta per i nostri tempi».

Nel paragrafo finale del suo libro intitolato The Islamic Jesus: How the King of the Jews Became a Prophet of the Muslims (St. Martin’s Press 2017), Mustafa Akyol ha scritto: «Viviamo un disaccordo con ebrei e cristiani, ma abbiamo anche tanto in comune. Con gli ebrei concordiamo molto su Dio. Con i cristiani proclamiamo invece che Gesù è nato da una vergine, che egli era il Messia, e che Egli è la Parola di Dio. Certamente noi non adoriamo Gesù come i cristiani fanno. Eppure, lo possiamo seguire. Infatti, dato il nostro cupo malessere e la sua saggezza splendente, dobbiamo seguirlo».

Non può non stupire questa enorme capacità di apertura da parte di un intellettuale islamico, augurandoci che per il bene dell’Occidente sia capace di influenzare il mondo musulmano a cui si rivolge. In secondo luogo, è stupefacente quanto avesse ragione il celebre filosofo francese Jean Guitton ad indicare Gesù Cristo come «il fulcro della storia, attorno al quale gira tutto il resto» (J. Guitton, Jesucristo. Meditaciones, Barcellona 2005, p.256).
In soli 33 anni di vita pubblica è diventato pietra angolare di ogni esistenza umana, capace di illuminare la vita di ogni cristiano e venire indicato come modello anche da appartenenti di altre religioni, dai musulmani al Mahatma Gandhi che più volte ammise la sua riconoscenza verso il Nazareno. Un riferimento anche per i non credenti, come lo studioso B.D. Ehrman, che lo considera a sua volta «il personaggio più importante della storia, se lo consideriamo da una prospettiva storica, sociale e culturale senza tenere conto del peso religioso» (B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012, p.96).


E come la mettiamo con Maometto?

Questa è la consegna di Maometto a tutti i suoi seguaci mussulmani:

" ... nel marzo 632 Maometto affermò, nel suo discorso d’addio:
“Mi è stato ordinato di combattere tutti gli uomini fino a quando non diranno che non c’è altro Dio fuori di Allah”.


Ogni buon maomettano o mussulmano o islamico deve stare alla consegna di Maometto come ordinato da Allah, chi non lo facesse non sarebbe un vero mussulmano.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » sab apr 08, 2017 6:31 pm

«L’ateismo porta la pace!». Ma la risposta di Enrico Mentana è da incorniciare
8 aprile 2017

http://www.uccronline.it/2017/04/08/lat ... corniciare


Si definisce «fondamentalista atea». È una commentatrice della pagina Facebook del giornalista Enrico Mentana, direttore del TG La7. Il suo commento al recente attentato di Stoccolma è stato particolarmente curioso: «Se tutti fossero atei come in casa mia il mondo sarebbe sicuramente più pacifico. Odio profondo verso tutte le religioni».

Al commento ha risposto direttamente Mentana: «Già nella Russia di Stalin le misero al bando. E’ stato il regime più crudele della storia con il suo stesso popolo, tra deportazioni nei gulag e omicidi. Questo per dirle che la sua è una colossale minchiata».

Non ci sarebbe altro da aggiungere, lo abbiamo ripetuto tante volte a chi incolpa i cristiani degli errori di cui si sono macchiati nella storia. Non solo in Unione Sovietica, ma in tutte le principali dittature della storia venne impostato l’ateismo di Stato: nella Cina di Mao Tse-tung, ancora oggi nella Corea del Nord, nell’Albania di Hoxha -citato pure nella Costituzione!-, nella Cambogia di Pol Pot, nella Jugoslavia di Tito ecc. La pace, laddove il rifiuto ufficiale di Dio è arrivato ai piani alti, è sempre stata la grande assente.

Occorre infine riflettere sul come molti reagiscano agli attentati dei fondamentalisti islamici accusando in generale le religioni. Questo dimostra la lungimiranza di Papa Francesco e di Benedetto XVI che, come abbiamo ripetuto proprio nei giorni scorsi, hanno voluto evitare a tutti i costi di generalizzare e di associare direttamente la religione islamica al fondamentalismo omicida. «Bisogna fare questa distinzione», ha spiegato Francesco, «perché tante volte si usa il nome della religione, ma la realtà non è quella della religione».



Alberto Pento
Ciò che rende odiosa una fede religiosa o una ideologia politica, o una utopia politica e religiosa o una fede e ideologia politico religiosa è la sua eventuale disumanità, la sua violenza, la sua assolutezza totalitaria, la sua arroganza, la sua mancanza di rispetto verso le diversità e i Diritti Umani Universali.
Sicuramente vi sono state ideologie e utopie atee come quella comunista che ha fatto e tutt'ora fa gran male all'umanità; ma l'atesismo in sè non necessariamente è un male.
Nel caso delle religioni invece bisogna distinguere, per esempio tra l'ebraismo, il cristianismo e l'islamismo ben rappresentati dai loro fondatori e profeti Abramo, Cristo e Maometto vi è da dire che non sono paragonabili e che quella islamica è sorta proprio come un totalitarismo politico-religioso violento e come tale si è sviluppata lungo i secoli per 1400 anni. Il Papa Bergoglio si sbaglia a metterle tutte sullo stesso piano, poiché quella islamica non è soltanto una religione che si occupa dello spirito ma è anche una politica totalitaria che ha prodotto e che continua a produrre immani sofferenze.


Giovanni Raimondo
Ateismo significa essere macchine senza spiritualità, essere diciamo molte volte senza valori, essere dittatori e imporre la propria ideologia. La libertà di pensiero, di religione, di stampa, come anche la libertà scientifica, se ne vanno a farsi fottere... Credo che dici questo poichè non sei mai vissuto sotto un regime ateo e manco io per fortuna e ringrazio Dio per questo.

Alberto Pento
Essere atei non significa essere macchine senza spirito, ma caso mai uomini senza ideologia religiosa senza idoli. Un ateo resta un uomo dotato di umanità e di spirito naturale. Lo spirito all'uomo non lo porta la religione ma è una dote naturale che è innato a tutte le creature.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » lun apr 17, 2017 9:12 am

Perché è stata necessaria la Croce? Non poteva Dio salvarci altrimenti?...
https://t.me/IstruzioneCattolica
(Corrado Gnerre - civiltacristiana.com)
16 aprile 2017

http://telegra.ph/Perch%C3%A9-%C3%A8-st ... enti-04-16

Oggi si tende a negare la Teologia della Croce, eppure senza la sofferenza non si può capire né la bontà di Dio né tantomeno la possibilità di essere felici in questa vita.

Quello della sofferenza è un grande mistero. Sappiamo che per il Cristianesimo la sofferenza non è di per sé un “valore”. È infatti “valore” solo ciò che Dio ha voluto e creato, e la sofferenza Dio non l’ha né voluta né creata, tanto è vero che è entrata nel mondo con il peccato originale.

Ma la sofferenza, pur non essendo un “valore” di per sé, è divenuta, dopo il peccato originale, la strada per la salvezza.

Il Signore non doveva render conto a nessuno; poteva benissimo salvarci senza soffrire, eppure ha sofferto… e ha sofferto in quel modo! Il film The Passion di Mel Gibson è tutt’altro che un’esagerazione, anzi. Nessuno scritto, come nessun film, può lontanamente avvicinarsi alla reale sofferenza di Gesù.

Poniamoci una domanda: può esistere un Cristianesimo che non si fondi sulla Croce? Può esistere un Cristianesimo che faccia a meno della “Teologia della Croce”?

È questa una domanda tutt’altro che campata in aria. Ormai da diversi anni si parla di una Teologia che faccia sempre a meno della Croce. Lo dimostra il rifiuto di quelle devozioni tradizionali che molto si soffermavano sulla sofferenza redentiva di Gesù.

In realtà, questo tentativo di togliere la Croce dal messaggio cristiano muove da un’intenzione chiara: evitare che Dio venga presentato come un essere bramoso di sangue e di sofferenza. Si pensa che sottolineare l’importanza della sofferenza voglia significare presentare Dio soprattutto sotto l’aspetto della giustizia vendicativa.

Eppure non ci si accorge che accade proprio il contrario. Se al messaggio cristiano togliamo la centralità della Croce, tutto perde significato… e Dio diventa veramente cattivo. Perché la sofferenza di un bimbo? Perché le guerre? Perché le catastrofi? Perché Dio permette tutto questo, se la sofferenza non è necessaria alla salvezza?

Certo, la Croce non è la conclusione del Cristianesimo; la conclusione è la Resurrezione, tanto che san Paolo dice che se Gesù non fosse risorto, inutile sarebbe la fede. Ma indubbiamente la Croce rappresenta il culmine, il momento più rappresentativo del Cristianesimo stesso, perché dimostra il grande amore di Dio per l’uomo. Tutto questo, ovviamente, a causa del peccato originale. Se questo peccato non fosse avvenuto, le cose sarebbero andate diversamente.

Ma c’è un altro motivo per cui la teologia contemporanea tende ad accantonare la necessità della sofferenza. Questa teologia tende ad immanentizzare il messaggio cristiano, cioè tende a presentare il messaggio di Gesù solo come una “risposta” per la vita terrena. Di vita eterna se ne parla poco, per non parlare della dimenticanza quasi completa dell’inferno. Ora – è ovvio – che se la vita terrena diviene la preoccupazione più importante, se l’inferno non esiste e il paradiso viene presentato come una sorta di grande magazzino dove si entra come e quando si pare, allora perché soffrire? Perché sottolineare la sofferenza di Cristo, che ha sofferto in quel modo proprio per strapparci all’inferno? E perché valorizzare la sofferenza nella vita del cristiano come mezzo redentivo per sé e per gli altri?

L’esito però è sempre lo stesso. Non solo non si raggiunge lo scopo, ma si arriva ad una conclusione completamente diversa. Senza la valorizzazione della sofferenza, la vita non diventa più bella ma più triste. L’unica felicità raggiungibile su questa terra non è l’eliminazione del dolore, bensì l’eliminazione della disperazione, cioè del non poter dare un significato al dolore. Perché devo soffrire? La Passione di Gesù mi dà la Risposta. Ma senza Gesù che soffre, che significato posso dare al dolore? Il “perché” rimane impietosamente senza risposta.

Oggi si crede che il Cristianesimo sia una “passeggiata”. I santi c’insegnano che così non è. La vita cristiana solitamente si divide in tre vie: la via purgativa, la viailluminativa e la via unitiva. Che non è altro che la codificazione di ciò che Gesù insegnò: Chi vuol essere mio discepolo, rinneghi se stesso (via purgativa), prenda la sua croce (via illuminativa) e mi segua (via unitiva).


Alberto Pento
Il peccato originale e la salvezza attraverso il capro espiatorio sono idee superstiziose preistoriche diffuse in tutte le religioni primitive e continuate anche nel cristianismo. In realtà non esiste alcun peccato originale e alcuna salvezza, caso mai esistono la naturale imperfezione umana e la naturale buona volontà a migliorarsi traendo lezione dagli errori fatti. Leggersi la Storia delle Religioni dello storico delle religioni Mircea Eliade e Il Ramo d'Oro dell'antropologo James G. Frazer. Poi se uno vuole credere a queste sciocchezze superstiziose è libero di farlo. Per quanto mi riguarda la spiritualità e D-o sono altro da queste superstizioni.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » sab mag 06, 2017 8:29 am

La fede vera non ha bisogno di rivelatori e di essere artificialmente indotta con culti religiosi e non esiste per miracolo o per grazia divina particolare, essa esiste di per sé in modo naturale nel cuore di ogni creatura, è lì latente e di cui spesso si è inconsapevoli, ma basta solo disvelarla alla coscienza e poi essa non scomparità più e resterà sempre presente anche nella coscienza.
Sono le fedi false delle religioni, artificialmente indotte, che hanno bisogno di pratiche assurde per tenerle presenti e attive nella coscienza; pratiche che sempre generano ossessione e fanatismo. È la falsità che per farsi verità necessita della violenza e delle assurdità proprie dell'ossessione e del fanatismo che come nel caso più evidente dell'Islam producono soltanto orrore e terrore.
La vera fede è innata, naturale e universale e contiene tutti i valori spirituali essenziali ed è comune a tutte le creature e a tutto il creato e non è altro che il sentire, l'intuire, spesso inconsapevole e la coscienza della presenza del Creatore o di Dio nel creato, in noi, ossia in tutte le cose, in tutti i luoghi e in ogni tempo.
Essa non ha bisogno di profeti, di rivelatori, di libri, di culti, di riti, di cerimonie, di preghiere, di formule magiche, di miracoli, di canti, di adorazioni, di sacrifici, di martiri, di alcuna professione di fede, di alcun giuramento, ad essa non servono preti o sacerdoti, nemmeno chiese o templi, o luoghi particolari, tantomeno dei santi che operano miracoli.



Religione e religiosità come ossessione, come grave malattia, grave disturbo della mente e dell'anima o psico-emotivo
viewtopic.php?f=141&t=2527

Cosa ci sarà mai di spirituale in questa gente, in questo culto politico-religioso dell'orrore e del terrore, nel loro pregare idolatra e ossessivo?
Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... lamica.jpg

E questa mostruosità demenziale, gli idolatri la chiamano religiosità o spiritualità
https://www.facebook.com/38627251508204 ... 3504684282


L' assurda, irragionevole e idolatra eresia cristiana
viewtopic.php?f=199&t=2589

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... tore-1.jpg
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » ven mag 12, 2017 10:12 pm

Polemiche demenziali idolatre - La critica islamica alla trinità cristiana

Egitto, predicatore musulmano contro i dogmi cristiani: è polemica
venerdì, maggio 12, 2017
Nonostante la visita di Papa Francesco, continuano le ondate d'odio religioso contro i cristiani. Si mette in discussione il dogma trinitario. Scoppia la polemica.
di Dario Cataldo

http://www.lplnews24.com/2017/05/egitto ... tro-i.html


Sono appena trascorse due settimane dalla visita del Sommo Pontefice in Egitto, ma sembra - almeno in apparenza - che i propositi di pace siano ancora prematuri. A gettare benzina sul fuoco sono le dichiarazioni sul cristianesimo di un noto predicatore islamico egiziano, le quali stanno creando imbarazzo alle cariche politico-istituzionale egiziene.

Si tratta di quanto affermato nei giorni scorsi, dallo sheikh Salem Abdul Jalil, Sottosegretario al Ministero egiziano per le dotazioni religiose (Awqaf), che durante un programma televisivo si è imbarcato in una polemica teologica sulla dottrina cristiana. Sempre lo stesso è il soggetto della contesa, un classico della polemica islamica, ovvero il Dogma trinitario.

Secondo il suo ragionamento - e quello del Corano - i seguaci di Cristo possono essere ritenuti infedeli, perchè adorano una Triade e non il Dio unico. Invettive ingiustificate quelle utilizzate dallo sheikh Jalil, che hanno suscitato reazioni negative degli analisti, i quali hanno accusato il predicatore islamico di "alimentare sentimenti di disprezzo nei confronti dei cristiani e così fomentare anche le violenze settarie che puntano a colpire l'unità nazionale".

Il predicatore islamico dopo le sue affermazioni sul cristianesimo, non ha più niente a che fare con il Ministero; inoltre, dal punto di vista religioso è stato anche sconfessato. Potrà riacquisire il suo status a patto che porga le scuse ai cristiani per quanto impropriamente detto.


I cristiani potrebbero benissimo contestare Maometto e negargli di essere un profeta.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » dom mag 14, 2017 10:25 pm

Le origini della religione nell'ottica darwiniana: Richard Dawkins e Desmond Morris

1) Richard Dawkins: la religione come prodotto indiretto

http://unaltrolanternino.blogspot.it/20 ... e.html?m=1

Nel suo celebre saggio “L'illusione di Dio”1 (2006), l'etologo britannico Richard Dawkins analizza le motivazioni che spingono tutt'oggi buona parte dell'umanità a credere nell'esistenza di entità sovrannaturali indimostrabili, confutandole da un punto di vista logico e scientifico. Dal momento che tale tendenza ha causato, storicamente, abbondanti danni a fronte di ben pochi benefici2, è opportuno chiedersi perché la selezione naturale non ne abbia gradualmente favorito la scomparsa:

La religione mette sovente a repentaglio la vita sia dei credenti sia dei non credenti. Migliaia di individui sono stati torturati perché non volevano abiurare, o perseguitati perché avevano un credo in molti casi quasi indistinguibile da quello dei loro fanatici persecutori. La religione divora le risorse, a volte su scala massiccia. […] In nome della religione i devoti sono stati uccisi e hanno ucciso, si sono frustati a sangue la schiena, si sono consacrati a un’intera vita di celibato, silenzio e solitudine. Che senso ha tutto questo? Qual è il vantaggio della religione? 3

Il fatto che essa sia riuscita e riesca, grazie all'effetto placebo, a confortare i credenti riducendo i loro livelli di stress non basta a spiegare l'enormità della sua diffusione, anche perché la consolazione è sovente controbilanciata da sentimenti negativi come l'ansia e il senso di colpa4. Dawkins ipotizza quindi che non si stata la religione in sé a rivelarsi utile alla sopravvivenza, ma che essa possa essere sorta come effetto collaterale di un modello che invece si è dimostrato utile in tal senso. Per capire che cosa si intenda ci si può rifare all'esempio delle falene che volano fatalmente verso il fuoco delle candele:

La luce artificiale è comparsa solo di recente nella scena notturna. Fino a poco tempo fa, le uniche luci che si vedevano di notte erano la luna e le stelle; luci che si trovano nell’infinito ottico, sicché i loro raggi arrivano sulla terra paralleli. Perciò sono adatte a fungere da bussole. Gli insetti utilizzano corpi celesti come il sole e la luna per seguire una rotta precisa e rettilinea, e usano la medesima bussola, in senso inverso, per tornare a casa dopo un’escursione. Il sistema nervoso degli insetti è abile nell’elaborare una regola empirica temporanea di questo tipo: «Mantieni la rotta in maniera che i raggi luminosi ti colpiscano l’occhio secondo un angolo di 30 gradi». Poiché gli insetti hanno occhi composti (con tubuli diritti che assorbono la luce irradiandosi dal centro dell’occhio come gli aculei di un istrice), la regola permette, molto semplicemente, di assorbire la luce in un particolare tubulo o ommatidio. Ma la luce funge da bussola perché il corpo celeste si trova nell’infinito ottico. Se non è lì, i raggi non sono più paralleli, ma divergono come i raggi di una ruota. Un sistema nervoso che applica la regola dei 30 gradi (o di qualsiasi altro angolo acuto) a una candela situata a breve distanza, scambiandola per la luna, condurrà la falena, tramite una traiettoria a spirale, verso la fiamma. […] Benché si riveli fatale in questa circostanza particolare, la regola empirica continua a essere in media una buona regola, perché la falena vede molto più spesso la luna che una candela. 5

L'equivalente del comportamento involontariamente autolesionista delle falene è quindi, negli esseri umani, la religione, e uno dei motivi per cui essi lo mettono in atto va ricercato nel vantaggio che la prole ricava dal fidarsi ciecamente degli adulti. Infatti, sebbene il bambino umano possa imparare anche da solo, con il tempo e grazie all'esperienza, a discernere una condotta sicura da una pericolosa, egli risparmia tempo ed energie affidandosi ai consigli degli adulti e credendo loro a priori. La nostra specie si basa sulla conoscenza tramandata dai predecessori più di tutte le altre e, se da un lato quest'inclinazione alla programmabilità del cervello infantile si è dimostrata preziosa in termini di sopravvivenza, dall'altra impedisce al bambino di distinguere un buon consiglio da uno cattivo o una verità da una menzogna: se proviene da una fonte autorevole, allora è da ritenersi attendibile. Un altro motivo per cui la religione ci attrae è che tendiamo istintivamente a pensare che tutto abbia un senso o uno scopo: si chiama “atteggiamento intenzionale”6 ed è utile a prendere decisioni rapide in circostanze potenzialmente pericolose. Scambiare un'ombra casuale per una sagoma potrebbe salvarci dall'attacco di un predatore; tuttavia è ovvio che, la maggior parte delle volte, le entità a cui attribuiamo un'intenzione ci sono semplicemente indifferenti. Se molti credono che un cataclisma sia una punizione divina o che una vincita al gioco d'azzardo sia un miracolo concesso dal cielo è a causa di questo meccanismo mentale atavico, sviluppato dai nostri antenati in risposta a fenomeni che influenzavano le loro vite e a cui non riuscivano a dare spiegazione: non a caso la prima divinità è stata proprio il sole.

2) Desmond Morris: la religione come necessità di sottomissione

L'approccio di Desmond Morris al problema religioso consiste nell'esaminare il comportamento umano da un punto di vista zoologico, mettendolo a confronto con quello dei primati da cui egli deriva. Nel saggio “La scimmia nuda” (1967)7 egli propone innanzitutto di riferirsi all'essere umano chiamandolo “scimmione nudo”, dalla sua caratteristica immediatamente più evidente; in seguito ripercorre le tappe evolutive che lo hanno portato ad essere come è oggi. Per quanto riguarda le manifestazioni religiose, egli osserva che consistono nella riunione di numerosi individui i quali, attraverso l'esibizione di atteggiamenti di sottomissione, intendono conquistare il favore di un individuo dominatore; a seconda delle civiltà, tale individuo può essere essere rappresentato sotto forma di un animale di un'altra specie oppure di un membro della propria, ma in ogni caso esso è sempre immensamente potente. I gesti di sottomissione nei suoi riguardi sono sorprendentemente simili a quelli messi in atto dai primati nei confronti del maschio alpha del gruppo e possono comprendere il piegamento del capo, la chiusura degli occhi, la genuflessione, fino a “una completa prosternazione frequentemente accompagnata da lamenti o da vocalizzazioni cantate”8. Morris constata che:

Prima di trasformarci in cacciatori animati da spirito di collaborazione, probabilmente noi vivevamo in gruppi sociali del genere che oggi si riscontra in altre razze di scimmie o di scimmioni. In queste razze, di solito, ogni gruppo è dominato da un solo maschio. Egli è signore e padrone e ogni membro del gruppo è tenuto a placarlo per non soffrirne le conseguenze. Egli è anche il più attivo a proteggere il gruppo da pericoli esterni e nel sedare le controversie tra i membri inferiori. Tutta la vita dei membri di questi gruppi si impernia intorno all'animale dominatore. È chiaro che con lo sviluppo dello spirito di collaborazione tanto importante per il successo della caccia di gruppo, l'autorità dell'individuo dominatore dovette essere fortemente limitata, se questi voleva conservare la lealtà attiva, anziché passiva, degli altri membri del gruppo: [...] al suo posto sorse uno scimmione nudo più tollerante e collaborativo. [...] Questo cambiamento nell'ordine delle cose, pur così vitale per il nuovo sistema sociale, creò un vuoto. A causa delle nostre antiche abitudini, esisteva la necessità di una figura dalla potenza assoluta, in grado di mantenere unito il gruppo. A prima vista, è sorprendente che la religione abbia avuto tanto successo, ma la sua estrema potenza è semplicemente dovuta alla forza della nostra fondamentale tendenza biologica a sottometterci a un membro del gruppo onnipotente e dominatore.9

Per ragioni evolutive, dunque, Morris è convinto che non sia possibile, per l'essere umano, vivere senza nutrire una salda credenza in qualcosa che abbia, da un lato, la funzione di collante sociale e che soddisfi, dall'altro, il bisogno naturale di effettuare riti di gruppo. Nota però come tale credenza stesse muovendo, già negli anni in cui scriveva, verso orizzonti più laici: ad una religione reticente al progresso e spesso applicata in maniera troppo formalistica si stava sostituendo una crescente fiducia verso le potenzialità umane. L'entusiasmo per la conoscenza portava sempre più persone a fare di università, musei, teatri e gallerie d'arte “i luoghi di adorazione”10 prediletti, mentre a una vita ultraterrena c'era chi già chi preferiva l'immortalità del proprio lavoro creativo. Erano gli anni della rivoluzione sessuale, quelli di Morris; gli anni del movimento hippie, delle proteste contro la guerra in Vietnam, delle battaglie per l'uguaglianza dei diritti civili e della diffusione della pillola anticoncezionale. Se proprio non si può fare a meno di avere una religione, sostiene, ciò che stava nascendo all'epoca era senza dubbio l'alternativa più adatta alle caratteristiche peculiari della nostra specie intelligente e amante dell'esplorazione.

__________________
1“The God delusion” in lingua originale.
2Cfr. R. Dawkins, L'illusione di Dio, trad.it, Mondadori, Milano 2007, cap. VIII.
3R. Dawkins, L'illusione di Dio, trad.it, Mondadori, Milano 2007, p. 103.
4R. Dawkins, L'illusione di Dio, trad.it, Mondadori, Milano 2007, p. 105.
5R. Dawkins, L'illusione di Dio, trad.it, Mondadori, Milano 2007, pp. 108-109.
6Cfr. D.C Dennett, La mente e le menti (1996), BUR, Milano 2000.
7The naked ape: a zoologist's study of the human animal in lingua originale.
8D. Morris, La scimmia nuda: studio zoologico sull'animale uomo, Bompiani, Milano 1968, p.192.
9D. Morris, La scimmia nuda: studio zoologico sull'animale uomo, Bompiani, Milano 1968, pp. 192-193.

10D. Morris, La scimmia nuda: studio zoologico sull'animale uomo, Bompiani, Milano 1968, p. 195.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » sab mag 20, 2017 6:38 am

Idolatria Sikh

Il feticcio del coltello

https://it.wikipedia.org/wiki/Sikhismo
Il sikhismo è una religione monoteista nata in India settentrionale nel XV secolo, basata sull'insegnamento di dieci guru che vissero in India tra il XV ed il XVII secolo.
L'etimologia della parola sikhismo si rintraccia nella parola sikh, che deriva dal sanscrito e che significa "discepolo" o "allievo".

I sikh sono i devoti del Sri Guru Granth Sahib ji, le sacre scritture dei 10 guru che si sono succeduti dal 1469 al 1708 e di altri amanti del Creatore. Vivono principalmente nel Punjab (nord-India). Pregano il Creatore onnipresente ed onnipotente, che si manifesta attraverso il creato e che è raggiungibile grazie alla preghiera e all'aiuto di una guida, il guru, cioè colui che dà la luce (saggezza) al buio (l'ignoranza).

Il sikhismo si basa su tre principi:
ricordare il Creatore in ogni momento, guadagnare lavorando onestamente, condividere il guadagno.


Le scritture sacre non riconoscono il sistema delle caste e nemmeno approvano l'adorazione degli idoli, i rituali e le superstizioni. I sikh considerano venerabile solo la parola del Creatore rappresentata dalle Sacre Scritture dei guru.

I guru sikh non hanno sostenuto la necessità della vita ascetica e dell'isolamento dal mondo per guadagnare la salvezza. Quest'ultima può essere raggiunta da chiunque si mantenga onestamente e conduca una vita normale. Non esiste un clero nel sikhismo.

Ai sikh è proibito ogni tipo di dipendenza da sostanze, come l'alcol, tabacco e altro. Un sikh deve considerare la moglie di un altro uomo alla stregua di sorella o madre, e la figlia di un altro come sua. La stessa regola è applicata anche alle donne.

L'istituzione del "Langar" (cucina comune) serve a creare uguaglianza sociale fra l'intero genere umano. Essa è un luogo in cui persone di estrazione sociale alta e bassa, ricchi e poveri, istruiti e ignoranti, re e mendicanti, o di altre religioni condividono tutti lo stesso cibo, sedendo insieme in un'unica fila.

Si ritiene che la donna abbia la stessa anima dell'uomo e che quindi goda degli stessi diritti dell'uomo ad una crescita spirituale, di partecipare alle congregazioni religiose e di recitare gli inni sacri dei templi sikh. Il rapporto fra uomo e donna è di assoluta uguaglianza.

La discendenza dei guri terminò a 10, però c'è l'11° Guru, il Libro Sacro. Durante le cerimonie, i seguaci si riuniscono per ascoltare le parole del Guru, il quale, viene trasportato sulla testa (perché non può toccar terra) dopo che il templio viene pulito e lucidato a fondo ancor prima che il "sacerdote" prescelto si svegli per i canti. Una meraviglia di passione tra colori, petali di fiori e soprattutto credo e spirito.



https://it.wikipedia.org/wiki/Guru_Granth_Sahib




Cassazione: "Migranti devono conformarsi a nostri valori"
Condannato un indiano Sikh che voleva circolare con un coltello 'sacro' secondo i precetti della sua religione: "Non è tollerabile che l'attaccamento ai propri valori porti alla violazione di quelli della società ospitante". Cei: "Decisione equilibrata, ma politica non strumentalizzi"
15 maggio 2017

http://www.repubblica.it/politica/2017/ ... -165521982

ROMA - Gli immigrati che hanno scelto di vivere nel mondo occidentale hanno 'l'obbligo' di conformarsi ai valori della società nella quale hanno deciso 'di stabilirsi' ben sapendo che 'sono diversi' dai loro. "Non è tollerabile che l'attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante". A stabilirlo è la Cassazione, che ha condannando un indiano Sikh che voleva circolare con un coltello 'sacro' secondo i precetti della sua religione.

Nessuna deroga a sicurezza. Secondo la Cassazione, "in una società multietnica la convivenza tra soggetti di etnia diversa richiede necessariamente l'identificazione di un nucleo comune in cui immigrati e società di accoglienza si debbono riconoscere. Se l'integrazione non impone l'abbandono della cultura di origine, in consonanza con la previsione dell'art. 2 della Costituzione che valorizza il pluralismo sociale, il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante".

Il caso. I supremi giudici hanno respinto il ricorso di un indiano sikh condannato a duemila euro di ammenda dal Tribunale di Mantova, nel 2015, perché il 6 marzo del 2013 era stato sorpreso a Goito (Mn), dove c'è una grande comunità sikh, mentre usciva di casa armato di un coltello lungo quasi venti centimetri. L'indiano aveva sostenuto che il coltello (kirpan), come il turbante "era un simbolo della religione e il porto costituiva adempimento del dovere religioso". Per questo aveva chiesto alla Cassazione di non essere multato e la sua richiesta era stata condivisa dalla Procura della Suprema Corte che, evidentemente ritenendo tale comportamento giustificato dalla diversità culturale, aveva chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza di condanna.

Ad avviso della Prima sezione penale della Suprema Corte, invece, "è essenziale l'obbligo per l'immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi, e di verificare preventivamente la compatibilità dei propri comportamenti con i principi che la regolano e quindi della liceità di essi in relazione all'ordinamento giuridico che la disciplina".

Il verdetto aggiunge che "la decisione di stabilirsi in una società in cui è noto, e si ha la consapevolezza, che i valori di riferimento sono diversi da quella di provenienza, ne impone il rispetto".

Le reazioni. Una sentenza che "non fa sconti a nessuno". Così la deputata Forza Italia, Daniela Santanché, commenta la decisione della Suprema Corte: "è sacrosanta. Alla faccia dei buonisti e del tutto è permesso, questa sentenza non fa sconti a nessuno...Oggi era un indiano che voleva girare libero con un coltello sacro per le vie della città e magari domani potevamo imbatterci in una bella carovana di elefanti che trasportavano merci di ogni genere. Siamo in Italia - termina Santanchè - e chi viene ospite nel nostro Paese ha il dovere di seguire le regole che ci impone il codice civile, quello penale e la nostra Costituzione".

Il capogruppo di Fratelli d'Italia-Alleanza nazionale, Fabio Rampelli, parla di "de profundis per l'ideologia buonista": Chi viene in Italia deve rispettare le nostre leggi, le nostre regole, i nostri valori. Per noi è assodato, per la sinistra multiculturalista che ha promosso un'accoglienza contraria alla legalità e al diritto no. Rom, estremisti islamici, osservanti della sharia che non intendono adeguarsi devono andare fuori dall'Italia. O si rispettano le leggi o non c'è spazio".

Emanuele Fiano, responsabile Sicurezza del Partito democratico, si augura che la sentenza non sia strumentalizzata: "Speriamo che ora non sia usata come una clava dai vari Salvini! Perchè la sentenza della cassazione, che richiama gli immigrati che hanno scelto di vivere nel mondo occidentale 'all'obbligo' di conformarsi ai valori della società nella quale hanno deciso 'di stabilirsi', dichiara un principio semplice e giusto. E si riferisce a un caso singolo. A noi preoccupa la fanfara della xenofobia che userà una sentenza che difende un corretto uso del diritto di tutti come un'arma nei confronti di qualcuno".

Di decisione 'equilibrata', che, però, non va strumentalizzata dalla politica parla anche la Cei, che evidenzia come il giudizio dei giudici sottolinei "anche il valore della diversità e della multiculturalità e la necessità di un cammino di integrazione degli immigrati, oltre a ribadire che ciò non può prescindere dal rispetto giuridico e legale di alcune regole su cui è strutturata la nostra società, con i suoi valori", ha detto monsignor Giancarlo Perego direttore di 'Migrantes', la fondazione della Cei che si interessa di migranti, rifugiati, profughi.

Il senatore Roberto Calderoli, vice Presidente del Senato e Responsabile Organizzazione e Territorio della Lega Nord, ribadisce che la sentenza "rappresenta un precedente che, da adesso, deve riportare al rispetto totale delle nostre leggi, a cominciare da quella che vieta di girare in luoghi pubblici con un copricapo o un velo che travisano o nascondono il volto, per cui basta burqa o niqab in luoghi pubblici". Ma soprattutto, prosegue il rappresentante del Carroccio, "questa sentenza deve rappresentare un chiaro monito a chi vuole vivere qui: se non accetti tutte le nostre regole qui non puoi restare e se queste regole non ti vanno bene puoi andartene altrove o tornare da dove sei venuto".



'Gli immigrati devono conformarsi ai nostri valori'. Ad esempio quali?
Guido Rampoldi

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05 ... li/3594138


Ahi, i nostri valori. Ogni volta che li sento evocare mi chiedo quali mai saranno, questi nostri valori, i valori di noi italiani. Ma niente, non te lo dicono. Dev’essere una specie di segreto nazionale, e così ben protetto che mica lo raccontano alla gente comune. O magari una parola d’ordine tra persone d’un certo rilievo. “I nostri valori”: capisci subito di avere a che fare con uno affidabile, uno che conta. Politici, giornalisti, intellettuali, adesso anche i giudici della Corte di Cassazione, prima sezione.

Hanno confermato la condanna di un cittadino indiano, un Sikh che se ne andava in giro con una daga (un coltello sacro, ndr), in quanto oggetto richiesto da un rito della sua religione. Avrebbero potuto motivare: chiunque arrivi in Italia, migrante o turista, deve rispettare le leggi italiane, così come richiede ogni Stato di questo pianeta. Ma sarebbe suonato banale. Avrebbero potuto aggiungere, per fare sfoggio di erudizione che nell’era di Tony Blair, all’inizio la polizia lasciò che mini-comunità asiatiche ignorassero varie sezioni dei codici britannici e applicassero le loro leggi tradizionali, pestassero le mogli, brutalizzassero le figlie. Ma se ne pentì e ammise che quella politica si era rivelata disastrosa.

Invece, i giudici l’hanno buttata sui valori. I nostri contrapposti ai loro, i valori degli stranieri. E i nostri in Cassazione risultano essere “i valori occidentali”. Qui le cose si complicano, neppure a Pechino, a Tokyo o a Marrakech la gente può andarsene a zonzo con una durlindana, perché ‘valori occidentali’? Ma il culturalismo inebria e ormai i giudici si sono entusiasmati: poche righe dopo ricordano ai migranti “il limite invalicabile (…) della nostra civiltà giuridica”.

Ora, tutto questo è detto con garbo e rispetto, senza l’ombra dell’aggressività che usa la politica per declinare tesi analoghe. Ma mettiamoci nei panni di un poveretto che arriva da un Paese lontano, un migrante, un ignaro. Apprende che deve accostumarsi ai “valori italiani” e prova a ricavarli dagli italiani che conosce o vede in tv: avrà l’impressione che di italiani ve ne siano di molto diversi, e differenti anche i loro valori.

Se poi lo straniero chiede esempi della “nostra civiltà giuridica” a, mettiamo, corrispondenti esteri in Italia, probabilmente si sentirà rispondere: il G8 di Genova e l’esito delle inchieste che ne sono seguite; l’assenza nei nostri codici del reato di tortura; l’inconcludenza di tanti tra i più grandi processi della nostra storia repubblicana.

Morale: oltre a spiegare ai migranti in Italia quali sono le nostre leggi, dovremmo avvertirli di non prenderci troppo sul serio: tipico della “nostra cultura” è parlare a vanvera.


Alberto Pento
Un valore tra i tanti è che non si va in giro armati di coltellacci. E non è un valore da niente. Mi meraviglio che a un testone come lei non sia venuto in mente un valore semplice ed elementare come questo. Forse importando ossessi religiosi dovremmo in cominciare anche noi a girare armati e non solo di coltellacci da 20 cm di lama ma di pistole e fucili automatici.




La rabbia dei sikh contro l'Italia per il coltello proibito
La comunità sikh indiana critica la sentenza con cui la Corte di Cassazione ha stabilito che i migranti devono conformarsi ai nostri valori, condannando un indiano che era stato fermato a Mantova dalla polizia perché trovato in possesso di un coltello kirpan, che per quella religione è un simbolo religioso e non un’arma impropria
Raffaello Binelli - Mer, 17/05/2017

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 98273.html

Niente da fare, quella sentenza della Cassazione proprio non è piaciuta alla comunità sikh indiana.

Stiamo parlando, ovviamente, della sentenza che stabilisce che i migranti devono conformarsi ai nostri valori. Nello specifico la Cassazione aveva condannato un indiano trovato in possesso di un coltello kirpan, che per quella religione è un simbolo religioso e non un’arma impropria. ma per le leggi italiane resta pur sempre un'arma proibita.

Il partito Shiromani Akali Dal e il comitato dello Shiromani Gurdwara Parbandhak (Sgpc), il più importante organo della fede sikh, esprimono "angoscia" e promettono battaglia, dicendo che solleveranno la questione nelle sedi appropriate per assicurare "giustizia" ai loro fedeli presenti nel nostro Paese. La Cassazione ha "ignorato" il fatto che portare un kirpan è un fattore essenziale e obbligatorio per il nostro codice religioso, afferma in un comunicato un portavoce di Akali Dal. "È una questione di fede e di diritti fondamentali dei sikh" e questo divieto "significa che nessun sikh potrà vivere in Italia dopo questa sentenza".

Il presidente dell’Sgpc, Avtar Singh Makkar, ricorda che ogni religione ha la propria dignità e il proprio codice di comportamento e vietare queste tradizioni è inaccettabile: "C’è una volontà del nostro Dio, imposta da un Paese che è stato salvato dalla comunità sikh durante la Prima e la seconda guerra mondiale. Essere ingiusti verso questa comunità e attaccare la sua dignità è deplorevole". Il massimo organo della comunità ha chiesto al governo indiano di trovare con il governo italiano una soluzione al problema. La decisione della Corte di Cassazione ha scosso la comunità sikh di tutto il mondo".

Trenta milioni di fedeli, i sikh sono una comunità religiosa e politico-militare dell’India, fondata nel Punjab da Nanak (1469-1538) nell’intento di unire indù e musulmani nella fede in un Dio unico, che non doveva essere rappresentato con figurazioni materiali, e nel rifiuto di ogni distinzione castale. I sikh sono monoteisti e credono nella legge del karma e nella reincarnazione.



Ira sikh: “Non rinuncio al coltello, ricorrerò alla Corte europea”
Singh Jatinder, il sikh condannato a pagare una multa di due mila euro per via di quel pugnale infilato nella cintola ricorrerà alla Corte europea di Giustizia e annuncia: “Io il Kipran non me lo tolgo”
Elena Barlozzari - Gio, 18/05/2017

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 98813.html

Rispetta la giustizia italiana, dice, ma solo sulla carta perché non rinuncerà al suo coltello.

Questa, in estrema sintesi, la posizione di Singh Jatinder, 33 anni ed una multa di duemila euro da pagare per quel pugnale infilato nella cintola. Così il giovane sikh promette: “Ricorrerò alla Corte europea di giustizia”.

Qualche giorno fa, infatti, la Cassazione ha stabilito che “è essenziale l’obbligo per l’immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale”. Nel caso specifico, quindi, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso presentato da Jatinder, già condannato dal Tribunale di Mantova per via del coltello tradizionale, il Kirpan, che porta sempre addosso come simbolo di devozione religiosa.

Ma, nonostante il provvedimento avverso, il giovane indiano non intende rinunciare al suo pugnale, né pagare la multa: “Io il Kirpan non me lo tolgo”, ha detto ad un cronista della Gazzetta di Mantova. Nel frattempo Singh Dilbagh, rappresentante della comunità sikh, ha annunciato: “Rispettiamo la sentenza, abbiamo fiducia nella giustizia italiana, così come rispettiamo le leggi italiane. Si vede che non siamo riusciti a spiegarci bene davanti ai giudici; per questo ricorreremo alla Corte europea di giustizia”.

A scatenare la reazione della comunità sikh, che si è stretta attorno al giovane, è la dimensione collettiva che assume il provvedimento: “Noi non la viviamo come una cosa personale, ma collettiva”. Anche se, in Italia, non vige il sistema di common law e la giurisprudenza non fa diritto, un precedente così autorevole rischia di influenzare le future decisioni dei giudici. E sarebbero due, a Quistello e ad Acquanegra, i membri della comunità denunciati per la stessa ragione. “La normativa sulle armi bianche – spiegano i sikh – dice che se non hanno la punta e non tagliano, come il nostro pugnale, e non possono far male, non vengono considerate tali. Speravamo che i giudici ci dicessero di portarlo in un determinato modo. Un no secco è incomprensibile. Però, siamo pronti al dialogo su questo argomento”.




Mantova, il sikh condannato per il coltello sacro: 'Ora ci controllano tutti, ma il tasso di criminalità per noi è zero'
La Cassazione sul suo caso ha sancito che i migranti devono conformarsi a nostri valori. "Sono deluso e arrabbiato, i miei connazionali vengono fermati ogni giorno perché adesso i vigili sanno che portiamo il kirpan, che però è un simbolo di opposizione al male. Vogliamo rivolgerci alla Corte europea per far valere questo nostro diritto"
di ZITA DAZZI
17 maggio 2017

http://milano.repubblica.it/cronaca/201 ... -165610991

"Sono amareggiato, deluso, arrabbiato. Io mi sento ormai integrato nella vostra società, non ho mai commesso reati, sono sempre stato una persona onesta che ha lavorato e pagato le tasse. Proprio non ci sto a essere trattato come se fossi uno che potrebbe commettere un crimine, solo perché porto il kirpan, il pugnale che per noi sikh, è un simbolo religioso da indossare obbligatoriamente". Per colpa di quel pugnale, sequestrato dai vigili urbani, è stato condannato in via definitiva a pagare una ammenda di 2mila euro, il signor Singh Yantinder, 32 anni, che è in Italia da anni e vive a Goito, in provincia di Mantova, con la moglie. L'uomo, turbante d'ordinanza e carta di soggiorno, è un piccolo imprenditore del settore terziario legato all'industria alimentare, come molti altri suoi connazionali, che nella bassa mantovana, come nel bresciano e in molte parti della pianura Padana mandano avanti il settore caseario locale.

Signor Singh, per lei il Kirpan è un simbolo religioso, ma per la legge italiana è un'arma contundente che non si può portare in giro. La sentenza della Corte di Cassazione è chiara.
"Né io né la mia comunità capiamo questa sentenza, che va a incidere sulla nostra libertà religiosa e di culto prevista dalla Costituzione. Nessuno di noi ha mai fatto il male con il kirpan, anzi è un simbolo di resistenza al male, proprio il contrario di quello che sostiene la sentenza".

Ma come è iniziata questa storia?
"Era il marzo del 2015, stavo camminando per strada, con il kirpan alla vita, ignaro che questo potesse essere un problema. MI hanno fermato i vigili di Goito, chiedendomi di giustificare questo pugnale, che è racchiuso in un fodero molto elaborato. Ho provato a spiegare che è un simbolo obbligatorio per la mia religione, come i capelli lunghi che tutti noi portiamo, senza tagliarli mai, legati con un pettinino di legno, sotto al turbante. Dobbiamo anche avere braccialetto. Insomma, come gli ebrei indossano la kippah, come le donne islamiche indossano il velo sul capo, anche noi abbiamo le nostre usanze".

I vigili quindi non ascoltarono le sue ragioni?
"Ho spiegato che per noi sikh è obbligatorio tenere addosso i simboli della religione, ma gli agenti mi hanno sequestrato il pugnale, anche se ho spiegato che questo era molto grave. Ma non c'è stato verso, anzi, da quel giorno è stato avviato un procedimento di contravvenzione nei miei confronti, secondo la legge 110 del 1975. Ma per me è assurdo, non ho commesso reati, come è stato scritto, ma solo rispettato le regole della mia religione, come fanno altri 30 milioni di sikh nel mondo, 160mila dei quali in Italia. E noi siamo una comunità molto pacifica, come tutti sanno, abbiamo un tasso di criminalità pari a zero".

Quindi adesso che farà?
"Adesso a Goito, il mio paese, e a Mantova, abbiamo tutti paura e timore. Diversi altri miei connazionali e correligionari vengono fermati ogni giorno, anche a Cremona e a Crema perché i vigili adesso sanno che tutti portiamo il kirpan e vogliono farlo togliere a tutti noi. Questo è molto doloroso e ci dobbiamo riunire con i vertici della nostra comunità per capire come muoverci, con chi possiamo andare a parlare per ottenere ascolto".

Pensate ancora di riuscire a far cambiare idea alla magistratura su questo tema?
"Noi siamo disponibili a ridurre la dimensione del pugnale, anche a portarlo sotto i vestiti, invece che alla cintola e in modo visibile, se la questione è di ordine pubblico, ci adatteremo. Faremo di tutto pur di arrivare a una mediazione su un simbolo religioso, che non sarà mai e non è mai stato uno strumento di offesa, caso mai il suo contrario. Un simbolo di opposizione al male".

Ma la legge italiana non consente di portare oggetti contundenti e armi se non c'è un giustificato motivo, lo sa?
"E allora perché il macellaio, il falegname, il chirurgo, possono portare i loro strumenti di lavoro in giro? Perché la religione non è anche essa un giustificato motivo? Faremo qualsiasi cosa che ci consenta di rispettare il nostro credo. Nessuno di noi è stato mai stato fermato per aver commesso reati o fatto male a qualcuno con il kirpan. Per noi non è nemmeno come il crocefisso, cioè un simbolo religioso che si può inossare o meno, a seconda dei gusti. Per noi è obbligatorio indossarlo, non farlo è una grave mancanza religiosa, che non ha equivalenti nella religione cristiana".

Se non otterrete giustizia, che farete?
"Non so se decideremo di andare via dall'Italia per questo motivo, ma siamo molto perplessi, perché
in altri paesi sia europei sia extra europei persone di religione sikh sono accettate anche col kirpan. C'è addirittura un ministro in Canada che ci va in palamento. Noi siamo una comunità pacifica, siamo in Italia per integrarci e per rispettare i valori che sono alla base della società e della legislazione italiana. Ma per noi la fede è una cosa importantissima. Vorremmo anche andare alla Corte europea per far valere questo nostro diritto".



Anche la legge può essere un valore o un disvalore

La spada sikh è questione di legge, non di valori
Davide 19 maggio 2017
DI MASSIMO FINI

https://comedonchisciotte.org/la-spada- ... -di-valori

La sentenza della Corte di Cassazione che obbliga lo straniero che vive in Italia a conformarsi ai nostri valori (e implicitamente a quelli occidentali) è aberrante, inquietante, pericolosa e oserei dire paranoica.

Lo straniero che vive in Italia ha il solo obbligo, come tutti, di rispettare le leggi dello Stato italiano. Punto. Il sikh che girava con un coltello kirpan, sacro nella sua cultura, doveva essere condannato perché in Italia è vietato andare in giro armati. Se si accettasse il principio enunciato dalla Corte di Cassazione un italiano che vive in un paese islamico dovrebbe, in conformità alla cultura di quel paese, farsi musulmano (??? infatti nei paesi islamici le religioni non islamiche sono limitate, soggette a molte restrizioni e diviete e perseguitate).

La sentenza della Cassazione è incostituzionale perché viola l’articolo 3 della nostra Carta che recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

La questione non riguarda semplicemente le differenze religiose, punto su cui si sono soffermati quasi tutti, ma è molto più ampia: riguarda l’identità culturale, religiosa e non religiosa. La Cassazione afferma: “La società multietnica è una necessità, ma non può portare alla formazione di arcipelaghi culturali confliggenti a seconda delle etnie che la compongono”. Non so dove la Cassazione sia andata a scovare un principio di questo genere, inaudito nel senso letterale di mai udito fino a oggi. Lo straniero che vive in Italia non ha l’obbligo di conformarsi alle nostre tradizioni, ha il sacrosanto diritto di conservare le sue, sempre che, naturalmente, come si è già detto, non siano in contrasto con le nostre leggi (!!! le leggi sono anche valori o disvalori). Al limite lo straniero non ha nemmeno l’obbligo di imparare la nostra lingua, sarebbe più intelligente se lo facesse ma non ne è obbligato (!!! allora niente cittadinanza). Per decenni ci sono stati italiani emigrati in America che non spiccicavano nemmeno una parola di inglese, ma non per questo sono stati sanzionati.

La questione della sicurezza, importante ma che non ha nessuna rilevanza se lo straniero rispetta le leggi del nostro Stato (il burka va vietato non perché è un simbolo religioso ma perché copre l’intero viso e le nostre leggi prevedono che si debba andare in giro a volto scoperto !!!), sta facendo dell’ ‘arcipelago culturale’ occidentale un sistema totalitario che non tollera le diversità culturali sia all’esterno (vedi le aggressioni armate ad altri Paesi, dalla Serbia alla Libia) sia al proprio interno. Stiamo di fatto calpestando proprio quei valori, democrazia in testa, cui diciamo di appartenere e ai quali vorremmo costringere qualsiasi ‘altro da noi’. Alla povera gente che migra nel nostro Paese e negli altri stati europei, a causa molto spesso delle nostre prevaricazioni economiche e armate che abbiamo fatto nei loro, vorremmo togliere, alla fine, anche l’anima (??? non è vero).

Spostando il discorso mi piacerebbe sapere quali sono i nostri valori. A parte quello di una democrazia che in realtà non è tale, perché non appartiene ai cittadini ma è nel pieno possesso di oligarchie, nazionali e internazionali, non vedo in Occidente un altro valore che non sia l’adorazione del Dio Quattrino e la supina subordinazione alle leggi del mercato (???).

Siamo molto gelosi della nostra identità, più che altro a parole perché un’identità non l’abbiamo più (???), ma non tolleriamo quella altrui (???). Io sono libero di essere sikh, sono libero di essere indù, sono libero di essere musulmano (???), sono libero, se abito in un Paese di cultura diversa, di essere laico e non credente (???).

Dell’Illuminismo abbiamo conservato e sviluppato il peggio, ma abbiamo dimenticato il meglio che sta nella famosa frase di Voltaire: non sono d’accordo con le tue idee ma difenderò il tuo diritto a esprimerle fino alla morte. E per ‘idee’ bisogna intendere anche le tradizioni, la cultura, la religione, direi meglio: la spiritualità di chi è diverso da noi (!!! non si tratta di spiritualità ma di religiosità, la spiritualità e una e universale, quell che cambia caso mai è la religiosità).

La sentenza della Cassazione ci dice che anche i magistrati –che per fortuna non fanno le leggi (??? perché i politici che fanno le leggi sono forse migliori? e non sbagliano mai?) ma devono solo applicarle e giudicare caso per caso- hanno perso di vista i princìpi fondamentali del nostro diritto e della nostra cultura (???). Ma più in generale direi che noi occidentali abbiamo perso la testa (???).



Alberto Pento
No Fini, tu sei libero di essere quello che sei e che vuoi, soltanto se rispetti i Valori i Doveri e i Diritti Umani Universali nel loro Ordine Naturale, cosa che per esempio non fa l'immigrazione clandestina e selvaggia e nemmeno l'Islam che non è tanto una religione ma una "cultura" politico-religiosa legata a un certo territorio con tendenze egemoniche, imperialiste e violente.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » mer mag 31, 2017 6:40 am

I santi cristiani, gli angeli e gli spiriti protettori
viewtopic.php?f=199&t=2628

I santi cristiani, gli angeli sono la versione cristiana degli spiriti protettori precedenti o pagani o magici.
Sono analogie e varianti religiose della religiosità universale nella sua continuità dalla preistoria alla storia.
I santi cristiani e gli angeli non sono migliori degli spiriti protettori di altre religioni o degli intermediari della preistoria magica.


Feticcio
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Miracoli veri e falsi
viewtopic.php?f=24&t=1687

D-o non fa miracoli; i miracoli sono assurdità magiche
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Teista, Ateo, Idolo, Idołatra, Aidoło
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Spiritualità e religiosità non sono la stessa cosa
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False credenze, gli abusivi e li usurpatori di Dio
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » dom giu 25, 2017 5:52 am

Dittatori scientifici e i presuntuosi illusionisti del sovrannaturale.

“La razionalità scientifica è sotto attacco…” con queste parole viene presentato su Pikaia un volumetto sul “creazionismo”.
Un utilissimo testo per capire in realtà come funziona il pensiero unico.


https://www.enzopennetta.it/2017/06/un- ... cientifica

«Sotto un dittatore scientifico l’educazione funzionerà davvero e di conseguenza la maggior parte degli uomini e delle donne cresceranno nell’amore della servitù e mai sogneranno la rivoluzione. Non si vede per quale motivo dovrebbe mai crollare una dittatura integralmente scientifica», con queste parole Aldous Huxley commentava in chiusura libro “Ritorno al mondo nuovo”, era il 1958.

Ma in realtà la distopia huxleyana non era altro che il perfezionamento di quella proposta nel 1624 in “La nuova Atlantide”, il libro postumo di Francis Bacon. Oggi possiamo dire che stiamo vivendo la fase finale dell’attuazione del sogno di Bacon e il libro di Warren Allmon, paleontologo statunitense, “Evoluzione e creazionismo: una breve guida per orientarsi”, di cui andiamo a parlare ne costituisce un’involontaria conferma.

La razionalità scientifica è sotto attacco e certo non si tratta di un fenomeno recente. Per fronteggiare gli avversari è bene essere ben attrezzati e a tal fine il libro di Warren Allmon, paleontologo statunitense, svolge ordinatamente il suo compito. “Evoluzione e creazionismo: una breve guida per orientarsi” è un’introduzione alla teoria dell’evoluzione che riassume i punti centrali del dibattito evoluzionismo vs creazionismo
“Se l’evoluzione può essere universalmente accettata dagli scienziati e respinta dalla maggioranza del pubblico, così potrebbe accadere per qualsiasi altra idea scientifica altamente verificata, minacciando la razionalità e l’alfabetizzazione scientifica di base, elementi cruciali per il benessere economico e sociale della civiltà moderna. Viviamo in un mondo sempre più dipendente dalla scienza e della tecnologia: se non siamo in grado di comprendere come funzionino la scienza e la tecnologia, non possiamo prendere decisioni sagge sul loro uso.” Così si conclude l’introduzione al libro “Evoluzione e creazionismo: una breve guida per orientarsi”[1] scritto da Warren D. Allmon, paleontologo statunitense direttore del Paleontological Research Institution di Ithaca a New York, e pubblicato dal CICAP nella collana I quaderni del CICAP, in allegato con l’ultimo numero della rivista QUERY.

Davvero strana l’affermazione che la razionalità scientifica sia sotto attacco, di questo attacco oggettivamente non si vede molto, viviamo in una società che fa largamente della scienza la sua religione. Negli ambiti in cui si registra un disaccordo, in genere argomentato, è la mentalità scientista, ad apparire incapace a gestire le obiezioni in modo autenticamente scientifico, a vedere quindi al posto delle obiezioni degli “attacchi”. Riguardo la teoria dell’evoluzione abbiamo da sempre evidenziato che le critiche al meccanismo neo-darwiniano vengono ricondotte ad un comodo avversario fantoccio identificato con il “creazionismo”, (termine che non viene mai definito lasciando aperte volutamente interpretazioni ambigue) anche quando questo non è presente. A mio avviso il vero attacco all’autentico spirito scientifico non viene, e non può venire, dalle obiezioni ma dalle risposte che vengono date, risposte che in genere sono di stigmatizzazione e delegittimazione degli interlocutori. Di questo spirito si sente la conferma nelle parole che seguono nell’articolo:

Il motivo della pubblicazione è puntualizzato dall’autore alla fine dell’introduzione: nella società contemporanea la razionalità scientifica è vessata e minacciata in mille modi da forze irrazionali che compromettono da una parte il funzionamento stesso della ricerca scientifica, dall’altra mettono in pericolo la qualità della vita di molte persone. É per far fronte a queste continue minacce, per non temporeggiare ulteriormente e non cedere terreno al nemico, che trova ragione il contrattacco della razionalità scientifica.

Un vittimismo che appare davvero fuori luogo, si fa molta fatica a vedere la razionalità scientifica addirittura “vessata e minacciata”. Curioso questo atteggiamento da cittadella assediata, un atteggiamento che non trovando riscontro nella realtà mostra solo l’insofferenza della mentalità scientifica al confronto, un atteggiamento in definitiva snob da cui trasuda anche una sostanziale intolleranza verso posizioni diverse anche se indipendenti da aspetti meramente scientifici e legate invece a considerazioni di tipo giuridico ed alle libertà costituzionali, come nel caso dell’obbligo vaccinale che si intravede sullo sfondo anche se mai nominato esplicitamente.

L’agile libro di Allmon trova dunque la sua ragione d’esistenza nella dilagante ignoranza scientifica in cui versa la società. Essere chiari e brevi è un pregio. A pensarci bene, oggi, essere brevi è diventata una pretesa e dunque una necessità…

E no, la società non versa in una “dilagante ignoranza scientifica”, l’ignoranza è sì dilagante ma su tutti i fronti e la colpa non è certamente del “creazionismo” ma dell’impostazione mercatistica della scuola, un peccato che si punti il dito verso un avversario fantoccio, un’occasione più che sprecata perché sbagliare la diagnosi peggiora i problemi. Perché non si domandano Allmon e Pikaia il motivo della necessità di essere brevi? Il problema è l’incapacità di leggere e comprendere testi articolati, o pure questa è colpa dei “creazionismi”?

Segue quindi un caso cristallino di orwelliano bipensiero:

L’autore parte dal delineare in che cosa consiste la razionalità scientifica e ne identifica come elemento costitutivo il naturalismo (o materialismo): “La scienza riguarda soltanto il mondo fisico o materiale, non tratta del soprannaturale o di questioni per le quali non esiste alcuna prova materiale o fisica. La scienza ricerca cause materiali per fenomeni materiali.” (p. 14) Questa chiusura causale del mondo naturale potrebbe risultare compromettente per le orecchie dell’individuo religioso, per tale motivo l’autore aggiunge: “Questo non significa necessariamente che il soprannaturale non esista o che la scienza possa rispondere a tutte le domande su tutti gli argomenti. Significa semplicemente che il soprannaturale – quei fenomeni che non possono essere esaminati in termini di materia tangibile e di energia – non fanno parte dell’ambito di competenza della scienza.” (ibid.)

La metodologia scientifica permette di produrre una conoscenza affidabile del mondo e la teoria dell’evoluzione moderna è uno dei suoi più grandi successi. Quello che alcuni non riescono a digerire non è il successo della metodologia scientifica in sé, bensì il naturalismo metodologico alla base, che con successo crescente espunge progressivamente fini ultimi e significati assoluti dal mondo naturale. La teoria dell’evoluzione ha racimolato fino ad oggi così tante inimicizie perché con risolutezza è riuscita a rendere esplicativamente superflui i fini ultimi nell’ambito della vita, cioè in quella piccola fortezza nella quale si era ritirata la te(le)ologia naturale del divino, dopo la perdita dei domini dei cieli infiniti iniziata con la rivoluzione scientifica in fisica e astronomia nel XVII secolo.

I due periodi, consecutivi in originale, costituiscono uno la negazione dell’altro: se la scienza ha come ambito esplicativo solo i fenomeni del ‘mondo fisico o materiale’ come può pretendere di “espungere progressivamente fini ultimi e significati assoluti dal mondo naturale“? Sono queste le affermazioni e le invasioni di campo che tolgono credibilità non alla scienza ma ai sacerdoti laici pensati sin dal ‘600 da Bacon. Il grosso danno alla scienza lo fanno non i creazionisti ma questi nuovi sacerdoti che molto efficacemente Costanzo Preve chiamava clero universitario e, con particolar riferimento al clero darwinista, “tarantolati”:

«…essere atei o credenti, materialisti e idealisti, sopportarsi a vicenda e dialogare nel modo più sereno e serio possibile. Come professore di filosofia, non ho fatto altro per tutta la mia vita. Ma qui abbiamo a che fare con dei tarantolati i quali, disillusi dalla propria arrogante ideologia precedente, e completamente “riconciliati” con la società capitalistica ed i suoi apparati di consenso, hanno deciso di alzare la bandiera dell’ateismo “laico” legittimato dal darwinismo come rivendicazione della loro “superiorità” scientifica e morale».

Ed ecco che conseguentemente a questa indebita invasione di campo la scienza arriva a dettare dei principi arbitrari nel campo dell’etica come se si trattasse di conseguenze lecite:

Nonostante questa apparente adesione alla soluzione dei magisteri non sovrapposti poco dopo afferma che “Non [è] più ovvio che gli standard etici [possano]provenire soltanto dalla religione rivelata. Dopo Darwin, ha scritto Levine, «Il valore è visto come non intrinseco né permanente, ma mutevole, non disegnato meccanicamente ma con flessibilità e casualità […] Una volta perduta la sintonia fra il naturale e l’intenzionale, lo spazio per una voluta costruzione di significati […] si apre». Gli umani, in altre parole, devono cercarsi e costruirsi il significato al meglio che possono.” (p. 97) La conseguenza però è la delegittimazione di ogni istituzione religiosa strutturata. Qualunque essa sia non ha più alcuna legittimità speciale nell’individuare o indicare valori e comportamenti da perseguire. Per le religioni istituzionali dalla teoria dell’evoluzione consegue uno scacco non solo epistemologico ma anche etico. Le conoscenze acquisite ci mettono di fronte a una nuova rivelazione originale: quella di un individuo eticamente autonomo in senso proprio, responsabilizzato e che non può più rifugiarsi in sistemi precostituiti che facilitano una etero-direzione. I valori non sono estrapolabili in maniera deduttiva da fatti. Scopi e valori possono essere costruiti nel processo di interazione con altri viventi e nella contemplazione della tragica bellezza di questo globo terracqueo. La costruzione di valori implica che essi non debbano essere rivelati da istituzioni di alcun tipo.

A questi esponenti del clero laico scientista non sfiora nemmeno l’idea che il contrasto con le loro affermazioni sia una legittima reazione all’ingerenza in sfere che non gli competono.

Proseguendo sulla strada del conflitto snobistico dell’imposizione di non valori sulla base di una presunta legittimazione scientifica, è facilmente prevedibile che il conflitto non potrà che aumentare vedendo negli scientisti una intollerante minoranza elitaria.

Ed è solo in questa ottica che è comprensibile l’atteggiamento da cittadella assediata che emerge nell’articolo, solo che la cittadella non è quella della scienza ma quella dello scientismo e gli assediati non sono gli scienziati, che continuano a lavorare serenamente, ma il clero laico dello scientismo. E lo sanno bene dato che certi argomenti vengono proposti su Micro Mega, una rivista che certamente scientifica non si può definire, la difesa dello scientismo è un atto politico e come tale va dichiarato.

E in questo modo tanto più si cerca di far passare il problema come ignoranza scientifica, tanto più esso si aggraverà, il confronto è politico e seguirà le vie e le modalità della politica indifferente alle grida e allo stracciarsi di vesti del clero universitario.

E il clero universitario con i suoi sponsor fa bene a preoccuparsi perché ogni élite che vuole imporre il proprio pensiero (non verità scientifiche) agli altri, prima o poi suscita una rivoluzione.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » dom giu 25, 2017 5:52 am

???

Le religioni sono tornate e hanno messo le mani sulla politica
"Non se ne erano mai andate davvero", spiega il professor Manlio Graziano, esperto di geopolitica delle religioni. Ma adesso, sia cattolici che islamici, hanno assunto un nuovo peso e cercano di influenzare le scelte della politica
di Dario Ronzoni

http://www.linkiesta.it/it/article/2017 ... tica/34687

L’epoca del disincanto è finita. L’ondata laica che negli anni ’70 aveva raggiunto l’Europa sta scemando. Sotto, rimane la religione: ha resistito, si è un po’ modificata e ora guadagna posizioni. Non solo sul fronte dell’Islam o del rinascimento induista: il cristianesimo rimane forte. Ed è vivissima l’influenza della Chiesa cattolica, «quella che ha più peso di tutte dal punto di vista politico», come spiega il professor Manlio Graziano, esperto di geopolitica delle religioni, professore alla Sorbona di Parigi e all’American Graduate School. Capita di sottovalutare il peso della fede, ed è sempre un errore. Dal Medioriente agli Usa la parola di Dio conta ancora molto. Studiata, interpretata, predicata. E poi, chissà perché, ama intervenire nei dibattiti politici.

La religione è tornata, insomma.
Sì, ma si può dire che non se ne sia mai andata. Non solo c’è, ma ha sempre più un peso politico rilevante. Sia in termini di indirizzo che di presa sociale. E la più forte, sotto questo aspetto, è sempre la Chiesa cattolica: centralizzata, organizzata, ha una visione globale e una prospettiva di lungo termine. Fa una politica sua.

Le altre chiese no?
Sono più limitate. Ad esempio, la chiesa ortodossa russa ha come sfera di influenza il mondo russo. Oltre non va. Si appoggia, per resistere, alle politiche della regione in cui si trova. La chiesa cattolica, invece, agisce anche per conto proprio.

E l’Islam? Con la serie di attentati terroristici che stanno colpendo l’Europa se ne parla sempre di più, a volte anche a sproposito.
È una situazione diversa. L’Islam in sé non è un attore politico. È uno strumento politico.

Tutti i presidenti americani, nei loro discorsi, hanno fatto riferimenti a Dio. Li faceva Bush e nei discorsi di Obama, poi, abbondavano. Solo nelle ultime elezioni, con lo scontro di due personalità come Donald Trump e Hillary Clinton la religione è passata in secondo piano

Che significa?
Chiunque può utilizzarlo per le proprie finalità politiche. Tutte le religioni, soprattutto quelle con un testo sacro, possono essere piegate per sostenere una posizione e il suo esatto contrario. Si cercano i versetti o le sure che fanno al caso proprio e li si mette in evidenza. L’Islam non sfugge a questa regola. Già in passato è stato impiegato per sostenere svariate ideologie politiche. Per capirsi, la scorsa settimana in una bancarella di Parigi ho visto un vecchio libro sull’Islam marxista...

Certo. Però al giorno d’oggi, per prendere una decisione politica, non è più necessario avere l’avallo del testo sacro.
Non ne sarei così sicuro. Negli Usa, per esempio, è ancora importante. Tutti i presidenti americani, nei loro discorsi, hanno fatto riferimenti a Dio. Li faceva Bush, nei discorsi di Obama, poi, abbondavano. Solo nelle ultime elezioni, con lo scontro di due personalità come Donald Trump e Hillary Clinton la religione è passata in secondo piano. Trump ha imposto la sua visione fortissima – e al tempo stesso povera – usando pochissimi slogan e senza dover ricorrere alla religione.

Un cambiamento?
No. Perché questo non vuol dire che i maggiori gruppi religiosi americani non si siano schierati. Anzi, se si va a vedere, si nota che lo hanno sostenuto. I cattolici hanno votato in maggioranza per lui, e non accadeva dal ’68 [con Hubert Humphrey] chela maggioranza del voto dei cattolici andasse al candidato che ha ottenuto meno voti popolari. Questo rende chiaro che sia stato un investimento politico.

Quando si dice che “in Italia solo il 20 o il 30% dei battezzati va in Chiesa ogni domenica”, si dimentica che si tratta di un numero altissimo di persone. Nessun partito, nessuna organizzazione sindacale è in grado di mobilitare così tanta gente a cadenze così regolari

Negli anni ’70 le religioni erano meno importanti, però.
È da quel periodo che si vede un ritorno sulla scena pubblica. Negli anni ’60 avevamo assistito al cosiddetto “disincanto”. Ed è vero che c’è stato un cambiamento, indotto dalle migliori condizioni economiche. Anche oggi nel mondo, a parte il caso degli Usa, esiste una correlazione tra maggiore ricchezza e minore religiosità. I Paesi più religiosi sono quelli più poveri (africani e asiatici), mentre i Paesi europei, più forti dal punto di vista economico, hanno visto un calo. Questo però non esaurisce il discorso, specie quando si parla di politica.

È innegabile però che le persone credenti, almeno in Italia, siano diminuite.
Stiamo attenti, però. Quando si dice che “in Italia solo il 20 o il 30% dei battezzati va in Chiesa ogni domenica”, si dimentica che si tratta di un numero altissimo di persone. Nessun partito, nessuna organizzazione sindacale è in grado di mobilitare così tanta gente a cadenze così regolari.

Vero.
E poi, se pure è diminuito l’aspetto quantitativo, quello qualitativo è molto più marcato. Sono di meno, ma credono di più. Da quando andare in Chiesa non è più un dovere sociale si può vedere, con uno sguardo, che chi continua ad andarci è un cristiano convinto. È un nucleo più polarizzato e, quando c’è da prendere una decisione politica, sono molto più compatti.

Lo si è visto nelle battaglie recenti per i diritti degli omosessuali.
Sì, in Italia, ma anche in Francia. È forte e diffuso. Tutte le battaglie politiche, sia chiaro, sono condotte da minoranze. Quella cattolica è la minoranza meno minore di tutti.

Storicamente l’Islam non è violento (o almeno, non più e non meno di tutte le altre religioni), ma alcuni singoli sì

Al centro delle cronache oggi, però, c’è l’Islam. Anche loro sono minoranza e, in molti casi, radicale.
È una questione complessa. Spesso il dibattito si attorciglia intorno alla questione della violenza dell’Islam.

Appunto. È una religione violenta?
Questo lo devono decidere i teologi musulmani. Ma non lo sanno, perché si contraddicono tra di loro. Dal punto di vista storico è violento? No. Prima degli anni ’70 non lo era. Se poi lo fosse diventato oggi, in modo maggioritario, dovremmo stupirci non del fatto che gli attentati siano tanti, ma del fatto che siano pochi. Dovremmo avere almeno 50 attentati al giorno. Ma non ci sono. Per cui la risposta è un’altra.

Cioè?
Che storicamente l’Islam non è violento (o almeno, non più e non meno di tutte le altre religioni), ma alcuni singoli sì. E si tratta di criminali, piccoli delinquenti falliti, emarginati dalla società che hanno abbracciato la causa jihadista perché è di moda. Negli anni ’70 sarebbero stati anarchici, o brigatisti, o fascisti. Poi i media alimentano questa concezione eroica del martirio, danno loro risalto e importanza e creano un fenomeno di imitazione.

Va bene. Ma il problema non sono solo i terroristi. Riguarda anche l’Islam moderato, cioè quello non violento. È compatibile con i valori occidentali?
È una domanda che riflette un errore di prospettiva.

Quale?
La definizione dei valori occidentali. Quali sono? Se si guarda a quello che si pensava in Europa circa 50 anni fa non si notano molte differenze. Le donne erano escluse da molte posizioni di lavoro. Gli omosessuali discriminati ed emarginati. Eppure erano occidentali.

Sì. Ma il problema è oggi, non 50 anni fa.
È una questione di integrazione, ma reale. Come gli Europei hanno raggiunto certe convinzioni, così lo faranno anche loro. Se però si insiste a stigmatizzarli, a evidenziare le differenze, a confinarli nell’identità del “musulmano” che gli cuciamo noi addosso, loro reagiranno. Le enfatizzeranno. Risponderanno alle nostre provocazioni e noi alle loro. A causa di un ceto politico spesso infantile, perpetueremo questa differenza.



Alberto Pento
Che prof. ignorante e bugiardo, non credibile questo Dario Ronzoni a dire che l'Islam storicamente non è violento.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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