Idolatria e spiritualità naturale e universale

Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » ven ago 04, 2017 7:07 am

Assurdità idolatre


Perché l’Islam non può essere la “vera religione”
Forum Libertas
2017/08/02

https://it.aleteia.org/2017/08/02/crist ... iche-islam

Spieghiamo perché non si può che rigettare fermamente la pretesa della religione di Maometto di completare il Cristianesimo

Abbiamo ricevuto in redazione una lettera molto intima e toccante di un affezionato lettore, che dice di seguirci con interesse nei nostri percorsi di scoperta e approfondimento della fede cristiana nel mondo.

Il lettore ci confida, inoltre, che talvolta viene morso da forti dubbi sugli articoli della fede, e che in questo periodo in particolare si trova attanagliato dal dubbio “e se fosse l’Islam la vera religione?”: la vivida nota di umanità che emerge dal suo dirsi “molto sofferente” a causa di questi dubbi non può che conquistare tutta la nostra simpatia. E personalmente mi ha ricordato una storia che voglio raccontare.

Ormai più di dieci anni fa vivevo a Milano, studiavo in Cattolica e abitavo in un collegio universitario con un centinaio di altri ragazzi da ogni parte d’Italia, distribuiti più o meno su tutte le facoltà di tutti gli atenei meneghini.

Uno di questi ragazzi, un mio amico, manifestava a quel tempo una singolare inquietudine spirituale: aveva preso a porsi molte domande e, per darvi delle risposte, a leggere molti libri; andavamo a messa insieme e ricordo che per qualche mese il mio amico si confessò quasi tutti i giorni. Erano segni evidenti di una “patologia spirituale” detta “scrupolo” – l’avrei imparato anche io negli anni – ma all’epoca mi sembrava soltanto un ragazzo molto devoto e pio. Tant’è che l’anno dopo decise di entrare in seminario: lasciò gli studi di giurisprudenza e si trasferì a Venegono. Qualche anno dopo ancora sarebbe diventato un bravo sacerdote – ciò che appunto, con qualche capello bianco in più, tuttora è.

Si fa presto però, a dire “gli anni”: come nelle scalate in montagna, a guardarsi indietro dalla vetta è tutto un colpo d’occhio; nell’ascensione, invece, ogni passo è una goccia di sudore.

Ricordo bene il pomeriggio in cui ricevetti una sua chiamata – era già studente di teologia –: mi chiedeva se potessi rassicurarlo sulla verità della rivelazione cristiana. «In che senso?», chiesi io: «Su quale aspetto?». «No, non su qualcosa in particolare: come si fa ad essere sicuri che Dio ci abbia parlato? E come si fa ad essere sicuri che abbia parlato proprio a noi? Perché non potrebbe essere vero l’islamismo, allora? In fondo pretende di concludere e perfezionare il cristianesimo come il cristianesimo afferma di concludere e compiere il giudaismo. E in fondo sarebbe lo stesso Dio».

Al mio amico, allora, che si vergognava di pormi queste domande da studente di teologia, risposi che naturalmente la pretesa dell’Islam di porsi come il compimento del cristianesimo è insostenibile perché totalmente unilaterale, a differenza di quanto avviene tra giudaismo e cristianesimo. E non perché il giudaismo accolga la pretesa cristiana – se così fosse i giudei non starebbero più aspettando alcun messia – ma perché il sistema dottrinario giudaico, a differenza di quello cristiano, è strutturalmente aperto. Ora questo va forse spiegato meglio: quando dico “sistema aperto”, lo intendo sul piano storico-salvifico (i teologi direbbero “economico”), non su quello disciplinare-dottrinale (economico pure esso, direbbero gli stessi di cui sopra, ma un tantino più proteso all’“immanenza”). Su quest’ultimo piano tutte e le tre le religioni abramitiche si ritengono germinalmente compiute: vale a dire che tutte e tre possono concepire relative evoluzioni del dogma, a patto che però restino comprensibili in un orizzonte di inalterata identità del deposito. Nel V secolo Vincenzo di Lérins lo spiegava con queste celebri parole:

Le membra dell’uomo adulto non hanno più le proporzioni di quelle del bambino. Tuttavia quelle che esistono in età più matura esistevano già, come tutti sanno, nell’embrione, sicché quanto a parti del corpo, niente di nuovo si riscontra negli adulti che non sia stato già presente nei fanciulli, sia pure allo stato embrionale.

Non vi è alcun dubbio in proposito. Questa è la vera e autentica legge del progresso organico.

[…] Anche il dogma della religione cristiana deve seguire queste leggi. Progredisce, consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l’età. È necessario però che resti sempre assolutamente intatto e inalterato.

Commonitorium I, 23

Ecco perché potranno mutare le relazioni tra i membri e potranno incontrarsi i credenti, ma mai le religioni in senso stretto: mai i cristiani rinunceranno alla loro pretesa che Gesù sia il cardine di tutta la storia, l’incarnazione del creatore e l’unica e universale via per la salvezza; mai i musulmani ammetteranno che Mohammed non abbia i numeri per competere con la smisurata pretesa di Cristo. Il giudaismo, invece, non si concepisce compiuto perché perlomeno dal post-esilio ha sviluppato un’attesa messianica che lo tiene sempre socchiuso a un nuovo e decisivo evento salvifico. Quell’evento che venti secoli fa alcuni giudei riconobbero in Gesù.

Diciamo che il giudaismo è una specie di pullman al completo in attesa del conducente: dal punto di vista logico è perfettamente coerente rigettare Cristo – poiché lo si ritiene un “conducente abusivo” – e continuare a restare seduti in attesa del conducente. Islamismo e cristianesimo, invece, restando nella metafora, condividono il fatto di essere entrambi “pullman provvisti di conducente” ma, sebbene promettano a parole di portare i viaggiatori alla medesima meta, le vie indicate e le tappe del viaggio sono così diverse da lasciar perplesso il viaggiatore che si pone il problema di quale mezzo usare.

Lasciamo da parte la metafora che, come tutte le analogie, aiuta fino a un certo punto e poi risulta d’intralcio. La concorrenza teologica tra cristianesimo e islam, che nel Basso Medioevo portò alla fioritura di importanti generi letterari (tipo il Dialogo di Abelardo, che si proponeva come erede di quello di Minucio Felice e di altri), si produceva sì in appassionanti analisi delle differenze, ma doveva poi arrestarsi a registrare l’irriducibilità delle stesse le une alle altre. Ecco perché, nonostante la relativa distensione culturale esibita in Europa, Tommaso d’Aquino concludeva semplicemente che il giudaismo è incompleto e l’islamismo è falso.

Una tale secca diversificazione si spiega per noi moderni con altri ordini di considerazione: per esempio, il giudaismo e il cristianesimo hanno entrambi in comune il propagarsi a mezzo di una tradizione protratta nel tempo e caratterizzata dalla pazienza – e l’istinto soprannaturale della fede ci porta a riconoscere in questa mirabile concordia i segni dell’ispirazione divina; l’evento fondante dell’Islam, invece, si snoda nell’arco di una sola generazione ed è caratterizzato da una poderosa espansione militare (dunque “violenza” in luogo di “pazienza”) – ed è questa stessa folgorante ascensione che vale storicamente per l’Islam da prova teologica della propria verità. Questo fa sì che mentre si può sensatamente raggruppare l’islamismo con il giudaismo e col cristianesimo nell’insieme delle “religioni abramitiche” (ed è questa una connotazione storico-culturale), nessuno riconosce sensata sul livello teologico l’espressione “rivelazione giudeo-cristiano-islamica” – giacché quella islamica non può essere definita “rivelazione” se non in senso analogico (e molto debole!), da giudei e cristiani – e a nessun titolo può assimilarsi all’unica rivelazione giudaico-cristiana.

Ecco perché – un dettaglio che troppi strilloni del dialogo con l’Islam non ricordano – lo stesso Concilio Vaticano II afferma che i musulmani, «professando di tenere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico misericordioso» (LG 16). Non il medesimo Dio.

Certamente Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini, e nessuno dubita che – come dice appunto il Vaticano II – «il disegno della salvezza abbracci anche loro» (ibid.). Sì, ma come? I Padri conciliari si preoccuparono di accennare anche questo: «Quelli che non hanno ancora ricevuto il Vangelo sono ordinati in vari modi al popolo di Dio» (ibid.). Che cosa significa? Che “popolo di Dio”, come “famiglia di Dio” e come tutte le altre espressioni analogiche con cui si esprime “il Regno”, si dice in senso proprio e stretto o in senso lato e allargato, e secondo varie intensità.

Chiesero tempo fa a padre Paolo Dall’Oglio – il gesuita italiano che secondo alcuni sarebbe tuttora sequestrato dall’Isis (mentre secondo altri sarebbe stato ucciso) – quali fossero, secondo lui, il senso e il ruolo dell’Islam nella storia. L’autore di Innamorato dell’Islam, credente in Cristo avrebbe risposto che l’Islam ha nella storia “un compito carismatico”, ossia quello di provocare la fede cristiana a raffinarsi e purificarsi.

Un’affermazione misteriosa, per me che (sulla scorta di Ratzinger e di altri) nutro l’impressione che dal punto di vista della produzione civile e culturale l’Islam abbia raggiunto il suo apice poco dopo la fotografia tramandatacene da Abelardo nel XII secolo, e che su quelle massime si sia attestato. Difatti Tommaso, un secolo dopo, affrontava un Islam capace di costruire vere civiltà, competitive sul piano della “città dell’uomo”: era l’età d’oro dell’islamismo, eppure tanto più nettamente gli balzavano all’occhio le insufficienze di una religione tanto monolitica nel testo sacro quanto grossolana nella proposta teologica. Guardo però con simpatia e speranza ad alcune iniziative dell’islam sunnita, come ad esempio il rilancio dell’università al-Azhar del Cairo, che dopo secoli di decadenza proprio in questi anni Ahmad al-Tayyb sembra voler guidare: all’Islam farà molto bene attraversare una fase critica della propria autocomprensione, magari partendo dalla problematizzazione storica e filologica del Corano.

Nei terribili momenti in cui invece di studiare mi metto a divagare, e a pensare a quanto sarebbero belli il mondo e la storia se il lavoro di Dio lo facessi io, mi dico: ecco, Maometto era uno che doveva incontrare un bravo vescovo, uno che gli spiegasse per bene le cose, gli lavasse dalla testa quella risciacquatura di arianesimo che passa nell’Islam come “monoteismo” e lo ordinasse prete. Viceversa, la storia avrebbe avuto un volto migliore se Lutero non si fosse fatto monaco e prete.

Ora, evidentemente nella mia iperbole è già presente in filigrana l’autocritica: certo che il mondo non sarebbe affatto migliore, se fossi io a disporne le regole, eppure certi eventi storici sono alla base di così numerosi conflitti – e come le Crociate, l’Inquisizione e l’Indice, erano tutti animati dalle più pie intenzioni – che permangono misteriosi ed enigmatici nel trovarsi anch’essi disposti dalla Provvidenza in un disegno di cui vediamo ancora sempre e solo il rovescio.

Non ricordo se a quel mio amico, anni fa, dissi tutte o sole queste cose: probabilmente gli dissi pure che nessuno può competere con Cristo perché Gesù ci rende sue membra mistiche ed entra in una relazione vitale, vivificante e quotidiana con noi; e Gesù è un personaggio storico percepito e narrato da Svetonio, Plinio il Giovane, Giuseppe Flavio e altri storici non cristiani… mentre che Gabriele abbia consegnato il Corano a Maometto lo dice solo Maometto; e che Maometto sia il Profeta di Allah, di nuovo, lo dice solo Maometto (e quelli che al suo seguito invasero il mondo dall’Arabia a Poitiers).

Magari dovrei chiamare quel bravo prete per chiedergli se si ricorda di quelle chiacchierate inquiete, ma ciò che di certo oggi posso dire – a beneficio del nostro lettore e di tutti noi – è anzitutto che le inquietudini nella storia tornano sempre a vantaggio di chi con cuore umile e sincero cerca il volto di Dio. Come dice Paolo:

Tutto concorre al bene per quelli che amano Dio.

Rom 8, 28

E in quel “tutto” di cui parla l’apostolo rientrano sia le inquietudini di Maometto, di Lutero e degli altri che volenti o nolenti hanno sdrucito la tunica di Cristo, sia quelle di chi su quelle si interroga e si arrovella.

Ci conferma, invece, ma senza toglierci la santa inquietudine della fede, la voce apocalittica del Salvatore, che secondo il racconto di Matteo principiò i suoi ultimi discorsi prima della Passione così:

Guardate che nessuno vi inganni; molti verranno nel mio nome, dicendo: Io sono il Cristo, e trarranno molti in inganno. Sentirete poi parlare di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi; è necessario che tutto questo avvenga, ma non è ancora la fine. Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi; ma tutto questo è solo l’inizio dei dolori. Allora vi consegneranno ai supplizi e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome. Molti ne resteranno scandalizzati, ed essi si tradiranno e odieranno a vicenda. Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà. Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato. Frattanto questo vangelo del regno sarà annunziato in tutto il mondo, perché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; e allora verrà la fine.



Alberto Pento
Assurdità idolatre, nessuna religione è quella vera perché Dio non ha religioni e le divinità delle religioni sono tutte idoli (tutte le interpretazioni del divino scambiate per Dio sono idoli). L'Islam inoltre ha un idolo spaventoso orrendo e terrorizzante pieno di violenza e può essere definito come nazismo-maomettano. La vera religione di Dio è la vita universale, comune a tutte le creature e alla matertia inorganica, e la sua chiesa è il creato, l'intera Creazione. Dio non ha bisogno di profeti, di rivelatori, di incarnazioni. Dio è la vita stessa, lo sipirto che anima la vita universale ed è presente da sempre nel cuore di ogni creatura e di ogni atomo del cosmo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » ven ago 04, 2017 7:10 am

Assurdità idolatre


Perché l’Islam non può essere la “vera religione”
Giovanni Marcotullio
2017/08/02

https://it.aleteia.org/2017/08/02/crist ... iche-islam

Spieghiamo perché non si può che rigettare fermamente la pretesa della religione di Maometto di completare il Cristianesimo

Abbiamo ricevuto in redazione una lettera molto intima e toccante di un affezionato lettore, che dice di seguirci con interesse nei nostri percorsi di scoperta e approfondimento della fede cristiana nel mondo.

Il lettore ci confida, inoltre, che talvolta viene morso da forti dubbi sugli articoli della fede, e che in questo periodo in particolare si trova attanagliato dal dubbio “e se fosse l’Islam la vera religione?”: la vivida nota di umanità che emerge dal suo dirsi “molto sofferente” a causa di questi dubbi non può che conquistare tutta la nostra simpatia. E personalmente mi ha ricordato una storia che voglio raccontare.

Ormai più di dieci anni fa vivevo a Milano, studiavo in Cattolica e abitavo in un collegio universitario con un centinaio di altri ragazzi da ogni parte d’Italia, distribuiti più o meno su tutte le facoltà di tutti gli atenei meneghini.

Uno di questi ragazzi, un mio amico, manifestava a quel tempo una singolare inquietudine spirituale: aveva preso a porsi molte domande e, per darvi delle risposte, a leggere molti libri; andavamo a messa insieme e ricordo che per qualche mese il mio amico si confessò quasi tutti i giorni. Erano segni evidenti di una “patologia spirituale” detta “scrupolo” – l’avrei imparato anche io negli anni – ma all’epoca mi sembrava soltanto un ragazzo molto devoto e pio. Tant’è che l’anno dopo decise di entrare in seminario: lasciò gli studi di giurisprudenza e si trasferì a Venegono. Qualche anno dopo ancora sarebbe diventato un bravo sacerdote – ciò che appunto, con qualche capello bianco in più, tuttora è.

Si fa presto però, a dire “gli anni”: come nelle scalate in montagna, a guardarsi indietro dalla vetta è tutto un colpo d’occhio; nell’ascensione, invece, ogni passo è una goccia di sudore.

Ricordo bene il pomeriggio in cui ricevetti una sua chiamata – era già studente di teologia –: mi chiedeva se potessi rassicurarlo sulla verità della rivelazione cristiana. «In che senso?», chiesi io: «Su quale aspetto?». «No, non su qualcosa in particolare: come si fa ad essere sicuri che Dio ci abbia parlato? E come si fa ad essere sicuri che abbia parlato proprio a noi? Perché non potrebbe essere vero l’islamismo, allora? In fondo pretende di concludere e perfezionare il cristianesimo come il cristianesimo afferma di concludere e compiere il giudaismo. E in fondo sarebbe lo stesso Dio».

Al mio amico, allora, che si vergognava di pormi queste domande da studente di teologia, risposi che naturalmente la pretesa dell’Islam di porsi come il compimento del cristianesimo è insostenibile perché totalmente unilaterale, a differenza di quanto avviene tra giudaismo e cristianesimo. E non perché il giudaismo accolga la pretesa cristiana – se così fosse i giudei non starebbero più aspettando alcun messia – ma perché il sistema dottrinario giudaico, a differenza di quello cristiano, è strutturalmente aperto. Ora questo va forse spiegato meglio: quando dico “sistema aperto”, lo intendo sul piano storico-salvifico (i teologi direbbero “economico”), non su quello disciplinare-dottrinale (economico pure esso, direbbero gli stessi di cui sopra, ma un tantino più proteso all’“immanenza”). Su quest’ultimo piano tutte e le tre le religioni abramitiche si ritengono germinalmente compiute: vale a dire che tutte e tre possono concepire relative evoluzioni del dogma, a patto che però restino comprensibili in un orizzonte di inalterata identità del deposito. Nel V secolo Vincenzo di Lérins lo spiegava con queste celebri parole:

Le membra dell’uomo adulto non hanno più le proporzioni di quelle del bambino. Tuttavia quelle che esistono in età più matura esistevano già, come tutti sanno, nell’embrione, sicché quanto a parti del corpo, niente di nuovo si riscontra negli adulti che non sia stato già presente nei fanciulli, sia pure allo stato embrionale.

Non vi è alcun dubbio in proposito. Questa è la vera e autentica legge del progresso organico.

[…] Anche il dogma della religione cristiana deve seguire queste leggi. Progredisce, consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l’età. È necessario però che resti sempre assolutamente intatto e inalterato.

Commonitorium I, 23

Ecco perché potranno mutare le relazioni tra i membri e potranno incontrarsi i credenti, ma mai le religioni in senso stretto: mai i cristiani rinunceranno alla loro pretesa che Gesù sia il cardine di tutta la storia, l’incarnazione del creatore e l’unica e universale via per la salvezza; mai i musulmani ammetteranno che Mohammed non abbia i numeri per competere con la smisurata pretesa di Cristo. Il giudaismo, invece, non si concepisce compiuto perché perlomeno dal post-esilio ha sviluppato un’attesa messianica che lo tiene sempre socchiuso a un nuovo e decisivo evento salvifico. Quell’evento che venti secoli fa alcuni giudei riconobbero in Gesù.

Diciamo che il giudaismo è una specie di pullman al completo in attesa del conducente: dal punto di vista logico è perfettamente coerente rigettare Cristo – poiché lo si ritiene un “conducente abusivo” – e continuare a restare seduti in attesa del conducente. Islamismo e cristianesimo, invece, restando nella metafora, condividono il fatto di essere entrambi “pullman provvisti di conducente” ma, sebbene promettano a parole di portare i viaggiatori alla medesima meta, le vie indicate e le tappe del viaggio sono così diverse da lasciar perplesso il viaggiatore che si pone il problema di quale mezzo usare.

Lasciamo da parte la metafora che, come tutte le analogie, aiuta fino a un certo punto e poi risulta d’intralcio. La concorrenza teologica tra cristianesimo e islam, che nel Basso Medioevo portò alla fioritura di importanti generi letterari (tipo il Dialogo di Abelardo, che si proponeva come erede di quello di Minucio Felice e di altri), si produceva sì in appassionanti analisi delle differenze, ma doveva poi arrestarsi a registrare l’irriducibilità delle stesse le une alle altre. Ecco perché, nonostante la relativa distensione culturale esibita in Europa, Tommaso d’Aquino concludeva semplicemente che il giudaismo è incompleto e l’islamismo è falso.

Una tale secca diversificazione si spiega per noi moderni con altri ordini di considerazione: per esempio, il giudaismo e il cristianesimo hanno entrambi in comune il propagarsi a mezzo di una tradizione protratta nel tempo e caratterizzata dalla pazienza – e l’istinto soprannaturale della fede ci porta a riconoscere in questa mirabile concordia i segni dell’ispirazione divina; l’evento fondante dell’Islam, invece, si snoda nell’arco di una sola generazione ed è caratterizzato da una poderosa espansione militare (dunque “violenza” in luogo di “pazienza”) – ed è questa stessa folgorante ascensione che vale storicamente per l’Islam da prova teologica della propria verità. Questo fa sì che mentre si può sensatamente raggruppare l’islamismo con il giudaismo e col cristianesimo nell’insieme delle “religioni abramitiche” (ed è questa una connotazione storico-culturale), nessuno riconosce sensata sul livello teologico l’espressione “rivelazione giudeo-cristiano-islamica” – giacché quella islamica non può essere definita “rivelazione” se non in senso analogico (e molto debole!), da giudei e cristiani – e a nessun titolo può assimilarsi all’unica rivelazione giudaico-cristiana.

Ecco perché – un dettaglio che troppi strilloni del dialogo con l’Islam non ricordano – lo stesso Concilio Vaticano II afferma che i musulmani, «professando di tenere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico misericordioso» (LG 16). Non il medesimo Dio.

Certamente Dio vuole la salvezza di tutti gli uomini, e nessuno dubita che – come dice appunto il Vaticano II – «il disegno della salvezza abbracci anche loro» (ibid.). Sì, ma come? I Padri conciliari si preoccuparono di accennare anche questo: «Quelli che non hanno ancora ricevuto il Vangelo sono ordinati in vari modi al popolo di Dio» (ibid.). Che cosa significa? Che “popolo di Dio”, come “famiglia di Dio” e come tutte le altre espressioni analogiche con cui si esprime “il Regno”, si dice in senso proprio e stretto o in senso lato e allargato, e secondo varie intensità.

Chiesero tempo fa a padre Paolo Dall’Oglio – il gesuita italiano che secondo alcuni sarebbe tuttora sequestrato dall’Isis (mentre secondo altri sarebbe stato ucciso) – quali fossero, secondo lui, il senso e il ruolo dell’Islam nella storia. L’autore di Innamorato dell’Islam, credente in Cristo avrebbe risposto che l’Islam ha nella storia “un compito carismatico”, ossia quello di provocare la fede cristiana a raffinarsi e purificarsi.

Un’affermazione misteriosa, per me che (sulla scorta di Ratzinger e di altri) nutro l’impressione che dal punto di vista della produzione civile e culturale l’Islam abbia raggiunto il suo apice poco dopo la fotografia tramandatacene da Abelardo nel XII secolo, e che su quelle massime si sia attestato. Difatti Tommaso, un secolo dopo, affrontava un Islam capace di costruire vere civiltà, competitive sul piano della “città dell’uomo”: era l’età d’oro dell’islamismo, eppure tanto più nettamente gli balzavano all’occhio le insufficienze di una religione tanto monolitica nel testo sacro quanto grossolana nella proposta teologica. Guardo però con simpatia e speranza ad alcune iniziative dell’islam sunnita, come ad esempio il rilancio dell’università al-Azhar del Cairo, che dopo secoli di decadenza proprio in questi anni Ahmad al-Tayyb sembra voler guidare: all’Islam farà molto bene attraversare una fase critica della propria autocomprensione, magari partendo dalla problematizzazione storica e filologica del Corano.

Nei terribili momenti in cui invece di studiare mi metto a divagare, e a pensare a quanto sarebbero belli il mondo e la storia se il lavoro di Dio lo facessi io, mi dico: ecco, Maometto era uno che doveva incontrare un bravo vescovo, uno che gli spiegasse per bene le cose, gli lavasse dalla testa quella risciacquatura di arianesimo che passa nell’Islam come “monoteismo” e lo ordinasse prete. Viceversa, la storia avrebbe avuto un volto migliore se Lutero non si fosse fatto monaco e prete.

Ora, evidentemente nella mia iperbole è già presente in filigrana l’autocritica: certo che il mondo non sarebbe affatto migliore, se fossi io a disporne le regole, eppure certi eventi storici sono alla base di così numerosi conflitti – e come le Crociate, l’Inquisizione e l’Indice, erano tutti animati dalle più pie intenzioni – che permangono misteriosi ed enigmatici nel trovarsi anch’essi disposti dalla Provvidenza in un disegno di cui vediamo ancora sempre e solo il rovescio.

Non ricordo se a quel mio amico, anni fa, dissi tutte o sole queste cose: probabilmente gli dissi pure che nessuno può competere con Cristo perché Gesù ci rende sue membra mistiche ed entra in una relazione vitale, vivificante e quotidiana con noi; e Gesù è un personaggio storico percepito e narrato da Svetonio, Plinio il Giovane, Giuseppe Flavio e altri storici non cristiani… mentre che Gabriele abbia consegnato il Corano a Maometto lo dice solo Maometto; e che Maometto sia il Profeta di Allah, di nuovo, lo dice solo Maometto (e quelli che al suo seguito invasero il mondo dall’Arabia a Poitiers).

Magari dovrei chiamare quel bravo prete per chiedergli se si ricorda di quelle chiacchierate inquiete, ma ciò che di certo oggi posso dire – a beneficio del nostro lettore e di tutti noi – è anzitutto che le inquietudini nella storia tornano sempre a vantaggio di chi con cuore umile e sincero cerca il volto di Dio. Come dice Paolo:

Tutto concorre al bene per quelli che amano Dio.

Rom 8, 28

E in quel “tutto” di cui parla l’apostolo rientrano sia le inquietudini di Maometto, di Lutero e degli altri che volenti o nolenti hanno sdrucito la tunica di Cristo, sia quelle di chi su quelle si interroga e si arrovella.

Ci conferma, invece, ma senza toglierci la santa inquietudine della fede, la voce apocalittica del Salvatore, che secondo il racconto di Matteo principiò i suoi ultimi discorsi prima della Passione così:

Guardate che nessuno vi inganni; molti verranno nel mio nome, dicendo: Io sono il Cristo, e trarranno molti in inganno. Sentirete poi parlare di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi; è necessario che tutto questo avvenga, ma non è ancora la fine. Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi; ma tutto questo è solo l’inizio dei dolori. Allora vi consegneranno ai supplizi e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome. Molti ne resteranno scandalizzati, ed essi si tradiranno e odieranno a vicenda. Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà. Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato. Frattanto questo vangelo del regno sarà annunziato in tutto il mondo, perché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; e allora verrà la fine.



Alberto Pento
Assurdità idolatre, nessuna religione è quella vera perché Dio non ha religioni e le divinità delle religioni sono tutte idoli (tutte le interpretazioni del divino scambiate per Dio sono idoli). L'Islam inoltre ha un idolo spaventoso orrendo e terrorizzante pieno di violenza e può essere definito come nazismo-maomettano. La vera religione di Dio è la vita universale, comune a tutte le creature e alla matertia inorganica, e la sua chiesa è il creato, l'intera Creazione. Dio non ha bisogno di profeti, di rivelatori, di incarnazioni. Dio è la vita stessa, lo sipirto che anima la vita universale ed è presente da sempre nel cuore di ogni creatura e di ogni atomo del cosmo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » mar ago 08, 2017 9:22 pm

Un pensiero e un sentire che si avvicina all'aidolismo, alla spiritualità naturale e universale ad un credere innato che non è religiosamente orientato verso una qualsivoglia interpretazione del divino o idolo e proprio di tutte le creature della terra e del Creato.



La nuova Chiesa di Karl Rahner. - Il teologo che ha insegnato ad arrendersi al mondo.
Silvio Brachetta

http://www.vanthuanobservatory.org/ita/ ... i-al-mondo

Il cardinale Giuseppe Siri aveva riassunto nella «concezione del soprannaturale non-gratuito» il nucleo dell’errore teologico di Karl Rahner. Lo scrive in Getsemani, nel 1980, per i tipi della Fraternità della Vergine Maria.
In altre parole, per Rahner il soprannaturale è legato «necessariamente» alla natura umana: ma, in questo caso, la grazia non sarebbe più gratuita; non sarebbe più un dono; non potrebbe più essere accettata o rifiutata liberamente dall’uomo. Insomma, una sorta di soprannaturale imposto da Dio all’uomo.


Una gratuità obbligatoria.

Se fosse vero quanto sostiene Rahner – afferma Siri – si giungerebbe «all’inutilità dell’atto di fede», poiché «nella mia essenza c’è Dio». Non devo accettarlo o rifiutarlo: Dio fa già parte di me, che lo voglia o meno. Il teologo tedesco non si rese conto, evidentemente, che con tale assunto «tutti i principi, tutti i criteri e tutti i fondamenti della fede» sono stati «messi in questione e si sfaldano».

Ma il problema non è l’opinione di un teologo eterodosso. È dimostrabile che le suggestioni rahneriane abbiamo coinvolto e sovvertito gran parte della teologia degli ultimi sessant’anni. Rahner «sembra aver vinto», scrive Stefano Fontana nel suo ultimo saggio, dedicato al «teologo che ha insegnato» alla Chiesa «ad arrendersi al mondo». Non è un’esagerazione: «da un’inchiesta – scrive Fontana – condotta nell’immediato postconcilio alla Pontificia Università Lateranense emerse che per i seminaristi, che lì studiavano teologia, il più grande teologo cattolico di tutti i tempi fosse non San Tommaso d’Aquino o Sant’Agostino, ma Karl Rahner».

Un Dio atematico

Fontana descrive la parabola del pensiero rahneriano inserita fatalmente nel metodo moderno di fare filosofia e, quindi, teologia. È un metodo che Fontana aveva anche già esposto nel suo saggio precedente “Filosofia per tutti” (Fede & Cultura, 2016) e che consiste nell’assumere, di volta in volta, una certa forma del «trascendentale moderno»: il filosofo o il teologo della modernità, cioè, non concepisce più un rapporto diretto con la realtà da conoscere, ma pensa che «l’uomo veda il mondo attraverso degli occhiali dai quali non può liberarsi». Questi occhiali sono le forme a priori della conoscenza di un qualsiasi oggetto, che però lo modificano e lo limitano, rendendo impossibile ogni certezza o conclusione su di esso. L’oggetto della conoscenza diviene così, fosse un tavolo o Dio stesso, mai completamente comprensibile, mai conosciuto con sicurezza.

Rahner non fugge da questa prassi e da questa logica. Il paio di occhiali con cui legge ogni aspetto della realtà (Dio compreso) si chiama – scrive Fontana – «buco della serratura». Ogni pensatore della modernità ha, in fondo, un suo apriorismo gnoseologico. Quello di Rahner è tale per cui «Dio si rivela nel buio che precede e circonda il buco della serratura». Si rivela in modo atematico, cioè privo di contenuti. Quello al di là del buco, invece, è il mondo dell’esperienza, delle parole umane. Ma che rapporto possono avere quest’esperienza e queste parole con la verità? Un rapporto equivoco, fatto di dubbio e d’incertezza, perché ogni criterio di giudizio è colto al di qua della serratura, dove mi trovo io e si trova Dio, ma dove c’è solo silenzio e buio. È come misurare delle lunghezze con un metro deformato. Non si potrà mai pervenire all’estensione delle cose, per via di un difetto iniziale dovuto allo strumento di misura. Le cose corrispondono alla realtà oggettiva e lo strumento deformato sta nell’uomo, che è la realtà soggettiva.

Rahner trae queste convinzioni dall’apriorismo di Kant, ma è soprattutto in Heidegger che fonda la propria gnoseologia: precisamente nel principio – scrive Fontana – secondo cui «l’uomo, che si chiede cosa sia l’essere, è dentro il problema e quindi non c’è conoscenza di un oggetto che non sia anche soggettiva». Si tratta di una resa incondizionata all’opinione, al «punto di vista» personale. Se, inoltre, il soggetto è difettoso, lo diviene anche l’oggetto, il mondo, Dio, la mia esperienza nel mondo, la verità del mondo e di Dio.

Scompare la natura umana

Ben altri insegnamenti provengono dalla filosofia classica, dalla teologia cattolica e dal magistero della Chiesa. Da Platone a San Tommaso d’Aquino non si è mai insinuata la tentazione di dire che l’uomo non potesse accedere alla verità, seppure in modo imperfetto. Il trascendentale classico è ben diverso da quello moderno: è ricco di contenuti e di speranza nella capacità conoscitiva umana; pone il criterio del giudizio sul mondo oltre il cosmo; accetta l’aiuto di un Dio che si rivela e parla; non ha problemi d’individuare la reale vocazione della persona oltre la fisica, oltre il fenomeno, situando nella metafisica l’orizzonte umano proprio.

A ben vedere, l’errore di Rahner individuato da Siri – circa il soprannaturale legato alla natura umana – è forse l’ultimo da prendere in considerazione, poiché scomparsa la metafisica, scompaiono anche i contenuti relativi ai concetti di natura, di essenza e di sostanza. È ancora possibile concepire, nel pensiero rahneriano (o moderno in genere), una natura umana? Fontana dice di no: nella prospettiva del teologo tedesco «diventa difficile adoperare ancora il termine “natura”». Nella visione esistenzialista di Heidegger e di Rahner «l’uomo non ha natura» in quanto «è un essere storico». L’essere, nel tempo e nella storia, si fluidifica e ‘diviene’ senza sosta, laddove la natura classica poggia, al contrario, su una verità stabile. Con la caduta della natura, quindi, cade a ruota la legge naturale e qualsiasi discorso sulla soprannatura. Non ci sono due livelli in Rahenr (natura e soprannatura) – scrive Fontana – ma «un unico livello, quello della storia, che è insieme storia sacra e storia profana». Qua s’inserisce anche il pensiero di Hegel.

I cristiani anonimi

Inseguendo inoltre le suggestioni della teologia protestante novecentesca, il rahnerismo giunge così a prospettare una «deellenizzazione» del cristianesimo, laddove l’ellenizzazione era stato l’uso, da parte della teologia, delle categorie filosofiche greche. Non vi è più una dottrina con cui discernere il tempo presente e su cui organizzare una prassi. Viceversa, la prassi ha il primato assoluto e ogni conclusione (se mai ce ne fosse una) dovrebbe sempre seguire il divenire storico. Tutto allora è assorbito dallo storicismo: la dottrina, il dogma, l’insegnamento. Tutto diventa relativo ai tempi e ai costumi. Tutto è questionabile, interpretabile – continua Fontana. Tutto evolve: persino la Rivelazione, che si dà nell’immanenza della storia e non è mai da intendersi come conclusa.

In continuità con il protestantesimo, la fede viene privata delle categorie razionali e si pone, così, in antitesi con la ragione. Non solo: per il fatto di avere un accesso alla religione mediante il trascendentale a priori, tutti gli uomini sono accomunati nella Rivelazione, tutti sono equidistanti dalla verità. Non serve più una Chiesa che insegni e nemmeno un’opera di evangelizzazione. Secondo Rahner, tutti gli uomini – scrive Fontana – «sono cristiani, o cristiani-anonimi», ovvero «cristiani che non sanno di esserlo». Il compito del cristiano battezzato o del chierico non è più, dunque, quello di «governare, insegnare e santificare» qualcuno, ma quello di «ascoltare» e «accogliere» il non credente.

Il dogma non è più una parola definitiva

Se è ancora da verificare fino a che punto il rahnerismo abbia intaccato il tessuto della Chiesa, c’è l’evidenza di quanto le suggestioni delle nuove correnti teologiche siano coincidenti con il pensiero di Rahner. E una tale evidenza porta ad «affermare che tutte le teologie del progressismo teologico del postconcilio trovino in Karl Rahner il loro padre». C’è un unico comun denominatore dietro la priorità che molti vescovi danno all’azione pastorale, alla svalutazione del tomismo, al dialogo a tutti i costi, al primato dell’esperienza atematica, alla predilezione per il linguaggio del mondo, al concetto di concilio (o di sinodo) dove prevale l’azione del convenire sui contenuti effettivi degli incontri.

Fontana porta l’esempio del cardinale Walter Kasper, molto attivo all’ultimo Sinodo della famiglia, la cui formazione è del tutto rahneriana. Per Kasper, il moderno metodo teologico non deve più partire dai dogmi, ma deve anzi «vedere il dogma come intermedio tra la Parola di Dio e la situazione di vita della comunità cristiana». Non più un dogma «visto come qualcosa di definitivo», ma una pura espressione linguistica, che si deve piegare alla situazione reale della persona e alle mutate percezioni storiche.

La cosa che maggiormente colpisce in Ranher, tuttavia, è che «nei suoi confronti non è stata emessa nessuna condanna, nonostante i numerosi e fondamentali punti contrari alla dottrina cattolica». Giovanni XXIII lo chiamò al Concilio Vaticano II come perito. Qualcosa non torna.


Stefano Fontana, “La nuova Chiesa di Karl Rahner. Il teologo che ha insegnato ad arrendersi al mondo”, Fede & Cultura, 2017, pp. 109, euro 13,00



Karl Rahner (Friburgo in Brisgovia, 5 marzo 1904 – Innsbruck, 30 marzo 1984) è stato un gesuita e teologo tedesco, cattolico, fra i protagonisti del rinnovamento della Chiesa che portò al Concilio Vaticano II.
https://it.wikipedia.org/wiki/Karl_Rahner



Il gesuita Karl Rahner, l’eresiarca del XX secolo
Fonte web

http://www.parrocchie.it/correggio/asce ... r_2014.htm
INTRODUZIONE

Ho terminato la lettura di un libro in lingua originale, cioè l’inglese americano, intitolato A Critical Examination of the Theology of Karl Rahner, SJ, scritto dallo studioso texano Robert C. McCarthy, pubblicato nel 2001. È stato molto faticoso, perché ho dovuto usare moltissimo i vocabolari cartacei e quelli on-line, ma ne è valsa la pena. L’opera di McCarthy, purtroppo, in Italia non è mai stata pubblicata e, sicuramente, non sarà pubblicata neppure in futuro.

Secondo McCarthy, l’intelligentissimo padre gesuita Karl Rahner ad un certo punto della sua vita, cominciò letteralmente a disprezzare la “Chiesa di sempre” e la “fede di sempre”. Non credette più alla Rivelazione del Dio che si abbassa fino alla sua creatura prediletta, l’uomo. Considerò la “vecchia fede” del tutto inadeguata all’uomo moderno e si mise all’opera per “conformare” la teologia cattolica alla modernità. Rahner, in pratica, non cercò più – come invece dovrebbe fare ogni cattolico, specialmente un sacerdote – di convertire l’uomo a Dio, ma di adattare Dio all’uomo.

«Il padre Rahner ha detto che la teologia suole dare l’impressione, oggi giorno», ha spiegato un discepolo del gesuita tedesco, «di dar risposte mitologiche o almeno non scientifiche… Il teologo solo può superare questo… partendo dall’uomo e dalle sue esperienze». Rahner, dunque, non “partiva” da Dio, ma dall’uomo.

Basandosi, in questo senso, sulle “esperienze dell’uomo”, in particolare di quello moderno, Rahner scopre la sua dottrina del “soprannaturale esistenziale”. L’uomo moderno non può, né deve, considerarsi “segnato dal peccato”; anzi, deve necessariamente ritenersi buono, bravo e bello. L’uomo può smettere di credere al vecchio dogma cattolico del peccato originale. Non ha più bisogno di credere che il soprannaturale, la Grazia di Dio, siano al di sopra della natura umana. Non esiste, in realtà, il peccato originale, né i suoi nefasti effetti sulla natura dell’uomo. Esiste invece una natura umana imperfetta, la quale può, evolvendosi, diventare perfetta, se non addirittura tendere alla divinizzazione.

Rahner, partendo dalla concezione meravigliosa, senza macchia, che l’uomo moderno deve avere di sé, raggiunge rapidamente le più temibili eresie moderne, che costituiscono la base dell’apostasia contemporanea: il rifiuto del soprannaturale e la negazione del peccato originale.

Rahner, come teologo e soprattutto come sacerdote, non poteva salire senza macchia, secondo McCarthy, dopo tale assurda demolizione, delle dottrina cattolica di base. Questa è, sempre secondo l’autore texano, la spiegazione della quasi impenetrabile oscurità del più famoso gesuita del XX secolo, e della sua invenzione di strambe teorie come il “soprannaturale esistenziale” e il “cristianesimo anonimo”. In ciò che il maestro è scuro, a schiarire ci pensano i suoi discepoli. E molti discepoli di Rahner sono diventati vescovi e principi della Chiesa (Carlo Maria Martini, Karl Lehmann, Walter Kasper, Reinhard Marx, Robert Zollitsch, etc…).

Se dunque l’uomo, seguendo il pensiero rahneriano, viene al mondo non condannato dal peccato, ma solo con quell’incompletezza che tende alla perfezione, addirittura alla divinizzazione, che bisogno ha di redenzione o di un Redentore? Per Rahner l’uomo diventa perfetto, persino divino, con l’evoluzione, non con la Grazia. Gesù di Nazaret è l’uomo che più di ogni altro è riuscito a perfezionare, ad evolvere, la natura umana, divinizzandola. Per il gesuita tedesco, infatti, non è in discussione il fatto che Cristo sia Dio, anzi, ne era convintissimo. La tragedia è che, per Rahner, Gesù Cristo non è il Dio vivente fatto uomo, ma l’uomo che si è fatto Dio.

Mediante questa “dottrina gnostica” di Dio che non discende fino alla natura umana, trasfigurandola per mezzo della sua Grazia, ma dell’uomo che si “evolve”, s’impossessa della natura divina, Rahner mette assieme, in un modo molto contorto, religione e filosofia moderna (Hegel, Heidegger e Kant), ma di fatto nega e rifiuta l’Incarnazione e la Redenzione.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » lun ago 14, 2017 3:10 pm

E dei presuntuosi idolatri che scambiano il loro idolo o interpretazione del divino per Dio, cosa mai si dovrebbe dire?
In verità gli atei non negano Dio ma soltanto gli idoli delle religioni, poiché Dio non può essere né affermato (in alcun modo) né negato (in alcun modo), in quanto è a prescindere da tutto e da tutti e senza bisogno di rivelatori, incarnatori, religioni, fedi, profeti e libri. Dio non ha bisogno di essere affermato dall'uomo pertanto non ha alcun senso per l'uomo né affermarlo né negarlo ... contrariamente agli idoli che si possono affermare o negare.

https://www.facebook.com/31359959534940 ... 1449901207




https://www.facebook.com/franco.leonard ... 9828209280

Gino Quarelo
Io non sono più cristiano, essendo divenuto aidolo (credente naturale senza idoli e senza religioni), ma condivido pienamente questo boicottaggio della casta clericale cattolico romana bergogliana che viola criminalmente i nostri diritti umani e civili.

Paolo Azzano
Mi hai incuriosito! In che cosa credi esattamente?

Gino Quarelo
Paolo Azzano Prova a fare questa domanda ad una pianta, ad un filo d'erba, ad un gatto, all'aria, al sole, al cielo stellato e alla luna, ad una montagna, ad un ciottolo di torrente e all'acqua del mare e troverai da solo una risposta.

Paolo Azzano
intanto ho provato con uno dei miei gatti ma niente, non risponde. Mi rimarra' sto interrogativo per sempre, vabbe'.

Alberto Pento
Vedi che un risposta c'è ed è il silenzio che presuppone l'insensatezza o l'inutilità di una tale domanda.
E dentro questo silenzio vi è la risposta giusta alla tua domanda.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » sab dic 02, 2017 7:36 am

Diveniamo aidoli, liberiamo lo spirito dalle idolatrie religiose, dalle loro costrizioni disumane, dai loro dogmi assurdi, dalle loro liturgie riti e preghiere ossessive, dalle loro illusioni inutili e dannose, dai loro profeti invasati esaltati assassini e dai loro idoli dell'orrore e del terrore.
Liberiamo lo spirito dall'orrenda prigione delle religioni che soffocano, nascondono e inaridiscono lo spirito e la libertà umana per cui siamo stati creati.
Liberiamoci di queste ideologie religiose e delle caste parassite che le manipolano e che ci vogliono poveri e bisognosi, peccatori, servi, sudditi, pecore, schiavi e carne da macello, irresponsabili e sottomessi in tutto più delle bestie.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » mar dic 19, 2017 8:16 pm

AUGURI A TUTTI GLI ATEI, AGNOSTICI, EDONISTI, MISCREDENTI E INDIFFERENTI, CRISTIANI E NON
Angelo Belletti
15/12/2017

https://www.facebook.com/angiobelli/pos ... 5354020763

I DUE UNIVERSI INTEGRATI

A - L'Umanità che conosciamo si può dividere in due schieramenti:
1 - una parte (la maggioranza) che riconosce e crede solamente nell'Universo materiale e i suoi fenomeni, quali vengono percepiti dai cinque sensi, la vista, il tatto, l'udito, il gusto e l'odorato (le cose materiali, fisiche);
2 - l'altra parte (la minoranza) che riconosce e crede, oltre al primo, anche in un secondo Uni-verso, quello immateriale, quale viene percepito non dai sensi, ma dallo spirito umano.
I primi contestano i secondi e li considerano dei pazzi visionari e infantili, senza cervello. Perché?
Perché per i primi le cose immateriali (che possiamo chiamare anche spirituali) non esistono nella realtà (come loro la definiscono) ma solo nella mente malata e infantile dei secondi. Quindi, ciò che non è dimostrabile fisicamente non può esistere nella realtà.
Immagino che sarete d'accordo con loro, anche voi (per via della statistica).

B - Poiché io faccio parte della piccola e denigrata schiera dei visionari impazziti, senza cervello, vorrei provare sommessamente a spiegare le nostre ragioni cervellotiche.
Provo a partire da una base molto scientifica e famosissima, sulla quale troverò il consenso di tutti: "l'assunto einsteiniano" E = m c2 !!!! Dove tutti sanno che E sta per il valore dell'energia, m sta per la massa della materia fisica e c2 sta per la velocità della luce elevata alla potenza (unico dato costante e con valore numerico immenso). Cosa c'è di concreto e materiale in questa espressione? Il dato m! Gli altri due dati E e c2 sono immateriali perché sfuggono alla percezione dei sensi umani. Non si tratta però di entità spirituali, perché sono prodotte o frutto di atomi e molecole, tuttavia sono un esempio che ci permette di capire, ragionevolmente, che anche la realtà materiale possiede degli aspetti, non secondari, immateriali, come lo sono l'energia e la velocità. Ne percepiamo la loro realtà solo per i fenomeni da loro prodotti, ma non la concretezza.

C - Questo serve di esempio per dimostrare che esistono delle entità reali che sfuggono alla nostra percezione sensoriale, ma che fanno parte di una realtà globale unica ed innegabile, ragio-nevolmente obiettiva. L'energia della materia si manifesta con diversi effetti: l'elettricità (che è un flusso di elettroni invisibili), il magnetismo (che è conseguente a quello), la gravità (che è prodotta dalla materia pesante atomica), ecc.

D - Questo dimostra che esistono altre entità pure reali che sfuggono alla nostra percezione: quelle dello spirito.
C'è anche un mondo, un Universo immateriale, parallelo ma intersecante quello materiale, che non è percepito dai sensi umani, ma che ne vediamo gli effetti della sua realtà immanente. Mi riferisco ad esempio al pensiero umano. Tutti ne conosciamo gli effetti e le fantasie che sono alla base delle invenzioni umane. E' qualcosa di tanto reale quanto è immateriale. Questi miei pensieri ne sono un esempio. Non sono qualcosa di reale, di percepibile, benché immateriale? Essi si possono manifestare nel concreto attraverso il vettore della parola (parlata o scritta) e per loro mezzo essi possono addirittura sopravvivere a me stesso. Quando gli uomini non ci saranno più, essi potranno ancora produrre effetti concreti nelle persone secolari.
Ma da dove provengono i pensieri? Possono, secondo ragionevole certezza, provenire dalla ma-teria di cui io sono costituito? Gli atomi e le molecole possono secondo voi produrre dei ragiona-menti? Possono amare o odiare, possono inventare e creare pensieri e oggetti più diversi o adirarsi o pacificarsi? Un pezzo di carbone, o di ferro o di altro materiale (di cui siamo fatti anche noi) può produrre dei pensieri? Anche la scienza non lo azzarda! Non c'è nulla di tutto questo, nemmeno ipotizzabile astrattamente!
Gli sciamani ancora attivi fra i popoli
Allora da dove può venire questo fenomeno e tutti gli altri effetti dell'Universo immateriale?

E - La risposta deve venire non dagli elementi materiali dell'uomo, ma dai suoi elementi immateriali che lo costituiscono. E' dalla Vita stessa che è messa nell'uomo nell'istante della sua nascita, quando inizia a respirare, diventando così una creatura autonoma intelligente e responsabile. Anche gli animali possiedono la vita e una loro intelligenza, ma non hanno coscienza di sé come l'uomo. La vita! Quando essa se ne va dalla materia di cui è fatto il corpo, suo contenitore, questo muore e si decompone: perché? Eppure la sua composizione fisica non è assolutamente uguale a quella di prima del momento della morte? La ragione è solo questa: perché la Vita se n'è andata! Ed è questa la cosa che la scienza moderna cerca di capire non riuscendovi mai (nonostante le immense risorse economiche spese per lo scopo). Un famoso scienziato e cosmologo vivente (Stephen Hawking) fa discendere la Vita, dopo diverse casuali coincidenze fortunate di eventi sconosciuti, che iniziarono con l'atomo primordiale di idrogeno (H), di circa 5 o 6 miliardi di anni fa. Una scintilla miracolosa ha prodotto il fenomeno incomprensibile della Vita. L'attribuzione al caso, o alla fortunata coincidenza misteriosa, non sono spiegazioni degne di esseri ragionevoli e obiettivi, perché questa risposta non è dimostrabile e quindi non è scientifica!

La Bibbia invece, benché sia una fonte rifiutata dalla scienza materialistica, dice che la Vita infilata nell'involucro umano, è la fonte del mondo immateriale che abbevera lo spirito umano. Questo spirito anela alle cose che appartengono all'Universo immateriale e agli spiriti numerosi e attivi che lo popolano. Esso fornisce all'uomo tutte le capacità che la materia pura non è in grado di fornire. E' lo spirito che fornisce le risorse che gli permettono di ragionare, di parlare, comunicare, socializzare, costruire, inventare, sognare cose nuove, dalle arti, alla musica, dalla scrittura alla coltivazione, alla tecnologia moderna, ecc … Tutte le cose immateriali che lo mettono in grado di esplorare e comprendere la creazione nella quale è inserito, allo scopo di sfruttarlo al meglio per la sua sopravvivenza.

La Bibbia insegna che la Vita non è il corpo fisico in se stesso, per cui, morto questo, l'essere umano cessa di esistere ma, quando il corpo muore, la Vita continua in una dimensione im-materiale che i sensi umani non percepiscono, perché questi appartengono al primo Universo e non al secondo. Lo insegna sia in modo letterale che metaforico. Ad esempio: i due Universi sono figurati visibilmente con l'ambiente Terrestre nel quale vivono gli esseri animati (l'uomo, gli animali, gli uccelli e le piante) e con l'ambiente Marino (nel quale vivono gli esseri acquatici). Noi respiriamo aria, ma i pesci acqua. Due ambienti completamenti diversi, dove gli esseri non pos-sono comunicare fra di loro. E' la morte il solo modo per passare da una parte all'altra. Quando non esistevano i mezzi tecnologici di oggi, l'ambiente acquatico era completamente sconosciuto dagli uomini e nessuno poteva pensare alla grandezza e molteplicità delle creature che abitano nelle profondità degli abissi marini. In apparenza il mare si presentava come un vasto deserto acquatico, disabitato e informe. Ma ora sappiamo che è invece ricco di varietà di specie viventi. Esso occupa circa il 70 % del globo terracqueo e la terra emersa è dunque la meno estesa.

Da questa differenza di ambiente se ne ricava una sorprendente similitudine, molto istruttiva, per chi vuole capire e non rifiutare a priori, per diffidenza: questo modo istruttivo ce lo insegna l'apostolo Paolo, in una sua lettera (1Corinzi 11: 14 La stessa natura non vi insegna che se un uomo ha una lunga capigliatura [altri: porta la chioma; o lasciarsi crescere i capelli], ciò è per lui un disonore? ).
Come i due ambienti coesistono uno accanto all'altro, senza compenetrarsi, così sono i due Uni-versi del materiale e dell'immateriale.
L'acqua rappresenta l'Universo dell' immateriale sul quale non possono camminare gli esseri ter-restri. La terra rappresenta l'Universo del materiale nel quale non possono nuotare gli esseri ma-rini.

Gli esseri marini sono come gli angeli e gli spiriti degli uomini defunti: ci sono i buoni e i cattivi, rappresentati dal loro aspetto magnifico o repellente e dalla loro commestibilità o velenosità.
Quelli commestibili rappresentano gli angeli fedeli a Dio che hanno parlato agli uomini viventi del passato (Daniele 9: 20-22), e anche gli spiriti dei defunti fedeli suoi testimoni, i quali ci hanno la-sciato i loro pensieri a nostra disposizione, scritti nella Bibbia. Leggerli è come nutrirsi di loro. I discepoli del Signore si nutrivano di pesci commestibili (Giovanni 21:12,13 - gli scritti dei profeti) e di pane (le parole di Cristo, il pane di Vita - Giovanni 6:26-27 e 32-33). Noi che crediamo, ci nu-triamo di questi pesci e di questo pane. I mammiferi che vivono negli oceani(balene e pinguini) sono figure dei grandi uomini di fede hanno abbandonato il mondo materiale per immergersi nel mondo dello spirito. I pesci che appaiono temporaneamente nel mondo visibile sono figure degli angeli che sono apparsi agli uomini, sia i buoni che i cattivi (Luca 1:10,11 - 26 / 2:8-10 /2a Corinzi 11:13,14).
Inoltre il mare rappresenta tutti i popoli del mondo abitato dall'uomo, governati in modo malvagio da uomini prepotenti e ingiusti, che emanano leggi di loro gusto e in continuo cambiamento, odiosi e odianti gli uni gli altri. Questo perché, a loro insaputa, sopra di loro stanno spiriti malvagi che li manovrano (col permesso di Dio), come il vento agita le onde del mare (Luca 4:5-8 e Efesini 6:10-12). In più rappresenta anche le Nazioni che nutrono odio contro il popolo scelto da Dio: Israele. Questo è l'unico popolo della terra che possiede una Legge sempre uguale nei secoli, ferma e stabile, come l'immagine della terra che è assalita e percossa incessantemente dalle onde dal mare. Ma come è impossibile che questo sommerga la terra emersa, così anche le Nazioni non potranno far scomparire Israele, perché è il popolo che ha la promessa di governare il Mondo intero (il regno di Cristo che sta per venire vedi Salmo 47 / Isaia 60 e 61).

Le piante rappresentano gli uomini che abitano sulla terra (il popolo d'Israele - vedere Isaia 5:17/ Geremia 8:13 / Osea 9:10) che producono dei fiori, dei frutti e dei semi. I buoni frutti sono quei fedeli Israeliti che hanno manifestato la fedeltà in Dio con buone azioni. Il fico, la vite, il melograno sono una loro immagine simbolica evidente. La piccola, fragile erba improduttiva rappresenta quindi i loro bambini (Apocalisse 7:3 / 9:1-6).

Gli animali terrestri rappresentano gli uomini: ci sono i buoni e i cattivi, rappresentati anch'essi dal loro aspetto e dalla loro pericolosità per gli uomini. In particolare le belve feroci sono un pericolo per gli uomini credenti (Levitico 26.6 / Ezechiele 14:15 / Ia Pietro 5:8-9).

Anche gli uccelli che volano in alto sulla terra, rappresentano gli uomini che hanno pensieri che volano alto al di sopra degli altri, che sono sotto di loro, i quali si occupano solo di cose materiali, quale il mangiare e il lavorare. Essi mostrano uno spirito che si impone sugli altri uomini con il pensiero (i religiosi) e con la signoria (i regnanti). Gli uccelli carnivori sono spiriti malvagi che danneggiano gli uomini carnali. Quelli erbivori sono spiriti buoni che servono gli uomini fedeli (Genesi 7:6:12) o anche spiriti malvagi che contrastano la fede (Matteo 13:4 e 18, 19) e la dottrina di Cristo (Apocalisse 18:1-3).

I materialisti di oggi che non credono all'esistenza delle creature spirituali e del mondo dello spirito in generale, sono come gli uomini dei secoli precedenti che non potevano credere all'esistenza di quella molteplicità di strani esseri viventi, solo perché non li potevano vedere e toccare. Ma vi erano pure uomini che li vedevano e li mangiavano, perché erano capaci di pescarli.
Coloro che oggi invece credono all'esistenza degli esseri fatti di spirito immateriale, con tutti gli effetti conseguenti, sono come se avessero un mezzo subacqueo adatto all'esplorazione degli abissi e ne sono quindi certi della sua esistenza. Ne parlano agli altri, ma ricevono rifiuti e insulti.

Questo mezzo ha un nome: è la Fede! (Ebrei 11:1 Ora la Fede è certezza di cose che si spe-rano, visione di realtà che non si vedono).

F - Concludendo, la realtà vera è quella globale, che comprende sia il mondo della materia moleco-lare, quello soggetto ai nostri sensi carnali, ma anche il mondo dello spirito immateriale, quello che i nostri sensi carnali non vedono, ma che vedono il nostro occhio spirituale, che è la Fede!



Maria Franco Todaro
Chi crede solo a ciò che vede e palpa è sovente più cieco di una talpa grazie per il tuo scritto ,interessantissimo lo condivido in pieno

Gino Quarelo
Assurdità idolatre, non esiste affatto questa contrapposizione duale. Caso mai esiste la contrapposizione tra la spiritualità naturale che è universale e indipendente dalle religioni con la falsa spiritualità propria delle religioni con i loro idoli, culti, cerimonie, profeti, incarnazioni, rivelazioni, dogmi, ideologie di conquista e di morte che danno la morte o che portano alla morte per culto del vittimismo.

Iza Diana Ihnatiuc
90 minuti di applausi!

VIA, Verita' VITA
Certo, ma le religioni Non è frutto dello spirito è

Gino Quarelo
Le religioni sono spesso frutto velenoso della presunzione, della stupidità, della paura e dell'ignoranza umane. Si pensi al feticismo, al miracolismo, all'adorismo, all'evangelismo/missionarismo, al martirismo, al pregherismo, al dogmatismo, al sacramentismo, al gerarchismo/papismo/papolatria, ... all'orrore e al terrorismo sterminatore.

VIA, Verita' VITA
Tutto quel che è frutto della mente è immateriale quindi spirituale, ma i pensieri e le fantasie possono essere suggeriti dagli spiriti per ingannare e deviare dalla corretta saggezza. Dietro gli idoli numerosi jnventati dagli uomini, ieri e oggi, si nasconde il maligno. Queste sono pure le religioni: esse sono semplicemente tradizioni umane trasmesse da una generazione all'altra, spacciate come rivelazioni divine, sono invece diaboliche perché fuorvianti.


Gino Quarelo
Dire che: "Tutto quel che è frutto della mente è immateriale quindi spirituale, ..." è già una falsità e una bestemmia. La mente esiste solo nel corpo e con il corpo, è il corpo vivente stesso. Il corpo senza mente muore e la mente senza corpo non esiste.
Le rivelazioni divine delle religioni sono solo falsità. Dio non ha bisogno di rivelarsi e di rivelatori o profeti: Dio è già nel cuore di ogni creatura da sempre. Il creato e la vita sono la rivelazione divina.
I veri credenti sono quelli che credono con il cuore e per natura e non con la mente o per fede innaturale e indotta da comportamenti formalizzati e ripetitivi; anche le piante e tutti gli animali sono credenti naturali areligiosi, aidoli come me.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » mer gen 10, 2018 5:40 pm

IL SONNO IDEOLOGICO E I SUOI ABISSI
10/01/2017

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Continueremo così fino a quando ci risveglieremo traumaticamente dal nostro sonno ideologico. Marx, come è noto, sosteneva che la religione fosse l'oppio dei popoli, ma si sbagliava come in molte altre cose. L'oppio dei popoli è l'ideologia, e certo anche la religione si può trasformare in ideologia.

Il sonno ideologico da cui l'occidente è afflitto è quello che non gli permette di vedere che due più due fa quattro, che l'alto è l'opposto del basso e che il caldo non è il freddo. L'oppio ammanito alla popolazione è lo stesso di cui una certa intellighenzia fa abbondante uso. Ed è molto più efficace per narcotizzare di quello vero tratto dalle coltivazioni di papaveri.

È una mistura di terzomondismo, di politically correct, di relativismo antropologico, di mea-culpismo, di antiamericanismo, di aticapitalismo, di antiatlantismo, di decostruttivismo...che produce fantasmagorie, ibridi, mostri...

Quando la ragione dorme. Come nella celebre incisione di Goya, il grande veggente della Quinta del Sordo.

Ma veniamo al dunque. L'islam oggi è più di ogni altra cosa ciò che deve essere ad ogni costo salvaguardato dallo sguardo freddo e lucido dell'intelligenza. Lo sguardo che vede la realtà e dice la realtà.

Adaequatio rei et intellectus, e ci inchiniamo come sempre davanti al Santo Dottore.

E questa adequatio ci fa dire a chi ci dice che l'Islam è grande, grande, grande come cantava la spericolata e sublime voce di Mina-e dunque non si può fare di tutta un'erba un fascio, non dei jihadisti, non dei musulmani rigoristi, non dei sessisti propugnatori della sharia, non degli stupratori o potenziali tali, o dei maschi musulmani che devono essere in quattro a testimoniare a favore dell'attendibilità di una donna vittima di stupro se no quello che dice è privo di valore-che la maggioranza di chi non si riconosce in tutto ciò non conta nulla.

Non conta nulla quando essa è simile a un corpo inerte, al coperchio di ghisa di un tombino. Non l'abbiamo mai vista in azione contro l'ISIS, né contro il radicalismo wahabita saudita né contro quello "rivoluzionario" scita, non la vediamo né la sentiamo tutte le volte che avviene qualcosa di terribile e si scopre che chi lo commette è musulmano e non buddista. Non c'era dopo l'11 settembre a riempire le piazze di tutto il mondo, né dopo Madrid, Londra, Parigi, per non parlare della violenza quotidiana in Israele (ma Israele, si sa, è un'altra storia). E non ci sarà la prossima (purtroppo) volta.

Non c'è mai l'altro Islam, quello più grande della parte che non lo rappresenta, ma che nella testa di chi lo agisce lo rappresenta eccome. La maggioranza moderata è avvolta dal suo silenzio sterminato. E sono tanti, ma con l'eccezione di due o tre gatti non si fanno mai sentire e mai vedere.

Eppure esistono. Ma esistono davvero? O come il minotauro, l'araba fenice, le arpie, sono un parto della nostra febbricitante fantasia?

No, non incolpiamo "tutto" l'Islam né per ciò che è accaduto a Parigi, Brusseles, Londra, Berlino, Manchester, Nizza, Colonia, Barcellona. Incolpiamo quella parte del tutto che si mostra senza sosta mentre il resto, assai più cospicuo, il residuo maggioritario, come le tre proverbiali scimmie non vede, non parla, non sente.



Gino Quarelo
Marx ha usato una metafora riduttiva per quanto riguarda le religioni che a ben osservare non sono solo oppio, ma anche eroina, cocaina, anfetamina e loro miscugli; non solo inducono al sonno e all'allucinazione ma fanno compiere azioni criminali come uccidere e sterminare, immolare i propri figli e farsi uccidere per accedere a un presunto e assurdo Paradiso.
Le religioni tutte sono qualificabili come "ideologie religiose" poiché tutte sono un sistema di idee che concepiscono l'uomo in rapporto con il supposto divino (da wikipedia: L'ideologia è il complesso di credenze, opinioni, rappresentazioni, valori che orientano un determinato gruppo sociale).
L'unica religione sensata, per bene e non idolatra è la religione naturale e universale del vivere, del vivere amando e rispettando la vita in se stessi e negli altri.



Niram Ferretti
Sistema di idee non equivale a ideologia. L'ideologia in senso politico e filosofico è un sistema di idee al servizio di un obbiettivo che è quello di inquadrare la realtà in una cornice totalizzante. In questo senso ebraismo e cristianesimo, anche se il secondo più istituzionalizzato e centralizzato con il cattolicesimo, non chiudono la realtà in un perimetro angusto, ma anzi, al contrario aprono la sua prospettiva. La religione può certo diventare idolatria e ideologia ma non nella sua accezione più specifica. L'Islam è, diversamente dall'ebraismo e dal cristianesimo un sistema teopolitico in cui ideologia e religione sono intrecciate. La religione naturale, qualsiasi cosa si intenda con questo termine, perchè si può essere totalmente pagani, adorare gli alberi, i fiumi, le stelle, oppure panteisti, o panteisti razionalisti alla Spinoza, ecc. non è in senso proprio una religione ma una adesione generica a un non meglio specificato Fattore o Creatore o Spirito Intelligente, del quale, non essendosi mai rivelato non possiamo dire nulla, nemmeno se è buono o malvagio, giusto o ingiusto. Trattasi di un generico fantasma.


Gino Quarelo
In senso esteso ogni religione può essere definita "ideologia" (nello specifico ideologia religiosa che è diversa dall'ideologia politica o politico sociale ma può essere anche ideologia politico-religiosa), si tratta solo di un convenzione. Nelle religioni rivelate la rivelazione è solo un'invenzione umana, un'interpretazione umana del "divino" e perciò tali religioni sono sempre idolatre; mentre nella religione naturale la rivelazione è insita nella vita stessa è dotazione universale che accomuna tutte le creature e tutti gli uomini. Solo gli Dei possono essere buoni o cattivi, giusti o ingiusti, non certo Dio che diviene un fantasma solo quando si trasforma in idolo religioso (rivelato o meno). Le rivelazioni rivelano solo fantasmi. Nella religione naturale Dio non è un fantasma poiché non si percepisce con i sensi, ma si intuisce con il "cuore (o intuizione data dal senso complessivo o sinergico/sinestetico più l'apporto di ciò di cui non siamo del tutto consapevoli)"; nella religione naturale il bene e il male, il giusto e l'ingiusto sono discernibili non tanto in Dio o attraverso Dio ma nella vita delle creature e rispetto a loro: ciò che produce bene è bene e ciò che produce male è male, sono valori prodotti dall'esperienza.

Niram Ferretti
Lei fa una serie di affermazioni del tutto apodittiche, "Nelle religioni rivelate la rivelazioni è solo una invenzione umana", "Solo gli Dei possono essere buoni o cattivi", "Le rivelazioni rivelano solo fantasmi". Peccato che siano flatus vocis. Perchè non lo siano, lei dovrebbe dimostrare incontrovertibilmente ciò che afferma, ma siccome non può farlo, le sue sono solo opinioni e come tali vanno considerate. Quello che afferma dopo non si regge in piedi, mi perdoni. La vita delle creature ci permetterebbe di discernere il bene e il male? Sì, se un uomo ammazza un altro uomo per crearsi un vantaggio o per il piacere di uccidere è un male, se un una persona agisce altruisticamente nei confronti di un'altra persona fa del bene. E' allora? Questo non ci dice nulla su Dio o suoi suoi attribuiti o sulla sua volontà, assolutamente nulla. Un Dio che si intuisce con il cuore? Lasciare alla pura soggettività Dio lo espone al totale arbitrio umano. Anche Hitler intuiva con il cuore la volontà di Dio, così come intuiva di esserne lo strumento riguardo alla Germania e al suo destino. Il senso complessivo sinergico/sinestico ci dice un sacco di cose diverse, sicuramente nulla sulla volontà di Dio, a meno che Dio non l'abbia manifestata, ma se Dio non l'ha manifestata, allora possiamo sinergicamente, sinesteticamente, per usare il suo vocabolario, fargli dire quello che vogliamo, quello che il nostro cuore gli vuole fare dire. Il suo cuore non è sicuramente il mio, o quello di un altro. Quindi avremo tanti dei, quanti cuori ci sono. No, la natura non ci dà alcuna indicazione su come dovremmo agire moralmente. La natura è completamente indifferente alla morale, la natura è un laboratorio di creazione e distruzione costante. E' più facile cavare sangue da una rapa che la morale dalla natura.


Gino Quarelo
Caro Niram siamo fuori: il bene è tale quando è bene per tutti e non tanto quando lo è solo per qualcuno mentre per altri è male (capisco bene che vi siano delle situazioni conflittuali come quella tra Israele e i palestinesi maomettani antisraeliani, dove il bene pare non coincidere, però ....!). Nessuna religione può dimostrare che il suo idolo è Dio. Poi capisco che su questi temi e questioni potremmo questionare o discutere a lungo senza mai incontrarci, per cui a me basta quanto ho detto/scritto finora e le risposte ricevute. Non è importante, io la capisco bene e senza sforzo, provi anche lei.

Niram Ferretti
"Il bene è tale quando è bene per tutti", lo pensavano anche Mao, Stalin, Pol Pot, Hitler, con i risultati che si sono visti. Purtroppo il concetto di bene collettivo ha prodotto, soprattutto nel Novecento, spargimenti infiniti di sangue. Il tema è assai vasto. Converrà con me che Facebook non è la sede più idonea per sviscerarlo. No, nessuna religione può dimostrare Dio, così come lei non può dimostrare che si tratti di idoli. Se ne faccia serenamente una ragione.

Gino Quarelo
No no, quel "per tutti" non lo deve dire uno, ma lo devono dire tutti. Non si tratta del "bene collettivo" ma del "bene umano universale condivisibile volontariamente da tutti". Io non ho bisogno di dimostrare che sono idoli, poiché lo dimostrano già la religioni con i loro dogmi irragionevoli, le loro credenze per fede, le loro cerimonie idolatre, le loro presunzioni, arroganze e i loro conflitti interni e interreligiosi.
Io cerco solo di trovare una quadra universale che possa accomunare tutti gli uomini su un minimo condivisibile volontariamente su cui costruire pace e fraternità e la cerco a monte delle religioni. Buona cena.


Niram Ferretti
Continua a fare affermazioni che non hanno alcun sostegno argomentativo. Lei procede per affermazioni che sono dei petitio principii e pretende che siano come delle equazioni matematiche. "Il bene umano universale condisibile da tuttti" è una bella frase. Provi lei ha codificarlo e a far sì che l'umanità tutta intera vi aderisca. Quando avrà raggiunto questo obbiettivo me lo comunichi. Intanto io continuo a basarmi sui dieci comandamenti.

Gino Quarelo
Anche i X Comandamenti sono un prodotto umano e non di Dio e buona parte di loro non sono un'esclusiva ebraica ma un portato dell'umanità.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » dom gen 21, 2018 8:51 pm

In una sua intervista dell'anno scorso con con Giulio Meotti, Sergio Yitzakh Minerbi, il maggiore vaticanista israeliano, ha avuto parole di grande elogio per Benedetto XVI, oggi papa emerito, sottolineando senza giri di parole come l'attuale pontefice segni una involuzione rispetto al suo grande predecessore, riguardo all'atteggiamento nei confronti di Israele.

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Una cosa va detta, e come sempre le cose che ritengo vadano dette le dico. Non mi piace questo papa ma ho nei suoi confronti il rispetto che si deve al ruolo che ricopre. La critica, per quanto aspra, non può scadere nel dileggio.

Ritengo che Francesco sia un uomo assai scaltro al contrario di Joseph Ratzinger la cui straordinaria intelligenza era orientata a questioni massimali e interamente al servizio di una profonda vocazione per la Verità con la maiuscola. Vocazione che non gli ha mai impedito, al contrario, di confrontarsi con il mondo ebraico e con alcuni dei suoi grandi esponenti intellettuali, tra cui Jacob Neusner a cui dedica un sentito omaggio nel suo primo libro su Gesù.

Mentre il registro prioritario di Ratzinger era quello di un servizio reso ad approfondire e scavare dentro il mistero inesauribile di Dio, qui vediamo un uomo che guarda con occhio sbilanciato alle cose di questo mondo. E' un occhio troppo languido nei confronti dei fratelli arabo-palestinesi e assai meno nei confronti di quelli israeliani. Certo, qualcuno dirà, quest'occhio è quello stesso della Chiesa, e fino a un certo punto è vero. Ma un conto è l'occhio poco limpido del Vaticano, mai liberatosi realmente della propria trave, un conto è quello ideologico del suo Pastore. E i segni che ci sono stati fino ad oggi non sono buoni. Dalla foto con la mano appoggiata al Muro perimetrale di difesa che ha impedito e impedisce che in Israele proseguano gli attacchi suicidi, alla Messa celebrata a Betlemme con alle spalle un murale in cui il bambino Gesù è raffigurato con la kefiah, alla qaliifica o esortazione nei confronti di Abu Mazen di essere un angelo della pace.

Ho provato sinceramente, ma non sono proprio riuscito a liberarmi dell'impressione persistente che nell'attuale papa sia incistato il combinato disposto di pauperismo e populismo così sudamericano che trasforma automaticamente coloro che si ritengono oppressi in vittime. E non è difficile vedere chi siano per questo papa le "vittime" in Palestina.

Quanto alla scaltrezza essa sta in una troppo perfetta sintonia con lo Zeitgeist. Fino a che punto il cristianesimo può essere tale se si appiattisce sulla sensibilità del mondo e sulla sua agenda di priorità? Il mondo non va combattuto ma va tenuto a bada dicendogli anche cose assai spiacevoli da sentire. Così faceva Gesù in linea come i grandi profeti di Israele che non parlavano mai per lusingare l'orecchio dei loro ascoltatori.



Alberto Pento
Io cresciuto da cristiano cattolico romano ho risolto definitivamente il problema dell'antisemitismo cristiano, liberandomi completamente dell'ossessione idolatra cristiana. Non ho più alcuna ragione per essere antisemita e antisraeliano; anzi da quando non sono più cristiano apprezzo maggiormente sia gli ebrei che l'ebraismo e Israele.

Niram Ferretti
Ma qui si è dato appuntamento un gruppo o una setta? "Ossessione idolatra cristiana"? Cerchiamo di mantenerci calmi. Ognuno può credere o non credere in quello che vuole ma evitando affermazioni di questo tipo per rispetto di chi è cristiano. Se non si ha questo rispetto si trovano altre bacheche dove è legittimato l'insulto e il delirio. Qui non sono bene accetti. Alla prossima mente sublime che parla di idolatria, ossessione, altro e lancia scomuniche e fatwe stampo subito il biglietto di sola andata.

Antonio Melai
Purtroppo l'argomento è di quelli che attira vari tipi di persone, tra i quali ci sono anche gemme rare

Niram Ferretti
Si gemme da TSO. Ma io non la competenza medica e dopo un po' mi stufo.

Alberto Pento
Quante volte nella Bibbia, nei Vangeli, nelle prediche cristiane si dà degli idolatri ai pagani, ai politeisti, ai non ebrei e ai non cristiani? E nessuno si scandalizza. Quante volte gli ebrei e i maomettani danno degli idolatri ai cristiani?
Perché scandalizzarsi se qualcuno dà dell'idolatria alla religione cristiana e a tutte le altre religioni?
E dove mai starebbe l'insulto?
Lo stesso ebreo Cristo è stato perseguito per blasfemia (per essersi equiparato a Dio il che è affermazione idolatra) da altri ebrei e portato davanti al tribunale romano.
Chiunque abbia la pretesa o la presunzione che la sua interpretazione di Dio sia Dio stesso che è universale e di tutti gli uomini non può essere che un idolatra.
Allora a rigore dovremmo presidiare con le ambulanze tutte le chiese, le moschee e le sinagoghe pronti a intervenire con il TSO ogni volta che qualche prete, rabbino e imam dà degli idolatri agli altro religiosi o a loro è permesso?
Se non si affrontano queste questioni sia nell'ambito del dialogo intereligioso, sia in ambito civile per ridimensionare le pretese assolutiste delle religioni o di talune religioni, come si risolvono certi problemi?


Niram Ferretti
Il riferimento al TSO non è rivolto a lei nello specifico. Dare dell'idolatra a qualcuno presuppone da parte di chi usa questo appellativo la convinzione di trovarsi su un piedistallo, in una posizione di superiorità morale. Il fatto che lei faccia riferimento alla Bibbia e citi gli esempi che cita non cambia nulla. Sono certo che un uomo della levatura intellettuale di Ratzinger non le darebbe dell'idolatra, o l'appellerebbe in modo spregiativo, ma lei darebbe dell'idolatra a Ratzinger evidentemente ritenendosi su un piano di superiorità teologica e di conoscenza religiosa. In merito a quello che ha scritto, "Chiunque abbia la pretesa...ecc", le risulta che su relativamente a Dio si possa prescindere dalle affermazioni umane?". Curioso. Ho sempre pensato che, attenendomi al racconto biblico, a cui si attiene anche Ratzinger, Dio avesse parlato per bocca dei profeti. Dunque per lei sarebbero idolatri anche gli ebrei, visto che l'ebraismo si basa tutto sulla parola rivelata e sulle affermazioni fatte sopra questa parola. Sì, Dio è universale e di tutti gli uomini. E' quanto affermano ebraismo e cristianesimo all'unisono. Forse le è sfuggito il messaggio.

Alberto Pento
Se non si affrontano queste questioni sia nell'ambito del dialogo intereligioso, sia in ambito civile per ridimensionare le pretese assolutiste delle religioni o di talune religioni, come si risolvono certi problemi?

Niram Ferretti
Lei confonde la certezza della Rivelazione con l'assolutismo. Errore concettuale grave. La fede non si impone. Si accoglie. La militarizzazione della religione è totalmente estrinseca al suo messaggio. Lei, come tutti, è libero di ascoltare, accogliere o rifiutare. Nessuno le impone nulla. Sia sereno.

Alberto Pento
Sull'ossessione religiosa poi basta digitare su google e appaiono innumerevoli pagine a riguardo. I cosidetti fantatismi o integralismi o fondamentalismi religiosi cosa sono se non ossessioni.

Niram Ferretti
Lei parla di derive. Di patologie. Una religione non si giudica sulla base delle sue deviazioni, ma sulla base del suo messaggio. Il fanatsimo è una turbe psichica. Non è necessario digitare google per saperlo. Lo si sapeva anche prima.

Alberto Pento
Le fedi nel passato venivano imposte e quella maomettana viene imposta a tutt'oggi. La certezza della Rivelazione è solo una questione di credenza o fede e per me è del tutto irragionevole. Certo non vado a disturbare le cerimonie religiose, ci mancherebbe, però in ambito civile e al di fuori delle cermonie religiose e dei luoghi religiosi mi permetto di esprimere il mio pensiero critico. Io non uccido i religiosi e i diversamente religiosi o credenti, mi limito a dir loro che la loro credenza è idolatria. Qua mi sembra che in tanti abbiate preso la stessa cantonata di Bergoglio sulla strage di Charlie Hebdo. La hanno sparato con il mitra qua con il TSO.

Niram Ferretti
Non so a cosa lei si riferisce quando parla di cantonate. Lei è libero di non credere o di credere. Il fatto che nel passato le fedi venissero imposte non pregiudica minimamente la verità del loro contenuto. Se io le impongo di imparare le tabelline e lei non vuole, ciò non significa che esse siano false. Lei confonde verità con coercizione. Una cosa può essere vera e imposta oppure falsa e non imposta. Per dire a qualcuno che è un idolatra lei dovrebbe essere in grado di dimostrare che lo è. Cosa che temo, senza offesa per le sue dotazioni intellettuali, non le è possibile. Si accontenti di pensarla come crede senza affibbiare agli altri patenti di sanità mentale, sia gentile.

Alberto Pento
A proposito di patenti Niram l'ha scritto lei: Si gemme da TSO. Ma io non la competenza medica e dopo un po' mi stufo.
Gentile Niram la cantonata di Bergoglio è stata quella di giustificare la strage evocando l'offesa alla mamma che merita un pugno.


Niram Ferretti
Le ho già scritto che il riferimento al TSO non era a lei. Poi, mi perdoni, ma tutti i suoi interventi sono completamente non attinenti al mio post, che si basa su un confronto tra due papi. Ho invece dovuto leggere sue personali osservazioni sull'idolatria, sulle ossessioni (poi dice a me che dò delle patenti: il toro che dà del cornuto all'asino ) ecc. che nessuno le ha richiesto e il cui interesse per me è molto scarso. Credo che sia giunto il momento di concludere. Io ho altro da fare e sono sicuro anche lei. Buona serata.


Religione e religiosità come ossessione, come grave malattia, grave disturbo della mente e dell'anima o psico-emotivo
viewtopic.php?f=141&t=2527
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » gio mar 01, 2018 6:59 am

Negare Dio? Vuol dire affermarlo
21/01/2018

http://www.nicolaporro.it/negare-dio-vu ... affermarlo

Dario Antiseri è un infaticabile divulgatore. Scrive evidentemente alla velocità della luce e ogni volta ci stupisce. Credere, ripubblicato da Armando Editore, ha una bella e nuova prefazione che val la pena leggere.

Il tema è quello della religione, o meglio di Dio: della sua inevitabile esistenza, diciamo così. «Ma se è scomparsa la grande filosofia rimane e risorge senza sosta, irreprimibile, la grande domanda: perché l’essere piuttosto che il nulla?».

Si tratta di una domanda filosofica, a cui non può che darsi una risposta religiosa.

Antiseri cita Wittgenstein: «Pensare al senso della vita significa pregare. Il senso della vita possiamo chiamarlo Dio».

L’autore affronta in una veloce carrellata i tanti filosofi che della questione del credere e dell’ateismo, sua negazione religiosa, si sono succeduti. Molto bella l’interpretazione di Luigi Pereyson del pensiero filosofico di Pascal; un po’ più complessa, almeno per noi non addetti ai lavori, la teorizzazione dell’angoscia di Kierkegaard: ma non c’è da preoccuparsi il testo è chiaro e non per iniziati.

La fede è sempre un salto, ma il paradosso è che la medesima capriola la si deve compiere per giustificare il proprio ateismo. «L’ateismo non è una teoria scientifica: quale prova è disponibile per poter sostenere che il tutto-della-realtà è rigorosamente e convincentemente riducibile a quella realtà di cui parla e può parlare la scienza?».

E forse in maniera più chiara, Antiseri scrive: «E se è vero che la fede conduce al mistero di un Dio creatore, l’ateo non si trova anche lui davanti al fatto misterioso di un grumo di materia originario da cui si sviluppa la storia dell’universo?».

Insomma negare Dio in una qualche maniera vuole dire affermarlo, o comunque prenderlo in considerazione. E soprattutto affidare a «un grumo di materia» l’evoluzione del tutto, dove oggi ci troviamo noi, in fondo non vuol dire proprio affermare l’esistenza di Dio?

Questo si chiedono i filosofi credenti e Antiseri, tra loro. «La realtà è che la teoria evolutiva della vita non solo non cancella il problema religioso ma lo fa emergere».

Molto interessante infine, e questa è proprio materia del nostro autore, il rapporto tra scienze positive e religione.

La citazione di Max Scheler è fenomenale: «Bisogna innanzitutto farla finita con l’errore molto condiviso che la scienza positiva (e il suo movimento progressivo) abbia mai potuto e mai possa, fintantoché essa rimane nei suoi limiti essenziali, torcere un sol capello alla religione». Infatti «ciò che fa tremare una religione non è mai la scienza ma l’inaridirsi e il morire della sua fede stessa».

C’è infine una breve risposta di Norberto Bobbio che pone un dubbio (parola peraltro da cui parte tutto il libello) e si chiede: «E se quell’essere infallibile di cui non possiamo e non dobbiamo dire alcunché fosse al di là del bene e del male, indifferente a ciò che per noi uomini e per qualsiasi altro essere vivente è bene o male».

Insomma Bobbio risponde sul campo dei fenomeni, degli accidenti e non della sostanza. E se Dio, retoricamente si chiede il filosofo torinese, fosse indifferente a noi? Beh non toglierebbe, direbbe Antiseri, la sua immanenza.

Per prendere un po’ di respiro: poi possiamo ritornare alla campagna elettorale, alle foto di Melissa Satta, alla flat tax e alla Bongiorno candidata con Salvini.

Nicola Porro, “Il Giornale” 21 2018


Alberto Pento
L'ateo in realtà è un aidolo poiché a ben guardare non intende negare ciò che non può conoscere e che va oltre la sua comprensione come dovrebbe essere Dio il Creatore dell'Universo; ciò che l'ateo nega è la divinità delle religioni, l'interpretazione di Dio delle varie religioni che costituisce gli Dèi o Idoli delle fedi religiose ed è ciò che l'ateo intende negare e non altro.
Se Dio è aldilà di tutto e la sua evidenza sta nella grandezza incomprensibile, inspiegabile, inafferrabile per l'uomo, come causa prima, sintetica e ultima di tutto, allora non ha alcun senso per l'uomo affermare o negare Dio;
ha senso invece per l'uomo affermare o negare l'arbitraria interpretazione divina delle religioni, ossia gli Dèi o idoli che sono retti esclusivamente dalla fede, dalla credenza nella rivelazione.
Dio o lo spirito universale se dote naturale non rivelata, non ha bisogno di alcun credo, di alcuna fede e pertanto non avrebbe alcun senso negarlo.

La questione è mal posta. Si capisce meglio come dovrebbe essere se si considera Dio come qualcosa di diverso dalle divinità delle religioni che dovrebbero essere considerate più Dèi o Idioli che Dio. Se le cose si pongono in questi termini l'ateo non avrebbe alcun senso poiché Dio è indipendentemente dall'uomo e sarebbe evidente come il sole per cui il negarlo da parte dell'uomo non avrebbe alcun senso. Ciò che invece ha senso è il negare che gli Dèi o Idoli delle religioni ossia le divinità inventate dall'uomo siano Dio, allora in questo caso l'ateo diverrebbe aidolo. Dio inventato dall'uomo è in realtà un idolo e perciò può essere giustamente negato, mentre Dio non inventato dall'uomo ma creatore dell'uomo non puo essere negato dall'uomo.




Vittorio Messori | Meglio l’ateismo?
12 ottobre 2001

http://www.vittoriomessori.it/blog/2014 ... o-lateismo

A partire dall’ 11 settembre, una colata impressionante di parole ha tracimato (e tracima) da giornali e canali televisivi. Tra gli infiniti commenti non sono mancati quelli di atei, che hanno riproposto, compiaciuti, la loro negazione : “Ve l’avevamo detto: avete visto a che portano le religioni, tutte, non soltanto quella islamica?”. Particolarmente virulento l’intervento del Premio Nobel portoghese, Josè Saramago . Esplicita la chiusa del suo articolo-invettiva: “Non mancano allo spirito umano i nemici, ma la credenza in Dio, in qualunque Dio, è uno dei più corrosivi”.

In verità, buona parte del ragionamento di Saramago si basava su un lapsus clamoroso, per un signore insignito del più prestigioso riconoscimento culturale del mondo. In effetti, una frase celeberrima (“Se Dio non esiste, tutto è permesso”) invece che a un cristiano tetragono come Dostoevskij, è stata erroneamente attribuita al profeta della morte di Dio, Nietzsche. In questo modo, il discorso del Nobel lusitano appariva un po’ grottesco, tutto costruito su un presupposto sbagliato.

Un infortunio significativo. Ma sarebbe impietoso prenderlo a pretesto per consigliare allo scrittore ottuagenario, ancor cocciutamente marxista, un miglior controllo delle sue fonti e per ignorare del tutto la sua requisitoria, dove stanno espressioni come questa: “Le religioni -tutte, senza eccezione- non serviranno mai per riconciliare gli uomini. Al contrario, sono state e saranno causa di sofferenze inenarrabili, di stragi, di mostruose violenze fisiche e spirituali. Sono uno dei più tenebrosi capitoli della storia umana”. Da qui, la sua riproposta di un “ateismo liberatore”.

Parole grosse; ma che possono avere, va riconosciuto, una qualche giustificazione. Naturalmente, purché si precisi subito che le “religioni” non sono tutte eguali e che c’è pur qualche differenza tra la liturgia dello scannamento in massa dei giovani sugli altari-piramide degli Aztechi e la liturgia eucaristica su un altare cattolico; tra l’ismailita Veglio della Montagna, capo degli Assassini, e un Francesco d’Assisi; tra Bin Laden e papa Giovanni. Questo ribadito, converrà confrontarsi, più che su disquisizioni teoriche, sulle lezioni della storia: che cos’è successo quando si è cercato di estirpare la “religione” dalla società e dal cuore degli uomini ? Si è spalancato davvero il regno della pace, della mitezza, della fraternità, della convivenza giusta e serena? I fatti, in verità, mostrano che è avvenuto giusto il contrario, nelle due principali occasioni in cui, per stare all’Europa, si è cercato di imporre la prospettiva ateistica che ancora oggi qualcuno propone come panacea.

Passarono oltre 14 secoli dopo Costantino prima che uno Stato intero (e il più ricco e prestigioso, allora, dell’intero Occidente) si proponesse l’obiettivo della sparizione stessa della fede in Gesù come Cristo, come Messia. Come ha dimostrato Jean Dumont, il grande storico recentemente scomparso, in quel suo libro implacabile che è Les prodiges du sacrilège, la campagna di scristianizzazione condotta con il Terrore dalla Rivoluzione Francese non fu un episodio tra i tanti, bensì la rivelazione della sua intenzione profonda e primaria. Quella, appunto, di farla finita innanzitutto con il cattolicesimo ma anche con ogni religione “rivelata” (accanto al culto cattolico furono impediti, sotto pena di morte, anche quelli protestante ed ebraico) per passare a un culto tutto umano, in nome della Ragione. I conti di quel tentativo sono stati fatti da uno storico americano, Donald Greer: nei due soli anni tra 1792 e 1793 le vittime della Rivoluzione furono molte volte superiori a quelli di tutte le Inquisizioni durante cinque secoli. I decapitati con sentenza regolare furono quasi 20.000, mentre almeno altrettanti furono uccisi senza processo, linciati, stroncati dagli stenti nelle prigioni. E sarebbe deluso chi volesse giustificare quella frenesia di sangue attribuendola a una comprensibile collera popolare troppo a lungo repressa. In effetti, tra quelle 40.000 vittime, l’84 per cento apparteneva al Terzo Stato: piccoli borghesi, operai, contadini.
Un altro storico, Reynald Sécher ha fatto i tragici conti della Vandea, insorta in nome della fede dei suoi padri: su un territorio di soli 10.000 chilometri quadrati, 120.000 massacrati, (il 35 per cento della popolazione), 30.000 case demolite sistematicamente su 50.000, le fonti avvelenate, le piante tagliate, per togliere ai superstiti ogni possibilità di ripresa. E, qui pure, non ci si consoli rinviando agli orrori purtroppo consueti in ogni guerra: ordine esplicito dei giacobini di Parigi (atei e non deisti, come spesso si pretende) non era solo quello di vincere in battaglia ma di procedere, a freddo, al genocidio, massacrando prima le donne feconde perché non generassero altri “maledetti credenti nelle superstizioni religiose”. Con la pelle di quelle donne, più morbida, si conciarono guanti per gli ufficiali, mentre con la pelle degli uomini si tentò la fabbricazione di stivali. Dalla bollitura dei cadaveri scuoiati si ricavò grasso per le armi e sapone per l’armata. E, in mancanza di camere a gas, ogni notte, per mesi, si procedette al piano sistematico delle noyades: i preti con tutti i loro parrocchiani superstiti chiusi in cassoni e affondati in mezzo alla Loira.

Ma, in fondo, frutto ancor più velenoso di quel primo tentativo (europeo ma , a ben pensarci, mondiale) di sradicare ogni trascendenza, fu quanto sintetizzò Karl Barth, il teologo protestante, con la constatazione famosa: “Quando il Cielo si vuota di Dio, la terra si popola di idoli”. Uno di quegli idoli, il nazionalismo (sconosciuto alla tradizione cristiana) devasterà tutto l’Ottocento e finirà con l’esplodere in tutta la sua virulenza in quella che fu detta, per antonomasia, Grande Guerra e che non fu che prologo all’altra. Tra gli idoli ideologici scatenatisi nel vuoto religioso, spiccherà quel marxismo che, giunto nel 1917 al potere, riprende, amplia, se possibile radicalizza l’opera ateistica del giacobinismo alla francese. Mai, nella storia, si vide un tentativo così sanguinario e sistematico per trasferire le tracce anacronistiche di ogni “religione” nelle sale del Museo dell‘Ateismo di Leningrado. Dal 1989, i risultati sono sotto gli occhi di tutti e si rischia il banale e lo scontato nel ricordare ancora una volta il bilancio disastroso. Come è stato osservato, il tentativo di proclamare la morte di Dio ha provocato, all’Est, la morte dell’uomo: e non soltanto quella fisica, della allucinante catasta di 100 milioni di vittime. Ma anche la morte morale, togliendo alle masse il gusto del lavoro, il senso della dignità, il rispetto per l’etica, la tensione verso il futuro, la pratica della solidarietà. Per fare un caso solo: l’Albania “democratica” fu il primo –e unico– esempio nella storia di Stato che proclamasse l’inesistenza di Dio sin dalla Costituzione. Al nostro, forse retorico, comunque innocuo “l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro”, faceva riscontro il loro primo articolo: “L’Albania è una repubblica popolare fondata sull’ateismo”. Le carrette rugginose sullo stretto di Otranto ci dicono con eloquenza a che abbiano portato quelle “fondamenta”.

Lo ripetiamo: c’è religione e religione; non ogni concetto del divino è, sempre e comunque, accettabile. C’è anche una religiosità inquietante, ci sono fedi oscure. Non siamo affatto tra gli ecumenisti dall’abbraccio facile, per cui ogni Scrittura sacra, ogni Dio valgono l’altro. Anzi, rispondiamo solo per la nostra, di “religione”. Almeno quanto a questa, la storia parla chiaro: i tentativi di sradicarla iniziati nel 1789 a Parigi e nel 1917 a Pietroburgo, hanno portato all’inverso di quanto ancora crede, o finge di credere, qualche apostolo dell’ateismo come soluzione dei mali dell’uomo.

L'articolo di Vittorio Messori "Meglio l’ateismo?"
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal

Messaggioda Berto » gio mar 01, 2018 6:59 am

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Lettera di un agnostico ai religiosi del “Libro”
2018/02/27

http://www.opinione.it/societa/2018/02/ ... tico-libro

O illuminati da Dio, che per misericordia ha voluto rivelarsi a voi. O beati, giusti, credenti, che avete ricevuto la fede nell’Altissimo. O fortunati, che invocate l’Onnipotente nella sua e nella vostra lingua. O benedetti dal Signore, che è unico per ciascuno di voi. Se amate lo stesso Dio dell’amore, perché non esortate i vostri capi a convocare un congresso per concertare il meglio delle religioni dei vostri “Libri”? Se Dio vi ama e voi lo amate, non dovreste forse amarvi l’un l’altro? Abbandonate la presunzione che vi fa credere, contro ragione, che un Dio sia più Dio d’ogni altro Dio. Se Dio è tutto, nel creato c’è spazio per uno solo. Poiché per voi ogni vostro Dio è il tutto, Dio non può che essere unico, perché il tutto o è o non è. Voi siete a perfetta conoscenza che nel “Libro” di ciascun Dio la sostanza contraddice molto dell’accidente: fu distratto Dio o lo scrivano, l’annunciatore, il messaggero? Se il Papa, il Gran Muftì, il Rabbino Capo, la Guida Suprema si riunissero per deliberare in veste di giudici definitivi ed inappellabili ciò che accomuna le loro fedi, concluderebbero immancabilmente che i loro templi posseggono il medesimo sancta sanctorum. Il cuore umano che batte per Dio costituisce il comune antemurale del porto della salvezza, sicuro riparo dalle onde del male agitate da Satana.

Se Dio è il protettore dell’uomo, un altro Dio può farsene il persecutore? Il vostro sommo consesso raggiungerebbe subito l’unanimità sull’essenziale della vera unica fede, sfrondando i “Libri” dalla caducità delle glorie e delle infamie della storia, dall’orpello dei riti, dagli accidenti della naturale umanità. Se deponeste l’albagia, che vi fa considerare fondamentali le differenze mentre l’essenziale sembra apparirvi accessorio; se praticaste a fatti quell’umiltà che magnificate nelle implorazioni; se apriste ad ogni altro Dio l’anima che avete spalancata all’Eterno, trovereste umano il divino in voi e naturale considerare ogni fede. L’origine dei “Libri” e le tradizioni derivate non dovrebbero ostacolare il riconoscimento della semplice verità che, provenendo essi da Dio, sono il dono dello stesso unico Dio. Poteva il Misericordioso dettare all’essere umano tre “Libri” che si contrappongono anziché integrarsi; che si condannano l’un l’altro invece di accettarsi reciprocamente; che escludono la vicendevole sacralità? Se Dio ha parlato in tre lingue diverse, deve averlo fatto per farsi intendere da tre popoli diversi, non potendo, per la sua unicità, rivelarsi come alternativo.

La forma della Rivelazione non può smentire l’unità del Rivelato. La fede può contrastare la ragione che Dio vi ha elargito in quanto esseri umani? È la ragione che vi fa credenti. È la ragione che vi fa aver fede nell’unico e solo Creatore. È la ragione che vi conferisce l’essenza dell’umanità e la consapevolezza della fede. È la ragione, pertanto, che deve accomunarvi nell’unico vostro Dio. Non è Dio che vi ha diviso. Siete voi che (per fede!) lo avete diviso. Perché date tanta importanza alle forme di preghiera e considerate una profanazione pregare nel tempio altrui o edificarlo accanto al vostro? Forse Dio sta nelle cerimonie devozionali e negli edifici sacri? Se non ricavate alcun merito dall’aver ricevuto la vostra fede, perché considerate un demerito l’averne ricevuta un’altra? Perché biasimate, fino all’odiarlo, chi fa ciò che fate voi, e cioè contemplare Iddio, ma da un’altra angolatura?

Voi considerate infedele chi non crede nel vostro Dio. Però Dio vi considera tutti suoi fedeli allo stesso modo. Non dovreste fare altrettanto, essendo alla pari agli occhi del Padre? E se Dio dettasse un quarto “Libro”, che sostituisse i vostri, che fareste? Accusereste Dio stesso di blasfemia? La vostra gara ad essere primi ad ogni costo è la vera bestemmia, se per Domineddio sul traguardo tutti sono vincitori. Purgate i “Libri” da ciò che deve essere purgato perché in coscienza, nel profondo dell’animo vostro, soprattutto a voi deve apparire poco umano e meno divino. Rivolgendo la mente e il cuore solo al Signore, i credenti possono facilmente salire insieme, sotto braccio, la scala della fede. Scansarne anche i pioli scivolosi e malfermi sarebbe facile, guardando in alto all’unico Dio, piuttosto che in basso agli altri fedeli. Purtroppo il Male esiste. I “Libri” dovrebbero servire a contenerlo, se non scongiurarlo. Dio può aver mai dettato i “Libri” per aggiungere mali al Male? Se predicate la sacralità dei vostri “Libri”, perché ve ne servite per odiarvi e perseguitarvi? Perché li adottate come codici per condannare e li brandite come armi per giustiziare? Se il sommo Bene è nei “Libri”, non potete estrarne il Male, che non può consistere nel semplice disamore del “Libro” che invece voi adorate. Indifferenza, ignoranza, immodestia sono le tre nemiche dei fedeli del “Libro”. La prima fa disinteressare ognuno degli altri. La seconda impedisce la conoscenza reciproca. La terza li rende ostili tra loro, perché ciascuno identifica il supremo Bene nel suo Dio e il Male peggiore nel Dio dell’altro. Così stabilite un’assurda e pagana graduatoria della Divinità, come nel politeismo dove gli Dei non sono affatto uguali, in ogni senso. Per voi i “Libri” sono messi al mondo da Dio; per altri, dal Tempo. Ma il Tempo non è forse pur’esso del Signore? E nel vostro adorare e deificare un oggetto siete sicuri di non sfiorare il materialismo che aborrite? Vi ancorate alla Tradizione perché ancorata al “Libro” nell’intento di restare ancorati a Dio. Una catena che, invece di unirvi, vi divide più ancora dei “Libri” perché essa è frutto dell’azione umana dei fedeli, di tutti i fedeli: dei primi come degli ultimi.

Dovreste lasciare la tradizione nelle mani degli storici, non metterla nelle mani dei contemporanei affinché vi attingano come alla fonte attuale della fede. Se i vostri capi redigessero una silloge con i migliori precetti di ciascun “Libro” e la suggerissero ai fedeli come guida alla conoscenza, le distanze sarebbero accorciate senza cadere nel sincretismo. Il florilegio con la scelta delle opere e dei passi esemplari dei “Libri” sarebbe il più grande contributo pacificatore che potreste dare all’universalità dei fedeli, mostrando loro quanto li unisce nella diversità e quanto li differenzia nell’unità. Questa antologia, per il semplice fatto di mettere assieme, fisicamente, nello stesso volume, il meglio estratto dai “Libri”, mostrerebbe che la pacifica convivenza tra i fedeli non solo è un possibile bene concreto, ma anche un lodevole dovere morale perché la fede di tutti ha la stessa radice religiosa. L’autorità dei capi e il loro accordo sul libro siffatto ne avallerebbero la qualità, la bontà, l’utilità davanti ai fedeli, che ne sarebbero invogliati alla lettura e, c’è da crederlo, stimolati ad aprirsi verso gli altri fedeli. La fede, quando non è indotta dall’insegnamento in tenera età, dall’ambiente familiare, dalla cultura sociale, oppure determinata dalla folgorazione divina, dipende dalla lettura di testi che fanno germogliare nella mente i più disparati pensieri in ordine a Dio. Se questo vostro “Libro dei Libri” circolasse nelle case, nelle scuole e nelle biblioteche; se potesse essere letto non invece ma in aggiunta a ciascun “Libro”; se potesse essere considerato un complemento vitale della formazione personale, non toglierebbe nulla alla fede di chi crede. Instillerebbe e fortificherebbe in lui la virtù facendogli scorgere la luce anche nel buio, come l’animale notturno che vede nelle tenebre.

Sia, dunque, il libro una summa del bene sparso negli altri “Libri”. Lasci fuori qualunque precetto diverso dal legame di fede. Rivolga i comandamenti contro il Male. Ammaestri sulla sostanza, non sulla forma dell’umano vivere. Serva a farvi conoscere come Dio conosce voi. Ammorbidisca i cuori che la fede possa aver indurito. Un libro siffatto è oggi una possibilità; domani sarà una necessità. La globalizzazione porta la vita a convergere. E farà riflettere sulle specificità e gli arcaismi dei vostri “Libri”. Ciascuno di voi crede di avere dalla sua l’eternità, mentre l’eternità, se davvero appartenesse agli umani, sarebbe di tutti e di un Dio soltanto. Quindi due eternità non possono esistere. Senza accorgervene, state andando tutti nella stessa direzione. I vostri “Libri”, insieme, hanno tremila anni. Né più né meno dei politeismi e dei paganesimi passati. Iniziate, dunque, a compilare in amicizia il “Libro dei Libri”. Santificatelo come pegno comune di fede nell’umanità. Guardate avanti dove Dio indica, non indietro dove apparve.
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