Cristiani en Marok

Cristiani en Marok

Messaggioda Berto » lun mar 27, 2017 8:43 am

Cristiani en Marok
viewtopic.php?f=199&t=2544
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Cristiani en Marok

Messaggioda Berto » lun mar 27, 2017 8:43 am

Marocco, musulmano si converte al cristianesimo: condannato a due anni e mezzo di prigione
settembre 27, 2013 Leone Grotti
Nel paese simbolo dell’islam moderato i cristiani non hanno diritti. L’apostasia è vietata e gli ulema hanno addirittura chiesto la pena di morte

http://www.tempi.it/marocco-musulmano-c ... HZv2VzdVXk

Un giovane marocchino è stato condannato a due anni e sei mesi di prigione per essersi convertito dall’islam al cristianesimo. La famiglia, originaria del villaggio di Ain Aicha, ora vive isolata perché gli altri abitanti la evitano in segno di disprezzo. Il giovane è costretto a vivere in una cella individuale perché gli altri detenuti in prigione lo picchiavano tutti i giorni per la sua fede.

PETIZIONE AL RE. La famiglia del giovane ha fatto ricorso e settimana prossima comincerà il processo di appello a Fès. Intanto un gruppo di marocchini ha realizzato una petizione da inviare al re Mohammed VI, una volta raccolte almeno 5 mila firme: «Sua Maestà – si legge nel testo – protettore dei diritti e delle libertà dei cittadini, il popolo marocchino la sollecita a garantire la libertà di culto e coscienza in Marocco».

CRISTIANI IN MAROCCO. Il 99 per cento degli abitanti marocchini è musulmano e il paese è considerato moderato dal momento che la Costituzione «garantisce a tutti il libero esercizio dei culti». La realtà è diversa: solo gli stranieri possono essere cristiani, un marocchino deve essere musulmano. L’apostasia è punita dall’articolo 220 del Codice penale, che prevede pene detentive che vanno da sei mesi a tre anni più una multa da 100 a 500 dirham.

PENA DI MORTE PER APOSTASIA. I cristiani marocchini non possono andare in chiesa e neanche seppellire i defunti con rito cristiano. Se vogliono sposarsi, sono obbligati a seguire il rito islamico. Ad aprile il Consiglio superiore degli ulema del Marocco aveva chiesto di introdurre la pena di morte per apostasia.

Leggi di Più: Marocco, musulmano diventa cristiano: 30 mesi in prigione | Tempi.it
Follow us: @Tempi_it on Twitter | tempi.it on Facebook
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Cristiani en Marok

Messaggioda Berto » lun mar 27, 2017 8:45 am

LIBERTA' RELIGIOSA/9 Marocco, dove si vale solo se musulmani
14 maggio 2011 alle ore 21:35

di Danilo Quinto

https://www.facebook.com/notes/chiesa-c ... 2608953908

Come sottolinea il rapporto dell’organizzazione evangelica “Porte Aperte”, è antichissima la presenza cristiana in Marocco. Nel 298, San Marcello viene martirizzato a Tangeri, segno che già in quel periodo il Cristianesimo era presente nel paese. Nel 711, le armate musulmane conquistano tutta la regione nord-africana. Nel 788 il re Idris I, padre fondatore della dinastia presente in Marocco, elimina il Giudaismo e il Cristianesimo dalle pianure del Fez, Tadla e Chellah.

Un secolo dopo, la Chiesa come organizzazione, non esiste più, ma il Cristianesimo continua in ogni modo ad esistere in mezzo alla popolazione. Tra il 1086 e il 1148 gli Almoravid, una dinastia musulmano-berbera, non osteggia particolarmente il Cristianesimo berbero. Poco prima della fine di questa dinastia, ci sono parecchi soldati e schiavi cristiani come pure tra i mercanti. Tra il 1146 e il 1275 è la dinastia Almohad, che rappresenta il punto di svolta nella definitiva scomparsa del Cristianesimo dal Marocco: in questo periodo aumenta oltremodo l’intolleranza verso le comunità cristiane. Nel 1237, i vescovi francescani e domenicani lasciano il Marocco.

Nel 14° secolo, nessun cristiano indigeno viene riscontrato fuori da Tangeri o Ceuta. Gli unici cristiani che si ritrovano in Marocco sono alcuni prigionieri o emissari europei. Nel 1517, la presenza cristiana è abbastanza solida da permettere l’esistenza del convento di Santa Caterina a Safi. Tra il 1684 e il 1693, l’ordine dei francescani registra la morte di alcuni prigionieri cristiani in Marocco. Si contano circa 1.070 prigionieri e forse 4.000 cristiani. Tra il 1912 e il 1956, il Marocco è protettorato francese. Nel 1951, si registrano circa 449.000 cristiani nel paese, la maggior parte dei quali si trasferiscono dopo l’indipendenza del Marocco. Nel 1999, il re Hassan II muore e gli succede suo figlio Mohammed VI.

La Costituzione del Marocco “garantisce a tutti il libero esercizio dei culti”. Questa libertà, però, è concessa solo ai cristiani stranieri. Un marocchino può essere riconosciuto solo come musulmano, ad eccezione degli ebrei, la cui identità religiosa si trasmette di generazione in generazione.

Il cambiamento di religione – che significa una rinuncia all’islam - è punito dalla legge.L’articolo 220 del codice penale prevede pene detentive che vanno da sei mesi a tre anni e una multa da 100 a 500 dirham, per chiunque tenti di far vacillare la fede di un musulmano o di convertire ad un’altra religione delle persone vulnerabili, come i poveri, le donne e i bambini in particolare, adoperando dei mezzi di seduzione, vale a dire sfruttando la loro debolezza o i loro bisogni, oppure utilizzando a questi fini delle istituzioni adibite all’insegnamento, alle cure della salute (ospizi o orfanotrofi).

Privati di ogni esistenza legale in quanto cristiani, i marocchini battezzati devono sposarsi secondo il diritto musulmano e devono seppellire i defunti conformemente ai riti islamici. Questa appartenenza obbligatoria all’islam, tuttavia, non è scritta nella legge. Se un cristiano vuole sposare una marocchina musulmana, è obbligato a convertirsi all’islam. Viceversa, se una cristiana vuole sposarsi con un marocchino, può continuare a praticare la sua fede, ma i loro figli saranno necessariamente musulmani.

A motivo del loro statuto, gli autoctoni convertiti al cristianesimo non possono far parte di alcuna Chiesa ufficiale insediata nel paese; dunque, i luoghi di culto sono aperti solamente ai cristiani stranieri. Per pregare, i marocchini convertiti sono costretti a riunirsi in appartamenti privati, e mai in più di venti persone, per non attirare l’attenzione. Alcuni perdono il lavoro. Questi cristiani sono condannati, in effetti, a una morte sociale.

Tuttavia, malgrado questi ostacoli, si verificano delle conversioni al cristianesimo. Sul numero delle conversioni, non ci sono dati univoci. E’ certo che i casi di musulmani convertiti al cristianesimo è un fenomeno in espansione e questo avviene anche in Marocco, dove, secondo la testimonianza di un convertito, i neofiti sarebbero passati da 400 nel 2000 a 800 nel 2004 (Catherine Simon, ''nouveaux chrétiens au Maghreb'', 6 marzo 2005), ma le stime sono approssimative.

L’Istituto di diritto pontificio “Aiuto alla Chiesa che soffre”, nel suo rapporto annuale,denuncia che per mantenere “l’unità e la sicurezza spirituale dei marocchini”, durante gli ultimi anni le autorità hanno proceduto ad un certo numero di espulsioni.

Il 29 marzo 2009, cinque missionari evangelici stranieri sono stati interrogati e poi espulsi per aver organizzato una riunione con cittadini marocchini, a Casablanca. Il 4 dicembre dello stesso anno, la polizia ha fermato diciassette cristiani, marocchini e stranieri, nelle località di Saidia ed Oujda. Sono stati accusati di aver svolto attività di evangelizzazione in violazione della legge. Tra le persone sottoposte a fermo c’era una coppia svizzera, che si occupava di bambini portatori di handicap e lavorava per l’Opera assistenziale “Consulting Training and Support”. Stessa sorte è toccata a due cittadini del Sudafrica e ad uno del Guatemala. Gli stranieri sono stati tutti espulsi.

Il 5 febbraio 2010, un missionario evangelico americano, residente a Marrakech, è stato espulso dopo essere stato sorpreso “in flagrante reato di proselitismo cristiano”. A marzo, parecchie decine di cristiani di diverse nazionalità sono stati anch’essi espulsi nel quadro della “campagna di lotta messa in atto dalle autorità marocchine per impedire la diffusione del credo evangelico, che mira a far vacillare la fede dei musulmani”, come ha riferito l’agenzia ufficiale Maghreb Arab Press. Tra loro figuravano sedici educatori cristiani del “Villaggio della Speranza”, situato ad Aïn-Leuh, vicino ad Azrou (Moyen-Atlas), ai quali l’8 marzo è stato ordinato di lasciare il paese. Secondo il comunicato del Ministero dell’interno, “sotto la copertura di iniziative di beneficenza, questo gruppo si dedicava ad attività di proselitismo, aventi come obiettivo bambini di meno di dieci anni”.

Il 7 marzo, un religioso francescano cattolico di nazionalità egiziana, che risiedeva da circa sei mesi a Larache, vicino a Tangeri, è stato anch’egli colpito da questo genere di provvedimento e fatto salire su un aereo diretto al Cairo, senza alcuna spiegazione. La presenza francescana nel Paese risale al 1219, quando furono martirizzati a Marrakech i primi francescani. Durante il Medioevo i religiosi rimasero, con periodi di assenza, assistendo piccole comunità cristiane e i commercianti europei. Dal 1630, quando il beato Juan de Prado rifondò la missione, i francescani si dedicarono ad assistere i cristiani prigionieri e li accompagnarono condividendone la vita e la prigionia, rafforzandoli nella fede e riscattandoli con le elemosine che ottenevano in Spagna. Nel 1861 padre José Lerchundi fu destinato alle missioni del Marocco, e dopo un periodo di crisi realizzò la terza rifondazione. I francescani assistevano le sempre più numerose comunità cristiane, crearono scuole, fondarono ospedali e si dedicarono alla modernizzazione del Paese.

Le decisioni di arresti ed espulsioni – segnala “Aiuto alla Chiesa che soffre” - hanno fatto seguito alla stesura di un elenco di “nemici dell’islam moderato” (sciiti, salafiti, atei, cristiani evangelici) pubblicata nell’ottobre 2008 dall’istituzione religiosa “Dar al-Hadith al-Hassania”, su richiesta del re Mohammed VI. E’ stata anche creata una “cellula di vigilanza” dedicata alla sorveglianza del proselitismo cristiano. Si dice che abbia individuato 36 basi evangeliche tenute da 202 missionari, in maggioranza americani, inglesi e francesi, tra cui figurano insegnanti, ingegneri, medici e capi d’impresa.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Cristiani en Marok

Messaggioda Berto » lun mar 27, 2017 8:46 am

La libertà religiosa nel mondo islamico. I casi di Marocco e Tunisia
08/06/2012 16:14:04 di Valentina Colombo

http://www.magdicristianoallam.it/blogs ... nisia.html

L’intellettuale tunisino Mohammed Charfi, nel suo saggio Islam et liberté. Le malentendu historique, commentando il versetto 256 della sura coranica La vacca che recita “Non c’è costrizione nella fede”[1], ha scritto:

“Con parole divine così chiare, ci si sarebbe aspettati che gli ulema costruissero una bella teoria della libertà di coscienza. Ma così non è stato. Al contrario, ci hanno trasmesso una serie di regole che attentano alla libertà di coscienza sia dei musulmani che delle genti del Libro e degli altri.”[2]

Dopo avere ribadito che il diritto islamico è un’elaborazione umana, una codifica nei secoli delle fonti del diritto, ovvero del Corano e della Tradizione, Charfi conclude che “per numerosi aspetti, la sharia è stata costruita dagli uomini, contro i principi coranici”[3]. Quanto alla libertà di culto sottolinea che “lo statuto islamico delle minoranze è complesso. E’ fatto di tolleranza, notevole per l’epoca, e di discriminazioni, inaccettabili oggi”[4]. Viene ribadita la triste condizione dei copti in Egitto che pur essendo presenti sul territorio da ben quattordici secoli prima della conquista islamica, si vedono attualmente costretti ad abbandonare il paese in quanto vittime di una persecuzione continua[5]. Ultimo, ma non meno importante, Charfi denuncia che “l’idea più disastrosa che hanno avuto gli ulema, la loro invenzione più orribile, e che è oggi la principale tara della sharia, è quella di avere eretto l’apostasia a infrazione punita con la punizione estrema, la pena di morte.”[6]

Ne consegue che nel mondo islamico la questione della libertà religiosa costituisca uno degli argomenti dirimenti nel dibattito circa il rapporto tra l’islam e i diritti umani. Sin dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, la libertà religiosa ha rappresentato uno degli scogli principali per la ratifica del documento da parte degli Stati a maggioranza islamica.

L’articolo 18 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo afferma che “ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti.”

Ebbene, già nel 1948 l’Arabia Saudita non aderì alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo ritenendola per molti aspetti in contrasto con i dettami dell’islam. Le motivazioni ufficiali di tale rifiuto sono state raccolte in un Memorandum del governo saudita dal quale emerge una posizione ultra-conservatrice nel rifiutare l’adesione al documento internazionale:

“Il diniego da parte del nostro stato non significa affatto indifferenza nei riguardi degli obiettivi che questi documenti [cioè le carte internazionali] si propongono di perseguire, cioè la dignità dell’uomo [...] il nostro rifiuto significa piuttosto la volontà irremovibile di proteggere, garantire e salvaguardare la dignità dell’uomo [...] in virtù del dogma islamico rivelato da Dio e non in virtù di legislazioni ispirate da considerazioni materialiste e perciò soggette a continui cambiamenti”[7].

A queste obiezioni di fondo seguono poi tre riserve specifiche che giustificano ulteriormente il rifiuto. Nella fattispecie si esprime il diniego del Regno Saudita ad ammettere il matrimonio della donna musulmana con il non musulmano, ad ammettere la possibilità per il musulmano di cambiare religione, ovvero di riconoscere il diritto alla libertà di coscienza, e ad ammettere la liceità dei sindacati per i lavoratori. Due riserve su tre riguardano la libertà di religione. Inoltre la prima conferma quanto sostenuto da Ann Elizabeth Meyer ovvero che nel mondo islamico “le questioni relative alla libertà religiosa e quelle relative alla condizione della donna sono strettamente connesse”[8].

Nella stessa circostanza anche l’Egitto e altri paesi arabi espressero riserve riguardo agli articoli concernenti la libertà di religione e di coscienza e alla libertà di matrimonio, indipendentemente dall’appartenenza religiosa, sulla base del fatto che erano in contrasto con la sharia.

In seguito nel 1990 al Cairo la XIX Conferenza islamica dei ministri degli Esteri ha approvato quella che è nota come la Dichiarazione del Cairo sui Diritti Umani nell’islam[9]. Qui all’articolo 1.a si legge quanto segue:

“Tutti gli esseri umani formano una famiglia, i cui membri sono uniti dalla sottomissione a Dio e dal fatto di essere tutti discendenti di Adamo. Tutti gli uomini sono uguali dal punto di vista della dignità umana e dell’adempimento dei doveri e delle responsabilità, senza alcuna discriminazione di razza, colore, lingua, sesso, religione, appartenenza politica, condizione sociale o altro. La vera fede garantisce un accrescimento di tale dignità sulla via dell’umana perfezione.”

Apparentemente viene garantita la libertà di culto, tuttavia all’articolo 10 si afferma che “l’islam è la religione naturale dell’uomo. Non è lecito sottoporre quest’ultimo a una qualsivoglia forma di pressione o approfittare della sua eventuale povertà o ignoranza per convertirlo a un’altra religione o all’ateismo”, negando quindi la possibilità di conversione.

Ebbene, il 30 giugno 2000 le nazioni dell’Organizzazione della Conferenza Islamica, che di recente ha cambiato la propria denominazione in Organizzazione per la Cooperazione Islamica, hanno ufficialmente deciso di ratificare la Dichiarazione del Cairo.

Le critiche mosse al documento soprattutto per quanto concerne la questione della libertà religiosa hanno spinto all’elaborazione nel 1994 della Carta Araba dei Diritti dell’Uomo della Lega degli Stati Arabi[10] dove l’articolo 2, ricalcando l’articolo 1 della Dichiarazione del Cairo, recita:

“Tutti gli Stati firmatari della presente Carta s’impegnano a garantire a ogni persona che si trovi sul loro territorio e sottoposta alla loro autorità di godere di tutti i diritti e libertà indicati in questa Carta senza distinzione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione senza nessuna discriminazione tra uomini e donne.”

Negli articoli seguenti, per la precisione agli articoli 26 e 27, si dettagliano maggiormente le posizioni circa la libertà di religione:

“Art. 26. È garantita la libertà di credo, pensiero e opinione a tutti gli individui.

Art. 27. Ogni individuo, qualunque sia la religione a cui appartiene, ha il diritto di praticare i propri riti religiosi; inoltre ha il diritto di esprimere il proprio pensiero con la parola, con la pratica o con l’insegnamento senza pregiudizio dei diritti altrui; non potranno essere poste restrizioni alla libertà di credo, di pensiero e di opinione se non sono previste dalla legge.”

E’ evidente che, essendo la maggior parte dei paesi membri della Lega araba[11] membri al contempo dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica[12], ci si trova innanzi a una sorta di schizofrenia che vede queste nazioni oscillare tra l’adesione a una organizzazione internazionale che fa prevalere l’islamicità e l’adesione all’organismo internazionale fautore dell’arabicità. La stessa schizofrenia è quella si osserva negli stessi paesi nel momento in cui tendono a una laicizzazione o a un adeguamento alle convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo, pur desiderando non venire meno ai precetti islamici[13].

La scelta di analizzare la libertà religiosa in Marocco e Tunisia è dovuta a due ragioni principali. La prima risiede nel fatto che si tratta di due paesi della sponda sud del Mediterraneo che rappresentano modalità diverse di coniugare l’islam, religione di Stato, con la necessità di legiferare nel senso moderno del termine. La seconda ragione è legata al fatto che sono i primi due paesi a maggioranza islamica da cui provengono gli immigrati residenti in Italia. In base ai dati del bilancio demografico nazionale, stilato dall’Istat, al 31 dicembre 2009 risultano residenti nel nostro paese 431.529 marocchini e 103.678 tunisini [14].

E’ universalmente ammesso che l’islam non è una realtà omogenea, non è un monolite. Gli effetti di sostrato, l’appartenenza a diverse scuole del diritto islamico, ma soprattutto la mancanza di un’Autorità che conferisca una lettura univoca delle fonti della religione islamica fanno sì che l’approccio alla religione, sia dal punto di vista del culto personale sia dal punto di vista ufficiale, differisca totalmente da un paese all’altro[15].

Come si è già avuto modo di affermare, Marocco e Tunisia sono realtà sostanzialmente diverse anche se le costituzioni di entrambi paesi dichiarano l’islam religione di Stato. E’ comunque lecito domandarsi fino a che punto un riconoscimento costituzionale dell’islam abbia significato pratico e non rappresenti soltanto un vuoto dogma programmatico. Ciononostante l’ancoraggio alla dogmatica islamica in una costituzione significa quantomeno un preciso obbligo del potere politico a non opporsi, in modo eclatante, ai principi dell’islam. Sulla scia comunque della sempre maggior reislamizzazione dell’area, i principi costituzionali relativi all’islam acquistano tuttavia una nuova dimensione e all’islam spetta un peso maggiore in tutti gli ambiti della vita.

In Marocco il legame con l’islam non è solo costituzionale. Dal 1957 è una monarchia il cui sovrano, Mohammed VI, al pari di Abd Allah II di Giordania, vanta una discendenza diretta da Maometto. Il monarca marocchino si fregia inoltre del titolo di amir al-mu’minin, ovvero “principe dei credenti” che in base all’articolo 41 della nuova costituzione “veglia al rispetto dell’islam. E’ garante del libero esercizio dei culti. Presiede il Consiglio superiore degli ulema, incaricato di studiare le questioni che gli vengono sottoposte […] sulla base dei principi, dei precetti e dei disegni tolleranti dell’islam.”[16] L’islam ha quindi in Marocco un garante nella persona del monarca.

Per venire alla questione della libertà religiosa all’articolo 3 della nuova costituzione si dichiara che “l’islam è la religione di Stato che garantisce a tutti il libero esercizio dei culti”. Ebbene in Marocco attualmente la popolazione è rappresentata al 98,7% da musulmani, all’1,1% da cristiani e allo 0,2% da ebrei[17]. A riguardo di quest’ultima comunità vale la pena ricordare che viene persino menzionata nel Preambolo laddove si afferma che l’unità dello Stato del Marocco è “nutrita e arricchita dagli affluenti africano, andaluso, ebraico e mediterraneo”, a ribadire l’appartenenza della cultura ebraica al sostrato marocchino. Non a caso anche nel Codice della Famiglia, riformato nel 2004, si dichiara all’articolo 2 che “i marocchini di confessione ebraica sono sottomessi alle regole dello Statuto personale ebraico marocchino”[18].

Nello stesso articolo si sottolinea – ai punti 3 e 4 – che i dettami enunciati si applicano “a qualsiasi relazione tra due persone qualora una delle due sia marocchina” e “a qualsiasi relazione tra due persone di nazionalità marocchina qualora una delle due sia musulmana”. Evidenziando quindi che, pur garantendo il libero esercizio dei culti, il Regno del Marocco in presenza di due cittadini marocchini di fede diversa privilegia quello di fede musulmana. In base a questa logica lo stesso Codice al Capitolo II, relativo agli “Impedimenti temporanei” al matrimonio, al punto 4 dell’articolo 39 vieta “il matrimonio di una musulmana con un non musulmano e il matrimonio di un musulmano con una non musulmana, a meno che non appartenga alle Genti del libro”. Questo punto è all’origine di numerosi casi nel nostro paese di donne marocchine che, volendo contrarre un matrimonio civile con un cittadino italiano, si sono viste negare il nullaosta dal proprio consolato in mancanza di un certificato di conversione all’islam del futuro marito[19].

Un ulteriore contributo nello studio della libertà religiosa in Marocco proviene dal Codice penale di questo paese. Dagli articoli 220 e 222 si evince che l’affermazione costituzionale della libertà dei culti è limitata alla componente musulmana della popolazione. L’articolo 220 esordisce in modo generico quando recita:

“Chiunque, tramite violenza o minacce, ha costretto o ha impedito a più persone l’esercizio di un culto, o d’assistere all’esercizio di questo culto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con un’ammenda da 200 a 500 dirham.”

Ma poi prosegue vietando ogni sorta di proselitismo, diretto o indiretto:

“E’ punito con la stessa pena, chiunque utilizzi dei mezzi di seduzione con lo scopo di fare vacillare la fede di un musulmano o di convertirlo a un’altra religione, sia sfruttandone la debolezza o i bisogni, sia utilizzando a questo fine gli istituti d’insegnamento, di salute, asili o orfanotrofi. In caso di condanna, la chiusura dell’istituto che è stato utilizzato per commettere il reato può essere ordinata sia definitivamente sia per una durata che non può superare i tre anni.”

Il Rapporto 2010 sulla Libertà religiosa nel mondo elenca infatti un numero significativo di espulsioni di religiosi dal Marocco: il 29 marzo 2009 quando cinque missionari evangelici sono stati interrogati ed espulsi; il 4 dicembre 2009 l’arresto di 17 cristiani, marocchini e stranieri, accusati di avere svolto attività di evangelizzazione; il 5 febbraio 2010 è stato espulso un missionario evangelico e nel marzo dello stesso anno decine di cristiani sono stati espulsi.[20] Nell’ottobre 2008 è stato tra l’altro pubblicato un elenco di “nemici dell’islam moderato” da parte dell’istituzione religiosa Dar al-hadith al-hassaniyya su richiesta del sovrano Mohammed VI. Tra i nemici figurano sciiti, salafiti, atei, cristiani evangelici[21].

Concerne invece più da vicino la libertà religiosa dei musulmani stessi l’articolo 222 del Codice penale in cui si legge: “Colui che è notoriamente conosciuto per la sua appartenenza alla religione musulmana rompe ostensibilmente il digiuno in un luogo pubblico nel periodo del ramadan, senza motivo ammesso da questa religione, è punito con la reclusione da sei mesi e un’ammenda da 12 a 120 dirham.”

Quindi non viene ammessa per il cittadino marocchino, nato da padre musulmano, la possibilità di essere laico e quindi di non praticare un obbligo rituale.

In Tunisia invece il tentativo di elaborare una legislazione laica seppur in conformità con l’islam viene attuato, con un relativo successo, dal fondatore della Tunisia moderna Habib Bourguiba. Nel 1956 fu promulgata la nuova costituzione in cui all’articolo 1 si dichiarava che “la Tunisia è uno Stato libero, indipendente e sovrano: la sua religione è l’islam, la sua lingua è l’arabo e il suo regime è la repubblica” e all’articolo 5 che “la Repubblica tunisina garantisce le libertà fondamentali e i diritti dell’uomo nella loro accezione globale, complementare e interdipendente. La Repubblica tunisina ha per fondamento i principi dello Stato di diritto e del pluralismo e opera per la dignità dell’uomo e lo sviluppo della sua personalità. […] La Repubblica tunisina garantisce l’inviolabilità della persona umana e la libertà di coscienza e protegge il libero esercizio dei culti, a patto che non turbi l’ordine pubblico.”[22] Ciononostante l’articolo 38 prevede che la religione del Presidente della Repubblica tunisina debba essere musulmano[23].

Forse è l’estrema laicità, imposta sia da Bourguiba che da Ben Ali, la ragione per cui la Tunisia presenta una situazione apparentemente migliore rispetto ad altri paesi islamici, in generale, e al Marocco, in particolare, sulla tematica della libertà religiosa. Sebbene in linea di principio, non sia possibile per un tunisino diventare cristiano – così come di fatto non lo è per nessun musulmano – si assiste ultimamente ad alcune conversioni tra i tunisini non di origine straniera[24]. L’International Religious Freedom Report. July-December 2010 del Dipartimento di Stato americano riferisce comunque che “mentre il governo non proibisce la conversione dall’islam a un’altra religione, né richiede la registrazione della conversione, gli ufficiali occasionalmente discriminano i convertiti dall’islam”.[25] Lo stesso Rapporto ricorda che sebbene gli appartenenti alla setta Bahai siano considerati eretici in seno all’islam e vengano perseguitati in Iran e fortemente discriminati in Egitto[26], la Tunisia ne consente la pratica e autorizza l’organizzazione di incontri privati tra i seguaci. Per quanto riguarda la comunità ebraica, il governo tunisino pre-rivoluzionario non solo consentiva la libertà di culto, ma ne stipendiava il Rabbino capo.

A partire dal gennaio 2011, ovvero dalla fuga di Ben Ali a seguito della Rivoluzione dei gelsomini, la situazione tunisina risulta critica. Il rientro nel paese dei principali esponenti legati all’estremismo islamico, banditi dal precedente regime, ha già fatto sentire le proprie conseguenze. Il 26 giugno scorso un centinaio di estremisti islamici ha tentato di bloccare la proiezione del film-documentario sul radicalismo islamico Ni Allah ni maitre della regista tunisina, dichiaratamente atea, Nadia El Fani presso il cinema AfricArt di Tunisi. Gli slogan dei manifestanti erano inequivocabili: ‘La Tunisia è uno Stato islamico’ oppure ‘Allahu Akbar’. Inoltre la trentina di salafiti arrestati durante i tumulti è stata ben presto rilasciati. Ironia della sorte, sarà invece Nadia El Fani a dovere comparire davanti alla giustizia.

L’avvocato tunisino Monaem Turki, unitamente ad altri due colleghi, ha chiesto di avviare un’inchiesta contro la regista al fine di impedire la proiezione della pellicola in Tunisia in quanto blasfema e contro i valori islamici. Il 13 luglio la procura della Repubblica presso il tribunale di prima istanza di Tunisi ha purtroppo confermato l’apertura di un’inchiesta nei confronti della El Fani.

In un comunicato reso pubblico l’8 luglio scorso il Ministero della Cultura tunisino, presieduto dall’accademico Ezzeddine Beschaouch, aveva tenuto a precisare che “il film non ha ricevuto alcuna sovvenzione statale né prima né dopo la rivoluzione” del gelsomino. Il documento ricorda altresì alle persone preposte di “verificare ogni informazione prima di diffonderla per evitare qualsiasi provocazione e turbamento nell’opinione pubblica.” [27]

Il simbolo del riformismo laico di Habib Bourguiba è comunque senza dubbio il Codice dello Statuto personale, varato anch’esso nel 1956. Qui la sezione dedicata al matrimonio, non prevede come impedimento il caso di un marito non musulmano quindi lo Stato tunisino non dovrebbe richiedere la conversione all’islam del futuro sposo.[28] Tuttavia alcuni giuristi tunisini sostengono che l’impedimento esista e sia contenuta dall’articolo 5 in cui si afferma che “i due futuri sposi non si devono trovare in uno dei casi di impedimento previsti dalla legge”. Ebbene l’espressione nel testo arabo che si riferisce agli “impedimenti previsti dalla legge” è “mawani’ al-shar’iyya”. L’aggettivo shar’iyya può essere interpretato sia come “previsti dalla legge”, intesa come legge dello Stato, sia come “legge divina”, che in arabo è per l’appunto shari’a.[29] L’ultima interpretazione viene privilegiata poiché tutte le scuole giuridiche islamiche, sia sunnite che sciite, sono unanimi nel proibire questo tipo di unione poiché il divieto proviene da una prescrizione coranica esplicita: “Non sposate donne idolatre finché non abbiano creduto, è meglio una schiava credente di una sposa idolatra, anche se vi piace, e non date donne credenti in spose a degli idolatri finché essi non abbiano creduto, è meglio lo schiavo credente di uno sposo idolatra, anche se vi piace.”[30]

Nel 1962 una circolare del Segretario di Stato all’Interno, ma soprattutto la circolare 660 del 19 ottobre1973 del Ministero della Giustizia ricordavano agli ufficiali dello stato civile il divieto di matrimonio tra una musulmana e un non musulmano. Quest’ultima circolare insiste sulla nullità di questo tipo di matrimonio a meno che il futuro marito non si converta all’islam. Le due circolari hanno fatto sì che non solo in Tunisia, ma anche all’estero una tunisina si veda negato il nullaosta al matrimonio civile dal proprio consolato, qualora il futuro coniuge non si converta all’islam[31].

Il dibattito sulla libertà religiosa è ancora aperto e acceso in tutto il mondo islamico e probabilmente non si esaurirà facilmente a causa della già menzionata mancanza di autorità centrale nell’islam e di una interpretazione ufficiale e univoca del testo coranico e della Tradizione. La speranza è quella di vedere prevalere nel lungo periodo interpretazioni illuminate dell’islam come quelle di Mohammed Charfi, citato all’inizio del presente articolo.



[1] Tutte le citazioni coraniche in questo articolo sono tratte da Il Corano, a cura di Alberto Ventura, traduzione di Ida Zilio-Grandi, Mondadori, Milano 2010.

[2] Mohammed Charfi, Islam et liberté. Le malentendu historique, Casbah Editions, Algeri 2000, 71.

[3] Ibid., 73.

[4] Ibid., 74.

[5] Si vedano a riguardo la denuncia dell’intellettuale egiziano Tarek Heggy nel suo celebre articolo “Se fossi copto” in Tarek Heggy, Le prigioni della mente araba, a cura di Valentina Colombo, Marietti, Milano; Libertà religiosa nel mondo. Rapporto 2010, Aiuto alla Chiesa che Soffre, Roma 2010, 173-179.

[6] Mohammed Charfi, op.cit., 76.

[7] Citazione tratta da Andrea Pacini (a cura di), L’islam e il dibattito sui diritti dell’uomo, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1998, 8; per il testo completo del Memorandum saudita si veda idem, 33-52.

[8] Ann Elizabeth Meyer, Islam and Human Rights. Tradition and Politics, Westview Press, Oxford 2007, 174.

[9] Il testo integrale in italiano della Dichiarazione si trova in Andrea Pacini (a cura di), op.cit., 221-228.

[10] Per il testo integrale in italiano della Carta si veda Andrea Pacini (a cura di), op.cit., 229-236.

[11] Gli Stati membri della Lega Araba sono i seguenti: Giordania, Emirati Arabi: Bahrein, Tunisia, Algeria, Gibuti, Arabia Saudita, Sudan, Siria, Somalia, Iraq, Oman, Palestina, Qatar, Comore, Kuwait, Libano, Libia, Egitto, Marocco, Mauritania, Yemen.

[12] Gli Stati membri dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica sono i seguenti: Afghanistan, Albania, Algeria, Arabia Saudita, Autorità Nazionale Palestinese, Azerbaigian, Bahrain, Bangladesh , Benin , Brunei, Burkina Faso, Camerun, Ciad, Comore, Costa d’Avorio, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Gibuti, Gabon, Gambia, Giordania, Guinea, Guinea-Bissau, Guyana, Indonesia, Iran, Iraq, Kazakistan, Kuwait, Kirghizistan, Libano, Libia, Malesia , Maldive, Mali, Marocco, Mauritania, Mozambico, Niger, Nigeria, Oman, Pakistan, Qatar, Senegal, Sierra Leone, Siria, Somalia, Sudan , Suriname, Tagikistan, Togo, Tunisia, Turchia, Turkmenistan, Uganda, Uzbekistan, Yemen.

[13] Si veda a riguardo il fondamentale saggio Mohamed-Chérif Ferjani, Islamisme, laicité et droits de l’homme, L’Harmattan, Parigi 1991.

[14] Si vedano i dati generali al link http://demo.istat.it/str2009/index.html

[15] Sulla poliedricità e sulle divisioni interne dell’islam si veda Henri Laoust, Gli scismi dell’islam, nuova edizione a cura di Valentina Colombo, ECIG, Genova 2002.

[16] Per il testo integrale in francese della nuova costituzione, approvata da un referendum popolare nel 2011, si veda http://www.maroc.ma/NR/rdonlyres/2298AD ... 0/TexteintégralduprojetdenouvelleConstitution.pdf

[17] I dati sono tratti dal CIA World Factbook aggiornato all’agosto 2011, si veda https://www.cia.gov/library/publication ... os/mo.html

[18] Per il testo integrale in francese del Codice della Famiglia marocchino si veda http://www.justice.gov.ma/MOUDAWANA/Codefamille.pdf

[19] Uno dei casi più recenti è avvenuto a Laives in provincia di Bolzano, dove in seguito la coppia, solo grazie all’aiuto di un avvocato, ha ottenuto dal Tribunale di Bolzano l’autorizzazione a procedere al matrimonio senza nullaosta del consolato. Si veda http://archiviostorico.corriere.it/2010 ... 1019.shtml

[20] Libertà religiosa nel mondo. Rapporto 2010, Aiuto alla Chiesa che Soffre, Roma 2010, 347-349.

[21] Ibid., 348.

[22] Per il testo della Costituzione tunisina in francese si veda http://www.jurisitetunisie.com/tunisie/ ... menup.html.

[23] Parimenti alla costituzione della laica Siria che all’articolo 3 dichiara che “La religione del Presidente deve essere l’islam. La sharia è una fonte principale della legge.”

[24] Libertà religiosa, op.cit., 506.

[25] http://www.state.gov/documents/organization/171746.pdf

[26] Sulla condizione dei Bahai in Egitto e Iran si veda Valentina Colombo, “Bahai” in Islam. Istruzioni per l’uso, Mondadori, Milano, 59-61.

[27] Per i dettagli del caso si veda Valentina Colombo, “Addio ai Gelsomini. Inizia dai film la censura salafita in Tunisia”, L’Occidentale 24 luglio 2011, http://www.loccidentale.it/node/108162

[28] Si veda per la sezione relativa al matrimonio http://www.jurisitetunisie.com/tunisie/ ... sp1020.htm.

[29] Sul dibattito in Tunisia circa l’interpretazione dell’articolo del Codice dello Statuto personale si vedano Hafidha Chekir, Le statut des femmes entre les textes et les résistances. Le cas de la Tunisie, Chama, Tunisi, 2000; Lynn Welchman, Women and Muslim Family Laws in Arab States, Amsterdam University Press, Amsterdam 2007, 46-48.

[30] Corano II, 221.

[31] Uno dei casi di cui si è più parlato è quello di Sallouha Khalfallah e Luigi Dal Marro, malato terminale al quale era stato chiesto di convertirsi in Tunisia, si veda l’articolo di Magdi Allam, “Amo una musulmana, ma mi impediscono di sposarla”, Corriere della Sera, 29 giugno 2004, http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cron ... llam.shtml.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Cristiani en Marok

Messaggioda Berto » lun mar 27, 2017 8:46 am

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Cristiani en Marok

Messaggioda Berto » lun mar 27, 2017 8:56 am

???


“Liberi di uscire dall’Islam”, svolta storica del Marocco
Nessuna condanna a morte per l’apostata, e libertà di scelta per chi vuole abbracciare altre fedi: così si è espresso per la prima volta il Consiglio superiore degli Ulema in Marocco, aprendo la strada al riformismo dell’Islam
2017/02/07
karima moual

http://www.lastampa.it/2017/02/07/ester ... agina.html

Nessuna condanna a morte per l’apostata, e libertà per coloro che dall’Islam vogliono uscire e abbracciare altre fedi. É una posizione storica, quella presa dalla massima rappresentanza religiosa del Marocco, il Consiglio superiore degli Ulema, che continua coraggiosamente ad aprire la strada al riformismo in casa islam - almeno la propria - senza ombre o ambiguità. Si punta dunque su un livello alto della discussione, anche facendo un passo indietro rispetto al passato. Il Consiglio infatti rigetta una sua precedente fatwa del 2012 secondo la quale i marocchini colpevoli di apostasia avrebbero un unico destino: la morte. Una regola comune per tutti i paesi musulmani e prevista dalle norme giuridiche in vigore.

Una posizione però che già all’epoca aveva fatto discutere molto in un paese che del pluralismo religioso ne ha fatto il proprio fiore all’occhiello, e che più di altri ci tiene e porta avanti un lavoro immenso per difendere la propria posizione e visione di un “islam moderato”.

Il Consiglio degli Ulema dunque, cerca di tracciare una linea chiara su un tema di grande attualità, politicamente e socialmente scomodo e che in futuro si sarebbe presentato come una trappola micidiale proprio perché nel paese sono emersi senza più filtri marocchini passati dal sunnismo allo sciismo ( si sono aperti solo lo scorso anno i primi centri sciiti) così come quelli al cristianesimo piuttosto che all’ateismo. Voci che nell’ultimo periodo sono uscite dalla clandestinità sfidando l’ipocrisia che li conosce ma non li vuole riconoscere.

Con la questione “apostasia”, il consiglio degli Ulema affronta un punto quasi intoccabile da sempre nel dibattuto in casa islam ma difficile da controribaltare ufficialmente nella sua interpretazione. Eppure nel Corano non si parla direttamente di apostasia, si rimprovera più volte coloro che rinnegano l’Islam ma non si prevede per loro alcun castigo terrestre per mano d’altri. Certo, Dio promette grande castigo a chi abbandona la religione, ma un castigo, come nelle altre religioni peraltro - che avverrebbe nell’aldilà e non certamente in Arabia Saudita e per mano di un boia come vuole l’slam più oscurantista che trova appoggio nella sunna.

Il nodo infatti è custodito in un famoso hadith che sentenzia “chi cambia religione uccidetelo”. Quanto basta per portare la condanna di morte agli apostati sono ai nostri giorni. Non più per gli Ulema del Marocco, che argomentano così la loro nuova fatwa: “La comprensione più accurata, e la più coerente con la legislazione islamica e la sunna del Profeta, è che l’uccisione dell’apostata significava l’uccisione del traditore del gruppo, l’equivalente di tradimento nel diritto internazionale, gli apostati in quell’epoca rappresentavano i nemici della Umma proprio perché potevano rivelare segreti agli avversari”. Insomma, un contesto bellico e ragioni più politiche che religiose alla base della ferma condanna per apostasia.

Tutti riferimenti, che ancora di più fanno emergere questa fatwa, come un passo inedito e incoraggiante perché contestualizza storicamente un fatto, rivalutandolo nel nostro presente. Se l’islam ortodosso in tutti gli angoli del mondo procedesse nell’analisi e nell’interpretazione in questa linea si farebbero molti passi in avanti di cui i musulmani ne hanno urgentemente bisogno oggi più che mai.


Alberto Pento
Aspettiamo la reazione degli altri paesi islamici e dei credenti più tradizionalisti o integralisti o fondamentalisti.
Aspettiamo anche che il Marocco modifichi la sua Costituzione e i suoi codici civile e penale, liberalizzando tutti i credi religiosi e togliendo tutte le restrizioni e le persecuzioni, proprie del proibizionismo, di ogni diversamente religioso e pensante nonché la libertà di critica.


https://www.facebook.com/islamicamentando
Tutti parlano "della fatwa del Consiglio superiore degli Ulema in Marocco che abolisce il reato di apostasia", ma nessuno l'ha letta. Infatti nessuno può ancora leggerla perché il documento non è stato reso pubblico ed è distribuito in uno spazio ristretto. Quello che sappiamo per certo è che il nuovo documento del Consiglio degli Ulema chiamato "Per gli scienziati," è stato distribuito agli "scienziati dell'Islam" in occasione della sua ultima sessione a Rabat e la parte tanto discussa in queste ore è contenuta nel capitolo "giustizia e solidarietà, i diritti e le libertà nelle questioni della nazione" a pagina 98.

http://www.islammaghribi.com

Da quello che ci risulta, in tutto il documento non c'è alcuna abolizione totale della pena di morte per l'apostata ma "solo" (le virgolette sono dovute al fatto che comunque c'è un passo avanti) un'apertura verso quegli apostati che non creano problemi spargendo la "corruzione". Non per chi ad esempio carica un video su YouTube dove spiega quant'è giusto lasciare Islam.

Saremo lieti di sbagliarci, senza dimenticare però che, come ammesso da tutti gli organi di informazione che hanno diffuso la notizia, a oggi, nel 2017, "l'Islam maggioritario" prevede ancora l'uccisione dell'apostata, ed era così anche per il Consiglio degli Ulema del Marocco fino a pochi giorni fa.

Ci sarebbe anche tutto un discorso da fare sulla validità di una fatwa "secondo la teologia islamica", ma questo è un argomento che merita un intero articolo per essere affrontato in maniera chiara e approfondita.

Da notare inoltre che ancora una volta siamo di fronte ad un dato centrale della teologia islamica: nell'islam ciò che è giusto e cosa non è giusto non viene stabilito solo e soltanto attraverso i detti e le azioni di Maometto. Se Maometto ha fatto una cosa sbagliata (e ne ha fatte tante) per i musulmani non potrà che essere considerata giusta. Se Maometto ha tramandato una cosa sbagliata, per i musulmani non potrà che essere ritenuta giusta. Il "clero islamico" se vuol far combaciare ciò che è universalmente giusto con ciò che è giusto in base alla vita di Maometto ha bisogno di qualche cavillo esegetico, che non sempre si può trovare è quasi mai mette d'accordo tutti (Ijmā)


Leggi contro l'apostasia si trovano in 25 paesi, in sole tre regioni del mondo.
La maggior parte dei paesi con misure anti-apostasia si trovano nella regione del Medio Oriente-Nord Africa (14 su 20).
7 dei 50 paesi (14%) della regione Asia-Pacifico hanno leggi contro l'apostasia. Per esempio, nelle Maldive, tutti i cittadini sono tenuti ad essere musulmani, e chi si converte a un'altra fede può perdere la cittadinanza. In Africa sub-sahariana, solo quattro dei 48 paesi (8%) ha leggi che proibiscono l'apostasia. Non esistono leggi contro l'apostasia in tutti i paese di Europa o America.
I dati sono del 2014 e da allora nessuna legge sull'apostasia è stata modificata, abolita o promulgata.


Apostati de l'Islam, eroi dell'umanità
viewtopic.php?f=188&t=1922

La Sharia non è la legge di D-o ma soltanto quella dell'idolo Allah
viewtopic.php?f=188&t=2470

Islam e persecuzione e sterminio dei cristiani (cristianofobia)
viewtopic.php?f=181&t=1356
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Cristiani en Marok

Messaggioda Berto » lun mar 27, 2017 9:08 am

La schiava veneziana del 25enne marocchino: legata a una sedia e obbligata a urlare «Allah è grande»

http://www.ilgazzettino.it/NORDEST/VENE ... 1642.shtml

di Cristina Antonutti

CAORLE - Tre mesi di terrore. Di botte e costrizioni. Un marocchino di 25 anni, Mohammed Et Tajani, di Pramaggiore, ha reso la vita impossibile a una giovane donna della provincia di Venezia, costretta a obbedire, subire maltrattamenti e a gridare, legata a una sedia, «Allah è grande», mentre lui la colpiva sulla schiena. Et Tajani, ieri, è stato condannato in Tribunale a Pordenone a 3 anni e 2 mesi di reclusione per maltrattamenti, lesioni, stalking, sequestro di persona, danneggiamento e furto. Il giudice Eugenio Pergola gli ha applicato anche una sfilza di interdizioni, assolvendolo solo dall’accusa di violenza privata. La costringeva anche restare chiusa in casa, a ospitarlo nella sua abitazione e per impedirle di uscire le sottraeva cellulare e chiavi dell’auto.

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... -akbar.jpg
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Cristiani en Marok

Messaggioda Berto » lun mar 27, 2017 9:11 am

In Marocco è proibito il proselitismo cristiano, punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni.

«Possiamo praticare la religione solo in segreto», racconta Halim. «Per ragioni di sicurezza siamo costretti ad operare come se fossimo un’associazione segreta. E quando una chiesa cresce troppo (più di 20 persone) si deve dividere in due entità in modo da evitare di attirare l’attenzione». I cristiani si incontrano quindi nelle case: «Dobbiamo essere discreti perché la maggioranza delle persone non tollera il fatto che siamo arabi ma non musulmani. Il maggior pericolo che corriamo viene dall’ignoranza». Anche la legge concorre a determinare il clima di sospetto, visto che l’articolo 220 del codice penale marocchino punisce il proselitismo con il carcere da sei mesi a tre anni. E sebbene il re Mohamed VI sia un sovrano liberale, il leader del Consiglio dei teologi di Casablanca, Radwan Bin Shakrun, ricorda che «l’apostasia è il peccato più grave che un musulmano possa commettere».

http://www.tempi.it/la-piccola-ma-sorpr ... nByleLdXug

La piccola (ma sorprendente) rinascita cristiana del Marocco raccontata da un convertito
Abd-al-Halim, medico e coordinatore della Chiesa anglicana, spiega il “boom” di conversioni dall’islam. Un fenomeno che non ha nulla a che fare col proselitismo
marzo 27, 2015 Benedetta Frigerio

http://www.tempi.it/la-piccola-ma-sorpr ... nByleLdXug

È questo secondo Abd-al-Halim il motivo per cui le conversioni sono in aumento, nonostante in Marocco, dove l’islam è la religione di Stato, il proselitismo sia vietato. Infatti, sebbene a Marrakesh ci siano 7 chiese ufficiali, 6 a Casablanca, 5 a Rabat e una a Laayoune, e sebbene il paese sia considerato trai i più aperti del mondo islamico, i cristiani neofiti si devono nascondere. «Possiamo praticare la religione solo in segreto», racconta Halim. «Per ragioni di sicurezza siamo costretti ad operare come se fossimo un’associazione segreta. E quando una chiesa cresce troppo (più di 20 persone) si deve dividere in due entità in modo da evitare di attirare l’attenzione». I cristiani si incontrano quindi nelle case: «Dobbiamo essere discreti perché la maggioranza delle persone non tollera il fatto che siamo arabi ma non musulmani. Il maggior pericolo che corriamo viene dall’ignoranza». Anche la legge concorre a determinare il clima di sospetto, visto che l’articolo 220 del codice penale marocchino punisce il proselitismo con il carcere da sei mesi a tre anni. E sebbene il re Mohamed VI sia un sovrano liberale, il leader del Consiglio dei teologi di Casablanca, Radwan Bin Shakrun, ricorda che «l’apostasia è il peccato più grave che un musulmano possa commettere».


La piccola (ma sorprendente) rinascita cristiana del Marocco raccontata da un convertito
Abd-al-Halim, medico e coordinatore della Chiesa anglicana, spiega il “boom” di conversioni dall’islam. Un fenomeno che non ha nulla a che fare col proselitismo
marzo 27, 2015 Benedetta Frigerio

http://www.tempi.it/la-piccola-ma-sorpr ... nByleLdXug

Proprio mentre il fondamentalismo islamico conquista terreno con le armi dei jihadisti, in uno dei più importanti paesi a maggioranza musulmana, il Marocco, aumentano le conversioni al cristianesimo. Lo spiega in una intervista al sito Aleteia.org Abd-al-Halim, medico di 57 anni, convertitosi al cristianesimo quando ne aveva 41.
NON SOLO POVERI. Abd-al-Halim è il coordinatore della Chiesa anglicana marocchina, una realtà che – spiega l’uomo – sta crescendo rapidamente: circa 16 anni fa gli anglicani erano 400 nel paese, oggi la comunità è triplicata superando i mille fedeli. L’incremento delle conversioni è cominciato negli anni Novanta, ma negli ultimi 4 anni c’è stata un’accelerata che ha portato a oltre 400 nuovi ingressi nella comunità. E non corrisponde alla realtà la vulgata locale secondo la quale gli anglicani “sfruttano la povertà” offrendo aiuti per attrarre gli indigenti: il medico spiega che la maggior parte dei convertiti dall’islam appartengono al contrario alla classe medio alta. Si tratta per lo più di ingegneri, artisti, impresari, soldati, ma anche casalinghe e studenti, tutti accomunati dalla percezione di «un islam restrittivo, fondato su una dottrina errata» e «del cristianesimo come religione della tolleranza e dell’amore».
IN SEMICLANDESTINITÀ. È questo secondo Abd-al-Halim il motivo per cui le conversioni sono in aumento, nonostante in Marocco, dove l’islam è la religione di Stato, il proselitismo sia vietato. Infatti, sebbene a Marrakesh ci siano 7 chiese ufficiali, 6 a Casablanca, 5 a Rabat e una a Laayoune, e sebbene il paese sia considerato trai i più aperti del mondo islamico, i cristiani neofiti si devono nascondere. «Possiamo praticare la religione solo in segreto», racconta Halim. «Per ragioni di sicurezza siamo costretti ad operare come se fossimo un’associazione segreta. E quando una chiesa cresce troppo (più di 20 persone) si deve dividere in due entità in modo da evitare di attirare l’attenzione». I cristiani si incontrano quindi nelle case: «Dobbiamo essere discreti perché la maggioranza delle persone non tollera il fatto che siamo arabi ma non musulmani. Il maggior pericolo che corriamo viene dall’ignoranza». Anche la legge concorre a determinare il clima di sospetto, visto che l’articolo 220 del codice penale marocchino punisce il proselitismo con il carcere da sei mesi a tre anni. E sebbene il re Mohamed VI sia un sovrano liberale, il leader del Consiglio dei teologi di Casablanca, Radwan Bin Shakrun, ricorda che «l’apostasia è il peccato più grave che un musulmano possa commettere».
UN TREND SENZA PRECEDENTI. Sebbene non sia raro che i cristiani e i convertiti subiscano ingiuste persecuzioni giudiziarie anche nel “moderato” Marocco, il fenomeno registrato da Abd-al-Halim sembra essere ormai un chiaro trend. «Ciò che Dio sta facendo in Nord Africa non ha precedenti nella storia missionaria», ha detto un anno fa al Cbn il regista Tino Qahoush, laureatosi alla Regent University di Londra, mentre girava la regione proprio per documentare questo “ritorno” al cristianesimo. «Ho il privilegio di registrare testimonianze e di ascoltare in diretta storie di uomini e donne, di tutte le età, che hanno visto apparire davanti ai propri occhi la presenza reale di Dio, come una visione, mentre altri mi hanno raccontato di come per loro la conversione sia tutt’altro che una semplice luce che appare». Che si tratti di episodi mistici o di incontri più “ordinari”, Qahoush non può evitare di domandarsi «come mai Gesù visiti il mondo musulmano in questo momento storico».


Per esempio in Marocco. Nel regno alawita "l'Islam è la religione di Stato", e - secondo l'art. 3 della Costituzione - "garantisce a tutti il libero esercizio di culto".
Un'affermazione di certo valida per gli stranieri di fede cristiana e per la comunità ebraica presente da secoli sul territorio (ridotta a poche migliaia di unità dopo l'esodo verso Israele durante gli anni '50 e '60), ma non per i marocchini stessi, la cui libertà di coscienza rimane un tabù tanto sul piano sociale che su quello legale.
Il codice penale infatti punisce il proselitismo (art. 220), termine dietro al quale spesso si nasconde la repressione e l'esclusione imposta ai marocchini convertiti, e condanna al carcere (da uno a sei mesi) e ad un'ammenda pecuniaria "ogni persona che, conosciuta per la sua appartenenza alla religione musulmana, rompe il digiuno in pubblico durante il periodo di ramadan senza alcun motivo ammesso dalla stessa religione" (art. 222).
http://osservatorioiraq.it/approfondime ... za-marocco

Gli "eretici" del ramadan

In virtù dell'art. 222, ogni anno decine di contravvenenti al dogma religioso vengono condotte nei tribunali del regno e, per la maggior parte, condannate silenziosamente alla prigione.
L'ultimo caso registrato, riportato in una breve nota dall'AFP, risale a fine agosto, quando un giovane abitante di Rabat (di cui non sono state diffuse le generalità) si è visto infliggere tre mesi di reclusione dopo essere stato sorpreso a mangiare in pubblico durante le ore di digiuno.
Inutile, agli occhi del giudice, la difesa intentata dall'uomo che ha affermato di aver agito "per convinzione" e in conformità con il diritto alla libertà individuale "garantito" dalla carta costituzionale (preambolo e artt. 19, 25).
Per denunciare questa anomalia giuridica e le ingerenze del codice nella vita privata dei cittadini, alcuni attivisti hanno creato - nel luglio scorso - un gruppo facebook sotto lo slogan Masayminch ("Non digiuneremo" in arabo marocchino).
...
"L'art. 222 - aggiunge Nizar, un altro membro del gruppo - vieta la rottura del digiuno in pubblico ad ogni persona conosciuta per la sua appartenenza alla fede musulmana".
"Il problema è che ogni marocchino, ad eccezione dei pochi ebrei rimasti, è considerato musulmano per nascita. Perché? Io non sono credente e rivendico il diritto di non osservare i precetti religiosi in cui non mi riconosco. E poi, cosa significa rompere il digiuno in pubblico? Se mangio vicino alla finestra aperta sono in pubblico o in privato?".
Secondo il professor Abdelwahab Meddeb (Università Paris X - Nanterre) il digiuno durante il ramadan (come anche la diffusione del velo) sarebbe divenuto un "fenomeno sociale" più che un esercizio spirituale, tanto nei paesi del Nord Africa quanto nelle comunità di immigrati in Europa.
La manifestazione di un bisogno di appartenenza alla collettività, un bisogno di identificazione, più che il frutto di una convinzione interiore.


Marocco: cittadino arrestato per la sua conversione dall’Islam al Cristianesimo
12 febbraio 2015
http://www.notizievangeliche.com/marocc ... stianesimo
La notizia risale al 18 gennaio scorso, pubblicata dalla rivista Telquel, secondo le informazioni fornite dall’AMDH, associazione marocchina per i diritti dell’uomo. Nella città marocchina di Fez un cittadino è tato arrestato per la sua conversione dall’Islam al cristianesimo, l’arresto è stato effettuato da due agenti di polizia presso la stazione ferroviaria della città.
Un rappresentante dell’AMDH ha raccontato la dinamica dell’arresto, in sostanza i due poliziotti si sono avvicinati all’uomo per procedere ad un controllo di natura identificativa, durante il quale, nel controllare lo zaino del soggetto fermato gli trovano una Bibbia e altri libri di chiara ispirazione cristiana.


El buxiaro
L’errore del sindaco Bitonci sull’Islam e il Marocco di Massimo Rebotti
11 novembre 2014
http://www.corriere.it/politica/14_nove ... ff4d.shtml

Tra tutti i Paesi islamici con i quali esercitare una (inutile) prova muscolare, il sindaco di Padova Massimo Bitonci ha perfino scelto quello sbagliato. Il primo cittadino leghista ha detto di non voler incontrare il console del Marocco: «Non c’è reciprocità. Quando nel mondo islamico i cristiani saranno rispettati e non perseguitati, allora ci parleremo. Intanto nessuna palestra pubblica per il Ramadan».
Sfortunatamente per Bitonci, il Marocco, se paragonato agli altri Paesi dell’area, è un luogo in cui, grazie al ruolo esercitato dal re Mohammed VI, esiste un buon livello di tolleranza religiosa nei confronti di cristiani ed ebrei. Lo spiegava il 12 ottobre scorso sul Corriere Ernesto Galli della Loggia: «Da tempo il re, in quanto insignito del titolo di “Signore dei credenti” si considera non solo il capo religioso dei suoi sudditi islamici, ma anche il protettore dei sudditi che si riconoscono nelle altre due grandi fedi monoteiste». Per il sindaco, evidentemente, non fa differenza: i Paesi islamici sono tutti intolleranti allo stesso modo e la Lega, nella nuova versione identitaria di Salvini, li vorrebbe ripagare con la stessa moneta («nessuna palestra per il Ramadan»).
Gli slogan, gli atteggiamenti di sfida grossolani sono buoni per i cortei contro «l’invasione», ma diventano dannosi quando vengono calati nella realtà. Bitonci non è solo un esponente leghista, ma il sindaco di tutti padovani. A Padova i marocchini sono 10 mila (e in Veneto 55 mila). Normale, quindi, anche solo per una questione di numeri, che il console volesse parlare con il sindaco. I musulmani di Padova, come succede da anni, continueranno a pregare nelle aziende o nei locali messi a disposizione dalle parrocchie (a proposito della ritorsione dei cristiani invocata dal primo cittadino). E Bitonci avrà perso una buona occasione per dimostrare che fare il sindaco e sfilare in un corteo sono due cose diverse.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Cristiani en Marok

Messaggioda Berto » lun mar 27, 2017 9:14 am

La tentazione di Cristo
(TelQuel – 27 marzo/2 aprile 2010)
Di Aicha Akalay e Hassan Hamdani

http://www.ossin.org/marocco/723-la-ten ... -di-cristo

Nonostante le persecuzioni poliziesche e le minacce di morte, migliaia di marocchini si sono convertiti al cristianesimo. Oggi lo Stato reagisce con violenza per opporsi alla “minaccia”
“Di quale religione sei?” Da qualche giorno questa domanda lancinante si cala come una mannaia sui bambini dell’orfanatrofio di Ougmas, vicino Azrou. Posta da gendarmi inquisitori, diventati da poco anche garanti dell’appartenenza alla oumma islamica, la domanda spaventa i ragazzini ospiti dell’istituto gestito da cristiani. Si preoccupano per i loro genitori adottivi di altra confessione, perché se i gendarmi fiutassero anche solo un’oncia di cristianesimo in questi ragazzi, la cui età media è di 12 anni, sulle famiglie responsabili dell’istituto potrebbe abbattersi un’accusa di proselitismo. E a questo punto potrebbero anche essere espulsi manu militari.
I bambini sanno di cosa si tratta, il precedente non è lontanissimo, è di poco fa. L’8 marzo sedici educatori cristiani del Villaggio della speranza di Ain Leuh sono stati espulsi. Il Ministero dell’interno ha applicato l’art. 220 del Codice Penale che condanna “chiunque usi mezzi di seduzione al fine di far vacillare la fede di un mussulmano (…) utilizzando a questo scopo gli orfanatrofi”. La legge prevede “da sei mesi a tre anni di prigione” per il delitto di proselitismo – di una religione diversa dalla mussulmana naturalmente. Salvo che la procedura legale non è stata rispettata. Non c’è stato alcun processo, nessuna arringa della difesa, né prove a carico prodotte dalla Stato.
E adesso i bambini di Ougmas subiscono impauriti gli interrogatori quasi quotidiani delle Autorità. Uno di loro confida che i compagni di classe lo prendono già in giro per la sua supposta appartenenza alla fede cristiana. “I bambini non sono né cristiani, né mussulmani. Sono solo bambini”, si difende uno dei dipendenti dell’orfanatrofio.
Jésus non grata
E’ un argomento che non ha speranza di convincere i gendarmi. C’è aria di temporale per i missionari cristiani, come è dimostrato dal moltiplicarsi di espulsioni di stranieri accusati di “far vacillare la fede dei mussulmani”. Solo nel mese di marzo, tre di essi sono stati invitati a fare le valige. Prima di ciò, in febbraio, ad Amizmiz, vicino a Marrakech, una sessantina di gendarmi hanno accerchiato una casa dove si erano riuniti 19 marocchini in compagnia di un nordamericano che avrebbe tentato di convertirli. Le Autorità hanno espulso il missionario e trattenuto gli altri in stato di fermo per più di 14 ore.
Per lungo tempo accettato per non nuocere all’immagine di tolleranza del Marocco, il proselitismo cristiano è diventata ormai cosa non grata.
Perché questo irrigidimento? “E’ una conseguenza della nuova attenzione verso la religione promossa da Mohammed VI - spiega il politologo Mohamed Darif - Contrastare l’islam radicale richiede che, dall’altro lato, ci si opponga al proselitismo cristiano. Si tratta di tagliare l’erba sotto i piedi degli islamisti che criticano il laisser-faire dello Stato nei confronti dei missionari evangelici”.
Il re ha dato il la e tutti lo hanno seguito. Fedele al nuovo credo ufficiale, il direttore di Dar Al Hadith Al Hassania, Ahmed Khamlichi, in un discorso del 2008 ha fatto una lista, voluta dal Comandante dei credenti, di tutti i nemici dell’islam moderato in salsa marocchina. Vi si ritrovano gli sciiti, i salafisti, gli atei e, last but not least, i cristiani evangelici. Questa espressione a connotazione religiosa, gergo del ministero degli affari islamici, è stata oramai ripresa dal ministero dell’interno per giustificare le espulsioni di cristiani.
E’ un messaggio inviato a tutti gli attori politici che da anni criticano l’inerzia delle autorità di fronte allo sviluppo del fenomeno evangelico. Il PJD ha più volte esortato il governo a sostenere le associazioni che operano per diffondere l’islam per contrastare il proselitismo cristiano. Sulla stessa lunghezza d’onda del partito islamista, e in nome del principio che “è meglio prevenire che curare”, l’Istiqlal ha proposto una riforma dei programmi scolastici per rafforzare i sentimenti patriottici attraverso i valori dell’islam. E’ non è l’unica iniziativa del partito di Abbas El Fassi: si ricorda che nel 2005 il deputato istiqlano Abdelhamid Aouad ha rivolto una interpellanza al ministro degli affari islamici, Ahmed Taoufik, chiedendogli di essere più fermo nelle questioni di proselitismo. Nell’occasione Aouad sosteneva che i missionari cristiani avevano come obiettivo quello di convertire il 10% dei marocchini entro il 2020.
Tolleranza zero
In realtà il deputato dell’Istiqlal ha lanciato cifre azzardate, giacché il carattere clandestino delle conversioni non consente di avere dati affidabili. E lo stesso ha fatto un centro islamista marocchino affermando, in uno studio, che 150.000 marocchini si sarebbero già convertiti o sarebbero stati avvicinati da missionari cristiani.
La realtà è completamente diversa. “Secondo le stime più affidabili, ci sarebbero al massimo duemila convertiti marocchini”, afferma Zineb El Rhazoui, autore di una ricerca sulla conversione al cristianesimo in Marocco, promossa dalla Ecole des hautes études en sciences sociales di Parigi. L’invasione evangelica sarebbe dunque un mito e la “sicurezza spirituale” dei Marocchini non è posta in serio pericolo. E tuttavia per contrastare le voci conservatrici che lanciano l’allarme, le autorità hanno decretato una tolleranza zero. Hanno anche creato da un po’ di tempo un’unità di vigilanza per tenere sotto controllo il proselitismo cristiano. Secondo le cifre pubblicate sulla stampa, i servizi di sicurezza avrebbero registrato 36 “basi evangeliche”, tenute da 202 missionari. Si tratta per lo più di nordamericani, inglesi e francesi, e sono preti, insegnanti, ingegneri, medici e imprenditori.
E tuttavia questa politica di schedatura sarebbe inutile. “Contrariamente a quanto si crede, nelle città le conversioni non avvengono per opera dei missionari. Molti marocchini sono diventati cristiani guardando i canali satellitari evangelici in lingua araba”, spiega Zineb El Rhazoui. Secondo Brother Rachid, televangelista marocchino sul canale Al Hayat, i Marocchini si situerebbero in terza posizione nella classifica delle richieste di informazioni sulla religione cristiana via mail o telefono, subito dopo Egiziani e Algerini. “Al Hayat è dotata di un attirail web tra i più completi: podcasting, programmi e siti internet interattivi e forum di discussione su Paltaik”, ci dice Zineb El Rhazoui. Il canale assicura inoltre un “servizio clienti” e mette in contatto i Marocchini desiderosi di convertirsi con i cristiani locali più vicini.
Libertà di culto… in teoria
Khadija, 18 anni, si è messa in contatto coi cristiani marocchini attraverso Facebook. “Desideravo convertirmi, ma non sapevo come fare – racconta - Ho trovato diversi gruppi cristiani marocchini su Facebook. Dopo averli contattati, mi hanno chiamato per saperne di più sulle mie intenzioni e le mie motivazioni” . Utilizzare tutte le risorse della rete sociale virtuale, e l’anonimato di Internet in generale, è un modo di reagire alla semiclandestinità nella quale sono relegati i cristiani marocchini. Perché, anche se nessuna legge condanna l’apostasia, i convertiti sono soggetti a pressioni quotidiane da parte delle Autorità. “Due giorni prima della chiusura dell’orfanatrofio di Ain Leuh, ho ricevuto la visita di un agente della DST (Servizio di informazione) che mi ha fatto domande sulla mia conversione. Non è stata la prima volta e certamente non sarà l’ultima”, racconta Hicham, 39 anni, pastore a Casablanca, abituato a questi interrogatori estemporanei. E aggiunge: “I servizi segreti conoscono la maggior parte dei pastori marocchini. E un buon numero di cristiani sono schedati”. Le autorità si giustificano sostenendo che questa sorveglianza è diretta ad evitare a tutti i costi i possibili gesti di un pazzo che piombi nel mezzo di una riunione di cristiani marocchini per far loro pagare il ripudio dell’islam. Prima di tutto l’ordine pubblico. “La DST assicura la nostra sicurezza”, ammette molto volentieri un convertito.
Il problema è altrove. L’articolo 6 della Costituzione “garantisce a tutti il libero esercizio dei culti”. Il codice penale riafferma ciò stabilendo che “chiunque, con violenza o minaccia, costringa o impedisca ad una o più persone di esercitare un culto o di assistere all’esercizio di un culto è punito con la prigione da sei mesi a tre anni e con un’ammenda da 100 a 500 dirham”. Ma nei fatti questa libertà garantita dalla legge viene accordata solo ai cristiani stranieri e viene ignorata nei confronti dei cristiani marocchini. “Il sistema di gestione dello Stato segue un modello giacobino ed è retto dunque da una logica laica che riconosce la libertà di coscienza e di culto come una libertà individuale. E tuttavia il sistema di legittimazione del potere è essenzialmente basato sulla religione di Stato: l’islam”, spiega il politologo Mohamed Darif. Sacro paradosso. E non è il solo. “Per lo Stato ogni marocchino nato non ebreo è considerato necessariamente mussulmano, sebbene non sia stabilito da nessuna legge”, aggiunge Ahmed Assid, filosofo e ardente difensore della laicità.
Il cammino della croce
Incastrati nel loro statuto di “mussulmani malgrado loro”, ai Marocchini convertiti al cristianesimo è vietato l’accesso alle chiese ufficiali che si trovano in Marocco, aperte solo ai cristiani stranieri. Per poter pregare, sono costretti a riunirsi in appartamenti, quasi di nascosto e mai in più di venti persone per non attirare l’attenzione. Quando una chiesa supera questo numero di adepti, si scinde in due. Perché, al di là dello Stato, è la società che nega loro il diritto di esistere. E’ così che, per paura di essere rifiutati, molti convertiti praticano la loro religione esclusivamente tra di loro. In spazi protetti insomma. “Agli occhi della gente, convertirsi è peggio che non credere in dio. Un ateo è considerato come una pecorella smarrita, mentre un Marocchino convertito è considerato al pari di un traditore. Come uno passato all’altro campo”, testimonia un cristiano marocchino. “Veniamo presentati come gente interessata che avrebbe scelto un’altra religione in cambio di soldi o per ottenere un visto per gli Stati Uniti. Mentre al contrario si tratta di un atto di impegno totale del quale paghiamo quasi ogni giorno il prezzo sul piano umano. Io sono stato perfino licenziato perché il mio datore di lavoro ha scoperto che ero cristiano”, si indigna un altro convertito. “In più, nessuno dice che ogni membro di una chiesa deve versare il 10% del suo salario alla comunità. Essere cristiani in Marocco costa più di quanto procuri”.
Coscienti di essere degli UFO in ambiente ostile, i convertiti sviluppano dei riflessi comunitari. Si conoscono quasi tutti, grazie ai loro siti internet, ed organizzano degli eventi tra di loro per sottrarsi alla morte sociale alla quale sono condannati. “Facciamo delle gite insieme perché i fedeli sono si sentano isolati dal resto della società o si vergognino della loro fede. Si invitano anche i cristiani che abitano in altre città del Marocco, è una maniera di far loro sentire che non sono soli”, confida il pastore Hicham.
Coming out in vista?
Discreti in tempi ordinari, i cristiani marocchini ne hanno però abbastanza di piegare la schiena. I fastidi seguiti alla vicenda di Ain Leuh sono stati per loro la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Si sono accordati per scrivere un comunicato nel quale chiedono al governo di fermare “ogni tipo di molestia securitaria sistematica, di arresto, di detenzione e di ispezione che abbia il solo scopo di umiliare i cristiani e di forzarli a rinunciare alle loro convinzioni religiose”. Chiedono anche di essere riconosciuti come cristiani marocchini e che sia riconosciuto loro “il diritto di culto”. Per davvero e non solo sulla carta. Diffuse in internet, le rivendicazioni dei cristiani marocchini hanno avuto un’ eco favorevole all’interno della comunità. I convertiti non pensano ancora a marce o sit-in per essere riconosciuti, ma nella idea dei promotori del comunicato si tratta di un primo passo verso l’apertura di un dibattito pubblico sulla libertà di culto. “In una intervista Mohammed VI ha affermato che nella sua qualità di Comandante dei credenti aveva il compito di assicurare la libertà di culto non solo per i mussulmani, ma anche agli ebrei e ai cristiani”, ricorda uno dei redattori del comunicato. I cristiani marocchini non contestano d’altronde lo statuto di Amir al mouminine (Comandante dei credenti) del re. Vogliono solo non essere più esclusi dal novero dei credenti.
Confessioni
Hicham, 39 anni, Pastore
“Mio padre, mussulmano molto pio, ha accettato la mia scelta”
“Sono cristiano dal 1990. Sono cresciuto in una famiglia di Souss, mussulmana e molto praticante. Mi sono sempre posto molte domande, leggendo molto a proposito dell’islam. Ho anche seguito dei corsi di Charia all’università per 4 anni e mi ha colpito la sfilza di contraddizioni del Corano. All’epoca ascoltavo le radio e i canali cristiani, mantenendomi in corrispondenza con delle associazioni evangeliche. Ho deciso in seguito di seguire dei corsi di teologia cristiana all’università di Beyrut. Non mi sono mai nascosto perché, fin dal mio arrivo in Libano, ho dichiarato la mia presenza all’ambasciata del Marocco a Beirut, specificando gli studi che seguivo. Tornato in Marocco, ho cercato di organizzarmi come potevo per praticare la mia religione. Ci si ritrovava con altri Marocchini cristiani in qualche caffè per pregare. Aprivamo le nostre Bibbie sotto gli occhi di tutti, e ciò non costituiva alcun problema. Ordinato pastore, dirigo oggi una chiesa di cristiani marocchini. Ci si riunisce 2 o 3 volte per settimana in un appartamento. Mio padre, mussulmano assai pio, ha finito per accettare la mia scelta. Mantengo ancora oggi ottime relazioni coi miei fratelli e i miei genitori. Io rispetto la loro fede ed essi rispettano la mia”.
Mehdi, 25 anni, agente di commercio
“Pensavo di essere il solo cristiano marocchino”
“A 6 anni, mio padre mi costringeva ad alzarmi all’alba per fare la preghiera. Stanco di svegliarmi così presto, ho finito un giorno per respingere tutto: dio, l’islam ecc. Questo episodio è all’origine della mia rivolta. Qualche anno più tardi ho scoperto il Nuovo Testamento nella libreria di mio zio. Sono stato colpito da un passaggio che parlava di amore e di perdono. Durante i miei anni di liceo, portavo d’altronde sempre una bibbia con me ed una croce. Un giorno, un uomo che mi aveva sorpreso mentre leggevo la Bibbia mi ha invitato ad una riunione di Al Adl Wal Ihsane. Sono rimasto bloccato 40 giorni da simpatizzanti del movimento. Ne sono uscito depresso. In seguito ho aderito ad un partito dell’estrema sinistra. Credevo di poter trovare la mia pace interiore in un movimento ateo. Ma in verità ero ancora alla ricerca di me stesso. Ho cominciato a seguire dei corsi biblici per corrispondenza. All’epoca pensavo di essere il solo cristiano marocchino, poi ho scoperto, attraverso un sito internet, che eravamo più numerosi di quanto immaginassi. Dopo aver studiato il Vangelo per diversi mesi, ho finito per aderire ad una “chiesa” di Casablanca.
Houria, 20 anni, studentessa
“Un mio amico non voleva farsi vedere in compagnia di un’empia”
A quattordici anni mi sono messa il velo a richiesta di mio padre. E’ stato il momento in cui ho cominciato a nutrire dubbi. Il trattamento riservato alle donne nel Corano mi sembrava ingiusto. A 15 anni mi sono tolta il velo contro la volontà di mio padre. Sono diventata atea. Nello stesso periodo ho scoperto delle trasmissioni radiofoniche tenute da alcuni maghrebini cristiani. Si parlava molto del vangelo, di Gesù, l’idea che Dio è amore mi ha sedotta. A 18 anni sono diventata cristiana. I miei genitori non lo sapevano ancora, così ho continuato a digiunare durante il ramadan per rispetto nei loro confronti. Quando dovevo recitare il Corano in loro presenza, lo intonavo come una canzone, senza che le parole mi toccassero o avessero un senso per me. Io volevo annunciare loro la mia conversione con gradualità e lasciare loro il tempo di accettarla. Ho confidato ad uno dei miei amici di infanzia di essere cristiana. Mi ha respinto confessando che il fatto non gli causava alcun problema personale, ma che non voleva essere visto in giro in compagnia di un’empia. In seguito ho incontrato numerosi Marocchini cristiani sul net. Adesso ho rapporti solo con loro”.
Imane, 30 anni, quadro
“Per la mia famiglia sono una traditrice”
“Molto presto mi sono definita un’atea rifiutando l’islam. Verso i 15 anni ho cominciato ad essere agnostica. Dal momento che la maggior parte dei miei amici era francese o franco-marocchina, ho potuto soddisfare la mia curiosità e avere accesso ad una Bibbia in francese. Qualche anno più tardi ho studiato in un’università privata dove ho incontrato giovani cristiani del mondo intero che mi hanno consentito di capire più profondamente il cristianesimo. Ho potuto finalmente studiare i quattro vangeli uno per uno. A 18 anni sapevo di essere cristiana. Non l’ho vissuto come un “cambio” di religione, ma come una risposta al malessere che covavo da anni. Quando tornavo dai miei genitori, dovevo nascondere la mia bibbia, e dovevo trovare scuse per uscire la domenica mattina, prendere un piccolo taxi e andare a pregare in una chiesa ben conosciuta. Indossavo un berretto e tentavo di nascondere i miei tratti arabi. C’era sempre un poliziotto nella piazza e il guardiano della chiesa era molto curioso. Ho dovuto attendere di lasciare il Marocco per potermi battezzare, nel 2001, negli Stati Uniti, dopo aver seguito un programma di catechismo per adulti. Quando la mia famiglia lo ha saputo, mi ha trattato come una traditrice”.
Ritratto
Il fratello nemico
“Brother Rachid” è l’animatore del canale evangelico Al Hayat. Marocchino convertito al cristianesimo, gli integralisti hanno posto una taglia sulla sua testa per i suoi attacchi contro l’islam.
Prima di diventare “Brother”, Rachid dirigeva una società di informatica in Marocco. Paese in cui è nato nel 1973 a El Jadida. “E’ un Doukkali di diritto”, dice uno dei suoi amici. A 12 anni il piccolo Rachid scopre Gesù, una sera di ramadan, attraverso la radio. E’ la svolta: diventa cristiano. I suoi genitori lo ripudiano e suo padre, imam in una moschea, non gli rivolge più la parola. Rachid incontra allora dei Marocchini cristiani, prega con loro e, soprattutto, lancia un movimento. “Non vogliamo più nascondere la nostra fede, rivendichiamo il diritto di parlare della nostra religione e di avere la Bibbia in arabo”, ci spiega. Questa audacia gli vale numerose seccature da parte della DST, che lo costringe a lasciare il territorio nazionale nel 2005. Nello stesso periodo comincia a collaborare al canale televisivo Al Hayat, dove presenta il programma “Una domanda audace” e diventa la star dei cristiani marocchini. “Sei il mio eroe”, gli ha scritto un’ammiratrice su Facebook. Ma i suoi detrattori sono moltissimi. Nel corso della trasmissione, Brother Rachid rivolge soprattutto critiche al Corano e gli haidith ("racconto, narrazione" ma ha un significato molto più importante perché è parte costitutiva della cosiddetta Sunna, la seconda fonte della Legge islamica - shari'a - dopo lo stesso Corano, ndt). “L’islam si riserva il diritto di criticare il cristianesimo, il cristianesimo deve fare altrettanto”, replica. Ma Brother Rachid spesso esagera, prendendosela direttamente col profeta Maometto. Scatena una personale guerra di religione, ponendo in contrapposizione cristiani e mussulmani. Pensa di essere investito di una missione: “Voglio proporre ai mussulmani un’altra scelta religiosa”, ci confida. E questa religione è la sua e quella di Cristo, evidentemente. Per poter condividere “la parola di dio” coi suoi concittadini, è stato il primo a tradurre la Bibbia e 27 versetti del Corano in darija (la lingua marocchina, ndt). E’ troppo per gli islamisti, che minacciano quotidianamente di morte questo “fratello” che aggiunge provocazione a provocazione. Per ragioni di sicurezza Brother Rachid non svela quale sia il paese in cui vive e nasconde accuratamente la sua vera identità. La polizia vigila costantemente la sua abitazione. Al telefono Brother Rachid non fornisce particolari sulla sua vita. Ci dice solo che è sposato, padre di tre bambini e che si è oggi riconciliato coi suoi parenti. Brother Rachid dice di parlare regolarmente coi suoi genitori e progetta anche di tornare in Marocco. Non aggiunge altro.
Essere e apparire
“Io devo garantire la libertà di culto e, preciso, non solo quella dei mussulmani. Le tre religioni, mussulmana, ebraica e cristiana, devono potersi esprimere in piena libertà, sicurezza, serenità”. Difficile essere più ecumenico di quanto lo sia stato Mohammed VI in questa dichiarazione rilasciata a Le Figaro il 4 settembre 2001. E tuttavia, tra il significato di queste parole (un messaggio trasmesso all’estero sulla tolleranza religiosa del regno) e la realtà dei fatti, vi è uno scarto di cui fanno le spese i Marocchini convertiti al cristianesimo. Perché la pretesa tolleranza, di cui mena tanto vanto il trono alawita, passa in secondo piano quando il consenso sociale è minacciato. Accettare la diversità religiosa dei marocchini equivale a indebolire l’islam, che costituisce il fondamento principale su cui si regge la monarchia. L’islam è l’elemento federatore della identità marocchina, che trascende tutte le differenze, come ha scritto l’islamologo Mohamed Arkoun. Aderendo al cristianesimo, ripudiando il loro statuto di mussulmano, i convertiti si ritrovano quindi esclusi dalla società, considerati dei traditori, privati della loro marocchinità, costretti a galleggiare tra l’essere e l’apparire. Nel quotidiano, essi vivono secondo le scadenze liturgiche segnate da feste religiose che non sono più loro: digiunano nonostante tutto e festeggiano Natale, la nascita di Gesù, il loro nuovo profeta, di nascosto. Sul piano pratico essi non hanno alcuna esistenza legale, costretti a sposarsi secondo la legislazione mussulmana e ad essere sepolti secondo i riti ilsamici. Il problema è culturale, sociale e identitario. Si pone sia al livello individuale che collettivo. E ci pone interrogativi profondi: si ha il diritto, in un paese che pretende di essere moderno, di ridurre migliaia di Marocchini al silenzio?
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Cristiani en Marok

Messaggioda Berto » lun mar 27, 2017 9:15 am

Imam di Venezia, veneti e altro - cattivi maestri
viewtopic.php?f=24&t=1989


Vercelli, marocchino espulso dal Viminale: "motivi di sicurezza"
Residente a Santhià aveva rifiutato la cittadinanza: "Italia paese di miscredenti"
26 Marzo, 2017
http://torino.repubblica.it/cronaca/201 ... 450662/amp

Con un provvedimento firmato dal ministro dell'Interno, Marco Minniti, è stata eseguita l'espulsione di un cittadino marocchino, per motivi di sicurezza dello Stato, con un volo diretto in Marocco. Con questo rimpatrio, il ventiseiesimo dall'inizio dell'anno, salgono a 158 i soggetti gravitanti in ambienti dell'estremismo religioso, espulsi con accompagnamento alla frontiera dal gennaio 2015 ad oggi. Si tratta di un uomo di 44 anni, residente a Santhià, in provincia di Vercelli, e coniugato con una cittadina italiana convertita all'islam. La coppia ha tre bambini piccoli e vivevano in una casa popolare.
L'uomo era stato segnalato a seguito di approfondimenti investigativi nell'ambito di indagini condotte dalla Digos di Vercelli per aver manifestato un percorso di radicalizzazione che lo aveva portato a considerare l'Italia un paese di miscredenti, non idoneo alla permanenza della sua famiglia tanto che aveva deciso per un breve periodo di tornare in Marocco. Poi era rientrato a Santhià. Ma ultimamente aveva tolto i bambini da scuola. Inoltre, spiega una nota del Viminale, nel 2012 il marocchino aveva rifiutato di prestare giuramento per ottenere la cittadinanza italiana, confidando ad alcuni connazionali che l'accettazione dello status avrebbe offeso la sua religione e che l'osservanza della Costituzione avrebbe violato i dettami shariatici.Le indagini investigative acquisite sulla deriva radicale del cittadino marocchino sono state poi confermate anche da elementi della comunità islamica vercellese, dove in passato ha svolto funzioni di imam. Rintracciato il 25 marzo a Torino, all'esito dell'udienza di convalida, è stato espulso dal territorio nazionale e rimpatriato con un volo diretto in Marocco. Il sindaco di Santhià Angelo Cappuccio precisa: ''L’uomo con la sua famiglia non era più reperibile da oltre un anno: abitava in una casa popolare e noi, dopo la segnalazione della mancata frequenza scolastica da parte dei figli, abbiamo avviato l’iter di controllo''
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Prossimo

Torna a Cristianismo o cristianesimo

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 2 ospiti