Naltri no semo piegore e valtri no si pastori

Re: Naltri no semo piegore e valtri no si pastori

Messaggioda Berto » lun gen 11, 2016 7:49 pm

Uomini proibiti: storie di preti sposati che scelgono l’amore e svestono l’abito.
Non un film scandalo, ma un documentario per indagare le sfumature dell’amore vissute da chi, in teoria, non sarebbe lecito avere.
Mercoledì, 27 Maggio 2015 16:40
Postato da Valentina Maran
http://www.elle.it/Blog/Valentina-Maran ... lita-fiore

Quando parlo con Angelita Fiore la prima cosa che mi colpisce è la delicatezza: ci tiene tantissimo a sottolineare che Uomini Proibiti non è un film scandalo, non è uno scoop, ma è un film che indaga con molto tatto le sfumature dell’amore che provano anche loro, i preti sposati, uomini in carne e ossa, con tutte le loro contraddizioni.
E infatti è quello che si capisce guardando il trailer del film: mi ha subito colta una grande emozione, una senso di umana compassione di fronte al prete che parla della figura femminile della madonna e di come la realtà dei sentimenti l’hanno travolto.
Il percorso di Angelita parte da lontano: è una mia concittadina, varesotta anche lei, ha studiato a Bologna e ora fa la regista. Questo pensiero, o meglio, questo progetto la assorbe dal 2006 quando ha cominciato a farsi domande sull’amore, i sentimenti, le relazioni. Spesso si è scontrata col pensiero del celibato: come vivono i preti la loro vita sentimentale? E soprattutto, cosa capita quando si innamorano? Siamo in Italia, un luogo necessariamente permeato di religione, ma il percorso che ha voluto fare Angelita non è di scontro: non è un film di critica sulla religione, è un documentario che ricerca comprensione, che scava nelle domande per poter dare risposte, per far sentire voci che di solito devono arrendersi al silenzio del segreto per tutelare il loro amore, la loro necessità di vita, l’esistenza anche di figli, quando ce ne sono.
Chiacchierando con Angelita si capisce davvero che ha fatto una specie di salto dall’altra parte della barricata. Il suo è un punto di vista trasversale. Ha sviscerato l’argomento e ne ha tratto punti di vista vari. Il film narra di storie differenti, perché ogni vita vissuta ha la sua realtà diversa e senza dubbio travagliata. Non sono mai storie semplici: quando le chiedo cosa accomuna una storia di tradimento con un uomo sposato- e quindi a sua volta proibito- con un prete, lei mi dice chiaramente che la relazione con un uomo sposato ti mette di fatto in contrasto con un’altra figura femminile. Qui le donne in un certo senso sono in contrasto con Dio. Ed è un Dio che occupa la vita dell’uomo che ami in modo totale, e non c’è storia, non c’è gara. E’ immenso: un barato di emozioni. Difficile immaginare il percorso emotivo di queste persone, che di fatto non è mai semplice.
Quello che accomuna tutte è il senso della rinuncia: la vita vissuta in segreto, tutto proibito, sono esperienze complesse che uniscono un’altissima fede all’amore terreno.
Queste donne e queste coppie fanno dei percorsi che le portano dal provare un senso di colpa e di vergogna al raggiungere un senso di amore, perché questo è quello che vivono. E l’amore non può avere nulla di sbagliato.
Un’altra parola chiave che usa molto la regista è pregiudizio: la Chiesa chiude le porte di fronte a chi mette il proprio amore terreno davanti a Dio. Che cosa fanno questi uomini quando dichiarano il loro amore? Dipende: ad alcuni viene consigliato di continuare a tenere il segreto e la coppia viene tollerata a patto che mantengano molta discrezione; altri vengono esclusi completamente. Dipende dalle occasioni, dagli uomini. Ogni vita è una realtà. Certo è che i numeri sono impressionanti: ad oggi 120.000 preti nel mondo hanno lasciato l’abito per amore.
Alcuni hanno anche dei figli e questi amori si ripercuotono in modo forte anche sulle vite che sono scaturite. Che cosa fa un prete quando toglie l’abito? Difficile dirlo: molti amano comunque continuare nel sociale, prendendosi cura delle persone. Sentono che altrimenti tutto quello che hanno fatto e costruito sarebbe sprecato. E lo è, vista la cultura incredibile di cui godono tantissimi di loro.
Il film è in concorso al Biografilm Festival e il 13 giugno sarà in gara.
Angelita ha lanciato anche un crowdfunding per poter portare Uomini proibiti nelle sale. Il film è finito, mancano poche cose tecniche di post produzione, ma hanno bisogno una mano. Se vi va di aiutare qui trovate il link per una donazione. Basta davvero poco, ma vale la pena portare nelle sale un film che apre il dialogo e pone la domanda sincera, se sia ancora il caso di perpetrare la regola del celibato.
Uno dei desideri è di poterlo mostrare a Papa Francesco per aprire un confronto, un tavolo dove avvicinare esigenze così umane, e vere, alla chiesta.
Voi come la pensate? È ora di permettere che anche i preti vivano una vita sentimentale senza l’obbligo del celibato?
Seguimi anche su Twitter: @ValentinaMaran
Valentina Maran, 27 Maggio 2015
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Re: Naltri no semo piegore e valtri no si pastori

Messaggioda Berto » lun gen 11, 2016 8:16 pm

Pedofilia tra i preti

https://it.wikipedia.org/wiki/Casi_di_p ... _cattolica

Estensione del fenomeno

Nel giugno 2009 il cardinale Cláudio Hummes, prefetto della Congregazione per il Clero dichiarò al settimanale cattolico spagnolo Vida Nueva che «La Chiesa non può chiudere gli occhi di fronte ai casi di pedofilia tra i propri preti, che in alcune diocesi arrivano a coinvolgere quattro preti su cento.»[20], rettificando una propria intervista del 5 gennaio 2008 all'Osservatore Romano, in cui dichiarava che tra i sacerdoti «neppure l'1% ha a che fare con problemi di condotta morale e sessuale»[20].

Nel settembre del 2009 l'arcivescovo Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede all'ONU di Ginevra, in una dichiarazione al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite a Ginevra, dichiarò che, stando alle ricerche interne, nel clero cattolico solo tra l'1,5% e il 5% era coinvolto in abusi sessuali su minori.[21]

Per Charles J. Scicluna, "promotore di giustizia" della Congregazione per la Dottrina della Fede, tali stime sarebbero sovradimensionate rispetto al numero delle denunce di chierici accusati di abusi su minori di 18 anni pervenute dalle singole diocesi alla Congregazione per la Dottrina, organo vaticano competente in materia, negli anni venti01-2010: le denunce da tutto il mondo presentate alla Congregazione avrebbero coinvolto circa 3000 sacerdoti, dei quali propriamente pedofili circa un decimo.[22] Secondo i dati presentati dalla Chiesa cattolica a fronte di una popolazione media di circa 440.000 membri del clero nel mondo (comprendente diaconi, presbiteri e vescovi, calcolata considerando i dati relativi agli anni 1968, 1970, 1978-2006)[23] i chierici colpevoli di abusi su minori risulterebbero all'incirca lo 0,67%, dei quali propriamente pedofili lo 0,067%.



Preti e pedofilia: celibato e potere
Intervista a Sante Sguotti autore del libro 'Prete pedofilo si diventa'
DON SANTE SGUOTTI (Agenzia: EMMEVI) (NomeArchivio: 31980109.JPG)

http://www.lindro.it/preti-la-pedofilia ... -don-sante

La Chiesa e la pedofilia (i preti e la pedofilia), due parole che messe insieme possono condurre a reazioni diverse: lo sdegno di chi associa la prima alla assoluta pulizia morale, la negazione di un’istituzione che cerca di difendersi con tutti i suoi mezzi, lo sbigottimento di chi stenta a credere alle storie che sente, la paura che a farne le spese possano essere i propri figli.
Eppure è un argomento abbastanza recente, piuttosto scomodo, spesso sotterrato. Il servizio di una trasmissione prima, un articolo poi e via via altre storie, una dopo l’altra, con il coraggio che esce fuori per emulazione, con la voglia di far conoscere al mondo il proprio travagliato vissuto.

Don Sante Sguotti ne ha parlato a modo suo, senza risparmiare bordate alla ‘sua’ Chiesa. Tagliente sin dai primi anni di seminario, controcorrente in un mondo spesso caratterizzato dall’eccessiva omologazione, critico nei confronti di un’istituzione a suo dire contraddistinta da una marcata ipocrisia. Una storia complicata la sua, con delle posizioni piuttosto radicali, non in assoluto ma sicuramente scomode per il tradizionalismo clericale.
Classe 1966, ordinato sacerdote nel 1991, è stato viceparroco in tre parrocchie fino al 1999 e poi parroco di Monterosso. Nel 2007 è stato allontanato dalla Curia di Padova, sospeso ‘a divinis’ da papa Benedetto VXI, per la storia d’amore con la sua parrocchiana Tamara Vecil. Poi un’ospitata in una trasmissione domenicale dove annunciava la nascita di suo figlio e l’allontanamento da Monterosso per trasferirsi con la nuova famiglia sui colli Berici, a Lovertino di Albettone per lavorare come camionista in una cooperativa. Forte dell’affetto e della comprensione della sua comunità non ha mai rinunciato alla sua attività pastorale.
Pubblica ‘Il mio amore non è peccato‘ (Mondadori, 2007), dove, sulla scia della sue esperienza personale, porta avanti la sua battaglia contro il celibato obbligatorio strettamente legato alla piaga della pedofilia, tema del suo secondo libro, pubblicato a febbraio 2015 e dal titolo particolarmente forte: ‘Prete pedofilo si diventa. Pedofilia e celibato nella Chiesa di papa Francesco‘ (Ed. La Zisa).
Una bomba ad orologeria, anche nelle sue pagine interne, dove Sguotti afferma che: «il prete pedofilo è il miglior prete che si possa immaginare, il prete perfetto che si presenta in pubblico come il miglior sacerdote possibile. L’insospettabile».

Don Sante, il suo libro e le sue affermazioni hanno fatto molto discutere. Su cosa si basano?

Conosco l’ambiente cattolico sin da piccolo, ho frequentato preti, parrocchiani e tutto ciò che sta intorno e ho raccolto diverse testimonianze. La mia è una riflessione sul rapporto tra tutti gli impedimenti all’emersione dei casi di pedofilia e gli effettivi casi emersi. Non riesco, ad esempio, a capacitarmi di come alcuni preti che disobbediscono su cose marginali vengano subito estromessi dalla Pastorale, mentre preti che si sono resi colpevoli di decine di casi di pedofilia, continuino a rimanere al loro posto o al massimo vengano trasferiti. Perché un vescovo emargina un prete che non è disponibile ad un determinato servizio e non tocca un pedofilo, quando la Chiesa stessa ammette che questo si è macchiato del crimine peggiore in assoluto?

Cosa è cambiato da febbraio, data di uscita del suo libro, ad oggi?

Assolutamente nulla, perché continuano ad uscire casi in Italia. Il problema non è stato affrontato alla radice, mi spiego: sicuramente c’è una connessione della pedofilia innanzitutto col celibato obbligatorio e poi con alcuni aspetti come la scelta dei presbiteri e dei sacerdoti, la formazione ed infine il potere e i privilegi della Chiesa che mettono questi soggetti, aventi queste problematiche, in condizioni psicologiche tali da sentirsi di poterla fare franca, di poter essere difesi da autorità, di poter ricattare chi sta sopra perché si hanno delle conoscenze ecc… Adesso c’è tolleranza zero, ma solo quando il prete viene portato davanti al tribunale, solo a quel punto la Chiesa interviene. Se è una figura che non riveste particolare importanza viene dimesso dopo un po’ di tempo dallo Stato clericale. Essendoci i riflettori puntati e maggiore sensibilità, naturalmente c’è un po’ più di severità, ma solo sotto questo punto di vista.

Quali sono le principali falle di questo sistema?

In Italia la Chiesa ha un forte potere economico e politico e una capacità di connessione con la stampa e il tribunale tale che il prete pedofilo sa che potrà essere tutelato. Per il resto, non c’è l’obbligo del vescovo di denunciare questi soggetti, né l’obbligo morale della Curia di mettere a disposizione le documentazioni. L’atteggiamento preponderante è il vittimismo, perché la massoneria, o chi per essa, attaccherebbe la Chiesa con questi metodi.

Si può dire che l’ambiente clericale sia omertoso?

Sì e lo posso affermare in base alle esperienze che ho raccolto nella mia attività pastorale: il sacerdote che non fa nulla davanti ad una bambina che subisce abusi in famiglia e si confessa con lui, i preti che, a vario titolo, sono stati accusati di pedofilia, le persone che hanno confidato di aver subito abusi e violenze durante le confessioni e le violenze delle suore negli asili. Non è una situazione marginale ma capillare e diffusa.

È cambiato qualcosa con Papa Francesco?

Ha fatto tanti proclami e ha detto tante cose, ha creato la Commissione per la lotta alla pedofilia composta da cardinali, ma fino a quando, concretamente, non si interviene sui seminari e sulla questione del celibato obbligatorio non possono esserci le premesse affinché cambi davvero qualcosa. Bisogna eliminare la possibilità della Curia di coprire e di non denunciare ciò di cui viene a conoscenza.

Lei sostiene che il prete pedofilo sia il miglior prete possibile. Vuole spiegare meglio questa sua affermazione?

Ho letto molto sull’argomento, addirittura tre preti americani psicologi hanno fatto uno studio su centinaia di preti accusati o condannati per pedofilia, da cui è emerso che molto dipende dal loro potere. Come ogni essere umano, anche il sacerdote ha bisogno di affetto e contatto fisico ma il suo potere non gli consente di mettersi al pari di una donna, così soddisfa i suoi bisogni con chi considera suddito. Molti di loro hanno grande carisma e godono della totale fiducia dei fedeli, si mostrano come persone affabili, ci sanno fare con i giovani e sanno parlare, inoltre hanno un grande ascendente sui bambini. Per questo possono permettersi di minacciarli o possono farli sentire dei privilegiati. Non sono persone che si comportano apparentemente male dunque. Prendiamo il caso dei ‘Legionari di Cristo’, commissariati da Papa Benedetto XVI per la conclamata pedofilia del loro fondatore, Padre Marcial Maciel Degollado. Quest’ultimo aveva dei figli e le voci sul suo conto erano tante ma nonostante fossero arrivate in Vaticano, il Papa di allora, Giovanni Paolo II, lo aveva sempre difeso e, dopo la sua morte, aveva avviato il suo processo di beatificazione. La venerazione sconfinata dei legionari nei confronti del loro capo non ha trovato riscontro nella realtà, perché tutto è stato poi bloccato. In Italia tali studi non sarebbero possibili, anche solo fare un’intervista sulla affettività dei preti appare impossibile, sono temi da non affrontare.

Nel suo libro precedente ‘Il mio amore non è peccato‘, lei si scaglia contro il celibato obbligatorio. Esso riveste un importante anche nella pedofilia dei preti?

Costituisce un’ipocrisia, nella realtà non esiste. Alla fine, nei fatti, o ci si trova davanti a sacerdoti omosessuali o aventi una o più amanti. Poi c’è anche il prete che non ha nessun rapporto e vive celibe, questo può sublimare su altre cose il suo bisogno. Non sono uno psicologo esperto e conosco solo qualche funzionamento psicologico, ma la pratica è questa e ci sono in tal senso tutti i documenti che si vogliono. Ci sono testimonianze, basta parlare con gli ambienti omosessuali che confermano le frequentazioni da parte dei preti, nei Paesi ognuno conosce la sua storia e crede sia l’unica: quello ha un figlio, l’altro manda i soldi alla donna, uno fa abortire la catechista. Il celibato è una copertura, i motivi sono tanti e tutti sbagliati, esso viene salvaguardato per difendere la sacralità del sacerdote o perché si pensa sia impossibile per il prete gestire l’attività pastorale e una famiglia insieme.

È vero che ha avuto problemi nella pubblicazione e nella diffusione del suo ultimo libro?

Sì, all’inizio non ho trovato una risposta positiva, in generale, anche nella presentazione del libro, ho notato una certa paura. Ammetto che il titolo possa essere un po’ forte e questo può spaventare perché può dare fastidio. Nella diffusione ho avuto problemi a Padova, perché il vescovo ha scritto a tutte le librerie della città intimandole di non vendere i libri. Solo la Feltrinelli li ha venduti, ma su ordinazione.




Preti pedofili: quasi 3500 casi in dieci anni, 884 sacerdoti allontanati
I nuovi dati aggiornati sono stati resi noti nel corso dell’esame del rapporto del Vaticano davanti al comitato Onu contro la tortura
6 maggio 2014

http://www.corriere.it/cronache/14_magg ... 414c.shtml


Tra il 2004 ed il 2013, il Vaticano ha «cacciato» 884 preti accusati di pedofilia, svestendoli dell’abito talare e riducendoli allo stato di laici, cioè di comuni cittadini. Lo ha detto martedì a Ginevra il nunzio apostolico presso la sede delle Nazioni Unite a Ginevra, Silvano Tomasi, nel corso della seconda giornata di esame del rapporto della Santa Sede davanti ai dieci esperti del 52esimo Comitato Onu contro la tortura. Negli ultimi nove anni, sono stati 3.420 i casi giunti alla Congregazione per la Dottrina della fede, fondati su accuse credibili di abusi sessuali commessi da membri del clero contro minorenni. La maggioranza dei casi si riferisce agli anni ‘50, ‘60, 70’ e ‘80.Per stare ai provvedimenti presi solo negli ultimi due anni, Benedetto XVI aveva sospeso 384 sacerdoti negli ultimi due anni del suo pontificato.

«La Chiesa sta affrontando il problema»

Dal 2004, più di 3.400 casi credibili di abusi sono stati denunciati al Vaticano, di cui 401 nel solo 2013. Altre misure disciplinari sono state prese nei confronti di 2.572 sacerdoti. Tra le sanzioni minori ai 2.572 sacerdoti c’è anche l’imposizione a vivere il resto della vita in penitenza e preghiera, misura spesso usata quando il prete accusato è anziano o infermo. Non sono pochi, ma, precisa Tomasi, si tratta di sacerdoti che vengono «messi in un luogo in cui non hanno alcun contatto con bambini». Del resto, ricorda monsignore, la «Santa Sede non ha la competenza o i mezzi di avviare procedure per crimini fuori dalla Città del Vaticano». Tuttavia «compie ogni sforzo per condurre procedure ecclesiastiche nei confronti di membri del clero contro i quali sono state mosse accuse credibili di abusi sessuali contro minori, ma senza pregiudizio per le procedure giudiziarie nel Paese di residenza». «Direi che il punto più importante da fare entrare nella convinzione degli esperti - afferma Tomasi - è che la Chiesa, da una parte la Santa Sede, nel suo campo, e le Conferenze episcopali e la Chiesa in generale, da 10 anni sono sul fronte per combattere contro ogni abuso sessuale sui minori, per prevenire questo crimine, per aiutare le vittime e per punire anche chi è colpevole. Quindi, non vogliamo che rimanga fossilizzata la percezione che la Chiesa non abbia fatto abbastanza o che la Chiesa abbia cercato di evitare o che stia ancora evitando di affrontare il problema».

Il primo rapporto davanti al comitato Onu contro la tortura

Le conclusioni del Comitato sull’esame del rapporto della Santa Sede sono attese il 23 maggio. Si tratta del primo rapporto della Santa Sede davanti al Comitato Onu contro la tortura. Il Comitato esamina i rapporti di tutti i 155 Paesi aderenti alla Convenzione del 1984 contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti. La Santa Sede ha aderito al Trattato nel 2002. Intanto, un commento del Wall Street Journal afferma che se il Comitato Onu preposto al rispetto della Convenzione contro la Tortura «dovesse accogliere la richiesta» di alcune associazioni e gruppi e «concludere che il Vaticano ha violato la Convenzione» per i casi di abusi sui minori, «questo rappresenterebbe un’interpretazione giuridicamente insostenibile e perversa del trattato» che potrebbe indebolire la sua efficacia e soprattutto «rappresenterebbe un attacco palese alla libertà religiosa». Nell’analisi firmata da David B. Rivkin Jr. e Lee A. Casey - ex funzionari del Dipartimento di Giustizia a Washington durante le presidenze Reagan e George W. Bush - si ricorda che nel passato la Chiesa non si è mossa in maniera adeguata nella lotta alla pedofilia ma «più recentemente ha invece ammesso i propri errori e ha messo in campo riforme fondamentali per risolvere il problema».Per gli editorialisti di Wsj nessuno ha dubbi nel condannare la pedofilia «ma inserire la questione nella Convenzione contro la tortura è legalmente scorretto».
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Re: Naltri no semo piegore e valtri no si pastori

Messaggioda Berto » lun gen 11, 2016 8:51 pm

Sempre meno preti cattolici in Svizzera
Di Morven McLean
05 aprile 2012 - 11:00

http://www.swissinfo.ch/ita/sempre-meno ... a/32285450

Ogni villaggio continuerà ad avere la propria chiesa, ma probabilmente non il proprio sacerdote: la penuria di preti cattolici in Svizzera porterà forse a delle "fusioni" parrochiali
(Keystone)
Costruito 30 anni fa per accogliere 40 giovani aspiranti preti cattolici, il seminario a Villars-sur-Glâne, vicino a Friburgo, attualmente ne ospita cinque. Lo stesso succede nella maggior parte dei centri di formazione di sacerdoti cattolici romani in Svizzera.
Ricercatori prevedono che nel 2029 ci sarà un terzo di preti in meno rispetto al 2009. Voci progressiste in seno alla Chiesa chiedono una discussione aperta e onesta sul suo futuro. A Basilea, dei cattolici hanno persino sollecitato l'abolizione dell'obbligo del celibato e chiesto che le donne siano ammesse al sacerdozio.
Sulla base delle tendenze attuali, gli autori di un libro pubblicato alla fine del 2011 dall'Istituto svizzero di sociologia pastorale (SPI) di San Gallo tracciano le prospettive del sacerdozio nella Confederazione. Gli autori dello studio prevedono un invecchiamento e una diminuzione dei preti diocesani, parallelamente una certa espansione del ruolo di ausiliari non ordinati.
"Abbiamo fatto un pronostico per i prossimi 20 anni. Non ci sono grandi sorprese: il numero dei sacerdoti diminuisce quasi ovunque", dice a swissinfo.ch il coautore Arnd Bünker. Il direttore dell'SPI spiega il calo previsto con il fatto che ormai il numero dei preti che muoiono supera quello dei nuovi ordinati.
"Questo è un vecchio problema legato alle vocazioni. Il celibato è un motivo, ma non è decisivo", afferma Bünker. "È un problema del posto della Chiesa nella vita della nostra società e cultura. Il ruolo della religione istituzionalizzata è cambiato molto. Le vecchie strutture della vocazione non esistono più".
Vocazioni
Mentre nel 1991 in Svizzera c'erano 177 studenti in formazione per il sacerdozio, 20 anni dopo se ne contavano solo 88. Nelle previsioni, i ricercatori ritengono che nella migliore delle ipotesi il numero delle vocazioni rimarrebbe stabile. Restano aperte incognite, quali per esempio possibili modifiche dei requisiti di ammissione o gli effetti a lungo termine delle rivelazioni su abusi sessuali nella Chiesa.
Al seminario di Villars, il rettore Nicolas Glasson ha la speranza che il calo di ordinazioni si fermi o che addirittura ci sia un'inversione, come sembra essere il caso in Francia.
"In Francia negli ultimi 30-40 anni sono passati attraverso quello che qui stiamo vivendo ora. Negli ultimi due anni lì il numero dei preti è rimasto stabile e ora è cresciuto di circa il dieci per cento", indica Glasson a swissinfo.ch.
Nei mesi di aprile-maggio 2010, la Chiesa in Francia ha lanciato una campagna di pubbliche relazioni volta ad attirare più giovani nel sacerdozio. Sono state distribuite decine di migliaia di cartoline in bar, cinema, campus universitari, ed è stato aperto un forum su facebook. La Chiesa ha definito un successo questa operazione.
Soluzioni attuali
Secondo Bünker, occorrono provvedimenti diversi nelle sei diocesi della Svizzera, ognuna delle quali segue una propria strategia.
In termini numerici, in quella di San Gallo si riscontra la maggior penuria di preti. "D'altra parte, però, il numero di operatori pastorali laici professionisti rimane più o meno invariato. La loro età media è anche la più bassa di tutte le diocesi della Svizzera. Si potrebbe dunque dire che San Gallo sta affrontando molto bene la situazione".
Altre diocesi, tra cui Lugano, hanno reclutato preti in altri paesi. Ma Bünker ritiene che questa non sia una soluzione a lungo termine. "Dobbiamo riflettere se una chiesa è in grado di perpetuarsi. Le nostre chiese locali non sono sostenibili".
Per Bünker, l'importazione di parroci in Svizzera presenta un problema fondamentale: ci sono differenze culturali e linguistiche. "Ci sono problemi di razzismo e di accettazione. È una difficoltà per i sacerdoti provenienti dall'estero ed è anche una sfida per le comunità e le parrocchie che devono trovare un modo di vivere insieme", rileva il ricercatore.
D'altra parte, però, "l'importazione" di preti arricchisce la diversità della Chiesa locale e porta diversi punti di vista, aggiunge.
Venti di cambiamento
La diocesi di Basilea, che comprende anche Berna, è quella che ha subito il più grande calo di parroci negli ultimi 20 anni. Per affrontare il problema cinque anni fa è stato istituito un piano di sviluppo pastorale. Le parrocchie sono raggruppate in aree pastorali, con un sacerdote in carica, ma spesso i servizi di culto sono effettuati da laici.
Secondo la teologa Monika Hungerbühler, operatrice pastorale nella chiesa di Basilea, programmi simili sono attuati in Germania, e l'idea si sta diffondendo in Svizzera. "L'idea è di riunire parrocchie anche oltre i confini cantonali. E decidere dove dovrebbero esserci servizi religiosi e dove dovremmo fare un lavoro sociale", spiega a swissinfo.ch.
Nicolas Glasson ritiene che stia per giungere l'ora in cui le funzioni religiose non si terranno più in ogni villaggio, ma in centri pastorali al servizio di comunità più ampie.
"Vogliamo battezzare tutti, offrire funerali e matrimoni in chiesa, ma presto non saremo più in grado di fare tutto ciò. Potremmo adattare l'organizzazione al numero dei preti che abbiamo invece che ai confini geografici", afferma il rettore del seminario di Villars. "Abbiamo la sensazione di andare all'indietro, mentre come sacerdote non molto vecchio io voglio andare avanti", dice ridendo.
Anche Monika Hungerbühler – che fa parte dei promotori di un'iniziativa per aprire il sacerdozio alle donne e porre fine alla regola del celibato dei preti, presentata al sinodo di Basilea in gennaio – vuole una Chiesa al passo con i tempi. La teologa crede che 50 anni dopo il Concilio Vaticano II che ha messo in moto riforme, sia giunta l'ora di un terzo concilio.
"Per me è importante che sempre più parrocchie e diocesi vadano a Roma e dicano che abbiamo bisogno di un nuovo concilio. Dobbiamo pensare a soluzioni diverse. Ad esempio, un assetto sinodale che consenta leadership differenti o strutture pastorali diversi nei vari continenti".
"Spero veramente che tra 30 anni qui ci siano preti sposati e che le donne possano diventare diacone e preti. Mi auguro che avremo un vescovo coraggioso che dica che ci sono donne adatte al sacerdozio, alla stessa stregua di uomini".
"Attualmente la legge ecclesiastica non lo consente, aggiunge la teologa. Ma se ci fosse un Concilio Vaticano III e arrivasse una boccata d'aria fresca forse si potrebbe trovare una via d'uscita".
iniziativa di basilea
L'iniziativa per la parità nella Chiesa, munita di oltre duemila firme, è stata consegnata nel gennaio 2012 alle autorità delle chiese cattoliche dei cantoni di Basilea Città e Campagna.
Il testo chiede che le donne e gli uomini sposati possano diventare preti. Il sinodo dovrà rispondere entro due anni. Più precisamente, i firmatari dicono di attendersi che "nella Chiesa sia realizzata l'uguaglianza dei diritti in vista del sacerdozio, indipendentemente dallo stato civile e dal sesso".
Co-promotrice dell'iniziativa, Monika Hungerbühler ha indetto per la fine dell'anno una tavola rotonda per una discussione tra fautori ed oppositori.
Secondo la teologa, molte donne si sentirebbero già pronte al sacerdozio, ma la legge ecclesiastica non lo consente. Nella Chiesa cattolica le donne non possono dispensare i sette sacramenti: battesimo, eucaristia (comunione), cresima (confermazione), confessione (riconciliazione), matrimonio, ordine, ed unzione degli infermi.
(Traduzione dall'inglese: Sonia Fenazzi), swissinfo.ch
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Re: Naltri no semo piegore e valtri no si pastori

Messaggioda Berto » lun gen 11, 2016 8:52 pm

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Re: Naltri no semo piegore e valtri no si pastori

Messaggioda Berto » lun gen 11, 2016 9:23 pm

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Messaggioda Berto » lun gen 11, 2016 9:23 pm

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Re: Naltri no semo piegore e valtri no si pastori

Messaggioda Berto » lun gen 11, 2016 9:24 pm

On prete irresponsabile che fa danni.

Migranti, l'appello di Bagnasco: "Non fermate i popoli in marcia"
Il presidente della Cei contro i Paesi che stanno ripristinando i controlli alle frontiere: "Offriamo un domani migliore"
Sergio Rame - Mer, 06/01/2016

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 10561.html

"Non c'è muro che possa fermare questa marcia dei popoli dal sud verso il nord del mondo o della moltitudine di poveri, di coloro che vivono drammi di guerra e di violenza, di persecuzione per la fede, verso paesi che si spera possano offrire un domani migliore e una libertà più vera".

Mentre a Bruxelles si discute sull'opportunità di mantenere o abolire l'area Schengen, il cardinale Angelo Bagnasco torna a difendere la libera circolazione.

"Non possiamo pensare di fermare la marcia dei popoli soprattutto dal sud verso il nord del mondo", ha sottolineato il presidente della Cei criticando duramente la decisione di alcuni Paesi europei di ripristinare i controlli alle frontiere. E così, a margine della messa dell'Epifania, ha nuovamente ammonito contro la tendenza del mondo occidentale di essere troppo presso dall'individualismo. "Noi occidentali - ha continuato Bagnasco - siamo ipersensibili alla nostra libertà, alla nostra autonomia ed alla nostra indipendenza così catturati dal nostro io individuale che abbiamo il timore di ogni ingerenza altrui, di qualunque ingerenza, di ogni intromissione di ogni parola che ci indichi la via da percorrere". "Ogni parola indicativa, non certo impositiva crea d'istinto nell'uomo moderno occidentale una chiusura, un rifiuto, una allergia - ha concluso il presidente della Cei - questo è un meccanismo diffuso anche tra noi credenti".



Mi a digo:


Questo è un prete che si sente casta aristocratica, casta eletta da Dio (? quale poi ?) e che si sente pastore di un gregge di pecore che è l'umanità intera e noi popolo-gregge dobbiamo affidare la nostra vita a questi decisori illuminati (ma lo sono veramente?) presuntuosi, arroganti, irresponabili, antidemocratici e idolatri.

Bagnasco mi ricorda Padre Gemelli, il francescano consigliere spirituale del generale Cadorna l'assassino della I guerra mondiale:

L'orendo françescan Jemełi prete del catołego criminal Cadorna
viewtopic.php?f=139&t=1617

Gemelli era capitano medico assegnato al Comando Supremo. In quel ruolo fu uno dei più ascoltati consulenti di Cadorna.

Come psicologo si propose di trovare i modi per abbassare ogni forma di resistenza tra i soldati rispetto alla morte che li attendeva negli inutili assalti. Alla stessa morte Gemelli attribuiva una valenza religiosa in grado di convincere i fanti che si trattava della condivisione con la missione salvifica del Cristo.

Gli articoli di Gemelli di quegli anni e il suo libro Il nostro soldato sono un’abominevole raccolta di pensieri raccapriccianti dove la fede viene posta a servizio di una causa di morte.
Gemelli scriveva che la conversione del soldato si realizzava sul letto dell’ospedale prima di morire, ma era cominciata al fronte e ad essa aveva dato un contributo decisivo una singolare forza di catechesi, la catechesi del cannone.
Pertanto la guerra era compresa come provvidenziale occasione di rinascita cristiana.

Gemelli fu molto abile a preparare un intruglio di edificazione-rassegnazione di fronte alla catastrofe della guerra offrendo ad essa una mistica consolatrice come quando scrive: «Per noi che rimaniamo, per le spose, per le madri, per i figli, per le sorelle, per gli amici, per i compagni d’armi, per quanti siamo in lutto in queste giornate di prova la morte dei nostri giovani è ragione di conforto.

Essi hanno accettato di morire, perché hanno sentito la bellezza cristiana del sacrificio per la patria.
Essi hanno fatto di più: hanno fatto risuonare nella morte questa dolce voce della speranza cristiana che consola, che rende forte, che sprona al sacrificio, che ci fa degni insomma dell’ora della prova che oggi viviamo»

Nel 1938, appoggia le leggi razziali (viene considerato da diversi studiosi uno degli esponenti di spicco dell'"antiebraismo spiritualista" che caratterizzò il razzismo fascista, distinguendolo dall'antiebraismo biologico nazista).[6] Secondo F. Cuomo, Gemelli sarebbe tra i 360 aderenti al manifesto degli scienziati razzisti del 25 luglio,[7] (precedentemente pubblicato sul Giornale d'Italia il 15 luglio), e comunicato dalla segreteria politica del Partito Nazionale Fascista dopo un incontro al vertice con i redattori della tesi.[8] Tuttavia questa adesione da alcuni viene messa in dubbio[9]. La figura di Agostino Gemelli è periodicamente al centro di accuse di antisemitismo per il contenuto di alcuni suoi scritti contro l'ebraismo pubblicati durante il periodo fascista. Il più noto e contestato è il necrologio di Felice Momigliano, pubblicato in Vita e Pensiero, rivista dell'Università Cattolica, nell'agosto 1924. Pubblicato anonimo, Agostino Gemelli, allora Rettore dell'Università Cattolica e Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, ne rivendicò la paternità nel numero del dicembre 1924 della stessa rivista.

Nell'articolo era scritto:

« Un ebreo, professore di scuole medie, gran filosofo, grande socialista, Felice Momigliano, è morto suicida. I giornalisti senza spina dorsale hanno scritto necrologi piagnucolosi. Qualcuno ha accennato che era il Rettore dell'Università Mazziniana. Qualche altro ha ricordato che era un positivista in ritardo. Ma se insieme con il Positivismo, il Socialismo, il Libero Pensiero, e con il Momigliano morissero tutti i Giudei che continuano l'opera dei Giudei che hanno crocifisso Nostro Signore, non è vero che al mondo si starebbe meglio? Sarebbe una liberazione, ancora più completa se, prima di morire, pentiti, chiedessero l'acqua del Battesimo. »
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Re: Naltri no semo piegore e valtri no si pastori

Messaggioda Berto » lun gen 11, 2016 9:24 pm

Carlo Nordio propone un referendum sull'immigrazione e l'accoglienza indiscriminata
Nordio: "Rischio perdita identità, serve referendum su accoglienza"
Il procuratore aggiunto commenta i fatti di Colonia e torna sul tema immigrazione: "C'è il pericolo che l'Europa diventi un'appendice afroasiatica"
venerdì mattina, 10:59
http://www.veneziatoday.it/cronaca/carl ... zione.html


Carlo Nordio, procuratore aggiunto di Venezia, torna sui temi dell'immigrazione e dell'accoglienza, con parole critiche nei confronti dei governi - quelli nazionali e quello europeo - accusati di non essere in grado di gestire la situazione. Nelle settimane scorse il magistrato aveva già fatto parlare di sé, proponendo di proibire burqa e niqab per garantire la riconoscibilità dei cittadini di fede islamica e di conseguenza la sicurezza per tutti.

Ora, in relazione ai fatti di Colonia (circa mille uomini "dall’aspetto originari di regioni arabe o nordafricane", secondo le testimonianze, avrebbero circondato, molestato e derubato diverse donne la notte di Capodanno), sollecita a sottoporre al vaglio della volontà popolare il rischio che l'Europa, con un'accoglienza indiscriminata, "diventi diversa da quella che è". Nordio lo dichiara al Gazzettino, sottolineando che servirebbe un referendum sui nuovi ingressi in cui "spiegare bene ai cittadini gli effetti culturali, economici, religiosi di una trasformazione" che può cambiare l'identità nazionale, facendo di questa parte del mondo "un'appendice afroasiatica".

La proposta del procuratore prevede poi l'indicazione da parte del Governo di un limite quantitativo oltre il quale l'identità nazionale sarebbe snaturata. "Quanti ne possiamo prendere? - si chiede - Centomila, un milione? O di più?. È la domanda drammatica alla quale, prima o poi, si dovrà rispondere. Ma per ora non ci si pensa". "La chiusura delle frontiere di Paesi tradizionalmente tolleranti e civili, come Danimarca e Svezia - continua - non è altro che il frutto dell'inavvedutezza critica dei governi, e della stessa Unione. Se la Svezia dice di non avere più posto per gli immigrati ciò dipende dal fatto che, al momento di discutere sull'accoglienza e la cosiddetta distribuzione delle quote, nessuno si domandò 'che facciamo se oltre agli immigrati che abbiamo ne arrivano dieci o cento volte tanti?'".
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Re: Naltri no semo piegore e valtri no si pastori

Messaggioda Berto » lun gen 11, 2016 10:43 pm

Minacce al sindaco che difende gli italiani: "Razzista, ti colpiremo"
Il sindaco di San Pietro Mussolino (Vicenza) ha ricevuto nei giorni scorsi una lettera di minacce dopo aver realizzato controlli per la sicurezza in un'area piena di immigrati
Claudio Cartaldo - Lun, 11/01/2016

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... ok+Interna

"Lei pensa solo al popolo italiano.

E per questo ha un atteggiamento razzista. Se non cambierà comportamento nei confronti degli altri popoli, ci saranno gravi conseguenze per la sua persona". È questo il testo della lettera ricevuta da Gabriele Tasso, il sindaco di San Pietro Mussolino (Vicenza). La sua colpa? Aver difeso gli italiani, inviando pattuglie di controllo in zone degradate dalla presenza di numerosi immigrati.

Il 26 dicembre, racconto il Giornale di Vicenza, alcuni cittadini del comune di 1630 abitanti (di cui 270 stranieri) hanno notato una pacco indirizzato al primo cittadino. Inospettiti dalla corrispondenza inviata in un giorno di festa, a Municipio chiuso, hanno chiamato i carabinieri.

"I carabinieri - ha raccontato il sindaco Tasso - aperto il pacco con le dovute cautele, hanno trovato una lettera scritta a mano in stampatello minuscolo, senza né data né firma. È un foglio bianco, un A4. Conteneva alcune minacce nei miei confronti. Era scritta in italiano, tra l’altro con qualche imperfezione. E si rivolgeva direttamente al sindaco Tasso. Faceva riferimento al mio comportamento, al fatto che mi preoccupo soltanto del popolo italiano e questo atteggiamento farebbe di me un primo cittadino razzista. Mi intimava di non comportarmi più in questo modo nei confronti di tutti quei popoli che non sono il ‘mio’, altrimenti ci saranno gravi e inevitabili conseguenze per la mia persona".

Minacce dirette, e solo perché il sindaco nei giorni precedenti aveva inviato dei controlli di polizia in aree del Comune ad alto tasso di immigrazione. "Non ho idea di chi abbia compiuto questo atto e scritto certe parole minacciose – ha continuato il sindaco, intervistato dal Giornale di Vicenza – in questi giorni sono in continuo contatto con i carabinieri e ho informato dell’accaduto il Prefetto di Vicenza. In famiglia all’inizio un po’ di preoccupazione c’è stata, ma io sono tranquillo. E non ho certo cambiato le mie abitudini per quello che è accaduto. Chi decide di fare il sindaco, fa una scelta responsabile e sa di poter andare incontro anche ad episodi spiacevoli come questo". Poi ha spiegato il motivo per cui si era attivato per controllare la presenza degli immigrati nel suo Comune. "In seguito ad alcune segnalazioni dei cittadini - racconta - da tempo ci sono un paio di strade del paese, zone ad alta concentrazione di immigrati, che sono state sottoposte a controlli serrati e che vengono costantemente monitorate dalla polizia locale – spiega ancora Tasso – per questioni di decoro urbano ma anche per irregolarità anagrafiche e di residenza degli stranieri. Una situazione di abbandono che esisteva da tempo. Forse i controlli hanno dato fastidio a qualcuno. L’ultimo monitoraggio importante è stato un mese fa. E questo mi fa pensare. Tra l’altro le sanzioni sono state poche rispetto a quelle che si sarebbero potute fare, perché abbiamo cercato comunque di trovare soluzioni ragionevoli alle problematiche emerse durante i controlli".

Sull'eventualità che la minaccia diventi concreta, Gabriele Tasso, commenta anche la possibilità di difendersi da solo. "Una pistola? Sì, ce l’ho a casa con regolare porto d’armi - racconta - ma non certo per autodifesa. Sono appassionato di tiro e vado spesso al poligono, è una passione che ho da sempre".
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Re: Naltri no semo piegore e valtri no si pastori

Messaggioda Berto » mar gen 12, 2016 9:06 am

Democrazia e sicurezza: imparare da Israele?
Cosa l’Europa potrebbe, o dovrebbe, imparare da Tel Aviv alla luce delle ultime elezioni
Israele opinioni

http://www.lindro.it/imparare-da-israele

Alle ultime elezioni israeliane, tenutesi lo scorso 17 marzo, il partito di maggioranza, Likud, si confermava il partito più votato nel Paese con oltre il 23% delle preferenze. Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu si conferma così l’uomo forte dello Stato ebraico, ricompattando attorno alla sua figura tutta una serie di personalità, e di posizioni, non sempre in accordo fra loro. Quello che unisce la sua coalizione di Governo, tuttavia, e che ha portato gli elettori israeliani a riconfermare la propria fiducia al leader di Likud, è una determinata visione della democrazia dello Stato. E a maggior ragione oggi, in tempi di crisi globale, e di una crisi che non è solo economica e finanziaria, ma anche identitaria ed esistenziale, il Primo Ministro è più che mai disposto a farsi promotore di questa visione.
Si sa che Israele, oltre a dover affrontare le normali condizioni avverse che tutti in questo momento devono affrontare, si deve anche misurare con l’eterno conflitto israelo–palestinese, che affonda le sue origini nei tempi della Prima guerra mondiale. Un territorio, due popoli, due religioni, e due visioni radicalmente diverse della vita e della società. E se da noi, nella nostra Europa e nella nostra Italia, ricchi pensatori possono permettersi il lusso di rimanere a lungo scollegati dal mondo reale, teorizzando utopiche forme di convivenza e di Governo fra uguali, in Israele non c’è molto spazio per l’errore, né per l’utopia. In Israele, se si sbalia non si fanno semplicemente cadere i Governi: si fanno scoppiare le guerre. In un certo qual modo, quindi, si può dire che Tel Aviv faccia di necessità virtù, non potendosi permettere troppi giochi di palazzo, o troppi teorizzatori del migliore dei mondi possibili.
E se Likud è riuscito di nuovo a conquistare il podio nella scena politica israeliana, e se il popolo ha confermato di volere Netanyahu alla guida del Governo del Paese, un motivo evidentemente ci deve essere. Likud è un partito nazionalista di centrodestra, e si fa fautore del nazionalismo in un contesto culturale in cui il nazionalismo è qualcosa che inerisce molto da vicino alle origini dello Stato di Israele.
Non si tratta semplicemente di una bandiera, non si tratta solo di un vessillo politico, ma si tratta soprattutto di una visione, di una filosofia, improntata, in ultima analisi, alla difesa della sicurezza e della stessa sopravvivenza dello Stato. La democrazia israeliana, con Likud al potere, non presuppone alcuna antitesi tra libertà e sicurezza. Si può essere liberi e democratici, e non per questo bisogna rinunciare ad essere sicuri.

Nella nostra Europa, al contrario, si va sempre più diffonendo la convinzione secondo la quale se si vuole essere pienamente democratici, se si vuole essere cultori della libertà, è necessario rinunciare alla sicurezza e alla difesa dei propri confini. Una questione eterna, ma mai attuale come al giorno d’oggi. Potrebbero sembrare considerazioni meramente filosofiche, ma le implicazioni pratiche sono chiare. Nella nostra Europa, oggi, questa concezione di democrazia porta ad una sorta di esasperato culto della debolezza, ad un cupio dissolvi le cui conseguenze, mano a mano, si fanno sempre più evidenti. Per una politica di difesa forte, per una tutela effettiva di concetti come l’identità culturale e la consapevolezza storica, concetti che in Israele sono imprescindibili dalla vita politica, da noi si prova quasi una sorta di vergogna, di repulsione. Quasi che, per difendere noi stessi, si corra il rischio di non essere abbastanza democratici.
Eppure Israele, specialmente ora, sa bene che la difesa dei confini e dell’identità culturale e religiosa è qualcosa di necessario alla sopravvivenza, e Israele è uno Stato che, per le condizioni in cui versa la sua area geografica, non può permettersi il lusso di non essere forte. Al contempo, Israele è uno Stato che si definisce pienamente democratico, che elegge le sue guide politiche, e che coinvolge la cittadinanza nel processo decisionale della Cosa pubblica; uno Stato in cui vige il princiopio del primato del Diritto e dell’uguaglianza davanti alla Legge; e uno Stato in cui, in virtù del principio democratico, la minoranza araba e islamica gode di una rappresentanza nella Knesset, il Parlamento, in cui l’Arabo è una delle lingue ufficiali dello Stato, e dove la libertà di culto è tutelata. Eppure molti, nella nostra Europa, mettono in dubbio che Israele sia una democrazia, perchè è uno Stato forte, e non ha paura di mostrarlo. Ma siamo proprio tanto sicuri, noi, che per essere democratici sia necessario essere anche deboli?
Forse è necessario ripensare radicalmente il nostro concetto di democrazia, e le ultime elezioni israeliane, con la vittoria di Likud, potrebbero fornire un interessante spunto di riflessione. Eli Hazan, un esponente di Likud, ha le idee molto chiare sulla situazione attuale del suo Paese, e su cosa l’Europa potrebbe imparare dal modello israeliano. “Io credo“, comincia Eli, “che noi siamo stati in grado vincere queste elezioni perché in definitiva la cosa più importante per molte persone in queste zone è la sicurezza, e le azioni di Netanyahu volte a preservare la sicurezza qui sono state molto più significative che quelle dell’opposizione“.
La sicurezza, quindi, lungi dall’essere qualcosa di cui addirittura non si riesce a parlare senza un fremito di vergnogna, per la paura di passare per anti-democratici, in Israele viene posta, per necessità, come metro di paragone per giudicare la bontà dell’azione di una classe dirigente. Ed è per la politica di sicurezza, secondo Eli, che Netanyahu ha ottenuto di nuovo la fiducia delle urne. E nonostante questo, molto ancora rimane da fare: “Qui in Israele”, prosegue, “ci sono due problematiche principali: la prima sono i prezzi delle case, e la seconda è il costo della vita. Attualmente dobbiamo confrontarci con queste problematiche per alcune cause, come unioni molto forti, una forte burocrazia, e il processo di legalizzazione che blocca alla radice ogni tentativo effettuato per poter cambiare le cose. Io spero che il nuovo Governo combatterà contro questo fenomeno“.
Venendo ora più strettamente alla concezione di democrazia, l’esponente di Likud sa bene quali siano i problemi della democrazia occidentale ed europea, e come al contrario il modello israeliano possa garantire il ritorno ad una concezione più genuina di democrazia, scevra dai preconcetti ideologici e dalle derive a loro modo estreme che non sembrano, qui, mostrare luce in fondo al tunnel. I difetti sono molto chiari. “Troppa libertà“, ci spiega, “e la mancanza di un vero deterrente, così come la mancanza di ogni genuina consapevolezza circa il fatto che la democrazia occidentale si è trasformata dal valore di proteggere la vita dei suoi abitanti in qualcosa di così dannoso per loro stessi. La democrazia è la cosa più importante in questo mondo, ma la democrazia così come concepita da Wiston Churchill è il tipo di democrazia che la può salvare. Io spero per il meglio per i giorni a venire, e spero che in futuro i leader dell’Occidente adotteranno un modello di democrazia ispirato a quella di Churchill. E con questa terminologia intendo una democrazia che non protegga i terroristi, ma che protegga i suoi cittadini. Questo tipo di democrazia è una democrazia che lavora per il cittadino comune, e non contro di lui. È, da ultimo, una democrazia che promuove valori democratici, e non il loro contrario”.
Non ci può essere democrazia senza sicurezza, quindi, e secondo questa visione le mancanze dell’Occidente sono chiare. La democrazia, da questo punto di vista, non deve trasformarsi né in un narcisistico sfoggio di libertà senza una pratica tutela dei diritti dei propri cittadini, a difesa dei propri confini e della propria identità, né in un sistema che finisca con il mettere a repentaglio la sicurezza della popolazione e dello Stato. Una democrazia che si perde in queste derive, in ultima analisi, finisce con l’essere la meno democratica delle forme di Governo. E forse è proprio una cultura della sicurezza che, oggi, si potrebbe imparare da Israele.
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