Croxade (Crociate)

Re: Croxade (Crociate)

Messaggioda Berto » mer dic 30, 2015 10:29 pm

Ma sto ki cosa sało de storia?

Fanatici islamici contro fanatici (e statalisti) cattolici
1 dicembre 2015 Giovanni Tenorio
http://libertino.is/?p=682

Cari amici, che ne direste se un vostro vicino di casa, al quale non avete fatto niente di male, se la prendesse con voi perché i suoi antenati di quattro o cinque generazioni fa erano in lite con i vostri; e insistesse a dire che la ragione era dalla loro parte, e che quindi è giusto che lui, in quanto discendente, rimanga in conflitto con quelli della parte avversa, cioè con voi e i vostri familiari? Gli dareste del mentecatto, se siete persone con la testa sulle spalle. Se invece siete della sua stessa pasta, vi mettereste ad altercare con lui, sostenendo che invece erano i vostri antenati ad avere ragione. Si monterebbe una lite futile, fondata su recriminazioni che non avrebbero più ragione di essere, e su ricostruzioni di fatti che nessuno più può sapere come si siano svolti nella realtà, in un contesto di interessi e di passioni che con l’oggi non hanno più nulla che fare, e fra persone ormai morte, sepolte e putrefatte.

Vi sembra che vi stia portando un esempio bislacco? Proprio no. Allarghiamo un po’ lo sguardo, allontaniamoci dalle beghe tra vicini di casa, e guardiamo alle odierne recriminazioni che coinvolgono popoli e civiltà. Oggi parte del mondo islamico, quello che a torto o a ragione viene chiamato fondamentalista, accusa l’opulento mondo “cristiano” (quello che ormai di Cristo se ne fa poco o nulla) di essere responsabile delle Crociate, e pretende di fargliene pagare il prezzo.
Sarebbe opportuno lasciar cadere accuse e pretese tanto ridicole. Le Crociate sono acqua passata, ormai consegnata alle pagine dei libri di Storia. Tocca agli storici darne un giudizio, che proprio in quanto giudizio storico non può e non deve incidere sugli attuali rapporti fra mondo “cristiano” e mondo islamico.
Furono un bene, furono un male le Crociate? Contribuirono davvero – di là dal significato che ai loro tempi vollero avere – a favorire l’amalgama fra culture differenti, a rinvigorire i rapporti commerciali fra terre lontane, ad avvicinare Oriente ed Occidente? Qualcuno dice di sì, qualcuno dice di no. Furono, almeno all’origine, il frutto di un autentico spirito religioso? Dante mette Maometto, malamente sconciato da repellenti ferite, tra i seminatori di discordie, e fa del proprio antenato Cacciaguida un santo, proprio perché se lo figura morto come un martire nella Crociata guidata dall'”imperator Currado” a difesa della fede cristiana contro i musulmani, “quella gente turpa”. Seminatore di discordie? Gente turpa? Sarà.
Io, da buon epicureo, mi sento molto vicino a Federico II di Svevia (come uomo di cultura, perché come anticipatore dello Stato moderno – ma non tutti sono d’accordo – mi fa un pochino ribrezzo). Ebbene, Federico ammirava il mondo islamico di allora, parlava correntemente l’arabo, aveva alla sua corte di Palermo dotti provenienti dalle terre degli “infedeli”, faceva tradurre dall’arabo in latino opere di scienza e di filosofia. Era amico di al-Malik-al-Kamil, sultano d’Egitto, nipote del Saladino. Probabilmente il suo sogno era quello di costruire un mediterraneo pacificato, dove musulmani e cristiani potessero vivere in pace, scambiando merci e idee, senza pretendere di imporre con la forza ciascuno la propria religione. Aveva promesso al papa di guidare una Crociata. La prima volta lasciò partire le truppe, ma si guardò bene dall’andarci di persona. La seconda volta al momento della partenza si ammalò. Il papa non gli credette e gli inflisse una bella scomunica. Alla fine Federico una Crociata la preparò e la portò a termine davvero. Ma, invece, di far ricorso alle armi, si mise d’accordo con l’amico sultano, ottenendo da lui , per dieci anni, la città di Gerusalemme e i territori circostanrti, fino a uno sbocco sul mare, esclusa la spianata dell’antico tempio ebraico, quella da cui, secondo la tradizione, Maometto avrebbe spiccato il volo verso il cielo. Ottimo, verrebbe voglia di dire, e cristianissimo! Risultato raggiunto, senza spargere una goccia di sangue. Il papa però non la pensava così. Patteggiare con gli infedeli è un “impius foedus”; con loro non si dovrebbe neppur commerciare. La scomunica fu rinnovata. Qualcuno dice che Federico sia morto musulmano. Forse è una bufala, ma se fosse vero mi farebbe un piacere immenso.
Nel dibattito sulle Crociate, ammesso e non concesso che la Storia debba esprimere giudizi morali, l’unica Crociata da esaltare per la sua moralità è proprio quella “empia” di Federico II. Non c’è proprio nulla di bello nella conclusione della prima Crociata, che a differenza delle successive ebbe un esito vittorioso non del tutto effimero. Le truppe “cristiane”, dopo aver sgozzato senza pietà tutti quelli che incontravano in Gerusalemme, una volta espugnate le mura, senza distinguere tra musulmani ed ebrei, e forse scannando anche qualche cristiano ortodosso (chi poteva distinguerli, in quella confusione?) entrarono nella moschea di al-Aksa con i cavalli immersi fino al morso e alle ginocchia in un lago di sangue! Forse quelle anime pie se ne facevano un vanto, pensando, sulla linea di quel che avrebbe detto più tardi Bernardo di Chiaravalle, che il Crociato uccide il peccato, non il peccatore. Quel sangue però era dei peccatori, non del peccato.
Storia, Storia, lasciamola perdere! Invece c’è qualcuno che alle recriminazioni dei fondamentalisti islamici d’oggi non si perita di rispondere da fondamentalista “cristiano”. Afferma che tutte le Crociate furono un atto di difesa dall’aggressione islamica. Innanzitutto, sembra confondere le Crociate propriamente dette con le varie campagne di difesa dagli attacchi all’Europa provenienti dal modo islamico, si tratti di Arabi o di Turchi ( si pensi alle scorrerie che minacciarono più d’una volta Roma nei secoli dell’Alto Medioevo, oppure, specie dopo la presa di Bisanzio ad opera di Maometto II, all’aggressività dell’Impero Turco, rintuzzata a Lepanto nel 1571 e a Vienna nel 1683). Queste sì sì erano forme di legittima difesa. Portare la guerra in Terrasanta, no: proprio quanto le Crociate intendevano fare, magari falciando anche qualche ebreo durante il viaggio, com’era giusto contro il popolo deicida. Ma dove hanno studiato questi signori? Forse, visto che sono sostenitori delle rivendicazioni venetiste, dimenticano che proprio Venezia, nella storia delle Crociate, fra tanti episodi carichi di orrore, si è riservata forse la pagina meno onorevole. Anno 1202, la Serenissima accetta di mettere a disposizione le sue navi per la Quarta Crociata, a patto però che, prima di raggiungere la Terrasanta, le truppe le diano una mano a domare la ribellione di Zara. Affare fatto, cristiani contro cristiani. Ma c’è di peggio, molto peggio. A Zara il principe bizantino Alessio si presenta ai Crociati chiedendo anche lui un favore: dovrebbero aiutarlo a riconquistare il trono imperiale occupato dall’usurpatore Isacco. Affare fatto ancora una volta. Vengono rimessi sul trono i legittimi regnanti, ma a Bisanzio Veneziani e Crociati si comportano con tale arroganza che la popolazione si ribella. La spedizione in favore del legittimismo imperiale si trasforma in una guerra contro l’Impero di Bisanzio. Di nuovo, cristiani contro cristiani. Sulle macerie della monarchia bizantina si instaura l’Impero Latino d’Oriente. Dal saccheggio della gloriosa capitale i Veneziani si accaparrano tante preziose opere d’arte, fra cui i famosi cavalli che adornano (ora in copia) la facciata della cattedrale di San Marco… Il solco fra cattolici e ortodossi si approfondisce. Guerra agli infedeli? Vogliamo scherzare? Da quel momento cominciano anche le Crociate volute e benedette, con mandato esplicito, dal papato per far guerra ad altri cristiani, come la famigerata Crociata degli Albigesi, che distrusse la meravigliosa civiltà provenzale dei trovatori.
Sapete come vengono giustificate moralmente le Crociate dai medesimi signori di cui sopra? Era un diritto, anzi un dovere dei cristiani andare a recuperare i luoghi santi, conquistati dagli infedeli con atti di violenza. Andiamoci piano! Che la religione di Maometto teorizzi la lotta armata, con tanto di conquiste tereritoriali, contro gli infedeli, è innegabile. Che i territori dove hanno sede i luoghi santi fossero, prima della conquista araba, sotto la sovranità dell’impero Romano, è altrettanto innegabile. Ma quale Stato non è il frutto di violenze e conquiste territoriali? Non si può ragionare come si farebbe per la proprietà privata, la cui legittimità può essere provata o negata sulla base di prove concrete. Nessuno Stato è legittimo sulla base di principi universali validi in assoluto, ma solo per dichiarazione autoreferenziale! (E’ vero, oggi c’è l’ONU a legittimare gli Stati. Ma l’ONU è formato da Stati che a loro volta si sono autolegittimati). Forse che i Romani non avevano conquistato l’Oriente, Palestina inclusa, con atti d’aggressione? L’Impero Romano, dopo Costantino, diventa cristiano, quindi legittimo? “Cristiano” sì, cristiano no. Quello è proprio il momento in cui Cristo scappa e dall’Impero e dalla Chiesa. Il potere che aveva mandato a morte Cristo nella persona di Ponzio Pilato diventa santo, il popolo di cui Cristo era figlio diventa deicida, solo perché alcuni suoi capi (di allora) e un pugno di mascalzoni ne avevano chiesto “democraticamente” la crocifissione. E allora? Allora, Dio lo vuole, come diceva quello scalmanato di Pietro l’Eremita. Vuole che si accoppino gli infedeli, e fra gli infedeli ci sono anche i perfidi Giudei. “Tantum religio potuit suadere malorum”, a tanto male potè indurre il fanatismo religioso. Lo dice un epicureo come me, il sommo Lucrezio, a proposito del sacrificio di Ifigenia. Ma quelli erano dèi pagani! Forse, però lo Jahvé dell’Antico testamento, così simile all’Allah dei musulmani, non scherzava neppure lui: Il sacrificio di Isacco assomiglia anche troppo a quello di Ifigenia…
Per concludere, non è il caso di lasciarle perdere queste vecchie malinconie, e badare all’oggi?
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Re: Croxade (Crociate)

Messaggioda Berto » sab apr 09, 2016 10:29 pm

«I cristiani che si vergognano delle Crociate sono succubi del laicismo dominante»
di Luigi Negri

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-i-c ... 8.facebook

Recentemente su IlSussidiario.net è apparso un articolo di don Federico Pichetto che condanna le Crociate, di cui i cristiani - dice sostanzialmente Pichetto - dovrebbero vergognarsi perché sono un tradimento del cristianesimo. Il giudizio non riguarda solo l'evento storico in sé ma più in generale la posizione che un cristiano deve avere di fronte alle vicende del mondo, anche oggi. Giudizi gravi che meritano, seppure a distanza di tempo, una replica puntuale e autorevole.

Caro don Pichetto,

ti scrivo queste righe cercando di rispondere al tuo intervento sulle Crociate.

In effetti tu parli di Crociate che non sono mai esistite: Crociate sostenute dalla nascente borghesia, che come ognun sa, alla fine dell’XI secolo - quando la prima Crociata fu bandita – non c’era nella società europea, o comunque era una minoranza con un potere limitatissimo.
E poi riprendi le Crociate come progetto di imposizione violenta del Cristianesimo a popolazioni straniere.

Non tocca a me rifare il punto su questa vicenda secolare su cui la migliore storiografia, e non solo quella cattolica, ha dato un contributo decisivo.
Per dirla con il mio grande amico Franco Cardini, le Crociate sono state un grande «pellegrinaggio armato», protagonista del quale fu, nei secoli, il popolo cristiano nel suo complesso.
Una avanguardia di santi, una massa di cristiani comuni e, nella retroguardia, qualche delinquente.

Non so quale avvenimento della Chiesa possa sfuggire a una lettura come questa.

Sta di fatto che noi – cristiani del Terzo millennio – alle Crociate dobbiamo molto.
Dobbiamo che non si sia perduta la possibilità dei grandi pellegrinaggi in Terrasanta: nei luoghi della vita storica di Gesù Cristo e della nascita della Chiesa.
Alle Crociate dobbiamo che si sia ritardata la fine della grande epopea della civiltà bizantina di almeno due secoli, e si sono soprattutto salvate dalla dominazione turca le regioni della nostra bella Italia, che si affacciano sul mare Adriatico, Tirreno e Ionio, falcidiate da quelle sistematiche incursioni di corsari e di turchi che hanno depauperato nei secoli le nostre popolazioni.

Anche la tua bella Liguria ha dovuto costruire parte dei suoi paesi e delle sue piccole città a due livelli - il livello del mare e il livello della montagna - per poter sfuggire a queste invasioni che hanno fatto morire nel buio della cosiddetta civiltà araba e islamica centinaia e migliaia di nostri fratelli cristiani, a cui era stata tolta anche la dignità umana e di cui noi facciamo così fatica a fare memoria.

Nessuna realtà cristiana esprime la perfezione della fede che è solo in Gesù Cristo, ma nessuna esperienza cristiana è invincibilmente diabolica. Passare dalla fede alle opere è compito fondamentale del cristiano di ogni tempo.

Ora, per recuperare questa bellezza della storia cristiana bisogna guardare la realtà secondo tutta l’ampiezza cattolica. La mia generazione e quella di molti amici dopo di me - che per l’intelligenza e l’apertura di monsignor Luigi Giussani hanno potuto dialogare personalmente per esempio con Regine Pernoud, con Leo Moulin, con Henri de Lubac, con Hans Urs von Balthasar, con Joseph Ratzinger, con Jean Guitton e molti altri - hanno un sano orgoglio della nostra tradizione cattolica.

Per questo sentono in modo assolutamente negativo desumere acriticamente l’immagine della Chiesa dalla mentalità laicista che cerca di dominare la nostra coscienza e il nostro cuore.

Certo, l’essenza di questa tradizione cattolica - e che, quindi, comprende anche le Crociate - è il desiderio di vivere il rapporto con Cristo e di annunziarlo nella concretezza del suo popolo che è la Chiesa, nelle grandi dimensioni che rendono il cristiano autenticamente uomo: la dimensione della cultura, della carità e della missione. È questo il Cristo che sta all’origine di tante iniziative del passato e del presente. Nessuna iniziativa lo esprime adeguatamente, ma l’assenza di qualsiasi capacità di presenza nel mondo e di giudizio sulla vita degli uomini e sui problemi degli uomini fa dubitare che esista una fede autenticamente cattolica.

La fede in Cristo può rischiare di ridursi a essere spunto per mozioni soggettive e spiritualistiche da cui metteva in guardia il santo padre Benedetto XVI all’inizio della sua splendida enciclica Deus Caritas Est: un Cristo che rischia di stare acquattato nel silenzio della coscienza personale, che non diventa fattore di vita e di cultura, che non tende a creare una civiltà della verità e dell’amore. Ricordo ancora con commozione quando facevo la terza liceo una lezione di Giussani in cui disse letteralmente: «La comunità cristiana tende a generare inesorabilmente una civiltà».

Nella mia esperienza pastorale e culturale ho sempre sentito come punto di riferimento sostanziale la grande certezza di Giovanni di Salisbury che diceva: «Noi siamo come nani sulle spalle di giganti». È perché siamo sulle spalle di giganti che vediamo bene il presente e intuiamo le linee del futuro. È questo che rende così appassionata la nostra responsabilità, senza nessuna dipendenza dagli esiti, con la certezza di portare il nostro contributo, piccolo o grande che sia, alla grande impresa del farsi del Regno di Dio nel mondo, che come dice il Concilio Vaticano II coincide con la Chiesa e la sua missione.

Un cordiale saluto

Monsignor Luigi Negri
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Re: Croxade (Crociate)

Messaggioda Berto » dom apr 10, 2016 9:20 pm

Il saggio (di Franco Cardini). Islam e mondo afro-asiatico-mediterraneo
Pubblicato il 9 aprile 2016 da Franco Cardini

http://www.barbadillo.it/55145-il-saggi ... diterraneo

Pubblichiamo un saggio di Franco Cardini sulle influenze dell’Islam nell’are afro-asiatica e nel Mediterraneo, fino all’avvento del mondo ottomano che pose fine a medioevo

Per cominciare

L’avvento dell’Islam ha modificato il volto del mondo afro-asiatico-mediterraneo. Nel giro di un venticinquennio, fra l’Egira e la metà del secolo VII, l’impero persiano era stato assimilato e quello bizantino costretto a rivedere tutta la sua politica territoriale e difensiva, mentre la potenza marinara dell’Islam lo obbligava ad abbandonare la costa africana e spartire con essa una talassocrazia fino ad allora indiscussa.
Per molto tempo si è sostenuto, sulla base della tesi del grande storico belga Henri Pirenne, che il repentino insorgere della potenza navale musulmana comportò la rottura dell’unità mediterranea che fin lì aveva consentito, sia pure in toni più modesti a causa della crisi demografica e socioeconomica dei secoli VI-VII, il mantenimento delle strutture economiche e dell’omogeneità culturale di tutti i popoli che si affacciavano sul mare: ciò avrebbe determinato un ripiegamento delle aree della vecchia pars Occidentis dell’impero su se stesse, un aggravarsi dei processi di recessione che al loro interno erano già in atto e una decisa avanzata della sua ruralizzazione. In altri termini, i caratteri di quello che per definizione indichiamo come “medioevo” si sarebbero presentati tra VII e VIII secolo, con l’affermarsi dell’egemonia musulmana nel Mediterraneo, piuttosto che non nel V secolo in seguito alla cancellazione istituzionale dell’impero d’Occidente.
In realtà, la crisi economica e commerciale del VI-VII secolo, che proseguì sia pure con alterne vicende e momenti di ripresa fino al X, corrispondeva a un processo lento e profondo ed era dovuta a una serie di concause che non consentono di ricondurla al solo effetto della pressione esercitata dalla marineria corsara saracena. Il che non significa affatto che l’attività corsara dei musulmani non abbia avuto un peso notevole; ma allo stesso tempo la vivacità economica del mondo islamico sarà anche a partire dai primi anni dell’XI secolo una forza trainante per lo stesso Occidente europeo in ripresa.

Gli assetti instabili del Mediterraneo

Con l’avvento al potere dei califfi umayyadi (661-750) la corte di Damasco (una città dalle tradizioni culturali greche) andò sempre più assomigliando a quella bizantina che ne era in effetti l’ammirato modello. Si andarono anche creando un’arte e una letteratura musulmana molto vicina alle grandi tradizioni eclettiche della cultura bizantina, il che comportò un certo lassismo nelle cose relative alla fede. Sotto gli Umayyadi, l’Islam si diffuse in Oriente fino all’Indo Kush e al lago di Aral, a Kabul, all’Uzbekistan.

Per quanto concerne l’Occidente, dopo che Siria e Palestina erano state conquistate dagli arabi tra 633 e 640 e l’Egitto tra 639 e 646, i marinai siriaci ed egiziani avevano abbracciato la nuova fede o si erano comunque messi presumibilmente non senza piacere – loro, cristiani in maggioranza monofisiti e quindi perseguitati e discriminati dall’amministrazione imperiale bizantina – al servizio dei seguaci del Profeta. L’antica provincia romana d’Africa, che gli arabi chiamavano Ifriqiya (comprendente la Tripolitania, la Tunisia e l’Algeria attuali), era stata invasa dai musulmani nel 647: ma solo dal 663 la resistenza bizantina e soprattutto berbera cominciò a cedere. Anche qui, l’apporto di siriani e di egiziani consentì comunque presto ai musulmani d’Ifriqiya di guardar al Mediterraneo.

Nel mondo visigoto di Spagna ci si era allarmati per tempo dinanzi alle notizie dell’avanzata araba lungo le coste dell’Africa settentrionale. Nel concilio di Toledo del 694 il re Egica aveva lanciato l’allarme. Si andava spargendo la voce che gli ebrei, esasperati a causa delle misure vessatorie assunte nei loro confronti, si apprestassero a dar man forte ai “nuovi barbari” che stavano avanzando dall’Oriente; imperversava intanto la guerra civile tra Achila e Roderico per la successione all’ultimo re di Toledo, Witiza; e sembra che Achila – il quale, avuta la peggio, si era rifugiato in Marocco – si rivolgesse per aiuto ai Mauri, (così detti in quanto provenienti dall’antica Mauretania, cioè dal Maghreb) agli arabi conquistatori ma anche ai berberi arabizzati e islamizzati che vivevano con loro:. Los Moros. È stato d’altronde proposto che anche in Spagna e nella Settimania, com’era accaduto in gran parte delle regioni ex-bizantine conquistate dai musulmani, i nuovi arrivati sarebbero stati tutt’altro che malvisti da una parte almeno della popolazione e il loro giogo preferito – perché ben meno pesante e vessatorio – a quello dei dispotici principi cristiani.

Fu probabilmente alla fine del luglio del 711 che una grossa flotta musulmana, al comando del berbero Tariq ibn Ziyàd, prese terra nella baia di Algesiras, che già l’anno prima era stata razziata. Le forze arabo-berbere ascendevano forse a 10.000 uomini circa. Entro il 720, anche la Catalogna e la Settimania, vale a dire tutti i territori della monarchia visigota a sud e a nord dei Pirenei, erano occupate dai musulmani. Ma la conquista saracena della penisola iberica non era totale; fra le asperità dei Pirenei e dei Cantabrici, sopravvivevano dei focolai di resistenza cristiana.

Dalla Spagna e dalla Settimania (la Gallia meridionale), dove i franchi nominalmente dominavano dall’inizio del VI secolo ma le istituzioni erano fragili e le strutture sociali labili, il passo poteva esser breve. Dopo aver occupato Narbona nel 718, gli arabi si presentarono dinanzi a Tolosa nel 721 e conquistarono Nîmes e Carcassonne nel 725. Ormai, l’intera Provenza col bacino del Rodano era teatro delle loro gesta. Secondo una tradizione radicata, i musulmani vennero fermati a Poitiers dal “Maestro di Palazzo” del regno merovingio d’Austrasia, Carlo Martello: tale battaglia, combattuta nel 732 o, come altri sostengono, nel 733, è in sé meno importante del mito cui ha dato origine.

Le scorrerie arabo-berbere provocarono diverse reazioni nel mondo franco, proprio a partire dalle continue campagne di Carlo Martello contro i musulmani del sud della Gallia fra 736 e 739: ma il doppio gioco e il tradimento imperavano, per cui è impossibile parlare, per quegli anni, di vere e proprie spedizioni “dei franchi contro l’Islam”. I musulmani, con i loro raids, facevano parte di una lotta per il potere molto complessa e alla quale solo molti decenni più tardi sarebbe stato possibile – nella memoria collettiva, nutrita e magari condizionata dall’epica – attribuire motivi anche religiosi.

Al “pericolo” costituito dai “mori” di Spagna, la dinastia dei discendenti di Carlo Martello doveva la sua fama e la sua gloria. D’altro canto, anche il rischio d’un’invasione islamica proveniente dai Pirenei era, tra VIII e IX secolo, in pratica nullo. Tuttavia Carlo aveva già tentato nel 776 d’inserirsi nelle lotte fra i piccoli emirati aragonesi con l’intento se non altro di venir riconosciuto come mediatore tra essi. Quell’impresa si era però conclusa male, anche se sarebbe stata destinata ad entrare nella leggenda: difatti appartiene ad essa il celebre episodio dell’imboscata di Roncisvalle, durante la quale sarebbe caduto un collaboratore e parente di Carlo, il comes Rolando. L’episodio avrebbe dato luogo alla più tarda, celebre Chanson de Roland, uno dei testi epici fondamentali del nostro medioevo: ma i guerrieri franchi vennero battuti in quell’occasione non già da musulmani, bensì da montanari baschi ostili alla marcia di un esercito straniero attraverso le loro terre.

Ad ogni modo, Carlo riuscì ad organizzare subito a sud dei Pirenei una marca di confine, la marca di Catalogna, con il ruolo specifico di costituire una testa di ponte per una possibile espansione nella penisola iberica. Grazie ad essa, comunque, l’intera linea dei Pirenei passava sotto il controllo franco. Tuttavia, su una scala più ampia, bisogna dire che nel corso del terzo decennio del sec. VIII la spinta dell’Islam sembrò esaurirsi, trovando i suoi confini tra l’Indo e l’Atlantico, tra il Caucaso e la penisola arabica.

Nel 749 l’ultimo califfo omayyade uscì sconfitto e il califfato di Damasco fu rovesciato a favore di una nuova dinastia: quella degli Abbasidi. Rispetto al passato, gli Abbasidi basavano il nuovo califfato nella loro area di riferimento e in una nuova città appositamente fondata nel 762 dal califfo al-Mansur (754-775), Baghdad sul fiume Tigri. Il luogo da essi scelto per la nuova capitale indicava che ormai il baricentro della nuova dinastia non sarebbe stato più nell’area mediterranea e prossima a Costantinopoli, bensì nell’area mesopotamico-persiana: era in ciò sottinteso un programma di asiatizzazione del califfato, dopo che i califfi di Damasco avevano seguito per un secolo il modello bizantino.

Ma un membro della famiglia califfale ummayade riuscì a raggiungere la penisola iberica e a fondarvi in Córdoba un emirato (dall’arabo amir, “principe”) che riuscì gradualmente a imporre la sua egemonia al punto che nel 929 l’emiro Abd ar-Rahman (912-961) poté assumere il titolo di califfo.Lo spostamento a Oriente del potere centrale islamico condusse a un progressivo indebolimento dell’influenza sulla compagine occidentale del Mediterraneo, che è importante considerare se si vuol comprendere la successiva ripresa della compagine europea.

La più potente fra le dinastie che si affermarono nel Maghreb è quella degli Aghlabiti di Kairuan, in teoria un governatorato per conto degli Abbasidi, di fatto autonoma e a capo di un territorio che copriva Tunisia e Algeria orientale dai primi del IX secolo. La conquista della Sicilia fu tra le principali imprese della dinastia aghlabita. La grande invasione dell’isola partì infatti nell’827 dall’emirato di Tunisi, ma solo ai primi del secolo successivo i musulmani completarono la conquista: se Palermo era già presa nell’831, Siracusa non cadde che nell’878. Secondo la leggenda suddetta, era stata una guerra civile scoppiata tra le fazioni dei governanti bizantini a provocarla. Nell’829 i tunisini assalirono il porto di Roma, Centumcellae, conquistato il quale le bande di predatori colpirono la Tuscia, la Maremma, la Sabina, giungendo fino a saccheggiare le mura delle basiliche suburbane di San Paolo e di San Pietro, subito fuori delle mura dell’Urbe. Due nuove imprese contro Roma, organizzate da Kairuan e da Palermo, si ebbero nell’846 e poi nell’849, sebbene senza grandi risultati. Fu in occasione dell’ultimo assalto che papa Leone IV fece circondare da mura – le “città leonina” – l’area del santuario vaticano di San Pietro. Le scorrerie in Italia meridionale e poi anche verso l’intero Tirreno si susseguivano. Di solito l’obiettivo degli incursori era la razzìa rapida, il prelievo di gente prevalentemente giovane con cui alimentare il commercio degli schiavi, l’occasionale imposizione di tributi e di riscatti: più di rado il raid aveva come esito l’impianto di un “nido” corsaro, che potremmo considerare una piccola colonia commerciale-militare. Ma spesso si trattò anche di veri e propri, duraturi insediamenti: come nel caso delle isole mediterranee di Creta, Malta, Sicilia e dell’arcipelago delle Baleari, tutte conquistate nel corso dei secoli IX-X e mantenute più o meno a lungo.

Intanto, nel corso del X secolo l’emiro Abd ar-Rahman III (912-961), che aveva guidato la dinastia neo-omayyade di Cordoba al massimo splendore e che nel 929 si era arrogato la dignità di califfo, era riuscito a estendere il suo potere anche su una parte del Maghreb occidentale. La penisola iberica si presenta con le sue comunità urbane dinamiche in espansione alla ricerca di intense relazioni commerciali marittime con i paesi sotto il controllo musulmano, dalla Sicilia al Nordafrica, includendo in questa ampia circolazione anche il mondo occidentale che diventa partecipe dei ricercati prodotti d’Oriente. Le città della penisola iberica, cristiane e musulmane, ebbero intorno al Mille rapporti diversi con il mare. Da Barcellona a Siviglia fino ai centri urbani atlantici le città svolsero ruoli diversi nel risveglio del commercio occidentale. La coesistenza dei due mondi cristiano latino e musulmano rappresenta una duplicità di mondi e civilizzazione che con la loro progressiva integrazione avrebbe portato notevoli contributi nella trasformazione del commercio e nel progresso dell’intero bacino del Mediterraneo. Cordoba, la capitale, sede del governo, superava nel X secolo tutte le altre città della penisola: era la regina delle città di Al-Andalus e la sua reggia una meraviglia da Mille e una notte. Protetta dalle flotte armate nei cantieri delle città di Tortosa, Almeria, fino a Lisbona era collegata da una rete di strade con un rapido sistema di corrieri prelevati dal Sudan e appositamente addestrati. Un esercito permamente di 30.000 uomini che probabilmente raggiunse sotto Almanzor il numero di 50.000 uomini completava il quadro difensivo.

Nonostante lo splendore raggiunto nel corso del X secolo, i problemi non mancavano nel califfato umayyade. Arabi e berberi non si erano mai propriamente fusi tra loro: la fiera aristocrazia di coloro che si consideravano i soli autentici eredi del Profeta disprezzava i parvenus africani. Tuttavia era ben presto prevalsa una moderata ma progressiva integrazione fra arabo-berberi da una parte e discendenti dei latini, dei celti e dei germani. La vera distinzione qualificante restava quella tra i musulmani discendenti dei conquistatori, i locali guadagnati in tempi diversi alla fede coranica (i muwalladun) e i cristiani rimasti fedeli alla loro religione ma arabizzati nella lingua e nei costumi, per quanto sovente non dimentichi del latino o meglio dell’idioma volgare che da esso si era sviluppato (i musta’riba, che gli occidentali conoscono meglio col termine di “mozarabi”).

La circolazione di merci e di culture

L’importanza assunta dal commercio arabo nel Mediterraneo si riscontra in primo luogo dalla diffusione delle monete musulmane, che ben presto affiancarono e in molte aree sostituirono o comunque in parte soppiantarono l’egemonia del denarius bizantino, il celebre “iperpero” o “bisante”. A somiglianza del resto del denarius, il dinar arabo – conosciamo bene le coniazioni arabo-sicule – pesava grammi 4,25 d’oro: ma più diffuso di esso era il quarto di dinar, il ruba’i, che si diffuse rapidamente non solo in Sicilia ma anche nell’Italia meridionale peninsulare dove assunse il nome di tari (“fresco”: quindi, moneta appena coniata), un nome che resterà poi tradizionale nella monetazione di quell’area fino a tempi recenti. Le specie argentee erano essenzialmente rappresentate dal dirahm (il nome, passato attraverso il persiano, deriva da “dracma”) di grammi 2,90 e dalla piccola kharruba di 2 decigrammi. I tari erano talmente richiesti e diffusi che nel X secolo amalfitani e salernitani ne producevano imitazioni che tuttavia si riconoscono bene in quanto caratterizzate da iscrizioni in caratteri cosiddetti pseudocufici, che richiamano l’alfabeto arabo ma sono, in realtà, privi di senso. Anche nella Rus’ circolava la moneta araba: meno l’aurea, che probabilmente veniva tesaurizzata con molta cura – anche per la cronica penuria di metalli nobili in quell’area -, molto però l’argentea. Attraverso il mondo musulmano giungevano in Europa le merci preziose provenienti dall’Africa e soprattutto, lungo la via delle spezie e la via della seta, dal continente asiatico. Il commercio arabo-musulmano tra IX e X secolo era meno interessato né al mondo europeo occidentale. Oltre alla Spagna, Ibn Hawqal descrisse la Palermo musulmana, ma si addentrò anche nel Meridione peninsulare italico allora longobardo e bizantino: visitò Salerno, Melfi, la stessa Napoli dove afferma di aver apprezzato personalmente la qualità dei lini, uno dei più pregiati articoli d’importazione della città. Ma, fra i non troppi articoli d’esportazione che il mondo “franco” poteva offrire a quello musulmano, il più ambìto era il ferro. Soprattutto se sotto forma di quelle “spade franche” le quali per le loro doti di solidità e di bellezza erano paragonabili solo al gauhar, l’acciaio bianco yemenita: bello, si diceva, come una stoffa preziosa. Altra merce che poteva provenire dal “paese dei franchi” o dal mondo bizantino attraverso i fiumi russi e il Mar Nero nel dar al-Islam, era il legname essenziale per le marinerie musulmane.

Se il mondo islamico si presenta al proscenio del II millennio della nostra era come molto frazionato sotto il profilo politico, e tale caratteristica ha senza dubbio influito sul declinare della sua potenza, straordinario è stato invece il suo ruolo di mediazione, di originale rielaborazione e di sintesi sotto il profilo scientifico e culturale. “Cercate la scienza dovunque si trovi, fino in Cina”. Questa, secondo un celebre hadith, sarebbe stata una viva raccomandazione del Profeta ai suoi fedeli. È stato grazie anche alla sua straordinaria capacità di sintetizzare e di metabolizzare le culture con le quali esso è venuto successivamente in contatto dall’Arabia fino alle Colonne d’Ercole al bacino dell’Indo e oltre, e dal Caucaso al Corno d’Africa, che l’Islam ha potuto sviluppare tra VII e XVI secolo una civiltà straordinariamente flessibile e multiforme, entrando in vario modo in contatto anche con quelle circostanti: segnatamente con quella euromediterranea “latina”, che ha contratto con esso uno straordinario debito di riconoscenza: non solo perché è stato grazie alle culture musulmana e anche ebraica ch’essa ha potuto rientrare in contatto col patrimonio filosofico-scientifico ellenistico, che in gran parte aveva perduto con l’allontanarsi, dal V secolo, della pars Orientis dalla pars Occidentis dell’impero e con la rottura dell’unità mediterranea dovuta allo stesso rapido insorgere della potenza talassocratica musulmana, ma altresì perché per il tramite musulmano sono pervenuti in Europa molti tesori delle culture persiana, indiana e cinese, fino ad allora inattinti nel mondo mediterraneo. Non si deve pensare al riguardo soltanto ai tre califfati di Baghdad, di Córdoba e del Cairo, centri prestigiosi di studio e di ricerche con le loro “madrase” e le loro immense biblioteche: si deve tener presente altresì che esistevano molti principati musulmani che, pur prestando formale ossequio a uno di essi, vivevano in realtà in maniera autonoma, e che essi erano a loro volta promotori e protettori di centri di elaborazione culturale, da Buchara e Samarcanda fino a Kairuan e a Marrakesh.

La personalità di maggior rilievo nel mondo culturale musulmano di questo tempo è soprattutto Avicenna, filosofo e medico. Abu ‘Ali al-Husayn Ibn Sina, che gli occidentali conoscono come Avicenna, nacque nel 980 presso Buchara e morì a Hamadan nel 1037. Si dice che fu allievo molto precoce, tanto da aver già perfettamente assimilato, appena diciottenne, tutte le opere che il grande centro culturale di Buchara aveva a disposizione. Tuttavia, per una serie di traversie a carattere familiare e politico, egli poté dedicarsi solo in parte allo studio: per il resto, fu costretto ad accettare gravosi incarichi pubblici e ad esercitare, per vivere, la professione di medico. Il corpus degli scritti avicenniani è immenso (si parla di oltre 130 opere) e in gran parte perduto. Anche quel che ci rimane, ci offre soltanto un saggio delle sue conoscenze (egli era difatti obbligato a scrivere in condizioni disagiate, spesso in viaggio, senza i necessari testi di riscontro) ma basta a far individuare in lui uno dei più grandi uomini di pensiero di tutti i tempi. Fedele ai principi pedagogico-culturali islamici – anche se molti studiosi occidentali ne hanno voluto sottolineare la “laicità” – Avicenna radicava il suo pensiero nella teologia: e da essa le sue conoscenze si espandevano verso la matematica, la geometria, le scienze naturali, la musica, l’astronomia.

La letteratura musulmana di questo periodo fu soprattutto scientifica: trattati di storia, di geografia, di astronomia, di medicina, di architettura, ne sono gli esempi più importanti. I geografi arabi del X-XI secolo conoscevano bene la terra e viaggiavano dalla Cina al Circolo Polare all’Africa equatoriale trascrivendo le loro osservazioni in testi che restano classici nella storia delle esplorazioni. Altri importanti protagonisti della cultura scientifica musulmana, che rielaborò il sapere greco antico aggiungendovi i portati di quelli persiano, indiano e cinese, e che sta alla base della scienza moderna, sono ad esempio Geber (Giabir ibn Hayyan), fondatore dell’alchimia del medioevo; il matematico al-Kawarizmi, da cui l’Occidente ha tratto la parola “algorismo”, nel senso di operazione aritmetica; il filosofo al-Farabi. A questa letteratura scientifica di elevatissimo valore si accompagnava tutta una costellazione di poeti e di romanzieri, spesso a carattere anche popolare, che facevano di quella musulmana la civiltà più colta e più avanzata di tutto il mondo eurasiatico e mediterraneo del tempo.

Attraverso questa sostanziale unità mediterranea fu possibile per l’Occidente europeo cominciare ad attingere a patrimoni di sapienza che, con la decadenza dei secoli altomedievali, erano andati perduti. E’ l’inizio di un processo che culminerà nei secoli XII e XIII, ma che ha le sue origini nel X secolo, e che ebbe come epicentri le città della Penisola Iberica nelle quali musulmani, ebrei e cristiani entravano sovente in contatto, senza dimenticare però il ruolo delle città commerciali (soprattutto italiche) che si affacciavano sul mare.

In arabo erano stati tradotti i tesori della sapienza degli antichi greci; e, per quanto essi potessero esser accessibili anche attraverso versioni dal greco – per le quali però al momento erano a disposizione degli occidentali, ad esempio nel mondo bizantino, opportunità ben minori di quelle che il mondo iberico metteva alla portata degli studiosi per l’arabo –, le versioni da quest’ultima lingua si rivelavano di gran lunga preferibili sia per l’eccellenza dei commenti che traduttori e studiosi arabi avevano redatto, sia per l’abbondanza di studi nuovi da essi intrapresi, sia infine perché ci si andava accorgendo che attraverso l’arabo l’Occidente poteva accedere – magari per via indiretta, riflessa – al sapere e ad alcune tecnologie proprie anche a paesi e a civiltà ancora più lontani, dalla Persia all’India alla stessa Cina.

Anche sul piano della diffusione del sapere scientifico veicolato nel mondo musulmano attraverso la lingua del Libro sacro, la penisola iberica aveva procurato uno splendido avvio grazie a un precursore: Gerberto d’Aurillac, che giovanissimo aveva viaggiato in Catalogna e appreso fra il 967 e il 970 rudimenti di aritmetica e di astronomia arabe e forse anche greche, grazie alla familiarità con la curia vescovile di Vich e con il monastero di Ripoll. Divenuto in seguito capo della scuola episcopale di Reims e quindi abate di Bobbio, Gerberto poté diffondere le sue conoscenze, in attesa di ascendere al soglio pontificio col nome di Silvestro II. Infine, due opere di Avicenna, Qanun (in latino Canon) e Qitab al-Shifa(in latino Liber sufficientiae), furono conosciute, tradotte e studiatissime in Occidente dove a lungo rimasero alla base delle scienze mediche. Egli operò infatti una sintesi geniale delle teorie di Aristotele con quelle mediche di Ippocrate. Grazie ad Avicenna, noi disponiamo anche di un primo manuale pratico della scienza aristotelica, contenuto appunto nel Liber sufficientiae. L’Aristotele che egli conobbe e approfondì era tuttavia misto di elementi neoplatonici, e questo fu in effetti l’Aristotele che giunse in Occidente prima della “rivoluzione scolastica” del XIII secolo e che influenzò profondamente la stessa filosofia cristiana.

Man mano che le condizioni di vita in Europa miglioravano, cresceva anche la capacità di ricezione di tale patrimonio culturale, al pari della curiosità per la religione islamica. Nel XII secolo, i tempi erano ormai maturi perché una delle personalità più autorevoli della Chiesa del tempo, Pietro il Venerabile abate di Cluny, si facesse protagonista d’una straordinaria iniziativa che ebbe come centro Toledo, da poco più di mezzo secolo restituita alla Cristianità, e quale garante l’arcivescovo stesso della città, Raimondo di Sauvêtat. L’”imperatore” Alfonso VII di Castiglia appoggiò l’esperienza dell’abate di Cluny, che da un lato lavorava con convinzione alla maggiore e miglior conoscenza dell’Islam mentre dall’altro sosteneva con forza l’ideale della Reconquista. Dall’iniziativa di Pietro nacque l’attività di un’équipe che, con la consulenza di musulmani e di ebrei, provvide a una prima traduzione del Corano che porta il nome di Roberto di Ketton nel Rutlandshire: essa, a quel che pare ottenuta attraverso una serie di versioni – dall’arabo in ebraico e in castigliano, quindi in latino -, per quanto risultasse piuttosto confusa, lacunosa e incompleta, fu tanto importante da restar fondamentale per i quattro secoli successivi. Naturalmente non si deve pensare a un gruppo organico e strutturato di traduttori: si trattò piuttosto di una costellazione di personaggi che agivano sulla base di una rete di relazioni. La fatica del gruppo coordinato dal Venerabile non si fermò al Corano. Per quanto si possano individuare almeno tre nuclei fondamentali di questa densa attività: uno spagnolo, uno inglese, uno italo-meridionale – il ruolo della penisola iberica resta centrale e fondamentale. I testi islamici redatti in versione latina per cura di traduttori come Giovanni di Siviglia, Domenico Gundisalvi, Ermanno il Dalmata, Platone di Tivoli, Gerardo di Cremona, e quelli islamologici redatti sulla base di quel rinnovato approccio rimasero a lungo la base della forma migliore di conoscenza dell’Islam di cui l’Europa medievale disponesse.

La ripresa dell’Europa

Nel corso dell’XI secolo l’Europa occidentale mostrò chiari segni di ripresa economica che subito si trasformarono in progetti di espansione sul mare e per terra. Andava profilandosi, dalla Spagna alla Sicilia alla Terrasanta, il secolo della controffensiva cristiano-occidentale. In particolar modo nella penisola iberica ebbe inizio la lunga fase che viene definita Reconquista, e che sarebbe durata sino alla fine del XV secolo.

Il complesso fronte delle lotte cristiano-musulmane nel Mediterraneo si andava spostando nel quadrante di nord-ovest, dove protagonista attivo di esso era l’emiro di Denia e delle Baleari, il cui nome onorifico musulmano era al-Mujahid (“il Combattente del jihad”), graziosamente corretto dai cronisti latinofoni in “Musettus”. Nel 1005, mentre i pisani erano impegnati a dar man forte ai cristiani di Calabria contro i musulmani, al-Mujahid assalì Pisa e ne incendiò una parte. Seguì una lunga guerra di pisani e genovesi contro l’emiro arabo-spagnolo, che dominava anche i litorali di Corsica e di Sardegna. Nel medesimo anno 1016, fatidico per Salerno e per tutto il Meridione peninsulare, Musettus dava l’assalto alla città di Luni in Garfagnana, la distruggeva e costringeva gli abitanti a fuggire per le montagna apuane. Ma tempestiva giungeva la risposta congiunta di genovesi e pisani, che distrugevano le truppe degli assalitori e obbligavano il capo-predone a rientrare nel suo covo in Sardegna. La sola Pisa nel 1063 assaltò il porto di Palermo e nel 1087 Mahdiya, di nuovo a fianco dei genovesi e anche degli amalfitani. Da allora, prese l’avvìo la congiunta controffensiva delle due città altotirreniche che per quasi tra secoli si sarebbero contese l’egemonia del Mediterraneo centro-occidentale e, più tardi, dopo la prima crociata, anche del litorale siro-libano-palestinese.

Secondo una leggenda, l’arrivo in forze dei Normanni nel Meridione peninsulare d’Italia fu determinato dalla presenza nel 1016, in una Salerno assediata dai saraceni di Sicilia, di una quarantina di cavalieri normanni reduci da un pellegrinaggio in Terrasanta, che rimasero affascinati dall’ospitalità dei cittadini e dalle prospettive di combattimento contro gli infedeli. E’ invece certo che, inserendosi come mercenari nel complesso scenario politico della regione, i Normanni guidati dalla famiglia degli Altavilla e dal suo leader Roberto il Guiscardo, si impossessarono in pochi decenni della regione. Fra 1061 e 1094 Ruggero, poi detto “il Granconte”, fratello di Roberto, condusse a termine la conquista della Sicilia. I territori italo-meridionali vennero poi uniti in un regno unitario a partire dal 1130, sotto Ruggero II. La conquista normanna della Sicilia fu resa possibile dal destrutturarsi del potere emirale palermitano, dall’instaurarsi d’un pullulare disordinato di piccoli potentati e dall’invito rivolto al Normanno da parte di uno di essi, Ibn al-Thummah, che controllava l’area tra Catania, Noto e Siracusa. All’atto della conquista l’isola era abitata quasi totalmente da arabo-berberi e da indigeni arabizzati e islamizzati. Solo a Palermo e in alcune ristrette aree del nordest v’erano comunità greco-cristiane d’una certa consistenza. Durante la campagna militare Ruggero aveva assicurato a tutti libertà di culto; immise molti musulmani nel suo esercito. Al tempo stesso però lavorò a un ripopolamento di cristiani latini nell’isola e, quando si sentì un po’ più sicuro, mutò il suo atteggiamento nei confronti dei musulmani rendendolo più severo. Certo comunque funzionari arabi continuarono a lavorare per tutto il periodo del regno normanno e anche oltre nel diwan, l’ufficio addetto all’organizzazione tributaria.

Anche sul fronte spagnolo le cose andavano mutando. Quando, nel 996-997, al-Mansur (977-1002) diede l’assalto alla città di Compostela, egli compì un gesto dimostrativo di grande intelligenza e di straordinario valore simbolico: per quanto sortisse con ogni probabilità effetti opposti a quelli voluti. Il vizir si rendeva perfettamente conto dell’importanza d’un fenomeno nuovo, che si andava affermando appunto in quegli anni. Alla tomba dell’apostolo di Compostela stava convenendo un numero di anno in anno più folto di pellegrini dalle regioni poste al di là dei Pirenei. Quel che non poteva comprendere è come quel culto si fosse ormai radicato in tutta Europa: la notizia della profanazione del santuario, lungi dal seminar paura e sconcerto o dal determinare una disaffezione e un oblìo, fu seme d’indignazione e d’entusiasmo. La causa dell’apostolo Giacomo diventava, ora, quella della Cristianità intera: alla dimensione del pellegrinaggio si associava quella della difesa della santa tomba minacciata dai “pagani”. Pellegrinaggio alla tomba dell’Apostolo e Reconquista furono in un certo senso i due aspetti d’uno stesso fenomeno storico. Il pellegrinaggio di Santiago, la strada del quale – il Camino – correva almeno in un primo tempo lungo una fascia non sempre troppo lontana dalla “terra di nessuno” che divideva i cristiani dai musulmani, rivestì ben presto anche un ruolo guerriero. Si diceva che durante la battaglia di Clavijo dell’844 l’Apostolo fosse apparso in una veste abbagliante, montato su un candido destriero, e avesse guidato i cristiani all’assalto contro i nemici (come san Giorgio a Cerami): da allora in poi, egli avrebbe ricevuto il titolo di Matamoros. Per la verità, non sappiamo con certezza quando questa funzione guerriera dell’Apostolo si sia andata a sovrapporre alla sua immagine di pellegrino e taumaturgo: le rappresentazioni iconiche ad essa relative sono abbastanza recenti e la leggenda non è narrata per iscritto prima del Duecento. Anzi, della stessa battaglia non si ha memoria certa prima di questa data. Visioni di questo genere facevano parte di una sacralizzazione del conflitto contro i saraceni che si può facilmente collegare alla propaganda eccllesiastica, ma che si radicava in un diffuso entusiamo, in una sensibilità collettiva eccitata, in una disposizione nuova al combattimento e al martirio.

La Spagna musulmana, dopo la liquidazione del califfato di Córdoba, era divisa tra i vari reinos de taifa.s La situazione rimase per un certo periodo in uno stato d’instabile equilibrio perché anche i regni cristiani, a nord, erano percorsi da rivalità e da inimicizie. Le cose cambiarono comunque verso il 1055, quando Ferdinando I – dal 1037 acclamato re di Castiglia e di León – si sentì in grado di scatenare un’offensiva che mise in suo potere la bassa valle del Duero. Frattanto, il fronte aragonese rischiava un tracollo per la morte del re Ramiro I durante l’assedio alla fortezza saracena di Graus. Poiché l’infante Sancho era ancor minorenne, spettò a papa Alessandro II prender l’iniziativa che condusse alla conquista della piazzaforte di Barbastro, non lungi da Saragozza, grazie a una spedizione che si avvalse del contributo di molti cavalieri francesi e che provocò una forte ondata di entusiasmo guerriero e religioso. Al movimento del pellegrinaggio a Santiago partecipavano difatti parecchi aristocratici, che magari si proponevano con le armi di scortare e difendere i viandanti inermi. In questi ceti superiori, il pellegrinaggio poteva anche essere espressione di un certo disagio sociale. In gran parte d’Europa, per i figli cadetti della nobiltà non si prevedevano assegnazioni ereditarie, per cui essi avevano soltanto la scelta fra carriera ecclesiastica o avventura guerriera. Questo aiuta a spiegare l’afflusso di cavalieri venuti un po’ da ogni parte della Cristianità occidentale, ma soprattutto dalla Francia, in quelle guerre combattute contro i musulmani nella penisola iberica e che vanno nel loro complesso sotto il nome di reconquista.L’impresa di Barbastro è considerata, anche sul piano del diritto ecclesiastico, il modello e il precedente della cosiddetta “prima crociata”. In seguito alla sconfitta gli emiri di Saragozza, di Badajoz, di Toledo e di Siviglia furono costretti a pagar un tributo a Ferdinando di Castiglia che, in un’orgogliosa cavalcata compiuta a scopo dimostrativo, giungeva fino a Valencia. Ma nel 1065 egli spirava a León, poco dopo aver potuto venerare nella nuova cattedrale da lui fondata le reliquie di sant’Isidoro di Siviglia cedutegli dai mori.

La scomparsa di Ferdinando I provocò una nuova battuta d’arresto. Oltre le Colonne d’Ercole si era affermato il potere della rigorosa confraternita degli al-Murabitun (da cui “Almoravidi”), “uomini dei ribat“, gli austeri abitanti dei conventi-fortezze formatisi lontano, oltre il deserto, sulle rive del Senegal e del Niger e impadronitisi di Marocco e Algeria a scapito delle dinastie che vi si erano affermate nel X secolo. Lo scontro avvenne presso la Guadiana, a Zallaqa (oggi Sagrajas), il 23 ottobre del 1086: e fu una grande sconfitta per i cristiani. Lo stesso re Alfonso si salvò a stento, con poche centinaia di cavalieri, riparando a Coria. Le teste recise dei vinti furono accatastate in macabri mucchi trionfali. Il prezzo pagato per questa vittoria dalla gioiosa società di al-Andalus non fu per nulla lieve. Yusuf obbligò tutti i reyes de taifas a sottomettersi alla sua autorità: chi cercò di resistere, naturalmente alleandosi con i castigliani fu inesorabilmente piegato. Toledo restava ai cristiani, ma a sud del Tago non rimaneva più nulla dei tentativi di conquista degli anni precedenti.

Tuttavia il potere almoravide andò presto deteriorandosi a causa tanto della riscossa militare dei regni cristiani di Spagna (soprattutto di quello d’Aragona), quanto d’una nuova corrente mistico-teologica sviluppatasi nel Maghreb a partire dal secondo quarto del XII secolo. Gli al-Muwahiddun (detti “Almohadi”) i “fedeli dell’unità divina”, erano sorti nel pieno del Marocco berbero come movimento politico-religioso a carattare rigoristico guidato dal mahdi Muhammad ibn Tumart, il quale era insorto contro le concessioni all’antropomorfismo letterale del Corano in qualche modo accettati dai teologi almoravidi. Nel 1162 un’armata almohade sbarcò nella penisola iberica, dove il collasso degli Almoravidi aveva ricondotto l’Islam locale a una nuova frammentazione, e occupò Siviglia mentre i Castigliani approfittavano della situazione per impadronirsi della ricca Almeria e i portoghesi di Lisbona.

Il califfo almohade Abu Yusuf Ya’kub al-Mansur (1184-1199) sconfisse clamorosamente Alfonso VIII re di Castiglia nella battaglia di Alarcos, il 10 luglio 1195. Il potere almohade fu molto più duro e restrittivo di quello almoravide: furono perseguitati e costretti all’esilio o al confino anche i due più grandi pensatori del tempo, l’ebreo Moshe ben Maimun (Maimonide) e il musulmano Ibn Rush (Averroè). Maimonide finì in Egitto dove sarebbe divenuto nel 1172 naghid – cioè capo della locale comunità ebraica – e quindi medico del sultano Saladino e dei suoi successori fino alla sua scomparsa, nel 1204. La fase intollerantistica almohade, tuttavia, terminò presto: la dinastia berbera permise l’impiantarsi in Marocco di culti simili a quelli santorali cristiani, mentre una rinnovata libertà di ricerca dava luogo al fiorire di pensatori come Ibn Tufayl e – dopo i primi sospetti nei suoi confronti – Averroè. Anche l’economia ebbe un forte rilancio sotto la nuova dinastia, attenta allo sviluppo agricolo, realizzato grazie a un massiccio impegno nel miglioramento delle opere d’irrigazione; senza dimenticare i commerci, per i quali si stipularono alleanze con le città italiane del Mediterraneo occidentale anche quest’ultimo un segno della duttilità della dinastia almohade.

La presa da parte degli almohadi del castello di Salvatierra, nel 1210, indusse il papa a una nuova crociata predicata anche in Francia. Alla campagna parteciparono i re Alfonso di Castiglia e Pietro d’Aragona, agli Ordini cavallereschi di Santiago, di Alcantara e di Calatrava, sorti in Spagna per la lotta contro i musulmani, molti cavalieri spagnoli, portoghesi e franco-meridionali, e in un secondo momento anche Sancho di Navarra. Le forze in campo erano soverchianti, e il 17 luglio del 1212 la spedizione si concluse con la grande vittoria di Las Navas de Tolosa, immediatamente a valle dei passi della Sierra Morena tra Castiglia e Andalusia.

La vittoria di Las Navas apriva ai cristiani le porte del sud, la ricca e splendida regione dell’Andalusia, e preludeva alla caduta della stessa capitale del califfato almohade, Cordoba, che difatti veniva conquistata nel 1236 dal re Ferdinando III il Santo (1217-52. Nel 1260, buona parte della Reconquista poteva dirsi compiuta: mentre il regno del Portogallo (riconosciuto dal papa nel 1179) tendeva alla colonizzazione del sud-ovest della penisola iberica, la zona del cosiddetto Algarve, ed entrava per questo in conflitto con la Castiglia, il regno castigliano da parte sua si impadroniva dell’area a sud del Guadalquivir, escluso il civilissimo ma piccolo emirato di Granada, che sarebbe rimasto musulmano fino al 1492. I lunghi anni della lotta contro i musulmani segnarono profondamente i caratteri culturali della Castiglia, conferendole un’impronta di austera e guerriera religiosità.

Dal punto di vista della “qualità della vita”, la Reconquista cristiana non segnò l’avvio di una stagione positiva per la Spagna. I musulmani, nei circa cinque secoli del loro dominio in terra iberica, avevano fatto un giardino di terre per loro natura desertiche, come l’arido altopiano della Meseta: vi avevano condotto le acque per mezzo di ardite opere di irrigazione, vi avevano avviato colture di cereali, canna da zucchero, agrumi. Nelle popolose città governate dai musulmani, vivevano in pace e in armonia anche le comunità cristiane dette “mozarabiche” (che usavano correntemente l’arabo nella loro liturgia) e quelle ebraiche, e si era sviluppata un ceto urbano di mercanti e di artigiani. Anche durante la graduale riconquista della penisola, tra XI e XV secolo, le fasi di guerra si alternarono comunque a lunghi periodi di pace: mentre tanto nei regni cristiani quanto negli emirati musulmani si stabiliva un clima di distensione e di tolleranza tra comunità cristiane, musulmane ed ebraiche le quali vivevano tra loro in pace e in spirito di serena collaborazione. Del resto, anche le guerre della Reconquista, non parlano solo il linguaggio dell’affrontamento militare e nulla sarebbe più errato che leggere crociate e guerre iberiche medievali come “guerre di religione”. Tuttavia, i sovrani di Castiglia, appoggiati a un’aristocrazia feudale di cavalieri i cui interessi economici si legavano con la più primitiva economia pastorale, non avevano interesse a mantenere questi civili livelli di vita. Non incoraggiarono quindi né l’agricoltura, né l’artigianato, né il commercio, che anzi contribuirono a ostacolare perseguitando musulmani ed ebrei che ne erano il nerbo. La Castiglia si avviò a divenire una terra desolata di poveri pastori, di agricoltori miserabili e di un ceto nobiliare privo di mezzi e caratterizzato da un genere di vita ispirato ai valori guerrieri e a una religiosità sentita anzitutto come lotta contro gli “infedeli”.

Le crociate e il Mediterraneo orientale

Nel corso del secolo XI una tribù originariamente turkmena – appartenente cioè a un ramo specifico dell’etnia turca – che, dal nome di un loro khan chiamato Selgiuq, noi denominiamo “selgiuchide”, convertita all’Islam da pochi decenni, giunse dalle steppe dell’Asia centrale a rafforzare con la sua fede giovane e la sua forza militare (i turchi erano cavalieri e arcieri formidabili) il pericolante potere del califfo abbaside di Baghdad. Non solo rapidamente islamizzati, ma anche iranizzati nella lingua e nei costumi – il persiano fu loro sempre più familiare di quanto non fosse l’arabo –, i turchi selgiuchidi fondarono così un impero politico-militare che dall’Anatolia si estendeva alla Persia centrale. I turchi erano divenuti famosi di colpo anche in Europa in seguito a quando, nel 1071, essi avevano battuto clamorosamente l’esercito bizantino nella battaglia di Manzikert fondando in Anatolia il sultanato che fu detto “di Rum” (dal nome arabo con cui si indicava la “Nuova Roma”, Costantinopoli) con capitale nella città di Iconio.

Frattanto, già dalla fine del X secolo, le migliorate condizioni climatiche e un rinnovato slancio demografico avevano determinato tra Europa e Mediterraneo settentrionale una serie di reazioni socioeconomiche a catena che a loro volta erano state accompagnate da un vorticoso movimento di rinascita e di espansione politica. Tra i principali effetti di tale complesso di concause vanno annoverati la rottura di vecchi equilibri nelle strutture fondiarie, vaste campagne di bonifica e di disboscamento, lo stabilirsi di un’economia monetaria che comportò la nascita di nuovi mercati, la crescita delle città e soprattutto di alcuni centri marittimi come Venezia, Genova, Pisa, più tardi Marsiglia e Barcellona, una rinnovata mobilità che dette luogo a viaggi di natura religiosa (pellegrinaggi) ma anche a nuovi orizzonti commerciali. Intanto l’inquietudine di ceti guerrieri minacciati d’iimpoverimento dalla nuova economia monetaria e desiderosi d’ingaggio mercenario o di nuove terre da conquistare determinava una serie di avventure militari, che la Chiesa latina – separata da quella greca a causa di uno scisma prodottosi nel 1054 – provvide a fornire di una giustificazione religiosa quando s’indirizzavano verso i territori dell’impero bizantino o quelli europei sui quali (come nella penisola iberica e nelle isole mediterranee, in particolare la Sicilia) tra VIII e X secolo si era radicata la civiltà musulmana.

Tale complessa situazione dette luogo a quelle spedizioni che la storiografia occidentale ha chiamato “crociate”. Ma la parola “crociata” entrò in realtà abbastanza tardi nel lessico delle lingue occidentali, e sopravvisse a lungo. L’abitudine a contare sette, o otto, o nove spedizioni crociate è stata per molto tempo privilegiata, specie nei manuali scolastici: ma bisogna tener conto che le spedizioni guerriere incoraggiate e legittimate dalla Chiesa che ebbero come scopo iniziale la conquista (quindi il mantenimento o al riconquista) di Gerusalemme e dei “Luoghi Santi” cristiani, e poi più in generale la lotta contro l’espansione dell’Islam, durarono molto più a lungo – giungendo al XVIII secolo – e interessarono non solo l’area siropalestinese, bensì anche quella iberica, oltre a venire più tardi utilizzate anche contro obiettivi diversi da quelli musulmani. Si deve quindi parlare non di singole “crociate” ma di un complesso e articolato “movimento crociato”, che determinò nuove formazioni politico-istituzionali e produsse una sua cultura giuridica e letteraria.

L’Islam dell’XI secolo non aveva familiarità con il mondo latino ed euroccidentale. I musulmani presero quindi a prestito la parola greca con la quale nella cultura bizantina s’indicavano gli europei d’Occidente (francoi, dal latino franci) e la rese con l’arabo faranj. Nel 1097-98, un grande ed eterogeneo esercito di faranj il cui nerbo erano i temibili cavalieri pesantemente armati, e che erano accompagnati da una turba di pellegrini, fece la sua comparsa nella penisola anatolica, l’attraversò, e quindi seguendo la costa siriaca giunse fino a Gerusalemme che conquistò il 15 luglio 1099 con un sanguinoso assalto. Da lì, aiutati dai marinai dei centri costieri italici (genovesi, pisani, quindi veneziani), quei guerrieri – tra i quali v’erano alcuni nobili signori che avevano già partecipato a spedizioni contro i musulmani nella penisola iberica e in Sicilia – intrapresero una serie di campagne militari che in alcuni decenni li condussero a conquistare un’area corrispondente grosso modo all’attuale stato d’Israele, al Libano, a una parte della Siria e della Giordania attuali.

Per governare questa regione da loro sottomessa, che fu presto popolata anche da coloni provenienti dall’Europa e inquadrata nelle istituzioni della Chiesa romana, si dette vita a un “regno franco di Gerusalemme” che si organizzò come una monarchia feudale – con alcuni principati vassalli: la contea di Edessa, il principato di Antiochia, il principato di Tripoli, le contee di Giaffa, di Ascalona e dell’Oltregiordano – e sopravvisse circa due secoli anche grazie all’originale apporto di gruppi di guerrieri che accettarono di rimanere in qualle che epr i cristiani era la Terrasanta e di difenderla costituendo dei veri e propri Ordini religioso-militari (i cavalieri di San Giovanni, i Templari, i cavalieri dei San Lazzaro, più tardi i cavalieri di santa Maria dei Teutoni).

I faranj insediati nel Vicino Oriente riuscirono progressivamente a conquistare l’intera costa del Mar di Levante, dal Golfo di Alessandretta fino all’istmo di Suez; frattanto si organizzavano spedizioni nell’entroterra, in modo da sottomettere i principali centri demici di Galilea, Samaria e Giudea. Verso la fine del primo quarto del XII secolo, l’intera ampia regione dal Tauro al Sinai e dalla costa del Mediterraneo al Giordano, con un’enclave ad est di essa rappresentata dall’area attorno alla fortezza di Kerak, era presidiata dai franchi: anche se le strade restavano insicure e la guerriglia musulmana era endemica.

Nel frattempo, il mondo musulmano circostante si stava riavendo dalla sorpresa e riorganizzando. La riscossa partì dalle città siro-mesopototamiche del nord, cioè da Aleppo e da Mosul, governate nel nome del califfo di Baghdad e del suo consigliere-protettore turco-selgiuchide, il sultano, da una dinastia di atabeg (in turco: “padre dei capi”, cioè governatore generale) fondata da Imad ad-Din Zenqi. La definitiva caduta nel 1146 in mani turche della città armena di Edessa (oggi Urfa in Turchia), ch’era dal 1097 una contea crociata, costituì un segnale d’allarme. Zenqi avrebbe ambito a unificare sotto il suo potere tutti gli emirati della regione tra il Mar di Levante e l’Eufrate; inoltre, musulmano sunnita intransigente come tutti i turchi, guardava con ostilità al califfato sciita del Cairo.

Contro il crescente potere dell’atabeg si organizzò in Europa una grande spedizione (poi detta “seconda crociata”) che partì nel 1147 al comando di Luigi VII re di Francia e di Corrado III re di Germania, ma che fallì anche in quanto i suoi capi non conoscevano al situazione vicino-orientale e si gettarono sulla ricca città di Damasco, il cui emiro arabo era l’unico vero avversario di Zenqi e avrebbe potuto essere un loro alleato prezioso. Il fallimento di quella spedizione causò in Europa una lunga scia di recriminazioni e d’inimicizie che impedirono per più di quarant’anni qualunque aiuto occidentale ai re crociati di Gerusalemme.

L’ atabeg di Aleppo e Mosul si comportava ormai come un principe largamente indipendenti sebbene, sotto il profilo formale, fosse funzionario del sultano selgiuchide. Alla sua morte però il suo dominio fu diviso tra i figli e perse in parte di potenza; ascese al potere Yusuf ibn Ayyub, che nella storia musulmana è conosciuto come al-Malik an-Nasir Salah ad-Din (“il Sovrano Vittorioso, Integrità della Fede”) e in quella occidentale come “il Saladino”(1138-1193). Il califfo egiziano al-Adid nominò il Saladino suo vizir ma, nel 1171, fu da questi deposto: con lui terminò l’esperimento califfale sciita e l’Egitto sciita tornò all’artodossia sunnita. Il paese fu affidato pertanto al governo del Saladino, che si affrancò in tal modo dal servizio agli atabeg turco-siriaci, assunse il titolo di sultano dando avvìo a una dinastia che, dal suo nome di famiglia, fu detta “ayyubide”.

Il Saladino non tardò ad affrancarsi dalla signoria zenqide e a fondare un sultanato distinto in due grandi territori: l’Egitto e la Siria con capitale Damasco, ch’era stata a sua volta da lui sottomessa. In questo modo egli serrava il regno crociato di Gerusalemme da nord e da sud-ovest. Tuttavia, non attaccò subito i faranj, con molti dei quali mantenne anzi amichevoli rapporti. Ma non esitò più all’indomani della morte dell’eroico giovane re Baldovino IV (il “Re Lebbroso”), anche perché gli atti di violenza e di rapina compiuti dall’audace ma violento signore crociato dell’Oltregiordano, Rinaldo di Chatillon, richiedevano una risposta urgente ed esemplare. Difatti le provocazioni di Rinaldo portarono alla guerra contro il regno di Gerusalemme, l’esercito del quale fu sconfitto dal Saladino nel luglio nel 1187 durante al battaglia di Hattin in Galilea; poche settimane più tardi, nell’ottobre, egli entrava pacificamente in Gerusalemme che i crociati avevano sgombrato. Il regno di Gerusalemme trasferì la sua capitale ad Acri e per tutto il XIII secolo, fino al 1291, rimase padrone della costa.

In seguito alla conquista musulmana di Gerusalemme fu bandita in Europa una nuova spedizione (che nella tradizione occidentale è rimasta famosa come “terza crociata”), che venne guidata dai più prestigiosi sovrani del tempo: l’imperatore Federico I, il re di Francia Filippo II Augusto, il re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone. Tuttavia Federico I morì durante il viaggio e il re di Francia rientrò presto in Europa: il Saladino firmò con quello d’Inghilterra una pace che riconosceva come Gerusalemme fosse ormai tornata in mano musulmana e come i “franchi” fossero attestati sul litorale. Il Saladino autorizzò i cristiani a visitare liberamente il Santo Seplocro e gli altri Luoghi Santi della Cristianità e trattò prigionieri e viaggiatori con umanità e generosità. Ciò gli procurò nel mondo cristiano una fama di lealtà cavalleresca di cui sono testimoni Dante e il Boccaccio; nel XVIII secolo, il Lessing fece di lui il modello della più occidentale delle virtù, la tolleranza.

Ma il grande sultano morì nel 1193, dividendo tra i suoi figli il sultanato. Da allora due distinte dinastie dette “ayyubidi”, reciprocamente ostili, regnarono rispettivamente in Damasco e al Cairo. La dinastia ayyudide d’Egitto aveva vissuto negli ultimi tempi nel suo palazzo cairota quasi prigioniera di onnipotenti primi ministri (i vizir) e di truppe mercenarie d’origine servile (conosciute quindi col nome di “mamelucchi” dall’arabo mamluk, “schiavo”) prevalentemente composte da turchi, da slavi, da circassi, da curdi.

Intanto, il quasi simultaneo frammentarsi, a partire dalla metà circa del Trecento, sia dell’impero bizantino, sia dell’ilkhanato tartaro di Persia e del suo fratello-rivale il khanato dell’Orda d’Oro, liberò una quantità di gruppi turco-mongoli. Tra questi si facevano strada intanto in Anatolia i veri nuovi protagonisti della storia islamica nel Mediterraneo: una tribù turca che nel terzo decennio del XIII secolo, spinta dall’Asia centrale verso ovest dall’espansione mongola, si era posta al servizio del sultano selgiuchide di Konya, il quale le aveva assegnato un piccolo territorio non lontano da Costantinopoli; e che verso la fine del Duecento, dal suo khan Osman o Othman (1291-1326), sarebbe stata appellata degli Ottomani e che a partire dal Quattrocento avrebbe rivoluzionato la situazione del Mediterraneo e dell’Europa orientale.

L’impero ottomano è il vero fato nuovo e dirompente sulla scena eurasiatico-mediterranea. Col suo apparire, si può ben dire che il medioevo finisca.

Bibliografia

Claude Cahen, L’Islam, des origines au début de l’Empire ottoman, Paris, Hachette, 1997.
VV., Cambridge History of Islam, 2 Vols., Cambridge, Cambridge University Press, 1970.
Henri Bresc, Europa y el Islam en la Edad Media, Barcelona, Critica, 2001.
Franco Cardini, Europa e Islam. Storia di un malinteso, Roma-Bari, Laterza, 1999.
Fletcher, R., Moorish Spain, University of California Press, Berkeley, CA, 1993.
Shelomo Dov Goitein, Studies in Islamic History and Institutions, Leiden, E.J. Brill, 1966.
Stephen Humphreys, From Saladin to the Mongols: The Ayyubids of Damascus, 1193-1260, Albany, NY, State University of New York Press, 1977.
Évariste Lévi Provençal y Leopoldo Torres Balbás, España musulmana (711-1031). La Conquista, el Emirato, el Califato, in Historia de España, dirigida por R. Menéndez Pidal, Madrid, Espasa Calpe, 1976.
David Nicolle, Warriors and their Weapons around the Time of the Crusades: Relationships between Byzantium, the West, and the Islamic World, Aldershot, Ashgate/Variorum, 2003.
Jonathan Riley-Smith, Storia delle Crociate, Milano, Mondadori, 2009.
William Montgomery Watt, The Influence of Islam on Medieval Europe, Edinburgh, Edinburgh University Press, 1972.

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Di Franco Cardini
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Re: Croxade (Crociate)

Messaggioda Berto » mer giu 29, 2016 9:32 pm

Ai musulmani che ci condannano per 2 secoli di Crociate, ricordiamo che in Europa da 14 secoli continuiamo a subire la violenza dell'islam
di Vittorio Zedda 29/06/2016

http://www.magdicristianoallam.it/blogs ... islam.html

Cittadinanza attiva

Mi pare che sia arrivato il momento di mettere i puntini sulle “i”. E il titolo scelto per questa puntualizzazione anticipa molto sinteticamente una questione che dovrebbe essere chiarita una volta per tutte. Va detto a questo proposito che sta per essere diffuso a livello mondiale un film sulle Crociate, prodotto da “Al Jazeera Documentary Channel". Il direttore del canale tv citato, Ahmed Mahfuz, precisa che lo scopo del film è quello di diffondere “la versione araba delle Crociate” e su tale intento non abbiamo il benché minimo dubbio.

Molti dubbi invece li abbiamo su un'altra affermazione del suddetto direttore, il quale, per motivare ulteriormente l’esigenza di produrre quel film, sostiene che “l’argomento delle Crociate è conosciuto solo dal punto di vista occidentale”. Il che dimostra due cose: la prima è che Mahfuz probabilmente ignora la ricca letteratura e storiografia occidentale sulle Crociate, connotata da una lettura critica del fenomeno, non di rado fieramente avversa ai “crociati”, e la seconda è che “un punto di vista dell’Occidente” unico ed ufficiale non esiste ma esistono “vari punti di vista” che afferiscono a differenti “letture” storiche o ideologiche del fenomeno.

Quindi sarebbe opportuno cheil Mahfuz precisasse qual è secondo lui il punto di vista “occidentale”, perché la cosa sommamente ci incuriosisce. E ancor più ci incuriosisce dopo che la Chiesa Cattolica, col Documento “Nostra Aetate”, redatto mezzo secolo fa in occasione del Concilio Vaticano II, ha preso di fatto, anche se in modo indiretto, le distanze dalle Crociate allo scopo apparente di promuovere un dialogo con l’islam. Tentativo, questo , quanto mai improduttivo poiché l’atteggiamento cristianofobo dell’islam mostra una crescita inarrestabile. Cosa che rende ulteriormente dubbia, in termini di efficacia e anche di opportunità, la richiesta di "perdono per le Crociate” che papa Giovanni Paolo II, che fu fra l’altro oggetto di un attentato da parte di un musulmano turco, formulò il 12 marzo 2000, ribadendo con ciò il nuovo corso conciliare, ma questa volta nel contesto di una più ampia ammissione di colpe della Chiesa.

A quanto pare anche questa iniziativa del papa polacco non ha sortito esiti positivi. Il film di Al Jazeera pare quindi volto a sostenere una campagna di attacco all’Occidente cristiano. Va infatti denunciato l’uso martellante e viepiù insistito del termine “Crociati" a titolo di insulto o giudizio infamante contro l’intero mondo cristiano, così com’è oggi , a distanza di ben otto secoli da quei fatti.

Ma è incontestabile che il periodo storico in cui si svolsero le Crociate è ricompreso nell’arco di due secoli scarsi, grosso modo fra gli ultimi anni dell’11° secolo e quelli finali del 13°, cioè fra il 1099 e il 1272. Un periodo, questo, a sua volta incluso in quell’epoca storica, convenzionalmente definita come “Medioevo”, e che anche nelle vicende crociate inevitabilmente vive e interpreta nello spirito e nei fatti quello che il termine “medievale” ha assunto come giudizio di valore storico, connotato oggi da negatività, sommando alla definizione cronologica un’accezione valoriale spregiativa. Peraltro, come va doverosamente ricordato, è sommamente erroneo generalizzare quel giudizio su ogni e qualsiasi evento di quel periodo, poiché nel Medioevo iniziano e allignano processi e trasformazioni che preludono e preparano l’era moderna.

Ma tant’è: medioevale significa medioevale e le Crociate sono vicende medioevali. Ne consegue che certa cristianofobia del nostro tempo, dissimulando il suo evidente filoislamismo, è tenacemente aggrappata ad una critica strumentale contro quel periodo del medioevo cristiano, che più che al passato appartiene al “trapassato remoto”.

Per altro verso la cristianofobia odierna ignora o peggio tace in merito a quello che da 1400 anni accade e continua ad accadere attorno a noi, per le responsabilità dell’espansionismo islamista. Continuano così a perpetrarsi in pieno 21° secolo vicende e fatti di gravità tale da mostrare chiaramente come il Medioevo, finito per la maggior parte della popolazione mondiali, continua nelle peggiori forme in una parte del mondo islamico. Mentre la storia delle Crociate è limitata a due secoli e conclusa ormai da otto, continuano tutt’oggi le guerre e gli eccidi connessi all’espansionismo islamista, ivi comprese le sue specifiche espressioni terroristiche che, nell’arco temporale di 14 secoli, riesumano ancora ai giorni nostri il peggior Medioevo che sia possibile immaginare.

La guerra scatenata dallo “Stato islamico”, noto come ISIS o IS o Daesh o Califfato, con le sue assurde manifestazioni di barbarie e di terrorismo di ispirazione strettamente coranica, ripropone ad una attonita platea mondiale decapitazioni, sgozzamenti in massa e crocifissioni. E poiché la ferocia islamica non conosce limiti, per l’uccisione di migliaia di innocenti si inventano sempre nuovi e crudeli espedienti, cui nemmeno nel più “buio” Medioevo pare si fosse usi ricorrere. Si sa così, e i filmati degli eccidi vengono impunemente diffusi via internet, di vittime condannate ad essere bruciate vive rinchiuse in gabbie di ferro o di gabbie immerse nell’acqua per provocare l’annegamento dei prigionieri in esse rinchiusi, mentre gli omosessuali vengono fatti precipitare nel vuoto dal tetto dei palazzi, o impiccato o lapidati, come gli adulteri o presunti tali.

Le vittime vengono scelte fra i cristiani o comunque fra persone di fede non islamica, non risparmiando i supplizi e le esecuzioni nemmeno ai bambini. Come se non bastasse, a conferma dell’ “interminabile e redivivo Medioevo islamista”, nel “Califfato”, prospera il mercato delle “schiave sessuali”, scelte fra le prigioniere catturate nelle aree geografiche temporaneamente occupate dall’ISIS. Questo succede oggi: altro che Crociate!

Le cartine sottoriportate mostrano quanto il peso guerresco delle Crociate sia assai inferiore alla diffusa aggressività dell'islam storicamente documentata e riferita ad oltre un millennio di assalti o guerre di conquista musulmane condotte contro il mondo non-islamico. Ma il reale aspetto delle "guerre crociate" potrebbe essere in vari casi meno truce di quello che certa narrazione storica ci ha trasmesso. Non si può escludere infatti che la narrazione sia stata "adattata" o "curvata", in epoche di molto successive ai fatti, alle esigenze di immagine o di propaganda politica, delle parti a confronto. Come accade sempre nei confronti di narrazioni controverse, ogni vicenda storica andrebbe riconsiderata e verificata risalendo a documenti storici originali di riconosciuta validità.

Assai interessante a questo riguardo è un libro da poco edito da Einaudi di Paul M. Cobb , "La conquista del Paradiso- Una storia islamica delle Crociate". L'autore, esperto conoscitore dell'arabo e di storiografia araba antica, rifacendosi e traducendo cronache arabe dell'epoca, svela una realtà in buona parte diversa da quella a noi nota. A parte la Crociata sostanzialmente incruenta condotta da Federico II di Svevia e conclusasi con un accordo con la controparte per garantire l’accesso dei pellegrini cristiani ai Luoghi Santi, è noto che in alcune crociate si formarono alleanze "strane" fra cristiani e musulmani per battere comuni nemici in quell'area mediorientale allora frantumata in regni, califfati, emirati in permanente e confuso conflitto interno non specificamente religioso. La minuziosa ricerca di Cobb, partendo, va ribadito, da fonti arabe dell'epoca, fornisce una descrizione della divisione interna del mondo islamico di allora, tutta basata su interessi economici concreti, giochi di potere e scontri guerreschi, spesso tra musulmani di fazioni contrapposte, in cui sovente anche il confronto interreligioso (fra sunniti e sciiti, fra cristiani e musulmani) assume occasionalmente un valore secondario, a fronte di opposte esigenze di supremazia politica, commerciale, territoriale, per il controllo di vie di comunicazione e porti.

In molti casi la presenza dei "Franchi", come vengono genericamente indicati i Crociati in riferimento ad una loro consistente componente, in quelle terre è vista anche da fazioni o tribù arabe come un'opportunità per buoni affari. In conseguenza di ciò, il Jihad viene proclamato o sospeso secondo convenienza. L' ideale religioso, esaltato in certa storiografia postuma, come "puro ed eroico" o "barbaro e sanguinario" secondo punti di vista interessati, viene ridimensionato o ridisegnato, in riferimento a specifici fatti, dalla ricerca di Cobb, che appare quanto mai dettagliata e realistica. Dall’opera di Cobb emerge quindi confermato e assodato in tutta chiarezza come le Crociate vadano viste e contestualizzate in quel lontano periodo storico, ormai perso nella notte dei tempi e di quei tempi realtà ed espressione coerente.

Ai giorni nostri parrebbe umoristico pretendere che i romani d’oggi chiedessero perdono per la conquista della Gallia, condotta da Giulio Cesare nel 1° secolo a.C. Parimenti oggi si manifesta come evidentemente assurdo, strumentale e provocatoria la campagna di odio islamista contro il mondo cristiano, definito con intento malevolo “crociato”, mentre in almeno tre continenti, Europa, Asia e Africa, continua ancora ai giorni nostri una ultramillenaria “crociata al contrario” condotta dall’islamismo integralista contro un Occidente vile e sottomesso, senza più orgoglio, ragione e valori. Non ci colga impreparati quindi la nuova offensiva islamista antioccidentale: i fatti e gli argomenti per rispondere all’attacco certo non ci mancano.
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Re: Croxade (Crociate)

Messaggioda Berto » lun apr 03, 2017 12:56 pm

I crociati salvarono l’Europa dall’invasione dell’islam turco
Calendar 3 aprile 2017
di Francesco Agnoli*

http://www.uccronline.it/2017/04/03/i-c ... slam-turco

Una delle balle spaziali più diffuse e utilizzate nelle più svariate circostanze (per attaccare la Chiesa cattolica, denigrare la civiltà europea e dare una certa lettura dei fatti odierni nel rapporto tra Occidente e islam) riguarda le crociate.

Ma che cosa furono queste benedette o maledette crociate, al di là di ideologie e qualunquismo? Anzitutto occorre analizzare ciò che le precede. Dopo la nascita dell’Islam (VII secolo d.C.), terre abitate dai cristiani come le costa dell’Africa, la Spagna, la Sicilia e numerose città appartenenti all’Impero romano d’Oriente, vengono attaccate, saccheggiate e devastate dai musulmani, che ovunque uccidono, imprigionano e fanno schiavi. Basta un qualsiasi atlante storico per comprendere la velocità con cui Maometto e i suoi eredi si impongono militarmente dove prima vivevano popolazioni cristiane o animiste.

Percorso dai pirati saraceni, in quegli anni il Mediterraneo diventa impraticabile, al punto che lo storico Henri Pirenne sostiene che è solo con l’espansione islamica che inizia il Medioevo, perché essa fu anche più traumatica delle invasioni barbariche. «I cristiani non possono far galleggiare sul mare neanche una tavola», scriveva lo storico arabo ibn Khaldun. Tra Seicento e Settecento la Sicilia è oggetto di scorrerie e razzie continue. Nell’846 si colloca il primo dei due sacchi di Roma: 73 legni con 3000 guerrieri arrivano alle foci del Tevere, e saccheggiano la città, le chiese di San Pietro e di San Paolo. Anche le città sul mare vengono periodicamente assalite.

La celebre rinascita dell’anno Mille non ci sarebbe mai stata se le Repubbliche marinare italiane non avessero, come prima cosa, riconquistato il Mediterraneo, ripulendolo dai pirati e restituendolo alla navigazione e al commercio. Ma ripercorrere le centinaia di incursioni islamiche in territorio italiano ed europeo in genere sarebbe troppo lungo: rimando per questo all’opera di Rinaldo Panetta, intitolata significativamente Pirati e corsari turchi e barbareschi nel mare nostrum.

Basti allora soffermarsi un attimo sul Medio Oriente. Gerusalemme, città abitata da cristiani ed ebrei, viene presa dai musulmani nel 638 d.C. Da allora gli abitanti originari sono sottomessi a soprusi di ogni genere. «Nel 938 la processione per la domenica delle Palme è attaccata con morti e feriti e il Sepolcro danneggiato da un incendio; nella Pentecoste del 966 il governatore eccita la popolazione musulmana contro il patriarca (ucciso e bruciato) mentre il Sepolcro è saccheggiato e incendiato; sotto il califfo al-Hakim (966-1021) vi è una lunga persecuzione anticristiana e antiebraica, culminata con la distruzione del Sepolcro il 28 settembre 1009 e la riduzione in povertà dei cristiani che impiegano 40 anni a restaurarlo» (M. Meschini, Le crociate di Terrasanta, Art; e Il jihad & la crociata, Ares). Intanto i bizantini vengono sconfitti dati turchi a Manzikert nel 1071: il loro esercito viene sbaragliato e l’imperatore catturato.

E’ la paura della fine di Bisanzio a creare il panico in Occidente e a spingere papa Urbano II alla chiamata alle armi. Gli ortodossi, per quanto fratelli separati, corrono il rischio di essere distrutti e l’Islam, che già ha conquistato la Spagna, incomincia a salire verso i Balcani, chiudendo la cristianità in una tenaglia. L’accademico René Grousset ricorda che la sconfitta di Manzikert convinse gli europei che di fronte ad una tale incapacità dei bizantini di difendersi, «le nazioni occidentali dovevano intervenire». Infatti i turchi avevano preso Nicea, e di lì avrebbero potuto assalire Costantinopoli: le crociate servivano a ritardare la caduta della città, in mano ai turchi, di oltre tre secoli e mezzo, salvando così l’Europa da un’aggressione inevitabile.

«Verso il 1090», scrive Grousset, «l’islam turco, dopo aver cacciato quasi completamente i bizantini dell’Asia Minore, si preparava alla conquista dell’Europa» (R. Grousset, La storia delle crociate, Piemme). Dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, nulla fermerà più i turchi, che invaderanno i Balcani, giungendo ben due volte alle porte di Vienna. L’intervento di Urbano II fu dunque, secondo lo storico, un atto che diede origine ad una crociata, la prima, che sarebbe più opportuno considerare non una guerra di offesa, ma di difesa: difesa di Bisanzio, del Santo Sepolcro e di terre che erano state cristiane sino alla conquista islamica.

Così riassume Samir K. Samir in Cento domande sull’Islam (Marietti): «I cristiani o i crociati che hanno combattuto la guerra non pretendevano di averlo fatto fondandosi sul Vangelo; l’hanno fatto, invece, in nome della difesa della cristianità» e come «reazione alle persecuzioni intraprese dal califfo fatimitide al-akim bi-Amri Allah contro i cristiani di Siria e di Egitto (che allora comprendeva anche la Terrasanta)», giunte fino alla «distruzione della Basilica della Risurrezione di Gerusalemme (chiamata in Occidente Santo Sepolcro), iniziata il 28 aprile 1009». Dal canto suo Jean Richard, ne La grande storia delle crociate (Newton), nota che le crociate non ebbero lo scopo di convertire gli islamici: «La “guerra santa” in quanto operazione che ha lo scopo di ottenere una conversione forzata, venne respinta da tutti i teologi e canonisti. Le crociate hanno in genere rispettato questa norma».

Quanto sostenuto sino ad ora, non da Corrado Augias o storici improvvisati che popolano la tv, ma dai massimi studiosi delle crociate, è condiviso da Arrigo Petacco, nel suo L’ultima crociata. Quando gli ottomani arrivarono alle porte dell’Europa (Mondadori): è infatti impossibile analizzare questa parte della nostra storia prescindendo da quattro secoli di aggressioni musulmane all’Europa; prescindendo dal fatto che l’assedio islamico da Ovest, iniziato con la conquista di Spagna e fermato dai franchi a Poitiers, nel 732, stava per incominciare anche a Est, proprio negli anni della prima crociata e sarebbe ripreso con alterne vicende sino al 1683, quando i cristiani dell’ultima crociata, si trovarono a liberare Vienna dai turchi.

Certamente per le crociate di guerra si trattò, e non si può negare che il moto sfuggì di mano, in molte occasioni, sia per la naturale fragilità e cattiveria degli uomini, sia evidentemente perché in svariate circostanze la volontà di difendere la cristianità si mescolò, nel cuore dei nobili e dei feudatari, con la cupidigia di nuove conquiste. Ma esse non furono nulla di paragonabile ai fatti dell’Ottocento e del Novecento: non furono cioè opera di colonialismo, o di esportazione della democrazia (vedi guerre degli Usa in terre islamiche), perché i cristiani, per lo più, si limitarono «alla liberazione della Terrasanta (abitata da cristiani ed ebrei sottomessi, ndr); a nessuno passò per la mente di togliere ai musulmani l’Africa, l’Arabia o la Persia» (G. Bordonove, Le crociate e il regno di Gerusalemme, Rusconi).

Per concludere, lo studioso Rodney Stark, nel suo Gli eserciti di Dio (Lindau), dimostra altri due fatti interessanti. Il primo: le crociate non nacquero dalla avidità dei nobili europei, molti dei quali, anzi, affrontarono «persino la bancarotta pur di recarsi in Terrasanta», né furono il primo tentativo di colonialismo europeo, essendo i regni cristiani in Oriente indipendenti da qualunque Stato europeo e, lungi dall’essere sfruttati economicamente, godettero delle ricchezze che venivano dall’Europa. Il secondo: le crociate non possono essere indicate come «una delle cause dirette dell’attuale conflitto mediorientale», visto che gli islamici fino alla fine del XIX secolo non mostrarono interesse per questi fatti. Anzi, «per molti arabi le crociate non furono che attacchi sferrati contro gli odiati turchi, e pertanto di scarso interesse».
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Re: Croxade (Crociate)

Messaggioda Berto » sab apr 15, 2017 9:14 pm

Dopo ogni bomba, dopo ogni massacro, mentre ancora i cadaveri sono caldi e le rovine fumano, qualcuno ricorda le crociate. L’idea sarebbe che i musulmani hanno ancora il diritto di essere furiosi per i torti subiti durante le crociate. Questa vulgata è ripetuta da molti perché è stata ossessivamente imparata sui libri di scuola.

Silvana De Mari :

https://www.facebook.com/groups/2872381 ... 6909631538

Il mio amico Giancarlo Matta sottolinea giustamente i danni tragici del marxismo. La storiografia marxista ha da circa 60 anni il monopolio culturale dell’Europa. Ha creato una storiografia fantastica tesa a istillare nell’Occidente un tale odio di sé da spingerlo all’indispensabile suicidio. Le civiltà non muoiono per assassinio, muoiono per suicidio.

Tutti i demeriti dell’Occidente sono ingigantiti, i torti e le violenze che ha subito scompaiono dalla storia, tutti i meriti della civiltà occidentale sono negati. Un vero e proprio etnocidio. I pigolanti adolescenti (qualcuno ottantenne ma è un irrilevante incidente anagrafico), che mi spiegano che siccome siamo stati dei bricconi secoli fa è giusto che ora moriamo, commettono tre errori che più che errori sono crimini, negazione dell’etica.

L’idea sarebbe che i musulmani hanno ancora il diritto di essere furiosi per i torti subiti durante le crociate. Questa vulgata è ripetuta da molti perché è stata ossessivamente imparata sui libri di scuola.

Il suicidio dell’Occidente è l’affermazione che “la violenza islamica attuale è la conseguenza dei torti subiti”.

L’idea che i torti subiti mezzo millennio fa giustifichino la violenza attuale, contiene 3 aberrazioni:

1) L’idea che l’islam avesse il diritto di invadere e sottomettere col ferro e col fuoco e che chi osasse contrastarlo commettesse una colpa. Le crociate sono state guerre di difesa senza le quali non esisteremmo. Conquistata Gerusalemme, mai nominata nel Corano e dove Maometto non è mai stato in vita sua, per la bizzarra quanto universale teoria che sia una città santa dell’islam, il Santo Sepolcro è stato distrutto e i pellegrini cristiani crocifissi. Le crociate sono state fatte da uomini del Medioevo per motivi religiosi, non per motivi economici, come dimostrano i tre studiosi Bernard Lewis, Robert Spencer e Rodney Stark.

2) Che la colpa si erediti per via genetica, cioè l’idea di responsabilità personale cristiana ed europea è sostituita dal concetto di responsabilità tribale di tipo islamico. I nostri antenati sono stati cattivi cattivi, anzi Kattivi, con la K, perché così era scritto sui nostri libri di storia, che sono gli stessi libri che sostenevano che Lenin era sano di mente e un grand’uomo, e quindi i nostri figli è giusto che siano schiavi. I crociati mezzo millennio fa hanno fatto la bua all’islam e quindi la libanizzazione dell’Europa e la schiavizzazione dei nostri nipoti sono fenomeni corretti. Ho già accennato che l’economista Cipolla ha scritto leggi statistiche sull’imbecillità universale basate su ricerche statistiche che affermano che il calcolo della stupidità è sempre approssimato per difetto?

3) La terza idea delirante è che l’islam che è stato osteggiato nel suo atroce asservimento col fuoco e col ferro avesse il diritto di farlo. Istanbul si chiamava Costantinopoli: sono molto irritata che la Terza città santa della cristianità sia islamica e che i cristiani li abbiano ammazzati tutti, con l’ultima esplosione pirotecnica che è stato lo sterminio degli armeni.

Quindi che faccio? Vado a far saltare un bus scolastico in Turchia? Gli ebrei non sarebbe giusto che facessero saltare le metropolitane di Berlino? A Efeso, città santa della cristianità, dove è morta la Madonna, dove San Giovani ha scritto ai cristiani ci sono rimasti solo i turisti. La Siria era cristiana, il Nord Africa era cristiano e la civiltà cristiana è stata annientata. Pakistan e Afghanistan erano culle del buddismo, il Bangladesh era una culla dell’induismo. L’Indonesia era una culla dell’induismo. Il cristianesimo, annientato ovunque, ha resistito in Europa, perché noi siamo brutti, sporchi e cattivi, eredi di romani e barbari, abbiamo fatto le crociate.

Per la cronaca: non solo noi. C’erano anche gli armeni e i copti sudanesi dei regni di Dongola e Axum, e c’erano per salvare il sepolcro di Cristo, ma anche per salvare il ventre delle loro donne e la testa dei loro figli. Le crociate sono state guerre di difesa. Durante le crociate sono stati uccisi innocenti e in particolare ebrei innocenti e questo è uno dei numerosi motivi della mia fedeltà assoluta allo Stato di Israele, le crociate sono state fatte da uomini del Medioevo, con la violenza del loro tempo, ma sono state guerre di difesa.

La teoria che le crociate sono state una violenza terrificante ai mussulmani e che ne sono ancora sconvolti è una roba che poteva venire in mente solo agli storiografi marxisti, che erano dementi per definizione e che poi l’hanno venduta loro agli islamici, negli anni 60, in quel gioiello di posto che è stata l’Università di Mosca.

I mussulmani poveri pulcini sono innocenti e irascibili, e si sono irritati così tanto che per l’irritazione hanno sterminato anche uno strepitoso numero di buddisti e induisti, perché se è vero che la violenza musulmana è stata causata dalle crociate, anche gli apocalittici stermini di buddisti e induisti saranno stati una conseguenza? Se è vero che avere subito violenze nei secoli giustifica la violenza, non dovrebbe essere il popolo di Israele quello più irritato? L’islam ha picchiato molto di più di quante non le abbia prese. Io mi chiamo De Mari. La mia antenata Barbara De Mari nell’ XI secolo a Macinaggio in Corsica combatteva contro i saraceni con l’ascia perché lei era femmina e la spada non le toccava e combattendo riuscì a evitare che lei e i contadini del suo feudo facessero parte di quei milioni di schiavi che nessuno ricorda e che non hanno lasciato traccia perché nell’’islam gli schiavi non si possono riprodurre.

L’islam è stato nei secoli tanto buono e tollerante? Queste idiozie per favore fatele dire a Ridley Scott che è mantenuto a petrodollari, oppure raccontatele alle vostre sorelline minori se ce le avete. Non venitele a raccontare a me, perché appartengo a una famiglia che ha combattuto per secoli i saraceni. Li ha combattuti per mare e per terra. C’era anche uno di noi a crepare come un cane quel maledetto 29 maggio1453 a Costantinopoli, quando la città è caduta. Era un martedì. La Turchia, il posto che noi chiamiamo Turchia era l’Impero romano d’Oriente, la capitale, quella che adesso di chiama Istanbul, era Costantinopoli, la terza città santa della cristianità. Ora di Cristiani in Turchia non ce ne sono più perché li hanno sterminati. Nella città chiamata Efeso dove è stata scritta l’Apocalisse di San Giovanni di cristiani non ce ne è nemmeno uno.

E dopo un bel po’ di secoli gli islamici sono ancora irritati per essere stati intralciati dai crociati nella loro conquista del mondo sacrosanta e benedetta da Maometto.

Questo ci spinge a due considerazioni:

Primo: forse il momento è venuto di leggersela l’Apocalisse di San Giovanni.

Secondo: forse il momento è venuto di piantarla di dire idiozie.

La moderna antropologia è stata fondata da Claude Levi Strauss. Riporto alcune sue considerazioni su islam e crociate, ambedue prese da Tristi Tropici. Sono considerazioni fatte da un ebreo libero pensatore, non da un abate.

“L’evoluzione razionale è inversa a quella della storia. L’Islam ha tagliato in due un mondo più civile. Che l’occidente risalga alle fonti del suo laceramento: interponendosi fra il Buddismo e il Cristianesimo, l’islam ci ha islamizzati;

La cristianità ha avuto due strade: restare etica ed essere spazzata via, o imbarbarirsi, islamizzarsi e resistere.

Abbiamo resistito. Abbiamo ritardato l’attacco. Quando sono arrivati a Vienna, li abbiamo fermati.

La battaglia è cominciata l’11 settembre1683, ed è stata vinta. Senza quella vittoria noi non esisteremmo.

Quindi onore agli uomini che hanno protetto la civiltà dove viviamo, che è la civiltà che in assoluto ha avuto il più alto livello di scienza, di arte e di diritti degli uomini.

Noi siamo noi, noi siamo la nostra storia, noi siamo la nostra violenza noi siamo la nostra ferocia, noi siamo la nostra compassione. Il mondo non conosce più il vaiolo perché noi lo abbiamo abbattuto.

Quindi ricuperiamo l’orgoglio per la nostra storia. E per la nostra civiltà. E facciamo dono di questa civiltà come è nostro dovere. Se non lo faremo, moriremo e sarà giusto.

Se siamo credenti, non pensiamo che Dio è morto in croce solo per noi. È un’idea piuttosto idiota. È morto anche per i musulmani, e il nostro dovere è dirlo. La violenza non è convertire, ma non convertire, lasciare l’altro nell’errore, perché “è la sua civiltà”. Quindi usciamo dalla violenza, e passiamo il testimone. Passiamo il messaggio.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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