Cristo nol xe Dio, gnaon omo el pol esar Dio Cristo non è Dio, nessun uomo può essere Dio. Per Dio non ha alcun senso essere un uomo in particolare.
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... lSmith.jpg El Papa no lè Dio en tera e no lè gnanca el vicario de Dio Il Papa non è Dio in terra e nemmeno il suo vicario.
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... OLO-II.jpgCristo el jera on rabin (i ło ciamava rabi = maistro), on mistro rełijoxo ebreo ke el cristianeixmo l ło ga divinixà, l ło ga fato pasar par fioło de D-o e par D-o memo.
El cristianixmo lè na rełixon pagana idołatra ke ła ga come divinità el D-o de łi ebrei, coeło de ła Bibia ke par i creistiani el se garia encarnà ente l'omo rabin ebreo Cristo.
I dogmi no łi xe altro ke falbetà, xrajonevołese fate pasar per vere costrenxendo i fedełi a credarghe par decreto de l'aotorità rełijoxa.Rabin e CohenRabinhttps://it.wikipedia.org/wiki/RabbinoIl termine rabbino (dall'ebraico biblico: רַבִּי, traslitt. rabi - IPAˈʁäbi, "mio maestro", plurale irregolare רבנים rabanim ʁäbäˈnim) – la parola "maestro" רב rav ˈʁäv letteralmente significa "grande", "distinto", e viene inteso come "maestro" nell'ebraico post-biblico.
La parola originaria rabbi deriva dalla radice semitica R-B-B, in alfabeto ebraico רַב rav, che in aramaico biblico significa "grande" in molti sensi, tra cui "riverito", ma appare principalmente come prefisso nelle forme di status constructus. Sebbene l'uso di rabbim "molti" (come in 1 Re 18:25, הָרַבִּים) "la maggioranza, la moltitudine" avvenga per indicare l'assemblea della comunità, nei Manoscritti del Mar Morto non esiste prova che sostenga un'associazione col titolo successivo di "Rabbi/Rabbino". La radice è imparentata con l'arabo ربّ rabb, che significa "signore" (usato generalmente quando si parla di Dio, ma anche di signori terreni). Come segno di grande rispetto, alcuni rinomati rabbini vengono chiamati semplicemente "il Rav".
Il rabbino non è un'occupazione che si riscontra nella Bibbia ebraica, e le antiche generazioni non utilizzavano titoli correlati, come Rabban, Ribbi o Rab per descrivere i saggi babilonesi e i dotti di Israele. I titoli "Rabban" e "Rabbi" vengono menzionati per la prima volta nella Mishnah (circa 200 d.C.). Il termine fu usato inizialmente con Rabban Gamaliel il Vecchio, Rabban Shimon suo figlio e Rabban Jochanan Ben Zakkai, che furono tutti patriarchi o presidenti del Sinedrio. Il titolo "Rabbi" appare (nella traslitterazione greca ῥαββί rhabbi) nei vangeli di Matteo, Marco e Giovanni nel Nuovo Testamento, in cui viene usato per riferirsi agli "Scribi e Farisei" come anche a Gesù.
Gli ebrei sefarditi e yemeniti pronunciano questa parola ebraica רִבִּי ribbī; la pronuncia in ebraico moderno israeliano רַבִּי rabi deriva da un'innovazione del XVIII secolo apportata ai libri di preghiera (Siddur) aschenaziti, sebbene tale vocalizzazione si riscontri anche in alcune fonti antiche. Altre varianti sono: rəvī e, in lingua yiddish, rebbə. La parola si può paragonare a quella siriaca ܪܒܝ rabi.
Nell'ebraico antico, rabbi era un termine titolare usato quando si parlava ad un superiore, nella seconda persona, simile al vocativo. Quando invece si parlava di un superiore, nella terza persona si poteva dire ha-rav ("il Maestro") o rabbo ("il suo Maestro"). In seguito il termine divenne un titolo formale per i membri del Patriarcato. Il titolo acquisì quindi una forma plurale irregolare: רַבָּנִים rabbanim ("rabbini") e non רַבָּי rabbay ("miei Maestri").
Il titolo "rabbi" veniva portato dai saggi dell'antico Israele, che erano ordinati dal Sinedrio secondo la consuetudine tramandata dagli anziani. Erano chiamati Ribbi e ricevevano l'autorità di giudicare casi penali. Rab è il titolo dei saggi babilonesi che insegnavano nelle accademie talmudiche di Babilonia.
Dopo la soppressione del Patriarcato e del Sinedrio da parte di Teodosio II nel 425, non ci furono più ordinazioni formali in senso stretto. Un dotto ebreo riconosciuto poteva essere chiamato Rab o Hacham, come i saggi babilonesi. La trasmissione della conoscenza da maestro a discepolo rimase di enorme importanza, ma non esisteva nessuna qualifica rabbinica formale in quanto tale.
La posizione di rabbino ufficiale di una comunità, il mara de'atra ("maestro del luogo"), è state in genere considerata nei responsa in tal modo.
Cohenhttps://it.wikipedia.org/wiki/Sacerdote_%28ebraismo%29 Nella religione ebraica il sacerdote o cohen, pl. cohanim (ebraico 'כּוהן' kohèn, pl. כּוהנים kohanîm) è una figura religiosa preposta all'esercizio del culto, detto "avodah", e alla mediazione dei rapporti con la divinità; risale in particolare al servizio sacrificale presso il Tempio di Gerusalemme. Il vocabolo kohèn viene usato nella Torah per riferirsi ai sacerdoti, sia ebraici che non-ebraici, come anche all'intera nazione ebraica nel suo complesso. Si citavano come sacerdoti anche i kohanim, evidentemente non ebrei, di Baal (2 Re 10:19). Durante l'esistenza del Tempio di Gerusalemme i kohanim officiavano l'offerta dei sacrifici quotidiani e associati alle Festività ebraiche.
Attualmente i kohanim conservano uno status importante all'interno dell'ebraismo e sono vincolati da ulteriori restrizioni in base alle tradizioni dell'ebraismo ortodosso e dell'Halakhah (Legge ebraica). In breve, le uniche funzioni sacerdotali rimaste sono la benedizione sacerdotale e la riscossione del riscatto dei primogeniti; gli unici privilegi sacerdotali ancora in vigore sono l'onore loro dovuto, la precedenza nella salita prima del Levita con lettura della Torah nel culto sinagogale, che dovrebbe recitare chiunque venga chiamato alla lettura, ovviamente di religione ebraica. Secondo l'ebraismo ortodosso, con la distruzione del Secondo Tempio nel 70 e.v. e la cessazione dei sacrifici ebraici, la maggior parte delle funzioni sacerdotali è sospesa, in attesa della ricostituzione del III Tempio ad opera del Messia.
Secondo i testi biblici, lo status di sacerdote è ereditario, riguardante i soli discendenti di Aronne e distinto da quello del profeta (uomo senza precise caratteristiche sociali, chiamato da Dio per parlare a suo nome) e da quello del levita (appartenente alla tribù di Levi con un ruolo cultuale subordinato a quello del sacerdote). Il culto fu svolto dai sacerdoti dapprima all'interno della "Dimora" (il santuario itinerante contenente l'Arca dell'Alleanza costruito da Mosè nel deserto), poi nel Tempio di Gerusalemme a partire dal X secolo a.e.v. Sono ricordati anche culti sacerdotali nelle "alture", cioè altari costruiti su colline sparsi nella Palestina, dove però spesso si infiltravano elementi cultuali pagani. Per questo Giosia, nella sua riforma religiosa del VII secolo a.e.v., accentrò il culto nel solo tempio di Gerusalemme.
Il nome ebraico kohen deriva da una radice comune alle lingue semitiche centrali; la parola araba imparentata è كاهن kāhin, che significa "indovino, augure, o sacerdote". Kohen viene frequentemente tradotto come "sacerdote", che sia ebraico o pagano, si veda i sacerdoti di Baal o Dagon, sebbene i sacerdoti cristiani vengano menzionati in ebraico col termine komer (ebraico: כומר).
Traduzioni in parafrasi delle interpretazioni Targumiche aramaiche includono "amico" nel Targum Jonathan di 2 Re 10:11, "maestro" nel Targum di Amos 7:10 e "ministro" nella Mechilta della Parshah Ietro - Libro dell'Esodo 18:1–20:23 1:1. In una traduzione completamente diversa si propone il titolo di "lavoratore" secondo Rashi sull'Esodo 29:30 - e "servitore" secondo il Targum di Geremia 48:7. Alcuni hanno tentato di risolvere questa traduzione contraddittoria suggerendo che, sebbene il sacerdote goda di privilegi specifici, una componente primaria del sacerdozio nell'ebraismo è la servitù (da cui "servizio sacerdotale", "servizio liturgico", "servizio divino", ecc.).