Feticcio

Feticcio

Messaggioda Berto » gio apr 02, 2015 7:43 am

Fetiço (feticcio) o fatiço/fatiso (artefato, falso, falbo)
viewtopic.php?f=24&t=1513

http://it.wikipedia.org/wiki/Feticismo
In etnologia si definisce feticismo una forma di religiosità primitiva che prevede l'adorazione di feticci, ovvero di oggetti - spesso manufatti antropomorfi o zoomorfi - ritenuti dotati di poteri magici.
Il termine di fétichisme fu impiegato per la prima volta dal filosofo e linguista francese Charles de Brosses nel 1760.
Il feticismo dagli antropologi evoluzionisti era ritenuto come uno degli stadi più primitivi della religiosità umana, ed era considerato una variante dell'animismo: in realtà si è visto in seguito come le due pratiche religiose si distinguano sotto numerosi aspetti.
Attualmente la definizione di "feticcio" viene usata in modo particolare per quegli oggetti considerati carichi di potenza sacra nell'ambito dei culti dei nativi dell'Africa occidentale.


L'Idoło di Shigir

http://en.wikipedia.org/wiki/Shigir_Idol

The Shigir Idol (Russian: Шигирский идол), is the most ancient wooden sculpture in the world, made during the Mesolithic period, around 7,500 BCE. It is displayed in the "Historic Exhibition" Museum in Yekaterinburg, Russia.

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... Shigir.jpg



"L'idolo è la più antica statua in legno del mondo, si stima sia stato costruito circa 9.500 anni fa, e conservato come in una capsula del tempo in una torbiera al margine occidentale della Siberia. L'esperta Svetlana Savchenko, capo custode dello Shigir Idol, ritiene che le facce della struttura trasportano informazioni codificate dall'uomo antico dell'Era mesolitica per quanto riguarda la loro comprensione della "creazione del mondo".
Gli scienziati tedeschi sono ora vicini ad una datazione precisa dell'incredibile manufatto - con una approssimazione di 50 anni - che è un meraviglioso esempio di creatività dell'uomo antico. I risultati dovrebbero essere resi noti alla fine di febbraio o all'inizio di marzo, rivela il Siberian times.
Ora la domanda che circola tra gli accademici è quella di una migliore comprensione dei simboli e dei pittogrammi trovati su questo maestoso idolo di larice, uno dei grandi tesori della Russia, che è ora in mostra in uno speciale sarcofago di vetro nella sua sede permanente, il Museo di Storia Ekaterinburg, dove la Savchenko è tra le ricercatrici di più alto livello."
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Fetiço (feticcio) o fatiço/fatiso (artefato falso, falbo)

Messaggioda Berto » gio apr 02, 2015 7:44 am

Feticcio - 1999 - di Enrico Comba e Salomon Resnik

http://www.treccani.it/enciclopedia/fet ... l_Corpo%29

Il termine feticcio (dal portoghese feitiço, "artificiale", a sua volta derivato del latino facticius, "fabbricato, costruito", e dunque anche "falso, finto") indica l'oggetto inanimato al quale viene attribuito un potere magico o spirituale, in virtù di uno spostamento semantico che trasfigura la cosa nel suo valore comune per investirla di un significato simbolico, individuale o di gruppo. Il vocabolo, adottato nel 16° secolo dai navigatori portoghesi per designare gli idoli e gli amuleti che comparivano nelle pratiche cultuali di popoli indigeni africani, fu esteso successivamente alle reliquie sacre della devozione popolare e, più in generale, a qualsiasi oggetto ritenuto immagine, ricettacolo di una forza invisibile sovrumana. Nella psicoanalisi è riferito a oggetti che, attraverso meccanismi di simbolizzazione, assumono un significato sessuale, divenendo in tal modo sostituti dell'oggetto d'amore.

sommario:
La dimensione antropologica. 1. Oggetti magici e mentalità primitiva. 2. L'aspetto 'selvaggio' della modernità. 3. Il paradosso del feticcio. La spiegazione psicoanalitica. □ Bibliografia.

La dimensione antropologica di Enrico Comba

1. Oggetti magici e mentalità primitiva
La prima trattazione sistematica della nozione di feticcio si deve a Ch. de Brosses (1760), il quale ravvisava nel feticismo il nucleo originario, primordiale, di ogni forma religiosa. Il culto rivolto a oggetti materiali, in legno o in pietra, rappresentava, nella sua prospettiva, il necessario esito di un pensiero primitivo non ancora in grado di procedere per astrazioni e portato quindi a fissarsi su oggetti tangibili, visibili. In essi l'uomo primitivo concentrava i timori verso fenomeni imprevedibili e incontrollabili della natura, e ne faceva il proprio oggetto di culto superstizioso. è nata in tal modo una tradizione di pensiero etnologico che per decenni ha interpretato il feticismo come un'espressione particolare di religiosità primitiva, fondata sulla paura e sull'ignoranza e caratterizzata dall'incapacità di elevarsi a forme più raffinate, spiritualizzate, di riflessione religiosa. Tuttavia, questa concezione si è rivelata ben presto insoddisfacente e pericolosamente generica: a mano a mano che si accumulavano le conoscenze sui sistemi culturali e simbolici da cui erano tratte le esemplificazioni di culto feticistico, se ne riconoscevano la complessità, la diversità, la peculiarità. La parola feticismo (introdotta nel 1887 da A. Binet) finiva per assumere significati disparati, contraddittori, tanto da causare confusione nell'uso del termine da parte di etnologi e studiosi di religioni comparate. Fu M. Mauss a porre fine alla disputa con un articolo del 1908, in cui affermava che l'oggetto impiegato come feticcio non è mai un oggetto qualsiasi: esso non viene scelto arbitrariamente, ma la sua specifica funzione simbolica è definita dal codice magico o religioso di cui fa parte. L'oggetto-feticcio non ha nulla di paradossale e di straordinario in sé, purché lo si riconduca al contesto sociale e simbolico all'interno del quale assume un proprio senso e una propria funzione. Il feticismo, pertanto, non designa più una fase primordiale della religione, né una sua particolare dimensione, piuttosto deve essere considerato un 'immenso malinteso', un 'errore di traduzione' di cui sbarazzarsi (Mauss 1969).
Caduto l'interesse per il feticismo in quanto sistema definito di credenze e atti cultuali, è rimasta l'esigenza per gli etnologi di affrontare analiticamente i vari casi di oggetti sacri, pratiche e comportamenti - riscontrabili in quasi tutte le culture - che hanno a che fare con immagini e simboli materiali, e di confrontarsi quindi con 'feticci senza feticismo' (Pouillon 1975). In numerose culture anche gli spiriti, le forze invisibili, gli dei, sono concepiti come aventi un corpo, un supporto materiale che acquista un valore simbolico specifico e costituisce una presenza enigmatica, ineludibile. Un'analisi in termini meramente simbolici, la ricostruzione della trama di significati all'interno della quale l'oggetto sacro deve essere inserito, rischiano di mettere indebitamente in ombra la dimensione oggettuale, materiale, dell'universo culturale in cui l'immagine, il feticcio, il 'dio-oggetto', possono avere rilevanza (Augé 1988). La materialità del feticcio condiziona inoltre la sua manipolabilità, l'utilizzo secondo finalità particolari, come manifestato dal termine stesso, che reca in sé l'accezione di 'cosa fabbricata'. Il senso di artificialità dell'oggetto sacro non sfuggiva agli autoctoni africani se affermavano di poter creare e distruggere i propri dei ogni giorno, di essere padroni e inventori di ciò cui sacrificavano (Lubbock 1870).

2. L'aspetto 'selvaggio' della modernità
Nell'Ottocento, mentre si stava sviluppando nell'etnologia la tradizione di studi sul feticismo come forma di religione primitiva - aspetto, questo, del pensiero europeo che tendeva ad allontanare il fenomeno feticistico riconoscendolo soltanto presso i popoli più 'ingenui' e lontani -, altri autori cominciavano a elaborare un diverso modo di intendere il concetto, secondo prospettive che lo avvicinavano al cuore stesso del mondo moderno. In base ai nuovi orientamenti teorici, il feticismo si rivolgeva all'uomo europeo-occidentale mettendone pericolosamente in luce alcune contraddizioni e ambiguità. K. Marx (1867) introduce la nozione di 'feticismo delle merci', come caso particolare di un più generale feticismo della proprietà, che si manifesta quando i rapporti sociali di produzione assumono la forma fantastica e illusoria di rapporti tra cose. Così il valore delle merci, che ha la sua origine in un rapporto sociale ed è il risultato di un'attività economica (il lavoro), viene attribuito agli oggetti materiali, i quali possono essere scambiati fra di loro come se il valore fosse una proprietà intrinseca agli oggetti stessi. Se si prescinde dal valore d'uso delle merci - afferma Marx -, si prescinde anche dalle loro forme corporee; la merce perde le qualità sensibili a favore del valore di scambio, l'equivalente del mana che i primitivi attribuivano agli oggetti e agli animali cancellando la loro natura. Questa sorta di 'maschera', attraverso la quale il prodotto del lavoro assume in sé il valore che gli viene attribuito dal rapporto sociale di cui esso è oggetto, è per Marx la forma specifica di feticismo del capitalismo moderno, un sistema che tende a occultare la realtà dei processi sociali che stanno alla sua base. In tal senso egli mostra l'aspetto 'selvaggio' della modernità (Assoun 1994), utilizzando la nozione di feticismo come strumento di critica della società capitalistica e di svelamento della vera natura dei meccanismi che la sostengono.
Un attacco altrettanto profondo alla società moderna veniva portato alcuni anni dopo da F. Nietzsche (1889), il quale indirizzava la sua critica alle illusioni della ragione e dei suoi principali presupposti, quali il concetto di Io. Quella che i filosofi chiamano ragione per Nietzsche è un insieme di pregiudizi ed errori: se si prende coscienza dei presupposti fondamentali del linguaggio della filosofia, e quindi della ragione, si penetra in un 'rozzo feticismo'. Implacabilmente, Nietzsche mostra all'uomo moderno come la sua stessa ragione non sia altro che un feticcio, qualcosa di artificiale, di costruito, e quindi di transitorio, di 'impermanente'. Infine la psicoanalisi: se il feticismo comincia a comparire come particolare perversione nella sessuologia dell'Ottocento, dove indica l'uso di un oggetto sostitutivo dell'organo genitale come mezzo di raggiungimento della gratificazione sessuale, è nell'opera di S. Freud che esso assume la sua definitiva collocazione, in connessione con la paura di castrazione e il simbolismo fallico. Freud (1927) descrive il fenomeno come il risultato di impressioni sessuali vissute durante la prima infanzia, in cui l'oggetto-feticcio assume il significato simbolico di sostituzione del fallo mancante nella donna. In tal modo, il feticismo fornisce un mezzo di spostamento e, indirettamente, di convalida della fantasia infantile, che viene fissata su un oggetto strettamente legato al corpo femminile: indumenti intimi ecc. (v. oltre). In tutte queste interpretazioni, per quanto differenti, traspare il comune intento di collocare il feticcio al centro dell'esistenza dell'uomo moderno. Non si tratta più tanto di guardare con sufficienza a credenze esotiche e lontane, che possono solamente confermare la superiorità e la sicurezza dell'uomo occidentale. Marx, Nietzsche e Freud mostrano invece come il feticcio si annidi nel cuore stesso della modernità, mettendone in pericolo le fondamenta e rivelandone le debolezze e difficoltà. Questo è anche il senso dell'inquadramento antropologico-psicopatologico di V.E. von Gebsattel (1954), che verte sul processo di antropologizzazione posto alla base di ogni formazione feticistica.

3. Il paradosso del feticcio
È possibile ritrovare in una molteplicità di culture di interesse etnografico alcuni meccanismi contraddittori, analoghi a quelli messi in luce dagli autori sopra considerati. Anche i feticci primitivi sono spesso oggetti esplicitamente 'fatti' dall'uomo, quali una rozza immagine, una figura, un utensile d'uso comune; in altri casi può trattarsi di un elemento naturale, una pietra, un pezzo di legno, parti di animali, ma sempre qualcosa di 'isolato', posto fuori dal suo contesto. Un esempio significativo proviene dalla tradizione cristiana medievale delle reliquie: divenivano oggetti di devozione sezioni del corpo di santi, cose inerenti al loro abbigliamento o in qualche modo connesse con la loro vita; persino le tombe, il terreno che le circondava, nonché le offerte che erano lasciate presso il sepolcro, assumevano un valore sacrale (Ellen 1988). L'oggetto cultuale rappresenta in forma concreta, visibile, palpabile, qualcosa di immateriale e inattingibile: in ciò sta probabilmente l'enigma, il paradosso del feticcio. Oggetto fabbricato, costruito o per lo meno scelto, separato a opera dell'uomo, esso diviene qualcosa di indipendente dalla volontà del suo produttore: dispone di un potere, di una forza, di una vitalità specifici. È al tempo stesso un oggetto dalle proprietà particolari e qualcosa di indecifrabile e di potente che va oltre l'oggetto; dimostra la capacità umana di produrre il proprio mondo culturale, le proprie immagini di culto, i propri dei, ma insieme ne rivela anche i limiti, perché ciò che è fatto dall'uomo può assumere un'autonomia propria; gli oggetti possono acquisire qualità analoghe a quelle degli esseri viventi e rimandare, per ciò stesso, a una dimensione che si pone al di là delle possibilità umane di controllo e di manipolabilità.

La spiegazione psicoanalitica di Salomon Resnik

Il feticcio, oggetto inanimato, naturale o artificiale, è nelle culture primitive il 'luogo' di una proiezione religiosa: luogo che viene 'ri-fatto, ri-creato', talvolta esteticamente, in modo da riprodurre l'immagine o il ricordo di una 'assenza primordiale', fondamento del processo di simbolizzazione. Il feticcio diventa allora simbolo di un'assenza, di un'evocazione, memoria di un fatto o di un'esperienza da ricordare e venerare; in tal senso appare legato al lutto e alla commemorazione.
Freud (1927) collegò il fenomeno a un'esperienza arcaica o infantile. Il bambino, per la sua vulnerabilità psichica, ha bisogno di trasferire a un oggetto inanimato un significato animato e angoscioso che egli non può contenere psichicamente e che il suo Io non può elaborare. In generale, il feticcio si collega all'incapacità naturale dell'essere-bambino di accettare la separazione, l'assenza della madre. Un fazzoletto, la coperta della culla, la bambola, acquistano il significato simbolico di una rappresentazione concreta che occupa significativamente il posto di un oggetto assente. Ciò si collega al concetto di 'oggetto transizionale' di D.W. Winnicott (1945). L'oggetto transizionale personifica l'elemento mancante, essenziale per la vita del bambino, che in tal modo ha la possibilità di renderlo concretamente vivo e presente. Il feticcio acquista un significato connesso al lutto; esso può essere sensualizzato, erotizzato e divenire fonte di piacere.
Ancora Freud (1927) osserva come certe parti del corpo (naso, piede) assumano un significato feticistico. Egli lega il feticismo all'angoscia di castrazione che si manifesta quando il bambino, alla vista dell'organo sessuale femminile, scopre che la donna non possiede il pene: parti del corpo oppure certi oggetti-feticci vengono allora ad assolvere la funzione di sostituzione del fallo o di compensazione dell'oggetto mancante. L'oggetto mancante, o anche la realtà della sua scomparsa o morte, viene sostituito dall'oggetto-feticcio che può essere ritualizzato ed erotizzato: è un modo di negare la perdita e trasformare, così, il lutto in 'piacere erotomaniaco'.
Secondo M. Klein (1940), lo svelamento della funzione feticistica potrebbe anche scatenare a un livello paranoide panico o paura, in quanto apparizione perturbante del fantasma o 'anima smarrita' che perde il suo 'corpo-sarcofago'; a un livello depressivo può risvegliare il dolore del lutto che era condensato nell'oggetto-feticcio. Questo potrebbe allora essere concepito come luogo concreto di 'proiezione' in cui seppellire o rimuovere (Verdrängung) un sentimento di colpa, un'esperienza persecutoria, un ricordo intollerabile. Freud (1896) definisce il termine proiezione in relazione a un caso di paranoia cronica: in tale disturbo l'autoaccusa (le voci persecutorie) viene rimossa non dentro l'apparato psichico, ma fuori, nell'altro, e si mostra come accusa esterna (alloaccusa). Si potrebbe quindi affermare che nel feticcio si proietta, si condensa e si congela un vissuto minaccioso o eccessivamente idealizzato e temuto. Un fatto, un oggetto possono trasformarsi in feticcio, in quanto luogo di proiezione di una rimozione, sia in un elemento esterno sia nel proprio corpo. Nel caso di proiezione interna (feticismo corporeo), il soggetto dissocia la mente dal corpo per evitare un sentimento doloroso, depressivo o persecutorio. Il distacco della mente nel feticismo corporeo segnala un processo dissociativo dell'Io e diventa un meccanismo di difesa di tipo ipocondriaco. Si tratta di spostare a una parte del corpo, anche a un organo sessuale, un ricordo dolente che verrà feticizzato, dunque immobilizzato, concretizzato, condensato e idealizzato. Visto l'aspetto dissociativo dell'Io, Freud collega il feticismo patologico alla psicosi e alla perversione. È opportuno distinguere il feticismo patologico da quello normale, che si ritrova in qualche modo nella pratica del collezionismo: il meccanismo che muove il collezionista si collega infatti alla nevrosi ossessiva, che tende a preservare e categorizzare 'concretamente' e freddamente una realtà affettivamente investita. Nell'ambito degli studi sulla perversione sessuale, il feticismo è stato oggetto di analisi e descrizioni puntuali. H. Ellis (1897), Freud, A. Hesnard (1951) e altri autori interpretano il lutto patologico come esperienza sadomasochistica dominata da una fantasia perversa. Hesnard, in particolare, definisce il feticismo patologico espressione di un impulso o istinto sessuale che esce dal suo itinerario abituale e devia dalla sua meta per avere un nuovo significato e una nuova finalità. Dal punto di vista della fantasia magico-perversa inconscia, si tratta di trasformare, attraverso un erotismo del corpo, una realtà minacciosa e temuta in idealizzata fonte di desiderio sessuale. La venerazione feticistica appare come speranza delirante di risvegliare l'oggetto morto, come accade nella necrofilia, dove il rapporto sessuale con un soggetto inanimato costituisce un modo di resuscitarlo eccitandolo, ma è anche fonte di paura, di ritorsione arcana, di vendetta. Si può dire che il feticcio e il feticismo acquistano un significato complesso e determinante nello sviluppo della cultura umana. I rispettivi significati dipendono dai sistemi di valori e dal modo di risolvere il lutto, la persecuzione e la violenza, in ogni cultura. Essi hanno una funzione difensiva e comunicativa; si tratta, per J. Lacan (1966), di rappresentare o simbolizzare un significante primordiale, il Nome-del-Padre, escluso dalla sfera immaginaria simbolica e proiettato, eiettato (verwerft), nella realtà del mondo culturale.

bibliografia

P.-L. Assoun, Le fétichisme, Paris, PUF, 1994.
M. Augé, Le dieu objet, Paris, Flammarion, 1988.
A. Binet, Du fétichisme dans l'amour, "Revue de Philosophie", 1887.
M. Boss, Sinn und Gehalt der sexuellen Perversionen, Bern, Huber, 19682.
Ch. de Brosses, Du culte des dieux fétiches: ou parallèle de l'ancienne religion de l'Egypte avec la religion actuelle de la Nigritie, Paris 1760.
R. Ellen, Fetishism, "Man", 1988, 23, 2, pp. 213-35.
H. Ellis, Études de psychologie sexuelle [1897], Paris, Mercure de France, 19219.
S. Freud, Weitere Bemerkungen über die Abwehr-Neuropsychosen, "Neurologisches Zentralblatt", 1896, 15, pp. 434-48 (trad. it. inid., Opere, 2° vol., Torino, Boringhieri, 1968, pp. 303-27).
Id., Fetischismus, in Almanach der Psychoanalyse 1928, Wien 1927, pp. 17-24 (trad. it. in id., Opere, 10° vol., Torino, Boringhieri, 1978, pp. 487-97).
A. Hesnard, Manuel de sexuologie normale et pathologique, Paris, Payot, 1951.
M. Klein, Mourning and its relation to manic-depressive states [1940], in id., Contributions to psychoanalysis 1921-1945, New York, Hillary, 1950 (trad. it. in Id., Scritti 1921-1958, Torino, Boringhieri, 1978).
J. Lacan, D'une question préliminaire à tout traitement possible de la psychose, in Id., Ecrits, Paris, Éditions du Seuil, 1966, p. 531 (trad. it. in Id., Scritti, Torino, Einaudi, 1974, pp. 553-54).
J. Lubbock, The origin of civilization and the primitive condition of man: mental and social conditions of savages, London, Longman-Green, 1870.
K. Marx, Das Kapital, 1° vol., Hamburg, Meissner, 1867 (trad. it. Torino, UTET, 1975).
M. Mauss, Oeuvres, 2° vol., Représentations collectives et diversité des civilisations, Paris, Éditions de Minuit, 1969, pp. 195-227.
F. Nietzsche, Götzendämmerung, Leipzig, Naumann, 1889 (trad. it. in Id., Opere complete, 4° vol., 3° tomo, Milano, Adelphi, 1970).
J. Pon, Fétiches sans fétichisme, Paris, Maspéro, 1975.
V.E. von Gebsattel, Über Fetischismus, in Id., Prolegomena einer medizinischen Anthropologie, Berlin, Springer, 1954, p. 144.
D.W. Winnicott, Primitive emotional development, "International Journal of Psychoanalysis", 1945, 26, capp. 3, 4.
Universo del Corpo
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Messaggioda Berto » gio apr 02, 2015 7:44 am

Le rełicoie dei santi e dei marteri łe xe fetiçi; anca i prexounti toki de ła croxe de Cristo, el tełon de ła sindone łi xe fetiçi.

CLASSIFICAZIONE E NORME ECCELESIASTICHE SULLE RELIQUIE
http://www.serenoeditore.com/reliquie/r ... %201-2.htm
Il termine reliquia (dal latino reliquiae, resti) indica genericamente i resti, ovvero ciò che resta, di un defunto, sia esso
1-un santo o Gesù (es. le reliquie della passione: croce, corona di spine, ecc.)
2-un uomo famoso (gli occhiali di Rossini, i guanti di Napoleone, una lettera di Salvador Dalì...)
3-una persona cara (l'anello di matrimonio della mamma, la foto dello zio...)
In mezzo a questa grande varietà di “resti”, i più delicati sono senza dubbio le spoglie mortali, ovvero il corpo, parti di esso o quel che resta del corpo (le ceneri).


Il Crocifisso non sia un semplice “feticcio” agitato all’occorrenza
http://www.pdcamposampiero.it/index.php ... &Itemid=93
Intervento del consiglire Luca Masetto in risposta all'ordine del giorno presentato in consiglio Comunale del 23 novembre 2009 sulla presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche dalla maggioranza
La sentenza espressa dalla Corte Europea di Strasburgo tiene conto esclusivamente della sfera giuridica, e non prende in considerazione la storia, la sensibilità e la cultura di un popolo e di che cosa, per questo, rappresenta il crocefisso, “memoriale di fede per coloro che credono, e riferimento etico per quanti, laicamente, in questo simbolo ritrovano quei valori universali che il Cristo crocefisso incarna, a favore di tutti e mai contro qualcuno”.
Per cui ritengo che i crocefissi debbano rimanere dove sono e dove sono sempre stati. Togliere il crocefisso non è certo un segno di rispetto per le altre religioni e non aumenta la laicità delle nostre istituzioni.
Ma con altrettanta forza esprimo il mio disagio per la delibera che ci apprestiamo a votare.
Il Crocefisso è un simbolo che richiama valori quali l’accoglienza, la solidarietà, l’attenzione per ogni uomo, specialmente per il più debole e indifeso, e il rispetto per gli altri, anche verso coloro che appartengono a culture e religioni diverse.
Questi sono principi dettati anche dalla nostra Costituzione, il frutto del lavoro di grandi personalità laiche e cattoliche che insieme, dopo la terribile esperienza della guerra, hanno prodotto quel testo ancora così attuale.
Questi sono i principi che devono essere realizzati e messi in pratica, affinché questo simbolo di sofferenza e di sacrificio per la salvezza degli uomini abbia pieno significato e non sia un semplice “feticcio” agitato all’occorrenza.
E qui non posso non pensare a quelli che, seppur gravi, voglio credere siano stati degli “incidenti di percorso” quali le dichiarazioni infelici di alcuni membri della maggioranza che subito dopo l’insediamento hanno proceduto ad un certo tipo di controlli sui cittadini stranieri (che nulla hanno a che vedere con la reale sicurezza) e la volontà di imporre il requisito dei 10 anni nell’assegnazione dei soldi del fondo di solidarietà a favore di coloro che avevano perso un posto di lavoro, con le conseguenze che tutti sappiamo. Azioni, ripeto, a mio avviso stridenti e contrarie ai valori dell’accoglienza, del rispetto, della solidarietà richiamati nella delibera.
Stigmatizzo poi gli esempi folcloristici e plateali a cui abbiamo assistito in questi giorni (distribuzione di crocefissi, ipotesi di appendere cartelloni con la faccia dei promotori della sentenza, istituzione del “Natale bianco”), e trovo sbagliato, proprio per il rispetto che ho nei confronti di quello che rappresenta il crocefisso, proporre una delibera su questo tema, perché strumentale, ipocrita e rispondente alla logica della forma e dell’apparire e non della sostanza (questo un altro dei grandi problemi dei nostri tempi). Alla fine voterò a favore, per evitare ulteriori strumentalizzazioni, ma faccio mio sia l’invito del vescovo Mattiazzo che, segnalando il disagio di fronte alla sentenza di Strasburgo, invitava tutti a tenere un profilo basso sulla questione, sia le lettere di Don Ciotti e Don Salvatore Resca (sacerdote di Catania), che richiamano tutti ad una quotidiana testimonianza di che cosa rappresenta il crocefisso, nei rapporti con chi ci sta vicino e con le persone, sempre più numerose, sole e in difficoltà a cui bisogna tendere la mano.






Crocifisso/1: Un feticcio identitario. I credenti dovrebbero opporsi
http://www.libertiamo.it/2011/03/24/il- ... ro-opporsi
La Corte di Strasburgo ha deciso; la laicità resta in croce. Il crocifisso può rimanere nelle classi scolastiche italiane.

Due i passaggi chiave della sentenza che ha ribaltato la precedente condanna del 2009 in merito al caso Lautsi: i ricorrenti non hanno saputo dimostrare di aver subito una lesione (ascrivibile nella categoria dell’indottrinamento) che superasse il semplice e soggettivo “disagio”, quindi del giuridicamente irrilevante.

In secondo luogo, la Corte si è affidata alla giurisprudenza italiana in materia (spesso incoerente e controversa, quando non desueta), affermando che l’Italia ha agito nel rispetto di un quadro normativo (un’ingiallita circolare fascista del 1926), senza ledere la libertà religiosa dei ricorrenti (o ledendola in modo lievissimo, quindi ininfluente). L’Italia – afferma nella sostanza la Corte – ha il diritto di considerare il crocifisso un simbolo religioso e al contempo civile, espressione della maggioranza religiosa del paese e di assicurargli preponderante visibilità.

L’intera vicenda mostra la tristezza e l’immaturità che aleggia su un tema delicato e importante; perché l’importanza del crocifisso è immensa: per i credenti, esso è un terribile mistero di fede, simbolo universale (perché tale è il carattere di ogni religione) di sofferenza e dolore, un pianto imbevuto di speranza mista a gentilezza. Esso esprime il valore del sacrificio, della Redenzione. Ma non si può certo pretendere – come si vorrebbe – che anche i non-credenti vedano siffatti valori nella croce; e nemmeno si può concepire l’entità della sua strumentalizzazione, la quale ha raggiunto vette incredibili, rovinando per sempre la profondità e il simbolismo del Cristianesimo. Essa è diventato un oggetto di marketing elettorale e nazionale. E’ un paradosso davvero brutto: la croce è stata abbassata e livellata a mero marcatore identitario, mentre le cosiddette “radici giudaico-cristiane” dell’Europa e dell’Italia (sulle quali si può aprire un approfondito dibattito) vengono usate a mo’ di giustificazione del “perché” dell’affissione del crocifisso in un edificio pubblico (quindi non religioso e non privato).

Dove sono i religiosi? Dove sono i teologi? Dove sono i veri credenti? Dove sono coloro che sentono e vedono la croce come un ideale, come un “sentire”, come un messaggio di carattere universale e che è utile serbare nel profondo del proprio cuore, non un feticcio da sbandierare come una medaglietta storica, magari per distinguersi da supposte civiltà inferiori? Eppure questa battaglia dovrebbe essere portata avanti (e con decisione) da religiosi e credenti, non da agnostici e atei; ma l’Italia è un paese davvero strano. E’ un paese di sudditi, non di cittadini, in cerca di un’assoluzione a buon mercato, che preferiscono il compromesso e la via facile alla strada in salita della coerenza. E’ un paese dove tra i “valori non negoziabili” dei cattolici risiede anche la potestà papalina nei luoghi pubblici, la legittimità dalla simbologia umanitaria del crocifisso (sic!) e la rivendicazione di spazio pubblico per gli anatemi contro l’omosessualità e l’eutanasia. E’ un eterno circo dove “chi non terrorizza/si ammala di terrore” scandito dalle grida sguaiate dei catto-leghisti, che – tra un respingimento di profughi e l’altro – invocano a gran voce un simbolo religioso come difesa della pagana e ghibellina Europa dalla “terribile minaccia islamica”. Un paese ideologico che preferisce i feticci ai simboli (d’altronde, i primi impegnano molto di meno).

Eppure uno spiraglio che ci permetta di uscire da questa follia collettiva, esiste: la Corte, infatti, dichiara in modo molto chiaro che «Non le appartiene pronunciarsi sulla compatibilità della presenza del crocifisso nelle aule scolastiche con il principio di laicità quale è consacrato nel diritto italiano» sulla cui materia il giudizio è alquanto cristallino; a meno di non voler declassare ulteriormente la croce, mettendola sullo stesso piano della pizza e degli spaghetti (non siamo molto lontani da questo punto di arrivo; con buona pace dei pastafarianesimo). Possiamo dunque togliere i chiodi che hanno messo la laicità in croce. Possiamo. Ma davvero lo vogliamo? Davvero la società italiana vuole crescere e affrontare laicamente – senza preconcetti, chiusure o pregiudizi – la sfida della vita e del rispetto dell’altro, senza feticci d’ogni forma ed aspetto? Come Bobbio ci insegna saggiamente, le virtù del laico sono il rigore critico, il dubbio metodico, la moderazione, il non prevaricare, la tolleranza, il rispetto delle idee altrui. Sono virtù mondane e civili.

Sono le virtù della responsabilità; ma gli italiani – al solo sentire il suono della parola responsabilità – ne cercano sempre il significato sul dizionario; deve essere un termine arcaico, o comunque di un’altra lingua, così lontano dall’anima da “le genti del bel paese là dove ‘l si sona“. Meglio affidarsi a feticci (perché questo è diventata la croce, a furia di metterla con furia e affanno in scuole e uffici postali) da imporre coercitivamente a tutti. Serbarla nel cuore, quello no; è troppo impegnativo.


Il governo socialista prepara l'ennesimo strappo con la tradizione della cattolicissima Spagna

http://www.lastampa.it/2009/08/10/blogs ... agina.html

Ancora Zapatero. Il premier spagnolo fautore di una serie di riforme che deliziano o orripilano a seconda del loro orientamento l'opinione pubblica - ma che in Spagna evidentemente piacciono poiché il suo partito il Psoe ha rivinto l'anno scorso le elezioni - stavolta va all'attacco di un simbolo-feticcio della vecchia Spagna franchista del Dio-patria-famiglia, ma assai caro anche nell'Italia vaticana, ovvero il crocefisso.
Il governo spagnolo sta infatti mettendo a punto un disegno di legge sulla libertà religiosa da sottoporre al Parlamento in autunno. Tra i provvedimenti in scaletta la rimozione dalle aule della scuola pubblica dei simboli religiosi che non abbiano «valore storico o artistico», mentre in quelle convenzionate con lo stato si rispetteranno «usi e costumi».
La normativa, che difficilmente piacerà all'opposizione, si applicherà con elasticità. Non toccherà, ad esempio, simboli tradizionali come, ad esempio, i presepi. Ma, se sarà approvata, dovrebbe portare alla rimozione della maggior parte dei crocifissi ancora presenti in aule pubbliche del paese.
«La nostra idea - spiega alla stampa il ministro alla Giustizia Francisco Camaano - è che nelle scuole pubbliche non ci sia nessun simbolo religioso». Questo, ha aggiunto, perchè «ci sia una separazione chiara fra il fenomeno religioso e lo spazio pubblico, la laicità dello stato». La nuova normativa sarà applicata con moderazione: «se risulta che c’è una immagine che fa parte del patrimonio storico in un centro pubblico, se ha valore storico o artistico, non potrà essere rimossa», chiarisce Caamano.
Per le scuole private convenzionate con lo stato si procederà in funzione di «usi e costumi», ovvero con una certa elasticità. Secondo il quotidiano Abc si tratta di una manovra politica: il governo socialista, rimasto senza maggioranza da marzo in Parlamento, punta a usare la legge sulla libertà religiosa per ccompattare attorno a sè i piccoli partiti di sinistra.
E' una nuova "provocazione" dopo il disegno di legge sulla depenalizzazione dell’aborto - con la libera scelta se abortire o meno fino alla 14ma settimana per tutte le donne, e le adolescenti dai 16 ai 18 anni - sul quale già convergono Psoe e sinistra.
Nuovo capitolo di una lista della svolta laica impressa alla Spagna dal governo Zapatero che dal 2004 ha già varato, tra le altre cose, il divorzio breve, una legge liberalizzatrice sulla fecondazione assistita, una riforma che ha allargato la possibilità del matrimonio anche alle coppie omosessuali, garantendo loro gli stessi diritti riservati alle coppie eterosessuali, sposate o di fatto, tra cui quello di adottare figli. E ancora, alleggerito le pratiche di modifica delle generalità per i transgender, legalizzata la sperimentazione medica della cannabis, ridotte molte restrizioni sulla clonazione terapeutica e sull'uso di cellule staminali di origine embrionale ai fini di ricerca scientifica.
Cronache da un altro pianeta.
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Fetiço (feticcio) o fatiço/fatiso (artefato, falso, falbo)

Messaggioda Berto » gio apr 02, 2015 7:45 am

Anca ła pria nera xlamega de ła meca łè on fatiço o idoło:

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/c ... a_1315.jpg

http://it.wikipedia.org/wiki/Pietra_Nera

La Pietra Nera (in arabo: الحجر الأسود, al-ḥajar al-aswad) è una roccia nera, grande quasi come un pallone da calcio, incastonata a circa 1,10 m d'altezza nell'angolo est della Kaʿba di Mecca.
Nel loro ṭawāf antiorario intorno alla Ka'ba nel corso del rito del Hajj, i pellegrini sostano brevemente e baciano rapidamente la Pietra Nera se la calca lo permette, a imitazione di quanto fece il profeta Maometto nel corso del suo secondo pellegrinaggio dopo l'Egira. Se la quantità di fedeli non rende ciò possibile, il pellegrino si limita ad additarla nei suoi sette transiti, col braccio teso nella sua direzione.
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Fetiço (feticcio) o fatiço/fatiso (artefato, falso, falbo)

Messaggioda Berto » gio apr 02, 2015 7:45 am

Forme di coscienza religiose e necessità del feticcio
Materia sacra - lunedì 12 gennaio 2015


http://materialismostorico.blogspot.it/ ... ose-e.html

La forma di coscienza religiosa non riguarda soltanto ciò che chiamiamo religione. Anche la dissoluzione del marxismo ha lasciato sul campo diverse forme di coscienza di questa natura [SGA].

Risvolto
Perché gli achei “credevano” allo scettro divino di Agamennone? Perché l’ostia consacrata era un simbolo di contestazione usato dagli inca nei confronti degli spagnoli? Il feticismo è una religione primitiva o è un esempio del fascino esercitato su tutti noi dalla materia informe? Le immagini sacre sono solo riproduzioni di figure divine oppure sono quelle stesse figure? Che relazione c’è tra il cibo e la religione? E come mai una macchia sul muro può diventare oggetto di culto per quanti vi vedono la Madonna? Sono alcune delle domande a cui questo libro risponde assumendo un punto di vista insolito e originale: quello della materialità della religione. Usualmente si pensa alle religioni come a complessi di credenze, di riti, di dogmi, e non ci si interroga abbastanza sul significato che in esse rivestono le “cose” – oggetti, corpi, immagini, sostanze – prodotte da mano umana o frutto dell’azione divina. È proprio attraverso cose estremamente materiali come le pietre, i feticci, le immaginette e le statue delle divinità che le religioni prendono forma e trovano una direzione, a seconda dei modelli culturali prevalenti presso un gruppo, una comunità, una società. Così le religioni trovano un modo per imporsi come universi simbolici capaci di produrre rappresentazioni che servano da guida nella relazione dei soggetti con il mondo. - See more at: http://www.raffaellocortina.it/materia- ... aeSLE.dpuf

Perché gli achei “credevano” allo scettro divino di Agamennone? Perché l’ostia consacrata era un simbolo di contestazione usato dagli inca nei confronti degli spagnoli? Il feticismo è una religione primitiva o è un esempio del fascino esercitato su tutti noi dalla materia informe? Le immagini sacre sono solo riproduzioni di figure divine oppure sono quelle stesse figure? Che relazione c’è tra il cibo e la religione? E come mai una macchia sul muro può diventare oggetto di culto per quanti vi vedono la Madonna? Sono alcune delle domande a cui questo libro risponde assumendo un punto di vista insolito e originale: quello della materialità della religione. Usualmente si pensa alle religioni come a complessi di credenze, di riti, di dogmi, e non ci si interroga abbastanza sul significato che in esse rivestono le “cose” – oggetti, corpi, immagini, sostanze – prodotte da mano umana o frutto dell’azione divina. È proprio attraverso cose estremamente materiali come le pietre, i feticci, le immaginette e le statue delle divinità che le religioni prendono forma e trovano una direzione, a seconda dei modelli culturali prevalenti presso un gruppo, una comunità, una società. Così le religioni trovano un modo per imporsi come universi simbolici capaci di produrre rappresentazioni che servano da guida nella relazione dei soggetti con il mondo.


Non c’è religione senza feticci
di Adriano Favole Corriere La Lettura 11.1.15

«Le religioni sono delle pratiche nelle quali oggetti-segno, immagini, cose naturali e oggetti costruiti da mano umana e talvolta divina svolgono una parte importante, per non dire essenziale, per la possibilità stessa di creare una dimensione trascendente, di renderla presente e pensabile». Nel suo ultimo libro ( Materia sacra. Corpi, oggetti, immagini, feticci nella pratica religiosa , Raffaello Cortina), Ugo Fabietti, ricorrendo a un’amplissima documentazione etnografica e storica, fornisce un’originale mappatura del fenomeno religioso, adottando come filo conduttore la materialità degli oggetti di culto, l’uso di immagini e icone, la dimensione sensoriale, gestuale, corporea (disciplina, digiuno, astinenza, violenza).
Che si tratti delle statue del presepe che, proprio in questi giorni, molti riporranno negli armadi accanto a oggetti di uso quotidiano dopo averli investiti nel periodo natalizio di un’aura «numinosa» (come avrebbe detto Rudolf Otto); che si tratti di un churinga , l’assicella lignea o litica che contiene i segni-simboli degli itinerari compiuti dagli antenati nel tempo mitico del sogno e che gli anziani aborigeni mostrano agli iniziandi; e ancora che si tratti delle alasitas , i piccoli oggetti che rappresentano in miniatura case, appezzamenti di terra, automobili, cibo e altri desideri e che i devoti della Vergine di Urkupiña (Bolivia) depongono ai piedi della sua statua in segno di buon auspicio, gli oggetti sono ben più di semplici corredi, paraphernalia del fenomeno religioso.
L’esteriorità e la materialità delle cose religiose non sono ostacoli e pericolose fonti di idolatria (anche se molto spesso sono percepiti e denunciati come tali dalle autorità del culto), ma vie di accesso al trascendente, situandosi in quella zona grigia tra l’ordinario e l’extraordinario, tra il tapu (ciò che è off limits , irraggiungibile, intoccabile, sacro) e il profano.
La materia sacra fornisce a Fabietti un filo con cui cucire una grande varietà di religioni e culture, attraversate con il rispetto e la delicatezza di un’analisi che mira a comprendere il fenomeno religioso evitando quelle pericolose derive etnocentriche che dividono le esperienze del trascendente in «vere» e «false», «spirituali» e «idolatre», superstiziose, magiche o autenticamente religiose. Culture e religioni non sono espressioni di «alterità» radicali, bensì di «scarti», per dirla con François Jullien ( Contro la comparazione. Lo «scarto» e il «tra» , Mimesis), ovvero configurazioni che mescolano differenze e somiglianze. Lo studio della materia sacra non si risolve in un’ideologia materialista né nel tentativo di svelare forme di «falsa coscienza». Si tratta di fornire, scrive Fabietti, un contributo privo di postura ideologica, un «quadro neutrale sul religioso» che apra la possibilità di «una educazione alla coesistenza degli universi religiosi che il nostro tempo vede troppo spesso confliggere».
Non esistono religioni prive di oggetti sacri e non esistono religioni e culture aniconiche, che possano cioè fare totalmente a meno delle immagini. Esistono certo religioni ed epoche iconoclaste, così come l’autenticità degli oggetti religiosi (una reliquia, un’immagine autoprodotta della Vergine su un muro o in una stampa fotografica) suscita spesso conflitti e contrasti tra autorità e fedeli o tra aderenti a culti differenti. Uno stesso oggetto sacro poi può far scaturire punti di vista alternativi.
A Cuzco, l’antica capitale dell’impero Inca, nel corso del XVI secolo, l’ostia — il corpo di Cristo secondo i cristiani — veniva fatta sfilare in processione il giorno del Corpus Domini, una festa inserita nel calendario cristiano nel 1311 da Clemente V. Per gli spagnoli la materia sacra dell’ostia, un oggetto che, è bene ricordarlo, secondo il credo cattolico non rappresenta, ma è la divinità, rendeva visibile nel suo percorso processionale il trionfo della civiltà sulla barbarie, la vittoria politica, culturale e religiosa sul popolo nativo. I nobili inca avevano verso l’ostia un atteggiamento inclusivo e resiliente al tempo stesso. Inclusivo perché non ebbero difficoltà (come avviene spesso nelle religioni politeiste) ad adottare divinità e immagini sacre cristiane, ma anche resiliente perché il Corpus Domini veniva celebrato lo stesso giorno in cui si teneva in precedenza la festa del solstizio d’estate in onore della divinità solare. I nobili inca decoravano i loro vestiti con il Sole che «rappresentava l’aspetto dell’ostia rotonda racchiusa nell’ostensorio quasi sempre rifinito in modo tale da ricordare i raggi che promanano da qualcosa di simile al Sole (nel caso specifico lo Spirito Santo)».
Pochi termini hanno avuto un successo simile a quello di «feticcio» nel linguaggio delle scienze e delle religioni europee. Derivata dal portoghese (e a sua volta dal latino) feitiço , cioè «fatto», «fabbricato», «artefatto», la parola «feticcio» è servita a giudicare e svalutare esperienze religiose di società africane, oceaniane, americane, assimilate a religioni popolane e folkloriche (anch’esse piene di «feticci») e considerate troppo invischiate nella materialità degli oggetti e delle immagini a scapito dell’autentica spiritualità.
In realtà, nessuna religione può fare a meno della materia sacra: la distinzione tra «venerare» e «adorare» le immagini sacre, ovvero tra il considerarle semplici rappresentazioni oppure parte della realtà trascendente (divinità, antenati) è possibile solo a livello teorico-filosofico. Nella pratica religiosa (di qualunque religione), oggetti e immagini aprono la via al trascendente proprio perché si collocano, in modo ambivalente, tra il qui e l’ altrove , tra la materia e il simbolo, tra l’ordinario e lo straordinario. Da questo punto di vista gli oggetti sono fonti di autorità e sono dotati di capacità di azione ( agency ). Allo stesso modo, il corpo — concepito à la Merleau-Ponty come un «chiasmo», ovvero materia che tuttavia sola ci può far sperimentare ciò che sta oltre — è veicolo dell’esperienza religiosa.
Attorno a corpi e oggetti «densi», Fabietti ha costruito un testo che, per autorevolezza e ampiezza di riferimenti comparativi, è destinato a divenire un punto di riferimento imprescindibile per un settore di studi come l’antropologia delle religioni.
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Fetiço (feticcio) o fatiço/fatiso (artefato, falso, falbo)

Messaggioda Berto » gio apr 02, 2015 8:21 am

Ho organizzato la mia lezione in questo modo:
quattro parole da insegnare a non usare nel campo dello studio della religione antica (e non solo antica).


O meglio, quattro parole di cui spiegare in classe l’origine, la storia - gli equivoci, i fraintendimenti e
perfino le ingiustizie in cui esse possono farci cadere se non si è coscienti, appunto, della loro origine e della loro storia.


Si tratta di: pagano, idolo, feticcio, politeismo / monoteismo.
Ovviamente la più delicata, e quella che richiederà maggior tempo per la discussione, è l’ultima: politeismo

http://www3.unisi.it/ricerca/centri/cis ... ppunti.pdf
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Fetiço (feticcio) o fatiço/fatiso (artefato, falso, falbo)

Messaggioda Berto » dom lug 19, 2015 6:52 am

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Messaggioda Berto » mar apr 25, 2017 7:15 am

C’è un luogo in Italia che ospita il sangue di Gesù e la spugna imbevuta sul Golgota
Gelsomino Del Guercio
Apr 24, 2017

http://it.aleteia.org/2017/04/24/mantov ... esu-cristo

Le reliquie contenute nei "sacri vasi" sono state portate dal soldato che trafisse con la lancia il costato di Cristo

Preziose reliquie di Gesù Cristo ospitate da quasi due millenni nella cattedrale di Mantova. E contenute nei cosiddetti “Sacri vasi”.

Le reliquie vennero portate nella città lombarda da Longino, il soldato che trafisse con una lancia il costato di Gesù. Dalla ferita uscirono sangue ed acqua che, cadendogli sul volto, gli fecero guarire gli occhi ammalati e lo fecero convertire alla fede cristiana (http://www.turismo.mantova.it).

L’ARRIVO A MANTOVA

Longino, raccolto il sangue di cui era intrisa la terra ai piedi della croce, lo custodì assieme alla spugna che era servita per dare da bere a Cristo sul Golgota. Poi arrivò a Mantova, dove nascose le preziose reliquie nel’ospedale per i pellegrini in cui aveva trovato albergo.

Il 2 dicembre del 37 Longino subì il martirio in contrada Cappadocia.

RELIQUIE “AUTENTICHE”

La cassetta con le reliquie venne ritrovata nell’anno 804, nell’orto dell’ospedale di Santa Maddalena, dove era stata sepolta accanto alle ossa di Longino. A quel punto, il pontefice Leone III inviato a Mantova dall’imperatore Carlo Magno ne dichiarò l`autenticità, avendone avuto in dono una porzione per l`imperatore.

DAL MONASTERO ALLA BASILICA

Nuovamente occultate, temendo la loro profanazione da parte degli Ungari che minacciavano di invadere Mantova, le reliquie furono riscoperte nel 1048, al tempo di Beatrice e Bonifacio di Canossa che fecero costruire nel luogo del ritrovamento un monastero benedettino e una chiesa, poi distrutta per far posto all’edificio dell’attuale basilica di Sant’Andrea, voluta di Ludovico II Gonzaga.

“LA BARCA DELL’ASCENSIONE”

In passato in occasione dell’esposizione della reliquia si svolgeva il burchiello della Sensa (la barca dell’Ascensione) organizzato dal’arte dei pescatori. Era una sorta di spettacolo allegorico durante il quale alcuni pescatori interpretando gli apostoli Pietro, Giovanni ed Andrea lanciavano pesci e anguille sulla folla prendendoli da una barca che veniva portata a braccia dalla cattedrale a Sant’Andrea.

LE DODICI CHIAVI

Per tradizione, ogni anno nel pomeriggio del Venerdì Santo si svolge la cerimonia per l’apertura dei forzieri che custodiscono i due preziosi reliquari, e che vengono posti ai piedi del Cristo crocifisso nell’abside della Cattedrale.

L’apertura è un’operazione laboriosa che comporta l`impiego di ben 12 chiavi, conservate da autorità ecclesiastiche e statali. Una dopo l`altra vengono aperte le serrature dei forzieri tra il silenzio dei presenti.

AI PIEDI DEL CRISTO CROCIFISSO

Quando finalmente i due reliquiari sono all’esterno, il Vescovo incensandoli pronuncia una preghiera.

I Sacri Vasi sostenuti, uno dal Vescovo e l`altro da un`altro prelato, percorrono la cripta e le strette scale che portano nella Basilica, poi i due vasi con le reliquie sono posti ai piedi del Cristo crocifisso nel lato sinistro dell`abside della Cattedrale. Ed è questo il momento più solenne della cerimonia.
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Messaggioda Berto » mar mag 30, 2017 5:47 am

Reliquia
https://it.wikipedia.org/wiki/Reliquia
Il termine reliquia (dal latino reliquiae che significa resti) indica, in senso stretto, la salma, o una parte di essa, di una persona venerata come santo o beato e più in generale di una persona famosa. In senso lato, una reliquia è un qualsiasi oggetto che abbia avuto con i santi una più o meno diretta connessione, come vesti, strumenti del martirio o qualsiasi cosa essi usarono. Si parla di reliquie da contatto nel caso di oggetti che sono stati a contatto con altre reliquie del santo; quest'uso ha permesso di soddisfare il desiderio di molti fedeli di possedere un oggetto collegato al personaggio venerato senza la necessità di procedere al continuo frazionamento delle reliquie autentiche.

Lista reliquie cristiane
https://it.wikipedia.org/wiki/Lista_di_ ... _cristiane

Reliquie attribuite a Gesù
https://it.wikipedia.org/wiki/Reliquie_ ... _Ges%C3%B9


La Sindone di Torino, nota anche come Sacra Sindone o Santa Sindone
https://it.wikipedia.org/wiki/Sindone_di_Torino
La Sindone di Torino, nota anche come Sacra Sindone o Santa Sindone, è un lenzuolo di lino conservato nel Duomo di Torino, sul quale è visibile l'immagine di un uomo che porta segni interpretati come dovuti a maltrattamenti e torture compatibili con quelli descritti nella passione di Gesù. La tradizione cristiana identifica l'uomo con Gesù e il lenzuolo con quello usato per avvolgerne il corpo nel sepolcro.

Il termine "sindone" deriva dal greco σινδών (sindon), che indicava un ampio tessuto, come un lenzuolo, e ove specificato poteva essere di lino di buona qualità o tessuto d'India. Anticamente "sindone" non aveva assolutamente un'accezione legata al culto dei morti o alla sepoltura, ma oggi il termine è ormai diventato sinonimo del lenzuolo funebre di Gesù.

Nel 1988, l'esame del carbonio 14 sulla Sindone, eseguito contemporaneamente e indipendentemente dai laboratori di Oxford, Tucson e Zurigo, ha datato la sindone in un intervallo di tempo compreso tra il 1260 e il 1390[1], periodo corrispondente all'inizio della storia della Sindone certamente documentata. Ciononostante, la sua autenticità continua a essere oggetto di fortissime controversie.

http://www.sindone.it
https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/c ... la-sindone


Dubbi sull’età della Sindone Gli esperti riaprono il caso
fabio pozzo
2018/05/03

http://www.lastampa.it/2018/05/03/itali ... agina.html

A trent’anni dalla datazione della Sindone con la tecnica del radiocarbonio, emergono nuovi dubbi sull’affidabilità di quel risultato, secondo il quale il lenzuolo che porta impressa l’immagine del corpo di un uomo flagellato e crocifisso come Gesù sarebbe in realtà un tessuto risalente all’epoca medioevale. Se ne parlerà all’incontro annuale del comitato scientifico del Centro Internazionale di Sindonologia, il 5 e il 6 maggio a Chambéry, in Savoia, con medici, fisici, chimici, storici e biologi internazionali. Tra questi Paolo Di Lazzaro, dirigente di ricerca dell’Enea di Frascati, che nel suo intervento ricorderà come «il calcolo che trasforma il numero di atomi C-14 nell’età di un tessuto» presenti «maggiori incertezze rispetto ad altri campioni solidi (ossa, manufatti, etc.) a causa della maggiore permeabilità del campione tessile agli agenti esterni (digestione batterica, muffe, sporcizia)».
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Fetiço (feticcio) o fatiço/fatiso (artefato, falso, falbo)

Messaggioda Berto » mar mag 30, 2017 5:48 am

Il culto delle reliquie non è anacronistico
20 ottobre 2016

http://www.famigliacristiana.it/blogpos ... stico.aspx

Da giorni nella mia diocesi è arrivata la reliquia di san Giovanni Paolo II: alcune gocce di sangue su un tessuto. Grande è stata la partecipazione dei fedeli, e altrettanto emozionante quando la reliquia è entrata in chiesa con un sottofondo registrato della voce del santo Papa. Ne ho parlato con amici e conoscenti, e sono rimasta esterrefatta quando li ho sentiti scagliarsi contro il culto delle reliquie, deƒfinendole una macabra superstizione. Non sono stata in grado di reggere la discussione, ho soltanto sorriso e ognuno è rimasto sulle proprie posizioni. Mi sarebbe piaciuto saper rispondere.

PAOLA

Lo scetticismo dei tuoi amici, cara Paola, deriva senz’altro da una non conoscenza del culto delle reliquie. Forse hanno in mente una distorta religiosità popolare che ne ha fatto un uso magico, quasi fossero dei talismani per proteggerci. O avranno letto di quando nel Medioevo se ne faceva commercio o se ne fabbricavano di false per ragioni di prestigio e denaro. Non c’è nulla di anacronistico nella venerazione delle reliquie, se intese secondo il Vaticano II, che afferma: «La Chiesa, secondo la sua tradizione, venera i santi e tiene in onore le loro reliquie autentiche e le loro immagini. Le feste dei santi infatti proclamano le meraviglie di Cristo nei suoi servi e propongono ai fedeli opportuni esempi da imitare». Venerare una reliquia è venerare la misericordia di Dio che s’è realizzata nel santo. Occorre, quindi, ricondurre la devozione alla giusta dottrina della Chiesa.



L'Italia delle reliquie, dove la fede autentica sconfina nel profano
Giacomo Galeazzi
2/02/2014

http://vaticaninsider.lastampa.it/index ... ae676d3a49

Sei giorni di ricerche serrate, poi il ritrovamento, in più fasi, di tutta la reliquia trafugata dal santuario di San Pietro della Ienca alle falde del Gran Sasso: il tessuto intriso del sangue di papa Wojtyla, tolto dalla teca di metallo, era stato strappato e abbandonato dai ladri, che non ne avevano capito il valore, in un garage.

La polizia ha trovato in casa di uno dei tre responsabili del furto sacrilego i filamenti di seta dorata che sostenevano nella teca, con una cucitura, il sacro resto. «Un miracolo ritrovare tutto» commentano gli investigatori. Una vicenda, a lieto fine, che ha riacceso i riflettori sull’Italia devota che venera le reliquie.

Le ostensioni delle spoglie mortali dei santi e il culto delle reliquie fanno parte della tradizione cattolica, però la Chiesa ha sempre messo in guardia dal rischio di far sconfinare la devozione popolare in superstizione. Si tratta di pratiche diffuse fin dalle origini del cristianesimo: il culto delle reliquie è antichissimo. La ricerca dei luoghi di guarigione e le vicende dei santi svelano leggende, storie e tradizioni spesso sorprendenti e utili a focalizzare la natura umana.

Ma al tempo stesso il culto delle reliquie è una materia delicata, da sottrarre all’irrazionalità di chi grida troppo facilmente al miracolo. Per questo entra in gioco la disciplina del codice di diritto canonico. Si possono, infatti, onorare con culto pubblico solo quelle reliquie la cui veridicità sia stata certificata dall’autorità ecclesiastica ed è assolutamente illecito venderle.

Pregare davanti al corpo di un santo o a una sua reliquia, significa ringraziare Dio che lo ha sostenuto nel cammino verso la santità. Il fine dell’adorazione, perciò, deve restare Dio. Approfondire storicamente il senso di questa devozione può anche portare alla scoperta di un senso della fede più autentico. Il culto delle reliquie, però, va distinto dai pellegrinaggi, mutati di fisionomia rispetto al Medioevo e con i santuari come meta.

Il Concilio Vaticano II si è occupato delle reliquie. I santi sono venerati nella Chiesa, secondo la tradizione, e le loro reliquie e immagini sono tenute in onore. Le feste dei santi proclamano le «meraviglie di Cristo nei suoi servi» e propongono ai fedeli opportuni esempi da imitare. La reliquia è la testimonianza viva di un santo o di un beato. È una realtà fisica che ha una relazione speciale con la grazia.

Esistono due tipi di reliquie. Il primo tipo è costituito dal corpo e può essere concesso esclusivamente per culto pubblico (in una chiesa, in un oratorio, in un seminario). Il secondo tipo è rappresentato dagli indumenti o dagli oggetti che sono stati in contatto con il corpo di un santo, vivo o morto.

Spesso le reliquie diventano veicoli del sacro, ma occorre inquadrare correttamente la loro funzione.

In alcuni casi, come per l’ostensione delle spoglie mortali di Padre Pio, è affiorato il pericolo di un eccesso di devozione miracolistica. Sotto il profilo teologico le reliquie non sono fondamentali per credere, però possono essere un aiuto. A Costantinopoli gli imperatori bizantini hanno conservato per secoli questi frammenti di sacralità al punto da ritenerli un antidoto contro le eresie. I pellegrinaggi, poi, sono esperienze religiose universali ed espressioni tipiche della pietà popolare. I santuari, in particolare, hanno spesso un simbolismo che li connette alla Bibbia e a personaggi come

Abramo, Isacco, Giacobbe. Nelle ostensioni, spettacoli con uno scarso radicamento, talvolta il valore autentico finisce in secondo piano rispetto ai grandi numeri dell’evento.




Il culto delle reliquie è una tradizione molto vecchia che ha il suo posto non solo nella religione cristiana ma anche in altre religioni e culture. "L'uomo, infatti, ha sempre sentito il bisogno di appoggiare la sua fede a qualcosa di concreto e di tangibile che faccia quasi da intermediario tra lui e la divinità. Da cui le credenze nella virtù miracolosa delle sante reliquie."
(M.P.Giardini, Tradizioni popolari nel Decamerone, L.Olschki, Firenze, 1965, p.13)f

http://www.rose.uzh.ch/static/decameron ... liquie.htm

Nel Buddismo, per esempio, la venerazione delle reliquie è un fatto istituito e provato: la tradizione vuole che i resti cremati di Buddha fossero divisi alla sua morte nel 483 a.C. in parti uguali tra le Otto tribù indiane. I maomettani, malgrado la disapprovazione ufficiale, venerano reliquie connesse al Profeta o ai primi santi nello stesso modo dei cristiani di fede cattolica.
La venerazione dei resti dei morti è probabilmente tanto antica quanto la religione stessa. L'uomo di Neanderthal e forse l'Homo erectus in tempi ancora precedenti praticavano un cannibalismo rituale, evocando in questo modo una partecipazione magica attraverso la quale l'anima, il potere e le qualità di un morto potevano continuare ad operare; si sviluppò così la tradizione secondo cui chiunque indossasse una reliquia, la portasse, la toccasse o la invocasse, avrebbe beneficiato della sua potenza.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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