El Papa creistian, catołego roman, no lè Cristo

El Papa creistian, catołego roman, no lè Cristo

Messaggioda Berto » mer gen 21, 2015 9:11 am

El Papa creistian, catołego roman, no lè Cristo

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Il Papa: «I corrotti rubano ai poveri» (anca coeli ke li sta al warno o ke estorxe li skei co la violensa de stado)

19/01/2015 Bergoglio a tutto campo sul volo di ritorno dalle Filippine. Ha parlato della famiglia e dei rischi che sta correndo, di maternità e paternità responsabile, compresa la contraccezione. Poi ha ripreso il tema dell’attentato di Parigi, spiegando la questione del pugno e ribadendo che ci vuole prudenza, e ha affrontato il tema della corruzione con un esempio personale, rivelando come si è comportato quando in Argentina qualcuno ha tentato di corromperlo. Ha detto che a Tacloban tra le vittime del tifone Yolanda per poco non si metteva a piangere


Papa Francesco ha risposto per un’ora ai giornalisti durante il volo che volo che lo ha riportato a Roma dalle Filippine. Ha parlato dei suoi futuri viaggi, tra cui uno possibile in Africa, oltre a quelli negli Stati Uniti e in America Latina. Ha parlato della famiglia e dei rischi che sta correndo, spiegando cosa intendeva dire quando a Manila ha denunciato una “colonizzazione ideologica della famiglia”, e di maternità e paternità responsabile, compresa la contraccezione. Poi ha ripreso il tema dell’attentato di Parigi, spiegando la questione del pugno e ribadendo che ci vuole prudenza, e ha affrontato il tema della corruzione con un esempio personale, rivelando come si è comportato quando in Argentina qualcuno ha tentato di corromperlo. E naturalmente ha parlato del viaggio in Sri Lanka e nelle Filippine, dicendo che a Tacloban tra le vittime del tifone Yolanda per poco non si metteva a piangere.

Di seguito il testo integrale della conferenza stampa del papa a bordo dell’aereo così come è stato trascritto dalla Radio Vaticana.
Il sorriso dei filippini non era dipinto


C'è qualcosa che lei ha appreso dall'incontro con i filippini?

«I gesti! I gesti mi hanno commosso. Non sono gesti protocollari, gesti buoni. Erano gesti sentiti e gesti dal cuore. Alcuni quasi fanno piangere. C’è tutto lì: la fede, l’amore, la famiglia, le illusioni, il futuro… Quel gesto dei papà, quando alzavano i bambini, perché il Papa li benedicesse. Il gesto di un papà. Ce n’erano tanti. Alzavano i bambini, lì, quando passavo per la strada. Un gesto che da altre parti non si vede. Come se loro dicessero: questo è il mio tesoro, questo è il mio futuro, questo è il mio amore, per questo vale la pena lavorare, per questo vale la pena soffrire. E’ un gesto originale, ma nato dal cuore. Il secondo gesto che mi ha colpito tanto è un entusiasmo non finto, la gioia, l’allegria, capaci di fare festa anche sotto l’acqua. Mi diceva uno dei cerimonieri che è stato edificato perché i ministranti a Tacloban, con quella pioggia, mai avevano perso il sorriso. È la gioia, gioia non finta. Non era un sorriso dipinto, no, no: un sorriso che veniva. E dietro di quel sorriso c’è la vita normale, ci sono i dolori, ci sono i problemi. Altro gesto, le mamme che portavano i figli ammalati; anche le mamme in genere che li portavano lì. Le mamme non alzavano tanto i figli… fino a qui… (il Papa fa vedere con i gesti come i papà alzavano i bambini e come le mamme li tenevano in braccio). Si, è vero, si vedevano, ma tanti bambini disabili, con disabilità che fanno un po’ impressione; non nascondevano il bambino, lo portavano dal Papa perché lo benedicesse. Questo è il mio bambino, ma è così, ma è mio. Tutte le mamme sanno questo e lo fanno, ma il modo di farlo è quello che mi ha colpito, no? Il gesto della paternità, della maternità, dell’entusiasmo, della gioia. E c’è una parola che è difficile per noi da capire, perché è stata troppo volgarizzata, troppo usata male o capita male, no? Ma è una parola che ha sostanza: la rassegnazione. Un popolo che sa soffrire, e che è capace di alzarsi e andare avanti. Ieri, nel colloquio che ho avuto con il papà di Crystal, la ragazza volontaria che è morta a Tacloban, sono stato edificato (da quello che mi ha detto): “è morta in servizio”, e cercava parole per conformarsi, per accettare questo. Un popolo che sa soffrire. È questo che ho visto, come io ho interpretato i gesti»


Andrò in Uganda e Centrafrica, forse a fine anno


Sua Santità, è andata già due volte in Asia. I cattolici in Africa non hanno ancora ricevuto la sua visita. Lei sa che dalla Repubblica Centrafricana, alla Nigeria, all’Uganda, molti fedeli che soffrono della povertà, della guerra, del fondamentalismo islamico sperano la sua visita quest’anno. Allora volevo chiedere quando e dove pensa di andarci?

«Rispondo ipoteticamente. Ma, il piano è andare alla (Repubblica) Centrafricana e in Uganda. Questi due. Quest’anno. Credo che sarà verso la fine, per il tempo, no? Devono calcolare il tempo, che non ci siano le piogge, tempo che non sia brutto. È un po’ in ritardo questo viaggio perché c’è stato il problema dell’Ebola. È una responsabilità grande, fare grandi riunioni per il contagio, no? Ma in questi Paesi non c’è problema. Questi due sono in ipotesi per quest’anno»


Lo scarto dei poveri è terrorismo

Santo Padre, a Manila eravamo in un albergo molto bello, tutti erano molto gentili e si mangiava molto bene. Però, appena si usciva da questo albergo si veniva – diciamo così – aggrediti moralmente dalla povertà. Vedevamo dei bambini che erano in mezzo ai rifiuti, trattati, direbbe lei forse, come rifiuti. Ecco io ho un bambino di sei anni e mi sono vergognato che questi stanno così male. Ma il mio bambino, che si chiama Rocco, ha capito molto bene quello che lei ci insegna quando dice di condividere con i poveri. E così, andando a scuola, cerca di distribuire la merenda tra i mendicanti della zona. Eppure per me è molto più difficile. Anche per altre persone grandi è difficile. Un solo cardinale, 40 anni fa, ha lasciato tutto per andarsene dai lebbrosi (Léger). Ecco, questa era la mia domanda: perché, perché è tanto difficile seguire quell’esempio anche per i Cardinali? L’altra cosa che volevo chiederle invece riguarda lo Sri Lanka. Lì abbiamo visto tutte queste favelas andando verso l’aeroporto. Sono delle baracche appoggiate agli alberi e vivono praticamente sotto gli alberi. La maggioranza sono Tamil e sono discriminati. Lei, dopo la strage di Parigi, il giorno dopo, forse a caldo, ha detto “C’è un terrorismo isolato e un terrorismo di Stato”. Ma cosa voleva dire con quel “terrorismo di Stato”? A me è venuto in mente vedendo la sofferenza e la discriminazione di queste persone.

«Quando una di voi mi domandato qual era il messaggio che io portavo nelle Filippine, io ho detto: i poveri. E’ il messaggio che la Chiesa oggi dà. Anche quello che lei dice dello Sri Lanka, i Tamil, la discriminazione, no? I poveri, le vittime di questa cultura dello scarto. Questo è vero. Oggi non si scarta la carta, quello che avanza, soltanto. Si scartano le persone. E la discriminazione è una maniera di scarto, no? Si scarta questa gente. E come mi viene un po’ in mente l’immagine delle caste, no? Questo non può andare. E anche, oggi sembra normale lo scarto. E lei parlava dell’albergo lussuoso e poi la baracca. Ma, nella mia diocesi di Buenos Aires c’era tutta la zona nuova che si chiama Puerto Madero, fino alla stazione ferroviaria, e poi incomincia la “Villa Miseria”, i poveri, uno dietro l’altro. Da questa parte ci sono 36 ristoranti di lusso, che se tu vai a mangiare lì ti tagliano la testa; di qua c’è la fame. Uno attaccato all’altro. E noi abbiamo la tendenza di abituarci a questo, no?: si, qui siamo noi e lì sono gli scartati. Questa è la povertà e credo che la Chiesa debba dare esempio ogni volta di più in questo, di rifiutare ogni mondanità. A noi consacrati, vescovi, preti, suore, laici che credono davvero, il peccato più grave, la minaccia più grave è la mondanità. Ma è tanto brutto guardare quando si vede un consacrato, un uomo di Chiesa, una suora, mondano. È brutto. Questa non è la strada di Gesù. È la strada di una Ong che si chiama Chiesa. Ma questa non è la Chiesa di Gesù, quella Ong. Perché la Chiesa non è una Ong, è un’altra cosa. Ma quando diventa mondana - una parte della Chiesa, questa gente - diventa una Ong e lascia di essere la Chiesa. La Chiesa è il Cristo, morto e risorto per la nostra salvezza, è la testimonianza dei cristiani che seguono Cristo. Quello scandalo che lei ha detto è vero, sì, tante volte noi scandalizziamo i cristiani, scandalizziamo: siamo preti o laici, no? - perché è difficile la strada di Gesù. È vero, la Chiesa deve spogliarsi, no? Ma lei mi ha fatto pensare con quello del terrorismo dello Stato. Che questo scarto sia come un terrorismo. Mai lo avevo pensato, davvero, ma mi fa pensare. Non so cosa dirle, davvero. Ma non sono carezze quelle, davvero, è come dire: no, tu no, tu fuori. O quando è accaduto qui a Roma: un barbone che aveva un dolore di pancia, poveretto. E quando tu hai un dolore di pancia e vai all’ospedale, al primo soccorso, ti danno un’aspirina o una cosa del genere o ti danno turno [appuntamento] per quindici giorni: vieni dopo quindici giorni. È andato da un prete e il prete ha visto, si è commosso e ha detto: “Ma io ti porto all’ospedale, ma tu mi fai un favore: quando io inizio a spiegare quello che tu hai, tu fai finta di svenire”. Così è accaduto: un artista, l’ha fatto bene. C’era una peritonite! Quest’uomo era scartato. Se andava da solo era scartato e moriva. Quel parroco era furbo e ha aiutato bene. Era lontano dalla mondanità. È un terrorismo questo? Ma… sì, si può pensare che sia… Si può pensare, ma lo penserò bene, grazie».


Il gender è colonizzazione ideologica

Grazie, Santo Padre. Vorrei ritornare un attimo all’incontro che ha avuto con le famiglie. Lì ha parlato della “colonizzazione ideologica”. Ci potrebbe spiegare un po’ meglio il concetto? Poi si è riferito al Papa Paolo VI, parlando dei casi particolari che sono importanti nella pastorale delle famiglie. Ci può fare alcuni esempi di questi casi particolari e magari dire anche se c’è bisogno di aprire le strade, di allargare il corridoio di questi casi particolari?

«La colonizzazione ideologica: dirò soltanto un esempio, che ho visto io. Venti anni fa, nel 1995, una Ministro dell’Istruzione Pubblica aveva chiesto un prestito forte per fare la costruzione di scuole per i poveri. Le hanno dato il prestito a condizione che nelle scuole ci fosse un libro per i bambini di un certo livello. Era un libro di scuola, un libro preparato bene didatticamente, dove si insegnava la teoria del gender. Questa donna aveva bisogno dei soldi del prestito, ma quella era la condizione. Furba, ha detto di sì e anche ha fatto fare un altro libro e ha dato i due (libri) e così è riuscita… Questa è la colonizzazione ideologica: entrano in un popolo con un’idea che niente ha da fare col popolo; sì, con gruppi del popolo, ma non col popolo, e colonizzano il popolo con un’idea che cambia o vuol cambiare una mentalità o una struttura. Durante il Sinodo i vescovi africani si lamentavano di questo, che è lo stesso che per certi prestiti (si impongano) certe condizioni. Io dico soltanto questa che io ho visto. Perché dico “colonizzazione ideologica”? Perché prendono, prendono proprio il bisogno di un popolo o l’opportunità di entrare e farsi forti, per (mezzo de)i bambini. Ma non è una novità questa. Lo stesso hanno fatto le dittature del secolo scorso. Sono entrate con la loro dottrina. Pensate ai Balilla, pensate alla Gioventù Hitleriana. Hanno colonizzato il popolo, volevano farlo. Ma quanta sofferenza. I popoli non devono perdere la libertà. Il popolo ha la sua cultura, la sua storia; ogni popolo ha la sua cultura. Ma quando vengono condizioni imposte dagli imperi colonizzatori, cercano di far perdere ai popoli la loro identità e fare una uguaglianza. Questa è la globalizzazione della sfera: tutti i punti sono equidistanti dal centro. E la vera globalizzazione – a me piace dire questo – non è la sfera. È importante globalizzare, ma non come la sfera, ma come il poliedro, cioè che ogni popolo, ogni parte, conservi la sua identità, il suo essere, senza essere colonizzata ideologicamente. Queste sono le “colonizzazioni ideologiche”. C’è un libro, scusatemi, ma faccio pubblicità, c’è un libro che forse lo stile è un po’ pesante all’inizio, perché è scritto nel 1903 a Londra. È un libro che … a quel tempo questo scrittore ha visto questo dramma della colonizzazione ideologica e lo descrive in quel libro. Si chiama “The Lord of the Earth” o “The Lord of the World”, uno dei due. L’autore è Benson, scritto nel 1903, ma vi consiglio di leggerlo. Leggendo quello capirete bene quello che voglio dire con “colonizzazione ideologica”. Questa è la prima domanda. La seconda: io che volevo dire di Paolo VI? È vero che l’apertura alla vita è condizione del Sacramento del matrimonio. Un uomo non può dare il sacramento alla donna e la donna darlo all’uomo se non sono in questo punto d’accordo, di essere aperti alla vita. A tal punto che, se si può provare che questo o questa si è sposato con l’intenzione di non essere aperto alla vita, quel matrimonio è nullo, è causa di nullità matrimoniale, no? L’apertura alla vita, no? Paolo VI ha studiato questo con una commissione, come fare per aiutare tanti casi, tanti problemi, problemi importanti che fanno l’amore della famiglia. Problemi di tutti i giorni. Tanti, tanti, no?, ma c’era qualcosa di più. Il rifiuto di Paolo VI non era soltanto ai problemi personali, sui quali dirà poi ai confessori di essere misericordiosi e capire le situazioni e perdonare o essere misericordiosi, comprensivi, no? Ma lui guardava al neo-Malthusianismo universale che era in corso. E come si chiama questo neo-Malthusianismo? Eh, è il meno dell’1% del livello delle nascite in Italia, lo stesso in Spagna. Quel neo-Malthusianismo che cercava un controllo dell’umanità da parte delle potenze. Questo non significa che il cristiano deve fare figli in serie. Io ho rimproverato alcuni mesi fa una donna in una parrocchia perché era incinta dell’ottavo dopo sette cesarei. “Ma lei vuole lasciare orfani sette?”. Questo è tentare Dio. Si parla di paternità responsabile. Quella è la strada: la paternità responsabile. Ma quello che io volevo dire era che Paolo VI non è stato un arretrato [antiquato], un chiuso. No, è stato un profeta, che con questo ci ha detto: guardatevi dal neo-Malthusianismo che è in arrivo. Quello volevo dire. Grazie».


Il pugno? La libertà deve essere accompagnata dalla prudenza

Santità, nel viaggio, quando andavamo verso lo Sri Lanka (in realtà, era sul volo da Colombo a Manila), lei ha avuto quell’immagine e anche quel gesto verso il nostro povero (Gasbarri), che nel caso avesse insultato sua mamma si sarebbe meritato un pugno. Questa frase ha creato un pochino di confusione e non è stata capita bene da tutti, nel mondo, perché era come se dicesse che forse giustificava un pochino, davanti a una provocazione, una reazione violenta. Ci potrebbe spiegare un pochino meglio quello che voleva dire?

«In teoria, possiamo dire che una reazione violenta davanti a un’offesa, a una provocazione, in teoria sì, non è una cosa buona, non si deve fare. In teoria, possiamo dire quello che il Vangelo dice, che dobbiamo dare l’altra guancia. In teoria, possiamo dire che noi abbiamo la libertà di esprimere e questa è importante. Nella teoria siamo tutti d’accordo, ma siamo umani, e c’è la prudenza, che è una virtù della convivenza umana. Io non posso insultare, provocare una persona continuamente, perché rischio di farla arrabbiare, rischio di ricevere una reazione non giusta. Ma è umano quello. Per questo dico che la libertà di espressione deve tenere conto della realtà umana e perciò dico deve essere prudente. È una maniera di dire che deve essere educata, pure, no? Prudente, la prudenza è la virtù umana che regola i nostri rapporti. Io posso andare fino a qui, di là, di là. Questo volevo dire, che in teoria siamo tutti d’accordi: c’è libertà di espressione, una reazione violenta non è buona, è cattiva sempre. Tutti d’accordo. Ma nella pratica fermiamoci un po’, perché siamo umani e rischiamo di provocare gli altri e per questo la libertà deve essere accompagnata dalla prudenza. Quello volevo dire».


Andrò in America e poi in Bolivia, Ecuador e Paraguay

Santo Padre, Lei ci ha detto già che era previsto il viaggio in America. Lei ha citato tre città: New York, Washington e Philadelphia. Poi, con la canonizzazione di Serra ci domandiamo se forse era prevista anche una tappa in California oppure alle frontiere del Messico. E poi in Sudamerica lei ha detto alla nostra collega Elisabetta (Piqué) che erano previsti tre viaggi o un viaggio in tre paesi del Sudamerica. Quali sono? E se lei pensa di beatificare personalmente l’Arcivescovo Romero, recentemente considerato martire.

«Comincio dall’ultima. Lì ci sarà una guerra tra il Cardinale Amato e il Monsignor Paglia: quale dei due farà la beatificazione? Non io personalmente: i beati normalmente li fanno o il Cardinale del Dicastero o un altro. Andiamo alla prima (domanda): Stati Uniti. Sì, le tre città sono quelle: Philadelhpia, per l’Incontro delle Famiglie, New York – che ho la data, ma non la ricordo, della visita alle Nazioni Unite – e Washington. Sono queste tre. Andare in California mi piacerebbe, per fare la Canonizzazione di Junipero Serra, ma c’è il problema del tempo. Ci vogliono due giorni in più. Io penso di fare quella canonizzazione al Santuario di Washington. È una cosa nazionale. Anche in Washington, nel Campidoglio credo, c’è la statua di Junipero. Penso lì. Entrare negli Stati Uniti dalla frontiera del Messico sarebbe una cosa bella, come segno di fratellanza e aiuto per gli emigranti, ma lei sa che andare a Messico senza andare a visitare la Madonna è un dramma e può scoppiare una guerra lì, e per questo anche ci sarebbero tre giorni di più e non è tutto chiaro. Io penso che ci saranno soltanto queste tre città. Poi c’è tempo per andare in Messico. Poi ho dimenticato qualcosa? Ah, i tre paesi latinoamericani sono previsti per quest’anno – tutto è ancora in bozza – l’Ecuador, la Bolivia e il Paraguay. Questi tre. L’anno prossimo, Deo volente, vorrei fare – ma ancora non è previsto niente – Cile, Argentina e Uruguay. E il Perù manca un po’. Non sappiamo dove metterlo anche questo».


Ogni istituzione, anche la Chiesa, può cadere nella corruzione

Lei a Manila ha citato il fenomeno della corruzione. Come la definisce quando tocca i governi? E può esserci anche nella Chiesa?

«Forte questa, eh? La corruzione oggi nel mondo è all’ordine del giorno e l’atteggiamento corrotto trova subito facilmente nido nelle istituzioni. Perché un’istituzione che ha tanti brani (parti?) lì e là, ha tanti capi e vicecapi, è tanto facile lì di cadere o annidare la corruzione. Ogni istituzione può cadere in questo. La corruzione è togliere al popolo. Con la persona corrotta, che fa affari corrotti, o governa corrottamente o va ad associarsi con gli altri per fare un affare corrotto, ruba al popolo. La vittima sono quelli che lei ha detto dopo l’albergo di lusso (allusione alla precedente domanda di Izzo), quelli sono le vittime della corruzione. La corruzione non è chiusa in se stessa, va e uccide. Capisce? Oggi è un problema mondiale la corruzione. Una volta, nell’anno 2001 più o meno, ho domandato al Capo di Gabinetto del Presidente in quel momento – che era un governo che noi pensavamo che non era tanto corrotto; è vero, non era tanto corrotto – “Mi dica, gli aiuti che voi inviate all’interno del paese, sia in contanti, siano cose per nutrirsi, per vestirsi, tutte queste cose, quanto arriva al posto?”. Subito quest’uomo, che è un uomo vero, pulito, subito: “Il 35%”. Così mi ha detto. Anno 2001 nella mia patria. E adesso la corruzione nelle istituzioni ecclesiali. Quando io parlo di Chiesa a me piace parlare dei fedeli, dei battezzati, tutta la Chiesa, no? E li è meglio parlare di peccatori. Tutti siamo peccatori, no? Ma quando parliamo di corruzione, parliamo o di persone corrotte o di istituzioni della Chiesa che cadono nella corruzione e ci sono casi si, ci sono. Mi ricordo una volta, anno 1994, appena nominato vescovo del quartiere di Flores a Buenos Aires, sono venuti da me due impiegati o funzionari di un ministero a dirmi: “Ma lei ha tanto bisogno qui, con tanti poveri, nelle Villas miserias”. “Oh, si” ho detto io e ho raccontato. “Ma noi possiamo aiutare. Noi abbiamo, se lei vuole, un aiuto di 400.000 pesos”. A quel tempo il peso e il dollaro erano 1 a 1: 400,000 dollari. “E voi potete fare?”. “Ma si, si”. Io ascoltavo perché quando l’offerta è tanto grande, anche il Santos sfida, e poi andando avanti: “Ma, per fare questo, noi facciamo il deposito e poi lei ci dà la metà a noi”. In quel momento io ho pensato cosa fare, o li insulto e gli do un calcio dove non dà il sole o faccio lo scemo. E ho fatto lo scemo. Ho detto, ma con la verità, ho detto: “Lei sa che nelle vicarie noi non abbiamo conto; lei deve fare il deposito in Arcivescovado con la ricevuta. E lì è tutto”. “Ah, non sapevamo, piacere” e se ne sono andati. Ma poi io ho pensato: se questi due sono atterrati direttamente, senza chiedere pista – è un cattivo pensiero – è perché qualcun altro ha detto di sì, ma è un cattivo pensiero… ma la corruzione è facile farla. Ma ricordiamo questo: peccatori si, corrotti no! Corrotti mai! Dobbiamo chiedere perdono per quei cattolici, quei cristiani, che scandalizzano con la loro corruzione. È una piaga nella Chiesa, ma ci sono tanti santi, e santi peccatori, ma non corrotti. Guardiamo all’altra parte, anche nella Chiesa santa. Qualcuno c’è anche… ma grazie per il coraggio di fare questa domanda».


L'Islam moderato

Stiamo sorvolando la Cina. Andando in Corea lei ci ha detto che era pronto ad andare in Cina già da domani. Alla luce di queste dichiarazioni, ci può spiegare perché non ha ricevuto il Dalai Lama che era a Roma poco tempo fa e a che punto stanno andando le relazioni con la Cina.

«È abitudine per il Protocollo della Segreteria di Stato di non ricevere Capi di Stato o gente di quel livello quando sono in una riunione internazionale qui a Roma. Per esempio per la FAO non è stato ricevuto nessuno. È per questo che non è stato ricevuto. Ho visto che qualche giornale ha detto che non lo ha ricevuto per paura della Cina. Quello non è vero. In quel momento la ragione è questa. Lui ha chiesto un’udienza e gli è stato detto una data a un certo punto. Lo aveva chiesto prima, ma non per questo momento, e siamo in relazione. Ma il motivo non era il rifiuto alla persona o paura per la Cina. Sì, noi siamo aperti e vogliamo la pace con tutti. E come vanno i rapporti? Mah, il Governo Cinese è educato. Anche noi siamo educati e facciamo le cose passo passo come si fanno le cose nella storia, no? Ancora non si sa, ma loro sanno che io sono disposto a ricevere o andare. Lo sanno».

Lei nell’ultimo viaggio che abbiamo fatto, nella Turchia, ha lanciato un appello ai leader islamici, dicendo che servirebbe un intervento da parte loro molto fermo. Ora questa cosa non mi sembra che sia stata considerata e accolta nonostante le sue parole. Ci sono alcuni paesi moderati musulmani – posso fare benissimo l’esempio della Turchia – che hanno un atteggiamento sul terrorismo – citiamo i casi dell’ISIS o anche di Charlie Hebdo – perlomeno ambiguo. Ecco, io non so se lei in questo mese e mezzo ha avuto il modo di riflettere e pensare a come andare oltre il suo invito che non è stato accolto e che pure era importante.

«Anche quell’appello l’ho ripetuto il giorno stesso della partenza per lo Sri Lanka, al Corpo Diplomatico, alla mattina. Al discorso al Corpo Diplomatico – non ricordo le parole – ho detto che auguro che i leader religiosi, politici, accademici e intellettuali, si esprimano. Anche il popolo moderato islamico chiede quello dai suoi leader. Alcuni hanno fatto qualcosa. Io credo che anche bisogna dare un po’ di tempo perché per loro la situazione non è facile. Io ho speranza perché c’è tanta gente buona fra loro, tante gente buona, tanti leader buoni, che sono sicuro che si arriverà. Ma volevo dire e sottolineare che lo stesso l’ho ripetuto il giorno della partenza».


La paternità sia responsabile

Lei ha parlato dei tanti bambini nelle Filippine, della sua gioia che ci sono così tanti bambini. Ma, secondo dei sondaggi, la maggioranza dei filippini pensa che la crescita enorme della popolazione filippina è una delle ragioni più importanti per la povertà enorme del paese, e nella media una donna nelle filippine partorisce più di tre bambini nella sua vita, e la posizione cattolica nei riguardi della contraccezione sembra essere una delle poche questioni su cui un grande numero della gente nelle Filippine non stia d’accordo con la Chiesa. Che cosa ne pensa?

«Io credo il numero di 3 per famiglia che lei menziona credo che è quello che dicono i tecnici che è importante per mantenere la popolazione, no? 3 per coppia. Quando scende questo, accade l’altro estremo, che accade in Italia, dove ho sentito – non so se è vero – che nel 2024 non ci saranno i soldi per pagare i pensionati. Il calo della popolazione, no? Per questo la parola chiave per rispondere è quella che usa la Chiesa sempre, anche io: paternità responsabile. Come si fa questo? Col dialogo. Ogni persona, col suo pastore, deve cercare come fare quella paternità responsabile. Quell’esempio che ho menzionato poco fa, di quella donna che aspettava l’ottavo e ne aveva sette nati col cesareo. Ma questa è una irresponsabilità. “No, io confido in Dio”. “Ma guarda, Dio ti da i mezzi, sii responsabile”. Alcuni credono che – scusatemi la parola, eh – per essere buoni cattolici dobbiamo essere come conigli, no? No, paternità responsabile. Questo è chiaro e per questo nella Chiesa ci sono i gruppi matrimoniali, ci sono gli esperti in questo, ci sono i pastori e si cerca. E io conosco tante e tante vie d’uscita lecite che hanno aiutato a questo. Ma ha fatto bene a dirmelo. È anche curiosa un’altra cosa che non ha niente a che vedere in relazione con questo. Per la gente più povera un figlio è un tesoro. È vero, si deve essere anche qui prudente. Ma per loro un figlio è un tesoro. Dio sa come aiutarli. Forse alcuni non sono prudenti in questo, è vero. Paternità responsabile, ma guardare anche la generosità di quel papà e di quella mamma che vede in ogni figlio un tesoro».
A Tacloban durante la messa mi sentivo annientato

Qual è stato per lei il momento più forte: la messa a Tacloban e poi ieri quando questa bambina si è messa a piangere? Questa è la prima domanda. Poi, la seconda: ieri lei ha fatto storia, ha superato il record di Giovanni Paolo II nello stesso posto: c’erano 6/7 milioni di persone. Come vive questo? Il Cardinal Tagle ci raccontava che durante la messa, all’altare, lei gli chiedeva: “Ma quanta gente c’è?” Quindi, come vive aver superato questo record, essere entrato nella storia come il Papa con la messa più numerosa nella storia?

«La prima: il momento più forte. Quello di Tacloban, la messa, per me è stato forte, molto forte: vedere tutto il popolo di Dio fermo là, pregando, dopo questa catastrofe, pensare ai miei peccati e a quella gente. È stato forte, un momento molto forte. Nel momento della messa lì, io mi sono sentito come annientato, quasi non mi veniva la voce. Non so cosa mi è successo, forse sia l’emozione, non so, ma non ho sentito altra cosa. È una cosa come annientamento. E poi momenti forti sono stati i gesti, ogni gesto. Ma quando passavo e un papà faceva così (il Papa fa il gesto dell’alzare il bambino), io davo la benedizione. Lui mi faceva un grazie, ma per loro bastava una benedizione. Io ho pensato, ma io che ho tante pretese, che voglio questo, che voglio quello… Mi ha fatto bene quello, no? Momenti forti. Anche dopo che ho saputo che a Tacloban siamo atterrati con un vento di 70 km/h io ho preso sul serio l’avviso che dovevamo uscire all’una e non di più perché c’era pericolo di più. Ma non ho avuto paura, soltanto la misura. Per quello della grande presenza, io mi sono sentito così annientato. Quello era il popolo di Dio e il Signore era lì. È la gioia della presenza di Dio che dice a noi: pensate bene che voi siete servitori di questi, eh. Questi sono i protagonisti – una cosa così… Poi l’altra è il pianto. Ma una delle cose che si perde quando c’è troppo benessere, o i valori non si capiscono bene, o siamo abituati all’ingiustizia, a questa cultura dello scarto, è la capacità di piangere. È una grazia che dobbiamo chiedere. C’è una bella preghiera nel messale antico, per piangere. Diceva così, più o meno: “O Signore, tu che hai fatto che Mosè col suo bastone facesse uscire acqua dalla roccia, fai che dalla roccia del mio cuore esca l’acqua del pianto”. Bellissima quella preghiera! Noi cristiani dobbiamo chiedere la grazia di piangere, soprattutto i cristiani benestanti, e piangere sulle ingiustizie e piangere sui peccati. Perché il piangere ti apre a capire nuove realità o nuove dimensioni della realtà. E quello che ha detto la ragazza e quello che ho detto io a lei, no? Lei è stata l’unica a fare quella domanda che non si può rispondere: perché soffrono i bambini? Il grande Dostoevskij se la faceva e non è riuscito a rispondere: perché soffrono i bambini? Lei con il suo pianto. Donna, che piangeva. Quando io dico che è importante che le donne siano più tenute in conto nella Chiesa, non è soltanto per darle una funzione di Segretaria di un dicastero. Questo può andare, ma no, che loro ci dicano come sentano, come guardano la realtà, perché le donne guardano da una ricchezza differente, più grande. Un’altra cosa che voglio sottolineare qui: quello che ho detto all’ultimo ragazzo, che davvero lavora bene, dà, organizza, aiuta i poveri. Ma non dimenticare che anche noi dobbiamo essere mendicanti di loro, perché i poveri ci evangelizzano. Se noi togliamo i poveri dal Vangelo, non possiamo capire il messaggio di Gesù. I poveri ci evangelizzano. “Io vado ad evangelizzare i poveri”. Si, ma lasciati evangelizzare da loro, perché hanno valori che tu non hai. Questo più o meno».


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stefano20 gennaio 2015 alle 18.47

Scusate, io non vorrei sembrare screanzato, ma il Papa ha difeso la libertà dei popoli dalla tirannia del pensiero unico, ha condannato apertamente l'ideologia del gender e ha innalzato il baluardo dell'Humanae Vitae in difesa della famiglia, definendo Paolo VI un profeta; ha denunciato l'internazionale del neo-malthusianesimo e ha ricordato l'attualità di Benson, invitando tutti alla riscoperta de Il Padrone del Mondo. No, dico, basterebbe questo per scrivere e dibattere su questi temi per settimane o mesi. E invece come ti sintetizza tutto questo FC? Col solito titolo mani-pulite sui corrotti che rubano ai poveri. Insomma, è mai possibile sperare in una maggior fedeltà al pensiero complessivo del Papa, soprattutto nei passaggi più dirompenti, o si fa apposta a depotenziare la forza di rottura che il suo messaggio è in grado di scatenare nel perbenismo politicamente corretto, al di là dei cliché e dei sommari annacquati dei rotocalchi? Scusate lo sfogo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: El Papa creistian

Messaggioda Berto » mer gen 21, 2015 11:32 am

???
Germania a lezione di gender: bimbi svengono a scuola. E chi protesta va in carcere
La Germania si spacca sui corsi di educazione sessuale e diversità di genere
Giovanni Masini - Ven, 14/11/2014 - 16:16
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/ger ... 67842.html

Bimbi che si sentono male in classe, vanno in iperventilazione, svengono. Genitori in carcere per non aver obbligato i figli a partecipare ai corsi sul gender.

Succede nella Germania del 2014, dove chi osa anche solo dissentire dall'ideologia imperante del gender viene perseguito con determinazione, e a norma di legge. Al punto da rischiare di ritrovarsi la polizia sul pianerottolo di casa.

A Borken, vicino a Munster, sei bimbi sono dovuti rimanere a casa da scuola per essersi sentiti male dopo che in classe erano state mostrate loro immagini esplicite a sfondo sessuale, nell'ambito di un progetto di educazione alla "diversità di genere". Dopo che un primo bambino ha dato segni di avere problemi di circolazione, si è scatenata una reazione a catena, con altri piccoli studenti che sono andati in iperventilazione e un alunno che è quasi svenuto, rendendo necessario l'intervento dell'ambulanza. La polizia ha minimizzato l'episodio sostenendo che "non fosse successo niente" e che si trattasse di immagini e disegni "assolutamente normali". Le autorità mediche hanno comunque disposto le analisi del sangue per uno dei bimbi che si sono sentiti male.

Negli stessi giorni a Eslohe, 170 chilometri a sudest di Borken, è scoppiato un caso analogo che sta letteralmente spaccando in due l'opinione pubblica in tutto il Paese: due coniugi di 37 anni, Eugen e Luise Martens, sono stati incarcerati per quaranta giorni perché la figlia, iscritta alle scuole elementari, si era rifiutata di partecipare ai corsi di educazione sessuale previsti dall'istituto. Eugen, che con sua moglie ha altri otto figli, era già stato arrestato l'anno scorso con la medesima accusa: in quell'occasione a Luise era stata risparmiato il carcere solo perché incinta.

In tutta la Germania si stanno formando movimenti e comitati di solidarietà in appoggio ai coniugi Martens, per esprimere il dissenso contro una scuola che obbliga i bambini di sei anni a frequentare regolarmente lezioni di ideologia gender. In Germania i genitori dei bimbi che saltano la scuola possono essere denunciati dall'istituto e processati dal tribunale, anche se lo studente abbandona la lezione di propria iniziativa, come è stato nel caso della figlia dei Martens.

"Il contenuto delle lezioni è perverso - spiega a Tempi Mathias Ebert, fondatore dell'associazione "Besorgte Eltern" ("Genitori preoccupati") - Non solo si mostra ai bimbi come funziona il sesso dei maschi e delle femmine, ma li si mette davanti alle varie pratiche sessuali: sesso orale, sesso anale molto altro. Si dice anche ai bambini, sin dalle elementari, che il loro genere non è determinato e che non possono sapere se sono maschietti o femminucce, che devono pensarci su."

Ebert racconta anche che in Germania c'è molta paura a denunciare episodi come questo, perché "in questo Paese non appena si viene puniti si viene considerati dei criminali": "Chiediamo solo che non vengano turbati i sentimenti dei bambini. Non è giusto. È una violenza nei loro confronti."



Scuola, come difendersi da chi vuole difenderci dal ‘gender’
di Dario Accolla | 2 aprile 2014

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04 ... der/935446

L’offensiva antigay messa in atto dalle gerarchie religiose e da certi gruppi cattolici ad esse collaterali ha per bersaglio la cosiddetta “ideologia del gender”. Queste realtà utilizzano tale definizione – agitata come male assoluto – verosimilmente per clericalizzare le scuole pubbliche, rendendole luoghi in cui indottrinare le nuove generazioni.

Il “gender”, per come è narrato, si configura però come un’invenzione dei cattolici. Semmai esistono gli studi di genere o Gender studies, nati dalla sinergia di diverse discipline (giuridiche, sociologiche, psicologiche, linguistiche, ecc). Essi sostengono che fino ad oggi la società si è strutturata sulla prevalenza di un genere su un altro. Il maschilismo, attraverso il patriarcato, ha imposto per millenni il controllo sociale su donne e infanzia, reprimendo le diversità. Una tra tutte, l’omosessualità.

Questo modello ha prodotto fin troppe vittime. Basti pensare al fenomeno delle spose bambine attualmente presente in alcuni paesi islamici e in passato diffuso anche in quelli cristiani. Gli studi di genere affermano che questo è insostenibile: chiunque deve essere messo nelle condizioni di vivere la sessualità secondo la propria identità. Semplificando: se sei gay, lesbica, trans, hai diritto di amare chi vuoi e di essere come vuoi. Se sei eterosessuale, pure.

I movimenti integralisti non possono accettare questa evidenza perché mette in discussione la gerarchia di valori che sta alla base della loro visione della vita e che ha il solo risultato di lasciare la società in preda agli squilibri che nascono dall’idea che essere maschio, eterosessuale e possibilmente bianco e cristiano sia una condizione superiore a qualsiasi altra.

I libretti dell’Unar e i corsi di formazione su come prevenire i fenomeni di bullismo omofobico a scuola mirano sostanzialmente ad evitare violenze e discriminazioni contro una parte della popolazione scolastica percepita come “non eterosessuale” (salvaguardando, quindi, anche quegli/lle adolescenti che non sono Lgbt ma che vengono scherniti/e come tali) ed educando tutti e tutte a un maggiore rispetto reciproco. Cosa c’è di sbagliato in questo? Se fossi genitore non vorrei finire in situazioni già verificatesi in passato per cui un ragazzo si uccide per omofobia e poi ritrovarmi i media a descrivere la scuola dove va mio figlio come luogo in cui si permette di istigare al suicidio persone più fragili. Eppure un’iniziativa di buon senso viene scambiata per proselitismo a favore dell’omosessualità.

A tal proposito alcune di queste associazioni – Manif pour tous Italia, ad esempio – hanno prodotto dei vademecum per difendersi dal “gender”, per cui si opera come segue: si legge il Pof (il piano dell’offerta formativa delle scuole) e se si trovano frasi come “educazione sessuale” o “educazione all’affettività”, si allertano i genitori e si monta la protesta per evitare che si parli di certi argomenti. Si è pure pensato di proporre piani di assenze programmate per opporsi a queste buone pratiche di convivenza civile.

Da insegnante, sostengo che questi ostacoli debbano essere superati con un po’ di buon senso: basterà semplicemente inserire a livello individuale – almeno fino a quando il ministero della Pubblica Istruzione non provvederà in merito – questi argomenti anche nei programmi di italiano, letterature classiche, storia, geografia, educazione alla cittadinanza, lingue, arte e scienze, discipline previste nel piano di studi. Celebrare la Giornata contro l’omofobia (che cade il 17 maggio), come scritto in una circolare dell’allora ministro Profumo che garantisce una copertura burocratica in tal senso. E ricordare, qualora si registrassero ulteriori ingerenze, che la Costituzione tutela il diritto di libertà di insegnamento
(ma na bona costitusion la dovaria tutelar anca ła łebarta de l’aprendemento o no ?).

Se poi pensate che sia una strada in salita, vi racconto una storia: tempo fa fui richiamato dalla dirigenza della scuola in cui insegnavo proprio perché avrei parlato del 17 maggio. Feci notare ai miei superiori che, così come non mi ero curato della “sensibilità” di genitori antisemiti o misogini in occasione del Giorno della Memoria e della Giornata Internazionale della Donna, non mi sarei posto il problema della presenza di genitori omofobi, proprio per quella che era ed è la mia missione: fare dei miei allievi e delle mie allieve persone migliori. Non ci crederete, ma nessuno è mai venuto a lamentarsi.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: El Papa creistian

Messaggioda Berto » mer gen 21, 2015 4:29 pm

21/02/2013
VATICANO-ISLAM

Benedetto XVI e l'Islam : né fondamentalismo, né laicismo
di Samir Khalil Samir

http://www.asianews.it/notizie-it/Bened ... 27200.html

Troppi vaticanisti improvvisati bollano come "fallimento" il rapporto del papa con l'islam, a partire dallo "sventurato" discorso di Regensburg. Invece quel discorso è stato profetico per la Primavera araba e per il dialogo mondiale fra religioni e mondo laico. E ha aperto nuovi spazi di collaborazione fra cristiani e musulmani.

Beirut (AsiaNews) - La notizia della rinuncia di Benedetto XVI mi ha colpito in modo positivo: è una cosa bella, coraggiosa, che apre una strada per il futuro, frutto di realismo e riflessione. Non vedo perché un papa dovrebbe continuare, anche quando si vede o si sente di non poterlo più fare. Certo, Benedetto XVI è ancora capace in tante cose, ma sente che ci vorrebbe qualcuno più giovane per continuare il lavoro missionario del ministero petrino.

Il suo gesto è un segno di umiltà e di coraggio per averlo comunicato davanti al mondo. Non è per nulla un segno di scoraggiamento verso la sua missione, o di fallimento. È come dire: ho fatto la mia missione, vedo che questa missione può essere prolungata meglio, lascio ad altri proseguirla. Qua e là ci sono echi negativi, ma questo gesto insegna a tutti noi che a un certo punto dobbiamo passare la mano ad altri. Forse l'idea che questo ministero debba essere a vita non regge più nel suo carattere assolutista.

Regensburg un errore, un fallimento?

Le dimissioni del papa vengono spesso attribuite a una serie di "fallimenti" da lui accumulati in questi anni.
Fra tali cosiddetti "fallimenti", si cita sempre il suo rapporto con l'islam e lo "sventurato" discorso da lui pronunciato a Regensburg. In realtà, più volte abbiamo detto che Regensburg non è per nulla un fallimento: al contrario, è un passo avanti nel rapporto fra Chiesa e Islam.

Tale rapporto è iniziato con il Concilio Vaticano II: nella dichiarazione Nostra Aetate, si mette l'accento su aspetti positivi dell'islam: una spiritualità, una fede nel Dio unico, delle radici abramitiche. Tale dichiarazione volta pagina e mette fine a una visione dell'islam solo in negativo, come l'anti-cristianesimo.

Con Giovanni Paolo II si è fatto un altro passo avanti. Nell'incontro con i giovani musulmani a Casablanca (Marocco, 19 agosto 1985), egli ridà un senso di responsabilità ai giovani musulmani davanti al mondo moderno, lanciandoli in un cammino affianco ai giovani cristiani. Il papa cominciava cosi: "Cristiani e musulmani, abbiamo molte cose in comune, come credenti e come uomini... Noi crediamo nello stesso Dio, l'unico Dio, il Dio vivente, il Dio che crea i mondi e porta le sue creature alla loro perfezione"[1].

Sono seguiti poi altri gesti molto aperti di Giovanni Paolo II, come la visita alla grande moschea di Damasco (6 maggio 2001). "Il fatto che il nostro incontro avvenga in questo famoso luogo di preghiera - ha detto - ci ricorda che l'uomo è un essere spirituale, chiamato a riconoscere e a rispettare la priorità assoluta di Dio in ogni cosa. I cristiani e i musulmani concordano sul fatto che l'incontro di Dio nella preghiera è il nutrimento necessario per la nostra anima, senza il quale il nostro cuore appassisce e la nostra volontà non cerca più il bene ma cede al male. Sia i musulmani sia i cristiani hanno cari i loro luoghi di preghiera, come oasi in cui incontrano il Dio Misericordioso lungo il cammino per la vita eterna, e i loro fratelli e le loro sorelle nel vincolo della religione."[2]

Una volta, il 14 maggio 1999, il papa ha perfino baciato una copia del Corano, datagli in dono da una delegazione musulmana irakena[3]. Per noi cristiani d'Oriente questo è un po' troppo. D'altra parte baciare il testo sacro all'islam per il papa non era una consacrazione dogmatica, ma solo un gesto di stima e rispetto.
Ma su vari siti si sono scatenati i critici.

Poi vi è stato l'incontro di Assisi (1986; 2002), visto come una cosa positiva, anche se con aspetti di ambiguità, come se si considerassero le religioni tutte sullo stesso piano.

Con Benedetto XVI, il primo gesto che implica l'islam è il discorso di Regensburg (12 settembre 2006). Di per sé questo discorso non era rivolto anzitutto ai musulmani, ma agli scienziati e ai dotti filosofi tedeschi, come si spiega nel titolo stesso del discorso: "Incontro con i rappresentanti della scienza".

Allargare la ragione

Lo scopo finale è espresso nelle conclusioni: stabilire un dialogo universale - non solo fra cristiani e musulmani - basato sulla ragione. L'analisi che in esso si svolge è un tipico ragionamento filosofico, basato sul logos, sulla ragione. In esso si afferma che l'Occidente ha fatto deviare il concetto di ragione verso il concetto scientifico-matematico di "misurabile", "sperimentabile", "pragmatico". Invece il termine originale "logos" e "logikos", razionale, ragionevole, significa anche "spirituale" e si ritrova in tutta la letteratura cristiana.

Questo termine si usa ancora nelle liturgie orientali, in cui si parla per esempio delle "pecore razionali" (cioè i fedeli) e più ancora dei sacrifici ragionevoli, cioè spirituali, in opposizione ai sacrifici animali. il suo uso deriva da san Paolo (Romani 12,1) in cui egli parla del culto "logiké" (razionale, spirituale). Anche l'antica liturgia latina (e l'attuale prima preghiera eucaristica), parlando dell'offerta eucaristica, dice: "Quam oblationem tu, Deus, in omnibus quaesumus, benedictam, adscriptam, ratam, rationabilem, acceptabilemque facere digneris ..."; "oblationem rationabilem" è reso nella traduzione italiana" con "sacrificio spirituale".

Il papa ha voluto mostrare che la civiltà occidentale ha ridotto il concetto di ragione, limitandolo al misurabile e calcolabile, svuotandolo della dimensione spirituale. Egli dice che è necessario superare questa riduzione, altrimenti non riusciremo a dialogare con le altre culture mondiali, che invece presentano questa dimensione spirituale.

La violenza è irrazionale e si oppone a Dio

Egli fa emergere anche un altro pericolo: quello di identificare la razionalità con la fede; e anche questo è pericoloso perché in tal modo la fede, senza controllo razionale, può ricorrere alla violenza. Tale rischio è ritrovabile dappertutto.

Nell'esortazione apostolica dello scorso anno, Ecclesia in Medio Oriente, il pontefice mette in guardia proprio da questo pericolo: l'estremismo religioso, il fondamentalismo, che "tocca tutte le religioni". E in effetti si trova nell'ebraismo, in alcuni gruppi in Israele; nel cristianesimo, in alcuni gruppi evangelici; nell'islam, di cui soffre anzitutto il mondo islamico stesso: lo vediamo nelle manifestazioni di popolazioni musulmane contro i fondamentalismi dei nuovi regimi in Tunisia, Egitto, ecc.. Così, precorrendo la Primavera araba, il papa ha denunciato tale violenza.

Forse si può dire che ha fatto una scelta infelice usando il testo - divenuto famosissimo - in cui si cita il dialogo fra l'imperatore Manuele Paleologo e uno studioso musulmano di origine persiana. Ma lui stesso, il papa, ha spiegato che nell'estate 2006 aveva letto questo dialogo e gli è sembrato utile per mostrare che chi segue Dio lo deve seguire in modo "razionale" e quindi senza violenza.

È anche vero che a tutt'oggi, nessuno - se non è cieco - può negare che la maggior parte degli episodi di violenza giustificati dalla religione avvengono proprio nell'islam. Si potrà dire che l'islam in sé non è violenza, ma di fatto, vi sono musulmani che compiono violenze; imam che la predicano, e la benedicono; organizzazioni islamiche riconosciute che programmano gesti di violenza e addirittura prendono il potere. Purtroppo c'è la tendenza a credere che questi gruppi siano come "schegge impazzite", ma in realtà sono parte del sistema islamico (come i Fratelli musulmani) che si presentano come l'islam autentico. In ogni caso, ciò che il papa ha detto a Regensburg, è rivolto a tutti i fondamentalismi e anche all'islam.

Il dialogo fra l'imperatore e lo studioso persiano volge anzitutto verso ciò che è la religione più giusta e più vera. Il musulmano dice che è l'islam perché essa viene dopo le altre e per questo prende il buono da tutte le altre. Notare che questa giustificazione è ripresa di continuo nella storia dell'islam e viene proclamata ancora oggi da imam e università islamiche.

Manuele Paleologo invece afferma che l'unica cosa portata dall'islam è la guerra in nome di Dio. Se uno volesse ragionare, dovrebbe ammettere che nel 2006, cinque anni dopo l'attentato delle Torri Gemelle, il papa ha ragione: non si può fare violenza in nome di Dio. Questa affermazione è fatta in nome dell'umanità e vale anche per gli atei che in nome dei senza Dio possono fare la guerra.
Ma questo discorso - rivolto al corpo accademico dell'università di Regensburg - era troppo forse raffinato per una audience più larga.

Ad ogni modo, anche se vi sono state reazioni e critiche, questo discorso ha portato a passi sempre più positivi.

Gli altri passi di Benedetto XVI

Il papa stesso ha capito che non basta fare un ragionamento giusto, ma occorre mettere in atto gesti comprensibili a tutto il mondo. A Regensburg egli ha parlato come "il prof. Ratzinger", ma tutti lo guardavano come il papa Benedetto XVI. In seguito egli ha compiuto gesti molto significativi: in Turchia egli è entrato nella Moschea blu e ha pregato in silenzio, mettendo le mani nella stessa posizione dell'imam, che diceva la preghiera ufficiale dell'islam.

In Giordania, è entrato nella grande moschea pronto a togliersi le scarpe, ma il principe Ghazi Bin Muhammed Bin Talal gli ha detto che poteva tenerle perché vi era una passatoia in tutta la moschea. Poi si è raccolto un momento, pregando in cuor suo. Per rispetto dei musulmani, non ha fatto dei gesti di preghiera cristiana; e per rispetto dei cristiani, non ha fatto dei gesti di preghiera musulmana.

Come si vede sono gesti semplici che al mondo dell'islam comunicano che Benedetto XVI è un uomo spirituale, che è attento all'ospite che lo accoglie, senza mai cadere nell'ambiguità.

Nel solco di Regensburg sono nati altri gesti, che lo hanno rivelato discreto e attento. In continuità col Vaticano II ("siamo fratelli"), con Giovanni Paolo II ("preghiamo insieme"), Benedetto XVI ha spinto più in là il rapporto con l'islam: siamo credenti, ma dobbiamo usare la ragione e tentare un impegno comune.

Ciò si vede dalla reazione dei 138 saggi musulmani (divenuti poi diverse centinaia), che ha portato a un incontro fra Vaticano e personalità musulmane mondiali (novembre 2008). Tale incontro doveva poi proseguire ogni due anni, una volta in Vaticano, una volta in Giordania. Il secondo incontro si è fatto attendere, con un tema più neutrale: la mistica nell'islam (sufi) e nel cristianesimo. Tale incontro è avvenuto in Giordania nel 2011.

Un altro passo, molto importante, anche se non ha fatto molto chiasso, è la visita del re saudita Abdallah in Vaticano (novembre 2007), la prima visita di un re saudita ad un papa. Il Santo Padre sperava di poter affrontare la questione del milione e più di cattolici (essenzialmente donne filippine) che lavorano in Arabia Saudita e non hanno nemmeno il diritto di pregare in privato, ma non è stato possibile affrontare l'argomento in un primo incontro.

A questo è seguito pure un convegno interreligioso a Madrid, sponsorizzato sempre dai reali sauditi (luglio 2008). L'incontro con il re saudita era per far cadere i preconcetti reciproci e per far nascere una collaborazione pacifica.

Il 26 novembre 2012, è stato fondato a Vienna il Centro internazionale per il dialogo interreligioso e interculturale (KAICIID = King Abdullah International Centre for Interreligious and Intercultural Dialogue), sostenuto dal re saudita, in presenza del Segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon e dei rappresentanti delle principali religioni. L'Austria e la Spagna sono co-fondatori, insieme alla Santa Sede come "osservatore-fondatore".

L'esortazione apostolica per il Medio Oriente

Per me il culmine di questo impegno del papa è stata la sua visita in Libano nel settembre 2012, malgrado la guerra civile siriana vicina e l'esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente, pubblicata il 14 settembre, giorno dell'Esaltazione della Santa Croce.

Nel Paese dei Cedri, Benedetto XVI ha compiuto un ulteriore passo: occorre costruire insieme la città della pace. Egli insomma lancia un progetto comune. Non gli basta neppure sottolineare che il Libano è un esempio di convivenza importante per il Medio Oriente e per cristiani e musulmani, ma lo lancia come modello di convivenza per il mondo intero.

Benedetto XVI critica il fondamentalismo (n.30), da dovunque venga, e il secolarismo da dovunque venga (n.29). Egli proietta il mondo cristiano e quello musulmano nel quadro della modernità mondiale. Oggigiorno, la modernità si presenza come una laicità che esclude la religione. Anzi, per alcuni, essere moderni significa eliminare la religione. Il papa critica la laicità che non rispetta la religione e loda la "sana laicità". Scrive:

"La sana laicità, al contrario, significa liberare la religione dal peso della politica e arricchire la politica con gli apporti della religione, mantenendo la necessaria distanza, la chiara distinzione e l'indispensabile collaborazione tra le due. Nessuna società può svilupparsi in maniera sana senza affermare il reciproco rispetto tra politica e religione, evitando la tentazione costante della commistione o dell'opposizione" (n. 29).

Contrariamente all'immagine di intollerante dogmatico che gli si attribuisce, Benedetto XVI, che ha sempre criticato il relativismo religioso, dice nell'Esortazione:

"Non è opportuno affermare in maniera esclusiva: « io possiedo la verità ». La verità non è possesso di alcuno, ma è sempre un dono che ci chiama a un cammino di assimilazione sempre più profonda alla verità. La verità può essere conosciuta e vissuta solo nella libertà, perciò all'altro non possiamo imporre la verità; solo nell'incontro di amore la verità si dischiude. (n. 27).

Costruire una comunità mondiale che rigetta fondamentalismo e laicismo ???

Benedetto XVI propone quindi un vero dialogo fra le religioni e i laici, che superi le strettoie del fondamentalismo e del laicismo. In tal senso egli prolunga e affina la riflessione iniziata a Regensburg, mostrandone il peso sociale anche per la politica internazionale e la convivenza mondiale.

Parlando ai cardinali per gli auguri alla Curia (21 dicembre 2012), e riferendosi alla questione dei matrimoni gay in Francia, egli cita a lungo il rabbino Bernheim di Parigi, a proposito della concezione della famiglia. Anche qui il papa mette in luce i pericoli per l'avvenire dell'umanità, suggerendo che per il bene dell'umanità si deve tener conto della dimensione religiosa.

La sua proposta, da Regensburg in poi, è la costruzione di una comunità internazionale in cui le religioni rifiutino il fondamentalismo e il laicismo rifiuti l'anti-religione.

In passato al Cairo, alla Conferenza ONU sulla popolazione (settembre 1994), è avvenuta un'alleanza fra Vaticano e Paesi islamici per eliminare l'aborto dalle pratiche contraccettive. Il mondo laico ha accusato il Vaticano di allearsi con i Paesi retrogradi, conservatori e dittatoriali come l'Iran. Ma a ben vedere, non è un problema di conservazione, ma di percepire dove va l'umanità. Chi ha una sensibilità religiosa viva deve guidare l'umanità, purché non si cada preda del fondamentalismo. Vi sono persone laiche che hanno una grande acutezza: anche loro devono poter guidare l'umanità purché non diventi preda dell'ideologia e delle ideologie anti-religiose.

Prendiamo l'esempio particolare dell'omosessualità. La Chiesa non dice che vuole emarginare gli omosessuali dalla società, o che vuole metterli a morte (come talvolta capita nel mondo islamico in conformità con la sharia). Dice solo che questa non è la via retta, come l'adulterio non è la via retta. E non può rinunciare a dirlo, in nome della sua spiritualità, della legge naturale e del realismo. Questa linea è difficile perché in occidente viviamo un momento di rigetto della dimensione spirituale e nel mondo islamico vi è una reazione contro questo rifiuto della religiosità in occidente. ???

Conclusione: un umanesimo evangelico

A me pare che il progresso a cui Benedetto XVI ha contribuito - da Regensburg in poi - è proprio quello di aver osato affrontare il problema della modernità, presentando la sua verità senza indietreggiare, ma anche senza rifiutare le critiche e senza impedire ad alcuno di parlare. La Chiesa ha la sua visione dell'umanesimo, ispirata al Vangelo, per costruire una società più umana, e deve avere il tranquillo coraggio di annunciarlo.

Guardiamo anche al decorso della Primavera araba, oggi imprigionata dall'islamismo. Ovunque vediamo centinaia di migliaia di arabi, in Egitto, Tunisia e altrove, che scendono in piazza per rifiutare il fondamentalismo. Non dico che queste folle sono ispirate dal papa, ma dico che il papa è stato profetico nel condannare in modo radicale il fondamentalismo religioso ovunque si trovi. E questo rinforza la sua linea di una spiritualità critica, legata alla ragione.

Benedetto XVI è un uomo di Dio, profondamente spirituale, ma è anche un profondo filosofo che riflette su tutte le dimensioni umane e filosofiche. Lo si bolla come un "conservatore", eppure ha avuto il coraggio rivoluzionario di affermare di fronte al mondo, che è meglio che venga un'altra guida più giovane di lui a rispondere agli appelli del nostro mondo, ispirato dal Vangelo. Benedetto XVI è semplicemente un uomo che cerca di fare luce su tutti gli aspetti della vita, illuminandoli alla luce del Vangelo. Il suo rapporto con l'islam è in linea con tutta questa visione globale: Caritas in veritate, ma anche Veritas in caritate: proclamare la verità, modestamente e senza orgoglio, tranquillamente e con rispetto.
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Re: El Papa creistian

Messaggioda Berto » gio gen 22, 2015 1:42 pm

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Re: El Papa creistian

Messaggioda Berto » gio gen 22, 2015 1:44 pm

Sospeso prete legato a destra anti-Islam

Era intervenuto a raduno di gruppo tedesco vicino a Pegida

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/e ... 4364-9c0f-

(ANSA) - BERLINO, 21 GEN - Un prete cattolico è stato sospeso in Germania dopo avere parlato nel corso di una protesta anti-Islam. Padre Paul Spaetling, della diocesi di Munster, aveva partecipato, lunedì a Duisburg, a un raduno promosso da un gruppo vicino a Pegida, la controversa organizzazione di destra "Patrioti europei contro l'islamizzazione dell'occidente" condannato dalla Chiesa tedesca come xenofobo. La sospensione del religioso dal suo ministero è stata decisa dalla diocesi di Munster.

Sto prete, kel ga łe me sinpatie, ma lè fora de ła linea de ła cexa catołega ke ła çerca de dar el bon somexo a łi xlameghi, ma no so co ke profito, a xe conprensibiłe ke łi ło gapie sospexo!
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Re: El Papa creistian

Messaggioda Berto » gio gen 22, 2015 6:17 pm

Papa Francesco vs Chiesa conservatrice: ‘Non mi cambierete’

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01 ... te/1320909

Questo Papa, che parla di far cessare lo “sfruttamento dell’uomo sull’uomo”, non piace a settori consistenti della Chiesa: appare troppo marxista.

Questo Papa, che verso le 7 di sera a Santa Marta va alla mensa self-service con il suo vassoio (infatti a quell’ora il personale non serve più ai tavoli), non piace a vescovi e cardinali che esigono l’evidenza della “sacralità” del papato ???.

Questo Papa, che ribalta lo sguardo della Chiesa sui gay, inquieta una parte della gerarchia.
Ha commentato negli Stati Uniti il cardinale Francis George, ex arcivescovo di Chicago: “Vorrei chiedere al pontefice se si rende conto di quello che è accaduto con la frase ‘chi sono io per giudicare..?'”.

Questo inverno è una stagione dura per Francesco e il suo progetto riformatore. Attacca sul Foglio uno dei capifila del tradizionalismo italiano, Roberto De Mattei: “Il dramma principale del nostro tempo (è) un misterioso processo di autodemolizione della Chiesa, che sta giungendo alle ultime conseguenze”.
De Mattei accusa quegli ecclesiastici – i pro-Bergoglio evidentemente – che sarebbero intenti a costruire una Chiesa di tipo nuovo, “soggetta a una perpetua evoluzione senza verità e senza dogmi”.

Il secondo round del Sinodo sulla famiglia dell’ottobre 2015 sembra lontano, ma è l’appuntamento in vista del quale si stanno mobilitando tutti coloro che respingono le innovazioni proposte dal cardinale Kasper.
In Italia c’è un blocco cardinalizio assolutamente contrario alla concessione della comunione ai divorziati risposati. Cardinali di peso: Camillo Ruini ex presidente Cei, Carlo Caffarra arcivescovo di Bologna, Angelo Scola arcivescovo di Milano. In particolare Scola ha lanciato in un’intervista un singolare avvertimento: “Credo proprio che il Papa non la prenderà (la decisione di permettere la comunione ai divorziati, ndr)”.
È un blocco che si salda con una parte della gerarchia statunitense, rimasta ancorata all’impostazione dei principi non negoziabili di Benedetto XVI.

Di fatto, a due anni dall’elezione di Bergoglio, la sua base elettorale in conclave è spaccata.
Avvenne egualmente ai tempi di Giovanni XXIII: gli elettori di papa Roncalli volevano un pontefice più pastorale, ma non si aspettavano (e molti poi furono contrari) che indicesse un Concilio aperto alla società moderna e non armato di condanne.

Così sta accadendo con Francesco. Una parte dei suoi elettori chiedeva uno snellimento della Curia, pulizia negli affari finanziari del Vaticano, una maggiore consultazione tra il pontefice e i vescovi del mondo. Ma non era pronta minimamente alla rivoluzione multidimensionale di papa Bergoglio: una Curia non più accentratrice, le donne in posti decisionali, un nuovo approccio in materia sessuale, il dialogo senza barriere con i non credenti, la fine della Chiesa imperiale, la riforma stessa del papato.

Drammatico in proposito è il silenzio dell’associazionismo cattolico italiano, tanto più grave in quanto Francesco esorta i laici ad essere attivi.
Si prenda la lista di movimenti e associazioni che aderirono al Family Day promosso dalla Cei nel 2007 per sabotare la legge sulle unioni di fatto del governo Prodi: ora che questi cattolici potrebbero parlare liberamente su famiglia, divorzio, convivenze, aborto, sessualità e ruolo della donna, tacciono e si nascondono senza prendere posizione né pro né contro il riformismo di Bergoglio.
Papa Francesco è consapevole del momento difficile. Prima di Natale, a colloquio con una persona di sua fiducia, ha esclamato: “L’unica cosa che chiedo al Signore è che questo cambiamento, che porto avanti per la Chiesa con mio grande sacrificio, abbia continuità. E non sia una luce che si spegne da un momento all’altro”.
In privato Francesco ribadisce spesso: “Loro, in conclave, sapevano chi eleggevano. Io non ho fatto niente per essere eletto”. E alla fine il Papa conclude sempre: “A me non mi cambiano!”.

Alcuni fra i suoi sostenitori ritengono che in vista del Sinodo di ottobre sia necessario trovare in anticipo una soluzione di compromesso sui divorziati risposati. Francesco si muove intanto su più linee. Nella recente intervista alla giornalista Elisabetta Piquet della Nacion è stato molto prudente. Ha evitato di appoggiare la comunione ai divorziati risposati e ha drasticamente ridimensionato la questione gay al problema di come comportarsi con i figli omosessuali all’interno delle famiglie. Cosa diversa dal dibattito sulle coppie gay, che ha agitato il Sinodo scorso. Nel frattempo è al lavoro la commissione sullo snellimento delle procedure dei processi di nullità matrimoniale, da lui istituita ancora prima della sessione sinodale.

In Curia si liberano quest’anno due posizioni dirigenti nel dicastero delle Cause dei Santi e dell’Educazione: qui potrà mettere uomini suoi. Infine, con le nomine cardinalizie annunciate domenica, le porpore da lui scelte cominciano a formare un quarto del conclave. L’Europa perde la maggioranza nel corpo elettorale. Solo un curiale (l’ex ministro degli esteri Mamberti) riceve la porpora. Nessuna va agli statunitensi. Gli italiani scelti sono due personalità lontane dal potere, fortemente pastorali, di “periferia”: mons. Menichelli di Ancona e mons. Montenegro di Agrigento, che accompagnò il Papa a Lampedusa. Per il resto irrompe nel collegio cardinalizio il Terzo mondo: dalle Isole Tonga al Vietnam, da Capo Verde alla Birmania, dall’Uruguay alla Nuova Zelanda, dall’Etiopia a Panama.

il Fatto Quotidiano, 6 gennaio 2014

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Re: El Papa creistian

Messaggioda Berto » dom feb 15, 2015 7:12 pm

Criteri teologici per una riforma della Chiesa e della Curia romana

Gerhard Müller

http://www.vatican.va/roman_curia/congr ... ma_it.html

Alla Chiesa stanno a cuore il Vangelo, la verità, la salvezza.
La storia ci ha insegnato che ogni volta che la Chiesa si è liberata dalla mentalità mondana e da modelli terreni di esercizio del potere, si è aperta la strada per il suo rinnovamento spirituale in Gesù Cristo, suo capo e fonte della vita.
Il punto di riferimento dell’insegnamento, della vita e della costituzione della Chiesa non è il dominium dei re, ma il ministerium degli apostoli: “Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia” (2 Corinzi, 1, 24).

Questo emerge in tutti i tentativi di riforma, in capite et in membris, come ad esempio nel rinnovamento gregoriano del secolo XI, nella riforma tridentina del XVI secolo, o nella nuova primavera della Chiesa con il concilio Vaticano II, in cui sono confluiti i movimenti di rinnovamento biblico, patristico, liturgico ed ecclesiologico dei secoli XIX e XX.
Il potere temporale del Papa e dei vescovi principi si è talvolta sovrapposto alla missione spirituale della Chiesa.
Nella liaison tra potere politico e servizio spirituale non di rado è emerso l’influsso corruttore di criteri improntati al potere e al prestigio.
Ancora più devastanti furono i sistemi in epoca moderna delle Chiese di Stato, presenti ad esempio nel gallicanesimo, nel febronianesimo e nel giuseppinismo, nonché la sottomissione della Chiesa alla ragione di Stato attraverso il patronato reale negli imperi spagnolo e portoghese.
La Chiesa però riceve il suo vero significato non da un consenso sociale, dalla funzione del cristianesimo come religione civile o da contatti con i rappresentanti del potere politico, ma dalla stessa Parola di salvezza rivolta agli uomini, specialmente ai poveri nelle periferie della vita.

Il Signore ha istituito la Chiesa come sacramento universale di salvezza per il mondo, affinché “tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità” (1 Timoteo 2, 4). La Chiesa non potrà capire se stessa e non potrà giustificarsi davanti al mondo secondo standard di potere, di ricchezza e di prestigio: la riflessione sulla natura e sulla missione della Chiesa di Dio è, quindi, la base e il presupposto di ogni vera riforma.

Di fronte alla fragilità degli uomini c’è sempre la tentazione di spiritualizzare la Chiesa, cioè di relegarla in un ambito di meri ideali e sogni – al di là dell’abisso della tentazione, del peccato, della morte e del diavolo, come se noi, per giungere alla gloria della risurrezione, non dovessimo attraversare la valle della sofferenza e del dolore. Secondo una certa analogia che è possibile stabilire con l’incarnazione del Verbo di Dio, la Chiesa forma un’unità interiore di comunità spirituale e assemblea visibile servendo così allo Spirito di Dio come segno e strumento di salvezza, allo scopo di continuare l’opera di Cristo tra gli uomini. La Chiesa, pertanto, è santa e santificante perché santificata da Dio; per quanto riguarda gli uomini nel loro pellegrinaggio di fede, essa, “sempre bisognosa di purificazione, avanza continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento” (Lumen gentium, 8).

In questo senso, Benedetto XVI ha parlato della necessità di una Ent-Weltlichung della Chiesa, cioè di una sua liberazione da forme di mondanità. Papa Francesco ha decisamente continuato questo pensiero parlando della Chiesa povera e per i poveri: la Chiesa non deve mai cedere alla tentazione di una auto-secolarizzazione, adattandosi alla società secolare e a una vita senza Dio.

Nel discorso alla Curia per gli auguri di Natale del 2014 il Santo Padre ha sottolineato l’assoluta prevalenza della finalità spirituale della Chiesa su ogni mezzo terreno, che non deve mai diventare fine a se stesso. Questo discorso rappresenta un’esortazione spirituale e un esame di coscienza per tutta la Chiesa. Non sono la grandezza dei beni della Chiesa o il numero di dipendenti nelle nostre strutture amministrative la bussola di orientamento del rinnovamento della Chiesa; lo è, invece, lo spirito di amore nella cui forza la Chiesa serve gli uomini attraverso la predicazione, i sacramenti e la carità. La riforma della Curia romana, già discussa nelle congregazioni precedenti il conclave del 2013, deve essere esemplare per il rinnovamento spirituale di tutta la Chiesa.

La Curia non è una mera struttura amministrativa, ma essenzialmente un’istituzione spirituale radicata nella missione specifica della Chiesa di Roma, santificata dal martirio degli apostoli Pietro e Paolo: “Nell’esercizio della sua suprema, piena e immediata potestà sopra tutta la Chiesa, il Romano Pontefice si avvale dei dicasteri della Curia romana, che perciò compiono il loro lavoro nel suo nome e nella sua autorità, a vantaggio delle Chiese e al servizio dei sacri pastori” (Christus dominus, 9). Partendo da questa descrizione teologica, il concilio Vaticano II stesso ha stimolato una riorganizzazione della Curia conforme al tempo odierno.

La struttura organizzativa e il funzionamento della Curia dipendono dalla missione specifica del vescovo di Roma. Successore di Pietro, egli è il “perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli” (Lumen gentium, 23), istituito da Cristo per la sua Chiesa. Poiché soltanto alla luce della fede rivelata siamo in grado di distinguere la Chiesa da una qualsiasi comunità religiosa di indole meramente umana, così solo nella fede riusciamo a capire che il Papa e i vescovi godono di una potestà sacramentale e mediatrice della salvezza che ci collega con Dio. È proprio questa la qualità che distingue i pastori della Chiesa dalle altre forme di autorità che ogni comunità religiosa si dà per motivi sociologici e organizzativi.

Nella Chiesa locale, il vescovo, costituito dallo Spirito santo, non è un delegato o un rappresentante del Papa, ma è vicario e legato di Cristo, principio e fondamento di unità nella Chiesa a lui affidata. La dottrina del primato del Papa e della collegialità dei vescovi è da intendersi come espressione della comune sollecitudine per tutta la Chiesa, intesa nella sua qualità di communio ecclesiarum. Pertanto, il rapporto tra Chiesa universale e Chiese particolari non si può paragonare a quello che intercorre tra organizzazioni profane. La Chiesa universale non nasce come somma delle Chiese particolari, né le Chiese particolari sono mere succursali della Chiesa universale: esiste invece una mutua interiorità tra Chiesa universale e Chiese particolari. La Chiesa è il corpo di Cristo, è guidata e rappresentata dal collegio dei vescovi cum et sub Petro.

Il Papa, rendendo visibile l’unità e l’indivisibilità dell’episcopato e della Chiesa intera, presiede nel contempo alla Chiesa locale di Roma. A motivo dell’operato di Pietro come vescovo di Roma e, soprattutto, grazie al suo martirio, il primato è legato per sempre alla Chiesa di Roma. Come “il vescovo è nella Chiesa e la Chiesa nel vescovo” (Cipriano, Epistulae, 66, 8), così anche il vescovo di Roma non è mai pastore della Chiesa universale senza il suo legame con la Chiesa di Roma. Come il capo non può essere separato dal corpo, così il legame del vescovo di Roma con la Chiesa di Roma è indissolubile. Perciò, la Tradizione parla del primato “della Chiesa di Roma”. Il Papa non esercita il primato se non insieme alla Chiesa romana.

Capo visibile della Chiesa di Roma, il Papa è, nello stesso tempo, capo visibile di tutta la Chiesa. Per la speciale autorità (propter potentiorem principalitatem, Ireneo, Adversus haereses, III, 3, 3, 2) della fondazione da parte di Pietro e Paolo, ogni Chiesa deve concordare con quella di Roma nella fede apostolica. Così, le note essenziali della Chiesa: una, santa, cattolica e apostolica, a fortiori si trovano realizzate nella Chiesa romana. Sin dai tempi antichi, essa si chiama “santa romana Chiesa” – non tanto per la santità soggettiva del suo capo e delle sue membra, ma per la santità della sua missione specifica, che consiste nel preservare fedelmente e nel trasmettere integralmente la tradizione apostolica, il depositum fidei. Il primato della Chiesa di Roma non ha nulla a che fare con un qualsiasi dominio sulle altre Chiese; la sua natura interiore è, invece, quella di “presiedere nella carità” (Ignazio di Antiochia, Lettera ai romani, prologo), un servizio all’unità della fede e alla comunione di tutte le Chiese, per il bene dell’umanità intera.

Il ministero pastorale universale viene esercitato personalmente e direttamente, poiché il Papa nella sua persona è il successore di Pietro, sul quale il Signore ha voluto edificare la sua Chiesa. Il Papa, però, attua questo suo ministero con l’assistenza che la Chiesa romana gli presta. Nel corso della storia, a partire dai vescovi delle diocesi suburbicarie e dai presbiteri e diaconi più importanti della Chiesa di Roma, si è sviluppato il collegio cardinalizio. Così come il presbiterio, rappresentato dal consiglio presbiterale, aiuta il vescovo diocesano, il collegio cardinalizio è similmente il consilium presbiterale del Papa nel suo servizio pastorale universale. Secondo una disposizione di Giovanni XXIII, i cardinali, compresi i responsabili della Curia, devono ricevere la consacrazione episcopale; così essi fanno parte del collegio dei vescovi – fatto che è di non poca rilevanza, ad esempio, per le visite ad limina.

Pur con tutti i cambiamenti storici, è rimasta salda l’idea che la Chiesa romana collabora all’universale compito pastorale e dottrinale del Papa tramite il collegio cardinalizio. Gruppi consistenti di cardinali e vescovi nominati dal Pontefice formano gli organismi della Curia romana, ai quali viene assegnato un proprio ambito di competenza. Non si tratta di un’istanza intermediaria tra il Papa e i vescovi, in quanto la relazione tra Pontefice e vescovi, basata sulla collegialità episcopale, è immediata. I cardinali e i vescovi della Curia romana, infatti, sostengono il Papa nel suo servizio per l’unità cattolica, e mettono a sua disposizione tutti i mezzi adeguati, necessari per l’esercizio del suo ufficio pastorale e dottrinale. Il Sommo Pontefice, d’altra parte, non è limitato in nessun modo dall’azione della Curia, anzi viene da essa sostenuto nell’esercizio del primato affidato a lui come successore di Pietro in favore della Chiesa universale.

La modalità del lavoro nella Curia romana è collegiale – in analogia alla collegialità del presbiterio sotto la direzione del vescovo diocesano. Ogni responsabile degli organismi curiali è solo colui che presiede e rappresenta il suo dicastero, mentre tutti i padri delle riunioni ordinarie del dicastero stesso si assumono uguale responsabilità per il bene della Chiesa universale. È fondamentale, per la riforma della Curia, che essa sia intesa come una famiglia spirituale: tale carattere e il suo necessario orientamento pastorale sono garantiti dalla mutua cooperazione e dalla carità, dalla preghiera e dall’eucaristia, da ritiri e da impegni di pastorale e di predicazione.

In questo contesto, è importante che la Curia romana venga distinta dalle istituzioni civili dello Stato vaticano, le cui strutture sono soggette piuttosto alle leggi della pubblica amministrazione e garantiscono l’indipendenza politica della Chiesa. Anche il Sinodo dei vescovi non appartiene in senso stretto alla Curia romana: esso è l’espressione della collegialità dei vescovi in comunione con il Papa e sotto la sua direzione. La Curia romana invece aiuta il Papa nell’esercizio del suo primato per tutte le Chiese. Pertanto, la Curia e il Sinodo si distinguono già formalmente in quanto la Curia romana sostiene il Papa nel suo servizio per l’unità, mentre il Sinodo dei vescovi è espressione della cattolicità della Chiesa. Tutti i vescovi, infatti, partecipano della cura di tutte le Chiese. In concreto queste due missioni sono connesse l’una con l’altra.

Il Sinodo dei vescovi, le conferenze episcopali e le varie aggregazioni di Chiese particolari appartengono a una categoria teologica diversa dalla Curia romana. Solo chi pensa secondo schemi di potere, di influsso e di prestigio interpreta il rapporto organico di primato e episcopato come una lotta di competenze. Lo Spirito santo, invece, verso cui noi non dobbiamo mai chiudere le nostre menti, crea armonia tra i poli dell’unità e della molteplicità, tra la Chiesa universale e le Chiese particolari, come pure all’interno delle singole Chiese particolari. Lo spirito del mondo, tuttavia, semina conflitti e sfiducia. Favorire una giusta decentralizzazione non significa che alle conferenze episcopali viene attribuito più potere, ma solo che esse esercitano la genuina responsabilità loro spettante in base alla potestà episcopale di magistero e di governo dei loro membri, sempre naturalmente in unione con il primato del Papa e della Chiesa romana.

Una vera riforma della Curia romana e della Chiesa ha l’obiettivo di render più luminosa la missione del Papa e della Chiesa nel mondo di oggi e di domani. La Chiesa si vede sfidata dal secolarismo globale, che, con un radicalismo finora sconosciuto, tende a definire l’uomo senza Dio, chiudendo la porta alla trascendenza e distruggendo i fondamenti comuni dell’umano. Nella “dittatura del relativismo” e nella “globalizzazione dell’indifferenza”, per riprendere le espressioni di Benedetto XVI e di Francesco, i confini tra verità e menzogna, tra bene e male, si confondono. La sfida per la gerarchia e per tutti i membri della Chiesa consiste nel resistere a queste infezioni mondane e nella cura delle malattie spirituali del nostro tempo. Papa Francesco sta perseguendo una spirituale purificazione del tempio, nello stesso tempo dolorosa e liberatrice, allo scopo di far risplendere nella Chiesa la gloria di Dio, luce di tutti gli uomini. Ricordando, come i discepoli del Signore, la parola della Scrittura “ lo zelo per la tua casa mi divora” (Giovanni, 2, 17) comprenderemo l’obiettivo della riforma della Curia e della Chiesa.
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Re: El Papa creistian

Messaggioda Berto » mar feb 24, 2015 9:44 am

In una lettera aperta don Guy Pagès condanna Papa Francesco per aver legittimato l'islam

di don Guy Pagès 29/09/2013
http://www.ioamolitalia.it/no-islam/in- ... islam.html

Santissimo Padre,

Sia lodato il nostro Signore Gesù Cristo, che vi ha dato la missione di guidare la sua Chiesa!

Permettetemi in nome d'inumerevoli persone scioccate dalla vostra lettera ai musulmani in occasione dell' Id al-Fitr [1] e, in virtù del canone 212 § 3 [2], di condividere con lei le riflessioni di questa lettera aperta.

Salutando con "grande piacere" i musulmani in occasione del Ramadan, tempo considerato speso "al digiuno, alla preghiera e all'elemosina", lei sembra ignorare
che il digiuno del Ramadan è tale che "la spesa media di una famiglia che lo pratica aumenta del 30 %" [3],
che l'elemosina musulmana è destinata ai soli musulmani bisognosi e
che la preghiera musulmana consiste nel rifiutare cinque volte al giorno la fede nella Trinità e in Gesù Cristo, chiedendo la grazia di non seguire il percorso degli smarriti ossia dei cristiani ...
Inoltre, durante il Ramadan, aumenta la criminalità in modo vetiginoso [4].

C'è veramente, in queste pratiche, qualche motivo possibile d'elogio?

La sua lettera afferma che dobbiamo avere stima per i musulmani e "soprattutto per i loro capi religiosi" ma non si dice a qual titolo.
Dal momento che si sta parlando di loro come di musulmani, ne consegue che la stima è anche per l'Islam.
Ora cos'è l'Islam per un cristiano se, dal momento che "nega il Padre e il Figlio" (1 Gv 2, 22), si presenta come uno dei più potenti Anticristo che vi siano, in numero e in violenza (Ap 20, 7-10)?
Come possiamo stimare sia Cristo sia ciò che gli si oppone?

Il suo messaggio fa poi notare che "le dimensioni della famiglia e della società sono particolarmente importanti per i musulmani in questo periodo" di Ramadan, ma quel che non dice è che il Ramadan serve da forte mezzo di condizionamento sociale, di oppressione, di sottomissione al totalitarismo islamico, in breve di negazionte totale del rispetto da lei evocato... Così l'articolo 222 del Codice penale marocchino recita: "Chiunque, noto per la sua appartenenza alla religione musulmana, rompe ostentatamente il digiuno in un luogo pubblico durante il periodo del Ramadan, senza motivi consentiti da questa religione, è punito con la reclusione da uno a sei mesi e da una multa". E si tratta del moderato Marocco...

Che tipo di "paralleli" riesce a trovare tra "la dimensione della famiglia e della società musulmana" e "la fede e la pratica cristiana", dal momento che lo stato della famiglia musulmana prevede la poligamia (Corano 4, 3, 33, 49; 52, 59), il ripudio (Corano 2, 230), l'inferiorità ontologica e giuridica delle donne (Corano 4, 38; 2, 282; 4, 11), la possibilità per il marito di picchiare la moglie (Corano 4, 34), ecc.). Quali analogie ci possono essere tra la società musulmana costruita per la gloria dell'Unico e che, di fatto, non può tollerare l'alterità o la libertà né, di conseguenza, distinguere le sfere religiose e spirituali dal resto? "Tra noi e voi è inimicizia e l'odio per sempre fino a quando non crederete nel solo Allah!" (Corano 60, 4). Quali analogie con la società cristiana, costruita per la gloria di Dio Uno e Trino che promuove il rispetto delle legittime differenze? Piuttosto, per “parallelo”, non si dovrebbe comprendere quanto non si assomiglia e si accosta ma quanto, al contrario, non si avvicina assolutamente? Non è evidente solo in questo caso la chiarezza della sua dichiarazione?

Lei propone ai suoi interlocutori di riflettere su "la promozione del rispetto reciproco attraverso l'educazione", suggerendo che essi condividono con lei gli stessi valori di umanità, di "rispetto reciproco". Ma non è questo il caso. Per un musulmano, non è la natura umana a far da riferimento e neppure il bene conoscibile dalla ragione: l' uomo e il suo bene non sono quello a cui si appella il Corano.
Il Corano insegna ai musulmani che i cristiani, perché cristiani, "sono impurità" (Corano 9, 28) , "il peggio del creato" (Corano 98, 6 ), "i più vili degli animali" (Corano 8,22; cfr. 8,55) [5] ... Perché l'Islam è la vera religione (Corano 2, 208; 3, 19; 85), che dominerà su tutte le altre, per sradicarle completamente (Corano 2, 193 ); coloro che non sono musulmani possono essere solo pervertiti e maledetti (Corano 3, 10, 82, 110; 4, 48, 56, 76, 91; 71, 44 ; 9, 17,34; 11, 14; 13, 15, 33; 14.30 , 16,28-9; 18, 103-6; 21, 98; 22, 19-22, 55; 25, 21; 33, 64; 40, 63; 48,13), che i musulmani devono combattere costantemente (Corano 61, 4,10-2; 8, 40; 2, 193) con l'inganno (Corano 3, 54; 4, 142; 8, 30; 86,16), il terrore (Corano 3,151; 8, 12, 60; 33, 26; 59, 2), e tutti i tipi di punizione (Corano 5, 33; 8, 65; 9, 9, 29, 12; 25, 77), come la decapitazione (Corano 8, 12 Corano 47, 4) o la crocifissione (Corano 5, 33) per eliminare (Corano 2, 193; 8, 39; 9, 5, 111, 123; 47, 4) e infine distruggere (Corano 2, 191; 4, 89, 91; 6, 45; 9, 5, 30, 36, 73; 33, 60-2: 66, 9). "O voi che credete! Combattete a morte gli increduli che sono presso voi e che trovino in voi crudeltà ..." (Corano 9, 124) "Che Allah li maledica!" (Corano 9, 30 cfr. 31, 51; 4, 48) …

Santo Padre si può mai dimenticare, quando ci si rivolge a dei musulmani, che non possono riferirsi al di fuori del Corano? Lei si appella "al rispetto per ogni persona [...] Prima di tutto per la sua vita, per l'integrità fisica, per la sua dignità con i diritti derivanti, per la sua reputazione, il suo patrimonio, la sua identità etnica e culturale, le sue idee e le sue scelte politiche". Non può influenzare le disposizioni date da Allah, che sono immutabili, e ho elencato alcune tra esse.
Ma se noi rispettiamo “le idee altrui e le scelte politiche”, come ci possiamo, allora, opporre alla lapidazione, all'amputazione e a ogni sorta di altre pratiche abominevoli comandate dalla Sharia? Il suo bel discorso non può smuovere i musulmani che non hanno lezioni da imparare da noi, essendo "impurità" (Corano 9, 28). E se, nonostante tutto, le applauderanno come hanno fatto in Italia, è perché la politica della Santa Sede serve notevolmente ai loro interessi facendo passare la loro religione come rispettabile agli occhi del mondo, pensando che porti a considerare i valori universali da lei preconizzati ... La applaudiranno fintanto che saranno, come in Italia, una minoranza. Ma quando essi non lo saranno più, succederà quanto accade ovunque sono maggioranza: ogni gruppo non musulmano dovrà scomparire (Corano 9,1; 47, 4; 61, 4; ecc.) o pagare la jyzaia per acquistare il diritto di sopravvivere (Corano 9, 29). Lei non può ignorare tutto questo ma come può, nascondendolo agli occhi del mondo, promuovere l'espansione dell'Islam davanti ad innocenti o ingenui così abusati? Forse lei osserva i complimenti che le sono stati inviati come segno di fecondità del suo atteggiamento? Allora lei ignora il principio della takyia che comanda di baciare la mano che il musulmano non può tagliare (Corano 3, 28; 16, 106). Ma che valgono tali scambi di cortesia? San Paolo non ha detto: "Se cerco di piacere agli uomini, non sarò servitore di Cristo" (Gal 1, 10)? Gesù ha dichiarato maledetti coloro che sono oggetto di venerazione da parte di tutti (Lc 6, 26). Ma se i vostri nemici naturali la lodano, chi non la loderà? La missione della Chiesa è d'insegnare le buone maniere per vivere in società? San Giovanni Battista sarebbe morto se avesse semplicemente voluto augurare una bella festa a Erode? Forse dirà che non c'è paragone con Erode, perché Erode viveva nel peccato e che era dovere di un profeta denunciare il peccato?

Ma se ogni cristiano è divenuto un profeta, il giorno del suo battesimo, e se il peccato è non credere in Gesù, Figlio di Dio, Salvatore (Gv 16, 9), ciò di cui precisamente si fa gloria l' Islam, come potrebbe un cristiano non denunciare il peccato che è l'Islam e chiamare alla conversione "in ogni occasione opportuna e non opportuna" (2 Tm 4, 2)? Dal momento che lo scopo dell'Islam è quello di sostituire il Cristianesimo che avrebbe pervertito la rivelazione del puro monoteismo con la fede nella Santa Trinità, poiché Gesù non è Dio, non sarebbe né morto né resuscitato, non ci sarebbe stata alcuna redenzione e la sua missione si sarebbe ridotta a nulla, perché non denunciare l'Islam come l'Impostore preconizzato (Mt 24, 4; 11, 24) e il predatore per eccellenza della Chiesa?
Invece di cacciare il lupo, la diplomazia vaticana dà l'impressione di preferire il nutrimento delle adulazioni, non vedendo che questo aspetta solo d'essere ben nutrito per fare quanto fa ovunque è divenuto sufficientemente forte e vigoroso. C'è bisogno di ricordare i cristiani martiri che vivono in Egitto, in Pakistan e ovunque l'Islam è al potere? Come può, la Santa Sede, assumersi la responsabilità di avallare l'Islam presentandolo come un agnello, mentre è un lupo travestito da agnello? Ad Akita, la Vergine Maria ci ha avvertito: "Il diavolo s'introdurrà nella Chiesa perché è piena di gente che accetta compromessi"...

Santo Padre, come può la sua lettera affermare che "in particolare tra cristiani e musulmani, siamo chiamati a rispettare la religione dell'altro, i suoi insegnamenti, i suoi simboli e valori"? Come possiamo rispettare l'Islam, che continuamente bestemmia la Santa Trinità e nostro Signore Gesù Cristo, accusando la Chiesa di aver falsificato il Vangelo e cercando di sostituirla (Ap 12, 4)? Quanto ha scritto sant'Ireneo Contro le eresie San Giovanni Damasceno Sulle eresie in cui si riscontrano "le molte assurdità risibili riportate nel Corano", San Tommaso d'Aquino, con la sua Summa contro i Gentili e tutti i santi che si sono impegnati a criticare le false religioni non erano allora dei veri cristiani, se oggi ne condannate retroattivamente le azioni come quelle di qualche raro apologeta contemporaneo?

Dall'ambito di cooperazione tra ragione e fede, così incoraggiato da Benedetto XVI, si dovrebbe escludere il fatto religioso? Se si segue il suo appello espresso dalla sua lettera, Santo Padre, bisogna allora chiedere con l'Organizzazione per la Cooperazione Islamica (OIC) [6], la condanna in tutto il mondo per qualsiasi critica all'Islam, e quindi cooperare con l'OIC a diffondere l'Islam che insegna, ripeto, la corruzione del Cristianesimo che verrà sostituito dall'Islam ... Perché in collaborazione con l'OIC si dovrebbe mettere in un museo l'apologetica cristiana?

Se è vero che non si può seminare tra le spine (Mt 13, 2-9), ma che le si deve prima estirpare per iniziare a seminare, è pure vero che non si può iniziare ad annunziare la Buona Novella della salvezza ad un'anima musulmana per quant'è stata vaccinata e immunizzata sin dalla prima infanzia contro la fede cristiana (Corano 5, 72; 9, 113; 98, 6...) riempiendola di pregiudizi, calunnie e ogni genere di falsità sul Cristianesimo. Bisogna, dunque, necessariamente cominciare a criticare l'Islam "i suoi insegnamenti, simboli e valori" per distruggere in sé le falsità che lo rendono nemico del Cristianesimo. San Paolo non chiede solo di usare "le armi di difesa della giustizia", ma anche "le armi offensive" (2 Cor 6, 7). Dove sono queste ultime nella vita della Chiesa di oggi?

Oh, certo, associarsi alla gioia di brave persone ignoranti della volontà di Dio augurando loro un felice Ramadan non può sembrare una cosa brutta in sé, esattamente come pensava san Pietro quando legittimava le usanze ebraiche ... nella paura dei "proto-musulmani" ossia dei Nazareni ebrei! Ma san Paolo lo ha corretto davanti a tutti mostrando che aveva cose più importanti da fare che cercare di piacere a dei falsi fratelli (Gal 24, 11-14; 2 Cor 11, 26; Corano 21, 93; 60, 4, ecc). Se Paolo ha ragione come si può dire che non dobbiamo criticare "la religione degli altri, i suoi insegnamenti, i suoi simboli e valori"? Non volendo criticare l'Islam, la sua lettera giustifica anche i vescovi che vanno alla cerimonia di posa della prima pietra di una moschea. Quanto essi fanno è, pure nel loro caso, una questione di cortesia nel desiderio di piacere a tutti e favorire la pace civile.

Domani, quando i loro fedeli saranno divenuti musulmani, diranno che fu il loro vescovo che, invece di conservarli nel Cristianesimo, ha loro mostrato la via verso la moschea... E potranno dire pure la stessa cosa nei riguardi della Santa Sede, poiché avranno imparato a non pensare il vero sull'Islam ma ad onorarlo come buono e rispettabile in sé...

La sua lettera giustifica i suoi auguri di buon Ramadam dicendo: "È chiaro che quando mostriamo rispetto per la religione degli altri o quando gli offriamo i nostri migliori auguri in occasione di una festa religiosa, cerchiamo semplicemente di partecipare alla sua gioia senza che si tratti, pertanto, di fare riferimento al contenuto delle sue convinzioni religiose". Come rallegrarsi di una gioia che glorifica l'Islam? L'atteggiamento da lei preconizzato, Santo Padre, si accorda a quello comandato da Gesù: "Il vostro parlare sia 'sì sì', 'no no': il resto viene dal maligno" (Mt 5, 37)?
E anche se si potesse credere di non peccare, augurando un felice Ramadan, a causa di una restrizione mentale che nega il legame tra Islam e Ramadan (una negazione indicante che questo comportamento pone ancora dei problemi), questo si accorda con la carità pastorale che vuole da un pastore l'attenzione di come un suo gesto sia compreso dai suoi interlocutori? In effetti cosa possono pensare i musulmani quando ci sentono augurare loro un felice Ramadan, se non che siamo idioti, incomprensibilmente ottusi, certamente maledetti da Allah, nel non divenire noi stessi musulmani dal momento che riconosciamo la loro religione non solo come un bene (poiché in grado di infondere loro la gioia da noi augurata), ma certamente superiore al Cristianesimo (poiché viene dopo di esso). Oppure possono pensare che siamo ipocriti non osando dire loro in faccia cosa pensiamo della loro religione il che equivale a riconoscere che abbiamo paura di loro come se fossero già i nostri padroni? Possono avere una diversa interpretazione se pensano da musulmani?

Molti musulmani mi hanno espresso la loro gioia poiché lei onora la loro religione. Come potranno mai convertirsi se la Chiesa li incoraggia a praticare l'Islam? Come può la Santa Sede annunciare la falsità dell'Islam e il dovere di abbandonarlo per salvarsi ricevendo il santo battesimo? Tutto ciò non favorisce il relativismo religioso per il quale le differenze tra le religioni sono poco importanti mentre sarebbe importante quanto vi è di buono nell'uomo che si salverebbe indipendentemente dalle religioni?

I primi cristiani si rifiutarono di partecipare alle cerimonie civili dell'Impero romano in cui avrebbero dovuto bruciare dell'incenso davanti ad una statua dell'imperatore, rito apparentemente assai lodevole in quanto promuoveva la convivenza e l'unità di popoli diversi e di molte grandi religioni dell'Impero romano. I primi cristiani, per i quali l'unicità della Signoria di Gesù era più importante di qualsiasi realtà di questo mondo, pure della stima dei loro stessi concittadini, hanno preferito firmare con il loro sangue l'originalità del loro messaggio.

E se amiamo il prossimo, qualunque sia, musulmani compresi, in quanto membri come noi della specie umana, voluta e amata da tutta l'eternità da Dio redenta con il Sangue dell'Agnello senza macchia, Gesù ci ha insegnato a negare ogni legame umano che si oppone al suo amore (Mt 12, 46-50; 23, 31; Lc 9, 59-62; 14, 26; Gv 10, 34; 15,25). Con quale fraternità quindi si potrebbe chiamare "fratelli" i musulmani (veda la sua dichiarazione del 29.03.2013)? C'è una fratellanza che trascende tutte le cose umane tra cui quella della comunione con Cristo, respinta dall'Islam, e che potrebbe essere la sola importante? La volontà di Dio è che crediamo in Cristo (Gv 6, 29), che "non riconosciamo alcun altro nella carne" (2 Cor 5, 16).

Forse la diplomazia vaticana pensa che, tacendo su cos'è l'Islam, salverà la vita dei poveri cristiani nei paesi musulmani? No, l'Islam continuerà a perseguitarli (cfr. Gv 16, 2) e ancora di più se non vede alcuna obiezione a ciò poiché quella è la sua ragion d'essere (Corano 9, 30). Questi cristiani, come tutti i cristiani, non si aspettano, piuttosto, che lei ricordi loro che tale è l'eredità di ogni discepolo di Cristo, quella d'essere perseguitato in suo nome (Mt 16, 24; Mc 13, 13; Gv 15, 20) e che è una grazia grandissima di cui ci si deve rallegrare? Gesù ci ha comandato di non temere i tormenti delle persecuzioni (Lc 12, 4) e, ai fratelli perseguitati per la nostra fede, di rallegrasi nell'ottava beatitudine (Mt 5, 11-12). Questa gioia non è forse la migliore testimonianza?

Quale miglior servizio possiamo dare ai musulmani devoti quando non abbiamo paura di morire, dal momento che loro sono certi di andare a godere delle Uri che Allah ha promesso loro quale ricompensa per i loro crimini? Quale miglior servizio se non dare loro la vita per amore di Dio e la salvezza del prossimo?

La sua lettera fa riferimento alla testimonianza di san Francesco ma non dice che San Francesco ha inviato dei fratelli per evangelizzare il Marocco, sapendo che molto probabilmente sarebbero stati martirizzati, quanto effettivamente successe. Non dice che s'impegnò lui stesso ad evangelizzare il sultano Al Malik Al Kamil [7]. La carità denuncia la menzogna e chiama alla conversione.

Santissimo Padre, facciamo molta fatica a trovare nel suo messaggio ai musulmani l'eco della carità di san Paolo che comanda: "Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo che non è per voi; infatti che rapporto c'è tra la giustizia e l'iniquità? O quale comunione tra la luce e le tenebre? E quale accordo fra Cristo e Beliar? O quale relazione c'è tra il fedele e l'infedele?" (2 Cor 6,14-15), o quelle del dolce San Giovanni di non accogliere alcuno che rigetti la Fede cattolica, di non salutarlo neppure sotto pena di partecipare alle sue "cattive azioni" (2 Gv 7, 11) ... Salutando i mussulmani in occasione del Ramadan, non si partecipa alle loro opere malvagie? Chi odia, oggi, perfino una veste contaminata dalla carne (cfr. Gd 23)? La dottrina degli Apostoli non è più attuale?

Sì, il Concilio Vaticano II chiama i cristiani a dimenticare il passato, ma questo non può significare altro che dimenticare ogni risentimento alle violenze e ingiustizie subite nei secoli dai cristiani e, ciò che ci interessa, inflitte loro dai musulmani. Dimenticare il passato non significa condannarsi a rivivere gli stessi mali di allora? Senza avere una memoria ci potrà essere ancora un'identità? Senza una memoria, potremmo avere ancora un futuro?

Santissimo Padre, lei ha letto la Lettera aperta di Magdi Cristiano Allam, [8] ex musulmano battezzato da Papa Benedetto XVI nel 2006, che ha annunciato di lasciare la Chiesa a causa del suo compromesso con l'islamizzazione dell'Occidente? Questa lettera è un terribile tuono nel cielo davanti alla tiepidezza e la codardìa della Chiesa e dovrebbe essere un grande monito per noi!

Santissimo Padre, poiché la diplomazia non è coperta dal carisma dell'infallibilità e il suo messaggio ai musulmani in occasione della fine del Ramadan non è un atto magisteriale, io prendo la libertà di criticarlo apertamente e rispettosamente (can. 212 § 3). Sicuramente lei ha considerato che prima di parlare di "teologia" con i musulmani, era necessario disporre il loro cuore insegnando il dovere, per quanto elementare, di rispettare gli altri. Volevo dirle che ci sembra che un tale insegnamento dev'essere fatto senza alcun riferimento all'Islam, al fine di evitare qualsiasi ambiguità al riguardo. Perché non in occasione del primo dell'anno o a Natale?

Non fu certamente senza ragione che Benedetto XVI sciolse il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e trasferì i suoi poteri al Pontificio Consiglio della Cultura ...

Detto questo, rinnovo il mio impegno di fedeltà alla Cattedra di San Pietro, nella fede nel suo infallibile magistero, desiderando vedere fare lo stesso da parte di tutti i cattolici scossi nella loro fede per il suo messaggio ai musulmani in occasione della fine del Ramadan.

Don Guy Pagès
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Re: El Papa creistian

Messaggioda Berto » mer feb 25, 2015 10:27 am

L’Islam non ci chieda di limitare la libertà
Non bisogna credere che il radicalismo musulmano sia mosso da ragioni religiose. Qual era per esempio la terribile blasfemia commessa dalla poliziotta uccisa a Montrouge?
di Ernesto Galli della Loggia - 28 gennaio 2015


http://www.corriere.it/opinioni/15_genn ... 4aa0.shtml


Le parole ormai famose di papa Bergoglio a commento della strage di Parigi («se tu offendi la mia mamma, un pugno te lo devi aspettare») hanno segnato l’inizio di una significativa inversione di tendenza — o almeno di un dubbio — nel giudizio su quei fatti da parte dell’opinione pubblica occidentale. Che si può esprimere con queste parole: «La libertà va difesa, naturalmente, ma offendere le religioni, e poi con quella volgare crudezza propria di Charlie Hebdo, è sbagliato. È sbagliato non tener conto della particolare sensibilità che hanno in proposito i fedeli musulmani». Sono parole ispirate a una saggia prudenza in teoria condivisibile, che possono però avvalorare due gravi errori di giudizio.

Illustr. di Doriano SolinasIllustr. di Doriano Solinas

Il primo è quello di far credere che il radicalismo islamico abbia nella sostanza un carattere di reazione, di risposta a presunte azioni dell’Occidente. Che è precisamente ciò che esso vuol far credere per ovvi motivi di popolarità, ma che è falso. E che sia falso lo dimostrano proprio i recenti sanguinosi fatti di Parigi: di quali offese religiose si era mai macchiata, infatti, la poliziotta spietatamente freddata a Montrouge poche ore dopo la mattanza nella redazione di Charlie Hebdo? E qual era la terribile blasfemia commessa dai 4 clienti del supermercato kosher altrettanto spietatamente fatti fuori? Forse quella davvero imperdonabile di essere ebrei, come tante altre vittime uccise di recente in Francia e in Belgio? Ancora: quali insulti a quale mamma avevano lanciato i tremila morti degli attentati dell’11 settembre alle Torri Gemelle? Riesce difficile rispondere. Così come riesce alquanto difficile indicare le ipotetiche colpe commesse dalle centinaia e centinaia di cristiani massacrati da anni, dal Pakistan alla Nigeria, per mano del fanatismo islamico. Se non una sola colpa, certo gravissima: essere cristiani, per l’appunto.

Il secondo errore che l’improvvisata affermazione papale può ingenerare è questo: che se pure viene accettato il principio della difesa della sensibilità religiosa, tracciare in materia un confine giuridico oggettivo resta quanto mai difficile, anzi impossibile. Non è male ricordare a questo proposito che la vignetta che da anni costa al suo autore danese una vita infernale, rinchiuso in una sorta di casa-bunker, protetto da decine di gendarmi contro la furia omicida del fanatismo islamico, non aveva nessuno dei caratteri volgari e sessualmente spinti di Charlie Hebdo. Ritraeva Maometto con un turbante che avvolgeva una bomba. Ma tanto è bastato. Il romanzo di Salman Rushdie Versetti satanici contiene una rivisitazione in chiave onirica di una presunta ispirazione diabolica di Maometto. Di nuovo: tanto è bastato per far guadagnare al suo autore una condanna a morte dall’imam Khomeini, al traduttore giapponese del libro la morte effettiva, e infine il ferimento a quello italiano e all’editore norvegese dell’opera. Un altro esempio: il regista olandese Theo van Gogh è stato ucciso solo per aver girato un documentario sull’oppressione delle donne nel mondo islamico, mentre la deputata olandese musulmana, collaboratrice del regista, ha dovuto rifugiarsi negli Usa e da allora vive sotto protezione.

La domanda allora è: visto che da quanto appena detto sembra proprio che la soglia di sensibilità religiosa diffusa nell’Islam sia estremamente bassa, davvero dovremmo farla nostra, adottandola nella nostra legislazione? Va da sé però che in questo caso dovremmo adottarla come norma generale applicabile a tutte le fedi religiose. Ma allora, di conseguenza, domani per esempio dovrebbe essere vietato disegnare il Papa nelle vesti di un crociato, oppure criticare i risultati del Sinodo sulla famiglia per non offendere la sensibilità dei cattolici, così come bisognerebbe vietare il commercio delle opere di Nietzsche in cui si attacca ferocemente il Cristianesimo, e così via immaginando. Che facciamo se no? Decidiamo noi quale sia la soglia politicamente corretta della sensibilità religiosa, solo oltre la quale scatta la sanzione penale? E in base a quale criterio? E con quale certezza di risultati?

In realtà l’intolleranza fanatica così diffusa nell’universo islamico — madre diretta della sua vasta propensione alla violenza — rimanda direttamente a un fattore che tuttora ci ostiniamo a non considerare: e cioè la scarsa conoscenza che in esso si ha del mondo moderno, causata a sua volta da una scarsa diffusione dell’istruzione. Per cui in pratica l’unico strumento di acculturazione per masse larghissime della popolazione finisce per essere l’insegnamento religioso.

Secondo l’Unesco, infatti, nel 2009 circa il 40 per cento degli arabi sopra in 15 anni, specie le donne, era analfabeta (il 50 per cento addirittura, secondo le stime di un docente dell’Università di Rabat su Le Monde nel luglio 2012). E da allora la situazione non sembra essere molto migliorata. Non solo, ma come ha dichiarato il direttore delle Iniziative culturali dell’Istituto del Mondo arabo con sede a Parigi, Mohamed Métalsi, «per i più piccoli l’educazione è fortemente impregnata di religione, mentre per i più grandi l’insegnamento della filosofia si attiene solo ai testi musulmani. Della filosofia greca o dei Lumi neppure a parlarne». Con tali premesse non stupisce il risultato di un rapporto redatto nel 2002 sotto l’egida della Nazioni Unite: e cioè che nell’insieme dei Paesi arabi (circa 400 milioni di abitanti) si pubblicavano meno libri che nella sola Spagna; mentre secondo un rapporto analogo del 2003, in mille anni (mille anni!) il mondo arabo nel suo complesso avrebbe tradotto all’incirca 10 mila titoli: ancora una volta l’equivalente di quelli che sempre la sola Spagna traduce in solo anno. Per giunta «le grandi opere della cultura occidentale — è sempre Métalsi a parlare — sono tradotte in un numero limitatissimo, e le traduzioni sono spesso mediocri».

Forse da qui, da questi dati dovremmo cominciare a ragionare quando parliamo — così spesso a vanvera — di terrorismo, multiculturalismo e integrazione. Forse a partire da questi dati dovremmo impegnare un confronto serrato, amichevole ma fuori dai denti, con i Paesi arabi.
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Re: El Papa creistian

Messaggioda Berto » sab feb 28, 2015 8:51 am

L'apostata Françesco

Il Patriarca del Patriarcato Cattolico Bizantino condanna di apostasia Papa Bergoglio perché "promuove l'omosessualità"

http://www.ioamolitalia.it/video/il-pat ... alita.html

Dichiarazione dell’anatema su Francesco Bergoglio

Oggi, il 2 agosto 2013, la Chiesa cristiana orientale celebra la festa del santo profeta Elia. In questo giorno il Patriarcato Cattolico Bizantino in autorità di Dio Uno e Trino dichiara l’anatema – la maledizione di Dio (secondo Galati 1, 8-9) sul vescovo di Roma Francesco Bergoglio. Il motivo è che egli ha abusato dell’ufficio ecclesiastico per violare le leggi di Dio. Egli promuove immorale mentalità dell’omosessualità che è contraria all’essenza del Vangelo e distrugge tutti valori morali.
Con questo Francesco Bergoglio è escluso dal Corpo invisibile di Cristo. Il suo ufficio nell’organizzazione visibile della Chiesa occupa illegalmente.
Inoltre, con il suo silenzio ex-Papa Francesco ha approvato eresie contemporanee e con suoi gesti ha inoltre approvato il sincretismo con il paganesimo. Eresie contemporanee negano l’ispirazione divina della Scrittura, la divinità di Cristo, l’unicità della Sua morte redentrice sulla croce e la sua reale e storica risurrezione.
L’omosessualità promossa da Francesco Bergoglio è il frutto delle eresie contemporanee e del sincretismo.
Ogni vescovo, sacerdote ed ogni credente cattolico sono tenuti a separarsi interiormente dall’apostata Francesco. Non possono più obbedire a lui né alla struttura alla guida della quale egli sta. Se il vescovo o sacerdote ricorda il suo nome nella Divina Liturgia, dichiara pubblicamente di essere in comunione spirituale con l’apostata. Anche su di lui grava la maledizione di Dio – l’anatema. I credenti sono tenuti all’obbedienza a Dio e devono separarsi da questi traditori di Cristo. Non possono più obbedire loro. Se non l’avranno fatto anche loro incorreranno in maledizione di Dio – l’anatema.
Francesco Bergoglio già prima ha espulso lo Spirito Santo ed ha accolto lo spirito dell’anticristo. Lui non era e non è il Vicario visibile di Cristo. Egli è servo dell’anticristo e conduce le anime ingannate verso la perdizione eterna.

+ Elia Patriarca del Patriarcato Cattolico Bizantino
+ Metodio, OSBMr Vescovo-segretario
+ Timoteo, OSBMr Vescovo-segretario
Leopoli (Ucraina), 2 agosto 2013
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