Falbe credense, łi abuxivi e łi uxurpadori de Dio

Re: Falbe credense, łi abuxivi e łi uxurpadori de Dio

Messaggioda Berto » ven ago 14, 2015 11:31 am

Sixara ha scritto:
Berto ha scritto:Xe par sto fato ke li ebrei li me sta senpateghi, parké li xe ancora drio sercar coel ke financo no li gnancora catà!

Ah sì, i è ncora lì ke i 'zerca, a te pòi dirlo, e ke i spèta ca rìva el so mésia o l epoca mesianica de la reden'zion.
Aa ma elora te ghe vè drento na sinagoga o gnanca cuea?


Sixara mi Dio lo porto entel cor, cofà tute le creadure e no go cogno de ndar ente coalke cexa o sinagoga. A dir el ver a olte me toca, co ghè coalke founeral, ma ghe vago par la conpagnia dei òmani pì ke par catar Dio.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Falbe credense, łi abuxivi e łi uxurpadori de Dio

Messaggioda Berto » lun ott 05, 2015 10:11 pm

Carta ogneversal dei diriti rełijoxi e spirituałi
viewtopic.php?f=24&t=1788

Universal Charter of spiritual and religious rights - Carta Universale dei diritti spirituali e religiosi
https://www.facebook.com/Universal-Char ... 0521202715


Mi el Cristo de ła conta dei vanxełi e de ła so łexenda storega, ło aprèso de pì come omo par ła so omanedà, ke come dio-idoło.
El Cristo divinixà, come dio-idoło mi no ło aprèso par gnente, gnanca na scianta, nol me dixe purpio gnente, lè na ensemensa granda.
El far de l'omo Cristo on dio-idoło no ghe serve a ła so grandesa omàna, ansi ła ło xmegnoła e al memo ła depresà Dio ke lè aldelà d eogni mistero e kel vien ridoto a na creadura omàna
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Re: Falbe credense, łi abuxivi e łi uxurpadori de Dio

Messaggioda Berto » mer nov 04, 2015 7:45 pm

Cristo senza dottrina né verità
Ridotti a sans papiers della chiesa, ricordiamo che il cardinale Biffi ha ricordato: “Gesù talvolta è un pretesto per parlare d’altro”. Una pastorale dell’intimo, senza mediazione razionale del dogma? No
di Redazione | 22 Ottobre 2013
http://www.ilfoglio.it/articoli/2013/10 ... e_c192.htm

Povera bisnonna Antonia, che ha passato una vita fatta di pateravegloria, rosari, messe alle cinque di mattina, segni di croce a ogni santella, catechismo imparato a memoria e precetti morali da praticare scrupolosamente e insegnare con zelo. Povera bisnonna Antonia, e poveri i suoi ottantaquattro anni trascorsi a “dire preghiere” e a osservare “prescrizioni” nella speranza di abbracciare un giorno Gesù, a cui dava del Voi, come usavano le generazioni perbene. Povera bisnonna Antonia e povera la sua fede che, non fosse per il candore ingenuo e inerme delle vecchine di campagna, oggi potrebbe essere presa per una cristiana ideologica, moralistica, farisaica, senza cuore. Eppure, quella donnina sempre vestita di nero che parlava solo dialetto e un latino tutto suo, aveva mostrato quanto amore per Dio e per gli uomini sgorghi da una vita passata a “dire preghiere”. Al marito, che in punto di morte le chiedeva perdono per quante gliene aveva fatte e lei aveva sopportato nel silenzio e nella pazienza, la povera bisnonna Antonia aveva risposto di non avere paura, “quando sarete di là, vedrete quanto bene avranno fatto le preghiere che vostra moglie ha detto per voi”.
La durezza dell’omelia di Santa Marta in cui Papa Francesco stigmatizza una fede che passa “per un alambicco e diventa ideologia” e in cui giudica le coscienze di chi, oggi, si ostina a vivere un cristianesimo come quello dei suoi vecchi, finisce per travolgere il passato che continua a vivere nel presente. Risulta difficile ipotizzare che il bersaglio non sia quel sentire tradizionale a cui si intende impedire di diventare un movimento capace di aggregare uomini e idee. Lo ha felicemente spiegato la gioiosa macchina da guerra degli ermeneuti del giorno dopo. Ma lo aveva inequivocabilmente anticipato il Papa stesso, nell’intervista a Civiltà Cattolica, fulminando un “uso ideologico” del rito tradizionale riportato in onore da Benedetto XVI, uno “specialista del Logos” ormai archiviato dagli ermeneuti del suo successore.
Anche se parla delle ideologie di ogni segno, è chiaro a chi miri Papa Bergoglio dicendo: “Quando un cristiano diventa discepolo dell’ideologia, ha perso la fede: non è più discepolo di Gesù, è discepolo di questo atteggiamento di pensiero (…). E per questo Gesù dice loro: ‘Voi avete portato via la chiave della conoscenza’. La conoscenza di Gesù è trasformata in una conoscenza ideologica e anche moralistica, perché questi chiudevano la porta con tante prescrizioni”.
Non passa omelia, non passa intervista, non passa bagno di folla in cui il Papa non scrolli le spalle davanti a una fede che si oggettivizza nel rigoroso rapporto con la ragione. “Nomina nuda tenemus”, sembra questo il messaggio di Francesco, lo stesso del francescano Gugliemo di Occam di cui Umberto Eco produsse un gradevole bigino con “Il nome della rosa”. La fede non cerca più un intelletto che ritiene inabile a conoscere veramente, produttore di oggettivazioni che rischiano di divenire un ostacolo all’incontro con Cristo. Come se ci si trovasse in una zona di rimozione forzata dei precetti permeabili all’intelligenza, un vicolo cieco nel quale non amava sostare un cristiano innamorato della ragione come Gilbert Keith Chesterton: “Per quanto un uomo può essere orgoglioso di una religione fondata sull’umiltà, io sono molto orgoglioso della mia religione. Sono particolarmente orgoglioso di quelle sue parti che sono molto comunemente chiamate superstizioni. Sono fiero di essere stato nutrito da dogmi antiquati ed essere schiavo di una fede morta, come i miei amici giornalisti ripetono con tanta insistenza, perché so benissimo che sono le eresie ad essere morte e che soltanto il dogma razionale vive abbastanza a lungo da essere chiamato antiquato”.
Ma dove non c’è ragione c’è contraddizione e risulta difficile mettere al riparo le idee, e chi le sostiene, dall’aggressione che si sostituisce all’argomentazione. Chi critica errori dottrinali, confusioni, silenzi sui grandi temi della teologia e della morale, viene marchiato come un derelitto senza fede, un fariseo che non prega, un ipocrita che non crede in Cristo e lo usa per alimentare un’ideologia. E’ la “nuova chiesa della misericordia”, bellezza. E’ la chiesa che proclama di accogliere tutti e di non volere giudicare nessuno, ma che si mostra senza pietà per i suoi figli innamorati e insieme perplessi. Adotta schemi politici cari al Novecento, secondo cui il positivismo giuridico si mangia la verità e la legge naturale. Se fra l’intuizione di Dio e la vita quotidiana viene tolto di mezzo l’apparato razionale che contraddistingue l’uomo, il potere finisce per autolegittimarsi a prescindere da ciò che dice e che fa. Jean Bodin e Niccolò Machiavelli lo avevano ben spiegato.
La strumentalizzazione del Nazareno per altri scopi, va detto, è un problema antico. Il cardinale Giacomo Biffi ha denunciato tempo fa che “Gesù è diventato un pretesto che i cristiani usano per parlare d’altro”. Ma è da decenni che questo “altro” è rappresentato da ecologismo, promozione della legalità, ecumenismo mediatico, lotta alle narcomafie, protezione della foresta amazzonica e altre amenità. A tutto discapito della dottrina morale, della bioetica, del rigore liturgico e dottrinale. Con il rischio di trovarsi al cospetto di un Cristo senza dottrina e senza verità, un personaggio buono per tutte le stagioni, un contenitore da riempire con quanto desideri ogni consumatore della religione fai da te.
Un simile fenomeno non è giustificabile in nome della cosiddetta pastoralità. Perché non può esistere pastorale che non sia preceduta dalla dottrina, a meno che non se la sia divorata e non sia divenuta dottrina essa stessa finendo per mortificare il robusto rapporto con la ragione e la legge naturale. Per duemila anni la Chiesa ha difeso la vera fede dall’eresia: a spada tratta, con impegno assoluto e a prezzo del sangue. Papi e cardinali, teologi e religiosi sapevano bene come una tesi eterodossa fosse la peggior malattia che potesse minacciare il Corpo Mistico. “La Chiesa e le eresie”, dice il magnifico duellante cattolico inventato da Chesterton nel romanzo, “La sfera e la croce” “hanno sempre combattuto sulle parole perché sono le uniche cose per le quali valga la pena di battersi”.
Da ciò si ricava quanto sia sorprendente e irrazionale, perché estraneo alla storia della chiesa, che oggi chi solleva domande e obiezioni dottrinali sia tacciato di essere rigido, moralista, eticista, senza bontà. Un’accusa che, a ben guardare, potrebbe essere trasferita su papi del recente passato. Paolo VI, nel 1968, scrive l’enciclica “Humanae vitae” per ribadire la condanna morale della contraccezione: un rigido eticista senza bontà. Giovanni Paolo II redige nel 1995 una summa della bioetica nella “Evangelium Vitae”: ma così facendo dimostra di insistere su tesi dure e difficili, che allontanano invece che avvicinare gli uomini alla chiesa. Benedetto XVI spiega al Bundestag, in un memorabile discorso, che quando le leggi civili contraddicono la legge naturale, non sono più leggi ma solo simulacri cui si deve disobbedienza: un intollerante che chiude la porta della chiesa in faccia allo stato laico e se ne va con la chiave in tasca.
Ma l’artificio dialettico che trasforma quanti vogliono difendere la dottrina cattolica in farisei spietati, privi di un cuore che palpita per il Cristo ferito e crocifisso, è debole. Gesù non invita i farisei ad andarsene perché professano una fede sbagliata, ma a essere i primi a osservare la legge. Mentre qui pare proprio che l’obiettivo finale, oltre il giudizio temerario sull’intimità della coscienza, sia il principio stesso, ritenuto un ostacolo al dialogo col mondo. Invece, fede e ragione, legge e carità possono solo stare insieme o si dissolvono entrambe: nell’irrazionalità di un fideismo luteraneggiante o nel gelo di un razionalismo volterriano, che oggi vanno volentieri a braccetto verso il nulla.
Portato nel perimetro della chiesa, tutto questo produce un cattolicesimo senza dottrina, emotivo, empatico, pneumatico. Si sarebbe tentati di dire alla Enzo Bianchi, se persino lui non fosse stato oscurato dalla stella mediatica di Papa Bergoglio. Parafrasando Zygmunt Bauman, ciò segna la nascita di un cattolicesimo liquido, che diguazza nelle zone grigie evocate da Carlo Maria Martini. Una religione che, nell’incapacità di dare risposte, impone con prepotenza dubbi e domande e partorisce un cattolicesimo che “sa di non sapere”, di gusto prearistotelico. Qui dentro si trovano le coordinate dell’incontro con il mondo moderno da cui escono plotoni di cattolici che non credono nel credo perché non lo conoscono, ma accorrono festanti in piazza San Pietro o a Copacabana.
Scriveva il cardinale Ratzinger che la fede in Cristo e il mettersi alla sua sequela dentro una visione morale rigorosa, esigente e seria, sono la stessa cosa: non si oppongono, ma l’una non è possibile senza l’altra e, proprio per questo richiedono rigore, fatica, ascesi. Al contrario, una volta varato il cattolicesimo liquido, la vita diventa più facile per tutti, dal confessore al penitente: un assessore e un commercialista, un ginecologo e un politico possono discettare di tangenti, di aborto e di tasse concludendo con l’unica consolante morale di non fare i moralisti.
Così, finisce la significanza del cattolicesimo come fatto anche civile, politico, pubblico. Il diritto, che nel Novecento ha galoppato tenuto per le briglie da Hans Kelsen e dal suo positivismo, si affranca definitivamente da qualsiasi influsso razionale del cattolicesimo. Se a Cristo si giunge senza preambula fidei, senza argomentazioni apologetiche, senza le cinque vie di san Tommaso, fra mondo moderno e chiesa l’incomunicabilità è totale. Si dissolve l’idea di regalità sociale di Cristo, che il calendario liturgico riformato si è affrettato a relegare nel dimenticatoio dell’ultima domenica del tempo ordinario, mentre in quello precedente era collocata nel mese dedicato alle missioni. Evapora persino la più modesta prospettiva di uno stato pluralista ma rispettoso della legge naturale, nel quale tutte le religioni sono tollerate, ma uccidere l’innocente non nato o ammalato è delitto per tutti.
Eppure, è questo il panorama evocato quando un Papa duetta con la stampa volterriana convenendo che: “Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene”. E poi, richiesto di precisare la sua lezione sull’autonomia della coscienza precisa: “E qui lo ripeto. Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo”. Ma la coscienza non può essere una guida arbitraria e bizzosa, senza alcun riferimento alla verità. Non si può parlare di verità come relazione invece che come assoluto, quando la legge naturale si fonda proprio su degli assoluti morali, cioè l’esistenza di atti che sono sempre e comunque intrinsecamente malvagi. La verità per il cattolico è Cristo stesso: via, verità, e vita. Vladimir Solov’ev chiude i suoi “Fondamenti spirituali della vita” con un capitolo sull’immagine di Cristo come verifica della coscienza in cui spiega che: “Il compito finale della morale individuale e sociale consiste nel fatto che Cristo sia formato in tutti e in tutto. (…) Si può non uccidere mai, non rubare, non infrangere nessuna legge criminale ed essere tuttavia disperatamente lontani dal regno di Dio”.
La coscienza non è uno strumento infallibile, può sbagliare. E quando è erronea, il soggetto agente è normalmente colpevole poiché, di solito, non ha fatto tutto il possibile per formarsi correttamente e riconoscere l’errore. La coscienza erronea diventa argomento di esclusione della colpa del soggetto solo quando l’errore è invincibile: questa condizione può, forse, riguardare un indigeno della Papuasia, ma difficilmente si può riferire a uomini nati cresciuti e vissuti a contatto con la Chiesa, con l’annuncio del Vangelo, con la sua dottrina, come è il caso dell’intervistatore volterriano cresciuto dai gesuiti. Secondo la dottrina cattolica è dovere dei pastori formare le coscienze, insegnando a chiunque la verità tutta intera. Se invece la nascondono per “giustificare con l’ignoranza” il singolo che pecca, si assumono una grave responsabilità: lo spiegava con forza lo “specialista del Logos” Joseph Ratzinger in un libro del 1997, “Cielo e Terra”.
Per quanto siano estemporanee le omelie di Papa Francesco, si sbaglierebbe a non riconoscere una coerenza del pensiero che esprimono. C’è un solido legame tra l’esaltazione della coscienza, l’enfasi su un cristianesimo a scarso tasso dottrinale e quanto dice sulla preghiera. “La chiave che apre la porta alla fede è la preghiera” ha spiegato nell’omelia dedicata ai cristiani ideologici. “Quando un cristiano non prega, succede questo. E la sua testimonianza è una testimonianza superba… è un superbo, è un orgoglioso, è un sicuro di se stesso. Non è umile. Cerca la propria promozione… Quando un cristiano prega, non si allontana dalla fede, parla con Gesù… Dico pregare, non dico dire preghiere, perché questi dottori della legge dicevano tante preghiere… Una cosa è pregare e un’altra cosa è dire preghiere… Questi non pregano, abbandonano la fede e la trasformano in ideologia moralistica, casuistica, senza Gesù”.
Una fede ipodottrinale, risolta in un semplice incontro, finisce per vedere nell’aspetto formale della chiesa un ostacolo al proprio manifestarsi. E sarebbe difficile dimostrare che Papa Bergoglio, fin dalla sera della sua elezione, non abbia mostrato con le parole e i fatti la sua avversione alla forma e alla formalità. Da qui scende la contrapposizione tra il “dire preghiere” e il “pregare”, che è ben più di un calembour perché mette in discussione l’armonia tra lex orandi e lex credendi. “Dire preghiere” è sempre stato un pregare con la chiesa, tanto per la vecchina con il rosario in mano, quanto per il cardinale Newman o un monaco di clausura. Ognuno per la sua parte e la sua competenza, ma tutti insieme, membri dello stesso Corpo Mistico, come in coro, senza sapere l’uno dell’altro ma sicuri di essere lì insieme, nello stesso momento, a pregare nello stesso modo come vuole la lex orandi e a confessare la stessa fede, come vuole la lex credendi.
Ma serve disciplina, serve l’ascesi che l’attuale Pontefice salta a piè pari volgendosi subito alla mistica. “Colui che smette di pregare con regolarità” scrive il cardinale Newman in un sermone sulla preghiera del 1829 “perde il mezzo principale per ricordarsi che la vita spirituale è obbedienza al Legislatore, non un semplice sentimento o gusto”. E poi ancora, nel 1835, dice che chi “desidera portare nel suo cuore la presenza di Cristo deve solo ‘lodare Dio’ e far sì che le parole del santo salterio di Davide le siano familiari, un servizio quotidiano, sempre ripetute e tuttavia sempre nuove e sempre sacre. Preghi e soprattutto permetta l’intercessione. Non dubiti del fatto che la forza della fede e della preghiera agisce su tutte le cose con Dio”.
Suona impietoso il giudizio di chi disprezza il “dire preghiere” senza immaginare che, in fondo a quelle formule di cui nessuno può mutare uno iota, c’è chi vede le piaghe di Cristo e magari arriva a toccarle e baciarle. In quelle parole considerate pietre d’inciampo a una fede autentica, è invece racchiusa una sapienza che apre al senso più profondo degli attimi terribili che ogni creatura dovrà vivere fin sulla soglia dell’ultimo respiro. Sono ritmi celesti che incantano l’anima e la strappano al mondo e la nutrono con quell’anticipo di vita soprannaturale che è la cerimonia. “Penso di poter parlare a nome di molti altri convertiti” scriveva Chesterton “quando dico che l’unica cosa che può suscitare in qualche modo nostalgia o rimpianto romantico, un vago sentore di mancanza per la propria casa in uno che la casa l’ha trovata veramente, è il ritmo della prosa di Cranmer”. Il “Libro delle Preghiere comuni” anglicano del XVI secolo aveva ancora una musicalità tale da essere una sirena. “La ragione” continuava il convertito inglese “può essere riportata in una frase: ha stile, tradizione, religiosità; venne redatto da cattolici rinnegati. E’ efficace, ma non in quanto primo libro protestante, bensì in quanto ultimo libro cattolico”.
I cattolici della Cornovaglia e del Devon si fecero massacrare, pur di non accettare il “Book of Common prayer”. Mette i brividi il solo pensare come li possa giudicare il pensiero dominante della chiesa di oggi, dove viene celebrata la messa su un messale che somiglia da vicino a quello di Cranmer. Forse “cultori di format ideologici in versione cristiana”, come quei bigotti mendicanti di tradizione ridotti a clandestini dal cattolicesimo della tenerezza, come i sans-papiers de l’Eglise.
Gnocchi e Palmaro Questo Papa non ci piace - Orgoglioso lamento cattolico - Ferrara I nuovi eretici - La coscienza di due cristiani liberi - Scandroglio Come criticare il Papa senza essere eretici - Minopoli Ognuno ha “la sua idea di bene”? Da liberale, dico no a Bergoglio
di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro



Come criticare il Papa senza essere eretici
di Redazione | 17 Ottobre 2013
http://www.ilfoglio.it/articoli/2013/10 ... e_c395.htm
Il Papa, qualsiasi Papa non solo l’attuale, deve essere sempre ascoltato senza batter ciglio oppure può essere criticato? Proviamo a verificare cosa dice sul punto la chiesa. La congregazione per la Dottrina della fede nel 1998 elaborò una “Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della Professio fidei”, a firma dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, che delimitava i campi e le modalità attraverso cui l’infallibilità petrina si esprime. Solo in alcuni ambiti e unicamente nell’osservanza di precise condizioni è impegnata l’infallibilità del Sommo Pontefice e dunque i relativi asserti sono assolutamente vincolanti per tutti i cattolici e non criticabili perché in tali assunti non ci può essere nascosto nessun errore dottrinale. Va da sé che al di fuori di queste materie e condizioni il Papa non è infallibile e dunque può sbagliare. Ad esempio ciò che dice un Papa in un’intervista non impegna la sua infallibilità. Ciò naturalmente non significa che tutto quello che ha detto sia opinabile.
Ma laddove il Papa non è infallibile può essere criticato? In altri termini: il fedele ha un diritto di critica? Il Catechismo della chiesa cattolica impone obbedienza al Papa perché seguendo la sua volontà si aderisce a quella di Dio. Ma laddove questa volontà fosse in conflitto con quella divina, l’auctoritas pontificia verrebbe meno, perché ogni potestas – insegna Tommaso D’Aquino – riceve validità dall’ossequio al bene. La suprema legge nella chiesa, si legge nel codice di Diritto canonico, è la salus animarum e il primo balsamo per le anime è la verità a cui è sottomesso lo stesso Vicario di Cristo. Quindi sì obbedienza, ma non papolatria. Infatti il codice di Diritto canonico al n. 212 chiede ai fedeli da una parte obbedienza ai pastori e dall’altra riconosce a loro il diritto di esprimere delle riserve “su ciò che riguarda il bene della chiesa”. Nulla di nuovo sotto il sole. San Paolo criticò Pietro, primo Papa della storia, in merito all’obbligo da parte dei convertiti di sottoporsi al giudaismo: “Quando Cefa venne ad Antiochia mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto” (Gal. 2,11). Il problema sta nel fatto che Paolo riprendeva Pietro per un aspetto pastorale e invece le recenti critiche mosse a Papa Francesco sono anche e soprattutto di carattere dottrinale.
Da qui una seconda domanda: accertato che esiste un diritto alla critica esiste anche un dovere di critica? Anche in questo caso facciamo parlare i documenti della chiesa. Sempre il codice di Diritto canonico al numero già citato afferma che i fedeli possono e devono in alcuni casi manifestare le loro perplessità “salvo restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità delle persone”, o per dirla con il n. 37 della Lumen Gentium, “con verità, fortezza e prudenza, con rispetto e carità verso coloro che, per ragione del loro sacro ufficio, rappresentano Cristo”. Il n. 62 della Gaudium et spes poi indica un atteggiamento di umiltà nel manifestare la propria opinione. Se si tratta infine di coloro che si dedicano alla studio delle scienze sacre il n. 218 del Codice richiede prudenza nell’esprimere il proprio pensiero. In questi passi si rinviene, per chi vuole essere fedele alla chiesa sino in fondo e pienamente cattolico, il criterio per comprendere quale sia lo spazio di manovra del cattolico dubbioso delle parole del Papa. Se io mi sento in dovere di criticare il Pontefice, magari anche a ragion veduta perché noto delle divergenze tra ciò che lui afferma e ciò che invece dichiara il Magistero (esclusiva unità di misura della verità per il cattolico), e lo faccio con il fine di avvalorare la verità, di illuminare i dubbiosi, di far chiarezza sulla dottrina ma poi, nelle circostanze concrete, a queste utilità si sommano altri effetti di carattere negativo come la mancanza di rispetto verso la figura del Santo Padre perché ci si pone di fronte a lui come il più bravo della classe, l’aumento di confusione tra le fila dei cattolici e il disorientamento dei semplici, forse è bene desistere dall’intento censorio proprio a motivo del fatto che le conseguenze negative annullerebbero quelle positive. Mai si deve fare il male, ma a volte è necessario astenersi dal bene per un bene maggiore.
Come non escludere ad esempio che il fronte laicista-relativista approfitti di queste critiche per sostenere che nemmeno il Papa è più credibile dato che ce lo confermano i cattolici stessi? Che il Papa può essere portato sotto processo da tutti dal momento che lo fanno pure i suoi fedeli più osservanti? Che l’importanza del Papa è ormai deteriorata e dunque il suo ruolo ecclesiale deve essere rivisto? Che nemmeno i cattolici si trovano più d’accordo su quale sia la verità dogmatica da seguire?
A tutto ciò si obietterà che anche di fronte a un simile rischio di scandalo è sempre doveroso e preferibile annunciare la verità. Ma se le modalità di annuncio per paradosso danneggiassero la verità stessa? Il rimedio non sarebbe peggiore del male? Non si otterrebbe operando così proprio l’effetto opposto a quello desiderato? Faremmo davvero un bel servizio alla verità? Allora forse la strada è quella della ripresentazione dei contenuti di fede e di morale contenuti nel Magistero ma usando la virtù della prudenza che indica gli strumenti più efficaci per raggiungere lo scopo prefissato. E’ quindi un problema che attiene alle modalità di critica più che al merito della critica stessa. Non è questione di etichetta, bensì concerne il miglior modo di servire la verità.
di Tommaso Scandroglio
Matzuzzi "Il Papa che demitizza il Papa", parla Faggioli - Volpi Appunti scientifici su come dialogare da Papa con gli atei
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Re: Falbe credense, łi abuxivi e łi uxurpadori de Dio

Messaggioda Berto » gio nov 26, 2015 8:27 am

Il politeismo religioso e il monoteismo religioso non sono altro che i due aspetti storici e apparentemente contrastanti dell'idolatria e se il politeismo religioso è pura tradizione pagana, il monoteismo religioso entra a pieno titolo in questa tradizione idolatra che è umanissima e universale.
Ciò che distingue l'idolo o falso dio delle varie religioni dal dio vero e universale è la sua trasformazione da entità che è aldilà di ogni mistero e di ogni sacralità in una entità misteriosa e sacra cioè conoscibile e manipolabile dagli uomini o da una minima parte iniziatica e castuale di loro.

La rivelazione divina delle varie religioni è proprio il momento e il luogo in cui avviene questa trasformazione idolatra del divino.
Nessuna rivelazione sfugge a questa paradossalità.
Ed è in questa assurdità idolatra che nascono i dogmi religiosi e la stessa violenza religiosa per imporli e difenderli.
Dare una definizione, un volto, una immagine, una voce a Dio o Divinità è trasformare questa entità indefinibile e universale in un idolo e questa trasformazione sta alla base ed è l'inizio di ogni religione o ideologia o dottrina religiosa.

Tutte le religioni "rivelate" contengono un peccato mortale che le rende problematiche e pericolose; è il peccato mortale e blasfemo di presunzione nel ritenere la loro interpretazione di Dio Dio stesso e ciò è pura idolatria pagana. Tutte le religioni, sopratutto quelle dette monoteistiche sono paganesimo idolatra e fonte di contrasti e di conflitti insanabili, specialmente quelle che hanno a loro radice la violenza e il terrore.
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Re: Falbe credense, łi abuxivi e łi uxurpadori de Dio

Messaggioda Berto » mer gen 27, 2016 10:17 pm

" L'uomo è per costituzione un animale religioso”

( EDMUND BURKE, Reflection on the Revolution in France)

http://apologetica.altervista.org/libri ... dere16.htm


1. È un dato di fatto che nel mondo esistono tante religioni. Può capitare che quanti si avvicinano a Dio restino sconcertati di fronte alle innumerevoli credenze, alla varietà di riti, alla diversità di convinzioni che riguardano Dio.

2. Naturalmente, il Cattolico sa bene che il Cristianesimo è una Religione rivelata da Dio e per questo motivo è la sola Religione vera. Ma conosce questa Rivelazione perché egli dà fiducia alla Chiesa e alla Parola di Dio, alla Bibbia. Non è così invece la posizione di quanti credono in Dio ma non sono cristiani. Per questi ultimi la Bibbia e la Chiesa non hanno la stessa autorità di cui godono presso i Cattolici.

3. L'esistenza di numerose religioni è un fatto comprensibile. Gli uomini hanno sempre cercato di conoscere Dio, di rispettarne la volontà e soprattutto di rendergli un culto. Nel fare questo, hanno commesso errori, talvolta molto evidenti, che la stessa ragione umana può mettere in luce. L'esistenza di numerose credenze religiose è dovuta proprio a questi errori.

4. In questo capitolo ci proponiamo di gettare uno sguardo, molto superficiale, sui motivi di credibilità del Cristianesimo in rapporto alle altre religioni. Siamo convinti che sia possibile, dopo quanto detto nei capitoli precedenti, cogliere la ragionevolezza del Cristianesimo anche attraverso l'evidenziare gli errori delle altre credenze.

5. Siamo debitori, per una buona parte di questo capitolo, delle informazioni ricavate dalla serie di video-cassette apologetiche, pubblitata dall'editrice Mimep-Docete, specialmente da quella intitolata "La vera religione"



L'uomo religioso

6. È un dato ormai accertato che l'uomo è sempre stato un essere religioso. Mircea Eliade, uno dei massimi, se non il più grande, storico delle religioni della nostra epoca, scriveva che "Essere uomo significa essere religioso" e a quanti gli domandavano perché gli uomini sono religiosi rispondeva "Gli uomini sono religiosi perché sono intelligenti" (MIRCEA ELIADE, Storia delle credenze e delle idee religiose, Firenze 1983, vol. I, pag. 6).

7. Da quando l'uomo è apparso sulla terra, egli è sempre stato un essere religioso. La storia dei popoli ci insegna che, fino al XVIII secolo, tutte le civiltà, tutte le culture, tutte le convinzioni ed il pensiero umano - tranne in rari e singoli casi - erano innervate di profonda religiosità.

8. L'antropologia culturale, quella disciplina che studia le caratteri­stiche culturali dei vari gruppi umani, conferma il dato che abbiamo sopra indicato. Jean Servier, etnologo di fama mondiale, scrive: "L'idea di un Dio unico, eterno, increato, padrone della vita, origine e termine dell'avventura umana, è presente in tutte le civiltà umane" (JEAN SER­VIER, L'uomo e l'invisibile, Rusconi, Milano 1973, p. 121).

9. Questo dato della moderna antropologia culturale era già conosciuto ai tempi di Aristotele (384-322 a.C.), nella cui opera "De coelo et mondo" noi possiamo leggere: "Tuttigli uomini hanno la convinzione che esistonogli déi" (I, 3, 270b, 5-6).

10. È bene sapere, come ha detto il filosofo Henri Bergson, che sono esistite nel passato - e si possono trovare ancora oggi - società o gruppi umani che non hanno né scienza, né arte e nemmeno filosofia. Ma non è mai esistita alcuna società che non avesse una sua religione, cioè un rapporto con il Divino" (H. BERGSON, Les deux sources de la morale et de la religion, PUF, Paris 1995, p. 105).

11. Sono affermazioni supportate da dati ormai pacificamente accettati dalla paleoantropologia e dall'antropologia culturale. In Crimea, sul Monte Carmelo in Israele, in Uzbekistan sono state trovate molte tombe che risalgono a 50/100.000 anni prima di Cristo. Siamo nell'epoca dell'Uomo di Neandertal, quando non esisteva alcuna forma di scrittura. Siamo, pertanto, in piena preistoria.

12. Jean Servier ha studiato queste tombe e ci ha detto che presso i popoli preistorici "non vi è mai stato un sotterramento frettoloso di una carogna ingombrante oppure di una carcassa inutile". A quei tempi l'uomo credeva già ad una forma di sopravvivenza dopo la morte, dunque possedeva una credenza tipicamente religiosa.

13. Recentemente, in Australia, sono state scoperte tracce di uomini vissuti 170.000 anni fa. Sono state ritrovate migliaia di piccole incisioni su una roccia a sud-ovest di Darwin. Gli studiosi sono convinti che avessero uno scopo di culto, cioè religioso. Ma sono stati trovati anche grani di ocra rossa, usata da tutti gli uomini preistorici per pitture rituali, segno di credenze religiose, che ritraggono i corpi dei defunti.

14. Non solo il mondo della preistoria, ma anche quello della sto­ria è pieno di segni e di tracce della religiosità dell'uomo. Templi, monu­menti, resti sepolcrali per giungere, attraverso millenni, fino alle nostre splendide cattedrali. Il mondo è colmo di opere che mostrano la profonda religiosità dell'essere umano.

15. L'ateismo, come fenomeno sociale, nasce soltanto 200 anni fa, con la Rivoluzione francese. Resta un fenomeno tipico dell'epoca moderna e pare sia già in declino nel mondo post-moderno, dove sta nascendo una nuova religiosità. È bene che un cattolico, impegnato nell'opera di evangelizzazione, sappia che la negazione di Dio è un dato relativamente recente, non è affatto naturale e scontato nella storia del genere umano, essendo l'uomo, al contrario, un essere strutturalmente religioso.


Religione di Dio e religioni dell'uomo

16. Molti affermano che la nostra sia una società multiculturale e multireligiosa. Oggi è sempre più facile incontrare uomini che si dichiarano religiosi ma non sono cristiani. Anche nei confronti di queste per­sone il cattolico deve svolgere opera di evangelizzazione, deve trovare i modi di far conoscere, apprezzare ed amare Gesù Cristo e la sua Chiesa.

17. Come possiamo identificare la vera Religione servendoci solo di argomenti razionali, dettati dalla ragione umana? Possiamo percorrere ben tre strade, come suggerisce la video-cassetta della Mimep-Docete:

- la prima: la vera Religione non deve insegnare cose che siano evidentemente contrarie alla ragione umana, perché la ragione umana è dono di Dio e non può contrastare con la vera Fede in Dio;

- la seconda: ogni religione ha un suo fondatore. Bene, il fondatore della vera Religione dovrà mostrare una assoluta coerenza tra le sue idee e la santità della sua vita;

- la terza: quella Religione che presenta costantemente segni miracolosi, certamente attribuibili a Dio come prova della sua esistenza e della verità della Fede, è la vera Religione.

18. La prima prova razionale per dimostrare che una religione deriva da Dio è la sua conformità con la retta ragione umana. Infatti, la ragione umana e la vera Religione non possono essere tra loro in con­traddizione, perché discendono entrambe dallo stesso ed unico Dio.

19. Buddismo, Taoismo e Confucianesimo non credono all'esistenza di Dio creatore del mondo. Ma nei capitoli precedenti abbiamo visto come la ragione umana, anche senza l'ausilio della Rivelazione e della Chiesa, è in grado di dimostrare l'esistenza di Dio. Abbiamo osservato come la ragione umana, esaminando il creato, cercando la causa della sua esistenza, del suo ordine e del suo finalismo, scopre l'esistenza di una Causa prima, che è anche Ordinatore e Finalizzatore Intelligente di tutto l'universo. Scopre l'esistenza di Dio.

20. Ora, Buddismo, Taoismo e Confucianesimo negano proprio l'esistenza di Dio e, anche se comunemente vengono considerate religioni, risulta palese che nulla hanno a che fare con il vero Dio, che peral­tro esse stesse negano.

21. La dottrina dell'Induismo, nel corso della sua storia, ha avuto un certo sviluppo. In origine essa proponeva l'esistenza di 33 divinità, poi passò a identificare Dio con il mondo materiale per giungere, ai nostri giorni, a proporre ancora innumerevoli divinità tra le quali emer­gono Brahma, Visnu e Siva.

22. Ora, noi non entriamo nel merito della religione induista, ma ci basta osservare che la ragione umana scopre l'esistenza di un solo Dio, di una sola Causa prima; ne consegue che proporre l'esistenza di innumerevoli divinità è del tutto contrario alla ragione, che è dono di Dio. Dunque, l'Induismo non è religione che viene da Dio.

23. Lo Shintoismo, la religione dei giapponesi, considera come divinità, come se fosse Dio, ogni elemento della natura. Il sole è dio, il mare è dio, la foresta è dio, il vulcano Fusjyama è dio, e così via.

24. Alla domanda sulla esistenza di Dio, lo Shintoismo risponde affermando l'esistenza di innumerevoli divinità. Dunque, siamo ben lontani dalle scoperte della ragione umana che, come ricordato sopra, sco­pre l'esistenza di una sola Causa prima, di un solo Dio.

25. Ebraismo ed Islam, al contrario delle religioni sopra indicate, credono all'esistenza di un solo Dio personale, creatore e signore dell'universo, distinto dall'universo creato; e in questo concordano con il Cri­stianesimo. E tutte e tre queste credenze non contrastano, per quanto concerne questo punto, con l'umana ragione.

26. La seconda prova razionale per dimostrare che una religione deriva da Dio si concentra sulla persona del suo fondatore.

27. Qui ci pare di poter dire che la figura di Gesù di Nazareth non teme alcun rivale. Dopo aver dimostrato, nei capitoli precedenti, la storicità dei Vangeli, possiamo sostenere con buone ragioni che le opere compiute dal Cristo non hanno eguali, ne dimostrano veramente la sua unicità e la sua autentica divinità. E questo è un punto decisivo per la credibilità del Cristianesimo come vera religione, come unica religione voluta da Dio.

28. Nessun fondatore di altre religioni ha compiuto opere simili a quelle del Cristo e nessun altro fondatore ha osato definirsi, come ha fatto Gesù Cristo, Dio, pari a Dio.

29. Si aggiunga, per fare un primo confronto, che Maometto, fondatore dell'Islam, durante il corso della sua vita ebbe riguardo a Dio idee piuttosto confuse. Prima, in giovane età, era idolatra e politeista, poi, verso i quarant'anni, influenzato dall'Ebraismo, divenne monoteista.

30. Il Corano, libro sacro per l'Islam, contenente le rivelazioni che Maometto dichiarava di aver ricevuto da Dio attraverso l'Angelo Gabriele, accanto al ricordo dei grandi personaggi biblici tratti soprat­tutto dall'Antico Testamento, ha anche un contenuto che non è franca­mente condivisibile da una retta ragione umana.

31. Maometto, che avrebbe dettato il Corano, faceva scrivere nella IV Sura, il capitolo dedicato alle donne, che un uomo non solo può scambiare una moglie con un'altra (4,20), ma può perfino picchiare e cacciare la sua sposa (4,34). Ora, anche qui, data la dichiarata superficia­lità del nostro lavoro, non entriamo nel merito, non indaghiamo le ragioni di queste dichiarazioni. Ma ci sia soltanto consentito di dire che non si può ammettere che Dio abbia insegnato a picchiare le mogli, a scambiarle, a sposarne quattro (4,3). Ci domandiamo lecitamente se il Corano sia stato davvero dettato da Dio o non piuttosto elaborato da Maometto?

32. Inoltre Maometto non ebbe proprio una vita esemplarmente coerente. Mentre imponeva ai suoi correligionari di non sposare più di quattro mogli, egli ne sposò ben 11 e con 9 di quelle convisse fino alla morte. Per sposare Zàynab, moglie di un suo figlio adottivo, pensò bene di costringerla a divorziare da quest'ultimo. Inoltre, in vita sua, Maometto commise molti atti di violenza, razzie a carovane con uccisioni e vio­lenze. Davvero niente a che fare con la santità di vita del Cristo storico.

33. Per quanto concerne Budda, Lao Tzu (il suo Libro della vita e della virtù diede origine al Taoismo) e Confucio, stando alla tradizione, si narra che furono uomini di non comune virtù. Ma i dati storici in nostro possesso sono molto scarsi. Per esempio, alcuni studiosi ritengono che Lao Tzu sia una figura leggendaria.

34. In ogni caso, nessuno di essi ha mai osato definirsi Dio, come invece ha fatto Gesù Cristo e nessuno di essi ha compiuto opere che so­no nemmeno lontanamente paragonabili alle opere del Cristo.

35. Circa la coerenza di vita di Gesù di Nazareth, qui non spen­diamo nemmeno una parola. I Vangeli, documenti storici attendibili, ci riportano quanto è necessario per conoscere da vicino chi era Gesù Cri­sto e alla loro lettura dobbiamo rimandare.

36. La terza prova razionale per dimostrare che una religione deri­va da Dio si concentra sui miracoli. San Tommaso insegna che un miracolo "è ciò che è compiuto da Dio fuori dell'ordine di tutta la natura crea­ta" (S. Theol. I, 110, 4).

37. Ora, miracoli veri e propri sono presenti soltanto nella religione ebraica (nell'Antico Testamento ve ne sono diversi) e nel Cristianesimo.

38. Ma l'Ebraismo, rifiutando il contenuto dei Vangeli e la divinità di Gesù Cristo, rifiuta quella credibilità del Cristianesimo che ci è sem­brata dimostrabile, come abbiamo visto nei capitoli precedenti. L'Ebrai­smo è dunque una religione rivelata da Dio, ma gli Ebrei hanno rifiutato ciò che lo stesso loro Dio ha rivelato in seguito, attraverso Gesù di Nazareth.

39. I miracoli sono invece assenti nelle religioni dell'estremo oriente. Camminare sui carboni accesi senza bruciarsi, sedersi su tappeti di chiodi appuntiti senza farsi male, far apparire o sparire oggetti, gesti che molti ritengono miracolosi, in realtà non sono altro che opere "prodigiose", ma che l'uomo può compiere purché sia allenato, addestrato, perché ne ha il potere. Non sono dunque opera di Dio, ma di fachiri, di guru e di chiunque abbia voglia di imparare a compierle.



Conclusione

40. Il tema che abbiamo affrontato in quest'ultimo capitolo meriterebbe ben altro approfondimento. Ne siamo consapevoli e suggeriamo ad ogni cattolico di conoscere a fondo le dottrine delle religioni non cri­stiane. Questo è un dato importante, sia per rafforzare la propria convinzione circa la ragionevolezza del Cristianesimo, sia per possedere gli stru­menti per un'opera efficace di evangelizzazione rivolta ai credenti non cristiani.

41. Va detto che non abbiamo inteso esprimere un giudizio circa la buona fede di quanti, credendo in Dio, non lo conoscono veramente e praticano religioni che sono opera di uomini e non di Dio.

42. Ma va anche detto che la nostra ragione è in grado di segnalare i motivi che la portano a identificare la vera Religione, quella cristiana, e a distinguerla dalle false religioni. Abbiamo quindi argomenti da esporre a quanti, pur dichiarandosi credenti in Dio, non ritengono di apprezzare il Cristianesimo, nella speranza che la nostra esposizione contribuisca a far conoscere e a far amare Gesù di Nazareth e la sua Chiesa cattolica.

" La ragione umana detta all'uomo di sottoporsi a qualche Essere superiore a causa delle deficienze che sperimenta in se stesso, nei riguardi delle quali sente il biso­gno di essere aiutato e diretto da qualche Essere superiore; e, chiunque esso sia, è l'Essere che presso tutti è chiamato Dio".

( S. TOMMASO D'AQUINO, Somma Teologica)
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Re: Falbe credense, łi abuxivi e łi uxurpadori de Dio

Messaggioda Berto » sab feb 13, 2016 10:48 am

"Togliete il nome di Allah da quelle scarpe", così i musulmani si scagliano contro la Nike
Serena Pizzi - Mer, 10/02/2016

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 22868.html


In più di 50mila stanno sostenendo la campagna contro la Nike. Secondo i fedeli musulmani, il simbolo della nota marca di scarpe richiama il nome di Allah.

"Togliete il nome di Allah dalle scarpe da ginnastica". In coro migliaia di musulmani marocchini gridano allo scandalo e pretendono che l'azienda statunitense ascolti le loro richieste. Hanno datto vita ad una vera lotta contro la Nike. Migliaia di musulmani hanno scritto sui social netowrk che il logo sulle suole delle scarpe ricorda il nome di Allah e per questo motivo devono essere messe fuori produzione. Allah non può essere offeso.

Una deputata del partito islamista marocchino ha preso a cuore il problema e ha indirizzato al Ministro dell'Industria e del Commercio una richiesta precisa. La politica vorrebbe avere spiegazioni "sulla distribuzione e la vendita di scarpe che recano offesa al nome di Allah". La questione non è ancora stata risolta e continua ad infiammare gli animi di tutti i musulmani che si sentono colpiti nell'animo.

Non è la prima volta che i muslumani dichiarano di essere stati feriti dalle scelte commericiali dell'azienda. Nel 1997, per esempio, la Nike fu costretta a ritirare 800mila paia di scarpe perchè la scritta "Air" in caratteri arabeggianti sembrava la parola "Allah". Per sapere il finale di questa vicenda, basterà aspettare ancora qualche mese: se le scarpe verranno fatte scomparire dal mercato, significherà che ancora una volta la cultura islamica avrà vinto su quella occidentale.
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Re: Falbe credense, łi abuxivi e łi uxurpadori de Dio

Messaggioda Berto » lun feb 15, 2016 2:20 pm

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Re: Falbe credense, łi abuxivi e łi uxurpadori de Dio

Messaggioda Berto » sab mar 05, 2016 9:46 pm

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Re: Falbe credense, łi abuxivi e łi uxurpadori de Dio

Messaggioda Berto » lun mar 07, 2016 11:45 am

No xe łe rełijon e łe fedi ke łe ne porta ła spirtoałetà parké ła spertoałetà ła xe na despoxision natural e ogniversal ca ghè xa ente ogni creadura come esensa de ła vida; łe fedi, i credi, łe rełixon łe xe lomè na enterpretasion, na deformasion, na manepołasion de ła spertołetà natural e 'nte sto senso łe xe tute pagane e eidołatre.

Non sono le religioni e le fedi che portano all'uomo la spiritualità, perché la spiritualità è una disposizione naturale e universale che c'è già in ogni creatura come essenza della vita; tutte le fedi, i credi, le religioni non sono altro che interpretazioni, deformazioni, manipolazioni della spiritualità natural e in questo senso sono tutte pagane e idolatre.


L'ombra di dio. Diverse Interpretazioni Della Comune Origine - Ebraismo, Cristianesimo e Islam

https://www.youtube.com/watch?v=J8Pv4XRC1bo
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Re: Falbe credense, łi abuxivi e łi uxurpadori de Dio

Messaggioda Berto » sab mag 28, 2016 5:30 pm

Meglio islamico che cattolico? La lezione di Aisha
di Rino Cammilleri28-05-2016

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-meg ... -16309.htm

L’ex deputato dipietrista Franco Barbato si è ritrovato con una figlia musulmana. Lui ebbe il suo breve momento di visibilità grazie alle sue trovate fustigatrici anti-casta, magliette a tema sfoggiate in Parlamento con gesti plateali simil-esibizionista (apri di colpo la giacca e compare la scritta sul petto), scenate con turpiloquio, espulsioni dall’aula. Niente di nuovo, si dirà, ma allora non era frequente come oggi.

Lui, barba e capelli lunghi alla Casaleggio, finì col rompere anche con l’Idv e continuò a fare il fustigatore per conto della televisiva La7. Attualmente cerca di diventare sindaco della sua Camposano, paesino del napoletano. Ora sua figlia Manuela, nata da un uomo energico, è divenuta Aisha, indossa l’hijab integrale e, come tutti i convertiti di fresco, inneggia al radicalismo islamico. Finiti gli studi si era trasferita in India col marito. Poi è tornata nella casa paterna con un bimbo. E il padre si lamenta che, quando è l’ora della preghiera, Aisha lascia il figlio piangere finché non ha finito.

Intervistato, l’ex onorevole ha confessato tutto il suo disappunto, aggiungendo che –pensate- a messa lei non ha voluto neanche dargli il “segno di pace”. A questo punto la domanda è: che ci fa una musulmana integralista in hijab a messa? Boh, misteri dell’accoglienza parrocchiarda. Ma la riflessione deve allargarsi a tutti quei giovani che si convertono all’islam, accettando di arabizzarsi.

Sì, perché se ti fai musulmano devi diventare arabo a cominciare dal nome. Poi devi pensare e vivere come un arabo. E così è, infatti. Uno che si converte da qualcosa al suo contrario (anche dal laicismo al cattolicesimo) difficilmente sceglie, del nuovo credo, una versione all’acqua di rose. Il convertito va sempre all’estremo, all’integralità senza mezze misure. Se avesse amato le mezze tinte sarebbe rimasto dov’era. Questo significa che molti giovani non sono affatto quegli smidollati che l’egemonia politicamente corretta vorrebbe far diventare. E non è vero che non siano capaci di impegni totali e definitivi.

Nel campo della religione cattolica, tradotto, vuol dire che il matrimonio indissolubile, la castità prematrimoniale, la castità perpetua in un ordine religioso non solo sono possibili, ma anche desiderabili. Sì, perché una ragazza italiana che si converte all’islam, ben sapendo che vita dovrà fare essendo donna, dimostra una sete di assoluto e di valori forti che il cattolicesimo non ha saputo offrirle. Una religione senza nerbo, tutta emotività e sentimentalismo, tutta un volemose bbene e che non dà giudizi netti perché chi sono io per giudicare, per i caratteri ardenti non ha alcuna attrattiva. Anzi, diciamola tutta: fa ridere.

Il cattolicesimo vile e arrendevole, moscio e invertebrato perde la gente migliore, i coraggiosi e i decisi. E -come diceva un convertito di genio, Clive S. Lewis- il coraggio non è una virtù tra le altre, ma il fondamento stesso di tutte le virtù cristiane. «Il ricordo del passato è necessario per aiutarci a ritrovare le nostre radici e a risvegliare lo spirito militante dell’Europa cristiana». Così scrive lo storico Roberto De Mattei nel suo recente libretto Europa cristiana svegliati. Da Lepanto a Eugenio di Savoia (Quaderni della Fondazione Lepanto).

Sì, perché il cattolicesimo non è sempre stato come quello che oggi viene predicato. La sua proposta è sempre stata forte e recisa, tale da affascinare gli spiriti migliori, i temperamenti ardimentosi, gli uomini e le donne di polso. Perché coraggioso e di polso era il suo Fondatore, alla cui Imitazione tutti siamo chiamati. Leggete una qualsiasi presentazione di convegno ecclesiale odierna e chiedetevi perché mai un giovane dovrebbe essere attirato da quel mare di melensaggini tremebonde in essa contenuto, qualunque sia l’argomento. Il messaggio potente di Cristo è stato trasformato in questo mieloso invito: «Salvate la foca». Aisha Barbato ha tutta la nostra comprensione.
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