San Marco l’evanxełista ebreo el Santo Paròn dei veneti

Re: San Marco l’evanxełista ebreo el Santo Paròn dei veneti

Messaggioda Berto » mar apr 29, 2014 8:14 am

La festa dei Veneti, un Popolo che si riprenderà la libertà

http://www.lindipendenza.com/la-festa-d ... la-liberta

di DON FLORIANO PELLEGRINI

Da un lato un 2.500 o più persone, per lo più uomini e donne nel pieno della maturità fisica e umana, e famigliole con bambini, in un respiro profondo e condiviso di primavera e di vita. Si percepisce la consapevolezza d’una causa giusta, sembra persino una fraternità e la piazza di San Marco diventa accogliente, una casa. Fra tutti si propaga una scarica elettrica che rincuora e suggerisce che si può farcela, che si deve farcela; basterà non cedere.
E, se braccio di ferro deve essere, sia!

Dall’altro, senza badar troppo agli agenti in borghese e sparpagliati, per non farsi riconoscere dal popolo sovrano in nome del quale essi e i loro superiori dicono di agire, dei poliziotti insicuri e quasi annoiati se ne stanno aggrappati alle inferriate sotto i maestosi pennoni della piazza; sembrano ombre nere, vestite alla militaresca ma sulla difensiva, ai margini d’un mare di colori rossi e gialli attraversati dai raggi del sole. Di qua ombre nere che s’aggrappano a pochi centimetri dal suolo, di là colori di libertà che garriscono in piena luce e rendono ancor più bella una giornata splendida di suo.

Se è vero che la vita sta lì dove la luce s’intreccia ai suoi colori, lo Stato, i suoi apparati, i suoi luogotenenti, i suoi partiti, le sue caste, i suoi patrioti dalla testa piena di ideologia arrugginita, i suoi docenti universitari sempre pronti a ripetere gli slogan pur di arrivare alla pensione, i suoi mass media accomodanti, persino alcuni suoi prelati parrucconi, danno l’impressione penosa d’un malato grave e contagioso, dal quale sia necessario distaccarsi, per vivere. E quello Stato, che si vede abbandonato dal popolo, lo insegue con le tasse, lo mortifica con i poliziotti, cerca di intimidirlo con i blitz notturni, la minaccia di sanzioni, interrogatori, verbali, catene, prigioni, manganelli. E convoca riunioni di prefettura per studiare non come venire incontro al popolo, ma come sopravvivere a sé stesso.

Alla faccia della democrazia! Era questo che volevano quanti lottavano contro l’autoritarismo di Stato, contro il fascismo?
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: San Marco l’evanxełista ebreo el Santo Paròn dei veneti

Messaggioda Berto » mer apr 30, 2014 8:17 am

La nostra voglia di autodeterminazione è insopprimibile, prima o poi ci arriveremo

http://www.lindipendenza.com/la-nostra- ... arriveremo

di DON FLORIANO PELLEGRINI

Questo è il testo di una lettera inviata al Prefetto di Belluno perché venga inoltra al ministro dell’Interno Angelino Alfano.

Ho sentito poco fa su un canale televisivo il ministro avv. Alfano parlare del Veneto, dopo una riunione con Lei e gli altri prefetti della regione.

Vorremmo poterlo ringraziare di questa visita. In realtà, come Le dicevo un mese fa, dopo il risultato del referendum online, il Popolo Veneto, ed io in esso e con esso, non vediamo l’ora che sorga il giorno dell’indipendenza dall’Italia.

E’ inutile fingere sentimenti o progetti diversi.

Noi non siamo dei secessionisti, come in modo impreciso e in forma negativa è stato detto; non ci interessa uscire da una sovranità, quella italiana, secedere o recedere da essa. Intendiamo avvalerci d’un diritto nativo, inalienabile, quello di poter decidere di noi stessi come Popolo. E’ perciò già perfin troppo dire, in positivo, che siamo degli indipendentisti; siamo semplicemente degli esseri umani che non vogliamo veder conculcato l’accennato loro diritto nativo e comunitario all’autodeterminazione sovrana. Tanto più che, piaccia o meno, la stessa storia è dalla nostra parte. E’ inutile sperare e tentare che cambiamo idea; sarà questione di tempo, ma prima o poi arriveremo a questo traguardo.

E’ perciò necessario che la Repubblica si assuma le sue responsabilità di fronte a questa richiesta esplicita di esercizio di un diritto comunitario e sovrano, previo ad ogni Costituzione.

La prego di far conoscere questa dichiarazione al sig. Ministro, se ritiene, a scanso di sue illusioni. Da parte mia, ne darò notizia tramite i mass media, al di là del fatto che poi la pubblichino o meno.

Comento===============================================================================================================================

La me par na bona boletina. Ognoun de naltri el podaria farla sua, firmarla par condivixion e mandarghela al prefeto tałian de ła so çità.
Na dikiarasion, aotodenounsia ke ła te fa ciapar responsabeletàe ke ła mostra cosiensa e determinasion e ke dita al mondo sensa temansia ła faria tremar ente łi so plinti tuto el Stado Talian, kel scorlaria de teror.
Se metà de łi veneti ke łi garia vota SI al plebisito sondajo so l’endependensa łi ghe mandase sta bołetina ai prefeti tałego-romani saria na gran roba.
Omani ke se manefesta da omani sensa gnaona temansia e par el so bon dirito oman.

Mi a ło faso suito.


Lustro Prefeto tałego roman de Viçensa

Sior Eugenio Soldà


ghe faso prexente ke a faso mia en tuto e par tuto sta bołetina de Don Floriano Pellegrini e pregaria lù de fargheło prexente al so ministro Sior Alfano:



Questo è il testo della lettera inviata da Don Floriano Pellegrini al Prefetto di Belluno perché venga inoltra al ministro dell’Interno Angelino Alfano.

Ho sentito poco fa su un canale televisivo il ministro avv. Alfano parlare del Veneto, dopo una riunione con Lei e gli altri prefetti della regione.

Vorremmo poterlo ringraziare di questa visita. In realtà, come Le dicevo un mese fa, dopo il risultato del referendum online, il Popolo Veneto, ed io in esso e con esso, non vediamo l’ora che sorga il giorno dell’indipendenza dall’Italia.

E’ inutile fingere sentimenti o progetti diversi.

Noi non siamo dei secessionisti, come in modo impreciso e in forma negativa è stato detto; non ci interessa uscire da una sovranità, quella italiana, secedere o recedere da essa. Intendiamo avvalerci d’un diritto nativo, inalienabile, quello di poter decidere di noi stessi come Popolo. E’ perciò già perfin troppo dire, in positivo, che siamo degli indipendentisti; siamo semplicemente degli esseri umani che non vogliamo veder conculcato l’accennato loro diritto nativo e comunitario all’autodeterminazione sovrana. Tanto più che, piaccia o meno, la stessa storia è dalla nostra parte. E’ inutile sperare e tentare che cambiamo idea; sarà questione di tempo, ma prima o poi arriveremo a questo traguardo.

E’ perciò necessario che la Repubblica si assuma le sue responsabilità di fronte a questa richiesta esplicita di esercizio di un diritto comunitario e sovrano, previo ad ogni Costituzione.

La prego di far conoscere questa dichiarazione al sig. Ministro, se ritiene, a scanso di sue illusioni. Da parte mia, ne darò notizia tramite i mass media, al di là del fatto che poi la pubblichino o meno.

Don Floriano Pellegrini

Alberto Pento de nasionałetà veneta.
Via Maglio 8 Montecchio Precalcino 36030 Vicenza

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Re: San Marco l’evanxełista ebreo el Santo Paròn dei veneti

Messaggioda Berto » mer apr 30, 2014 1:19 pm

Cronaca di una festa spiata

http://www.raixevenete.com/cronaca-di-una-festa-spiata

Primi insidias icere- (“Per primi scopriamo le insidie” motto della DIGOS, la polizia politica italiana)

25 aprile2014Quando ad un popolo appartengono uomini e donne disposti a provare l’umiliazione del carcere pur di difendere le proprie idee quel popolo ha già vinto. Venerdì 25 aprile 2014 in piazza San Marco erano presenti anche questi uomini e queste donne ed intorno a loro vi era un popolo che nonostante le intimidazioni da parte di chi si professa servitore dello stato ma che di fatto sta servendo lo “status quo” di chi ci ha già rubato il futuro e non contento vuole mortificare la nostra dignità. Queste intimidazioni sono cominciate prima dei festeggiamenti alimentando lo spauracchio con la dichiarazione della presenza di oltre 100 agenti in tenuta antisommossa, e sono continuate dopo la festa fornendo fantomatiche dichiarazioni di valutazione di reato per aver portato la bandiera di San Marco in Piazza San Marco nei confronti di qualche migliaio di Veneti che con i loro figli hanno rivendicato pubblicamente la propria identità, senza bisogno di mettersi caschi neri bardature protezioni o scudi di plexiglass come fanno di solito dei civilissimi italiani quando manifestano nella loro capitale….non una carta di caramella era rimasta per terra dopo il passaggio di questi “barbari veneti”! I pochi poliziotti in tenuta antisommossa presenti nella piazza erano visibilmente annoiati alla fine della giornata (neppure un rimprovero da poter fare, neppure una piccola sgridata contro questi veneti indemoniati che gridano continuamente il nome di un santo…solo un po’ di imbarazzo visto che la metà degli agenti era veneta come chi portava le bandiere). In compenso vi era una miriade di quelle telecamerine grandi come una scatola di fiammiferi in dotazione a chi come riportato nel titolo “per primo scopre le insidie” le quali registravano audio e video dei discorsi delle mamme sovversive e dei loro figlioletti (“non si sa mai, se questi crescono così siamo fottuti meglio schedarli da piccoli” si saranno detti i “cameraman” dello stato), forte era la presenza anche di pattuglie di giovanotti in borghese di cui era evidente l’appartenenza già dalla postura, dall’abbronzatura e dal modo di portare i capelli “troppo perfettino” per essere quello di veneti abituati purtroppo a non avere molto tempo per queste cose. Non di meno qualche servitore dello stato si era addirittura procurato un gonfalone di San Marco per poter meglio origliare discorsi “rivoluzionari” (tipo “Par Tera Par Mar San Marco”) e riferirli ai superiori. Comprendo che tutte queste persone stavano semplicemente facendo il proprio lavoro e la maggior parte delle volte rendono un servizio ai cittadini per cui lungi da me voler essere offensivo nei loro confronti, ma fino a quando sarò a piede libero ritengo di poter esprimere ancora liberamente il mio dissenso verso i loro mandanti; loro fanno il proprio dovere sottopagati da uno stato in fallimento, io faccio il mio dovere nei confronti dei miei figli e del loro futuro, gratuitamente a viso scoperto, pacificamente e mettendo nome e cognome. Ma se le autorità e le istituzioni pretendono il rispetto da parte dei cittadini attuando minacce, i cittadini possono pretendere pacificamente il rispetto delle proprie idee e della propria cultura che in questo caso vorrei ricordare come millenaria.
Potrebbe aiutare a spiegare il concetto il fatto che i festeggiamenti di San Marco si tenevano ben prima dell’istituzione della questura di Venezia e della Digos o delle magistrature italiane e sappiamo benissimo tutti che “non sempre ciò che è giusto è legale e non sempre ciò che è legale è giusto”; regolamenti e leggi sono spesso promulgati da persone che non hanno la sensibilità per comprendere la gente ed i territori che le andranno a subire. Si perché noi veneti in fatto di subire siamo maestri da 150 anni.
Da qualche anno però è scattato qualcosa in noi, forse grazie al fatto di riscoprire una cultura ed una storia che ci sono state tenute nascoste, o grazie alla possibilità di poterci informare presso fonti alternative e libere, diverse da quotidiani prezzolati e lautamente finanziati dallo stato, (basti pensare al Gazzettino che ha etichettato per 2 settimane nei suoi titoloni come terroristi delle persone innocenti). La libera circolazione delle idee attraverso la rete sta cambiando gli assetti mondiali, così i veneti pur nella loro sonnolenza dovuta all’ubriacatura di un finto benessere ora terminato hanno cominciato a sviluppare un proprio “senso critico” che permette loro di discernere ciò che è giusto per loro da ciò che è giusto per lo stato italiano. Pur augurando loro una lunga vita, fra qualche anno i questori ed i prefetti del veneto saranno tutti deceduti per vecchiaia, così come lo sarò io… ma i nostri figli e nipoti (quelli che sono stati spiati venerdì con le loro mamme) saranno ancora in piazza San Marco ogni 25 Aprile di ogni anno a festeggiare probabilmente con i figli e nipoti degli agenti che ci riprendevano con le telecamerine; i figli e i nipoti dei questori e prefetti italiani saranno i benvenuti come milioni di altri turisti stranieri. Le differenze saranno però notevoli: avremo una Venezia Capitale completamente restaurata e splendente, ma soprattutto RISPETTATA, fuori da Palazzo Ducale sventolerà la bandiera Veneta insieme (forse) a quella europea e l’unico tricolore concesso sarà quello presente fuori dal consolato italiano. Le forze di polizia venete saranno presenti in piazza sorridenti nelle loro divise rosso “cremisi” ma saranno li solo per innalzare le bandiere venete su quelli che furono i pili dei tre regni di Candia, Cipro e Morea. La Repubblica Veneta non avrà bisogno di una polizia politica che “scopra le insidie” perché sarà finalmente una repubblica democratica dove saranno direttamente i cittadini a decidere sulle questioni fondamentali e non rappresentanti nominati da partiti.
25 april 2Mi si obbietterà che sto farneticando e delirando di panorami impossibili; rispondo solo che quando lessi per la prima volta “La Repubblica del Leone” di Alvise Zorzi a 18 anni (circa 26 anni fa) e sognavo di come potesse essere una moderna Repubblica Veneta, non mi sarei mai aspettato di trovarmi il 25 Aprile del 2014 insieme ad altre migliaia di veneti a rivendicare il mio diritto di esistere come veneto.
Penso dunque che nel caso partisse nei miei confronti una denuncia per aver portato la bandiera di San Marco in Piazza San Marco il giorno di San Marco non arretrerei di un passo nelle mie idee e penso così sarebbe anche per gli altri veneti presenti in piazza il 25. Ai solerti “scopritori di insidie” che ci stanno “vagliando” vorrei dire che l’unica insidia per la repubblica italiana sono coloro che li pagano per spiare dei pacifici cittadini “colpevoli” di amare e rivolere indietro la propria vera patria. Spererei altresì che i 100 poliziotti promessi dalla questura di Venezia per il 25 vengano utilizzati invece per ripulire una città violentata dalle centinaia di truffatori e venditori abusivi di merce contraffatta che scorrazzano impunemente fra ponti e calli, o le leggi italiane valgono solo per Veneti?
Piazza San Marco non appartiene ne al comune di Venezia ne allo stato italiano, appartiene ai VENETI ed è patrimonio dell’umanità!
Dunque a San Marco 2015.
M. Binotto
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Re: San Marco l’evanxełista ebreo el Santo Paròn dei veneti

Messaggioda Berto » gio mag 01, 2014 8:14 am

Il Patriarca Moraglia fra l’incudine dell’indipendenza e il martello dell’Italia

http://www.lindipendenza.com/il-patriar ... -allitalia

di MILLO BOZZOLAN

Pubblichiamo questa lettera aperta dello studioso veneto Millo Bozzolan al Patriarca di Venezia

A Sua Eminenza il Patriarca dei Veneti FRANCESCO MORAGLIA

Eminenza, ieri ho appreso che, in una dichiarazione pubblica, Ella disapprova la volontà, ormai maggioritaria, dei Veneti a tornare ad autogovernarsi, cosa che hanno fatto per tanti secoli e con ottimi risultati, memori anche dell’antica e particolare autonomia di cui essi godettero prima e fin dall’epoca romana (e en vanti de li ani romani no? Ghemo da far partir la nostra storia da li ani romani ?). Fu un periodo quello dello Stato veneto, rimasto alla storia; anche nel secolo del suo cosiddetto tramonto, la civiltà veneta brillò di una luce propria e la Chiesa veneta seppe tenere il popolo attaccato ai valori cristiani della famiglia, del lavoro, della carità. Caratteristiche che, anche grazie ai parroci di tante parrocchie, non abbiamo perso del tutto e di questo i Veneti vi sono grati. Essi col loro lavoro e il loro sudore, han «tirato la carretta» fin che han potuto, ma ora è l’Italia che ha rotto ogni patto con la nostra Nazione, sperperando e rubando a man bassa, pretendendo ormai il nostro sangue, e credo di non esagerare se dico che il suo dominio è del tutto simile a quello del tanto odiato Napoleone, che mise fine alla nostra libertà.

Oltre al furto dei frutti del nostro lavoro, negli ultimi sessant’anni, siamo stati soggetti a una denigrazione continua, dipinti come contadini ignoranti (vedi le dichiarazioni della De Girolamo, napoletana, ex ministro dell’agricoltura), ai quali, in fondo, era anche giusto rubare il portafogli per farsi mantenere, un popolo senza storia, senza identità. A differenza dei Friulani, dei Siciliani, dei Sardi, a noi pare sia negato il diritto di considerarci un popolo, degno d’una pur minima autonomia. La Chiesa veneta, la Chiesa di San Marco, non può coprire simili nefandezze a carico dei suoi fedeli: deve continuare ad essere il nostro sostegno morale, specie oggi che stiamo lottando per la nostra libertà. In quale Vangelo sta scritto che i Veneti non possano autogovernarsi? Ce lo spieghi, Eminenza!

Noi siamo ormai alla disperazione. Ogni giorno qualcuno si appende a una corda (Dio nella sua infinita misericordia, lo accolga al Suo fianco egualmente), non reggendo allo strazio di non poter dare un avvenire ai suoi figli o di dover licenziare degli operai con cui ha lavorato, fianco a fianco, per tanti anni. Ci sentiamo derubati di tutto, degli averi e delle nostre tradizioni, derise e negate. Non viene insegnata la nostra storia. Lo sa Lei, Eminenza, che nelle Bocche di Cattaro, in Montenegro, nei licei insegnano per cinque ore mensili la storia vene- ta? Si rende conto? Qui, voi sacerdoti veneti, non leggete neanche il vangelo di San Marco il giorno di San Marco, nelle parrocchie dell’entroterra! Controlli: lei può fare una piccola indagine in merito. Che momento meraviglioso sarebbe invece per noi se ogni 25 aprile le chiese tutte suonassero le campane a festa e i nostri pastori ricordassero ai Veneti le antiche vicende dell’evangelizzazione, del sogno di Marco in laguna con l’angelo che lo sa- luta: «Pax tibi Marce, qui sarai onorato nei secoli a venire e sarai sepolto!».

Oggi apprendo con una certa commozione che in Vandea, dove Cesare un tempo incontrò i Veneti del posto, la diocesi ha stabilito che nelle scuole cattoliche vengano insegnate le antiche preghiere ai santi protettori, in lingua bretone e france- se. Ecco, dunque, quello che può fare la Chiesa veneta: farci riscoprire l’antico patto tra Veneti e Dio, attraverso San Marco, con la nostra tradizione di fede recuperata e non più negata.

Con rispetto, anche se non posso negare un profondo rammarico per le Sue dichiarazioni.
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Re: San Marco l’evanxełista ebreo el Santo Paròn dei veneti

Messaggioda Berto » lun mag 05, 2014 7:33 am

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Re: San Marco l’evanxełista ebreo el Santo Paròn dei veneti

Messaggioda Berto » gio ott 30, 2014 8:38 am

Perché arrivò in Laguna la reliquia di San Marco

http://www.raixevenete.com/perche-arriv ... -san-marco

La leggenda parla di trafugamento dovuto a circostanze fortuite, in realtà l’arrivo della importantissima reliquia fu commissionato dal Dux Venetorum di allora, Giustiniano Partecipazio, preoccupato dal trasferimento del Patriarcato da Grado ad Aquileia. Spiega G. Distefano infatti: ‘La leggenda di San Marco viene utilizzata per dire che il decreto della fondazione di Venezia è stato deciso dal cielo …che Venezia era predestinata .. Ecco perchè il Leone di San Marco con la zampa sul libro aperto diventa quasi un simbolo esclusivo dei venetici artefici della propria storia”.

Tornando agli antefatti dell’arrivo della reliquia, “a Mantova, nell’ambito del Sinodo, il Patriarca di Aquileia, Massenzio, longa manus del Sacro Romano Impero, riesce a far passare la tesi che Aquileia, ora che i Franchi hanno riunificato l’antica Venetia et Histria, ora che non c’è più la sua divisione tra filo bizantini e filo longobardi, ha il diritto di riprendere la sua giurisdizione e così chiede la soppressione del Patriarcato di Grado, a cui faceva capo la Venezia nascente di allora, riferimento spirituale e religioso delle isole lagunari…

Nelle more della decisione papale, il Doge, annusato i pericolo di sottomissione ad Aquileia e quindi all’Occidente, si muove in fretta, perché scoronare le lagune della dignità patriarcale, significa correre il pericolo di essere assoggettati ai franchi e perdere i vantaggi del commercio marittimo con Costantinopoli. In un batter d’occhi, nel giro di pochi mesi, arrivano il laguna (828) le spoglie dell’Evangelista Marco (colui che aveva evangelizzato l’intera Venetia antica e l’Istria), fondatore egli stesso della chiesa aquileiense, con la custodia delle quali, Venezia acquista un ruolo di primato su tutte le altre chiese, che non possono vantare nulla di simile e arriva a simboleggiare la continuità dell’antica sede aquileiense nella nuova capitale del ducato veneziano”.

Un capolavoro assoluto di strategia politica…

Millo Bozzolan


Sì sì on caoƚaoro de stratexia poƚedega dal tuto edeoƚojego e ente ƚa tradision pagana e maxega.
El coulto de ƚe reƚicuie lè on coulto dal tuto o pretamente pagan e ƚigà a ƚa conçesion màxega/magica del mondo e de ƚa vida.



http://it.wikipedia.org/wiki/Giustiniano_Partecipazio
http://it.wikipedia.org/wiki/Partecipazio
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Re: San Marco l’evanxełista ebreo el Santo Paròn dei veneti

Messaggioda Berto » sab nov 01, 2014 7:59 am

El Leon e la Dòna

http://www.raixevenete.com/el-leon-e-la-dona

???

Almanco fin al XIII secolo, el gonfalon de San Marco nol xe sta el riferimento ideale dei nobili venesiani, che invese i se identificava inte’l stema gentilisio riferio ala propria fameja alargà, overo coela che ciapa rento tuti i parenti col stèso cognome e indrio fin ai pì distanti antenai. Picola la jera la distansa ca separava el nobile dal Doxe, figura sora de tuto raprexentativa e dotà de on scarso potere reale, sichè ogni patrisio Veneto el jera inalsà a on rango prosimo a che’l de on prinsipe.

La Serenissima la jera na republica aristocratega e tutavia la xe stà pa l’epoca de on goerno iluminà e antisipadore dela modernità. A on serto momento xe vegnesta fora la necesità de crear na insegna soto cui riunir i popolani in paxe e in guera, eco che xe sta issà el gonfalon col leon alà. Xe inportante distinguar do difarenti conponenti inte’l gonfalon: l’aspeto uficiale indove l’emblema el vien adotà da che’l momento in vanti come insindibile bandiera dela Serenissima e chealtro aspeto, preexistente a l’adosion, che el consiste inte’l mito antichisimo che ghe xe contenplà.

Prima de San Marco e fin a l’ano 828, el patrono de Venesia el xe sta San Todaro de Amasea, secondo la tradisiòn originario dela Paflagonia (odierna Turchia setentrionale). La sielta de optar pa San Marco la ga portà a l’asunsion de l’animale sinbolo de l’evangelista, overo el leon. I evangelisti i xe rafigurà co’ i cuatro sinboli del tetramorfo, na sorta de chimera che la apare inte le profesie de Ezechiele: cuanto ale so fatese, ognun dei cuatro el gavea l’aspeto de omo e inte’l steso tenpo corpo de leon a dreta, corpo de toro a sanca e, co senbianse de aquila. Ezechiele el xe sta deportà a Babilonia inte’l 597 a. C. e xe cuindi posibile che’l fuse sta influensà da l’imaginario dela mitologia mexopotamica. El leon alà sula piaseta de fronte al palaso ducal de Venesia el xe ben pì antico de l’atribusion evangelica, el risale ala epoca pre-cristiana e exatamente al IV secolo a.C. Secondo i studioxi de archeometalurgia el gavea in origine do corni sula fronte: inte la statua se pole ancora rintraciar i solchi indove che poxava i corni prima che i vegnese scalpelà. A Venesia la statua la xe rivà da on tenpio dela porta de l’oriente, overo da l’Anatolia, indove tralaltro leoni alà co’ i corni xe sta scolpii proprio in Paflagonia.

Parchè donca la Serenissima la ga sielto come enblema el leon alà? Co’ ogni probabilità, i venesiani che intorno al XIII secolo i ga ciapà sta decixion no i podeva saver che i so distanti antenai, i veneti antichi, xa in epoca pre-romana i doparava la imagine del leon alà inte le so opare de bronxo, Come che xe egregiamente dimostra inte la situla Benvenuti, capolaoro de l’arte veneta antica, e come pure rixulta da alcune palete votive catà dai archeologi. Merita de sofermarse sora sto punto pa na riflesion. Inte’l medioevo a Venesia no existeva nesuna notisia archeologica sui veneti antichi: xe na pura coincidensa o ghe jera na tradision orale veneta che voleva mantegner vive serte afinità culturali? El xe uno dei tanti misteri de Venesia.
Afrontando el simbolixmo xe ben sciarir che in generale na someja, ciapà in se stesa no la ga nisùn altro significato se no coelo leterale. On calcosa el asume significato Tiamat_la_dea_babilonese_dell'Oceano_primordiale.sinbolico solo se metesto in relasion co’ calcosa de altro, spece cuando ca ghe xe on raporto de polarità. On tenpo a Venesia existeva la ricorensa dela cacia al toro, ca se svolxeva in canpo San Polo e la jera simile ala omonima manifestasion spagnola de Pamplona. El corno dogal al cuale el patrisiato Veneto el faxeva ato de sotomision el jera evidentemente on sinbolo de potere. Esensialmente el copricapo del Doxe el jera na bareta frixa , fato ca ne riporta ancora na volta in Anatolia, indove existeva la region centrale dela Frigia. Inte’l corno ghe xe la evidensa de on significato virile: cosa xe el corno se no on calcosa de duro che va rento inte la carne? Inte la iconografia Frigia existeva el motivo stilistego dela lota fra el leon e el toro. In antitexi el leon el raprexenta donca na boca famelica, el cui acostamento co’ l’indole feminile xe intuitivo e no necesità de spiegasion. Senbra banale, coaxi disacrante, ma pal pensiero dei antichi no lo jera afato, ansi. Masa de frecuente se dexmenteghemo che la cultura dei antichi la jera conpletamente difarente dala nostra e no podemo doparar la mentalità moderna pa giudicarli, semai gavemo da entrar in ponta de pie inte’l so mondo sconosesto.

La Dea Mare asocià al leon la xe na costante che scumisia xa inte’l 6000 a. C. In Anatolia, co’ la statueta dela dea poxisionà saldamente in trono fra i do felini e continua co’ tuta na serie de divinità feminili che se fa ben enumerar a testimoniansa: la dea anatolica Cibele senpre aconpagnà dal leon, la dea egisiana Quadesh in pie nuda sula gropa del leon, l’assira Ishtar col leon soto el pie de dreta, dopo la fenicia Astarte e se volemo, in tema de indoeuropei, anca la dea indù Durga sentà sora el leon. Pa concludar, inte’l XVIII secolo, col dipinto de Giambattista Tiepolo indove Nettuno el buta rento i doni del corno de l’abondansa ai pie de Venesia, rafigurà come na dona che tien la man sora el leon. Chi gavese avesto la fortuna de catar su el xguardo de na leonesa in cacia cuando ponta la preda, e che el xugo el xe tuto gestio dale leonese e che el leon el/la xe forte inte’l rugir parchè ocor far el prepotente al momento de spartir el pranso. A on coaluncue sinbolo ognùn pol asegnar on significato personale a seconda dele so inclinasion e proiesion mentali, el pol considerar poxitivo o negativo, farse atirar dal so fasino o ignorarlo; se pol parfin stravolxar el so significato originario, se pol modificarlo, adatarlo ai tenpi, sostituirlo o rinovarlo. Atension parò, parchè xe existia na man umana che pa la prima volta la ga scolpio chela imagine e on testo scrito che pa la prima volta el ga codificà el so mito. Che piaxa o no piaxa , la pì antica atestasion del mito del felino alà el vien dala cuna dela siviltà, overo da Babilonia: La xe la leonesa alà col corpo ricoverto de pene, che agita le sgrinfie in pie su sate de aquila. Se ciama Tiamat e inte la religion mexopotamica la xe la Dea Genitrice , siora del caos e de l’oceano primordiale.

Piero Favero.

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Sto leon co ƚe aƚe kì lè n’avo o n’antenà de ƚi anxoƚi.

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Cfr. co:

Sciti e Sarmati: iraneghi o turco altaeghi ?
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... FNYmc/edit

Yurta (ger in mongolo e yam in samoiedo e yaranga en ciukci)
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... lfaU0/edit

Orexeni turco altaeghe de łe coulture nomadego-pastorałi
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... tjWE0/edit

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... ctoral.jpg

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: San Marco l’evanxełista ebreo el Santo Paròn dei veneti

Messaggioda Berto » sab nov 01, 2014 7:59 am

Todaro, Teodoro, Teodoxio, Teodato, Teodorico, Teodolinda, - Ipato e Ipasia

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Re: San Marco l’evanxełista ebreo el Santo Paròn dei veneti

Messaggioda Berto » sab nov 01, 2014 8:00 am

Coulto de ƚe relicuie/reliquie
http://www.treccani.it/enciclopedia/rel ... a-Italiana)/

di N. Tu., G. P. K.

RELIQUIE. - S'intende per reliquia ciò che resta (corpo o parte del corpo; oggetti, vesti, armi, utensili, che furono a contatto con il corpo) di una persona reale (o anche mitica) dotata agli occhi del gruppo di qualità eccelse o addirittura sovrumane.

Storia delle religioni. -
La venerazione e l'uso delle reliquie, fuori della religione cattolica si fonda sul principio di magia simpatica che il contiguo agisce sul contiguo: quindi il contatto, l'ingestione, l'uso di cose o appartenenti o collegate a persona particolarmente ricca di virtù produce gli stessi effetti ammirati nella persona: effetti di gagliardia, di intelligenza, di preservazione contro mali influssi, ecc.
Col progredire del livello religioso (???), il devoto, invece di attribuire alle reliquie un valore magico, le venera in quanto appartenute ad uomini che hanno onorato la divinità (???), che sono stati esempio da imitare e il cui ricordo vale, come le immagini, ad eccitare la pietà (???).
L'uso delle reliquie è universale nelle religioni primitive ed etniche dell'antichità e si accentua in quelle religioni universali che, avendo avuto un fondatore, amano venerare i ricordi superstiti della sua persona e della sua vita.

I primitivi. - Come il cannibale parte dall'idea che ingerendo il cuore, il fegato, il rene, l'occhio del guerriero ucciso se ne assimilano le qualità, così il primitivo che porta al collo, al braccio, sullo scudo quelle stesse parti del corpo mummificate, o anche capelli, denti, ossa, ecc., ritiene di riceverne una protezione magica e un potenziamento delle sue facoltà (v. amuleto) specialmente nei casi di guerra, di caccia, di provocazione della pioggia, di cura o preservazione dalle malattie, ecc.
Si possono considerare, sebbene impropriamente, come reliquie anche le impronte di mani, di piedi, del corpo, lasciate dall'eroe su blocchi o su rocce; e difatti verso di esse i devoti muovono in pellegrinaggio.
Egitto. - L'Egitto ha assai venerato le reliquie di Osiride, specialmente i 14 pezzi del suo corpo disseminati dall'uccisore Set per tutto l'Egitto e sui quali furono eretti santuarî. Di questi il più importante era quello di Abido, dove era sepolto il capo. Notevole anche era a Busiride il misterioso pilastro ded strettamente legato alla persona del dio. Anche i Serapei dell'Egitto greco-romano contenevano nella mummia del bue Api la reliquia dell'Osiride ultramondano.
Grecia. - Il culto degli eroi in Grecia è essenzialmente un culto delle loro reliquie, chiuse nell'apposito tempio (ἡρῷν) e considerate come salvaguardia ambitissima della città che le possedeva: tanto che erano ricercate con cura, spesso in seguito a indicazioni di oracoli, e una volta ritrovate venivano con gran pompa portate nelle città dove servivano come fonte ordinaria di divinazione e presidio da malattie o altre iatture. Ricordiamo, tra le reliquie più celebri, il capo di Orfeo (conservato a Lesbo o a Smirne) e le sue ossa (a Dio in Macedonia); le ossa di Europa (Hellotis) in Creta; quelle di Teseo da Sciro in Atene; quelle di Oreste a Sparta, dove dànno la vittoria contro quei di Tegea; quelle di Esiodo a Orcomeno dove, appena entrate, liberano la città da un'epidemia, ecc.
Anche oggetti che avevano appartenuto ad eroi erano considerati reliquie: la lancia di Achille a Phaselis, la spada di Memnone a Nicomedia, la lira di Orfeo in varî luoghi, il flauto di Marsia a Sicione, lo scettro di Agamennone a Cheronea; e più lo scudo di Pirro, il residuo della creta con cui Prometeo foggiò Deucalione e Pirra, i sandali di Elena, le uova di Leda, ecc.
Roma. - In Roma le reliquie più notevoli erano il palladio di Enea, le tombe di Evandro, di Carmenta, di Romolo, di Acca Larenzia, oltre ad altre minori; il fico ruminale, la casa di Romolo sul Germalo, la conocchia e i sandali di Tanaquilla conservati nel tempio di Iuppiter Fides, la pila horatia con le armature dei tre Curiazî, il tigillum sororium, le spoglie opime di Romolo dedicate a Giove Feretrio sul Campidoglio, ecc.
Buddhismo. - Il buddhismo ha sempre venerato le reliquie. Ai funerali del Buddha le sue ceneri furono divise in otto parti e distribuite alle genti intervenute. Esse furono conservate in altrettanti stūpa, divenuti centro di costruzioni religiose. Di esse sono state ritrovate quelle contenute negli stūpa di Piprāwā (Nepal) eretto dai Sakya di Kapilavastu, le più autentiche; di Bīmarān tra Cabul e Jalālābād e di Peshāwar fondato dal re Kaniska (v.). Il nord dell'India, Ceylon e la Birmania sono i paesi dove le reliquie del Buddha sono più venerate.
L'induismo ignora la venerazione delle reliquie, come anche il jainismo. Così pure l'islamismo, salvo in quei paesi dove è stato suggerito dall'ambiente etnico: così a Bījāpur (Deccan) vi sono peli della barba di Maometto cui si presta venerazione all'anniversario della nascita del profeta; a Rohrī (Sind) si venera un suo capello che si mostra ai fedeli una volta l'anno, né vanno dimenticate le impronte dei suoi piedi (ad Ahmadābād, Gaur, Delhi); nell'Africa settentrionale sono venerate le tombe dei cosiddetti santoni.
Tutte queste forme di culto si devono considerare però come degenerazioni locali della pura religione coranica.
Bibl.: A. Erman, Die ägyptische Religion, 3ª ed., Berlino 1909 (trad. it. Pellegrini, Bergamo 1908); P. Pfister, Reliquienkult im Altertum, voll. 2, Giessen 1909; A. Wylite, Buddhist Relics, in Chinese Researches, Sciang hai 1897; L. A. Waddel, The Buddhism of Tibet or Lamaism, Londra 1895; I. Goldziher, Muhammedanische Studien, Halle 1889-90, II, pp. 275-380; E. Doutté, Notes sur l'islām maghribin: Les marabouts, in Revue de l'hist. des religions, XL-XLII (1899-1900); R. Basset, Nédromah et les Traras, Parigi 1901.
Cristianesimo. - È spontaneo all'uomo avere una considerazione speciale e una venerazione per ciò che si riferisce a persone, per le quali si aveva stima particolare o sentimenti speciali di affetto. Questa inclinazione naturale unita con la venerazione religiosa verso i martiri, quali eroi della fede e cristiani perfetti, forma la base del culto delle reliquie e dell'apprezzamento speciale che queste hanno preso già nell'antichità nella vita religiosa dei cristiani. La voce reliquiae (in greco λείψανα) fu usata nell'antichità, secondo il senso etimologico (illa quae ex aliqua re relicta sunt) arche per designare resti dei corpi dei defunti o le ceneri dei corpi incinerati. In questo senso la parola passò nell'uso del linguaggio cristiano, dove però prese un senso più ampio, con l'estensione della venerazione anche a oggetti, venuti a contatto con i resti dei santi. Dal sec. IV in poi, la voce "reliquie" venne usata non soltanto per i resti mortali del corpo o per il sangue raccolto in occasione del martirio, ma anche per parti degli strumenti del martirio o considerati come tali (catene di S. Pietro, di S. Paolo, graticola di S. Lorenzo, pietre della lapidazione di S. Stefano), per pezzi degli abiti portati dai santi, per oggetti toccati alla tomba di un martire (pezzi di stoffa, brandea, polvere della tomba) o usati per onorare la tomba (fiori depositativi sopra, olio delle lampade), e simili ricordi materiali.
Tutti questi oggetti nell'antichità cristiana, dal sec. IV in poi specialmente, furono considerati come sacri e venerabili, e furono trattati come reliquie nel senso più stretto della parola, benché chiamati anche con altri nomi (sanctuaria, pignora, beneficia).
Il culto delle reliquie è un'espressione deìla venerazione religiosa verso i martiri e si sviluppa in modo parallelo a questa. Già nell'antichità classica, presso i Greci e presso i Romani, si trova il culto degli eroi e delle loro reliquie: culto praticato naturalmente secondo concetti idolatrici. Questo però presenta soltanto un'analogia generica col culto cristiano dei martiri, basato com'è sul concetto naturale di venerazione per insigni personaggi, ma non è la radice o il modello diretto del culto dei santi e delle loro reliquie, come del resto è già dichiarato da autori cristiani antichi, i quali rilevano la differenza essenziale tra il culto pagano degli eroi e la venerazione cristiana dei martiri (Eusebio, Praepar. evang., XIII,1; Gregorio Nazianz., Adv. Iulianum, I, 69 segg.; Cirillo Aless., Contra Iulianum, VI). S. Girolamo dichiara espressamente che non si adorano, non si rendono onori divini alle reliquie dei martiri, per non servire le creature piuttosto che il creatore: i cristiani onorano le reliquie dei martiri per adorare quello del quale sono martyres (Ad Ripar., ep. 53, c. 1).
I motivi che indussero i fedeli a venerare le reliquie dei santi sono presentati da varî Padri, principalmente nei panegirici pronunziati in occasione delle feste dei martiri. Gli eroi della fede cristiana, restati fedeli a prezzo della vita, sono degni della più alta gratitudine, avendo dato il più bell'esempio a tutti i cristiani. I loro corpi sono stati strumento dello Spirito Santo per la vittoria contro gli avversarî di Cristo, perché in questo corpo hanno potuto vincere tutte le pene e torture; cosicché questi resti mortali hanno acquistato un valore particolare, anche dopo che l'anima si è distaccata dal corpo. Sono quindi degni di venerazione da parte dei fedeli, i quali mediante quelle reliquie possono partecipare alla grazia particolare ad esse congiunta. E questa venerazione si estende anche agli oggetti materiali venuti a contatto con i corpi o la tomba (Gregorio Naz., Adv. Iulianum, I, 69; Paolino dl Nola, Natal., IX, 451-453).
Il culto delle reliquie prese origine e si sviluppò in modo parallelo al culto dei martiri nell'antichità (v. martire). Dapprincipio questo culto s'accentrò sulla tomba del santo, la quale conservava il suo corpo: secondo la lettera autentica sul martirio di Policarpo (v.), i fedeli consideravano i resti del corpo bruciato del loro vescovo martirizzato più cari delle pietre preziose e dell'oro (Eusebio, Hist. eccl., IV, 15). Tale era il sentimento generale dei cristiani nei primi secoli all'epoca stessa delle persecuzioni, per cui si cercò di avere ricordi materiali del martire. La comunità di Gerusalemme venerava come reliquia la cattedra stessa usata da S. Giacomo (Eusebio, Hist. eccl., VII, 19). Uno dei guardiani di S. Cipriano desiderava avere gli abiti del vescovo dopo il martirio di questo come contenenti "i sudori già sanguinei" del martire (Vita Cypriani, 16), e i cristiani di Cartagine misero panni sul luogo del supplizio per conservarli dopo averli bagnati del sangue del loro vescovo (Acta proconsularia s. Cypr., c. 5).
Si hanno altri esempî dagli Atti autentici di martiri a dimostrare che i cristiani dopo il supplizio raccoglievano con panni il sangue del santo, come ricordo e reliquia. I corpi dei martiri erano seppelliti completamente e la venerazione si svolgeva principalmente attorno alla tomba; ma nell'ultima persecuzione si ebbero casi di una forma di venerazione per le reliquie, in quanto si cercarono resti dei corpi stessi per conservarli e venerarli. Nel Testamento dei Quaranta martiri di Sebaste, questi pregano espressamente che i loro corpi siano seppelliti insieme e domandano istantemente che nessuno ritenga parte dei loro corpi; tuttavia questa raccomandazione non fu seguita, poiché sappiamo da testimonianze del sec. IV (S. Basilio, Hom. in SS. XL martyres, 8; S. Gregorio di Nissa, Hom. in SS. XL mart., in Patrol. Graeca, XLVI, 784) che resti delle ceneri e di ossa bruciate si conservavano in varie parti come reliquie dei Quaranta martiri (v.).
Quest'uso, però, da principio non venne approvato dalle autorità ecclesiastiche e dal sentimento di molti fedeli. Ne abbiamo un'eco nella Passio, leggendaria ma antica, di S. Fruttuoso e dei suoi compagni. Nella notte dopo il martirio, i fedeli si recano all'anfiteatro di Tarragona, versano vino sui corpi pȧrzialmenie bruciati e portano con sé parte delle ceneri; ma S. Fruttuoso appare a questi fedeli e ordina di riportare via tutto e di preparare ai martiri un sepolcro comune, mettendovi tutti i resti dei corpi. Si vede dunque che l'idea di deporre nella tomba tutto ciò ch'era appartenuto al corpo del martire e di rispettare la tomba con le reliquie, era ancora viva specialmente presso i rappresentanti dell'autorità ecclesiastica. Tuttavia nel sec. IV, con lo sviluppo del culto dei martiri, l'uso delle reliquie nella vita religiosa dei cristiani divenne molto frequente e il loro culto prese una parte importante anche nella vita ecclesiastica.
La venerazione dei martiri e delle loro reliquie era in uso, secondo la tradizione anteriore, in tutta la Chiesa, e un'opposizione contro questo uso religioso non si manifestò in modo generale. Quando, al principio del sec. V, Vigilanzio scrisse contro il culto delle reliquie, fu combattuto e confutato da S. Girolamo (Contra Vigilantium). L'espressione principale primitiva della venerazione dei martiri nel culto era la celebrazione del loro anniversario che comprendeva il sacrificio eucaristico. Questo culto cominciò nella seconda metà del sec. II e ne abbiamo le testimonianze più antiche per l'Asia Minore (S. Policarpo) e per l'Africa (Martiri Scillitani, Sante Perpetua e Felicita e compagni).
A Roma, la celebrazione solenne dell'anniversario venne in uso nel corso del sec. III. Oltre a questa solenne commemorazione liturgica, i fedeli visitarono le tombe dei martiri per esprimere la loro devozione privata e per implorare l'intercessione di questi particolari amici di Cristo; più tardi, anche in giorni fuori dell'anniversario, fu celebrato in loro onore e in forma più privata il sacrificio eucaristico.
In origine, ogni comunità cristiana onorava così i suoi martiri, e questo culto liturgico e privato si faceva presso la tomba stessa del martire. Dal sec. IV in poi, furono costruite basiliche e cappelle presso la tomba con le reliquie dei santi e, se questi avevano la sepoltura in gallerie sotterranee, si crearono anche cappelle più grandi presso la tomba, principalmente nelle catacombe romane. Così l'altare per la celebrazione eucaristica poteva essere disposto presso il sepolcro venerȧto, e quando sulla tomba fu eretta una chiesa più grande (come per lo più avveniva) la costruzione fu disposta in modo che l'altare venisse costruito sopra la tomba stessa del martire, e perciò, secondo un'espressione di Prudenzio, la sacra mensa era nello stesso tempo, donatrix Sacramenti e custos fida sui martyris (Peristephanon, XI, 170). Le tombe nelle cripte e nelle basiliche cimiteriali erano dunque i veri santuarî delle reliquie dei martiri. Se i fedeli si fossero contentati di erigere chiese in onore di santi soltanto presso le loro tombe, ognuno di essi avrebbe avuto un unico santuario. Ma l'importanza del culto dei martiri portò alla fondazione di chiese in onore dei santi in varie località, fuori del loro sepolcro. Anche per queste chiese si voleva avere una memoria materiale del santo. In Oriente cominciò nel sec. IV l'uso della traslazione delle reliquie di martiri celebri in altre città, dove furono fondate chiese in loro onore. Così la capitale dell'impero d'Oriente, Costantinopoli, ricevette le reliquie di più corpi di santi, trasferiti e deposti nelle suntuose chiese a loro dedicate: S. Timoteo nel 356, S. Andrea e S. Luca nel 357 sotto l'imperatore Costanzo; altri imperatori posteriori, come Teodosio I, seguirono questo esempio per le chiese della capitale, e anche altre città orientali, come Antiochia, Edessa, Alessandria, videro solennità grandiose in occasione della traslazione dei corpi di santi. Se in questi casi troviamo la deposizione di tutti i resti mortali di un santo in una chiesa dedicata alla sua memoria, l'uso di separare piccole parti di reliquie del corpo di santi cominciò in Oriente fin dal sec. IV e continuò nell'epoca posteriore. Alle reliquie dei Quaranta martiri e di altri martiri si aggiunsero reliquie di S. Stefano protomartire dopo la rivelazione della sua tomba.
Un altio genere di reliquie furono memorie materiali dei luoghi santificati in Palestina dalla vita terrestre di Gesù, piccoli pezzi della sua croce, venerata a Gerusalemme nel sec. IV. Tutte queste reliquie furono trattate in modo simile ai corpi dei martiri: esse furono deposte in piccoli sepolcri, sotto o dentro gli altari delle chiese, e venerate come si usava per le tombe stesse dei santi. Ma non soltanto reliquie nel senso proprio, cioè resti del corpo, ma anche oggetti messi in contatto col sepolcro di un martire e altre reliquie secondarie furono venerate e trattate in modo simile. Qui però troviamo fino al sec. VII una differenza nella disciplina ecclesiastica tra l'Oriente e l'Occidente. In Oriente le traslazioni di reliquie, e l'uso molto diffuso di usare dei resti di corpi di martiri come reliquie, sia nelle chiese sia nella vita religiosa privata, non trovarono difficoltà. A Roma inveee e nell'Occidente a questa epoca si conservava la disciplina primitiva, per la quale il sepolcro di un martire non doveva essere aperto né si potevano separare particelle del suo corpo. S. Gregorio Magno (Epist., IV, 30) nella sua lettera all'imperatrice Costantina di Bisanzio, che aveva domandato la testa o altra parte delle ossa di S. Paolo, dichiara che questo era assolutamente impossibile, poiché in Roma e in tutto l'Occidente sarebbe stato considerato sacrilegio toccare i resti mortali dei martiri: perciò egli dà soltanto pezzi di stoffa posti sulla tomba di santi, piccole particelle delle catene di S. Pietro o di S. Paolo, riguardando simili benedictiones come reliquie e adducendo come prova i miracoli operati mediante tali oggetti. Questa disciplina dell'Occidente è confermata per il sec. VI da Gregorio di Tours (De gloria mart., I, 25, c. 55). In Occidente si cercò ansiosamente di avere reliquie di questo genere, sia per uso privato, sia per deporre queste reliquie in altari consacrati alla memoria di santi. Il vescovo Gaudenzio di Brescia fece lunghi viaggi per procurarsi molte reliquie, che, poste nella sua chiesa, fecero sì che essa fosse nominata "il concilio dei Santi" (Sermo XVII, in Patrol. Lat., XX, col. 959 seg.); Paolino di Nola parla del grande numero di reliquie che egli poté avere per le chiese da lui fondate (Carmen, XXVII, 403 segg.; Epist., XXXII, 10), e testimonianze simili sono conservate di altri vescovi. Così avvenne che, verso la fine del sec. IV e nei secoli seguenti, non si fondasse una chiesa nuova senza che si cercasse di avere delle reliquie per metterle nell'altare, principalmente quando il santuario era dedicato in modo particolare a un santo. Furono trovate varie iscrizioni di altari, specialmente in Africa, dove sono indicate le reliquie deposte in un sepolcreto, dentro o sotto l'altare; e altari conservati del sec. VI e VII mostrano quasi regolarmeme il piccolo sepolcro per le reliquie. L'uso divenne tanto generale, che in Occidente si fissò nei secoli VIII-IX la norma che nessun altare poteva essere consacrato senza reliquie, e per conseguenza non si poteva celebrare il sacrificio eucaristico senza che vi fossero reliquie dentro l'altare.
L'importanza del culto dei martiri e delle loro reliquie in epoca posteriore fece ricercare i corpi di martiri non venerati con culto speciale, e creò anche delle rivelazioni intorno al sito dov'erano tombe di martiri.
Per alcuni di questi ritrovamenti si può constatare che vi era una tradizione intorno alla tomba; per altre di queste rivelazioni è difficile trovare un fondamento storico.
Tra le invenzioni più celebri sono da ricordare quelle dei Ss. Gervasio e Protasio, di S. Nazario a Milano, e dei Ss. Vitale e Agricola a Bologna all'epoca di S. Ambrogio, e, nell'Oriente, quella di S. Stefano protomartire nel 415 a Cafargamala. Le reliquie di S. Stefano furono distribuite in tutte le regioni dell'impero romano cristiano. Altre rivelazioni e traslazioni di reliquie avvennero in seguito. In Occidente però si mantenne fino al sec. VII, quasi generalmente, l'antica disciplina di non asportare particelle delle ossa o ceneri dei santi, ma contentandosi di reliquie di secondo ordine. Col sec. VIII però si cominciò ad asportarne anche nella chiesa latina; il cambiamento è in relazione con la traslazione dentro la città di Roma delle reliquie dei martiri dalle loro sepolture primitive nei cemeterî fuori le mura. Lo spopolȧmento della campagna circostante, causato dalle invasioni dei Longobardi, e la decadenza di Roma stessa nei secoli VII-VIII non permettevano più di mantenere il culto dei martiri nelle molte chiese cemeteriali erette sulle loro tombe; perciò varî papi dei secoli VIII e IX tolsero le reliquie dei santi dalle loro tombe primitive per trasportarle in chiese dentro la città, dove furono deposte sotto gli altari, cosicché si poté continuare il culto dei resti preziosi.
In tali occasioni si cominciò a staccare parti delle ossa per deporle in cappelle o chiuderle dentro altari, e da questo tempo si fissò anche in Occidente l'uso di distribuire come reliquie le parti delle ossa dei santi. Dopo la conversione dei Franchi e delle altre tribù germaniche alla Chiesa cattolica, il culto dei santi e delle reliquie occupò una parte importante nella vita religiosa anche di questi popoli. Dagli scritti di Gregorio di Tours (sec. VI) si vede chiaramente la diffusione della venerazione delle reliquie; ma si veneravano ancora in primo luogo i martiri, come eroi della fede, e appresso a loro presero posto vescovi, asceti, fondatori di monasteri, come rappresentanti della perfezione cristiana, e ciò sia nella venerazione dei fedeli sia nel culto liturgico. Quindi anche reliquie di tali santi vennero usate come quelle dei martiri, sebbene costoro conservassero il primo posto nella considerazione dei cristiani. Roma era la "città santa" per il grande numero di celebri martiri che vi avevano le loro tombe, e numerosi pellegrini delle nazioni germaniche convertite vi si recavano per venerarne i sepolcri. Le chiese nuovamente fondate furono spesso consacrate a celebri martiri romani, e quando nei secoli VIII-IX le reliquie furono trasferite dentro la città, principi, vescovi e abati delle varie regioni europee cercarono di procurarsene qualche particella per portarla nella loro patria. Così un certo numero di martiri vennero trasportati in Francia e in Germania, dove suntuose chiese furono fondate per queste reliquie. Ci sono pervenute relazioni contemporanee di alcune di queste traslazioni. Si manifestarono però presto abusi nella pratica di procurarsi reliquie, perché in alcuni casi se ne faceva un vero commercio, come pure per certe traslazioni l'autenticità delle reliquie è molto dubbia. In quest'epoca cominciò l'uso di mettere reliquie, non più dentro altari, ma in reliquiarî, per poterle esporre sopra gli altari alla venerazione dei fedeli. All'epoca delle crociate venne in Occidente una ricca messe di reliquie dalla Terrasanta, sia in relazione alla religione giudaica sia riguardanti le persone di Gesù e di Maria Vergine; ma queste reliquie non possono essere ritenute, nella grande maggioranza, come autentiche. Presa Costantinopoli nel 1204, molte delle reliquie conservate in quella città furono portate in Occidente, e varie città italiane, come Venezia, Amalfi, Bari, ecc., ebbero parte a queste traslazioni. Il culto in certi casi fu accompagnato da pratiche superstiziose contro le quali agirono varî sinodi del Medioevo. Un nuovo impulso alla venerazione delle reliquie fu dato dalla scoperta delle catacombe di Roma nella seconda metà del secolo XVI e dalle ricerche condotte in seguito in quei venerandi cimiteri sotterranei. Per un giudizio formatosi in buona fede, ma completamente errato, si credeva, sulla base di racconti leggendarî e favolosi, che tra le tumbe scoperte nelle catacombe molte appartenessero a martiri, e che certi segni (palma, corona, monogramma di Cristo) scolpiti sulle lastre di chiusura, e la presenza di ampolle e vasetti fissati presso i sepolcri o trovati dentro i loculi, considerati erroneamente come recipienti ov'era stato raccolto il sangue del defunto, indicassero il martirio dei fedeli sepolti in tali sepolcri; perciò le ossa rinvenute in tali condizioni furono considerate come reliquie di martiri, e numerose chiese nei varî paesi accolsero tali "corpi santi".
Il progresso del metodo scientifico nello studio delle catacombe e dei loro monumenti per opera di G. B. De Rossi mostrò che questi concetti erano errati, e dalla metà del sec. XIX l'uso di levare tali resti mortali di antichi cristiani come reliquie non poteva più essere approvato. Il protestantesimo nelle sue varie forme rigettò sia il culto dei santi sia quello delle reliquie, tanto che furono gettati fuori dai santuarî i resti venerati nei secoli anteriori, e furono distrutti i reliquiarî, spesso anche di gran valore artistico, nelle regioni dove trionfò il protestantesimo. Il Concilio di Trento dichiarò e formulò la dottrina cattolica sul culto dei santi e delle loro reliquie nella sess. 25 (De invocatione et veneratione Sanctorum). Più tardi, la direzione e sorveglianza di ciò che riguarda le reliquie fu affidata alla S. Congregazione delle indulgenze e delle reliquie (16 luglio 1669), la quale nell'anno 1904 fu riunita con la S. Congregazione dei riti. Con varî decreti fu stabilita la disciplina ecclesiastica intorno alle reliquie, alle dichiarazioni di autenticità (le "autentiche" necessarie per farne uso nel culto o per esporle alla venerazione). La compra e la vendita di reliquie sono severamente proibite.
In varie regioni si celebra una festa speciale delle reliquie, e sia in questa celebrazione, sia nelle dichiarazioni della Chiesa si riconosce che la base e lo scopo del culto delle reliquie è la venerazione dei santi e l'impulso dato ad esso mira a farne ricopiare le virtù e a implorarne l'aiuto.
Bibl.: Fr. Stengel, De reliquiarum cultu, Ingolstadt 1624; L. A. Muratori, De christ. veneratione erga sanctos, diss. 58, in Antiquit. ital., V, Milano 1741, pp. 1-60; M. Sdralek, Reliquien, in Kraus, Realencyklopädie der christl. Altertümer, II (1886), pp. 686-692; St. Beissel, Die Verehrung der Heiligen und ihrer Reliquien in Deutschland, voll. 2, Friburgo in B. 1890-92; E. A. Stückelberg, Geschichte der Reliquien in der Schweiz, voll. 2, Basilea 1902-07; V. Guiraud, Le commerce des reliques au commencement du IXe siècle, in Mélanges J.-B. de Rossi, Roma 1892, pp. 73-95; H. Delehaye, Les origines du culte des martyrs, 2ª ed., Bruxelles 1933, pp. 50-99; Fr. Pfister, Der Reliquienkult im Altertum, Giessen 1909-12; E. A. Stückelberg, Katakombenheilige der Schweiz, Basilea 1907; H. Delehaye, Cinq leçons sur la méthode hagiograph., Bruxelles 1934.
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Re: San Marco l’evanxełista ebreo el Santo Paròn dei veneti

Messaggioda Berto » sab nov 01, 2014 8:00 am

Furta sacra: la trafugazione delle reliquie nel Medioevo ...
books.google.it/books?isbn=8834325060
Patrick J. Geary - 2000 - ‎History
I carolingi avevano conferito grande rilievo al culto delle reliquie dei santi, ma l'usanza di riverire i resti di un grande uomo non era stata inventata ... fondamentali: il culto pagano degli eroi e la credenza cristiana nella risurrezione del corpo.

http://books.google.it/books?id=9ZQTE-e ... no&f=false



Dal culto dei martiri e dei santi alla venerazione delle reliquie - Il culto dei martiri

http://francescobonomo.blogspot.it/2014 ... -alla.html

La comprensione del culto delle reliquie nella Chiesa cattolica è legata alla grande importanza rivestita dal culto dei santi, ed in particolare dei martiri nella Chiesa dei primi secoli.
La commemorazione dei santi ha avuto inizio nella Chiesa con la memoria dei martiri, i testimoni della fede, che hanno professato la loro fede fino all'effusione del sangue anche di fronte alle minacce ed alla morte. Le commemorazioni dei martiri sono legate però in modo particolare al ricordo dei defunti. Da sempre nella storia umana è chiaro il rispetto quasi sacro che circonda le spoglie mortali. Gli onori dovuti per pietas ai defunti erano di duplice natura: il refrigerium che per la fede nella sopravvivenza, anche materiale, dell'anima dopo la morte, prevedeva un banchetto o la consumazione di cibo presso il luogo di sepoltura, e la più importante, ed ancora oggi in uso, commemorazione del dies natalis, ovvero del giorno della morte, inteso dai cristiani come il giorno della nascita al cielo del fedele che aveva professato la propria adesione al Cristo Signore.1 Nel corso dei secoli la pratica del refrigerium, sotto il vigile controllo dei vescovi per evitare che degenerasse, fu alternativamente tollerata e osteggiata fino alla sua totale eliminazione nel mondo occidentale.2
Quando un fedele cristiano aveva suggellato la sua fede con la professione nel sangue la Chiesa lo onorava attribuendogli l'appellativo di martyr (dal greco, testimone).3 Questo appellativo era segnato sul sepolcro affianco al nome; nella liturgia i nomi dei martiri venivano letti nei dittici in chiesa durante la celebrazione eucaristica e questa pronuncia del nome ne sanciva il ricordo, non più privato ma pubblico ed ufficiale: il defunto o il santo non si ricordavano più nell'ambito privato, ma riguardava ormai tutto il popolo di Dio radunato nella memoria di un testimone della fede che diveniva modello per tutti, perché la sua suprema testimonianza di fede era un paradigma da imitare e da venerare da parte di tutti i credenti della Chiesa. La celebrazione di un martire era quindi legata alla registrazione ufficiale ed autentica del martirio, conservata presso le singole comunità cristiane che vivevano di quella memoria: si tratta quindi dei testi conosciuti come resoconti del martirio noti con il nome di passiones o acta martyrum.

Il sepolcro del martire

Il sepolcro del martire, il suo luogo di sepoltura, era il luogo originario in cui gli veniva attribuito il culto. Secondo le leggi romane i sepolcri erano disposti fuori della cinta urbana. Ecco perché le catacombe, sepolture ipogee, si trovavano lungo le grandi vie consolari al di fuori del pomerio dell'Urbe. I luoghi che oggi sono oggetto di interesse da parte di visitatori ed archeologi nei primi secoli del Cristianesimo erano la meta di pellegrinaggi annuali da parte delle comunità cristiane per il ricordo del martire.

Il culto delle reliquie

Tra le manifestazioni della devozione cattolica nei confronti dei santi ha un rilievo particolare la venerazione delle reliquie. Il termine deriva dal latino reliquiae e significa letteralmente “resti”. La volontà di conservare questi “resti”, oggetti ed immagini di una persona defunta (si pensi a titolo di esempio alle ciocche di capelli, come quelle di Lucrezia Borgia conservate in un reliquiario presso la Pinacoteca Ambrosiana), è universalmente documentabile e antropologicamente comprensibile e giustificabile. Queste tradizioni hanno facilitato, nel Cristianesimo, la prassi di conservare i resti mortali dei santi martiri. Anche se il culto cristiano delle reliquie ha dei precedenti molto simili nel mondo pagano, nella Chiesa Cattolica è sempre stato animato dalla sola venerazione e non adorazione per i resti mortali di coloro che hanno seguito Cristo nel modo più autentico e puro possibile. L'atto di devozione dei cristiani nei confronti dei resti mortali di un martire e o di un santo non sono il segno di una religiosità pagana che si rivolge a più divinità, ma sono l'espressione della consapevolezza che nel santo ha operato la grazia di Dio, e che il suo corpo o i suoi resti sono la testimonianza di come Dio ha agito nella storia e di come il singolo cristiano è riuscito nell'impegno di adesione di fede e di sequela del Redentore.
Con l'editto di tolleranza e il decreto teodosiano del 381 che stabiliva il cristianesimo religione dell'impero, cominciarono a sorgere nuove strutture, semplici edicole o sontuose basiliche costruite sul sepolcro dei martiri (martyria)4. Alle loro reliquie venne assegnato un posto d'onore, al di sotto degli altari su cui si celebra l'eucaristia, il principale, essenziale e più importante atto di culto della Chiesa cattolica.
Oltre al desiderio di essere seppelliti proprio nelle vicinanze delle tombe degli Apostoli, dei martiri e dei santi, i resti mortali dei corpi santi sono stati e costituiscono tutt'ora un ambito trofeo a gloria delle chiese. La ricerca delle reliquie comincia in Oriente a partire dal sec. IV. Le grandi sedi patriarcali o le singole diocesi cercavano di aumentare la gloria ed il prestigio delle proprie sedi anche grazie alla presenza di reliquie insigni. Lo stesso processo si diffuse anche in Occidente. Esemplare fu la scoperta dei corpi santi di Gervasio e Protasio a Milano da parte dello stesso sant'Ambrogio; ancora oggi i corpi dei tre santi sono deposti insieme sotto l'altare dell'antica basilica dedicata al grande Vescovo di Milano. Lo stesso evento si ricorda a Bologna con la scoperta da parte di san Nazaro dei corpi dei santi Vitale ed Agricola, patroni e protettori dell'Arcidiocesi di Bologna.

In contrasto al culto dei santi, nelle forme più pure ed eccellenti, si sono sviluppate delle defezioni superstiziose e dottrinali che hanno portato a considerare i singoli frammenti mortali dei santi come parti rivestite di una forza sovraumana, taumaturgica ed in alcuni contesti anche magica. Fu sant'Agostino a indirizzare il pensiero teologico ad una valutazione della venerazione delle reliquie: i santi, dice Agostino, sono considerati “membra di Cristo, figli di Dio, suoi amici e nostri intercessori”.

In questo contesto, per il principio secondo il quale i corpi dei santi erano considerati rivestiti di un particolare potere, in forma superstiziosa e lontana dal culto delle origini si ritenne che fare frammenti di quei corpi santi sarebbe stato di vantaggio a molte più chiese sparse nel mondo. Si giunse così alla pratica della divisione delle reliquie che interessò sia le Chiese d'Oriente che quelle d'Occidente.

Roma, erede del sacro rispetto che i romani avevano per i corpi dei defunti, non scese mai a compromessi con queste pratiche come testimoniano le scelte dei papi (vedi ad esempio Gregorio Magno nei confronti dell'Imperatrice Costantina) che non hanno permesso la frammentazione delle reliquie dei santi Apostoli Pietro e Paolo. Si diffuse però la pratica di distribuire e diffondere un altro tipo di reliquia, formata da stoffe o panni che venivano messi a contatto con i corpi santi o con i luoghi della loro sepoltura al di sotto degli altari principali delle basiliche di Roma. Originariamente erano di questo tipo le reliquie che venivano deposte sotto gli altari delle nuove chiese che venivano edificata nella cristianità. La severità dei papi nei secoli non poté essere mantenuta a causa della lontananza dei sepolcri dal centro religioso e perché non custoditi dai saccheggi dei popoli invasori.

A partire dall'VIII secolo, in seguito alle invasioni barbariche del Longobardi si decise (papa Paolo I e suoi successori) di aprire i sepolcri dei martiri e trasferirne le reliquie in alcune gradi basiliche Romane (in particolare san Silvestro in capite, santa Prassede, ss. Silvestro e Martino ai Monti, santi quattro Coronati, ecc).
La risonanza di queste traslazioni ed il desiderio politico di unire a sé diverse nazioni e popoli spinse i papi stessi a concedere preziose reliquie creando un aumento delle richieste ed una proliferazione di reliquie soprattutto nell'epoca carolingia, con il conseguente aumento delle celebrazioni e delle devozioni in onore dei santi di cui si possedevano frammenti delle spoglie mortali. Alla moltiplicazione delle reliquie ed alla loro sempre crescente richiesta corrisposero, in proporzione, i fenomeni della contraffazione, del furto e del commercio.

Il culto tributato alle reliquie

L'importanza delle reliquie è stata sottolineata nei secoli con la formazione di riti liturgici specifici. Abbiamo ricordato la prassi, ancora in vigore nella Chiesa cattolica, di deporre nell'altare o al di sotto di esso, porzioni notevoli di reliquie di santi. La dedicazione di una nuova chiesa, che è tra i riti più solenni della liturgia episcopale, ed in particolare la dedicazione dell'altare per la celebrazione dell'eucaristia, sono ancora legati alla presenza dei frammenti dei santi quali testimoni, anche visibili, di cosa sia realmente la vita cristiana e la sequela fedele di Cristo.
Il valore delle reliquie all'interno di una chiesa ha quindi questo senso prettamente ecclesiale, legato alla comunità cristiana che celebra intorno all'altare del Signore avendo sotto gli occhi la testimonianza di coloro che li hanno preceduti nell'impegno di una vita cristiana autentica.

Alle reliquie, lo ricordiamo, è concesso un solo culto di venerazione, di rispetto ed omaggio che non è adorazione, riservato nella fede cristiana al Dio solo. I gesti di omaggio delle reliquie da secoli sono il bacio e l'offerta dell'incenso, come segno di odore soave, che dalla terra sale al cielo, simbolo della preghiera preghiera sincera ricolta a Dio.

Una delle prassi diffuse a partire dall'XI sec. è quella delle ostensioni. Per il principio esemplare sopra ricordato, l'ostensione o le processioni con le reliquie sono occasione di grande festa per le comunità che le custodiscono soprattutto nel giorno della commemorazione annuale del santo, per ricorrenze periodiche (come per la Sindone di Torino o le reliquie di san Gennaro a Napoli) o di particolare impegno nella preghiera in occasioni di gravi calamità o di eventi esterni drammatici o solenni (giubilei, visite papali, ecc.) Queste manifestazioni esterne della fede sono ancora oggi il segno e l'incentivo per un rinnovamento spirituale dei credenti che si raccolgono dinnanzi alla reliquia esposta.5

Bibliografia

P. Brown, Il culto dei santi. L'origine e la diffusione di una nuova religiosità (Piccola Biblioteca Einaudi, NS), Einaudi, Torino 2002.

P. Jounel, «Dedicazione delle Chiese e degli altari», in Liturgia, ed. ed. D. Sartore – A.M. Triacca C. Cibien, Edizioni san Paolo, Cinisello Balsamo 2001, 538-551.

M. Righetti, Storia liturgica 2: L'anno liturgico nella storia, nella messa, nell'ufficio, Ancora,
Milano 22005, 396-428.

S. Rosso, «Processione», in Liturgia, ed. ed. D. Sartore – A.M. Triacca – C. Cibien, Edizioni san Paolo, Cinisello Balsamo 2001, 1536.

P. Rouillard, «Il culto dei santi in Oriente ed Occidente», in Scientia Liturgica 5: Tempo e spazio liturgico, ed. A.J. Chapungco, Piemme, Casale Monferrato 1998, 338-355.






1 Le due forme di commemorazione dei defunti erano consuetudini del mondo pagano e comportavano sacrifici e immolazioni agli dei che i cristiani non hanno mai accettato. L'essenza del culto dei morti è rimasto però nel cristianesimo delle origini con elementi caratteristici e defezioni che ancora oggi permangono nel cristianesimo odierno.
2 L'oriente cristiano ancora conserva la tradizione di mangiare nei pressi della sepoltura in unione al canto dell'ufficiatura funebre o di una sua parte in onore del defunto.
3 Cfr. At 1,8; I lettera di san Clemente Romano 5, 4, 7 e 17, 1, 2; Martyrium Polycarpi 1, 1;
4 I termini martyrion, memoria nell'ambito della chiesa antica, indicarono i luoghi di Terrasanta riferibili a fatti della Bibbia e della vita di Cristo. Più frequentemente però gli stessi termini furono usati per i luoghi che nei cimiteri fuori città avevano raccolto le spoglie mortali dei martiri. Pare che il martyrion abbia avuto origine con il culto stesso dei martiri, derivato a sua volta dal culto comune dei morti, allorché alla preghiera per il martire si aggiunse la preghiera per ottenerne l'intercessione (v. lipsanotica). Presso il martyrion fu celebrata l'eucaristia, non in occasione dei regolari servizi domenicali, ma nelle ricorrenze anniversarie e in altre occasioni particolari. Per tale ragione i martyria più antichi si distinsero dai normali luoghi di culto e formarono un gruppo particolare di luoghi di culto dedicati a Cristo, sempre più importanti a causa della crescente devozione. La memoria degli apostoli Pietro e Paolo sulla via Appia antica, databile intorno alla metà del III sec., è l'unico martyrion precostantiniano sicuramente identificato. Eretto su di una precedente area cimiteriale, la memoria sull'Appia antica si componeva principalmente di un cortile e di un portico, quest'ultimo forse destinato al culto. L'età costantiniana segna la prima grande fioritura di fondazioni memoriali: molte di esse, specialmente a Roma e in Terrasanta, hanno come fondatore lo stesso Costantino o sua madre Elena, oppure altri membri della famiglia imperiale. Pare che tali martyria siano stati i primi edifici monumentali di questo genere; essi comunque costituirono il punto di partenza per gli ulteriori sviluppi. A Roma si costituirono basiliche accanto ad alcune catacombe in cui erano stati deposti i corpi dei martiri Pietro e Marcellino, Lorenzo, Agnese; rispettivamente ai cimiteri al Vaticano e lungo la via Ostiense le tombe sub divo degli apostoli Pietro e Paolo divennero il centro degli edifici a loro dedicati. Sulla memoria Apostolorum alla via Appia sorse una basilica simile a quella dedicata ai SS. Marcellino e Pietro, senza un legame preciso con il santuario precedente. Ben presto fra i fedeli si diffuse il desiderio di essere sepolti ad sanctos, cioè nelle immediate vicinanze delle tombe. Ciò forse indusse lo stesso Costantino a costruire accanto alla memoria di Pietro e Marcellino il grande mausoleo nel quale fu sepolta sua madre Elena, e sua figlia Costanza ad erigere per sé il mausoleo accanto alla chiesa di S. Agnese. La dinastia teodosiana volle il suo mausoleo accanto a S. Pietro. In Terrasanta i martyra di Cristo furono parte di un complesso più vasto di edifici: così a Betlemme e a Gerusalemme, per esempio, il vero m. è un edificio centrale; per la celebrazione dell'eucaristia, in ambedue i casi, si costruì accanto una basilica a cinque navate. Da quanto s'è detto, risulta chiaro che il m. dei primi tempi ebbe sempre origine dalla venerazione di una tomba o di un luogo di memorie. Senonché sin dall'epoca costantiniana cominciò ad affermarsi un nuovo tipo di martyrion: quello, cioè, sorto non in corrispondenza di una tomba o di un luogo memoriale, ma per raccogliere le reliquie di un martire. Il primo esempio di questo tipo di edificio memoriale pare che sia stato la chiesa degli apostoli a Costantinopoli, fatta erigere da Costantino o da Costanzo II, per accogliere i corpi degli apostoli Andrea e Luca e del discepolo Timoteo. Il nuovo tipo di martyrion in breve volger di tempo prevalse e si diffuse in tutto il mondo cristiano. Il collocamento dell'altare sulla memoria fu attuato, forse per la prima volta, nella chiesa della Moltiplicazione dei Pani presso il Lago di Tiberiade, verso la fine del IV secolo. L'espandersi del culto dei martiri nel V e VI sec. ebbe, molte volte, come conseguenza, l'ingrandimento di santuari più antichi o la costruzione ex novo di edifici più ampi. Si ricorda l'ampliamento dei martyria di S. Felice a Cimitile da parte di S. Paolino di Nola. Ma nel V e ancor più nel VI sec. divenne sempre più frequente la consuetudine di destinare a martyrion un piccolo edificio appositamente costruito in connessione con un più vasto edificio di culto. Nella maggior parte dei casi però non si trattò di veri e propri martyria, perché l'altare contenne solo particole di reliquie. Nella Siria settentrionale, dal principio del V sec. in poi, nelle chiese di culto normale è di regola destinare a m. il vano meridione dell'abside, che contiene molte volte alcuni sarcofagi con particole di reliquie. Ma anche il corpo di S. Sergio fu probabilmente tumulato in una tricora annessa al santuario della basilica a lui dedicata a Resafa. L'uso di collocare la mensa eucaristica immediatamente sopra la tomba del martire, praticato in Occidente già durante il V sec. in alcuni martyria dell'Africa settentrionale, divenne generale e quasi obbligatorio a partire dal VI secolo. Di conseguenza, alle vecchie basiliche costruite vicino alle catacombe romane se ne sostituirono nuove, costruite così che la mensa potesse collocarsi proprio sulla tomba del martire (per esempio S. Lorenzo, S. Agnese e forse anche SS. Nereo ed Achilleo a Domitilla); o si trasferirono i corpi dei martiri nelle vecchie chiese, dove ovviamente furono collocati sotto l'altare (s. Pancrazio). A S. Pietro in Vaticano, sotto il pontificato di Gregorio Magno si collocò l'altare su un podio rialzato in una cripta costruita intorno al monumento sepolcrale dell'apostolo. Tale soluzione costituì il modello per le future chiese con cripta dell'alto Medioevo in Occidente.
5 In merito non sono mancati abusi e defezioni, prossimi al paganesimo, inficiati dall'ignorante superstizione o mossi da scopo di lucro.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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