I cristiani siriani e libanesi contro Israele e i suoi ebrei

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Messaggioda Berto » mar apr 17, 2018 7:47 pm

I cristiani siriani e libanesi complici del nazismo maomettano iraniano contro gli ebrei e Israele
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Messaggioda Berto » mar apr 17, 2018 7:48 pm

I cristiani siriani e libanesi che consentono anche tacitamente che nei loro paesi si espanda e consolidi la presenza militare e politica dei nazistimaomettani sciiti iraniani e filo iraniani contro Israele e i suoi ebrei si fanno complici di questi criminali.
Non meritano alcuna considerazione di rispetto e di amore e trattamento di riguardo.
Lo stesso per i cristiani d'Egitto, d'Europa e d'America che sostengono i nazi maomettani di ogni setta e palestinesi contro Israele e i suoi ebrei.
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Messaggioda Berto » mar apr 17, 2018 7:49 pm

La parlamentare cristiana: "Assad non è un dittatore, il Papa interceda per la Siria"
Intervista a Maria Saadeh, 41enne e di religione cristiana, eletta come indipendente alle elezioni politiche subito dopo l’inizio della guerra
Sebastiano Caputo - Ven, 25/09/2015

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/par ... 75429.html

Da Damasco – Pochi sanno che nel parlamento siriano esiste un’opposizione composta da tutta una serie di piccoli gruppi politici e che su 280 deputati, 30 sono donne. Tra queste emerge Maria Saadeh, 41enne e di religione cristiana, eletta come indipendente alle elezioni politiche subito dopo l’inizio della guerra.

L’abbiamo incontrata e intervista in esclusiva per IlGiornale.it nella capitale siriana in occasione della conferenza internazionale per la pace “Step for Syria” organizzata da esponenti della società civile.

Come rispondete a chi dice che siete una parlamentare in un regime dittatoriale?

Sono in particolare i media occidentali che definiscono la Siria, senza averne il diritto, una dittatura. Noi siriani non lo pensiamo affatto, soprattutto ora che ricordiamo la qualità della vita del nostro Paese prima della guerra. La Siria è civilizzazione, è cultura, è religione, è storia, è una terra che dà lezioni di umanità al mondo intero. Quello a cui noi facciamo oggi fronte è contro l’umanità. Allora i governi occidentali non ci venissero a dire che viviamo in una dittatura, per loro è solo un pretesto, per distruggere il nostro patrimonio. Io come cittadina siriana, come donna, che ha visto con i suoi occhi le falsità recitate a gran voce da Stati Uniti ed Europa, posso dirvi che la loro strategia è stata quella di scegliere dei rappresentanti che a parole parlavano a nome dei siriani ma che in realtà lavoravano per gli interessi occidentali. Per questo motivo ho deciso di candidarmi come parlamentare, per avere una tribuna legale, e parlare veramente a nome del popolo siriano, e dire agli occidentali che si sono sbagliati e che non potranno cancellare il nostro patrimonio, la nostra storia e il nostro avvenire. E poi diciamocelo, la democrazia occidentale è una bugia.

Quando Lei era una cittadina e appena eletta in Parlamento cosa rinfacciava a Bashar al Assad?

C’erano molti disaccordi! Ma ora il problema non è più se ci sono o meno, qui in Siria è in corso una guerra internazionale contro lo Stato. È nostro dovere, del governo e dell’opposizione, difenderlo. È nostro dovere difendere la nostra sovranità politica, economica e militare. Il governo ha fatto molti errori ma chi non ne ha mai fatti? Il mio dovere da deputata è di farli notare e correggere e, allo stesso modo, di dire alla stampa e ai giornali siriani di mediatizzare i veri problemi della gente comune, così da non lasciare margine di pressione alle potenze straniere. Oggi viviamo una guerra che viene da fuori, dobbiamo rimanere uniti, maggioranza e esposizione.

Chi erano questi manifestanti che nel 2011 scendevano nelle strade per manifestare contro il governo?

Vi racconterò un aneddoto personale. Quando ero ancora architetto avevo degli operai che lavoravano per me. All’inizio della crisi non li vedevo mai nei cantieri perché partecipavano in massa alle manifestazioni. La verità è che questi non venivano a lavorare non perché condividevano le ragioni della protesta ma perché venivano pagati molto di più da chi orchestrava il tutto!

Molti di quei manifestanti che erano in buona fede e che si sono fatti manipolare hanno raggiunto Bashar Al Assad quando la situazione si è aggravata?

Certo perché non si trattava di una vera rivoluzione. Settimana dopo settimana sono cadute le maschere.

Nel 2013 avete incontrato il Papa in Vaticano, cosa vi siete detti?

Ho chiesto di incontrarlo mandandogli una lettera a nome di tutto il popolo siriano, musulmani compresi, e ho ricevuto una risposta tramite l’ambasciata che è qui nel mio Paese. Così l’ho incontrato in Vaticano. Papa Francesco nel suo ruolo deve aiutarci prendendo una decisione precisa in vista della pace. Lui che è una figura così amata nel mondo può far capire che la causa siriana è anche la causa di tutta l’umanità.

Forse è anche grazie a Lei che è stata organizzata una veglia per la pace in Siria?

Non lo so però sono l’unica siriana che ha fatto visita al Papa. Può darsi.

E i cristiani che posizione hanno sulla guerra e sul governo?

Faccio una premessa. Io non parlo a nome dei cristiani ma a nome di tutti i siriani indipendentemente dall’etnia o dalla religione di riferimento. La Siria è la culla culturale e religiosa del cristianesimo dunque è nel loro interesse la pace.

Come giudica l’intervento dei russi nel conflitto siriano?

Purtroppo sono i russi ad aiutarci. Dico “purtroppo” perché storicamente abbiamo avuto ottimi rapporti con l’Occidente a parte ora che conducono una battaglia contro di noi da 4 anni. È in corso una guerra internazionale di conseguenza è inevitabile che dobbiamo combatterla al fianco di altri Paesi che appoggiano la nostra causa. Sono fiera e onorata se la Russia come altre nazioni stanno dalla nostra parte.

Crede che la pace in Siria debba essere raggiunta con un governo di transizione oppure attraverso una vittoria militare del partito Baath a cui fa capo Bashar Al Assad?

Credo che se le dimissioni del presidente Bashar Al Assad vengano decise da lui senza pressioni internazionali potrebbe nascere un governo di transizione, tuttavia non sono d’accordo sul fatto che lui debba lasciare il suo incarico perché qualcuno dall’estero lo ha deciso al suo posto. Il futuro della Siria lo decidono soltanto i siriani.

Ma il popolo siriano ha degli strumenti istituzionali per farsi sentire?

Assolutamente si. Ci sono delle elezioni, c’è un’opposizione, ci sono tanti partiti politici, e soprattutto tutti hanno il diritto di candidarsi.





La Siria cristiana sostiene Assad
(di Davide Pellegrino)
2018/04/12

http://www.oltrelalinea.news/2018/04/12 ... iene-assad

“Gli ultimi sviluppi della guerra in Siria mostrano che non vi è la volontà di lasciare in pace questo Paese; al contrario, attori regionali e potenze mondiali sembra stiano cercando sempre più un pretesto per intervenire con una durezza ancora maggiore, e combattere. Damasco sta chiedendo al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di inviare una commissione di inchiesta. Tuttavia USA, Regno Unito e Francia vogliono adottare il pugno di ferro e non sembrano accettare alcun compromesso”. Queste le parole del vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, commentando il clima di tensione venutosi a creare in seguito alla farsa dell'”attacco chimico” a Douma, recentemente bonificata dall’esercito siriano e teatro di giubili da parte della popolazione.

La cristianità, in Siria, sta con Bashar al-Assad. È il ringraziamento più bello per le sue visite, ogni 25 dicembre, presso il Monastero di Nostra Signora a Saydnaya, costruito nel V secolo e appartenente al Patriarcato Ortodosso di Antiochia dove rende onore alle origini del suo Paese e alle sue tradizioni. La Siria, infatti, nella storia, è stata crogiolo del Cristianesimo per la prossimità di Damasco con la Gerusalemme e la presenza di luoghi simbolici. Basti pensare al Sacrario di San Giovanni Battista nella Moschea degli Ommayadi, a San Simeone, luogo di riferimento per gli stiliti, oppure Santa Tecla a Maaloula, cittadella divenuta tristemente famosa, nel 2013, per il massacro e la distruzione parziale del patrimonio culturale perpetrati dai miliziani qaedisti di Jabhat al-Nusra.

Nessuno, che sia musulmano, ebreo o profugo, pensa di minarne la sacralità. È il riconoscimento di quanto avvenuto a Sadad, villaggio cristiano sulla strada per Palmira. Qui, durante l’assedio avvenuto nel 2013 ad opera dei Fratelli Musulmani, l’esercito siriano ed Hezbollah dormirono nelle case dei cristiani per rassicurarli. Li fecero sentire parte integrante della comunità. Che l’Occidente, che affonda le radici in questa religione, prenda esempio.



I cristiani siriani: «Vogliono distruggerci, le armi chimiche un pretesto per fare la guerra»
di Antonio Sanfrancesco
L’ incubo è che si ripeta quanto successo con l’ Iraq di Saddam Hussein nel 2003, attaccato con l’ accusa di avere armi che non furono mai trovate. Il vescovo caldeo di Aleppo Antoine Audo critica Trump: «Usa l'argomento degli attacchi chimici solo per continuare la guerra, alimentare il commercio di armi e compiacere l'Arabia Saudita». E il vicario apostolico dei latini Georges Abou Khazen: «Hanno gettato la maschera»
14/04/2018

http://m.famigliacristiana.it/articolo/ ... guerra.htm

«Siamo stati svegliati alle 4 di notte dal sibilo dei missili e abbiamo capito che gli attacchi erano in corso. Si sono udite delle esplosioni nei dintorni di Damasco. Qui al centro per ora tutto è tranquillo ma la gente è preoccupata per il futuro. La popolazione vuole vivere in pace e non sotto l’ incubo delle bombe». Al Sir, l’ agenzia della Cei, le parole di padre Bahjat Elia Karakach, francescano della Custodia di Terra Santa, superiore del convento dedicato alla conversione di san Paolo, la parrocchia principale di rito latino della Capitale, a Damasco, racconta l’ attacco congiunto di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia sferrato nella notte contro tre obiettivi a Damasco e Homs. Si tratterebbero di un centro di ricerca nella capitale siriana, di un impianto di stoccaggio di armi chimiche e di una struttura contenente armi chimiche ed equipaggiamenti, entrambi a ovest di Homs. La risposta militare di Trump al presunto utilizzo di armi chimiche contro la città siriana di Douma, che gli Usa hanno da subito attribuito al regime di Bashar al Assad, non si è fatta attendere oltre. «Sapevamo che esisteva l’ intenzione di bombardare da parte degli Usa dopo il presunto attacco chimico alla Ghouta orientale ma la speranza era riposta in un’ indagine oggettiva sull’ uso di armi chimiche e che per questo non ci sarebbero stati lanci di missili», dichiara il frate che spera che «non si ripeta quanto già avvenuto in Iraq che fu invaso nel 2003 (da una coalizione formata per la maggior parte da Stati Uniti e Regno Unito, e con contingenti minori di altri Stati, ndr) perché il regime di Saddam Hussein era stato accusato di possedere armi di distruzione di massa. Armi che non furono mai trovate. La volontà è distruggere la Siria. Il progetto va avanti con queste bombe. Non ci resta che pregare per la pace ora più che mai».

All’ agenzia DIRE monsignor Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo e presidente di Caritas Siria, accusa Donald Trump: «Usano l'argomento degli attacchi chimici solo per continuare la guerra, alimentare il commercio di armi e compiacere l'Arabia Saudita», ha detto. «Vogliono dimostrare il loro potere ma come vescovi e come cristiani diciamo che alla storia delle armi chimiche non crediamo», ha aggiunto il Vescovo dopo i raid contro obiettivi governativi a Damasco e Homs. «Questo è solo un argomento per alimentare la guerra in Siria e il commercio delle armi, sfruttando la lotta tra sunniti e sciiti e compiacendo l'Arabia Saudita e le altre potenze del Golfo».

Il Vicario apostolico di Aleppo: «Con questi missili hanno gettato la maschera»

Molto critico sui raid di Usa, Francia e Gran Bretagna anche il Vicario apostolico di Aleppo dei Latini, monsignor Georges Abou Khazen, che al Sir ha detto: «Con questi missili hanno gettato la maschera. Prima era una guerra per procura. Ora a combattere sono gli attori principali. Sono sette anni, è iniziato l’ ottavo, che si combatte sul suolo siriano e ora che gli attori minori sono stati sconfitti, in campo sono scesi i veri protagonisti del conflitto».

Le bombe della scorsa notte sono state sganciare come reazione ai presunti attacchi chimici nel Ghouta: «Aspettiamo gli esperti per indagare sul presunto attacco chimico a Douma ma dopo questi raid sarà tutto più difficile», dice Khazen. «Ogni appello alla pace cade nel vuoto, solo papa Francesco continua a sperare nella pace e noi con lui. Intanto cresce la sofferenza della popolazione che chiede pace e in cambio ottiene bombe e missili. Qui la gente si aspettava qualcosa di simile e purtroppo è avvenuto». L’ auspicio di mons. Abou Khazen è che «questi attacchi non si allarghino anche in altri luoghi della regione perché sarebbe davvero pericoloso e tutto potrebbe sfuggire di mano. Serve una soluzione condivisa da raggiungere senza menzogne. Non abbiamo altre armi che la preghiera. Oggi», conclude il francescano, «il Vangelo ci propone il racconto degli Apostoli sulla barca in mezzo alla tempesta, di notte, salvati da Gesù che, apparso loro, diceva: “Sono io, non abbiate paura!”. Questa sia la nostra speranza e la nostra forza». Proprio nei giorni scorsi era stata annunciata dal vicario l’ organizzazione di una «Giornata di preghiera nazionale per la pace».




Un francescano di Damasco: Assad non usa armi chimiche, è tutta una menzogna
Gelsomino Del Guercio
2018/04/17

https://it.aleteia.org/2018/04/17/sacer ... U.facebook

Padre Bahjat Elia Karakach diffonde un audio nel quale attacca Usa e alleati e sostiene che l'esercito siriano abbia smantellato le armi non convenzionali

L’esercito siriano non utilizza armi chimiche. Il governo Assad è sotto lo scacco di una menzogna alimentata dagli Stati Uniti e i suoi alleati.

Utilizza parole durissime uno dei più autorevoli religiosi cattolici in Siria: padre Bahjat Elia Karakach francescano della Custodia di Terra Santa, superiore del convento dedicato alla conversione di san Paolo, la parrocchia principale di rito latino della Capitale, a Damasco.

“È solo una messa in scena”
IDLIB, SYRIA - APRIL 4: Children get treatment at a hospital after Assad Regime forces attacked with chlorine gas to Khan Shaykhun town of Idlib, Syria on April 4, 2017. Sadduldin Zaidan / Anadolu Agency

Il suo è un intervento destinato a far discutere, perchè ancora più radicale di quelli pro Assad che si sono ascoltati da vari esponenti della Chiesa cattolica in Siria. «Per chi mi chiede sull’uso di armi chimiche da parte del governo – afferma Padre Karakach – vorrei ricordare che nel 2003 l’Iraq è stato attaccato dagli Stati Uniti e i suoi alleati con la pretese di combattere un regime che aveva in dotazione le armi chimiche. E’ stata una menzogna».

«Tuttora – prosegue il sacerdote di Damasco – ogni volta che l’esercito governativo regolare riesce a riconquistare un’area che era stata presa dai ribelli terroristi, c’è questa messa in scena per convincere l’opinione mondiale che si sta combattendo un regime sanguinario».

“Il nostro governo non è stupido”

Il parere del frate-sacerdote è tranchant: «Tutto questo è una grande menzogna perché il nostro governo non è stupido da fare una cosa che diventerebbe una pretesa per un attacco occidentale. L’esercito non ha bisogno di usare le armi chimiche perché le ha già smantellate sotto il controllo dei russi, qualche anno fa, e oggi sta avanzando senza l’uso di questi metodi, vincendo la guerra al terrorismo».


Alberto Pento
Potrebbe anche essere; però quello che è certo è che lo sciita alawita Assad è complice dell'Iran sciita a cui consente l'espansione e l'insediamento militare per aggredire Israele e in tal senso è responsabile e colpevole. La distruzione della centrale nucleare nel 2008, mi pare, da parte di Israele e i bombardamenti di Israele di qualche giorno fa a centri militari iraniani in Siria ne sono una testimonianza.



La «resistenza» dei cristiani nella Siria che non trova pace
19/04/2018
Avvenire

https://www.msn.com/it-it/notizie/mondo ... oy?ocid=sf

Mentre la sconfinata infosfera che tutto avvolge s’infiammava per la questione dei bombardamenti del regime di Assad per liberare Douma dai ribelli, asserragliati nell’ultima loro roccaforte nelle vicinanze di Damasco; mentre si discuteva sulla non chiara vicenda dell’uso di bombe chimiche nell’attacco dell’esercito siriano; mentre nelle cancellerie occidentali si analizzavano i modi più efficaci per punire il presidente che non sorride mai; mentre il suo collega a stelle e strisce inviava tweet al vetriolo contro «l’animale di Damasco»; mentre il consiglio di sicurezza dell’Onu naufragava per l’ennesima volta nel suo ruolo di protettore della pace per i veti incrociati delle grandi potenze; mentre l’opinione pubblica internazionale si divideva via social tra colpevolisti e innocentisti, tra interventisti e attendisti...

Mentre tutto ciò accadeva, come in un’enorme Risiko planetario, mi sono trovato sotto i cieli siriani in mezzo alla gente comune, ai poveri, agli impauriti, ai mutilati, portato in giro per il Paese da uno sgangheratissimo tassì guidato da un gentilissimo tassista, da Damasco, a Homs, ad Aleppo, passando da un posto di blocco all’altro, osservando la presenza di una quantità impressionante di uomini in divisa, quasi tutti disarmati e affaticati, a dire il vero. Sono stato proprio nelle tre città dove missili e bombe hanno colpito con attacchi dichiarati o negati ma reali, dalla più che dubbia legittimità internazionale; su queste città sono caduti missili e bombe Usa, francesi, inglesi e probabilmente israeliane, col sostegno logistico anche della nostra Repubblica. Mentre tutto ciò accadeva, senza che si avvertissero particolari fremiti in una popolazione che da 7 anni scruta il cielo e aguzza l’udito per capire quanto il pericolo sia vicino, ho potuto ammirare l’eroismo di cristiani, alawiti e musulmani sciiti e sunniti.

Ho visto gente che in silenzio si occupa di ammalati senza più un centesimo per comprare la dose necessaria di chemio da mille dollari a iniezione. Ho apprezzato uomini e donne che si prendono cura dei più piccoli traumatizzati dalla paura lunga un’intera vita, la loro. Ho visto militari che, a modo loro, pur nella fedeltà ai superiori, hanno fatto la scelta della non-violenza assoluta. Ho accompagnato suore che vivono di pura misericordia e con le pallottole cadute sul loro ospedale realizzano croci, un estremo atto di pacificazione e perdono nell’identificazione al Cristo abbandonato. Ho preso il caffè con muftì che sotto le bombe hanno applicato il «silenzio che parla» e hanno lasciato sempre la luce accesa a casa loro, «per rassicurare gli smarriti». Ho conversato con preti che s’inventano musicisti per aiutare il ritorno alla normalità del popolo che non ha santi a cui votarsi nel cielo della politica. Ho udito la testimonianza di insegnanti che hanno cercato di dare un senso alla vita dei loro allievi colpiti dalla morte di una di loro e dall’amputazione della gamba di un’altra compagna (un razzo caduto sullo scuolabus), vite che sembravano non avere più senso...

Sotto il cielo di Siria ho incontrato pure un uomo «con la mimetica macchiata di porpora», l’unico nunzio cardinale al mondo, «un riconoscimento del Papa al popolo siriano», come lui stesso ammette. Mario Zenari mi riceve, assieme al «politico in carrozzina» Massimo Toschi, in una nunziatura anch’essa ferita da un colpo di mortaio (era il 5 maggio 2013): «Qualche minuto più tardi sarei probabilmente stato colpito nel terrazzino dove solitamente uscivo a pregare», precisa il nunzio.

Affabile e franco, il cardinale Zenari spiega l’oggi cominciando con un’impietosa requisitoria contro il Consiglio di sicurezza dell’Onu: «Ci sono gli ingredienti, ormai, per un incendio regionale e internazionale spaventoso, mentre l’Onu non riesce a far altro che a riunirsi per uscire poco dopo dai conciliaboli con una reiterata frustrazione, devastante per la pace mondiale. Non riescono nemmeno a mettersi d’accordo per dare il giusto spazio agli organismi preposti al controllo dell’uso delle armi chimiche! È di alcune settimane fa la notizia di mercenari russi rimasti uccisi a Raqqa, probabilmente da armi statunitensi: ciò ci dice che un incidente può sempre sfuggire al controllo e aprire l’irreparabile scenario di un conflitto mondiale. Siamo in una spirale di verità e controverità dalle bestiali contraddizioni. La guerra siriana è molto sporca, non c’è da credere a nessuno».

Un diplomatico per sua natura evita di prendere posizioni troppo manichee. Zenari non fa eccezione («il presidente Assad ha le sue grandi responsabilità, come le hanno i tanti altri attori sulla scena militare siriana»), mentre prende le difese senza se e senza ma dei siriani, dei deboli, dei poveri: «La situazione umanitaria è spaventosa. Non c’è famiglia che nelle zone di guerra non abbia da contare qualche morto, o ferito, o una separazione, o una fuga da casa. Il 69 per cento della popolazione vive ormai in condizione di 'estrema povertà'. I cristiani, in particolare, possono e debbono lavorare nel campo della solidarietà, e lo fanno già in molti modi a dire il vero. È il momento opportuno per non fare distinzioni tra cristiani e sunniti e alawiti. Ho udito un anziano islamico che, in coda per ricevere aiuti alla Caritas, diceva: 'Allah è grande! Gli infedeli sono venuti ad aiutarci!'. C’è bisogno di questa presenza cristiana che accoglie e unisce i cuori. Tra l’altro, quest’azione di misericordia sarà il lasciapassare per un futuro di pace in queste terre proprio per i cristiani. Ora bisogna andare nel Ghouta, bisogna andare a Douma...». En passant, precisa il suo pensiero sui corridoi umanitari: «Hanno senso se vanno a pescare i più deboli, quelli che non hanno più nessuna possibilità di restare».

Non si sottrae ad alcuna domanda, il cardinale, nemmeno a quella scomoda che riguarda i cristiani che se ne vanno dalla Siria per via della guerra («ormai sono ridotti al 4 per cento della popolazione, ad Aleppo erano 150 mila e ora sono rimasti in poco più di 30 mila»), per via della diserzione dei giovani da un servizio militare che equivale a partire al fronte, per via del lavoro perso e dell’insicurezza: «Non si può parlare di una persecuzione dei cristiani in Siria. La sofferenza è trasversale, i morti sono in massima parte musulmani. 500 mila ammazzati, un milione e mezzo di feriti, 6 milioni di profughi all’interno o all’esterno, 34 per cento delle case distrutte o inabitabili: questi sono i numeri. Forse in tutto i 'martiri' cristiani stanno sulle dita di una mano. Sono al corrente di tre parrocchie cristiane che continuano ad operare a Idlib, sotto al-Nusra e le altre compagini dei ribelli: hanno certo dovuto togliere i simboli religiosi dall’esterno delle chiese, le donne hanno dovuto mettere il velo, le liturgie non possono aver luogo fuori dai luoghi di culto… ma i cristiani anche a Idlib possono ancora vivere. Non è accaduto come in Iraq o in Egitto, salvo episodi incresciosi ad opera di mercenari non siriani». Il cardinale Zenari lancia quindi un appello: «Siate responsabili cristiani di Siria! La libertà di andarsene è di tutti, non può essere negata a nessuno. La coscienza va rispettata. Ma il rischio è uno svuotamento della Siria dai cristiani, e poi a cascata anche di altri Paesi, come il Libano. Serve misericordia con chi se ne va, ma bisogna anche capire che i cristiani di qui hanno una responsabilità grande: senza di loro il Paese perde una finestra sul mondo, il Paese perde la neutralità universale garantita dai suoi cittadini cristiani». E racconta di alcuni capi-villaggio musulmani che sono saliti in nunziatura «per manifestare il loro dispiacere perché i cristiani se ne erano andati dai loro paesi».

Il realismo del cardinale Zenari è tale da non poter nutrire un facile e semplicistico ottimismo, in un Paese che vede «i cinque più forti eserciti al mondo» schierati sul campo: «Il mosaico siriano aveva senso quando ogni tassello si interessava agli altri tasselli, il giallo al verde, il blu al rosso. Se i singoli tasselli non si interessano più agli altri tasselli e guardano solo a se stessi il futuro di convivenza rischia di non essere più praticabile. La guerra destabilizza il mosaico. Bisogna lavorare a una maggior partecipazione alla cittadinanza comune. Ma questo richiede un clima sociale post-bellico più sereno. Come dicevo, noi cristiani in questo momento possiamo creare un clima favorevole alla ripresa della vita di cittadinanza collaborando senza far distinzioni alle operazioni umanitarie e solidaristiche». Zenari conclude il nostro incontro con un’esortazione che è una decisione: «Usciamo col cuore, usciamo con le mani».
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I cristiani siriani e libanesi contro Israele e i suoi ebrei

Messaggioda Berto » mar apr 17, 2018 7:50 pm

Israele svela l'attacco al reattore di Al Assad nel 2007, un chiaro messaggio al presidente siriano
22 marzo 2018

http://www.geopoliticalcenter.com/attua ... te-siriano

Nei giorni scorsi il governo di Gerusalemme ha svelato alcuni particolari dell’azione aerea che nel 2007 ha portato alla distruzione di un reattore sperimentale siriano nel nord-est del paese. Un reattore che avrebbe permesso alla Siria di iniziare la corsa verso la produzione di armi atomiche, con l’aiuto indispensabile della Corea del Nord e del Pakistan.
Il reattore è stato distrutto da Israele, questo era noto a tutti coloro che anche solo per passione si interessano della materia, ma per dottrina Israele non aveva mai assunto ufficialmente la paternità dell’attacco. Questa scelta di “discrezione” era utile a un duplice risultato, non esporre lo stato ebraico a critiche internazionali per aver agito violando la sovranità di un paese terzo, ma era anche necessaria per salvaguardare formalmente “l’onore” della Siria e di Al Assad che in caso di diretta ammissione di responsabilità da parte di Israele avrebbe avuto il dovere morale di effettuare una rappresaglia contro obiettivi israeliani.
Cosa è cambiato oggi per far sì che il governo israeliano modifichi questa linea di condotta?
Alcuni analisti hanno suggerito che si tratti di un avvertimento all’Iran, che possiede strutture capaci di sviluppare un programma atomico militare e quindi portare alla costruzione della bomba atomica. Il nostro gruppo ritiene tuttavia che l’avvertimento di Gerusalemme sia per il presidente siriano Al Assad e per i vertici iraniani che hanno la responsabilità delle operazioni in Siria.
Nei giorni scorsi sono state rese note immagini satellitari che mostrano la costruzione di un complesso sotterraneo a ridosso del confine libanese, probabilmente a nord-ovest di Damasco. Una serie di tunnel, di ampie dimensioni e coperti nella loro parte iniziale da tettoie molto simili a quelle osservate a Fordow (lo storico sito sotterrano di ricerca e sviluppo nucleare in Iran), che garantiscono l’accesso a quello che potrebbe essere un vasto complesso militare sotterraneo.
Riteniamo che questa infrastruttura sotterranea siro-iraniana possa essere un bunker di comando e controllo da utilizzare in caso di guerra tra la Siria (ed Hezbollah) e lo stato di Israele. Da questa location i vertici iraniani e siriani potrebbero coordinare le azioni di guerra integrando le capacità delle milizie sciite libanesi, delle forze siriane, dei miliziani sciiti e delle forze missilistiche siriane ora sotto il controllo delle Guardie della Rivoluzione Iraniana.
Un secondo indizio che vogliamo portare alla vostra attenzione è realativo all’esercitazione Juniper Cobra che si è svolta in Israele e nel Mediterraneo nei giorni scorsi. In una fase delle manovre militari le forze speciali di Stati Uniti e Israele hanno simulato l’occupazione di una struttura fortificata sotterranea, un fatto anomalo per il tipo di esercitazione rappresentato da Juniper Cobra, chissà che sia invece tutto parte dello stesso messaggio indirizzato ad Al Assad.
Israele e Stati Uniti stanno dicendo alla leadership siriana una cosa sola: se lascerete che l’Iran prenda possesso della Siria e utilizzi il suo territorio contro Gerusalemme, nessun luogo sarà sicuro per voi…
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I cristiani siriani e libanesi contro Israele e i suoi ebrei

Messaggioda Berto » mar apr 17, 2018 7:51 pm

L'unico presidente cristiano del Medio Oriente appoggia Hezbollah contro Israele
2017/09/27

http://www.oltrelalinea.news/2017/09/27 ... ro-israele

Il presidente libanese Michel Aoun, come riferito dal Jerusalem Post, ha smentito le voci che la milizia sciita conosciuta come Hezbollah stia per essere disarmata, in quanto Israele non rispetta le risoluzioni ONU e le leggi internazionali. Aoun, un cristiano, ha dichiarato in un’intervista rilasciata al quotidiano francese Le Figaro che Hezbollah assicura “la resistenza del Libano contro lo Stato di Israele”, e respinge l’idea che i cristiani necessitino di protezione speciale in Libano, in quando “l’esercito difende tutto il Paese, inclusi i cristiani”.Nell’intervista Aoun difende i suoi stretti legami con la milizia, le cui voci vorrebbero che avesse giocato un ruolo fondamentale nella sua vittoria alle elezioni del 2016.

Alcune settimane fa il Libano ha protestato contro Israele alle Nazioni Unite per avere violato lo spazio aereo nazionale nel sud del Paese, causando danni per il rumore prodotto dal passaggio supersonico degli aerei. Secondo fonti libanesi, il sonic boom ha rotto finestre e scosso edifici.
Sempre parlando a Le Figaro, Aoun parla del doppio standard dell’opinione pubblica riguardo ciò che avrebbe fatto Hezbollah nel 2006 – alcune azioni che sono sfociate in un breve conflitto tra Libano e Israele – e ciò che Israele continua a fare tutt’oggi. “E’ stato un classico incidente al confine, sfociato in una reazione eccessiva da parte di Israele” ha spiegato. “Dite che Hezbollah ha violato il territorio israeliano quel giorno? E’ possibile. Ma questi tipi di incidenti accadono molto di frequente. Alcuni giorni fa alcuni jet israeliani hanno rotto la barriera del suono sopra il Libano, violando il nostro spazio aereo e causando danni”.

A luglio di quest’anno il presidente americano Donald Trump ha commesso uno dei suoi classici passi falsi quando ha detto al primo ministro libanese Saad Hariri che “il Libano è in prima linea nella lotta contro ISIS, al-Qaeda e Hezbollah”. In realtà, Hezbollah è una parte fondamentale del governo libanese, e nell’intervista Aoun ci aiuta a capire come la leadership libanese ha percepito questa gaffe. “Hezbollah non usa le sue armi nella politica interna. Esso assicura la nostra resistenza contro lo Stato di Israele, il quale continua a occupare una parte del nostro territorio e rifiuta di applicare le risoluzioni ONU sul diritto di ritorno dei palestinesi”. Sconosciuto alla maggior parte delle persone è il fatto che a settembre Israele ha tenuto la più grande esercitazione militare degli ultimi vent’anni, per simulare un’invasione del Libano. L’obiettivo dell’esercitazione era Hezbollah, e i finti nemici usavano le divise e le bandiere dei militanti libanesi. “Non puoi disarmare Hezbollah e nello stesso tempo accettare che Israele non rispetti le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU”, dichiara Aoun, “Israele potrebbe muoverci guerra in qualsiasi momento, e noi dovremmo privarci del diritto di autodifesa? No, non è possibile”.

(da The Anti Media – Traduzione di Federico Bezzi)
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I cristiani siriani e libanesi contro Israele e i suoi ebrei

Messaggioda Berto » mar apr 17, 2018 7:52 pm

ISRAELE – PALESTINA
Palestinesi cristiani insieme ai musulmani contro il controllo della Spianata delle Moschee
24/07/2017, 16.35

http://www.asianews.it/notizie-it/Pales ... 41367.html

Cristiani in preghiera con i musulmani. Per Bernard Sabella, la religione non può e non deve diventare un motivo di conflitto. C’è bisogno di saggezza per ristabilire la calma e il dialogo, come dice il papa. Adel Misk: i palestinesi cristiani e musulmani hanno detto “no” al conflitto religioso. Israele “si è arrampicata su un albero e non sa come scendere”. I musulmani non cederanno.
Gerusalemme (AsiaNews) – “Noi palestinesi cristiani stiamo al fianco dei nostri compatrioti musulmani nel chiedere che sia rispettata l’integrità del luogo di preghiera musulmano”, afferma Bernard Sabella, cattolico, rappresentante di Fatah per Gerusalemme e segretario esecutivo del servizio ai rifugiati palestinesi del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente. L’attivista pacifista Adel Misk, medico palestinese musulmano, ribadisce che la questione non è “religiosa”, ma “politica”. I palestinesi cristiani, lo scorso venerdì, hanno pregato al fianco dei musulmani per chiedere il rispetto dello Status Quo e dire “no” al conflitto religioso.
Lo Status Quo che Israele è tenuta ad osservare, stabilisce il diritto esclusivo dei musulmani a pregare sulla Spianata. Per i palestinesi cristiani e musulmani, i metal detector imposti da Israele violano questo status.
I leader cristiani avevano preso una simile posizione in una dichiarazione pubblicata il 19 luglio, in cui essi facevano “appello a che lo Status Quo storico che regola questi luoghi sia del tutto rispettato, per il bene della pace e della riconciliazione dell’intera comunità”.
“Quello di cui abbiamo bisogno sono politici saggi che possano disinnescare il rischio di ulteriori scontri fra israeliani e palestinesi […]. Se questa situazione continuerà tutti ne pagheranno il prezzo e tutti ne soffriranno, purtroppo”. La speranza di Sabella è che il governo israeliano tolga i metal detector, e si abbia “un periodo di quiete, con persone sagge che dialogano fra di loro”, permettendo ai fedeli di “tornare a pregare e ad esercitare il loro diritto alla religione in un ambiente di armonia e relativa pace e serenità”. Il compito di decidere ora sta agli israeliani e “più saggi saranno, meglio sarà per tutte le parti coinvolte”.
Da parte sua, Misk afferma che le autorità israeliane “si sono arrampicate sugli alberi e non sanno più come scendere”. Per l’attivista, Israele deve tornare a “prima del 14 luglio”, perché i palestinesi non accetteranno compromessi su questo punto: “[pregare] è un diritto che non è dato dagli israeliani, ma da Dio”.
In conclusione, Misk commenta l’unità dei palestinesi, un “mosaico” mai visto prima: “Israele sta cercando di fare una guerra religiosa, ma la nostra risposta è stata ‘no’. Questo non è un conflitto religioso fra musulmani ed ebrei: è una cosa politica. La nostra solidarietà è per rispondere a loro e dimostrare che non è un conflitto religioso. Venerdì i cristiani sono stati con noi, con il vangelo in mano.”
“Non possiamo e non dobbiamo rendere la nostra diversità religiosa un motivo di scontro. Dovremmo imparare ad usarla per promuovere comprensione e riconoscimento dei diritti di ciascuno di noi, rispettando lo status quo dei luoghi santi”, conclude Sabella. “Nei luoghi sacri, sia ebraici, cristiani o musulmani, qui come ovunque, è importante ribadire – come ha detto papa Francesco ieri – che i luoghi santi devono essere di pace e dialogo, non luoghi dove ci possa essere violenza di nessun tipo”.




Il parroco di Ramallah: «Da palestinese ho manifestato con i musulmani contro Trump»
di Franca Giansoldati
Giovedì 7 Dicembre 2017

https://www.ilmessaggero.it/primopiano/ ... 14864.html

CITTA' DEL VATICANO - A Ramallah come a Betlemme gli alberi di Natale non si sono accesi per protesta, il mercatino di Natale è stato momentaneamente cancellato, e le feste previste nelle (poche) parrocchie nei Territori Palestinesi, annullate. La gente è scesa in strada spontaneamente dopo l’annuncio choc del Presidente Trump. Hanno manifestato cristiani e musulmani. Uniti. Sulla piazza di Ramallah, il parroco cattolico, padre Jamal Khader, racconta di avere marciato accanto al sindaco e ad altre autorità religiose. «Oggi c’era sciopero generale e ci sono stati scontri tra i giovani e l’esercito. L’atmosfera è surriscaldata».

Anche lei ha manifestato?

«Si ovviamente. Gerusalemme Est è una città araba a cristiana al tempo stesso, non riguarda una questione religiosa. L’annuncio di Trump è qualcosa che va contro il popolo palestinese che, come sappiamo, è sia cristiano che musulmano. La dichiarazione di Trump quindi tocca il futuro e la pace del nostro Paese».

Cosa immaginate possa accadere nei prossimi giorni?

«L’annuncio di Trump avrà effetti in tutto il Medio Oriente. L’amministrazione Usa verrà vista come il nemico che prende decisioni a favore dello Stato di Israele. Vedremo cosa accadrà domani che è venerdì, dopo la preghiera».

Si ritornerà indietro, come ai tempi dell’Intifada?

«La questione è seria. Tutto dipenderà dalla risposta che daranno tutti i palestinesi. Nel frattempo sappiamo che si stanno muovendo le diplomazie di mezzo mondo e speriamo possano stigmatizzare la decisione Usa dato che non tocca solo i palestinesi in Terra Santa. Nessuno vuole la violenza che non serve a niente. Anche la polizia palestinese sta cercando di calmare la gente, dicendo che si tratta di una cosa passeggera. Ma siamo tutti preoccupati».

Serve una maggiore pressione diplomatica sugli Usa e su Israele?

«Noi nella chiesa di Ramallah preghiamo. E le preghiere sono un’arma potente. Poi la diplomazia è in azione. L’altra mattina in Vaticano c’era una delegazione palestinese. Al Presidente Trump sappiamo che hanno inviato lettere tutti i capi delle Chiese Cristiane presenti in Terra Santa. Luterani, evangelici, ortodossi, armeni. La questione non è religiosa e nessuna religione potrà mai dare spazio ad azioni illegali o terroristiche. Non si tratta dell’Occidente contro il mondo islamico. Posso aggiungere una cosa?».

Certo…

«Vorrei fare un appello al Papa e a tutti i cattolici visto che tra poco è Natale. Vorrei dire che noi cristiani che viviamo qui abbiamo bisogno della solidarietà della Chiesa in Italia. Qui avete fratelli che soffrono non tanto perché sono cristiani, ma perché sono palestinesi».

Quanti cattolici ci sono a Ramallah?

«La parrocchia cattolica conta 500 famiglie, circa 2 mila fedeli su una popolazione di 55 mila persone. Assieme ai cattolici però c’è una comunità di ortodossi e poi ci sono gli anglicani».
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I cristiani siriani e libanesi contro Israele e i suoi ebrei

Messaggioda Berto » mar apr 17, 2018 7:53 pm

Da Nasser a al-Sisi: sessant’anni di (buoni) rapporti tra chiesa copta e regime
Alessia Melcangi Feluche
L'intervento di Alessia Melcangi, autrice del libro "I copti nell’Egitto di Nasser. Tra politica e religione (1952-1970)", (Carocci, 2017)

http://formiche.net/2018/01/nasser-al-s ... pta-regime

Quando Gamal ‘Abd al-Nasser il 26 luglio nel 1956 comunicò, durante un memorabile discorso pubblico, la decisione di nazionalizzare il Canale di Suez, tutti gli egiziani salutarono con felicità e orgoglio una scelta che siglava, nei fatti, la fine del colonialismo straniero in Egitto. La nazionalizzazione, che portò presto a un conflitto bellico contro Francia, Gran Bretagna e Israele, avrebbe ideologicamente e praticamente permesso al paese di affrancarsi dal controllo straniero riportando gli introiti del Canale nelle mani egiziane (la Compagnia del Canale di Suez era giuridicamente egiziana ma di fatto in mano a una maggioranza di azionisti anglo-francesi). Questa decisione avrebbe inoltre permesso al ra’is di presentarsi ufficialmente come leader del mondo arabo e alle casse dello stato di respirare, dando vita a una serie di progetti infrastrutturali finalizzati a sviluppare il paese, come la costruzione della diga di Assuan.

Il 15 gennaio 2018 ricorrono i cento anni dalla nascita di Nasser. Il ra’is non viene ricordato solo per la nazionalizzazione di Suez: fu un autocrate e un forsennato nazionalista, allo stesso tempo promotore dell’ideale panarabo, divenne la guida degli arabi nei difficili anni della decolonizzazione, nonché riferimento per il movimento dei non allineati. Inoltre lo si ricorda per la virata in senso secolare che impresse alla società egiziana negli anni Cinquanta e Sessanta. Fu proprio questo indirizzo “laico” adottato anche in ambito religioso che permise alla comunità cristiano-copta (antica presenza la cui percentuale nell’Egitto di oggi è stimata a circa 7% della popolazione) di prendere parte attiva nell’Egitto rivoluzionario del ra’is. In ogni fase importante dell’era nasseriana, i copti si strinsero a sostegno delle decisioni politiche espresse dal presidente, come nel caso della guerra di Suez del 1956 o della disastrosa guerra dei Sei Giorni, allorché i copti condivisero il dolore e l’afflizione della comunità musulmana egiziana concorrendo a restituire l’immagine di un paese in ginocchio ma unito al suo interno. In particolare, fu la personale collaborazione che si instaurò tra Nasser e il patriarca Cirillo VI, eletto nel 1959, che permise ai copti di ritrovare uno spazio di azione politica. Questa proficua amicizia segnò l’epoca d’oro dei rapporti interconfessionali in Egitto. Da allora il patriarca iniziò a relazionarsi direttamente con il presidente egiziano, mostrandosi più come leader politico che spirituale, e Nasser a riconoscere la leadership del patriarca, inibendo le voci di dissenso presenti all’interno della comunità, testimonianza di uno scontro latente tra la gerarchia e la componente laica che puntualmente riemergeva.

Dagli anni di Nasser e Cirillo queste caratteristiche del rapporto tra i copti e il governo egiziano si sono mantenute fino a oggi. I copti rappresentano la comunità cristiana più numerosa nel mondo arabo e vivono una condizione di discriminazione politica, economica e sociale, schiacciati dentro un’alleanza stretta tra il patriarca e il presidente egiziano e basata sull’appello all’unità nazionale. Fu il patriarca Shenuda III (1971-2012) che, ravvisando nel governo di Hosni Mubarak (1981-2011) un argine protettivo per la libertà dei copti, decise di appoggiare incondizionatamente il regime. Shenuda lo fece in cambio della protezione statale assicurata alla comunità davanti a un islam radicale pronto a dichiarare guerra all’autorità centrale e alle minoranze presenti nel paese. Dal canto loro i diversi presidenti che si sono succeduti al potere hanno usato la retorica nazionalista per presentare un’immagine del paese unito nella sua molteplice composizione religiosa: in questo modo hanno evitato di affrontare la risoluzione di alcuni problemi annosi che affliggono ancora oggi la comunità cristiana (i copti, ad esempio, sono esclusi dalle alte cariche dell’esercito, della polizia, dei servizi segreti, della magistratura e dai posti di governatore), promuovendo una lettura acritica ed edulcorata delle reali politiche verso le minoranze.

Oggi, la difficoltà dell’attuale presidente ‘Abd al-Fattah al-Sisi di proteggere i cristiani, e gli egiziani tutti, dai gravi attentati terroristici a firma Daesh recentemente verificatisi in Egitto, sta progressivamente alienando il consenso della comunità, colpita ormai da decenni dai gruppi dell’attivismo islamico violento formatisi nel paese. Un consenso che, in realtà, è già stato messo in discussione da molti giovani attivisti copti: essi chiedono alla chiesa di affrancarsi dal legame politico con il regime e di operare secondo il proprio ruolo, promuovendo nello stesso tempo una partecipazione politica e sociale attiva della comunità al di fuori delle mura sacre che risponda alle istanze di democratizzazione e di perequazione socio-economica e non già a mere logiche identitarie.

Il 6 gennaio 2018 scorso si è svolta la lunga messa che anticipa il Natale per i cristiani copti (7 gennaio) alla presenza del patriarca Tawadros II e del presidente che, come di consueto dall’inizio del suo mandato, ha preso parte alle celebrazioni. Essa si è svolta nella nuova cattedrale copta costruita a tempo di record e con i finanziamenti diretti della presidenza nella nuova capitale amministrativa, situata a 45 chilometri dal Cairo. Questa cattedrale si candida, come si evince dalle stesse parole di al-Sisi, a diventare la più grande chiesa d’Egitto ma soprattutto un nuovo manifesto politico del regime: essa è stata costruita nella stessa area dove sorgerà la più grande moschea del paese, a testimonianza della possibile convivenza tra le due religioni. A suggellare l’evento le dichiarazioni di collaborazione e di fratellanza espresse sia dal presidente nel suo messaggio di auguri che dal patriarca, che rinnovano il legame solido che unisce la comunità al regime.

Nonostante le tensioni sociali, economiche e politiche che vive oggi il paese, il presidente al-Sisi continua a lanciare gli abituali appelli all’unità nazionale e alla coesione sociale, adoperando ancora una volta la comunità copta come strumento di promozione delle proprie politiche. Tuttavia il Natale per i copti si è svolto tra imponenti misure di sicurezza: più di 230 mila addetti alla sicurezza in tutto paese sono stati mobilitati per vigilare sullo svolgimento delle celebrazioni. Per la prima volta i copti hanno festeggiato tra i posti di blocco attivi davanti a ogni chiesa del paese, tra le transenne pronte a bloccare gli ingressi, le camionette e gli uomini della sicurezza, ripresi costantemente dalle telecamere che il governo egiziano ha imposto accanto a ogni altare. E questo clima di tensione rischia di minare l’immagine che il presidente Sisi vuole dare all’estero, ossia di un paese che rifiuta logiche settarie, all’interno del quale le comunità religiose sono pienamente accettate e vivono in tranquillità. Ma esso minaccia anche la sua immagine di unico bastione difensivo per i cristiani d’Egitto, che gli ha finora procurato il sostegno incondizionato dei copti. I vertici di questa comunità, dal canto loro, faticano a trovare una risposta politica di lungo respiro al declino demografico, alle spinte migratorie dei propri correligionari, ai timori che le critiche al governo possano favorire il ritorno di movimenti islamisti radicali e alle istanze di democratizzazione avanzati da molti giovani e guardano con grande timore quanto avviene nella regione, temendo di avviarsi verso il triste destino che ha accumunato i cristiani di Siria e Iraq.


http://www.dsg.univr.it/documenti/AttDi ... 842843.pdf
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I cristiani siriani e libanesi contro Israele e i suoi ebrei

Messaggioda Berto » mar apr 17, 2018 7:54 pm

???

I cristiani arabi spinti all'esodo di massa.
mercoledì 26 luglio 2017

http://oraprosiria.blogspot.it/2017/07/ ... smo-e.html

"Il pericolo reale sta nel fatto che il mondo cristiano perde gli ultimi di coloro che furono i primi cristiani... le ultime anime antiche della terra". Tale è la previsione di uno scrittore per quanto riguarda l'esodo continuo dei cristiani arabi dal Medio Oriente - un esodo innescato dal neocolonialismo occidentale e dall'espansione sionista che si adatta al sistema militare-industriale.

Negli Stati Uniti, la religione è una parte importante della vita pubblica - tanto che spesso trova la sua strada anche in politica. A livello della politica nazionale, è stato storicamente difficile vincere un'elezione, soprattutto a livello nazionale o statale, se si segue una fede non condivisa dalla grande maggioranza degli americani religiosi: il cristianesimo.

Questo fenomeno è ancora più pronunciato dopo l'ascesa della "maggioranza morale" negli anni '80. Ma nonostante l'importanza del cristianesimo nella vita pubblica e privata dei cittadini e dei politici americani, i cristiani americani hanno suscitato pochissima preoccupazione per il destino del cristianesimo laddove esso è nato: il Medio Oriente.

Il paesaggio religioso del Medio Oriente si è spostato significativamente negli ultimi anni, poiché i gruppi religiosi chiave, inclusi i cristiani, stanno allontanandosi da questi luoghi con esodi di massa. Secondo Todd Johnson, direttore del Centro per lo Studio del Cristianesimo globale presso il Seminario teologico di Gordon-Conwell, i cristiani saranno circa il 3,6 per cento della popolazione della regione entro il 2025. Un secolo prima invece, i cristiani rappresentavano il 13,6 per cento della popolazione del Medio Oriente..

La maggior parte degli studi sull'argomento hanno citato l'emigrazione come causa principale del forte crollo della presenza cristiana nel Medio Oriente, mentre alcune notizie citano altri fattori che hanno spinto molti cristiani mediorientali a cercare nuove vite all'estero. Molte delle più importanti indagini del fenomeno hanno accusato i conflitti sciiti-sunniti e il terrorismo a spingere i cristiani e le altre minoranze religiose a partire. Ma hanno anche trascurato di menzionare il ruolo degli interventi stranieri e degli sforzi per cambi di regime condotti dagli Stati Uniti per creare queste crisi. Mentre la maggior parte dei politici "cristiani" negli Stati Uniti sono attenti a non evidenziare questo fatto, i cristiani del Medio Oriente sono molto consapevoli che gli interventi stranieri da parte dei governi occidentali hanno reso quasi impossibile per loro continuare a vivere in Medio Oriente.

Marwa Osman, docente presso l'Università Internazionale del Libano e commentatore politico, lo ha sostenuto con forza in un'intervista con MintPress News: "Le lotte "morali "dei cristiani in Occidente riguardano principalmente l'aborto, il controllo delle nascite, il gender e il matrimonio omosessuale, dove queste convinzioni raramente sono causa della persecuzione politica e fisica (questo era vero fino a qualche tempo fa, ma ora anche qui la questione sta diventando più difficile - ndt). Quando i gruppi etnici o religiosi sono sottoposti a violenze organizzate e persecuzioni a motivo di quello che sono e della loro fede, la loro situazione dovrebbe essere affrontata con urgenza, perché è così che avviene il genocidio, ma proprio questo è ciò che l'Occidente non sta facendo. Anzi, l'Occidente continua a investire in più guerre che portano inevitabilmente ad un esodo cristiano dal Medio Oriente".

L'inizio del cristianesimo è avvenuto in Medio Oriente

Il Medio Oriente è molto più che semplicemente la patria del cristianesimo. E' anche la regione in cui la religione ha attecchito per prima e dove nacque la prima comunità che trasformò gli insegnamenti di Gesù Cristo in una delle fedi principali del mondo. Tutta la regione è costellata di comunità cristiane antiche di mille, o in qualche caso, di duemila anni, alcune delle quali fondate dai primi Padri della chiesa e, in alcuni casi, da discepoli di Gesù Cristo stesso.

Per esempio, la tradizione afferma che il cristianesimo è stato portato in Iraq da San Tommaso e da suo cugino Addai nel primo secolo d.C., diventando poi una roccaforte per un mosaico di gruppi cristiani, compresi gli gnostici. Si crede inoltre che San Pietro e San Paolo portarono il cristianesimo in Siria, dove - ad Antiochia - il termine "cristiani" fu usato per la prima volta per indicare i seguaci di Gesù.

Nei primi secoli dell'ultimo millennio, era nel Medio Oriente che dominava la leadership cristiana e la comunità dei seguaci di Gesù. Quando la chiesa cattolica fu ufficialmente costituita al Concilio di Nicea, in Medio Oriente c'erano più vescovi che in Europa occidentale.

Mentre l'ascesa dell'Islam avrebbe presto modificato drasticamente il paesaggio religioso della regione, il cristianesimo vi ha mantenuto un ruolo importante da allora e nei secoli successivi, specialmente nei paesi in cui ha mantenuto un notevole rilievo, come in Egitto e nel Libano. Anche nelle nazioni con maggioranze musulmane, i cristiani si sono rivelati una minoranza economicamente importante, con conseguenti implicazioni politiche.

Ma i cristiani arabi del Medio Oriente non hanno mai avuto vita facile. Per molti degli ultimi 2000 anni i cristiani della regione sono stati perseguitati da più parti, tra cui l'impero ottomano del XIX° e il XX° secolo, la cui campagna brutale contro i cristiani arabi è costata la vita di oltre 2milioni di persone. Avendo sofferto così tanto, la resilienza e la resistenza dei cristiani del Medio Oriente è diventata leggendaria. Ma furono i musulmani in Siria, in Iran, nel Libano e in Palestina che fornirono rifugio ai cristiani perseguitati dagli ottomani mentre questi stabilivano e ampliavano il loro impero. A causa di questa storia travagliata, la presenza di cristiani arabi in tutta la regione è stata un fattore della proliferazione della laicità araba nei paesi selezionati, vale a dire la Siria, Iraq pre-invasione, Iran e Libano. Dopo tanti secoli in cui sono stati nel mirino e perseguitati, i cristiani del Medio Oriente sono ancora tra i più appassionati sostenitori della laicità del potere, nella regione.

Abdo Haddad, uno scrittore cristiano siriano che ora vive in Europa, ha dato questa spiegazione in un'intervista con MintPress News: "siccome i cristiani dell'Oriente hanno sviluppato un senso politico di sopravvivenza nel corso degli anni, la loro prima scelta è stata quella di assicurare e sostenere uno Stato forte gestito dalle leggi e, preferibilmente, con un'amministrazione laica ".

Ma se i cristiani continuano ad abbandonare il Medio Oriente in gran numero, la laicità stessa potrebbe diventare una reliquia della ricca storia della regione. Come Todd Johnson ha detto al Wall Street Journal, "La scomparsa di tali minoranze lascia campo libero ai gruppi più radicali che dominano nella società. Le minoranze religiose, almeno, hanno un effetto moderatore ". Haddad ha aggiunto che la più grande minaccia è ancora più grave. "Il pericolo reale sta nel fatto che il mondo cristiano perde gli ultimi dei primi cristiani, le ultime guardie, le ultime anime antiche della terra. Se uccidere una comunità così unica e profonda e la civilizzazione che ne è seguita, avviene così facilmente come sembra, immaginate cosa sarebbe accaduto nelle vostre nazioni una volta che voi osaste annunciare la vostra fede o la vostra origine ... ..

Cristianesimo e cambiamento di regime in Iraq, Siria e Iran

È interessante notare che i paesi che hanno protetto le minoranze religiose in nome di una laicità araba sono quelli che si sono trovati a essere gli obiettivi di progetto di cambio di regime condotti dagli Stati Uniti nel corso degli anni. La Siria è il primo esempio, essendo un obiettivo degli Stati Uniti già dagli anni '80. La più recente aggressione si è manifestata in una guerra massiccia in cui i ribelli "estremisti" stranieri hanno cercato di deporre il presidente siriano Bashar al-Assad dal 2011. I cristiani della Siria, protetti dall'impegno verso la laicità del governo siriano, hanno sostanzialmente sostenuto Assad durante tutta la vicenda.
Il presidente siriano Bashar al-Assad, a destra, visita una chiesa danneggiata dai miliziani jihadisti, durante una visita al villaggio cristiano di Maaloula, vicino a Damasco, in Siria. 20 aprile 2014.

Come ha osservato Haddad, quelli che hanno familiarità con la crisi siriana sono ben consapevoli del fatto che i cristiani siriani sostengono con convinzione il governo siriano nella lotta contro le milizie estremiste. "Alla gente siriana, inclusi i cristiani, piace il presidente e vedono in lui speranza per il futuro. Questo non significa che i cristiani non vogliono riforme e cambiamenti, ma le vogliono in modo civile, graduale e progressivo (a differenza di quanto accaduto in Libia)". Osman ha affermato che i cristiani siriani sostengono il governo anche perché le regioni controllate dal governo sono le uniche regioni della Siria in cui i suoi 2,5 milioni di cristiani sono sicuri e trattati come uguali a fianco dei musulmani della nazione. "La caduta del regime sarebbe stata seguita immediatamente da massacri, da nuove ondate di profughi che si sarebbero diretti verso ovest e dall'imposizione di una dittatura islamica. Se questi territori fossero caduti in mano ai jihadisti di al-Nusra affiliato di al-Qaeda piuttosto che all'ormai quasi scomparso ISIS, per i cristiani la differenza sarebbe stata irrilevante perché sarebbero stati assassinati, esiliati o schiavizzati ".

L'alternativa ad Assad offre ben poco ai cristiani della Siria, poiché le forze armate dell'opposizione sono fortemente legate al wahhabismo e all'estremismo islamico, avendo spesso sollecitato l'istituzione di uno stato Islamico che aderisca all'ideologia colonialista finanziata da nazioni occidentali come il Regno Unito e gli Stati Uniti . Ciò finirebbe per metter fine all'impegno storico della Nazione a favore della laicità e metterebbe in pericolo i numerosi gruppi di minoranze religiose che da tempo convivono Siria. Ad esempio, il Fronte al-Nusra, gruppo jihadista con legami con al-Qaeda, ha ripetutamente preso di mira i cristiani in Siria. Al-Nusra è stato recentemente tolto dalla lista nera dei terroristi sia negli Stati Uniti che in Canada dopo aver semplicemente cambiato il proprio nome.

Anche i "ribelli" direttamente armati dagli Stati Uniti, come l'esercito siriano libero (ESL o FSA), hanno massacrato i villaggi di cristiani per tutto il corso della guerra. Nel 2013, l'esercito siriano libero ha bombardato il villaggio di al-Duvair, a maggioranza cristiana, vicino al confine libanese, massacrando tutti i suoi residenti civili, tra cui donne e bambini. Come ha detto Osman a MintPress: "In Siria il governo degli Stati Uniti rimane impegnato a sostenere i "ribelli ", anche se tra queste milizie i "moderati" non esistono: tutte le forze significative sul campo sono fondamentalisti Wahhabiti che perseguitano i cristiani".

L'Iraq è un altro esempio di come il cambiamento di regime operato da USA e Inghilterra abbia influenzato l'esodo dei cristiani provenienti dal Medio Oriente. L'invasione ha fatto sfollare milioni di iracheni, molti dei quali non sono ancora ritornati a casa ed ha cancellato molte delle capacità irachene di procurarsi di che vivere, annientando l'industria agricola, un tempo considerevole risorsa della nazione. Durante e dopo l'invasione, i cristiani sono stati considerati vicini al regime di Saddam Hussein, dato che il suo ultimo ministro degli Esteri, Tariq Aziz, era un cristiano caldeo. La comunità cristiana caldea, che era di circa 1,4 milioni di fedeli, prima dell'invasione del 2003 era molto ben considerata sotto Saddam Hussein. Dopo la sua eliminazione e il caos di quel periodo, la popolazione cristiana irachena è diminuita a meno di 300.000 unità.

Dahlia Wasfi, un'attivista iracheno-americana, ha detto a MintPress News che il regime iracheno, sostenuto dagli USA dopo l'invasione, ha svolto un ruolo fondamentale anche nell'avvio dell'esodo cristiano. Wasfi afferma che "la più grande minaccia, specialmente per le famiglie cristiane (così come per le sunnite) era il governo conservatore sciita portato al potere in Iraq dal governo USA nel 2005 (le elezioni erano gestite dagli occupanti). Negli anni successivi, squadroni della morte sostenuti dal governo, terrorizzavano la popolazione, costringendo molte famiglie cristiane e sunnite ad andarsene". Gli assalti recenti contro le città irachene di Fallujah, Ramadi e la cosiddetta "liberazione"di Mosul in corso, - ha affermato Wasfi - sono una continuazione degli sforzi del governo Sciita conservatore per cambiare la demografia sul terreno e consolidare il proprio dominio". È interessante notare che molte delle squadre della morte, riferisce Wasfi, sono state addestrate direttamente dagli Stati Uniti, suggerendo che l'esercito statunitense ha avuto un ruolo fondamentale nel prendere di mira i cristiani all'interno dell'Iraq.

Oltre agli esempi chiari della Siria e dell'Iraq, l'Iran - dove le comunità cristiane sono fiorenti - è l'ultimo paese obbiettivo dei neoconservatori occidentali, come dimostra la retorica del presidente Donald Trump durante il suo primo viaggio estero.

Mentre l'Iran è stato da tempo dipinto dai media USA, come discriminatorio nei confronti dei cristiani, le sue comunità cristiane caldee e armene sono protette dalla costituzione iraniana e dalla rappresentanza politica garantita loro in parlamento. Anche gli ebrei e gli zoroastriani sono protetti allo stesso modo. Tuttavia, i cristiani evangelici in Iran sono stati perseguitati, in particolare per l'accusa di proselitismo nei confronti dei musulmani e verso membri di altre religioni non cristiane. La popolazione cristiana totale in Iran è difficile da valutare accuratamente, con alcuni gruppi che affermano esservene 450.000, mentre altri sostengono che ce ne sono ben 1 milione.

Mentre la laicità non è al momento il fattore guida per il 'cambiamento di regime' condotto dagli Usa in Medio Oriente, l'obbiettivo dell'Occidente contro le nazioni laiche mediorientali che proteggono i cristiani è un fattore innegabile per far comprendere l'esodo dei cristiani dalla regione.

La persecuzione dei cristiani dilaga in Arabia Saudita e Israele

In ogni caso, altre nazioni del Medio Oriente - soprattutto quelle sostenute dall'Occidente - sono ben note per la loro persecuzione delle minoranze religiose. In nessun posto è più vero che nel Regno dell'Arabia Saudita e nello stato di apartheid in Israele.

In Arabia Saudita, il governo condanna apertamente chiunque non sia conforme alla setta Wahhabita dell'Islam abbracciata dalla Casa Saud ed è il prodotto del colonialismo britannico volto a rovesciare l'impero ottomano. Il Wahhabismo è un concetto religioso e politico puritano che si rivolge non solo a fedi diverse dall'Islam ma anche ad altri musulmani. Come Human Rights Watch ha osservato nella sua relazione mondiale per il 2013: "L'Arabia Saudita non tollera il culto pubblico da parte di religioni diverse dall'Islam e discrimina sistematicamente le sue minoranze religiose musulmane, in particolare Sciiti e Ismaeliti. Il capo mufti in marzo ha imposto la distruzione di tutte le chiese della penisola araba ". Nel 2014, il governo saudita ha imprigionato 28 cristiani a motivo di una celebrazione religiosa in una casa privata nella città di Khafji. Il luogo della loro detenzione rimane ancora sconosciuto. All'epoca, Nina Shea, direttrice del Centro per la libertà religiosa dell'Hudson Institute di Washington, ha detto a Fox News: "L'Arabia Saudita continua la pulizia religiosa che è sempre stata la sua politica ufficiale".

Ma peggio del trattamento saudita delle minoranze religiose all'interno delle proprie frontiere è la loro esportazione all'estero della loro intollerante ideologia wahhabita. Molti gruppi terroristici estremisti - tra cui Daesh (ISIS) e al-Qaeda - sono seguaci del wahhabismo ed entrambi sono i beneficiari principali dei finanziamenti sauditi, ai quali (alla data in cui scriviamo ndt) né il governo saudita né quelli dei suoi alleati in Occidente hanno cercato di porre fine. L'Arabia Saudita è il più grande esportatore e finanziatore al mondo del terrorismo radicale Wahhabita. Questi gruppi, come è stato dimostrato dalle loro azioni in Iraq, in Siria e altrove, tendono a puntare contro le minoranze religiose, in particolare i cristiani.

Un altro alleato principale dell'Occidente in Medio Oriente, noto per la discriminazione dei Cristiani, è Israele, meglio conosciuto per la sua persecuzione dei palestinesi, sia musulmani che cristiani, che mira ai non ebrei a causa di un sistema di apartheid di tipo etnico-religioso. Come Wasfi ha spiegato a MintPress, "l'occupazione militare tramite un sistema di colonizzazione adottato dallo Stato Israele, sostenuta dai governi occidentali" è stato un fattore importante dell'esodo dei cristiani dal Medio Oriente. Il governo di Israele ha una lunga storia di dissacrazione delle chiese e persecuzione dei Cristiani Palestinesi storici. Ad esempio, dopo la cattura di Jaffa da parte delle forze ebraiche sioniste-europee nel maggio 1948, il sacerdote cattolico palestinese padre Deleque, ha riferito: "I soldati ebrei hanno rotto le porte della mia chiesa e hanno rubato molti oggetti preziosi e sacri. Poi hanno gettato le statue di Cristo in un giardino vicino ". Ha aggiunto che, mentre i leader ebrei avevano rassicurato che gli edifici religiosi sarebbero stati rispettati, "le loro azioni non hanno corrisposto alle loro parole ". Nello stesso anno, l'Unione Cristiana della Palestina si lamentava pubblicamente che le forze ebraiche sioniste-britanniche avevano usato diverse chiese cristiane e istituzioni umanitarie a Gerusalemme come basi militari e le hanno dissacrate. Aggiunse poi che tre sacerdoti e più di 100 donne e bambini furono uccisi dai bombardamenti indiscriminati sui loro luoghi di culto dalle forze sioniste-ebraiche europee. La discriminazione di Israele contro i cristiani palestinesi è proseguita fino ad ora. Per esempio, nel 1982, la Chiesa Battista di Gerusalemme fu incendiata e distrutta. Nessuno è mai stato incolpato. Quando i Battisti cercarono di ricostruire la chiesa, gruppi di ebrei dimostrarono contro il progetto e la commissione di pianificazione distrettuale rifiutò di concedere il permesso di ricostruzione. Tre anni dopo, la Corte Suprema israeliana comunicò ai Battisti di lasciare “tutta l'area ebraica". Tali atti continuano tutt'oggi. Il pastore Steven Khoury, cristiano arabo-israeliano, ha dichiarato: "Non c'è persecuzione in Terra Santa ... a meno che non condividi la loro fede", in un'intervista alla Voce dei Martiri, un'associazione cristiana non-profit che mette in evidenza la persecuzione dei cristiani in tutto il mondo. Khoury ha detto di aver assistito in molte occasioni ad attacchi verso membri della chiesa a causa della loro fede.

Guarda '60 minuti di indagine sulla persecuzione in Israele dei cristiani in Palestina':
I cristiani palestinesi, a causa della loro etnia, sono stati i più colpiti da parte dello Stato israeliano, fuggendo dalla loro patria insieme a migliaia di connazionali non cristiani. Quando le milizie sioniste invasero la Palestina per creare lo stato di Israele nel 1948, i cristiani palestinesi erano circa 200.000. Nel 1995, i cristiani palestinesi che vivevano nella regione erano solo 50.000. Ora, dei circa 400.000 palestinesi cristiani, la maggior parte vive all'estero, soprattutto nelle Americhe.

Il piano Sionista per la superiorità israeliana esclude i Cristiani

Allora, perché l'Occidente ha colpito soprattutto nazioni laiche, sostenendo per contro simultaneamente i Paesi e gruppi estremisti che perseguitano le minoranze religiose, in particolare i cristiani? Mentre l'attacco al laicismo nel mondo arabo potrebbe essere una conseguenza del neocolonialismo occidentale nella regione, i piani a lungo termine per il dominio regionale di Israele - un obiettivo fortemente sostenuto dall'Occidente, in particolare dagli Stati Uniti - mette in luce le potenziali ragioni della riluttanza dell'Occidente a rispettare la diversità religiosa in Medio Oriente.

Il piano Yinon, come è noto, è una strategia intesa a garantire la superiorità regionale di Israele in Medio Oriente, e questo implica soprattutto la riconfigurazione dell'intero mondo arabo in stati settari più piccoli e deboli.

Come ha rilevato Mahdi Darius Nazemroaya in un articolo del 2011 per Global Research: "Gli strateghi israeliani hanno visto l'Iraq come la loro più grande sfida strategica da uno Stato arabo. Ecco perché l'Iraq è stato definito come il punto centrale della balcanizzazione del Medio Oriente e del mondo arabo. In Iraq, sulla base delle visioni del piano Yinon, gli strateghi israeliani hanno chiesto la suddivisione dell'Iraq in uno stato kurdo e due stati arabi, uno per i musulmani sciiti e l'altro per i musulmani sunniti ".

Questo piano è stato ampiamente sostenuto da numerosi politici americani - in particolare dall'ex vicepresidente Joe Biden, che ha spinto per una risoluzione non vincolante attraverso il Senato che ha richiesto di dividere l'Iraq negli stessi Stati previsti dal piano Yinon.

Tuttavia, il piano di divisione dell'Iraq non comprendeva alcun territorio per i cristiani iracheni o per le altre minoranze religiose.

Il piano Yinon prevede non solo la divisione dell'Iraq. Siria, Giordania, Libano, Arabia Saudita e Egitto che dovrebbero essere tutte partizionate, secondo il piano, con parti di alcuni di questi Paesi successivamente assorbite nel "Grande Israele". Ciò può già essere visto nel gioco del conflitto siriano, dove il coinvolgimento di Israele nella guerra in gran parte ruota intorno al suo desiderio di rivendicare le alture occupate del Golan come proprie.
Una suora guarda la Chiesa della Moltiplicazione pesantemente danneggiata dopo un incendio scoppiato durante la notte vicino al mare di Galilea a Tabgha, in Israele, giovedì 18 giugno 2015. Un passo di una preghiera ebraica, che chiede l'eliminazione dell'adorazione degli idoli, fu trovata spruzzata in vernice spray su un muro esterno della chiesa cattolica.

Pertanto, potrebbe benissimo essere l'impegno dell'Occidente verso il Piano Yinon che ha contribuito a modellare la sua politica di finta ignoranza riguardante la situazione dei cristiani della regione. L'impegno dei cristiani mediorientali e la loro forte preferenza per la laicità dello Stato non ha spazio in un Medio Oriente neocoloniale che si costruisce in stati settari destinati a essere tenuti in guerra costante tra loro. Il desiderio di Israele di dominare la regione - un obiettivo sostenuto dai suoi alleati occidentali - può detenere gran parte della responsabilità per il continuo esodo dei cristiani del Medio Oriente.

Ma in definitiva, il continuo esodo dei cristiani è indicativo di una crisi più grande che la regione deve affrontare, come anni di conflitto e guerre odierne che hanno pesato sulle popolazioni e sulla zona.

Wasfi ha indicato l'aggressione militare degli USA come il principale colpevole di questa crisi crescente. "Nel quadro più grande, l'immane perdita di vite e la devastazione di ciò che storicamente è conosciuto come la "Mezzaluna Fertile" dall'invasione, occupazione e guerra continua occidentale, è la grande tragedia. [...] Prima terminerà l'aggressione militare statunitense nella regione, prima si potrà cominciare la guarigione ".

traduzione Gb.P. per Ops
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I cristiani siriani e libanesi contro Israele e i suoi ebrei

Messaggioda Berto » mar apr 17, 2018 7:55 pm

Non sono gli ebrei e Israele i nemici dei cristiani del Medio Oriente ma i seguaci di Maometto, i nazimaomettani che considerano cristiani ed ebrei dei miscredenti, degli infedeli, delle scimmie e dei maiali, degli esseri inferiori da convertire a forza, da cacciare o da sterminare.

In tutto il mondo maomettano i cristiani sono discriminati, perseguitati, cacciati, sterminati.

In Israele invece, nella democrazia etnica degli ebrei, i cristiani possono vivere e prosperare in pace.


Nazismo maomettano = Islam = dhimmitudine = apartheid = razzismo = sterminio
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Islam e persecuzione e sterminio dei cristiani (cristianofobia)
viewtopic.php?f=181&t=1356
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I cristiani siriani e libanesi contro Israele e i suoi ebrei

Messaggioda Berto » mar apr 17, 2018 7:57 pm

Betlemme, i cristiani fuggono e la colpa è degli islamisti
dicembre 22, 2013
Roberto Barducci

https://www.tempi.it/i-cristiani-fuggon ... tWJSpe-mjI

Per i cristiani non c’è lavoro. Le loro figlie vengono stuprate, le proprietà confiscate. Anche la croce non è più tollerata, ma per le autorità e i media non c’è discriminazione

Gerusalemme. C’è una sorta di muro dell’omertà che chi vuole descrivere la situazione dei cristiani in Palestina si trova di fronte. «Non esistono difficoltà di alcuna natura fra la comunità cristiana e quella musulmana, tutti si sentono, in primo luogo, palestinesi», ci dice il sindaco di Betlemme Vera Baboun, 49 anni, cristiana, che ha vinto le elezioni nel 2012 alla guida di un movimento politico appoggiato da Fatah. Nel suo ufficio appare una recente foto del sindaco in compagnia di papa Francesco e, poco fuori della sua porta, un bel presepe, mentre gli alberi di Natale sono presenti sia nel suo ufficio sia nell’atrio prospiciente. Più lontano, nel corridoio, è stata dipinta una gigantografia di Yasser Arafat.

Le parole del sindaco traducono l’esigenza di non discostarsi dalle posizioni dell’Autorità palestinese tipica dei politici locali. Secondo Baboun, infatti, le difficoltà e i problemi della città sarebbero rappresentati dall’espansione degli insediamenti ebraici e quindi, fondamentalmente, dall’“occupazione” israeliana. Ciò però non sembra spiegare in maniera convincente la diminuzione del numero dei cristiani nella città che ha dato i natali a Gesù. Nel 1948, a Betlemme, che conta circa 25 mila abitanti e si trova nella West Bank a meno di dieci chilometri da Gerusalemme, i cristiani rappresentavano l’85 per cento della popolazione, mentre adesso ammontano solo al 12 per cento.
Secondo Baboun, le ragioni di tale diminuzione vanno ricercate nell’emigrazione, dovuta al depresso contesto economico e alle migliori prospettive che si possono trovare altrove, oltre che alla minore natalità della popolazione cristiana rispetto a quella musulmana. Baboun però nega decisamente che ci siano problemi tra cristiani e musulmani, asserendo che la sola fonte di divisione del campo palestinese riguarda lo “scisma” di Hamas e la sua contrapposizione a Fatah.

Questo è un tipo di risposta alquanto corrente quando si parla pubblicamente dell’argomento cristiani con persone del luogo, che preferiscono troncare la conversazione attribuendo tutti i guai all’“ihtilal” (occupazione, in arabo) israeliana. Però, anche se è innegabile che l’attuale situazione politica nei territori palestinesi non favorisce certo il loro sviluppo economico, tuttavia non è comprensibile come a diminuire sia solo la popolazione cristiana, mentre quella musulmana continua a crescere, come si può notare dalla grande quantità di nuove costruzioni, che si possono osservare non solo a Betlemme ma anche in altre città palestinesi come Ramallah o Hebron. Quella dei cristiani appare più come una fuga che un esodo dovuto a normali flussi migratori.

Nonostante la reticenza dominante sulla condizione dei cristiani, c’è anche chi, da anni, si batte per vedere riconosciuta la perfetta parità di diritti fra la comunità cristiana e quella musulmana. Samir Qumsieh è un noto imprenditore locale, cristiano, che ha fondato, una quindicina di anni fa, il canale televisivo al Mahd TV (Natività), in cui sono trattati temi religiosi cristiani ed è trasmessa la Messa in diretta ogni domenica. Nella sua casa a Betlemme Qumsieh spiega che, sul piano dei diritti formali, non ci sono elementi di discriminazione fra le due comunità, ma, nella realtà delle cose, essi esistono. «Il nostro futuro in Terra Santa è molto incerto. Se continua così, fra vent’anni non ci saremo più», dice scoraggiato l’imprenditore palestinese.
Per Qumsieh, uno dei maggiori problemi della comunità cristiana è proprio il muro di omertà dei suoi correligionari che, per ragioni di timore e di quieto vivere, non si oppongono con la dovuta forza ai soprusi patiti per mano islamista, tranne poi, alla prima occasione, prendere la via dell’emigrazione. Il proprietario di al Mahd TV afferma, inoltre, che le autorità locali non proteggono concretamente i cristiani, diventando così complici delle vessazioni contro di loro. «Noi cristiani non avevamo avuto questo genere di problemi né sotto l’impero ottomano, né sotto gli inglesi, né sotto l’occupazione israeliana. Adesso ce li abbiamo sotto l’amministrazione dell’Autorità palestinese», dice Qumsieh.

Tra i soprusi Qumsieh elenca in primo luogo la “land mafia”, un sistema malavitoso con connivenze nelle istituzioni, tendente a sottrarre in modo violento la terra ai cristiani. Nel 2005 lui aveva presentato un dossier all’Autorità palestinese, dove aveva enumerato 93 incidenti di abusi da parte di fondamentalisti islamici e 140 casi di appropriazione indebita di terre appartenenti a cristiani con il sostegno di giudici corrotti.
Il dossier non ha avuto seguito e le malversazioni sono continuate fino a oggi. «La mafia criminale e i fondamentalisti lavorano assieme», dice Qumsieh. «Il loro scopo è quello di impadronirsi della nostra terra. In passato, quando scrivevo di questi problemi all’ex rais Yasser Arafat, almeno aveva la cortesia di rispondere, ma il presidente Mahmoud Abbas non si degna neppure di fare un cenno di risposta».

Il proprietario di al Mahd TV racconta anche dei numerosi casi di stupro e di abusi sessuali nei confronti di ragazze cristiane. «Prendete il caso di Rawan William Mansour, una ragazza di 17 anni della cittadina di Bet Sahur, a est di Betlemme, che alcuni anni fa era stata violentata da quattro membri di Fatah. Nonostante le proteste della famiglia, nessuno dei quattro è stato arrestato», spiega Qumsieh, che vuole dare voce alle giovani vittime. Racconta quindi anche del caso di due ragazze cristiane assassinate, perché accusate di essere delle prostitute e delle collaboratrici delle forze israeliane. In realtà, l’uccisione era stata perpetrata per coprire il loro precedente stupro da parte di fondamentalisti. I casi da citare sarebbero molti. Questo crea un’atmosfera di incertezza nella comunità cristiana e molte famiglie, con figlie in giovane età, qualora ne abbiamo i mezzi, preferiscono partire per l’estero.

Il muro di omertà
L’imprenditore palestinese denuncia poi la crescente islamizzazione della società palestinese con la conseguente intolleranza verso i cristiani e i loro simboli. Molti imprenditori musulmani si rifiutano di offrire lavoro ai cristiani, lasciando loro come unica scelta per trovare impiego la fuga all’estero. Alcuni tassisti cristiani sono stati aggrediti da facinorosi per il semplice fatto di portare una catenina con la croce al collo. Qumsieh mostra inoltre delle t-shirt, che si trovano in vendita nel bazar di Betlemme e che presentano immagini di luoghi santi cristiani come la chiesa della Natività. In queste magliette, confezionate a Hebron e in altre città dei territori, è stata eliminata categoricamente ogni immagine della Croce.
Perfino sulle magliette “taroccate” della squadra di calcio del Barcellona, che nel suo logo presenta una croce di San Giorgio, hanno tolto a quella croce il braccio sinistro in modo da eliminare ogni riferimento cristiano. «Insomma, a certi fondamentalisti islamici fa piacere che dei turisti cristiani comprino le loro confezioni, ma non sono disposti ad accordare alcuna dignità alla loro religione», dice Qumsieh.

L’imprenditore palestinese se la prende infine con i media occidentali che, per non dispiacere all’Autorità palestinese, accettano troppo facilmente l’immagine edulcorata di rapporti idilliaci fra cristiani e musulmani, senza voler approfondire l’argomento. Infatti, parlando poi in privato con alcune famiglie cristiane che non vogliono essere identificate, queste si sono lamentate di come anche le voci più moderate fra i musulmani non siano ascoltate dai media occidentali, rafforzando così i fondamentalisti.
Queste famiglie ci raccontano la vicenda di un imam della più grande moschea di Betlemme che ha ricevuto minacce dopo avere fatto un sermone in cui lanciava un appello per porre fine alla discriminazione contro i cristiani. La situazione è seria e questo silenzio dell’Occidente, che non permette di rompere il muro di paura e di omertà, mette a rischio la sopravvivenza stessa delle comunità cristiane in Terra Santa.



Perché i cristiani lasciano la Terra Santa?
Lawrence A. Franklin

https://it.gatestoneinstitute.org/7909/ ... erra-santa

Nessun uomo di buona volontà, soprattutto cattolico, vuole accusare un membro di spicco della propria fede religiosa di essere deliberatamente bugiardo. Raramente si rinviene la verità nella narrazione pubblica palestinese. Ma nel caso di monsignor Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme, che ha falsamente accusato Israele dell'attuale ondata di violenza palestinese contro i civili israeliani, è quanto mai evidente dalle palesi e costanti critiche allo Stato d'Israele che egli è mosso da un pregiudizio politico.

Twal ha dichiarato che la presunta "occupazione" di Israele della "Palestina araba" è la causa della violenza omicida che ha colpito i civili israeliani per mano degli aggressori arabi – "dimenticando", a quanto pare, che gli ebrei vivono nella regione da quasi 4000 anni. Egli pare abbia anche dimenticato che i leader dell'Autorità palestinese (Ap) esaltano questi atti di "resistenza" dall'autunno 2014. Come può Twal ignorare il fatto che i media palestinesi magnificano questi attacchi a colpi di coltello come fossero "gesta gloriose". Infatti, nelle scuole palestinesi, gli aggressori vengono salutati come eroi.

Mentire apertamente fa anche parte delle campagne di propaganda dell'Ap e Hamas. Il leader dell'Autorità palestinese, Mahmoud Abbas, ha dichiarato che un ragazzo palestinese, che era stato investito da un'auto dopo aver accoltellato un bambino israeliano, è stato giustiziato dalle truppe israeliane quando si era saputo che il responsabile dell'attacco era vivo e ricoverato in un ospedale israeliano.

La posizione di monsignor Twal pare essere motivata dalla fedeltà ideologica a una causa politica, anziché essere quella di un pastore che provvede ai bisogni spirituali del suo gregge. Anche se il patriarca si preoccupa solo dei bisogni fisici dei suoi fedeli, si potrebbe pensare che la sua attenzione sia concentrata sulla reale preoccupazione primaria delle comunità cattoliche di Terra Santa, vale a dire la sicurezza. Twal ha anche "dimenticato" la ragione fondamentale della fuga dei cristiani dalle zone palestinesi: la causa principale di questa tendenza negativa è l'intolleranza islamica verso le minoranze religiose e non l'occupazione israeliana dei territori palestinesi.

Twal avrà grosse difficoltà a trovare molti cristiani palestinesi disposti ad accusare Israele o l'operato delle Forze di difesa israeliane (Idf), additandoli come causa della emigrazione cristiana. Sono già parecchi quelli che se ne sono andati, traferendosi in Israele, dove possono professare la loro fede senza restrizioni. Migliaia di cattolici ora lavorano in Israele, dove godono di piena libertà religiosa. Basta vedere quanto sia difficile trovare un posto a sedere nelle messe domenicali celebrate nelle gremite chiese cattoliche di Tel Aviv.

La triste verità è che nei territori palestinesi i cristiani sono costretti a vivere come dhimmi – cittadini di seconda classe che sopravvivono soprattutto grazie alla tassa di protezione che sono tenuti a pagare per comprare la loro sicurezza quotidiana. Questi cittadini a malapena tollerati esistono solo perché sono preda dei capricci e a servizio della maggioranza musulmana al potere.[1] La discriminazione attuata dagli arabi musulmani contro i non musulmani annovera un comportamento economico e socialmente pregiudizievole che rende impossibile o difficile per gli arabi cristiani gestire un'attività commerciale redditizia, impedendo anche che le loro famiglie siano pienamente integrate nella società. Perché Twal, presidente dell'Assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa, non si sente in dovere di denunciare pubblicamente questa intolleranza da parte degli estremisti islamici? Non facendolo, sembrerebbe pregiudicare il suo ruolo di guardiano dei diritti dei cristiani cattolici di Terra Santa. Di conseguenza, il governo israeliano potrebbe nutrire poca considerazione per sue legittime preoccupazioni come la deturpazione dei beni di proprietà della Chiesa da parte dei giovani ebrei anticristiani.

È inoltre opportuno che i cattolici sollevino con le autorità vaticane la questione dell'immagine di fede che monsignor Twal continua a dare in Terra Santa. Lo stesso comportamento di Twal potrebbe aiutare i cattolici a capire chi egli serve per primo: Dio o l'uomo? Non c'è traccia di gratitudine da parte del patriarca dopo che le IDF lo hanno salvato da una folla di palestinesi musulmani che lo deridevano e scagliavano pietre contro la sua auto a Betlemme, lo scorso Natale. Ed egli non vuole ammettere che l'unico motivo per cui questi luoghi santi cristiani sono sicuri per i pellegrini è dovuto al fatto che essi sono protetti dallo Stato di Israele, e non dall'Autorità palestinese. Tutto ciò che dobbiamo fare è osservare come i luoghi santi cristiani sono stati demoliti in tutto il Medio Oriente, per renderci conto che senza la protezione di Israele dei luoghi santi cristiani di Gerusalemme e Betlemme, a un certo punto, non esisterebbero più i luoghi santi cristiani!

Monsignor Fouad Twal, il patriarca latino di Gerusalemme (foto a destra), diffama costantemente Israele, i cui soldati lo hanno salvato quando è stato oggetto di una sassaiola da parte di una folla di palestinesi musulmani, a Betlemme, nel dicembre 2015. Nella foto a sinistra, un gruppo di palestinesi musulmani della zona di Betlemme, e tra essi alcuni uomini vestiti da Babbo Natale, lancia pietre contro i soldati israeliani, al grido di "Allahu Akbar", il 18 dicembre 2015.

Sono numerosi gli esempi che illustrano il motivo per cui i leader cristiani hanno il dovere di esprimere pubblicamente la propria gratitudine agli addetti alla sicurezza israeliani. Ad esempio, durante l'occupazione nel 2002 della Basilica della Natività, a Betlemme – ora sotto il controllo musulmano – da parte di oltre 200 terroristi palestinesi armati, le Forze di difesa israeliane agirono con notevole moderazione per evitare il rischio di danneggiare un importante luogo sacro cristiano. Dopo 39 giorni di occupazione, il governo israeliano dette seguito ai desideri del Vaticano, permettendo agli occupanti di lasciare indenni Betlemme.[2] Dopo l'uscita dei terroristi occupanti e il rilascio degli ostaggi, nella Basilica furono rinvenuti numerosi ordigni esplosivi. Inoltre, altari, arredi e oggetti religiosi vennero trovati cosparsi di urina, mozziconi di sigaretta ed escrementi umani.

Proprio il mese scorso, una serie di assalti sono stati lanciati da terroristi palestinesi nei pressi della Porta di Damasco. Dopo uno di questi attacchi, il 14 febbraio, le guardie di frontiera israeliane hanno ucciso due terroristi di Nablus che si erano infiltrati a Gerusalemme. L'obiettivo dei terroristi era probabilmente un gruppo di ricchi pellegrini americani che si stavano godendo un happy hour, affollandosi nell'atrio del complesso Notre Dame che ospita i pellegrini, ignari del pericolo a poca distanza da loro. Questi pellegrini cristiani potrebbero essere grati alla sottile linea di israeliani che li ha protetti.

E lei, quanto gliene è grato, monsignor Twal?

Lawrence A. Franklin è stato il responsabile del desk per gli affari iraniani per il segretario alla Difesa Rumsfeld. Egli ha servito anche nell'esercito statunitense ed è stato colonnello dell'Air Force Reserve e attaché militare in Israele.

[1] Jerusalem Center for Public Affairs, "The Beleaguered Christians of Palestinian-Controlled Areas" di David Raab, pp. 1-15 January 2003. Si veda anche "Why Are Christians Really Leaving Bethlehem?" di Julie Stahl, CBN News, 8 May 2012; e "Why are Palestinian Christians Fleeing?" di Robert Nicholson, Providence, 1 March 2016.

[2] PBS Frontline, "The Siege of Bethlehem", 13 June 2013.



I palestinesi cancellano la storia cristiana
Khaled Abu Toameh
18 apr 2016

https://it.gatestoneinstitute.org/7876/ ... ani-storia

I cristiani palestinesi sono indignati per la distruzione delle rovine di un'antica chiesa bizantina che sono venute alla luce di recente a Gaza City.

Le loro proteste, però, non sono riuscite ad attirare l'attenzione della comunità internazionale, soprattutto degli organismi delle Nazioni Unite come l'Unesco, la cui missione è quella di tutelare il patrimonio culturale e naturale mondiale.

I resti della chiesa risalente a 1800 anni fa sono stati rinvenuti in Palestine Square, nel quartiere di Al-Daraj, a Gaza City, dove Hamas intende costruire un centro commerciale. L'importante scoperta archeologica pare non essere piaciuta agli operai del cantiere edile, che hanno rimosso i reperti, continuando a lavorare come se nulla fosse.

Difficile da credere ma per distruggere alcune vestigia della chiesa sono stati usati i bulldozer, ricevendo aspre critiche da parte dei cristiani palestinesi e qualcuno non ha esitato ad accusare Hamas e l'Ap di emulare le tattiche dell'Isis per demolire i luoghi storici.

Per i cristiani palestinesi la distruzione delle antiche rovine della chiesa bizantina è un ulteriore tentativo da parte dei leader musulmani palestinesi di cancellare la storia cristiana e i segni di ogni presenza cristiana nei territori palestinesi.

Hamas ha distrutto i resti di una chiesa bizantina risalente a 1800 anni fa che era stata di recente scoperta a Gaza City.

Le accuse rispecchiano l'amarezza che provano i cristiani palestinesi nei confronti dei loro leader in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, ma rivelano anche un crescente senso di emarginazione e persecuzione che molti cristiani avvertono vivendo sotto l'Autorità palestinese e Hamas.

I cristiani palestinesi esprimono inoltre una certa delusione per il disinteresse mostrato da parte della comunità internazionale – anche dal Vaticano e dalle comunità cristiane di tutto il mondo – per questo episodio, inteso come un attacco al loro patrimonio e ai luoghi di culto.

Hamas afferma di non avere le risorse per preservare l'antico sito della chiesa, perché per poterlo fare occorrono milioni di dollari e centinaia di addetti ai lavori e in questo momento il movimento islamista sta affrontando un crisi finanziaria a causa del "blocco" in corso nella Striscia di Gaza.

L'Autorità palestinese, da parte sua, sostiene che le è impossibile impedire la distruzione delle antichità, visto che la Striscia di Gaza non è sotto il suo controllo. Tuttavia, la leadership dell'Ap in Cisgiordania non si è pronunciata pubblicamente contro la distruzione del patrimonio archeologico. Stiamo parlando della stessa Autorità palestinese che promuove una "intifada" delle auto e dei coltelli per uccidere gli ebrei accusati di "profanare" la Moschea di al-Aqsa a causa delle visite organizzate sul Monte del Tempio sotto protezione della polizia.

L'Autorità palestinese ritiene che le visite degli ebrei sul Monte del Tempio siano molto più pericolose della distruzione di un importante sito archeologico cristiano nella Striscia di Gaza. Anziché denunciare le azioni di Hamas, l'agenzia di stampa ufficiale dell'Ap Wafa ha pubblicato un report in cui alcuni archeologi e storici palestinesi esprimono indignazione per quanto accaduto.

Uno dei leader della comunità cristiana in Cisgiordania, padre Ibrahim Nairouz, ha scritto una lettera di protesta al primo ministro dell'Ap, Rami Hamdallah, lamentandosi della gestione arbitraria delle vestigia della chiesa rinvenuta a Gaza.

Il sacerdote ha scritto nella sua lettera: "Avreste agito nello stesso modo se le rovine fossero appartenute a una moschea o a una sinagoga?"

E così in segno di protesta, egli ha reso pubblica la sua decisione di boicottare la prossima visita ufficiale del primo ministro a Betlemme e Hebron.

Numerosi cristiani palestinesi – e anche qualche musulmano – hanno espresso il loro sostegno alle critiche di padre Nairouz.

Sami Khalil, un cristiano della città cisgiordana di Nablus, ha scritto:

"Penso che il silenzio arrivi a rasentare la connivenza. Ma la domanda è: dove sono gli specialisti in grado di conservare il nostro patrimonio cristiano? Dove sono i responsabili delle chiese di Gerusalemme e del mondo? Dove sono i vescovi? Dove sono il Vaticano e l'Unesco? Dove sono i leader e gli uomini politici che parlano, parlano, parlano di unità nazionale e conservazione dei luoghi santi? Oppure questa è una cospirazione collettiva per porre fine alla nostra esistenza e alla nostra storia in Medio Oriente?"

Un altro cristiano, Anton Kamil Nasser, ha commentato: "Poco importa che si tratti di una chiesa o di qualcos'altro, questa è una forma di terrorismo intellettuale e arretratezza".

Abdullah Kamal, dell'Università al-Quds di Gerusalemme, ha detto: "Purtroppo, il silenzio riguardo la distruzione di questo patrimonio archeologico e sito storico del nostro paese è equiparabile a un crimine".

Una donna cristiana di Gerusalemme Est ha rimarcato: "Dovremmo vergognarci. Se questo fosse accaduto sotto gli ebrei, il sito sarebbe stato trasformato in un museo".

Sì, è così: sotto l'Autorità palestinese e Hamas, per la minoranza cristiana non tutto va per il meglio.

Non è un segreto che sempre più cristiani in Cisgiordania e a Gaza si sentano presi di mira sistematicamente dall'Ap e da Hamas a causa della loro religione.

La devastazione dell'antica chiesa bizantina di Gaza è solo un esempio della mancanza di rispetto mostrata dall'Autorità palestinese e Hamas verso gli abitanti cristiani.

Un altro episodio che ha fatto infuriare i cristiani è stato l'arresto della settimana scorsa, da parte della polizia dell'Ap, di Raja Elias Freij, 60 anni, un importante uomo d'affari cristiano di Betlemme.

L'Autorità palestinese sostiene che Freij è stato arrestato perché aveva minacciato un commerciante di Betlemme – un'accusa che lui, la sua famiglia e molti altri cristiani negano con forza. Lo scorso fine settimana, un gruppo di cristiani ha inscenato una protesta nella piazza della Mangiatoia, a Betlemme, per chiedere il rilascio di Freij, accusando l'Ap di discriminazione religiosa.

Il dramma dei cristiani palestinesi non interessa la comunità internazionale. E questo perché Israele non può essere accusato di demolire le antichità. Se l'attuale politica contro i cristiani persiste, verrà il giorno in cui a Betlemme non rimarrà un solo cristiano e i pellegrini in visita alla città dovranno farsi accompagnare dai loro preti per celebrarvi la messa.

Khaled Abu Toameh è un pluripremiato giornalista che vive a Gerusalemme.





Uniti e divisi dalla tragedia di Gaza: i cattolici palestinesi e i cattolici israeliani di lingua ebraica
NEWS 28 luglio 2014

http://www.iltimone.org/news-timone/uni ... -cattolici

«La nostra più grande sfida è evitare che il conflitto in atto a Gaza porti a divisioni tra i cristiani». Così ha dichiarato ad Aiuto alla Chiesa che Soffre padre David Neuhaus, gesuita e vicario del patriarcato latino di Gerusalemme per i cattolici di lingua ebraica.

«I cristiani di lingua ebraica s’identificano pienamente con Israele, mentre i cristiani di lingua araba, si schierano con la parte palestinese». In questi tragici momenti la Chiesa locale è impegnata anche a «ricordare ai fedeli di Gaza e a quelli di Beersheva», dove risiede una delle comunità di cattolici di lingua ebraica, «che sono fratelli nella fede e che nonostante il conflitto devono fare fronte comune».

Padre Neuhaus è certo che l’unico modo per metter fine agli scontri tra Israele e Palestina sia comprendere che la violenza genera soltanto nuova violenza. «Bombardare Gaza riuscirà solo ad aumentare le persone in cerca di vendetta», afferma il religioso spiegando che il conflitto è alimentato dalla convinzione, tanto israeliana quanto palestinese, di poter vincere usando le armi. «Il governo Netanyahu sembra credere che l’intervento militare produrrà importanti risultati – spiega – così come Hamas continua a sostenere che tramite la violenza riuscirà a mettere Israele in ginocchio».

Il gesuita richiama inoltre al ruolo che ognuna delle due comunità cristiane deve svolgere all’interno della propria società, promuovendo i valori evangelici della giustizia, della pace, del perdono e della riconciliazione. «La Terra Santa ha bisogno di un ecumenismo profetico che unisca i cristiani nonostante i conflitti e permetta loro di farsi promotori di pace all’interno di ognuna delle parti in lotta».

Anche i cristiani occidentali non possono rimanere imparziali, bensì devono prendere le parti di «quanti soffrono perché i governi si rifiutano di dialogare». «Devono schierarsi con i bambini condannati a questa disperazione con chi promuove il dialogo – continua il religioso – Soprattutto devono descrivere obiettivamente la realtà: questo non è un territorio di nemici. È la terra in cui Dio ha piantato ebrei, cristiani e musulmani, israeliani e palestinesi, non per combattersi l’un l’altro, ma per riconoscere che sono fratelli e sorelle».

La comunità cattolica di lingua ebraica è aumentata molto negli ultimi anni a causa dell’afflusso in Israele di molti migranti cattolici provenienti da India, Filippine e da altre nazioni di Africa, America Latina e Europa dell’Est. Oggi nel paese si contano tra i 50mila e i 60mila immigrati cattolici, i cui figli spesso parlano soltanto la lingua ebraica. Una nuova sfida per la Chiesa locale che per la prima volta nella storia ha dei fedeli che non parlano né l’arabo né le principali lingue europee.




Israele, un paradiso per i cristiani
8 Gennaio 2018

https://www.ilfoglio.it/il-foglio-inter ... ani-171969

“In quanto cristiano mediorientale desidero informarvi che, sebbene i capi musulmani abbiano cercato di convincere l’occidente che qui i cristiani stanno bene, è vero il contrario”. Così scrive Elias Zarina. “Inoltre, essendo nato e cresciuto nel quartiere cristiano della Città Vecchia di Gerusalemme, posso dire con certezza che Israele è l’unico paese di questa regione in cui i cristiani possono prosperare. La cosa potrebbe sorprendere per via di una recente lettera firmata da dirigenti della chiesa, in cui si condanna la dichiarazione su Gerusalemme del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Ripeto, la verità è molto più complessa. I cristiani in medio oriente, compresa Cisgiordania e Gerusalemme est, sono sottoposti a un’enorme pressione da parte dei capi musulmani. Negli anni scorsi la comunità cristiana in tutto il medio oriente ha enormemente patito per l’ascesa degli estremisti jihadisti. Si prendano, ad esempio, le centinaia di migliaia di cristiani sfollati da Siria e Iraq. O il massacro dei cristiani copti in Egitto. Lo stesso vale anche in Cisgiordania. Proprio di recente, un terrorista palestinese ha perpetrato un attacco alla guida di un’auto, nella città cristiana di Beit Jala, ferendo 18 persone e demolendo una quarantina di veicoli. Ho sentito di prima mano che l’obiettivo dichiarato dell’aggressore era “ripulire la zona dagli infedeli”.

L’Autorità palestinese, che ha arrestato il responsabile, ha diramato una dichiarazione falsa che ignora questa rivendicazione e minimizza l’incidente attribuendolo al solito “disturbato di mente”. Non è che l’ennesimo esempio di come l’Autorità palestinese cerca di mascherare i veri pericoli che corrono i suoi residenti cristiani a causa della crescita al suo interno dell’ideologia islamista. Non sorprende quindi che da varie parti della Terra Santa, la terra natale di Gesù Cristo, molti dei suoi seguaci stiano fuggendo in occidente. Sono in fuga dal pericolo di morte inflitto dagli islamisti estremisti. Qui vicino a casa mia, sono molti i cristiani che stanno abbandonando l’Autorità palestinese, malgrado ciò che dicono i suoi dirigenti. L’esodo cristiano dalle città palestinesi, Betlemme inclusa, è la dimostrazione del maltrattamento che subiscono e del loro profondo senso di insicurezza. Tuttavia, sono felice di poter riferire che esiste un luogo, in medio oriente, dove i cristiani prosperano davvero, ed è Israele. La comunità cristiana in Israele continua a crescere di numero. I cristiani in Israele godono di benessere economico, sistemi educativi indipendenti con alcune delle migliori scuole del paese, un eccellente sistema sanitario e pieni diritti civili. E’ per questo motivo che cresce il numero di cittadini cristiani che sceglie di arruolarsi volontariamente nelle Forze di difesa israeliane e di continuare a studiare e vivere qui. Quindi, a tutti i pellegrini dico: mi auguro che durante la vostra visita sappiate vedere come, mentre i cristiani di tutta la regione cercano un futuro migliore all’esterno, qui in Israele essi lo cercano all’interno del proprio paese”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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