La libertà religiosa nel mondo islamico. I casi di Marocco e Tunisia08/06/2012 16:14:04 di Valentina Colombo
http://www.magdicristianoallam.it/blogs ... nisia.htmlL’intellettuale tunisino Mohammed Charfi, nel suo saggio Islam et liberté. Le malentendu historique, commentando il versetto 256 della sura coranica La vacca che recita “Non c’è costrizione nella fede”[1], ha scritto:
“Con parole divine così chiare, ci si sarebbe aspettati che gli ulema costruissero una bella teoria della libertà di coscienza. Ma così non è stato. Al contrario, ci hanno trasmesso una serie di regole che attentano alla libertà di coscienza sia dei musulmani che delle genti del Libro e degli altri.”[2]
Dopo avere ribadito che il diritto islamico è un’elaborazione umana, una codifica nei secoli delle fonti del diritto, ovvero del Corano e della Tradizione, Charfi conclude che “per numerosi aspetti, la sharia è stata costruita dagli uomini, contro i principi coranici”[3]. Quanto alla libertà di culto sottolinea che “lo statuto islamico delle minoranze è complesso. E’ fatto di tolleranza, notevole per l’epoca, e di discriminazioni, inaccettabili oggi”[4]. Viene ribadita la triste condizione dei copti in Egitto che pur essendo presenti sul territorio da ben quattordici secoli prima della conquista islamica, si vedono attualmente costretti ad abbandonare il paese in quanto vittime di una persecuzione continua[5]. Ultimo, ma non meno importante, Charfi denuncia che “l’idea più disastrosa che hanno avuto gli ulema, la loro invenzione più orribile, e che è oggi la principale tara della sharia, è quella di avere eretto l’apostasia a infrazione punita con la punizione estrema, la pena di morte.”[6]
Ne consegue che nel mondo islamico la questione della libertà religiosa costituisca uno degli argomenti dirimenti nel dibattito circa il rapporto tra l’islam e i diritti umani. Sin dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, la libertà religiosa ha rappresentato uno degli scogli principali per la ratifica del documento da parte degli Stati a maggioranza islamica.
L’articolo 18 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo afferma che “ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti.”
Ebbene, già nel 1948 l’Arabia Saudita non aderì alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo ritenendola per molti aspetti in contrasto con i dettami dell’islam. Le motivazioni ufficiali di tale rifiuto sono state raccolte in un Memorandum del governo saudita dal quale emerge una posizione ultra-conservatrice nel rifiutare l’adesione al documento internazionale:
“Il diniego da parte del nostro stato non significa affatto indifferenza nei riguardi degli obiettivi che questi documenti [cioè le carte internazionali] si propongono di perseguire, cioè la dignità dell’uomo [...] il nostro rifiuto significa piuttosto la volontà irremovibile di proteggere, garantire e salvaguardare la dignità dell’uomo [...] in virtù del dogma islamico rivelato da Dio e non in virtù di legislazioni ispirate da considerazioni materialiste e perciò soggette a continui cambiamenti”[7].
A queste obiezioni di fondo seguono poi tre riserve specifiche che giustificano ulteriormente il rifiuto. Nella fattispecie si esprime il diniego del Regno Saudita ad ammettere il matrimonio della donna musulmana con il non musulmano, ad ammettere la possibilità per il musulmano di cambiare religione, ovvero di riconoscere il diritto alla libertà di coscienza, e ad ammettere la liceità dei sindacati per i lavoratori. Due riserve su tre riguardano la libertà di religione. Inoltre la prima conferma quanto sostenuto da Ann Elizabeth Meyer ovvero che nel mondo islamico “le questioni relative alla libertà religiosa e quelle relative alla condizione della donna sono strettamente connesse”[8].
Nella stessa circostanza anche l’Egitto e altri paesi arabi espressero riserve riguardo agli articoli concernenti la libertà di religione e di coscienza e alla libertà di matrimonio, indipendentemente dall’appartenenza religiosa, sulla base del fatto che erano in contrasto con la sharia.
In seguito nel 1990 al Cairo la XIX Conferenza islamica dei ministri degli Esteri ha approvato quella che è nota come la Dichiarazione del Cairo sui Diritti Umani nell’islam[9]. Qui all’articolo 1.a si legge quanto segue:
“Tutti gli esseri umani formano una famiglia, i cui membri sono uniti dalla sottomissione a Dio e dal fatto di essere tutti discendenti di Adamo. Tutti gli uomini sono uguali dal punto di vista della dignità umana e dell’adempimento dei doveri e delle responsabilità, senza alcuna discriminazione di razza, colore, lingua, sesso, religione, appartenenza politica, condizione sociale o altro. La vera fede garantisce un accrescimento di tale dignità sulla via dell’umana perfezione.”
Apparentemente viene garantita la libertà di culto, tuttavia all’articolo 10 si afferma che “l’islam è la religione naturale dell’uomo. Non è lecito sottoporre quest’ultimo a una qualsivoglia forma di pressione o approfittare della sua eventuale povertà o ignoranza per convertirlo a un’altra religione o all’ateismo”, negando quindi la possibilità di conversione.
Ebbene, il 30 giugno 2000 le nazioni dell’Organizzazione della Conferenza Islamica, che di recente ha cambiato la propria denominazione in Organizzazione per la Cooperazione Islamica, hanno ufficialmente deciso di ratificare la Dichiarazione del Cairo.
Le critiche mosse al documento soprattutto per quanto concerne la questione della libertà religiosa hanno spinto all’elaborazione nel 1994 della Carta Araba dei Diritti dell’Uomo della Lega degli Stati Arabi[10] dove l’articolo 2, ricalcando l’articolo 1 della Dichiarazione del Cairo, recita:
“Tutti gli Stati firmatari della presente Carta s’impegnano a garantire a ogni persona che si trovi sul loro territorio e sottoposta alla loro autorità di godere di tutti i diritti e libertà indicati in questa Carta senza distinzione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione senza nessuna discriminazione tra uomini e donne.”
Negli articoli seguenti, per la precisione agli articoli 26 e 27, si dettagliano maggiormente le posizioni circa la libertà di religione:
“Art. 26. È garantita la libertà di credo, pensiero e opinione a tutti gli individui.
Art. 27. Ogni individuo, qualunque sia la religione a cui appartiene, ha il diritto di praticare i propri riti religiosi; inoltre ha il diritto di esprimere il proprio pensiero con la parola, con la pratica o con l’insegnamento senza pregiudizio dei diritti altrui; non potranno essere poste restrizioni alla libertà di credo, di pensiero e di opinione se non sono previste dalla legge.”
E’ evidente che, essendo la maggior parte dei paesi membri della Lega araba[11] membri al contempo dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica[12], ci si trova innanzi a una sorta di schizofrenia che vede queste nazioni oscillare tra l’adesione a una organizzazione internazionale che fa prevalere l’islamicità e l’adesione all’organismo internazionale fautore dell’arabicità. La stessa schizofrenia è quella si osserva negli stessi paesi nel momento in cui tendono a una laicizzazione o a un adeguamento alle convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo, pur desiderando non venire meno ai precetti islamici[13].
La scelta di analizzare la libertà religiosa in Marocco e Tunisia è dovuta a due ragioni principali. La prima risiede nel fatto che si tratta di due paesi della sponda sud del Mediterraneo che rappresentano modalità diverse di coniugare l’islam, religione di Stato, con la necessità di legiferare nel senso moderno del termine. La seconda ragione è legata al fatto che sono i primi due paesi a maggioranza islamica da cui provengono gli immigrati residenti in Italia. In base ai dati del bilancio demografico nazionale, stilato dall’Istat, al 31 dicembre 2009 risultano residenti nel nostro paese 431.529 marocchini e 103.678 tunisini [14].
E’ universalmente ammesso che l’islam non è una realtà omogenea, non è un monolite. Gli effetti di sostrato, l’appartenenza a diverse scuole del diritto islamico, ma soprattutto la mancanza di un’Autorità che conferisca una lettura univoca delle fonti della religione islamica fanno sì che l’approccio alla religione, sia dal punto di vista del culto personale sia dal punto di vista ufficiale, differisca totalmente da un paese all’altro[15].
Come si è già avuto modo di affermare, Marocco e Tunisia sono realtà sostanzialmente diverse anche se le costituzioni di entrambi paesi dichiarano l’islam religione di Stato. E’ comunque lecito domandarsi fino a che punto un riconoscimento costituzionale dell’islam abbia significato pratico e non rappresenti soltanto un vuoto dogma programmatico. Ciononostante l’ancoraggio alla dogmatica islamica in una costituzione significa quantomeno un preciso obbligo del potere politico a non opporsi, in modo eclatante, ai principi dell’islam. Sulla scia comunque della sempre maggior reislamizzazione dell’area, i principi costituzionali relativi all’islam acquistano tuttavia una nuova dimensione e all’islam spetta un peso maggiore in tutti gli ambiti della vita.
In Marocco il legame con l’islam non è solo costituzionale. Dal 1957 è una monarchia il cui sovrano, Mohammed VI, al pari di Abd Allah II di Giordania, vanta una discendenza diretta da Maometto. Il monarca marocchino si fregia inoltre del titolo di amir al-mu’minin, ovvero “principe dei credenti” che in base all’articolo 41 della nuova costituzione “veglia al rispetto dell’islam. E’ garante del libero esercizio dei culti. Presiede il Consiglio superiore degli ulema, incaricato di studiare le questioni che gli vengono sottoposte […] sulla base dei principi, dei precetti e dei disegni tolleranti dell’islam.”[16] L’islam ha quindi in Marocco un garante nella persona del monarca.
Per venire alla questione della libertà religiosa all’articolo 3 della nuova costituzione si dichiara che “l’islam è la religione di Stato che garantisce a tutti il libero esercizio dei culti”. Ebbene in Marocco attualmente la popolazione è rappresentata al 98,7% da musulmani, all’1,1% da cristiani e allo 0,2% da ebrei[17]. A riguardo di quest’ultima comunità vale la pena ricordare che viene persino menzionata nel Preambolo laddove si afferma che l’unità dello Stato del Marocco è “nutrita e arricchita dagli affluenti africano, andaluso, ebraico e mediterraneo”, a ribadire l’appartenenza della cultura ebraica al sostrato marocchino. Non a caso anche nel Codice della Famiglia, riformato nel 2004, si dichiara all’articolo 2 che “i marocchini di confessione ebraica sono sottomessi alle regole dello Statuto personale ebraico marocchino”[18].
Nello stesso articolo si sottolinea – ai punti 3 e 4 – che i dettami enunciati si applicano “a qualsiasi relazione tra due persone qualora una delle due sia marocchina” e “a qualsiasi relazione tra due persone di nazionalità marocchina qualora una delle due sia musulmana”. Evidenziando quindi che, pur garantendo il libero esercizio dei culti, il Regno del Marocco in presenza di due cittadini marocchini di fede diversa privilegia quello di fede musulmana. In base a questa logica lo stesso Codice al Capitolo II, relativo agli “Impedimenti temporanei” al matrimonio, al punto 4 dell’articolo 39 vieta “il matrimonio di una musulmana con un non musulmano e il matrimonio di un musulmano con una non musulmana, a meno che non appartenga alle Genti del libro”. Questo punto è all’origine di numerosi casi nel nostro paese di donne marocchine che, volendo contrarre un matrimonio civile con un cittadino italiano, si sono viste negare il nullaosta dal proprio consolato in mancanza di un certificato di conversione all’islam del futuro marito[19].
Un ulteriore contributo nello studio della libertà religiosa in Marocco proviene dal Codice penale di questo paese. Dagli articoli 220 e 222 si evince che l’affermazione costituzionale della libertà dei culti è limitata alla componente musulmana della popolazione. L’articolo 220 esordisce in modo generico quando recita:
“Chiunque, tramite violenza o minacce, ha costretto o ha impedito a più persone l’esercizio di un culto, o d’assistere all’esercizio di questo culto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con un’ammenda da 200 a 500 dirham.”
Ma poi prosegue vietando ogni sorta di proselitismo, diretto o indiretto:
“E’ punito con la stessa pena, chiunque utilizzi dei mezzi di seduzione con lo scopo di fare vacillare la fede di un musulmano o di convertirlo a un’altra religione, sia sfruttandone la debolezza o i bisogni, sia utilizzando a questo fine gli istituti d’insegnamento, di salute, asili o orfanotrofi. In caso di condanna, la chiusura dell’istituto che è stato utilizzato per commettere il reato può essere ordinata sia definitivamente sia per una durata che non può superare i tre anni.”
Il Rapporto 2010 sulla Libertà religiosa nel mondo elenca infatti un numero significativo di espulsioni di religiosi dal Marocco: il 29 marzo 2009 quando cinque missionari evangelici sono stati interrogati ed espulsi; il 4 dicembre 2009 l’arresto di 17 cristiani, marocchini e stranieri, accusati di avere svolto attività di evangelizzazione; il 5 febbraio 2010 è stato espulso un missionario evangelico e nel marzo dello stesso anno decine di cristiani sono stati espulsi.[20] Nell’ottobre 2008 è stato tra l’altro pubblicato un elenco di “nemici dell’islam moderato” da parte dell’istituzione religiosa Dar al-hadith al-hassaniyya su richiesta del sovrano Mohammed VI. Tra i nemici figurano sciiti, salafiti, atei, cristiani evangelici[21].
Concerne invece più da vicino la libertà religiosa dei musulmani stessi l’articolo 222 del Codice penale in cui si legge: “Colui che è notoriamente conosciuto per la sua appartenenza alla religione musulmana rompe ostensibilmente il digiuno in un luogo pubblico nel periodo del ramadan, senza motivo ammesso da questa religione, è punito con la reclusione da sei mesi e un’ammenda da 12 a 120 dirham.”
Quindi non viene ammessa per il cittadino marocchino, nato da padre musulmano, la possibilità di essere laico e quindi di non praticare un obbligo rituale.
In Tunisia invece il tentativo di elaborare una legislazione laica seppur in conformità con l’islam viene attuato, con un relativo successo, dal fondatore della Tunisia moderna Habib Bourguiba. Nel 1956 fu promulgata la nuova costituzione in cui all’articolo 1 si dichiarava che “la Tunisia è uno Stato libero, indipendente e sovrano: la sua religione è l’islam, la sua lingua è l’arabo e il suo regime è la repubblica” e all’articolo 5 che “la Repubblica tunisina garantisce le libertà fondamentali e i diritti dell’uomo nella loro accezione globale, complementare e interdipendente. La Repubblica tunisina ha per fondamento i principi dello Stato di diritto e del pluralismo e opera per la dignità dell’uomo e lo sviluppo della sua personalità. […] La Repubblica tunisina garantisce l’inviolabilità della persona umana e la libertà di coscienza e protegge il libero esercizio dei culti, a patto che non turbi l’ordine pubblico.”[22] Ciononostante l’articolo 38 prevede che la religione del Presidente della Repubblica tunisina debba essere musulmano[23].
Forse è l’estrema laicità, imposta sia da Bourguiba che da Ben Ali, la ragione per cui la Tunisia presenta una situazione apparentemente migliore rispetto ad altri paesi islamici, in generale, e al Marocco, in particolare, sulla tematica della libertà religiosa. Sebbene in linea di principio, non sia possibile per un tunisino diventare cristiano – così come di fatto non lo è per nessun musulmano – si assiste ultimamente ad alcune conversioni tra i tunisini non di origine straniera[24]. L’International Religious Freedom Report. July-December 2010 del Dipartimento di Stato americano riferisce comunque che “mentre il governo non proibisce la conversione dall’islam a un’altra religione, né richiede la registrazione della conversione, gli ufficiali occasionalmente discriminano i convertiti dall’islam”.[25] Lo stesso Rapporto ricorda che sebbene gli appartenenti alla setta Bahai siano considerati eretici in seno all’islam e vengano perseguitati in Iran e fortemente discriminati in Egitto[26], la Tunisia ne consente la pratica e autorizza l’organizzazione di incontri privati tra i seguaci. Per quanto riguarda la comunità ebraica, il governo tunisino pre-rivoluzionario non solo consentiva la libertà di culto, ma ne stipendiava il Rabbino capo.
A partire dal gennaio 2011, ovvero dalla fuga di Ben Ali a seguito della Rivoluzione dei gelsomini, la situazione tunisina risulta critica. Il rientro nel paese dei principali esponenti legati all’estremismo islamico, banditi dal precedente regime, ha già fatto sentire le proprie conseguenze. Il 26 giugno scorso un centinaio di estremisti islamici ha tentato di bloccare la proiezione del film-documentario sul radicalismo islamico Ni Allah ni maitre della regista tunisina, dichiaratamente atea, Nadia El Fani presso il cinema AfricArt di Tunisi. Gli slogan dei manifestanti erano inequivocabili: ‘La Tunisia è uno Stato islamico’ oppure ‘Allahu Akbar’. Inoltre la trentina di salafiti arrestati durante i tumulti è stata ben presto rilasciati. Ironia della sorte, sarà invece Nadia El Fani a dovere comparire davanti alla giustizia.
L’avvocato tunisino Monaem Turki, unitamente ad altri due colleghi, ha chiesto di avviare un’inchiesta contro la regista al fine di impedire la proiezione della pellicola in Tunisia in quanto blasfema e contro i valori islamici. Il 13 luglio la procura della Repubblica presso il tribunale di prima istanza di Tunisi ha purtroppo confermato l’apertura di un’inchiesta nei confronti della El Fani.
In un comunicato reso pubblico l’8 luglio scorso il Ministero della Cultura tunisino, presieduto dall’accademico Ezzeddine Beschaouch, aveva tenuto a precisare che “il film non ha ricevuto alcuna sovvenzione statale né prima né dopo la rivoluzione” del gelsomino. Il documento ricorda altresì alle persone preposte di “verificare ogni informazione prima di diffonderla per evitare qualsiasi provocazione e turbamento nell’opinione pubblica.” [27]
Il simbolo del riformismo laico di Habib Bourguiba è comunque senza dubbio il Codice dello Statuto personale, varato anch’esso nel 1956. Qui la sezione dedicata al matrimonio, non prevede come impedimento il caso di un marito non musulmano quindi lo Stato tunisino non dovrebbe richiedere la conversione all’islam del futuro sposo.[28] Tuttavia alcuni giuristi tunisini sostengono che l’impedimento esista e sia contenuta dall’articolo 5 in cui si afferma che “i due futuri sposi non si devono trovare in uno dei casi di impedimento previsti dalla legge”. Ebbene l’espressione nel testo arabo che si riferisce agli “impedimenti previsti dalla legge” è “mawani’ al-shar’iyya”. L’aggettivo shar’iyya può essere interpretato sia come “previsti dalla legge”, intesa come legge dello Stato, sia come “legge divina”, che in arabo è per l’appunto shari’a.[29] L’ultima interpretazione viene privilegiata poiché tutte le scuole giuridiche islamiche, sia sunnite che sciite, sono unanimi nel proibire questo tipo di unione poiché il divieto proviene da una prescrizione coranica esplicita: “Non sposate donne idolatre finché non abbiano creduto, è meglio una schiava credente di una sposa idolatra, anche se vi piace, e non date donne credenti in spose a degli idolatri finché essi non abbiano creduto, è meglio lo schiavo credente di uno sposo idolatra, anche se vi piace.”[30]
Nel 1962 una circolare del Segretario di Stato all’Interno, ma soprattutto la circolare 660 del 19 ottobre1973 del Ministero della Giustizia ricordavano agli ufficiali dello stato civile il divieto di matrimonio tra una musulmana e un non musulmano. Quest’ultima circolare insiste sulla nullità di questo tipo di matrimonio a meno che il futuro marito non si converta all’islam. Le due circolari hanno fatto sì che non solo in Tunisia, ma anche all’estero una tunisina si veda negato il nullaosta al matrimonio civile dal proprio consolato, qualora il futuro coniuge non si converta all’islam[31].
Il dibattito sulla libertà religiosa è ancora aperto e acceso in tutto il mondo islamico e probabilmente non si esaurirà facilmente a causa della già menzionata mancanza di autorità centrale nell’islam e di una interpretazione ufficiale e univoca del testo coranico e della Tradizione. La speranza è quella di vedere prevalere nel lungo periodo interpretazioni illuminate dell’islam come quelle di Mohammed Charfi, citato all’inizio del presente articolo.
[1] Tutte le citazioni coraniche in questo articolo sono tratte da Il Corano, a cura di Alberto Ventura, traduzione di Ida Zilio-Grandi, Mondadori, Milano 2010.
[2] Mohammed Charfi, Islam et liberté. Le malentendu historique, Casbah Editions, Algeri 2000, 71.
[3] Ibid., 73.
[4] Ibid., 74.
[5] Si vedano a riguardo la denuncia dell’intellettuale egiziano Tarek Heggy nel suo celebre articolo “Se fossi copto” in Tarek Heggy, Le prigioni della mente araba, a cura di Valentina Colombo, Marietti, Milano; Libertà religiosa nel mondo. Rapporto 2010, Aiuto alla Chiesa che Soffre, Roma 2010, 173-179.
[6] Mohammed Charfi, op.cit., 76.
[7] Citazione tratta da Andrea Pacini (a cura di), L’islam e il dibattito sui diritti dell’uomo, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1998, 8; per il testo completo del Memorandum saudita si veda idem, 33-52.
[8] Ann Elizabeth Meyer, Islam and Human Rights. Tradition and Politics, Westview Press, Oxford 2007, 174.
[9] Il testo integrale in italiano della Dichiarazione si trova in Andrea Pacini (a cura di), op.cit., 221-228.
[10] Per il testo integrale in italiano della Carta si veda Andrea Pacini (a cura di), op.cit., 229-236.
[11] Gli Stati membri della Lega Araba sono i seguenti: Giordania, Emirati Arabi: Bahrein, Tunisia, Algeria, Gibuti, Arabia Saudita, Sudan, Siria, Somalia, Iraq, Oman, Palestina, Qatar, Comore, Kuwait, Libano, Libia, Egitto, Marocco, Mauritania, Yemen.
[12] Gli Stati membri dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica sono i seguenti: Afghanistan, Albania, Algeria, Arabia Saudita, Autorità Nazionale Palestinese, Azerbaigian, Bahrain, Bangladesh , Benin , Brunei, Burkina Faso, Camerun, Ciad, Comore, Costa d’Avorio, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Gibuti, Gabon, Gambia, Giordania, Guinea, Guinea-Bissau, Guyana, Indonesia, Iran, Iraq, Kazakistan, Kuwait, Kirghizistan, Libano, Libia, Malesia , Maldive, Mali, Marocco, Mauritania, Mozambico, Niger, Nigeria, Oman, Pakistan, Qatar, Senegal, Sierra Leone, Siria, Somalia, Sudan , Suriname, Tagikistan, Togo, Tunisia, Turchia, Turkmenistan, Uganda, Uzbekistan, Yemen.
[13] Si veda a riguardo il fondamentale saggio Mohamed-Chérif Ferjani, Islamisme, laicité et droits de l’homme, L’Harmattan, Parigi 1991.
[14] Si vedano i dati generali al link
http://demo.istat.it/str2009/index.html[15] Sulla poliedricità e sulle divisioni interne dell’islam si veda Henri Laoust, Gli scismi dell’islam, nuova edizione a cura di Valentina Colombo, ECIG, Genova 2002.
[16] Per il testo integrale in francese della nuova costituzione, approvata da un referendum popolare nel 2011, si veda
http://www.maroc.ma/NR/rdonlyres/2298AD ... 0/TexteintégralduprojetdenouvelleConstitution.pdf
[17] I dati sono tratti dal CIA World Factbook aggiornato all’agosto 2011, si veda
https://www.cia.gov/library/publication ... os/mo.html[18] Per il testo integrale in francese del Codice della Famiglia marocchino si veda
http://www.justice.gov.ma/MOUDAWANA/Codefamille.pdf[19] Uno dei casi più recenti è avvenuto a Laives in provincia di Bolzano, dove in seguito la coppia, solo grazie all’aiuto di un avvocato, ha ottenuto dal Tribunale di Bolzano l’autorizzazione a procedere al matrimonio senza nullaosta del consolato. Si veda
http://archiviostorico.corriere.it/2010 ... 1019.shtml[20] Libertà religiosa nel mondo. Rapporto 2010, Aiuto alla Chiesa che Soffre, Roma 2010, 347-349.
[21] Ibid., 348.
[22] Per il testo della Costituzione tunisina in francese si veda
http://www.jurisitetunisie.com/tunisie/ ... menup.html.
[23] Parimenti alla costituzione della laica Siria che all’articolo 3 dichiara che “La religione del Presidente deve essere l’islam. La sharia è una fonte principale della legge.”
[24] Libertà religiosa, op.cit., 506.
[25]
http://www.state.gov/documents/organization/171746.pdf[26] Sulla condizione dei Bahai in Egitto e Iran si veda Valentina Colombo, “Bahai” in Islam. Istruzioni per l’uso, Mondadori, Milano, 59-61.
[27] Per i dettagli del caso si veda Valentina Colombo, “Addio ai Gelsomini. Inizia dai film la censura salafita in Tunisia”, L’Occidentale 24 luglio 2011,
http://www.loccidentale.it/node/108162[28] Si veda per la sezione relativa al matrimonio
http://www.jurisitetunisie.com/tunisie/ ... sp1020.htm.
[29] Sul dibattito in Tunisia circa l’interpretazione dell’articolo del Codice dello Statuto personale si vedano Hafidha Chekir, Le statut des femmes entre les textes et les résistances. Le cas de la Tunisie, Chama, Tunisi, 2000; Lynn Welchman, Women and Muslim Family Laws in Arab States, Amsterdam University Press, Amsterdam 2007, 46-48.
[30] Corano II, 221.
[31] Uno dei casi di cui si è più parlato è quello di Sallouha Khalfallah e Luigi Dal Marro, malato terminale al quale era stato chiesto di convertirsi in Tunisia, si veda l’articolo di Magdi Allam, “Amo una musulmana, ma mi impediscono di sposarla”, Corriere della Sera, 29 giugno 2004,
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cron ... llam.shtml.