Francesco non dà tregua al male oscuro della Chiesa: "Soldi e potere, tentazioni che distruggono"Nell'omelia a Santa Marta, il Papa ricorda il passo del Vangelo in cui Gesù parla di umiltà e i discepoli preferiscono discutere su chi tra di loro sia il più grande. "Accade anche oggi in ogni istituzione della Chiesa. Tutti con la voglia di ricchezza, vanità, orgoglio. Nessuno di noi può dire: sono una persona santa e pulita"
17 maggio 2016
http://www.repubblica.it/vaticano/2016/ ... -139977209CITTA' DEL VATICANO - "La via che indica Gesù è la via del servizio, ma spesso nella Chiesa si ricercano potere, soldi e vanità". Sono le parole con cui Papa Francesco, nell'omelia di Santa Marta, ha messo in guardia dagli "arrampicatori" che anche nel mondo cattolico sono tentati di distruggere l'altro "per salire in alto". Tornando dunque a ribadire il messaggio lanciato lanciato ieri all'Assemblea dei vescovi italiani: i cristiani devono vincere la "tentazione mondana" che divide la Chiesa.
A Santa Marta, Francesco ha commentato il passo del Vangelo in cui "Gesù insegna ai suoi discepoli la via del servizio, ma loro si domandano chi sia il più grande tra loro. Il Maestro parla un linguaggio di umiliazione, di morte, di redenzione. Loro parlano un linguaggio da arrampicatori: chi andrà più in alto nel potere?". Esattamente, ha accusato il Papa, quanto "accade oggi in ogni istituzione della Chiesa: parrocchie, collegi, istituzioni, anche i vescovadi. Tutti con la voglia dello spirito mondano di ricchezza, vanità, orgoglio. Nessuno di noi può dire: no, io sono una persona santa e pulita. Tutti noi siamo tentati da queste cose, siamo tentati di distruggere l'altro per salire su. Questo spirito mondano, nemico di Dio, è una tentazione che divide e distrugge la Chiesa".
"Questa voglia mondana di essere con il potere - ha proseguito Bergoglio -, non di servire ma di essere servito, non si risparmia mai come arrivare: le chiacchiere, sporcare gli altri. L'invidia e le gelosie fanno questa strada e distruggono. Questo noi lo sappiamo, tutti. E tutti siamo tentati da queste cose, siamo tentati di distruggere l'altro per salire in su. E' una tentazione mondana, ma che divide e distrugge la Chiesa, non è lo Spirito di Gesù".
Il Papa ha invitato quindi a immaginare la scena: Gesù che parla di umiltà e i discepoli che preferiscono discutere su chi di loro sarà il più grande. "Ci farà bene - ha sottolineato il Pontefice - pensare alle tante volte che noi abbiamo visto questo nella Chiesa. E alle tante volte che noi abbiamo fatto questo. E chiedere al Signore che ci illumini, per capire che l'amore per il mondo, cioè per questo spirito mondano, è nemico di Dio".
l Papa alla Cei: Chiesa lasci beni non necessari. E i preti "brucino sul rogo le ambizioni"Francesco apre l'assemblea generale dei vescovi chiamata ad approvare i conti dell'otto per mille e a discutere la riforma del clero. E traccia il profilo del parroco ideale: "Non sia un burocrate, sia semplice, essenziale e credibile"
di ANDREA GUALTIERI
16 maggio 2016
http://www.repubblica.it/vaticano/2016/ ... ref=nrct-4TRE giorni dopo la sua elezione, Francesco aveva invocato una “Chiesa povera e per i poveri”. Ora, davanti ai vescovi italiani riuniti in assemblea per discutere del rinnovamento del clero, il Papa dà un'indicazione ancora più precisa su come gestire le strutture e i beni economici ecclesiali: “In una visione evangelica - dice ai presuli - evitate di appesantirvi in una pastorale di conservazione, che ostacola l’apertura alla perenne novità dello Spirito” E poi raccomanda: “Mantenete soltanto ciò che può servire per l’esperienza di fede e di carità del popolo di Dio”.
Il discorso del pontefice arriva proprio nei giorni in cui verranno approvati dalla Cei i conti relativi all'otto per mille: un importo che in genere si aggira attorno al miliardo di euro, impiegato per supportare le attività di evangelizzazione e sovvenzionare opere di carità, ma finito in alcuni casi al centro di speculazioni e raggiri o dilapidato con operazioni finanziarie improbabili. Situazioni, queste ultime, che il cardinale Angelo Bagnasco, parlando a margine del Convegno di Firenze della Chiesa italiana, aveva definito “dolorosissime”. Bergoglio va oltre. E sottolinea che la discussione sulle riforme del clero non può può trascurare il capitolo del rapporto con il denaro.
È la terza volta che Francesco si trova ad aprire l'assemblea generale della Cei, sottraendo il privilegio della prolusione proprio a Bagnasco che, tra l'altro, vedrà scadere il prossimo anno il mandato che gli era stato rinnovato per un quadriennio nel 2013: a maggio 2017, secondo quanto disposto dai vescovi, che hanno ignorato l'invito di Bergoglio ad eleggere direttamente il loro presidente, i presuli di tutte le diocesi italiane si troveranno a votare la terna nella quale sarà poi il Papa a scegliere il successore dell'arcivescovo di Genova.
Nel frattempo, però, la Chiesa scossa da numerosi scandali, mette mano ai problemi del suo presbiterato, coinvolto in numerosi scandali e spesso alle prese con problematiche diverse rispetto a quelle per le quali è stato preparato: dalle infiltrazioni mafiose ai nuovi contesti familiari. Lo ribadisce anche il Papa nel suo discorso: il contesto culturale nel quale opera un prete, dice Francesco, è "molto diverso da quello in cui ha mosso i primi passi nel ministero" e "anche in Italia tante tradizioni, abitudini e visioni della vita sono state intaccate da un profondo cambiamento d’epoca". E aggiunge il pontefice: "Noi, che spesso ci ritroviamo a deplorare questo tempo con tono amaro e accusatorio, dobbiamo avvertirne anche la durezza: nel nostro ministero, quante persone incontriamo che sono nell’affanno per la mancanza di riferimenti a cui guardare. Quante relazioni ferite. In un mondo in cui ciascuno si pensa come la misura di tutto, non c’è più posto per il fratello".
Bergoglio traccia invece il profilo del prete che vuole vedere operare nella Chiesa. E se a Firenze nel novembre scorso aveva evocato il modello del don Camillo di Guareschi, stavolta cita davanti ai vescovi la figura anonima di "qualcuno dei tanti parroci che si spendono nelle nostre comunità": personaggio che descrive senza ambizioni di carriera e potere, "bruciate sul rogo" come fece Mosè. Lontano da “un intimismo religioso che di spirituale ha ben poco”, distante dalla “freddezza del rigorista” ma anche dalla “superficialità di chi vuole mostrarsi accondiscendente a buon mercato”. Non si scandalizza di fronte alle debolezze umane. Non un “burocrate” o un “anonimo funzionario dell’istituzione”; libero da una mentalità di un “ruolo impiegatizio” e da quella dei “criteri dell’efficienza”. Il prete, aggiunge il Papa, deve essere "semplice ed essenziale, sempre disponibile" e "credibile agli occhi della gente", in una esperienza di vita "libera dai narcisismi e dalle gelosie clericali". Ma soprattutto deve essere sganciato dal denaro.
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Papa Francesco: ignorare il povero è ignorare DioCosì il pontefice durante l'udienza a San Pietro
18 maggio 2016
http://it.aleteia.org/2016/05/18/papa-f ... norare-dio“Ignorare il povero è disprezzare Dio”. È il cuore della riflessione sviluppata da Papa Francesco all’udienza generale in Piazza San Pietro sul tema “povertà e misericordia”.
Di seguito, un’ampia sintesi della catechesi del Papa, che parte dalla parabola evangelica di Lazzaro e del ricco Epulone:
“Le loro condizioni di vita – osserva – sono opposte e del tutto non comunicanti. Il portone di casa del ricco è sempre chiuso al povero, che giace lì fuori, cercando di mangiare qualche avanzo della mensa del ricco.
Icona del giudizio finale
Questi indossa vesti di lusso, mentre Lazzaro è coperto di piaghe; il ricco ogni giorno banchetta lautamente, mentre Lazzaro muore di fame. Solo i cani si prendono cura di lui, e vengono a leccare le sue piaghe”. Questa scena, prosegue il Papa, “ricorda il duro rimprovero del Figlio dell’uomo nel giudizio finale: «Ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere (…) Lazzaro rappresenta bene il grido silenzioso dei poveri di tutti i tempi e la contraddizione di un mondo in cui immense ricchezze e risorse sono nelle mani di pochi”.
Anche i ricchi muoiono
“Gesù dice che un giorno quell’uomo”, il ricco, “morì: i poveri e i ricchi muoiono, hanno lo stesso destino. Tutti noi, eh? Non ci sono eccezioni a questo… E allora quell’uomo si rivolse ad Abramo supplicandolo con l’appellativo di ‘padre’. Rivendica perciò di essere suo figlio, appartenente al popolo di Dio. Eppure in vita non ha mostrato alcuna considerazione verso Dio, anzi ha fatto di sé stesso il centro di tutto, chiuso nel suo mondo di lusso e di spreco. Escludendo Lazzaro, non ha tenuto in alcun conto né il Signore, né la sua legge. Ignorare il povero – afferma Francesco – è disprezzare Dio! E questo dobbiamo impararlo bene: ignorare il povero è disprezzare Dio”.
Lazzaro, cioè “Dio aiuta”
Il Papa nota che nella parabola “il ricco non ha un nome, soltanto l’aggettivo: il ricco; mentre quello del povero è ripetuto cinque volte, e Lazzaro significa ‘Dio aiuta’. Lazzaro, che giace davanti alla porta, è un richiamo vivente al ricco per ricordarsi di Dio, ma il ricco non accoglie tale richiamo. Sarà condannato pertanto non per le sue ricchezze, ma per essere stato incapace di sentire compassione per Lazzaro e di soccorrerlo”.
Prima ignorato, dopo implorato
Dopo la morte dei due protagonisti, nella seconda parte della parabola, “la situazione – osserva Francesco – si è rovesciata: il povero Lazzaro è portato dagli angeli in cielo presso Abramo, il ricco invece precipita tra i tormenti”. Quando il ricco, che patisce il tormento dell’arsura, implora Abramo perché mandi Lazzaro a intingere la punta del dito nell’acqua per recargli un po’ di sollievo, l’Epulone mostra – sottolinea il Papa – di conoscere quel povero sempre ignorato in vita. “Adesso il ricco riconosce Lazzaro e gli chiede aiuto, mentre in vita faceva finta di non vederlo”, dice Francesco, che soggiunge: “Quante volte – quante volte! – tanta gente fa finta di non vedere i poveri! Per loro i poveri non esistono (…) Crede ancora di poter accampare diritti per la sua precedente condizione sociale”.
Se apro la porta povero, Dio la apre a me
Abramo dichiara però impossibile da esaudire la richiesta del ricco e qui, indica il Papa, sta “la chiave di tutto il racconto: egli spiega che beni e mali sono stati distribuiti in modo da compensare l’ingiustizia terrena, e la porta che separava in vita il ricco dal povero, si è trasformata in ‘un grande abisso’. Finché Lazzaro stava sotto casa sua, per il ricco c’era la possibilità di salvezza: spalancare la porta, aiutare Lazzaro … ma ora che entrambi sono morti, la situazione è diventata irreparabile. Dio non è mai chiamato direttamente in causa, ma la parabola mette chiaramente in guardia: la misericordia di Dio verso di noi è legata alla nostra misericordia verso il prossimo; quando manca questa, anche quella non trova spazio nel nostro cuore chiuso, non può entrare. Se io non spalanco la porta del mio cuore al povero, quella porta rimane chiusa. Anche per Dio. E questo è terribile”.
La Parola di Dio vivifica il cuore di pietra
Quando poi Abramo replica al ricco che i suoi fratelli, “che rischiano di fare la stessa fine, possono salvarsi ascoltando “Mosè e i profeti”, la parabola – chiarisce Francesco – insegna che “per convertirci, non dobbiamo aspettare eventi prodigiosi, ma aprire il cuore alla Parola di Dio, che ci chiama ad amare Dio e il prossimo. La Parola di Dio può far rivivere un cuore inaridito e guarirlo dalla sua cecità. Il ricco conosceva la Parola di Dio, ma non l’ha lasciata entrare nel cuore, non l’ha ascoltata, non l’ha accolta nel cuore, perciò è stato incapace di aprire gli occhi e di avere compassione del povero. Nessun messaggero e nessun messaggio potranno sostituire i poveri che incontriamo nel cammino, perché in essi ci viene incontro Gesù stesso: ‘Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me’, dice Gesù. Così nel rovesciamento delle sorti che la parabola descrive è nascosto – conclude il Papa – il mistero della nostra salvezza, in cui Cristo unisce la povertà alla misericordia”.