Betlemme, i cristiani fuggono e la colpa è degli islamistidicembre 22, 2013
Roberto Barducci
https://www.tempi.it/i-cristiani-fuggon ... tWJSpe-mjI Per i cristiani non c’è lavoro. Le loro figlie vengono stuprate, le proprietà confiscate. Anche la croce non è più tollerata, ma per le autorità e i media non c’è discriminazione
Gerusalemme. C’è una sorta di muro dell’omertà che chi vuole descrivere la situazione dei cristiani in Palestina si trova di fronte. «Non esistono difficoltà di alcuna natura fra la comunità cristiana e quella musulmana, tutti si sentono, in primo luogo, palestinesi», ci dice il sindaco di Betlemme Vera Baboun, 49 anni, cristiana, che ha vinto le elezioni nel 2012 alla guida di un movimento politico appoggiato da Fatah. Nel suo ufficio appare una recente foto del sindaco in compagnia di papa Francesco e, poco fuori della sua porta, un bel presepe, mentre gli alberi di Natale sono presenti sia nel suo ufficio sia nell’atrio prospiciente. Più lontano, nel corridoio, è stata dipinta una gigantografia di Yasser Arafat.
Le parole del sindaco traducono l’esigenza di non discostarsi dalle posizioni dell’Autorità palestinese tipica dei politici locali. Secondo Baboun, infatti, le difficoltà e i problemi della città sarebbero rappresentati dall’espansione degli insediamenti ebraici e quindi, fondamentalmente, dall’“occupazione” israeliana. Ciò però non sembra spiegare in maniera convincente la diminuzione del numero dei cristiani nella città che ha dato i natali a Gesù. Nel 1948, a Betlemme, che conta circa 25 mila abitanti e si trova nella West Bank a meno di dieci chilometri da Gerusalemme, i cristiani rappresentavano l’85 per cento della popolazione, mentre adesso ammontano solo al 12 per cento.
Secondo Baboun, le ragioni di tale diminuzione vanno ricercate nell’emigrazione, dovuta al depresso contesto economico e alle migliori prospettive che si possono trovare altrove, oltre che alla minore natalità della popolazione cristiana rispetto a quella musulmana. Baboun però nega decisamente che ci siano problemi tra cristiani e musulmani, asserendo che la sola fonte di divisione del campo palestinese riguarda lo “scisma” di Hamas e la sua contrapposizione a Fatah.
Questo è un tipo di risposta alquanto corrente quando si parla pubblicamente dell’argomento cristiani con persone del luogo, che preferiscono troncare la conversazione attribuendo tutti i guai all’“ihtilal” (occupazione, in arabo) israeliana. Però, anche se è innegabile che l’attuale situazione politica nei territori palestinesi non favorisce certo il loro sviluppo economico, tuttavia non è comprensibile come a diminuire sia solo la popolazione cristiana, mentre quella musulmana continua a crescere, come si può notare dalla grande quantità di nuove costruzioni, che si possono osservare non solo a Betlemme ma anche in altre città palestinesi come Ramallah o Hebron. Quella dei cristiani appare più come una fuga che un esodo dovuto a normali flussi migratori.
Nonostante la reticenza dominante sulla condizione dei cristiani, c’è anche chi, da anni, si batte per vedere riconosciuta la perfetta parità di diritti fra la comunità cristiana e quella musulmana. Samir Qumsieh è un noto imprenditore locale, cristiano, che ha fondato, una quindicina di anni fa, il canale televisivo al Mahd TV (Natività), in cui sono trattati temi religiosi cristiani ed è trasmessa la Messa in diretta ogni domenica. Nella sua casa a Betlemme Qumsieh spiega che, sul piano dei diritti formali, non ci sono elementi di discriminazione fra le due comunità, ma, nella realtà delle cose, essi esistono. «Il nostro futuro in Terra Santa è molto incerto. Se continua così, fra vent’anni non ci saremo più», dice scoraggiato l’imprenditore palestinese.
Per Qumsieh, uno dei maggiori problemi della comunità cristiana è proprio il muro di omertà dei suoi correligionari che, per ragioni di timore e di quieto vivere, non si oppongono con la dovuta forza ai soprusi patiti per mano islamista, tranne poi, alla prima occasione, prendere la via dell’emigrazione. Il proprietario di al Mahd TV afferma, inoltre, che le autorità locali non proteggono concretamente i cristiani, diventando così complici delle vessazioni contro di loro. «Noi cristiani non avevamo avuto questo genere di problemi né sotto l’impero ottomano, né sotto gli inglesi, né sotto l’occupazione israeliana. Adesso ce li abbiamo sotto l’amministrazione dell’Autorità palestinese», dice Qumsieh.
Tra i soprusi Qumsieh elenca in primo luogo la “land mafia”, un sistema malavitoso con connivenze nelle istituzioni, tendente a sottrarre in modo violento la terra ai cristiani. Nel 2005 lui aveva presentato un dossier all’Autorità palestinese, dove aveva enumerato 93 incidenti di abusi da parte di fondamentalisti islamici e 140 casi di appropriazione indebita di terre appartenenti a cristiani con il sostegno di giudici corrotti.
Il dossier non ha avuto seguito e le malversazioni sono continuate fino a oggi. «La mafia criminale e i fondamentalisti lavorano assieme», dice Qumsieh. «Il loro scopo è quello di impadronirsi della nostra terra. In passato, quando scrivevo di questi problemi all’ex rais Yasser Arafat, almeno aveva la cortesia di rispondere, ma il presidente Mahmoud Abbas non si degna neppure di fare un cenno di risposta».
Il proprietario di al Mahd TV racconta anche dei numerosi casi di stupro e di abusi sessuali nei confronti di ragazze cristiane. «Prendete il caso di Rawan William Mansour, una ragazza di 17 anni della cittadina di Bet Sahur, a est di Betlemme, che alcuni anni fa era stata violentata da quattro membri di Fatah. Nonostante le proteste della famiglia, nessuno dei quattro è stato arrestato», spiega Qumsieh, che vuole dare voce alle giovani vittime. Racconta quindi anche del caso di due ragazze cristiane assassinate, perché accusate di essere delle prostitute e delle collaboratrici delle forze israeliane. In realtà, l’uccisione era stata perpetrata per coprire il loro precedente stupro da parte di fondamentalisti. I casi da citare sarebbero molti. Questo crea un’atmosfera di incertezza nella comunità cristiana e molte famiglie, con figlie in giovane età, qualora ne abbiamo i mezzi, preferiscono partire per l’estero.
Il muro di omertà
L’imprenditore palestinese denuncia poi la crescente islamizzazione della società palestinese con la conseguente intolleranza verso i cristiani e i loro simboli. Molti imprenditori musulmani si rifiutano di offrire lavoro ai cristiani, lasciando loro come unica scelta per trovare impiego la fuga all’estero. Alcuni tassisti cristiani sono stati aggrediti da facinorosi per il semplice fatto di portare una catenina con la croce al collo. Qumsieh mostra inoltre delle t-shirt, che si trovano in vendita nel bazar di Betlemme e che presentano immagini di luoghi santi cristiani come la chiesa della Natività. In queste magliette, confezionate a Hebron e in altre città dei territori, è stata eliminata categoricamente ogni immagine della Croce.
Perfino sulle magliette “taroccate” della squadra di calcio del Barcellona, che nel suo logo presenta una croce di San Giorgio, hanno tolto a quella croce il braccio sinistro in modo da eliminare ogni riferimento cristiano. «Insomma, a certi fondamentalisti islamici fa piacere che dei turisti cristiani comprino le loro confezioni, ma non sono disposti ad accordare alcuna dignità alla loro religione», dice Qumsieh.
L’imprenditore palestinese se la prende infine con i media occidentali che, per non dispiacere all’Autorità palestinese, accettano troppo facilmente l’immagine edulcorata di rapporti idilliaci fra cristiani e musulmani, senza voler approfondire l’argomento. Infatti, parlando poi in privato con alcune famiglie cristiane che non vogliono essere identificate, queste si sono lamentate di come anche le voci più moderate fra i musulmani non siano ascoltate dai media occidentali, rafforzando così i fondamentalisti.
Queste famiglie ci raccontano la vicenda di un imam della più grande moschea di Betlemme che ha ricevuto minacce dopo avere fatto un sermone in cui lanciava un appello per porre fine alla discriminazione contro i cristiani. La situazione è seria e questo silenzio dell’Occidente, che non permette di rompere il muro di paura e di omertà, mette a rischio la sopravvivenza stessa delle comunità cristiane in Terra Santa.
Perché i cristiani lasciano la Terra Santa?Lawrence A. Franklin
https://it.gatestoneinstitute.org/7909/ ... erra-santa Nessun uomo di buona volontà, soprattutto cattolico, vuole accusare un membro di spicco della propria fede religiosa di essere deliberatamente bugiardo. Raramente si rinviene la verità nella narrazione pubblica palestinese. Ma nel caso di monsignor Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme, che ha falsamente accusato Israele dell'attuale ondata di violenza palestinese contro i civili israeliani, è quanto mai evidente dalle palesi e costanti critiche allo Stato d'Israele che egli è mosso da un pregiudizio politico.
Twal ha dichiarato che la presunta "occupazione" di Israele della "Palestina araba" è la causa della violenza omicida che ha colpito i civili israeliani per mano degli aggressori arabi – "dimenticando", a quanto pare, che gli ebrei vivono nella regione da quasi 4000 anni. Egli pare abbia anche dimenticato che i leader dell'Autorità palestinese (Ap) esaltano questi atti di "resistenza" dall'autunno 2014. Come può Twal ignorare il fatto che i media palestinesi magnificano questi attacchi a colpi di coltello come fossero "gesta gloriose". Infatti, nelle scuole palestinesi, gli aggressori vengono salutati come eroi.
Mentire apertamente fa anche parte delle campagne di propaganda dell'Ap e Hamas. Il leader dell'Autorità palestinese, Mahmoud Abbas, ha dichiarato che un ragazzo palestinese, che era stato investito da un'auto dopo aver accoltellato un bambino israeliano, è stato giustiziato dalle truppe israeliane quando si era saputo che il responsabile dell'attacco era vivo e ricoverato in un ospedale israeliano.
La posizione di monsignor Twal pare essere motivata dalla fedeltà ideologica a una causa politica, anziché essere quella di un pastore che provvede ai bisogni spirituali del suo gregge. Anche se il patriarca si preoccupa solo dei bisogni fisici dei suoi fedeli, si potrebbe pensare che la sua attenzione sia concentrata sulla reale preoccupazione primaria delle comunità cattoliche di Terra Santa, vale a dire la sicurezza. Twal ha anche "dimenticato" la ragione fondamentale della fuga dei cristiani dalle zone palestinesi: la causa principale di questa tendenza negativa è l'intolleranza islamica verso le minoranze religiose e non l'occupazione israeliana dei territori palestinesi.
Twal avrà grosse difficoltà a trovare molti cristiani palestinesi disposti ad accusare Israele o l'operato delle Forze di difesa israeliane (Idf), additandoli come causa della emigrazione cristiana. Sono già parecchi quelli che se ne sono andati, traferendosi in Israele, dove possono professare la loro fede senza restrizioni. Migliaia di cattolici ora lavorano in Israele, dove godono di piena libertà religiosa. Basta vedere quanto sia difficile trovare un posto a sedere nelle messe domenicali celebrate nelle gremite chiese cattoliche di Tel Aviv.
La triste verità è che nei territori palestinesi i cristiani sono costretti a vivere come dhimmi – cittadini di seconda classe che sopravvivono soprattutto grazie alla tassa di protezione che sono tenuti a pagare per comprare la loro sicurezza quotidiana. Questi cittadini a malapena tollerati esistono solo perché sono preda dei capricci e a servizio della maggioranza musulmana al potere.[1] La discriminazione attuata dagli arabi musulmani contro i non musulmani annovera un comportamento economico e socialmente pregiudizievole che rende impossibile o difficile per gli arabi cristiani gestire un'attività commerciale redditizia, impedendo anche che le loro famiglie siano pienamente integrate nella società. Perché Twal, presidente dell'Assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa, non si sente in dovere di denunciare pubblicamente questa intolleranza da parte degli estremisti islamici? Non facendolo, sembrerebbe pregiudicare il suo ruolo di guardiano dei diritti dei cristiani cattolici di Terra Santa. Di conseguenza, il governo israeliano potrebbe nutrire poca considerazione per sue legittime preoccupazioni come la deturpazione dei beni di proprietà della Chiesa da parte dei giovani ebrei anticristiani.
È inoltre opportuno che i cattolici sollevino con le autorità vaticane la questione dell'immagine di fede che monsignor Twal continua a dare in Terra Santa. Lo stesso comportamento di Twal potrebbe aiutare i cattolici a capire chi egli serve per primo: Dio o l'uomo? Non c'è traccia di gratitudine da parte del patriarca dopo che le IDF lo hanno salvato da una folla di palestinesi musulmani che lo deridevano e scagliavano pietre contro la sua auto a Betlemme, lo scorso Natale. Ed egli non vuole ammettere che l'unico motivo per cui questi luoghi santi cristiani sono sicuri per i pellegrini è dovuto al fatto che essi sono protetti dallo Stato di Israele, e non dall'Autorità palestinese. Tutto ciò che dobbiamo fare è osservare come i luoghi santi cristiani sono stati demoliti in tutto il Medio Oriente, per renderci conto che senza la protezione di Israele dei luoghi santi cristiani di Gerusalemme e Betlemme, a un certo punto, non esisterebbero più i luoghi santi cristiani!
Monsignor Fouad Twal, il patriarca latino di Gerusalemme (foto a destra), diffama costantemente Israele, i cui soldati lo hanno salvato quando è stato oggetto di una sassaiola da parte di una folla di palestinesi musulmani, a Betlemme, nel dicembre 2015. Nella foto a sinistra, un gruppo di palestinesi musulmani della zona di Betlemme, e tra essi alcuni uomini vestiti da Babbo Natale, lancia pietre contro i soldati israeliani, al grido di "Allahu Akbar", il 18 dicembre 2015.
Sono numerosi gli esempi che illustrano il motivo per cui i leader cristiani hanno il dovere di esprimere pubblicamente la propria gratitudine agli addetti alla sicurezza israeliani. Ad esempio, durante l'occupazione nel 2002 della Basilica della Natività, a Betlemme – ora sotto il controllo musulmano – da parte di oltre 200 terroristi palestinesi armati, le Forze di difesa israeliane agirono con notevole moderazione per evitare il rischio di danneggiare un importante luogo sacro cristiano. Dopo 39 giorni di occupazione, il governo israeliano dette seguito ai desideri del Vaticano, permettendo agli occupanti di lasciare indenni Betlemme.[2] Dopo l'uscita dei terroristi occupanti e il rilascio degli ostaggi, nella Basilica furono rinvenuti numerosi ordigni esplosivi. Inoltre, altari, arredi e oggetti religiosi vennero trovati cosparsi di urina, mozziconi di sigaretta ed escrementi umani.
Proprio il mese scorso, una serie di assalti sono stati lanciati da terroristi palestinesi nei pressi della Porta di Damasco. Dopo uno di questi attacchi, il 14 febbraio, le guardie di frontiera israeliane hanno ucciso due terroristi di Nablus che si erano infiltrati a Gerusalemme. L'obiettivo dei terroristi era probabilmente un gruppo di ricchi pellegrini americani che si stavano godendo un happy hour, affollandosi nell'atrio del complesso Notre Dame che ospita i pellegrini, ignari del pericolo a poca distanza da loro. Questi pellegrini cristiani potrebbero essere grati alla sottile linea di israeliani che li ha protetti.
E lei, quanto gliene è grato, monsignor Twal?
Lawrence A. Franklin è stato il responsabile del desk per gli affari iraniani per il segretario alla Difesa Rumsfeld. Egli ha servito anche nell'esercito statunitense ed è stato colonnello dell'Air Force Reserve e attaché militare in Israele.
[1] Jerusalem Center for Public Affairs, "The Beleaguered Christians of Palestinian-Controlled Areas" di David Raab, pp. 1-15 January 2003. Si veda anche "Why Are Christians Really Leaving Bethlehem?" di Julie Stahl, CBN News, 8 May 2012; e "Why are Palestinian Christians Fleeing?" di Robert Nicholson, Providence, 1 March 2016.
[2] PBS Frontline, "The Siege of Bethlehem", 13 June 2013.
I palestinesi cancellano la storia cristianaKhaled Abu Toameh
18 apr 2016
https://it.gatestoneinstitute.org/7876/ ... ani-storiaI cristiani palestinesi sono indignati per la distruzione delle rovine di un'antica chiesa bizantina che sono venute alla luce di recente a Gaza City.
Le loro proteste, però, non sono riuscite ad attirare l'attenzione della comunità internazionale, soprattutto degli organismi delle Nazioni Unite come l'Unesco, la cui missione è quella di tutelare il patrimonio culturale e naturale mondiale.
I resti della chiesa risalente a 1800 anni fa sono stati rinvenuti in Palestine Square, nel quartiere di Al-Daraj, a Gaza City, dove Hamas intende costruire un centro commerciale. L'importante scoperta archeologica pare non essere piaciuta agli operai del cantiere edile, che hanno rimosso i reperti, continuando a lavorare come se nulla fosse.
Difficile da credere ma per distruggere alcune vestigia della chiesa sono stati usati i bulldozer, ricevendo aspre critiche da parte dei cristiani palestinesi e qualcuno non ha esitato ad accusare Hamas e l'Ap di emulare le tattiche dell'Isis per demolire i luoghi storici.
Per i cristiani palestinesi la distruzione delle antiche rovine della chiesa bizantina è un ulteriore tentativo da parte dei leader musulmani palestinesi di cancellare la storia cristiana e i segni di ogni presenza cristiana nei territori palestinesi.
Hamas ha distrutto i resti di una chiesa bizantina risalente a 1800 anni fa che era stata di recente scoperta a Gaza City.
Le accuse rispecchiano l'amarezza che provano i cristiani palestinesi nei confronti dei loro leader in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, ma rivelano anche un crescente senso di emarginazione e persecuzione che molti cristiani avvertono vivendo sotto l'Autorità palestinese e Hamas.
I cristiani palestinesi esprimono inoltre una certa delusione per il disinteresse mostrato da parte della comunità internazionale – anche dal Vaticano e dalle comunità cristiane di tutto il mondo – per questo episodio, inteso come un attacco al loro patrimonio e ai luoghi di culto.
Hamas afferma di non avere le risorse per preservare l'antico sito della chiesa, perché per poterlo fare occorrono milioni di dollari e centinaia di addetti ai lavori e in questo momento il movimento islamista sta affrontando un crisi finanziaria a causa del "blocco" in corso nella Striscia di Gaza.
L'Autorità palestinese, da parte sua, sostiene che le è impossibile impedire la distruzione delle antichità, visto che la Striscia di Gaza non è sotto il suo controllo. Tuttavia, la leadership dell'Ap in Cisgiordania non si è pronunciata pubblicamente contro la distruzione del patrimonio archeologico. Stiamo parlando della stessa Autorità palestinese che promuove una "intifada" delle auto e dei coltelli per uccidere gli ebrei accusati di "profanare" la Moschea di al-Aqsa a causa delle visite organizzate sul Monte del Tempio sotto protezione della polizia.
L'Autorità palestinese ritiene che le visite degli ebrei sul Monte del Tempio siano molto più pericolose della distruzione di un importante sito archeologico cristiano nella Striscia di Gaza. Anziché denunciare le azioni di Hamas, l'agenzia di stampa ufficiale dell'Ap Wafa ha pubblicato un report in cui alcuni archeologi e storici palestinesi esprimono indignazione per quanto accaduto.
Uno dei leader della comunità cristiana in Cisgiordania, padre Ibrahim Nairouz, ha scritto una lettera di protesta al primo ministro dell'Ap, Rami Hamdallah, lamentandosi della gestione arbitraria delle vestigia della chiesa rinvenuta a Gaza.
Il sacerdote ha scritto nella sua lettera: "Avreste agito nello stesso modo se le rovine fossero appartenute a una moschea o a una sinagoga?"
E così in segno di protesta, egli ha reso pubblica la sua decisione di boicottare la prossima visita ufficiale del primo ministro a Betlemme e Hebron.
Numerosi cristiani palestinesi – e anche qualche musulmano – hanno espresso il loro sostegno alle critiche di padre Nairouz.
Sami Khalil, un cristiano della città cisgiordana di Nablus, ha scritto:
"Penso che il silenzio arrivi a rasentare la connivenza. Ma la domanda è: dove sono gli specialisti in grado di conservare il nostro patrimonio cristiano? Dove sono i responsabili delle chiese di Gerusalemme e del mondo? Dove sono i vescovi? Dove sono il Vaticano e l'Unesco? Dove sono i leader e gli uomini politici che parlano, parlano, parlano di unità nazionale e conservazione dei luoghi santi? Oppure questa è una cospirazione collettiva per porre fine alla nostra esistenza e alla nostra storia in Medio Oriente?"
Un altro cristiano, Anton Kamil Nasser, ha commentato: "Poco importa che si tratti di una chiesa o di qualcos'altro, questa è una forma di terrorismo intellettuale e arretratezza".
Abdullah Kamal, dell'Università al-Quds di Gerusalemme, ha detto: "Purtroppo, il silenzio riguardo la distruzione di questo patrimonio archeologico e sito storico del nostro paese è equiparabile a un crimine".
Una donna cristiana di Gerusalemme Est ha rimarcato: "Dovremmo vergognarci. Se questo fosse accaduto sotto gli ebrei, il sito sarebbe stato trasformato in un museo".
Sì, è così: sotto l'Autorità palestinese e Hamas, per la minoranza cristiana non tutto va per il meglio.
Non è un segreto che sempre più cristiani in Cisgiordania e a Gaza si sentano presi di mira sistematicamente dall'Ap e da Hamas a causa della loro religione.
La devastazione dell'antica chiesa bizantina di Gaza è solo un esempio della mancanza di rispetto mostrata dall'Autorità palestinese e Hamas verso gli abitanti cristiani.
Un altro episodio che ha fatto infuriare i cristiani è stato l'arresto della settimana scorsa, da parte della polizia dell'Ap, di Raja Elias Freij, 60 anni, un importante uomo d'affari cristiano di Betlemme.
L'Autorità palestinese sostiene che Freij è stato arrestato perché aveva minacciato un commerciante di Betlemme – un'accusa che lui, la sua famiglia e molti altri cristiani negano con forza. Lo scorso fine settimana, un gruppo di cristiani ha inscenato una protesta nella piazza della Mangiatoia, a Betlemme, per chiedere il rilascio di Freij, accusando l'Ap di discriminazione religiosa.
Il dramma dei cristiani palestinesi non interessa la comunità internazionale. E questo perché Israele non può essere accusato di demolire le antichità. Se l'attuale politica contro i cristiani persiste, verrà il giorno in cui a Betlemme non rimarrà un solo cristiano e i pellegrini in visita alla città dovranno farsi accompagnare dai loro preti per celebrarvi la messa.
Khaled Abu Toameh è un pluripremiato giornalista che vive a Gerusalemme.
Uniti e divisi dalla tragedia di Gaza: i cattolici palestinesi e i cattolici israeliani di lingua ebraicaNEWS 28 luglio 2014
http://www.iltimone.org/news-timone/uni ... -cattolici«La nostra più grande sfida è evitare che il conflitto in atto a Gaza porti a divisioni tra i cristiani». Così ha dichiarato ad Aiuto alla Chiesa che Soffre padre David Neuhaus, gesuita e vicario del patriarcato latino di Gerusalemme per i cattolici di lingua ebraica.
«I cristiani di lingua ebraica s’identificano pienamente con Israele, mentre i cristiani di lingua araba, si schierano con la parte palestinese». In questi tragici momenti la Chiesa locale è impegnata anche a «ricordare ai fedeli di Gaza e a quelli di Beersheva», dove risiede una delle comunità di cattolici di lingua ebraica, «che sono fratelli nella fede e che nonostante il conflitto devono fare fronte comune».
Padre Neuhaus è certo che l’unico modo per metter fine agli scontri tra Israele e Palestina sia comprendere che la violenza genera soltanto nuova violenza. «Bombardare Gaza riuscirà solo ad aumentare le persone in cerca di vendetta», afferma il religioso spiegando che il conflitto è alimentato dalla convinzione, tanto israeliana quanto palestinese, di poter vincere usando le armi. «Il governo Netanyahu sembra credere che l’intervento militare produrrà importanti risultati – spiega – così come Hamas continua a sostenere che tramite la violenza riuscirà a mettere Israele in ginocchio».
Il gesuita richiama inoltre al ruolo che ognuna delle due comunità cristiane deve svolgere all’interno della propria società, promuovendo i valori evangelici della giustizia, della pace, del perdono e della riconciliazione. «La Terra Santa ha bisogno di un ecumenismo profetico che unisca i cristiani nonostante i conflitti e permetta loro di farsi promotori di pace all’interno di ognuna delle parti in lotta».
Anche i cristiani occidentali non possono rimanere imparziali, bensì devono prendere le parti di «quanti soffrono perché i governi si rifiutano di dialogare». «Devono schierarsi con i bambini condannati a questa disperazione con chi promuove il dialogo – continua il religioso – Soprattutto devono descrivere obiettivamente la realtà: questo non è un territorio di nemici. È la terra in cui Dio ha piantato ebrei, cristiani e musulmani, israeliani e palestinesi, non per combattersi l’un l’altro, ma per riconoscere che sono fratelli e sorelle».
La comunità cattolica di lingua ebraica è aumentata molto negli ultimi anni a causa dell’afflusso in Israele di molti migranti cattolici provenienti da India, Filippine e da altre nazioni di Africa, America Latina e Europa dell’Est. Oggi nel paese si contano tra i 50mila e i 60mila immigrati cattolici, i cui figli spesso parlano soltanto la lingua ebraica. Una nuova sfida per la Chiesa locale che per la prima volta nella storia ha dei fedeli che non parlano né l’arabo né le principali lingue europee.
Israele, un paradiso per i cristiani8 Gennaio 2018
https://www.ilfoglio.it/il-foglio-inter ... ani-171969 “In quanto cristiano mediorientale desidero informarvi che, sebbene i capi musulmani abbiano cercato di convincere l’occidente che qui i cristiani stanno bene, è vero il contrario”. Così scrive Elias Zarina. “Inoltre, essendo nato e cresciuto nel quartiere cristiano della Città Vecchia di Gerusalemme, posso dire con certezza che Israele è l’unico paese di questa regione in cui i cristiani possono prosperare. La cosa potrebbe sorprendere per via di una recente lettera firmata da dirigenti della chiesa, in cui si condanna la dichiarazione su Gerusalemme del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Ripeto, la verità è molto più complessa. I cristiani in medio oriente, compresa Cisgiordania e Gerusalemme est, sono sottoposti a un’enorme pressione da parte dei capi musulmani. Negli anni scorsi la comunità cristiana in tutto il medio oriente ha enormemente patito per l’ascesa degli estremisti jihadisti. Si prendano, ad esempio, le centinaia di migliaia di cristiani sfollati da Siria e Iraq. O il massacro dei cristiani copti in Egitto. Lo stesso vale anche in Cisgiordania. Proprio di recente, un terrorista palestinese ha perpetrato un attacco alla guida di un’auto, nella città cristiana di Beit Jala, ferendo 18 persone e demolendo una quarantina di veicoli. Ho sentito di prima mano che l’obiettivo dichiarato dell’aggressore era “ripulire la zona dagli infedeli”.
L’Autorità palestinese, che ha arrestato il responsabile, ha diramato una dichiarazione falsa che ignora questa rivendicazione e minimizza l’incidente attribuendolo al solito “disturbato di mente”. Non è che l’ennesimo esempio di come l’Autorità palestinese cerca di mascherare i veri pericoli che corrono i suoi residenti cristiani a causa della crescita al suo interno dell’ideologia islamista. Non sorprende quindi che da varie parti della Terra Santa, la terra natale di Gesù Cristo, molti dei suoi seguaci stiano fuggendo in occidente. Sono in fuga dal pericolo di morte inflitto dagli islamisti estremisti. Qui vicino a casa mia, sono molti i cristiani che stanno abbandonando l’Autorità palestinese, malgrado ciò che dicono i suoi dirigenti. L’esodo cristiano dalle città palestinesi, Betlemme inclusa, è la dimostrazione del maltrattamento che subiscono e del loro profondo senso di insicurezza. Tuttavia, sono felice di poter riferire che esiste un luogo, in medio oriente, dove i cristiani prosperano davvero, ed è Israele. La comunità cristiana in Israele continua a crescere di numero. I cristiani in Israele godono di benessere economico, sistemi educativi indipendenti con alcune delle migliori scuole del paese, un eccellente sistema sanitario e pieni diritti civili. E’ per questo motivo che cresce il numero di cittadini cristiani che sceglie di arruolarsi volontariamente nelle Forze di difesa israeliane e di continuare a studiare e vivere qui. Quindi, a tutti i pellegrini dico: mi auguro che durante la vostra visita sappiate vedere come, mentre i cristiani di tutta la regione cercano un futuro migliore all’esterno, qui in Israele essi lo cercano all’interno del proprio paese”.