Cavro o cavaro o capro espiadoro, ostia e vitima

Re: Cavro o cavaro o capro espiadoro, ostia e vitima

Messaggioda Berto » dom gen 03, 2016 2:46 pm

Il «capro espiatorio» degli ebrei prefigura il sacrificio di Gesù?
03/10/2013 di Redazione Toscana Oggi
Daniela Nucci

http://www.toscanaoggi.it/Rubriche/Risp ... io-di-Gesu

Una domanda a partire dalla festa ebraica dello «yom kippur» (dell’espiazione). Risponde Giovanni Ibba, docente di ebraismo alla facoltà Teologica dell'Italia centrale.
Percorsi: Spiritualità e teologia

La festa ebraica dello «yom kippur» (dell’espiazione) nella quale il capro espiatorio prende su di sè i peccati di Israele e morendo redime tutto il popolo, poteva essere un riferimento per Gesù che offre la sua vita per la salvezza dell’uomo?

Lo yom kippur si riferisce a un giorno dell’anno che Dio ha comandato di dedicare all’espiazione per i peccati del popolo, come si vede nel capitolo 16 del Levitico. In questa sezione del testo biblico si legge che due capri verranno presi da Aronne e posti davanti alla tenda del convegno.

Dopo aver tirato la sorte sui due animali, viene deciso quale dei due sarà sacrificato al Signore (YHWH) e quale ad Azazèl, forse un demone che si credeva vivesse nel deserto. Quello destinato al Signore verrà scannato come sacrificio per il peccato del popolo e poi seguiranno complessi riti di aspersione del sangue dell’animale; poi, finiti tutti i gesti purificatori, Aronne prenderà tutti i peccati purificati dal primo capro e li porrà, con l’imposizione delle mani, sul secondo animale. Il capro verrà condotto nel deserto e lì lasciato. Il testo spiega che «così porterà sopra di sé tutte le (…) colpe in una regione remota». Collocare le colpe degli israeliti su un capro che dovrà andare nel deserto, quindi un luogo lontano da quello in cui vive il popolo, è indubbiamente una sorta di esorcismo, un allontanamento del male al di fuori.

Entrambi i capri hanno una funzione importante rispetto alla questione dell’espiazione. Ora, rispetto a Gesù, la questione va affrontata premettendo che il problema del peccato nel pensiero ebraico è fondamentale e complesso e che, al tempo di Gesù, la questione era molto sentita. La funzione sacerdotale (Aronne) nell’adempiere il comando del sacrificio espiatorio è stata a volte messa in relazione con il ministero di Gesù che, oltre ad essere lui stesso visto come sacerdote (vedi lettera agli Ebrei, ma si parla di un sacerdozio che difficilmente è collegabile con quello aronitico di cui sopra) è stato visto anche come vittima sacrificale (vedi l’ecce Agnus Dei, ma anche in questo caso ci sono problemi a collegarlo col capro espiatorio, come si vedrà più avanti) per i peccati dell’uomo.

Le prime comunità cristiane ravvedevano una correlazione tra il capro espiatorio (quale?) di Levitico 16 e la vicenda di Gesù, morto per i peccati dell’uomo? È bene rilevare che la questione è molto più articolata di quanto si possa pensare. Innanzitutto, è da capire se per espiazione dei peccati s’intende la stessa cosa del perdono dei peccati di cui parla Gesù. Detto in parole semplici, l’espiazione dev’essere intesa come un atto mediante cui il popolo può ricominciare a vivere senza il peso di peccati, spesso involontari, che impedirebbero una conduzione di vita adeguata e alla presenza del Signore. L’espiazione riguarda qualcosa che è stato commesso e confessato. Il perdono di cui parla Gesù invece è invece un’azione più radicale, simile a quella sperata da profeti come Isaia, Ezechiele o Geremia e il cui soggetto dell’azione del perdonare è Dio stesso e non un intermediatore come il sacerdote, anche se esso opera in nome suo.

Il perdono si esplica nel cristianesimo soprattutto nel momento del battesimo, dove il catecumeno fa l’esperienza di una purificazione mediante lo Spirito che lo rende nuovo in un modo sostanziale. Tale purificazione può essere intesa come un perdono, ma non solo nel senso di una rimozione delle tracce dei peccati, come appunto poteva avvenire durante lo yom kippur, ma anche e soprattutto come rimozione della causa stessa dei peccati. Gesù, dopo il battesimo, opera con lo Spirito una purificazione interiore dell’uomo, un perdono che precede il peccato stesso, se così si può dire.

La risposta di Pietro, riportata in tre modi differenti nei sinottici, alla domanda di Gesù sulla propria identità è al riguardo significativa: Gesù è il Figlio del Dio vivente (Mt 16,13-20); è il Cristo (Mc 8,27-30); è il Cristo di Dio (Lc 9,18-21). Tutti i tre titolo attribuiti a Gesù riguardano un personaggio che non è né sacerdote nel senso del Levitico, né vittima sacrificale come s’intende nel testo biblico. Se Gesù fosse visto come capro espiatorio, allora i romani che lo crocifiggono sono sacerdoti. I titoli espressi dai sinottici indicano indiscutibilmente, soprattutto Matteo e Luca, che Gesù non ha la stessa funzione del sacerdote nel rito dell’espiazione, e nemmeno di quello del capro espiatorio, in quanto il sacrificio di quest’ultimo è destinato ad estinguersi in un certo tempo. Ciò che fa Gesù riguarda il perdono, e questo era una cosa che solo Dio si pensava potesse fare. Gesù è un uomo, ma è anche Figlio del Dio vivente o Cristo di Dio. Il senso è che, come Figlio o Cristo di Dio, egli ha le caratteristiche, mediante lo Spirito, per poter operare quello che solo Dio può fare. Con l’espiazione, in qualche modo, il problema del peccato non è risolto in modo definitivo; con Gesù il perdono avviene con la sua vita e il suo insegnamento una volta per sempre.

Vorrei infine sottolineare che non si deve parlare di un «superamento» dell’espiazione con il perdono di Gesù. Il primo rimane sempre valido nella misura in cui esso rende cosciente l’uomo della sua natura e, quindi, della sua totale dipendenza dal suo Creatore; il secondo, pur operando alla radice della natura umana, non esclude il continuo richiamo che Israele fa nel ricordare che l’uomo dipende dal Signore. Sul piano dei segni vorrei anche dire che la vicenda di Gesù termina con la crocifissione e questo, almeno sul piano simbolico, non ha nulla a che vedere né con lo sgozzamento del primo capro, né con l’allontanamento del secondo nel deserto.


Yom Kippur
https://it.wikipedia.org/wiki/Yom_Kippur

Yom Kippur (יום כפור yom kippùr, "Giorno dell'espiazione") è la ricorrenza religiosa ebraica che celebra il giorno dell'espiazione. Nella Torah viene chiamato Yom haKippurim (Ebraico: יום הכיפורים, "Giorno degli espiatori"). È uno dei cosiddetti Yamim Noraim (Ebraico, letteralmente "Giorni terribili", più propriamente "Giorni di timore reverenziale"). Gli Yamim Noraim vanno da Rosh haShana a Yom Kippur, che sono rispettivamente i primi due giorni e l'ultimo giorno dei Dieci Giorni del Pentimento.
Yom Kippur è la ricorrenza ebraica con maggiore Qedushah; Shabbat è giorno "solenne" con Qedushah maggiore rispetto agli altri oltre questo giorno di redenzione.
...
Fino alla distruzione del Secondo Tempio (70 d.C.), una delle cerimonie più importanti era l'offerta del "capro emissario", o "capro espiatorio" (Levitico 16:8-10) che ogni anno, nel giorno di Kippur, veniva mandato a Azazel. Azazel è una parola oscura che non si trova in nessuna altra parte della Bibbia ebraica. La parola può derivare da 2 parole, ez, che significa capro, e azel, che significa partenza. La Mishnah (Yoma cap. 6) ed il Talmud (Yoma, fogli 66-67) descrivono in dettaglio il trasporto di questo capro all'esterno del Tempio e di Gerusalemme, verso il deserto cui conduceva i peccati del popolo ebraico. Il Talmud e Rashi, il più autorevole commentatore della Torah, spiegano esplicitamente che Azazel è il nome di un precipizio dove il capro sacrificale veniva precipitato.


Capro espiatorio in J.G. Frazer e René Girard
07 sabato Jun 2008
Posted by Giovanni Pistolato in Antropologia

https://pistolato.wordpress.com/2008/06 ... ene-girard

Il capro espiatorio era una capra che durante le feste ebraiche dello Yom Kippur, il Giorno dell’espiazione, veniva allontanata nel deserto in seguito a un rito nel quale il sacerdote del tempio di Gerusalemme, ponendo le mani sulla testa dell’animale,confessava tutti i peccati del popolo d’Israele. Il rito, meticolosamente descritto nella Bibbia ( Levitico, 16 ), aveva come fine quello di espiare tutte le colpe del popolo ebraico, addossate simbolicamente alla capra, la quale si rendeva protagonista di tale espiazione andando a morire nel deserto.

L’espressione ‘capro espiatorio’ ha poi assunto un senso figurato e precisamente indica un individuo o un gruppo sociale che viene selezionato per portare la colpa di una calamità e la cui espulsione rappresenta l’espiazione della colpa stessa. In realtà, la ricerca del capro espiatorio è qualcosa che trascende il concetto di giustizia e la cui origine va identificata piuttosto nell’atto irrazionale di ritenere una o più persone responsabili di una determinata situazione problematica, che può essere di qualsiasi genere.

In questo scritto tratterò unicamente le versioni che ne hanno dato gli antropologi James George Frazer ne ‘Il Ramo d’oro’ e René Girard ne ‘Il capro espiatorio’.

Prima di tutto va sottolineata una differenza fondamentale nella trattazione di questo argomento da parte dei due celebri antropologi: il Frazer esamina il capro espiatorio in una dimensione prettamente religiosa e rituale, limitandosi ad elencarne i principali esempi nel mondo antico e primitivo, senza indagare la cosa in termini etnologici. Per intenderci, il Frazer non analizza l’espressione ‘capro espiatorio’ in base al significato che tutti intendiamo quando affermiamo di un individuo o di una minoranza che essi servono da capro espiatorio a una maggioranza, ma interpreta questo fenomeno esclusivamente come una categoria religiosa a cui in passato corrispondevano determinati riti.

René Girard studia invece l’argomento da una prospettiva diversa, discutendo attorno al meccanismo inconscio della rappresentazione e dell’azione persecutoria e ragionando unicamente sul senso figurato dell’espressione.

James George Frazer
...

René Girard

René Girard ( nato ad Avignone nel 1923 e tuttora in vita) è un celebre antropologo e critico letterario. Autore di diversi testi appartenenti al campo dell’antropologia filosofica ( “Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo”, “ La violenza e il sacro”, etc.) la sua opera ha avuto ripercussioni su studi di psicologia, storia, teologia e sociologia. La sua teoria principale è quella che vede nel sacrificio la via d’uscita dalla violenza ‘mimetica’, ovvero imitativa. Girard analizza principalmente le origini della violenza e il legame strettissimo che congiunge quest’ultima al sacro, e concepisce l’Uomo come il più mimetico di tutti gli animali, ovvero il più portato in assoluto all’imitazione. La sua è una prospettiva cristiana, cosa che gli è valsa numerose critiche, nonostante egli abbia più volte affermato che la sua opera va letta esclusivamente per il suo contenuto antropologico e considerata come una qualsiasi teoria scientifica.

Ne ‘Il capro espiatorio’ (1982) prende in esame il meccanismo persecutorio che si cela dietro il fenomeno del capro espiatorio, dandone infine un’originale interpretazione.

Girard afferma che tutto l’ordinamento culturale trova le sue radici nel sacrificio, il quale implica una vittima scelta per caso o che magari non ha nulla a che vedere con l’evento accaduto. Condizione di base per la ricerca di un capro espiatorio è uno stato di crisi, che comporta l’indebolimento delle istituzioni normali e favorisce l’istituzione di folle, cioè di assembramenti popolari spontanei, che finiscono col sostituirsi interamente a istituzioni indebolite o con l’esercitare su di esse una pressione decisiva. Le circostanze che danno vita a queste crisi sono cause esterne come epidemie, inondazioni, carestie, oppure cause interne, come discordie politiche o conflitti religiosi. In casi di tal genere si verifica una radicale rovina del sociale stesso, la fine delle regole e delle differenze che definiscono gli ordini culturali, dal momento che il crollo delle istituzioni cancella o comprime le differenze gerarchiche. La crisi dunque, comporta una indifferenziazione generalizzata: infatti la confusione produce l’insorgere delle folle e gli uomini in questo stato si assomigliano in maniera disordinata in un solo luogo, nello stesso momento. La folla tende sempre alla persecuzione in questi casi perché le cause naturali di ciò che la sconvolge non possono interessarla. La folla, per definizione, cerca l’azione, ma non può agire sulle cause naturali. Dunque cerca una causa accessibile che sazi la sua brama di violenza; i suoi membri quindi sono sempre dei persecutori in partenza, perché pensano di purgare la comunità dagli elementi impuri che, secondo loro, la corrompono. Essi arrivano sempre a convincersi che un piccolo numero di individui, spesso uno solo, possa rendersi estremamente nocivo all’intera comunità, malgrado la sua debolezza relativa.

Girard sostiene la presenza di accuse caratteristiche nelle persecuzioni collettive. Quest’ultime riguardano: crimini di violenza che hanno per oggetto gli esseri verso i quali la violenza è più criminale (come re, padri, individui inermi, bambini…), crimini sessuali (incesti, stupri, bestialità) e crimini religiosi (profanazione di templi o edifici religiosi, mancata osservazione di un dettame religioso, etc.). Tutti questi crimini, a guardar bene, si rivolgono contro le fondamenta stesse dell’ordine culturale, le differenze familiari e gerarchiche senza le quali non vi sarebbe ordine sociale.

In altri casi, succede spesso che nella scelta delle vittime non siano determinanti dei crimini, quanto piuttosto l’appartenenza a certe categorie particolarmente esposte alla persecuzione. Queste categorie sono sempre minoranze etniche o religiose, le quali tendono a polarizzare contro di sé l’odio delle maggioranze. Nella società occidentale ad esempio gli Ebrei sono stati frequentemente perseguitati; lo stesso è accaduto ai musulmani in India e, caso ancor più celebre, ai cristiani durante l’Impero Romano.

Esiste anche un terzo criterio di selezione vittimaria: accanto a criteri religiosi ed etnici infatti ve ne sono anche di puramente fisici. La malattia, l’instabilità mentale, le deformità genetiche e le mutilazioni accidentali tendono anch’esse a polarizzare i persecutori.

In generale, più ci si allontana dallo stato sociale comune, più aumentano i rischi di persecuzione, e lo si vede facilmente non solo nel caso di coloro che stanno in fondo alla scala sociale, ma anche di quelli che la presiedono: i ricchi, i potenti, i sovrani, i detentori del potere. La storia dell’umanità infatti è piena di monarchi e governatori uccisi dalle folle in periodi di crisi, nella speranza e nella convinzione che con l’eliminazione fisica di quest’ultimi si potesse tornare a uno stato di normalità.

Infine, ultimo criterio di selezione vittimaria è quello che colpisce gli stranieri: nell’ottica degli indigeni essi sono incapaci di rispettare le vere differenze e il più delle volte o non hanno gusto o sono privi di buoni costumi. In realtà, a far paura dello straniero non è tanto l’altro νόμος, una cultura differente, ma l’anomalia, l’anormalità. Per tutti gli individui scorgere la differenza fuori dal sistema è terrificante perché fa capire la verità del sistema, la sua relatività e la sua fragilità, nonché la sua mortalità.

Questi sono i vari stereotipi della persecuzione e, secondo Girard, essi sono tutti riscontrabili nel mito greco, il quale tra l’altro ha la caratteristica di partire molto spesso da una situazione di crisi per concludersi poi con un vero e proprio ritorno all’ordine. Il caso più eclatante è il mito di Edipo trattato nell’ “Edipo re” da Sofocle. La peste devasta Tebe; ed ecco il primo segnale. Edipo è responsabile perché si è macchiato di parricidio e di incesto con sua madre, crimini che appartengono alle categorie prima esposte: ed ecco il secondo stereotipo. Per mettere fine all’epidemia, il responso dell’oracolo esige che si cacci via da Tebe l’abominevole criminale. Altro stereotipo: Edipo, come dice il nome stesso, zoppica; è dunque fisicamente deforme. Infine, è straniero e non è uno qualsiasi, ma il re, categoria altamente esposta alla persecuzione.

Chiaramente, quanto maggiore è il numero di segni vittimari che un individuo possiede, tanto più maggiori sono le possibilità che egli attiri su di sé l’odio della massa, e alla luce di quanto appena detto Edipo è un vero e proprio agglomerato di segni vittimari.

L’argomentazione di Girard si fa ancora più interessante nel momento in cui prende in esame anche la Bibbia, in particolare il Nuovo Testamento. Il capro espiatorio nei Vangeli è ovviamente il Cristo, vittima innanzitutto di una profonda crisi della società ebraica, che sfocerà nella distruzione totale dello Stato meno di mezzo secolo dopo per mano del futuro imperatore romano Tito.

I Vangeli non si servono certo dell’espressione ‘capro espiatorio’ per designare il Messia ma ne usano un’altra: agnello di Dio. Essa esprime, come capro espiatorio, la sostituzione di una vittima a tutte le altre. Ma scambiando i connotati sgradevoli e ripugnanti del capro con quelli interamente positivi dell’agnello, quest’espressione indica con maggior efficacia l’innocenza della vittima e l’ingiustizia della sua condanna, oltre che l’assenza di causa dell’odio che subisce.

L’antropologo francese afferma che i Vangeli respingono la persecuzione, e tale rifiuto risulterebbe chiaro specialmente nel racconto della passione del Cristo, in cui è più volte messa in evidenza la non colpevolezza di Gesù e l’irrazionalità dei sentimenti negativi che egli ha finito col catalizzare contro di sé. Pilato ad esempio, dopo aver interrogato Gesù, afferma: Io non trovo in lui alcun capo d’accusa. (Giovanni-18, 38). Giovanni riporta anche questa frase (15, 25): Essi mi hanno odiato senza una causa. Nella sua apparente banalità, questa sentenza enuncia il rifiuto delle accuse stereotipate e di tutto quello che le folle persecutorie accettano ad occhi chiusi. Gesù inoltre è continuamente ricollegato a tutti i capri espiatori dell’Antico Testamento; egli è la pietra scartata dai costruttori che diverrà testata d’angolo.

I persecutori di Cristo, come tutti i persecutori del resto, credono sempre nell’eccellenza della loro causa ma in realtà odiano senza causa; e soprattutto, non sanno quello che fanno: Padre mio, perdonali, perché essi non sanno quello che fanno (Luca-23, 34), affermazione che non mette in risalto solo la bontà del Cristo, ma la natura irrazionale della rappresentazione persecutoria.

Girard si serve poi di due episodi evangelici per mettere nuovamente in luce l’importanza della massa nella persecuzione di un individuo: la decisione finale di Pilato sulla sorte di Gesù e il rinnegamento di Pietro.

Nel momento in cui sentenzia l’innocenza del Cristo, Pilato non è ancora dominato dall’influsso della folla. Egli è colui che detiene veramente il potere, ma al di sopra di lui vi è la folla che, una volta mobilitata, ha la vittoria assoluta, trascina dietro di sé le istituzioni e le costringe a dissolversi in se stessa. Questa folla è “il gruppo in fusione, la comunità che si dissolve e non può più rinsaldarsi se non a spese della sua vittima, del suo capro espiatorio. Non si tratta di studiare la psicologia di Pilato, bensì si sottolineare l’onnipotenza della folla, a cui, malgrado le sue velleità di resistenza, l’autorità sovrana è costretta a inchinarsi”. Nella visione di Girard dunque, il famoso gesto del lavarsi le mani del governatore romano non è né il paradigma della codardia né uno dei più grandi esempi di democrazia del mondo antico (Pilato decide di lasciare l’ultima parola al popolo), ma piuttosto la dimostrazione del meccanismo mimetico (nella fattispecie vittimario) che la massa innesca, in situazioni come queste, su qualsiasi individuo.

L’episodio del rinnegamento di Pietro ne è un’ulteriore riprova: nemmeno i discepoli più cari in realtà possono resistere all’effetto di capro espiatorio, il che rivela l’onnipotenza della folla e della rappresentazione persecutoria sull’Uomo.

A tal proposito, Girard scrive: “All’origine del rinnegamento c’è forse una certa paura ma c’è soprattutto vergogna. La vergogna è un sentimento mimetico, è senz’altro il sentimento mimetico per eccellenza. Per provarlo, bisogna che io mi guardi con gli stessi occhi di chi mi fa vergogna. Pietro ha vergogna di quel Gesù che tutti disprezzano, vergogna del modello che si è dato, vergogna quindi di ciò che lui stesso è. Per non farsi crocifiggere il modo migliore è fare come tutti gli altri e partecipare alla crocifissione. Il rinnegamento è dunque un episodio della passione, una specie di risucchio, un breve vortice nella vasta corrente del mimetismo vittimario che spinge tutti verso il Golgota.”

Secondo Girard infine i Vangeli e la rivelazione cristiana hanno svolto un ruolo decisivo nella storia occidentale: il crollo dell’intera rappresentazione persecutoria. Respingendo quest’ultima, ne hanno smontato gli ingranaggi, mettendoli così allo scoperto. La riprova di tutto ciò starebbe nel fatto che al giorno d’oggi, più che nei secoli scorsi, crediamo sempre meno alla colpevolezza delle vittime che i meccanismi persecutori esigono. Nel mondo antico era diverso, e Girard si serve anche dell’etimologia per dimostrarlo: nel latino classico ad esempio non c’è alcuna implicazione d’ingiustizia nei termini persequi e persecutio. Anche in greco, martyr significa soltanto testimone, e sarà solo l’influenza cristiana a fare evolvere la parola verso il significato attuale di innocente perseguitato, di vittima eroica di una violenza ingiusta.

Solo i testi evangelici hanno saputo compiere il “miracolo” (così lo definisce Girard) di distogliere gli uomini dalle loro vittime, di dimostrare loro che chi perseguita lo fa senza un motivo. Hanno insegnato loro inoltre ad esplorare pazientemente le cause naturali di una crisi, senza buttarsi a capofitto su presunte cause sociali, ossia vittime.

“È in corso una rivoluzione formidabile. – scrive Girard – Gli uomini, o almeno certi uomini, non si lasciano più sedurre dalle persecuzioni, nemmeno da quelle che fanno appello alle loro credenze. Lungo tutta la storia occidentale le rappresentazioni persecutorie si indeboliscono e crollano. Questo non sempre significa che le violenze diminuiscono di quantità e di intensità. Significa tuttavia che i persecutori non possono più imporre durevolmente il loro modo di vedere agli uomini che li circondano. Ci vollero secoli per demistificare le persecuzioni medievali, bastano pochi anni per screditare i persecutori contemporanei. Responsabile di tutto ciò è la rivelazione di Cristo”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Cavro o cavaro o capro espiadoro, ostia e vitima

Messaggioda Berto » dom gen 03, 2016 3:03 pm

Mashiach (o Moshiach) e Mesia (Messia)

https://it.wikipedia.org/wiki/Escatologia_ebraica

La parola ebraica Mashiach (o Moshiach) si riferisce alle idee giudaiche attorno alla figura del Messia. Come la parola italiana Messia, Mashiach significa unto.

Nella bibbia il rito dell'unzione di un re viene citato tutte e sole le volte che c'è un cambio di dinastia: esso perciò esprime approvazione divina e conferisce legittimità. Analogamente il rito viene eseguito per conferire la carica di sommo sacerdote; figura spesso indicata come "il sacerdote, quello unto" (Cohen ha-Mašíaḥ). L'unico personaggio, non rientrante in queste due categorie, a cui viene attribuito questo titolo è l'imperatore Ciro il Grande (Isaia 45,1), il cui ruolo di liberatore del popolo ebraico lo rende quasi un prototipo del messia escatologico.

Nell'Era Talmudica il titolo Mashiach o מלך המשיח, Méleḫ ha-Mašíaḥ (nella vocalizzazione tiberiense pronunciato Méleḵ haMMāšîªḥ), letteralmente significa "il Re unto", e si riferisce al leader umano e re ebraico che riscatterà Israele nella "Fine dei giorni" e che la condurrà verso un'era messianica di pace e prosperità sia per i vivi che per i morti.

Il Messia ebraico, quindi, si riferisce a un leader umano, discendente fisicamente dalla stirpe di Re Davide, che governerà e unirà il popolo di Israele[2] e che lo condurrà verso l'Era Messianica di pace globale e universale. Il Messia ebraico, a differenza di quello cristiano, non viene considerato divino e non corrisponde alla figura di Gesù di Nazaret.

https://it.wikipedia.org/wiki/Messia
Nell'antichità l'olio d'oliva era la base di ogni unguento o profumo. L'unzione, perciò, era parte della vita quotidiana e simbolo dei momenti di gioia (cfr. ad esempio nella Bibbia Pr 27,9 e Qo 9,8). Nel libro dell'Esodo (Es 30, 22-33) viene stabilita la composizione di un olio rituale, profumato per un terzo con mirra, per un terzo con cassia e per un sesto ciascuno con cinnamomo e canna aromatica. L'olio sacro serve per esprimere il compiacimento divino, cioè per consacrare tramite un rito di unzione sacra il tabernacolo, i suoi arredi e i ministri del culto.

Analogamente nella Bibbia compare il rito di unzione del re, ma solo in occasione di cambi di dinastia, quando risultava indispensabile esprimere il compiacimento divino. Particolarmente significativa è l'attribuzione di "unto" al re persiano Ciro, che ovviamente non si era sottoposto ad alcun rito ebraico, per sottolineare che egli aveva svolto una funzione salvifica e regale stabilita da Dio.

La nozione di Messia, quindi, è strettamente legata a quella di "regalità" e tale regalità è, nell'alveo delle culture antiche del Vicino Oriente, frutto di una investitura divina.

E come in Egitto, dove il faraone è indicato come figlio di Ra (il dio Sole), o come per il re, rappresentante del Dio nazionale, in Mesopotamia, allo stesso modo l'investitura del re di Israele richiede riti liturgici. La sostanziale differenza nella cultura ebraica è mantenere il privilegio della liturgia dell'unzione con l'olio d'oliva nell'investitura regale rispetto all'incoronazione.

Quindi il re d'Israele è l'"Unto di JHWH", il Dio nazionale ebraico, come gli antichi re mesopotamici erano gli «Unti di An o di Enlil».
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Re: Cavro o cavaro o capro espiadoro, ostia e vitima

Messaggioda Berto » dom gen 03, 2016 7:36 pm

Yom Kippur
https://it.wikipedia.org/wiki/Yom_Kippur

Yom Kippur (יום כפור yom kippùr, "Giorno dell'espiazione") è la ricorrenza religiosa ebraica che celebra il giorno dell'espiazione. Nella Torah viene chiamato Yom haKippurim (Ebraico: יום הכיפורים, "Giorno degli espiatori"). È uno dei cosiddetti Yamim Noraim (Ebraico, letteralmente "Giorni terribili", più propriamente "Giorni di timore reverenziale"). Gli Yamim Noraim vanno da Rosh haShana a Yom Kippur, che sono rispettivamente i primi due giorni e l'ultimo giorno dei Dieci Giorni del Pentimento.
Yom Kippur è la ricorrenza ebraica con maggiore Qedushah; Shabbat è giorno "solenne" con Qedushah maggiore rispetto agli altri oltre questo giorno di redenzione.
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Fino alla distruzione del Secondo Tempio (70 d.C.), una delle cerimonie più importanti era l'offerta del "capro emissario", o "capro espiatorio" (Levitico 16:8-10) che ogni anno, nel giorno di Kippur, veniva mandato a Azazel. Azazel è una parola oscura che non si trova in nessuna altra parte della Bibbia ebraica. La parola può derivare da 2 parole, ez, che significa capro, e azel, che significa partenza. La Mishnah (Yoma cap. 6) ed il Talmud (Yoma, fogli 66-67) descrivono in dettaglio il trasporto di questo capro all'esterno del Tempio e di Gerusalemme, verso il deserto cui conduceva i peccati del popolo ebraico. Il Talmud e Rashi, il più autorevole commentatore della Torah, spiegano esplicitamente che Azazel è il nome di un precipizio dove il capro sacrificale veniva precipitato.





???

Ekupetaris, eppetaris 1
viewtopic.php?f=89&t=2132


Ekupetaris
viewtopic.php?f=89&t=146
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... psU2s/edit
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Re: Cavro o cavaro o capro espiadoro, ostia e vitima

Messaggioda Berto » gio gen 07, 2016 9:21 pm

El sagrefiço de łi butini e de łi primanati, ciamàsti anca “fiołi de Dio”

I MITI DEL MONDO MODERNO
de Mircea Eliade
http://www.cristinacampo.it/public/mirc ... isteri.pdf

pajna 121
...

A noi, eredi e beneficiari della grande rivoluzione religiosa giudeo- cristiana, le ingiunzioni di Jahvè sembrano di un buon senso evidente, e ci domandiamo come gli Ebrei contemporanei di Isaia abbiano potuto preferire il culto del dio maschio e fecondatore a quello, infinitamente più puro e più semplice, di Jahvè. Ma non bisogna dimenticare che queste epifanie elementari della vita, che hanno costantemente attirato gli Ebrei, costituivano vere esperienze religiose. Il paganesimo, a cui gli Ebrei ritornavano periodicamente, rappresentava la vita religiosa di tutto l'Oriente antico: era una religione grande e molto antica, dominata dalle ierofanie cosmiche, e che esaltava di conseguenza la SACRALITA' DELLA VITA.
Questa religione, le cui radici penetrano profondamente nella protostoria dell'Oriente, rifletteva la scoperta della sacralità della vita, la presa di coscienza della solidarietà che unisce il cosmo all'uomo e a Dio.

I sacrifici frequenti e cruenti, che disgustano Jahvè e che i profeti non cessano di combattere, assicurano la circolazione dell'energia sacra fra le diverse regioni del cosmo; grazie a questo circuito la vita totale riesce a conservarsi.
Anche l'odioso sacrificio di bambini offerto a Moloch aveva un senso profondamente religioso.
Con esso si rendeva alla divinità ciò che le apparteneva, poiché il primo figlio era spesso considerato figlio del dio; infatti in tutto l'Oriente arcaico le fanciulle trascorrevano solitamente una notte nel tempio, dove concepivano per opera del dio (cioè del suo rappresentante, il sacerdote, o del suo inviato, lo «straniero»).

Sicché il sangue del bimbo accresceva l'energia impoverita del dio, poiché le cosiddette divinità della fertilità esaurivano la loro sostanza nello sforzo di conservare il mondo e assicurare la sua opulenza; anch'esse avevano quindi bisogno di essere periodicamente rigenerate. (35)


Il culto di Jahvè respinge tutti questi rituali cruenti che pretendevano di assicurare la continuazione della vita e della fecondità cosmiche. La potenza di Jahvè è di ordine completamente diverso: non ha bisogno di essere periodicamente rafforzata.

La semplicità del culto, tratto caratteristico del monoteismo e del profetismo giudaici, corrisponde indicativamente alla semplicità originaria del culto degli Esseri Supremi presso i «primitivi». Come abbiamo già detto, questo culto è quasi scomparso, ma sappiamo in che cosa consisteva: offerte, primizie e preghiere rivolte agli Esseri Supremi. Il monoteismo giudaico ritorna a tale semplicità di mezzi cultuali.

Inoltre, il mosaismo pone l'accento sulla FEDE, cioè su un'esperienza religiosa che implica una interiorizzazione del culto; in ciò consiste la sua più grande novità. Si potrebbe affermare che la scoperta della fede come categoria religiosa è l'unica novità apportata dalla storia delle religioni dopo il neolitico.
Osserviamo che Jahvè continua ad essere un Dio forte, onnipotente e onnisciente; ma, anche se è capace di manifestare la sua potenza e la sua saggezza nei grandi avvenimenti cosmici, preferisce rivolgersi direttamente agli uomini, si interessa alla loro vita spirituale. Le potenze religiose mosse da Jahvè sono POTENZE SPIRITUALI. Questo cambiamento della prospettiva religiosa è molto importante e bisognerà riparlarne.
...

pajna 156

SACRIFICI UMANI.

Abbiamo appena visto in che senso i miti della creazione a partire da una totalità primordiale o attraverso una ierogamia cosmica vengono riattualizzati nei rituali della Terra Madre, rituali che comprendono sia l'unione sessuale cerimoniale (replica della ierogamia) sia l'orgia (ritorno al caos primordiale). Ci resta ora da ricordare alcuni riti che sono in relazione con l'altro mito della creazione, quello che parla del mistero della creazione delle piante alimentari attraverso il sacrificio di una dea ctonia.

Sacrifici umani sono attestati in parecchie religioni agrarie, anche se la maggior parte delle volte questo sacrificio era diventato simbolico. (58)
Disponiamo tuttavia di documenti che riguardano sacrifici reali: i più conosciuti sono quelli del "meriah" presso i Khond dell'India e il sacrificio delle donne presso gli Aztechi.
Ecco, in poche parole, in che consistevano questi sacrifici.
Il "meriah" era una vittima volontaria, comperata dalla comunità; lo si lasciava in vita per anni, poteva sposarsi e aveva figli. Pochi giorni prima del sacrificio il "meriah" veniva consacrato, cioè identificato alla divinità a cui si stava per sacrificare: la folla danzava attorno a lui e lo venerava. Poi ci si rivolgeva alla terra: «O dea, ti offriamo questo sacrificio; dacci buoni raccolti, buone stagioni e buona salute!». E si aggiungeva, rivolgendosi verso la vittima: «Ti abbiamo comperato e non ti abbiamo preso a forza; ora ti sacrifichiamo secondo l'usanza e nessuna colpa ricada su di noi».
La cerimonia comprendeva anche un'orgia che durava parecchi giorni. Infine il "meriah" veniva drogato con oppio e, dopo essere stato strangolato, tagliato a pezzi. Tutti i villaggi ricevevano un frammento del suo corpo che veniva sepolto nei campi. Il resto del corpo era bruciato e le ceneri sparse sulle zolle. (59) Questo rito cruento corrisponde chiaramente al mito dello smembramento di una divinità primordiale. L'orgia che l'accompagna ci fa intravedere anche un altro significato: i pezzi del corpo della vittima erano assimilati alla semente che feconda la Terra Madre. (60)

Presso gli Aztechi una fanciulla, Xilonen, che simboleggiava il nuovo mais, veniva decapitata; tre mesi dopo, anche un'altra donna che incarnava la dea Toci, «Nostra Madre» (che rappresentava il mais già raccolto e pronto per l'uso), era decapitata e scorticata. (61) Tale rito era la reiterazione rituale della nascita delle piante per mezzo dell'autosacrificio della dea. Altrove, per esempio presso i Pawnee, il corpo della fanciulla era smembrato e i pezzi sepolti nei campi.
(62) Dobbiamo concludere, anche se siamo ben lontani dall'aver evocato tutti gli attributi della Terra Madre, tutti i suoi miti e i suoi riti importanti. Abbiamo dovuto fare una scelta e fatalmente alcuni aspetti della Terra Madre sono stati tralasciati. Non abbiamo insistito sull'aspetto notturno e funerario della Terra Madre in quanto dea della morte; non abbiamo parlato delle sue caratteristiche aggressive, terrificanti, angoscianti. Ma anche a proposito di questi aspetti negativi e angoscianti non bisogna perdere di vista una circostanza: la terra diventa dea della morte proprio perché è sentita come la matrice universale, come la fonte inesauribile di ogni creazione. La morte non è in se stessa una fine definitiva, non è 'annientamento assoluto, come viene talvolta concepita nel mondo moderno. Il morto viene assimilato alla semente che, sepolta nel grembo della Terra Madre, darà origine a una nuova pianta. Così si può parlare di una visione ottimistica della morte, poiché la morte viene considerata come un ritorno alla madre, un nuovo ingresso provvisorio nel grembo materno.

Proprio per questo ritroviamo fin dal neolitico il seppellimento in posizione embrionale: i morti vengono deposti nella terra nella posizione di embrioni, come se si attendesse che ritornassero incessantemente alla vita. La Terra Madre, come indica il mito giapponese, è stato il primo morto; ma la morte di Izanami fu nello stesso tempo un sacrificio compiuto per accrescere e diffondere la creazione. Di conseguenza, la morte e la sepoltura erano un sacrificio alla terra. Insomma, proprio grazie a questo sacrificio la vita può continuare e i morti sperano di poter ritornare alla vita.
L'aspetto terrificante della Terra Madre in quanto dea della morte trova la sua giustificazione nella necessità cosmica del sacrificio, senza il quale non è possibile il passaggio da un modo d'essere a un altro; il sacrificio assicura anche la circolazione ininterrotta della vita.
Tuttavia non bisogna perdere di vista questa fatto importante: raramente la vita religiosa è stata monopolizzata da un unico «principio», raramente si è esaurita nella venerazione di un unico dio o di un'unica dea. Come abbiamo già detto, non si trova in nessun luogo una religione «pura», «semplice», riducibile a una sola forma o ad una sola struttura. La predominanza dei culti celesti o tellurici non esclude affatto la coesistenza di altri culti e di altri simbolismi. Studiando una certa forma religiosa si corre sempre il rischio di attribuirle un'importanza esagerata e di lasciare nell'ombra altre forme religiose, in realtà complementari anche se possono sembrare talvolta incompatibili. Studiando i simbolismi e i culti della Terra Madre bisogna sempre attendere a tutto un insieme di credenze che coesistono con quelli e che spesso rischiano di passare inosservate.

«Sono figlio della Terra e del Cielo stellato», è scritto su una tavoletta orfica.
Quest'affermazione vale per un grande numero di religioni.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Cavro o cavaro o capro espiadoro, ostia e vitima

Messaggioda Berto » ven gen 08, 2016 7:57 am

Purusa (cfr. co ła trinità cristiana e l sagrefiço de Cristo ???)

https://it.wikipedia.org/wiki/Puru%E1%B9%A3a
Puruṣa (devanagari पुरुष) è un termine della lingua sanscrita dal significato di "essere umano" o anche "maschio".

Nella letteratura sacra dell'induismo il termine è stato utilizzato in tre principali accezioni:

"Uomo cosmico": l'essere primordiale increato che, secondo i Veda, fu sacrificato per dare origine al mondo manifesto.
"Spirito": uno due princìpi eterni della realtà, secondo la visione del Sāṃkhya.
"Essere supremo": usato in associazione coi termini para, parama o anche uttama come appellativo di alcune divinità nelle correnti devozionali, soprattutto le krishnaite.
...

Nell'inno (X, 90) del Ṛgveda, detto anche Puruṣa sūkta, un inno del tardo periodo vedico, il Puruṣa è descritto come tanto vasto da coprire e lo spazio e il tempo; ma di questo essere immenso, che può essere visto come la personificazione della realtà ancora immanifesta, è visibile soltanto un quarto. Da questo quarto ebbe origine innanzitutto il principio femminile (virāj) e quindi l'umanità. Il Puruṣa venne poi steso per terra dai deva e offerto in sacrificio secondo il rito, affinché avessero origine il mondo, gli animali, le caste, altri dèi, e i Veda stessi:
« Da questo sacrificio, compiuto fino in fondo, / si raccolse latte cagliato misto a burro. / Da qui vennero le creature dell'aria, / gli animali della foresta e quelli del villaggio. // Da questo sacrificio, compiuto fino in fondo, / nacquero gli inni e le melodie; / da questo nacquero i diversi metri; / da questo nacquero le formule sacrificali. »
(Ṛgveda X, 90, 8-9; citato in Raimon Panikkar, Op. cit., 2001, p. 101)

Il sacrificio è dunque l'atto col quale il mondo viene creato: l'Uomo cosmico, il Puruṣa, sacrifica una parte di sé per dare origine all'umanità e all'universo. Per tre quarti però il Puruṣa resta «in alto», trascendente, privo del suo quarto immanente, ed è tramite il sacrificio stesso (yajña) che l'umanità restituisce al Puruṣa, in quello che come fa notare il teologo Raimon Panikkar, è un dinamismo duplice.
« Con il sacrificio gli Dei sacrificarono al sacrificio. / Quelli furono i primi riti stabiliti. / Queste forze salirono fino al cielo / dove risiedono gli antichi Dei e altri esseri. »
(Ṛgveda X, 90, 16; citato in Raimon Panikkar, Op. cit., 2001, p. 101)

Da solo o in associazione con alcuni aggettivi come para ("superiore"), parama ("altissimo"), uttama ("supremo"), il termine puruṣa è spesso utilizzato nei testi della letteratura sacra devozionale per riferirsi al Dio. Per esempio, in uno dei testi sacri della tradizione vaiṣṇava leggiamo:

(SA)
« dharmasya sūnṛtāyāḿ tu / bhagavān puruṣottamaḥ / satyasena iti khyāto / jātaḥ satyavrataiḥ saha »

(IT)
« apparso nel grembo di Sūnṛtā, moglie di Dharma / la suprema Persona della Divinità / celebrata quindi come Satyasena / nacque con le Satyavrata »
(Śrīmad Bhāgavatam 8.1.25; citato in Bhaktivedanta VedaBase)

Sempre nell'ambito della tradizione vaiṣṇava, il deva Nārāyaṇa, che sarà successivamente assimilato a Viṣṇu, è identificato con il Puruṣa nello Śatapatha Brāhmaṇa.




Cfr. co puro

http://www.etimo.it/?term=puro
Immagine

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... r-puro.jpg
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Re: Cavro o cavaro o capro espiadoro, ostia e vitima

Messaggioda Berto » ven gen 22, 2016 8:27 pm

.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Cavro o cavaro o capro espiadoro, ostia e vitima

Messaggioda Berto » mar feb 20, 2018 9:57 am

???

Petizione · Istituzioni democratiche: Mai più fascismi

https://www.facebook.com/francomatteo.m ... 1209593531

...
Gino Quarelo
La spiritualità è diversa dalla religiosità. La religiosità è la spiritualità naturale e universale modificata/modellata/trattata dalle religioni. L'usanza di sacrificare i figli maschi primogeneti è universale e appartiene a tutte le credenze religiose preistoriche, apparteneva quindi anche ai cananei come alla gente di Abramo che poi ha portato l'innovazione religiosa di sacrificare un capro espiatorio animale al posto del figlio primogenito, detto anche figlio di Dio in alcune tradizione religiose per l'usanza delle donne di offrirsi al tempio nell'ambito della prostituzione sacra (...). Quella di Abramo è un'innovazione religiosa però sempre nell'ambito della tradizione idolatra; anche altre tradizioni religiose avevano innovato nella protostoria in questo modo. La spiritualità è cosa diversa e non richiede alcun sacrificio cruento ... . Il percorso spirituale umano segue la via della liberazione dalle credenze religiose che sono tutte idolatre, alcune ancora disumane terrificanti e orrende come quella maomettana, piena di sangue.

Tutti questi elementi delle tradizioni religiose idolatre primitive e dette pagane dai monoteisti : primogenito, figlio di dio, sacrificio del caproespiatorio (umano, animale, alimentare), incarnazione divina e divinizzazione umana (dello sciamano, del sacerdote, del re, dell'imperatore, del messia), li ritroviamo anche nei monoteismi ebraico e cristiano.
Nella fola religiosa idolatra cristiana addirittura il capro espiatorio è divenuto un evento cosmico in cui è Dio stesso che sacrifica suo figlio per la salvezza dell'umanità e si ripete nel rito/cerimonia della messa e dell'eucarestia. E lo si ritrova nel martire che si offre-immola volontariamente come Cristo.

Nell'idolatria maomettana dell'orrore e del terrore il sacrificio umano lo abbiamo nello sterminio degli infedeli o miscredenti che si rifiutano di farsi islamici e nel martirio degli assassini di Allà che muoino uccidendo.






Gino Quarelo Il sano nazionalismo è un valore/diritto umano fondamentale
viewtopic.php?f=205&t=2721

Giovanni Gugliantini "
Tutti di matrice socialista"?
Ma tu stai molto male, stai.

Franco Matteo Mascolo
Se non ci fosse stata anche la lotta dei comunisti russi ed europei contro i nazifascisti, col czz che l'Europa partigiana col solo aiuto degli U.S.A. sarebbe riuscita a disarcionare i pazzoidi fanatici di Hitler e Mussolini, egregio GQ. Concordo però con l'idea (Hannah Arendt) che la rivoluzione dei marx-leninisti finisca sempre male col Terrore, come con la Rivoluzione Francese, e che sia molto meglio la rivoluzione americana dei tempi di Washington (sempre la Arendt)

Franco Matteo Mascolo
a Gino sano nazionalismo di Hitler, Mussolini e Stalin? con le loro dittature micidiali? ma Hannah Arendt non ci insegna nulla?/ un sano amore per il proprio popolo non significa diventar razzisti, quando l'amore alla nazione fa a pugni col disprezzo verso quelli che ne hanno un'altra, diversa...

Gino Quarelo
Non avrei mai immaginato che Fb ti controllasse i singoli post e li oscurasse come spam. E' come se ti togliesse la libertà di parola.

Franco Matteo Mascolo
Scriverò a Fb per capire, perchè io stesso mi son meravigliato di questa (credo in buona fede) invadenza gratuita, strana e mai accaduta prima; probabilmente un errore degli operatori tecnici che avevano collegato la tua frase legittima alle immagini denigratorie dei dittatori di dx e sinx; ma bisogna distinguere tra dittature razziste (nazifasciste) e non razziste (comuniste), almeno questo devi pur riconoscerlo, affinchè il tutto non sia una notte in cui tutte le vacche appaiano nere

Franco Matteo Mascolo
Mi sembra che tutto sia tornato a posto, probabilmente le immagini dei dittatori sono state interpretate dall'operatore Fb come una tua condivisione mentale ( e anche io le avrei considerate malefiche da non condividere mai) e forse non era stato letto il tuo commento. Comunque dissento dall'idea tua che il socialismo sia originariamente malefico - come tu credi - esso si è incamminato male perchè influenzato dalla pessima filosofia posthegeliana; Marx diceva sì che aveva rimesso in piedi una giusta dialettica che in Hegel era astratta e con i piedi in su, ma poi non ci è riuscito molto perchè il materialismo dialettico di Lenin e soci è poco profondo filosoficamente ed eticamente e quindi va combattuto, modificato, corretto, nelle sue distorsioni. Tu "devi" diventar socialista, perchè è giustizia sociale e democrazia reale, è giusta divisione delle ricchezze e delle risorse ma bisogna imparare dalla filosofia biblica, MOSAICA (3300 anni fa!!!) di cui Marx è MOLTO INCONSCIO seguace ma che non ha saputo capire e apprezzare forse perchè la società era ancora troppo ANTISEMITA (cristiani cattolici e protestanti, Hegel come postluterano antisemita probabilmente senza rendersene conto) e il Carlo Marx non ha saputo evidenziare scientificamente la dura protesta profetica ebraica contro le ingiustizie dei ricchi dei tempi ante Cristo e non ha saputo leggere il messaggio di Gesù in senso ebraico proletario profetico...(cosa che Bertrand Russdell ha bene intuito nella sua Storia della filosofia occidentale, rara avis in murmure vasto, pur essendo un matematico... e... ateo... - fossero tutti così gli atei, ci metterei la firma :-) !

Gino Quarelo
Trovami una comunità umana che non sia un convento o un kibbutz, un paese, uno stato dove il socialismo sia stato e sia realizzato in modo volontario e pacifico, liberale e democratico, per adesione spontanea e senza coercizione.
Il socialismo è una dimensione sociale elementare compatibile unicamente con le piccole comunità come le famiglie, i clan nomadici del Paleolitico, con le comunità volontarie gerarchizzate dei conventi, con le piccole realtà socio economiche come i kibbutz israeliani; con le comunità animali degli insetti tipo i formicai e gli alveari organizzate in una gerarchia naturale attorno a un centro regale che genera la vita e la continuità della specie.
Su grande scala è un disastro e richiede un'organizzazione statuale gerarchizzata, militarizzata, ideologizzata, massificante e violenta come tutte le esperienze del novecento hanno dimostrato.
Le violazioni più tragiche dei valori, dei doveri e dei diritti umani si sono verificate nei regimi social (fascisti, nazisti, comunisti).
In Italia i promotori del socialismo e del comunismo sono prevalentemente individui che traggono sostentamento dallo stato e dalla sua imposizione-coercizione-estorsione fiscale, sono tutti mangiatori di tasse, parassiti, violenti.

Franco Matteo Mascolo
Lo Stato deve pur organizzarsi, magari attraverso Regioni autonome o col federalismo, per permettere una vita dignitosa ai propri cittadini. Credo tu abbia errato pesantemente nel tuo primo post, quando sotto all'elogio di un sano nazionalismo hai posto immagini nazi-fasciste e sovietiche che dicono l'esatto contrario e che perciò il tecnico Fb ha considerato improprie perchè troppo contraddittorie; come se tu avessi voluto definire quei regimi come "sani nazionalismi"; l'errore è stato tuo a postare quelle immagini, anzichè di leaders davvero democratici. Spero tu ti sia accorto della tua contraddizione estrema tra a)frase e b)immagini (su Togliatti poi il discorso è complesso, perchè, pur obbediente come leader politico all'URSS, ha cercato però, come possibile al suo tempo, un inserimento concreto del PCI nel sistema democratico costituzionale italiano, rinunciando a imprese di ribaltamento rivoluzionario.

Gino Quarelo
No nessuna contraddizione (l'immagine ha anche un testo che la spiega), tra il sano nazionalismo naturale dei popoli e delle comunità nella loro terra e città che si autodeterminano (che è parte fondamentale dei valori e dei diritti umani universali e base della vera democrazia che è solo quella diretta) e l'insano, innaturale e violento nazionalismo nazi-fascista-comunista-maomettista (fascismo romano, nazismo ariano, comunismo proletario, islamismo dell'umma = tutte dittature, teocrazie, assolutismi, totalitarismi, tutte coercizioni violente basate su falsità mitiche-storiche-sociali-utopiche).

Franco Matteo Mascolo
d'accordo, ma concederai che immettere quelle immagini sotto la tua frase "onesta" appariva come un pugno nell'occhio

Gino Quarelo Israele è un esempio di sano nazionalismo.

Franco Matteo Mascolo Senza problemi? e l'assassinio di Rabin?

Gino Quarelo L'ebreo israeliano che l'ha ucciso lo considerava un traditore.

Franco Matteo Mascolo
Lo Stato Ebraico fu una necessità dettata dall'emergenza dell'antisemitismo aggressivo europeo e non vi fu il "tempo" materiale per contrattare pacificamente con gli abitanti arabi e i potentati arabi della zona; se vi fosse stato il tempo per accorti graduali, però ci sarebbe stata la grave difficoltà delle leggi musulmane pesanti e antiquate nate secoli fa da Maometto in poi della "sharìa" elaborata a Medina (quella della Mecca era molto più "soft" secondo lo studioso Mohamed Taha, un ingegnere islamico progressista fatto fuori dagli integralisti islamici al potere nel Sudan, nel 1985); quindi la gradualità ebraica per una formazione statale avrebbe dovuto superare anche le maglie della "sharia" che prevede per i non musulmani la cittadinanza inferiore di serie B o peggio (per Ebrei e Cristiani, da secoli); e credo che la proclamazione dello Stato per gli Ebrei sia stato proclamato innanzitutto per evitare che le comunità ebraiche dell'"ishuv" in formazione potessero di nuovo "ricadere" sotto la schiavitù della "sharìa" islamica. Ancora oggi gli Ebrei sionisti sono esecrati dalla maggioranza musulmana perchè presso costoro si parte dall'assunto dogmatico imperialistico che tutto il mondo debba diventare musulmano e quindi lo Stato Ebraico potrebbe paradossalmente essere "accettato" soltanto se si convertisse all'Islam :-( il che è un assurdo, il discepolo sostituzionista vuole convertire il maestro ormai ripudiato per orgoglio nazionalistico arabo e credo anche per una forma di razzismo vero e proprio, nel senso di invidia verso la tradizione ebraica, malmenata da Maometto e interpretata come gli pareva...

Gino Quarelo Mi dispiace ma nessun accordo può esserci con i maomettani; con loro vale solo la forza.

Franco Matteo Mascolo
Vuoi giustificare sotto sotto l'assassino di Rabin che assassinava anche la sua politica di ricerca di un rapporto migliorato con gli Arabi...

Gino Quarelo
Io non giustifico nulla, la storia non si giustifica si racconta come è avvenuta: chi l'ha ucciso lo considerava un traditore. All'epoca della formazione di Israele con il ritorno dalla diaspora (provocata dalle invasioni romane e araba e in fuga dall'antisemitismo di origine cristiana) in quelle terre comandava la Gran Bretagna che aveva sconfitto l'impero ottomano che non era arabo.

Franco Matteo Mascolo
Il traditore era l'assassino che non credeva nei processi politici democratici, e Rabin è stato vittima del fanatismo ultranazionalistico integralistico sionistico che si basava sulla estrema diffidenza verso il blocco aggressivo islamico e quindi sulla paura di una sconfitta politica generale causata dalla politica di Rabin di accettazione di compromessi. La tua posizione mi sembra oggettivamente (politicamente e culturalmente e psicologicamente) pressocchè identica a quella dell'assassino di Rabin: nessun dialogo con gli Arabi, in quanto impossibile...

Gino Quarelo
Beh la storia dimostra che Rabin aveva torto; con i nazisti maomettani non è possibile alcun compromesso che non sia la dhimmitudine e quindi la cancellazione dello Stato ebraico di Israele. L'Europa oggi governata dagli omologhi di Rabin sta andano verso la dhimmitudine.

Franco Matteo Mascolo
La storia dimostra che senza dialogo reale e coraggioso tra le parti la guerra continuerà ancora per mille anni se i contendenti non cercheranno di scendere dall'assolutezza delle loro posizioni, per una ricerca di nuova solidarietà culturale e politic...Altro...

Franco Matteo Mascolo
Certamente bisogna rintuzzare con ogni mezzo concreto la pretesa imperialistica islamica di dominare il mondo...

Gino Quarelo
Io spero che gli israeliani e gli occidentali costringano i maomettani a cambiare o li facciano sparire dalla faccia della terra.

Franco Matteo Mascolo
Beh, senza studio e ricerca non si va da nessuna parte, e la politica deve essere sostenuta da una giusta filosofia.

Franco Matteo
Mascolo La ricerca di radici religiose comuni è la giusta strategia per ottenere anche il dialogo politico, a mio modesto parere. E il dogmatismo religioso crea anche il dogmatismo politico di conseguenza, credo

Gino Quarelo
Le radici spirituali comuni di tutti gli uomini vanno oltre le religioni, i loro idoli e i loro profeti. Nel frattempo bisogna vivere e difendersi.

Franco Matteo Mascolo Non afferro il senso di questa tua affermazione

Gino Quarelo Caro FMM fai uno sforzo.

Franco Matteo Mascolo Fallo anche tu, egregio GQ

Gino Quarelo
Spiritualità unversale comune a tutti gli uomini della terra, prima di Abramo e di Noè.

Franco Matteo Mascolo
Quale spiritualità? quella dei Cananei e di tante altre popolazioni anche molto distanti (Aztechi) che sacrificavano i figli credendo di placare le divinità, e a cui si oppose il sentire finale di Abraham, dopo la terribile "prova"?

Gino Quarelo
La spiritualità è diversa dalla religiosità. La religiosità è la spiritualità naturale e universale modificata/modellata/trattata dalle religioni. L'usanza di sacrificare i figli maschi primogeneti è universale e appartiene a tutte le credenze religiose preistoriche, apparteneva quindi anche ai cananei come alla gente di Abramo che poi ha portato l'innovazione religiosa di sacrificare un capro espiatorio animale al posto del figlio primogenito, detto anche figlio di Dio in alcune tradizione religiose per l'usanza delle donne di offrirsi al tempio nell'ambito della prostituzione sacra (...). Quella di Abramo è un'innovazione religiosa però sempre nell'ambito della tradizione idolatra; anche altre tradizioni religiose avevano innovato nella protostoria in questo modo. La spiritualità è cosa diversa e non richiede alcun sacrificio cruento ... . Il percorso spirituale umano segue la via della liberazione dalle credenze religiose che sono tutte idolatre, alcune ancora disumane terrificanti e orrende come quella maomettana, piena di sangue.

Tutti questi elementi delle tradizioni religiose idolatre primitive e dette pagane dai monoteisti : primogenito, figlio di dio, sacrificio del caproespiatorio (umano, animale, alimentare), incarnazione divina e divinizzazione umana (dello sciamano, del sacerdote, del re, dell'imperatore, del messia), li ritroviamo anche nei monoteismi ebraico e cristiano.
Nella fola religiosa idolatra cristiana addirittura il capro espiatorio è divenuto un evento cosmico in cui è Dio stesso che sacrifica suo figlio per la salvezza dell'umanità e si ripete nel rito/cerimonia della messa e dell'eucarestia. E lo si ritrova nel martire che si offre-immola volontariamente come Cristo.

Nell'idolatria maomettana dell'orrore e del terrore il sacrificio umano lo abbiamo nello sterminio degli infedeli o miscredenti che si rifiutano di farsi islamici e nel martirio degli assassini di Allà che muoino uccidendo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Cavro o cavaro o capro espiadoro, ostia e vitima

Messaggioda Berto » ven nov 16, 2018 8:48 pm

“La città senza ebrei”
16 novembre 2018
Micol Flammini

http://www.italiaisraeletoday.it/la-cit ... RvH9zbNuJA

All’inizio il cancelliere austriaco non poteva dirsi un antisemita. Era appena finita la Prima guerra mondiale, l’Austria non era più un impero, era piccola, povera, non contava più nulla. Il cancelliere si rese conto che la popolazione covava dei forti sentimenti di odio contro la popolazione ebraica di Vienna. Girava voce che se gli austriaci si erano improvvisamente ritrovati poveri era colpa degli ebrei, se erano disoccupati, era colpa degli ebrei, se erano stati umiliati con i trattati di pace, era colpa degli ebrei. Sarebbe bastato cacciarli dalla capitale e, almeno per un po’, la popolazione si sarebbe tranquillizzata. Avrebbe pensato all’odio e si sarebbe sentita appagata.

È questa la trama de “La città senza ebrei” – Die Stadt ohne Juden – un film del 1924. La pellicola, ritrovata nel 2015 in un mercatino delle pulci parigino e restaurata l’anno successivo, è tratta da un libro di Hugo Bettauer, un giornalista ebreo che racconta la storia della città alla fine della guerra. Vienna è una città disperata e i politici sono alla ricerca di un capro espiatorio. “Il popolo – annuncia il cancelliere – richiede l’espulsione di tutti gli ebrei” e i duecentomila ebrei della capitale austriaca se ne andarono, al tramonto.

Oggi il film verrà proiettato a Londra, al Barbican Center, con le musiche composte da Olga Neuwirth, musicista ebrea austriaca, che intervistata dal Guardian dice: “L’antisemitismo è parte del sangue austriaco, salta una generazione e poi ritorna”. L’artista racconta che quando il film venne proiettato per la prima volta nel 1924, alcuni gruppi di estrema destra, che ancora non potevano dirsi nazisti, protestarono: “E se è accaduto una volta può accadere di nuovo”, dice la Neuwirth citando Primo Levi.

Nella lunga intervista pubblicata sul Guardian, la musicista spiega che mentre stava lavorando alla partitura non poteva fare altro che provare rabbia, “a un certo punto la musica rifletteva soltanto la mia rabbia personale”, che le scene del film che rappresentavano treni carichi di ebrei diretti verso altre capitali europee o verso la Palestina, erano la chiara prefigurazione di ciò che sarebbe accaduto venti anni dopo. Il regista non poteva saperlo ma quello che stava filmando era una premonizione.

Che “La città senza ebrei” conosca una rinascita nel 2018 è significativo, ha un valore ancora più importante in un’epoca in cui crescono il razzismo, il nazionalismo, il populismo, l’antisemitismo: “Ci sono dei parallelismi chiari con i nostri giorni – dice Neuwirth – Il linguaggio tossico sta generando odio oggi come allora”.

La proiezione del film a Londra è parte della stagione Barbican’s Art of Change, il cui scopo è indagare come gli artisti possono rappresentare e cambiare il panorama politico.

“Donald Trump e gli altri demagoghi di destra in tutta Europa mostrano come il linguaggio e la retorica possono essere usati per scatenare l’odio, questo film mostra esattamente questo: come l’odio può essere creato, fabbricato, stimolato per scopi politici”. L’odio come collante, come strumento per unificare una società frammentata, povera, smarrita di fronte ai fenomeni della storia. Tutto questo è già avvenuto e sta accadendo anche oggi.

Un rapporto dell’Fbi, pubblicato dal Washington Post all’inizio di questa settimana, mostra come nel 2017 i crimini d’odio negli Stati Uniti siano aumentati del 17 per cento. La maggior parte, il 37 per cento, sono crimini contro le comunità ebraiche. Il dato fa riflettere, fa allarmare, è il risultato della debolezza di una leadership politica che usa l’odio, perché è la base più semplice sulla quale costruire un governo. “Spero che il film possa aiutare a capire e a pensare a che punto siamo e cosa sta andando storto”, spiega la Neuwirth. Il romanzo e il film terminano in modo diverso.

Bettauer alla fine del libro racconta che l’Austria chiede agli ebrei di tornare: “Vienna aveva capito che così si stava rassegnando ad avere una società mediocre, aveva bisogno degli ebrei”, spiega la musicista. Una delle caratteristiche che resero l’Austria famosa e grande fu proprio la componente ebraica, Arnold Schoenberg, Arthur Schnitzler, Stefan Zweig, Sigmund Freud.

Il film invece termina con un consigliere antisemita che con stupore si sveglia ubriaco in una taverna viennese ed esclama: “Grazie a Dio, ho fatto soltanto uno stupido sogno, siamo esseri umani, non abbiamo bisogno dell’odio, vogliamo vivere, vogliamo vivere tutti insieme e in pace”. Il finale però non piacque allora a Bettauer, che pochi anni dopo morì ucciso dai nazisti mentre il regista del film si arruolò nel partito nel 1940, e non piace oggi alla Neuwirth la quale ha commentato: “È vero, dovremmo volerci tutti bene, ma il punto del romanzo era dimostrare che odiare è talmente facile e vivere in pace è così difficile, che tra le due opzioni la prima viene più naturale e per questo siamo a rischio”. L’odio è una scappatoia, la via breve che i governi percorrono per restare in piedi e come ricorda il film e come suggerisce la Neuwirth è il modo più semplice di governare.



Alberto Pento
Cosa mai c'entra Donald Trump che ama gli ebrei, difende Israele e ha una figlia che ha sposato un ebreo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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