El Papa creistian, catołego roman, no lè Cristo

Re: El Papa creistian : ghe piaxe el mate

Messaggioda Sixara » mar lug 14, 2015 2:09 pm

A lo ghea dito mi ke al Papa ghe piaxe l mate :D
Tornando indrio da l so viajo n America latina, come senpre, el Papa el parla co i jornalisti e, sarà l altitudine, sarà ke l beve el mate a vien fòra senpre de le bele robe...

Qual è il segreto della sua energia vista in questi giorni ? - ghe domanda el jornalista -
" Qual è la sua droga? Quella era la vera domanda. Il mate mi aiuta, ma non ho assaggiato la coca, questo sia chiaro!".

La Repubblica, 14.7.2015, l' intervista/Papa Francesco : " Più sorveglianza per questa economia capace di uccidere".

El dixe anca ke l ghe ga piaxesto el Cristo n croxe co falce&martello, però el ghe ga lasà a Morales tute le decora'zion e l se ga tegnù solo ke l cristo n legno.
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Re: El Papa creistian

Messaggioda Berto » sab ago 29, 2015 12:20 pm

???

Crollo di fedeli alle udienze di Bergoglio, i cristiani abbandonati lo abbandonano
venerdì, 28, agosto, 2015

Un’emorragia lenta e costante, che in poco più di due anni ha assunto proporzioni preoccupanti. Il numero delle persone che il mercoledì si reca a piazza San Pietro per assistere all’udienza del Papa ha iniziato a calare con l’avvento di Francesco al soglio di Pietro, ed il trend non accenna a cambiare verso.

http://www.imolaoggi.it/2015/08/28/crol ... bbandonano

Da che è diventato Pontefice, Bergoglio ha perso suppergiù due fedeli su tre. I numeri non potrebbero essere più ufficiali: a diffondere il conto delle presenza è stata infatti la Prefettura della casa pontificia, ossia l’organismo vaticano che ha tra i propri compiti quello di provvedere all’organizzazione delle udienze. L’occasione per la pubblicazione del riepilogo è stata offerta dalla centesima udienza tenuta da Bergoglio questo mercoledì.

Le cifre del flop – I numeri: ai cento appuntamenti di Francesco hanno preso parte in totale 3.147.600 persone. Interessante il dato disaggregato sui singoli anni. Nel 2013, primo anno di pontificato del Papa argentino, i fedeli presenti sono stati 1.548.500 per un totale di 30 udienze (da tenere a mente che il pontificato è iniziato nel marzo di quell’anno); nel 2014 alle 43 udienze officiate da Francesco hanno preso parte 1.199.000 fedeli; per l’anno in corso, dove si contano 27 udienze compresa quella di questa settimana, il totale si ferma a quota 400.100. Per rendersi conto della portata di questa emorragia è utile fare il calcolo delle presenze medie per udienza: nel 2013 l’udienza papale media è stata seguita da 51.617 persone, nel 2014 da 27.883, nel 2015 da 14.818. E il trend sembra essere in ulteriore contrazione, dato che dal Vaticano fanno sapere che all’ultima udienza l’affluenza si è attestata in circa sulle diecimila persone. In ultima analisi, da quando è diventato Papa Jorge Bergoglio ha perso per strada poco meno di due fedeli su tre.

Il confronto diventa ancora più stridente se si va a fare il confronto con chi lo ha preceduto alla guida della Chiesa. I numeri di Giovanni Paolo II, non a caso passato alla storia come Pontefice tra i più amati di sempre, restano irraggiungibili: nel suo primo anno di pontificato, in sole nove udienze, Wojtyla raggiunse quota 200mila fedeli, arrivando. nel corso dell’anno successivo al picco fatto senare a quota 1.585.000 fedeli. Dopo qualche anno di relativa stanca, il grande exploit con l’Anno Santo del 2000, quando i pellegrini tornarono ad essere in numero superiore ad un milione e 400mila.

Meglio Ratzinger – Se da un Pontefice dal carisma unanimemente riconosciuto come Wojtyla certi numeri non stupiscono, lo stesso non può tuttavia dirsi per un Papa al contrario dipinto come respingente e poco incline a suscitare il carisma delle folle: Joseph Ratzinger. Negli otto anni di Pontificato, Benedetto XVI ha fatto registrare un totale di 20.544.970 fedeli tra incontri in Vaticano e a Castel Gandolfo. Particolarmente lusinghieri i risultati del 2012 (quando i pellegrini sono stati in tutto 2.351.200), del 2011 (2.553.800, persino meglio dell’anno che sarebbe seguito) e quelli relativi all’inizio del pontificato: nei primi otto mesi da guida della Chiesa, infatti, Ratzinger aveva fatto registrare oltre 2 milioni e 800 mila fedeli, con 810mila fedeli in appena nove udienze da aprile (momento dell’elezione) alla fine dell’anno. Un trend che, come detto, in seguito all’elezione di papa Francesco ha conosciuto una brusca ed inattesa inversione di tendenza. E che, visti i dati di questi ultimi mesi, le carte in regola per peggiorare pare averle tutte.

di Fabrizio Melis – LIBERO
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Re: El Papa creistian

Messaggioda Berto » sab set 26, 2015 10:18 am

Il discorso integrale di Papa Francesco all'assemblea delle Nazioni Unite
Esclusione, iniquità, terra, casa, lavoro e libertà: queste le parole chiavi dell'intervento del Pontefice pronunciato in lingua spagnola

25 settembre 2015
http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/il ... 502a.shtml

Signor Presidente, Signore e Signori, Ancora una volta, seguendo una tradizione della quale mi sento onorato, il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha invitato il Papa a rivolgersi a questa onorevole assemblea delle nazioni. A mio nome e a nome di tutta la comunità cattolica, Signor Ban Ki-moon, desidero esprimerLe la più sincera e cordiale riconoscenza; La ringrazio anche per le Sue gentili parole.
Il discorso integrale di Papa Francesco all'assemblea delle Nazioni Unite

Saluto inoltre i Capi di Stato e di Governo qui presenti, gli Ambasciatori, i diplomatici e i funzionari politici e tecnici che li accompagnano, il personale delle Nazioni Unite impegnato in questa 70.ma Sessione dell’Assemblea Generale, il personale di tutti i programmi e agenzie della famiglia dell’ONU e tutti coloro che in un modo o nell’altro partecipano a questa riunione. Tramite voi saluto anche i cittadini di tutte le nazioni rappresentate a questo incontro. Grazie per gli sforzi di tutti e di ciascuno per il bene dell’umanità.

Questa è la quinta volta che un Papa visita le Nazioni Unite. Lo hanno fatto i miei predecessori Paolo VI nel 1965, Giovanni Paolo II nel 1979 e nel 1995 e il mio immediato predecessore, oggi Papa emerito Benedetto XVI, nel 2008. Tutti costoro non hanno risparmiato espressioni di riconoscimento per l’Organizzazione, considerandola la risposta giuridica e politica adeguata al momento storico, caratterizzato dal superamento delle distanze e delle frontiere ad opera della tecnologia e, apparentemente, di qualsiasi limite naturale all’affermazione del potere. Una risposta imprescindibile dal momento che il potere tecnologico, nelle mani di ideologie nazionalistiche o falsamente universalistiche, è capace di produrre tremende atrocità. Non posso che associarmi all’apprezzamento dei miei predecessori, riaffermando l’importanza che la Chiesa Cattolica riconosce a questa istituzione e le speranze che ripone nelle sue attività.

La storia della comunità organizzata degli Stati, rappresentata dalle Nazioni Unite, che festeggia in questi giorni il suo 70° anniversario, è una storia di importanti successi comuni, in un periodo di inusitata accelerazione degli avvenimenti. Senza pretendere di essere esaustivo, si può menzionare la codificazione e lo sviluppo del diritto internazionale, la costruzione della normativa internazionale dei diritti umani, il perfezionamento del diritto umanitario, la soluzione di molti conflitti e operazioni di pace e di riconciliazione, e tante altre acquisizioni in tutti i settori della proiezione internazionale delle attività umane. Tutte queste realizzazioni sono luci che contrastano l’oscurità del disordine causato dalle ambizioni incontrollate e dagli egoismi collettivi. È sicuro che, benché siano molti i gravi problemi non risolti, è però evidente che se fosse mancata tutta quell’attività internazionale, l’umanità avrebbe potuto non sopravvivere all’uso incontrollato delle sue stesse potenzialità. Ciascuno di questi progressi politici, giuridici e tecnici rappresenta un percorso di concretizzazione dell’ideale della fraternità umana e un mezzo per la sua maggiore realizzazione.

Rendo perciò omaggio a tutti gli uomini e le donne che hanno servito con lealtà e sacrificio l’intera umanità in questi 70 anni. In particolare, desidero ricordare oggi coloro che hanno dato la loro vita per la pace e la riconciliazione dei popoli, a partire da Dag Hammarskjöld fino ai moltissimi funzionari di ogni grado, caduti nelle missioni umanitarie di pace e di riconciliazione.

L’esperienza di questi 70 anni, al di là di tutto quanto è stato conseguito, dimostra che la riforma e l’adattamento ai tempi sono sempre necessari, progredendo verso l’obiettivo finale di concedere a tutti i Paesi, senza eccezione, una partecipazione e un’incidenza reale ed equa nelle decisioni. Tale necessità di una maggiore equità, vale in special modo per gli organi con effettiva capacità esecutiva, quali il Consiglio di Sicurezza, gli Organismi finanziari e i gruppi o meccanismi specificamente creati per affrontare le crisi economiche. Questo aiuterà a limitare qualsiasi sorta di abuso o usura specialmente nei confronti dei Paesi in via di sviluppo. Gli organismi finanziari internazionali devono vigilare in ordine allo sviluppo sostenibile dei Paesi e per evitare l’asfissiante sottomissione di tali Paesi a sistemi creditizi che, ben lungi dal promuovere il progresso, sottomettono le popolazioni a meccanismi di maggiore povertà, esclusione e dipendenza.

Il compito delle Nazioni Unite, a partire dai postulati del Preambolo e dei primi articoli della sua Carta costituzionale, può essere visto come lo sviluppo e la promozione della sovranità del diritto, sapendo che la giustizia è requisito indispensabile per realizzare l’ideale della fraternità universale. In questo contesto, è opportuno ricordare che la limitazione del potere è un’idea implicita nel concetto di diritto. Dare a ciascuno il suo, secondo la definizione classica di giustizia, significa che nessun individuo o gruppo umano si può considerare onnipotente, autorizzato a calpestare la dignità e i diritti delle altre persone singole o dei gruppi sociali. La distribuzione di fatto del potere (politico, economico, militare, tecnologico, ecc.) tra una pluralità di soggetti e la creazione di un sistema giuridico di regolamentazione delle rivendicazioni e degli interessi, realizza la limitazione del potere. Oggi il panorama mondiale ci presenta, tuttavia, molti falsi diritti, e –nello stesso tempo – ampi settori senza protezione, vittime piuttosto di un cattivo esercizio del potere: l’ambiente naturale e il vasto mondo di donne e uomini esclusi. Due settori intimamente uniti tra loro, che le relazioni politiche ed economiche preponderanti hanno trasformato in parti fragili della realtà. Per questo è necessario affermare con forza i loro diritti, consolidando la protezione dell’ambiente e ponendo termine all’esclusione.

Anzitutto occorre affermare che esiste un vero “diritto dell’ambiente” per una duplice ragione. In primo luogo perché come esseri umani facciamo parte dell’ambiente. Viviamo in comunione con esso, perché l’ambiente stesso comporta limiti etici che l’azione umana deve riconoscere e rispettare. L’uomo, anche quando è dotato di «capacità senza precedenti» che «mostrano una singolarità che trascende l’ambito fisico e biologico» (Enc. Laudato sì, 81), è al tempo stesso una porzione di tale ambiente. Possiede un corpo formato da elementi fisici, chimici e biologici, e può sopravvivere e svilupparsi solamente se l’ambiente ecologico gli è favorevole. Qualsiasi danno all’ambiente, pertanto, è un danno all’umanità. In secondo luogo, perché ciascuna creatura, specialmente gli esseri viventi, ha un valore in sé stessa, di esistenza, di vita, di bellezza e di interdipendenza con le altre creature. Noi cristiani, insieme alle altre religioni monoteiste, crediamo che l’universo proviene da una decisione d’amore del Creatore, che permette all’uomo di servirsi rispettosamente della creazione per il bene dei suoi simili e per la gloria del Creatore, senza però abusarne e tanto meno essendo autorizzato a distruggerla. Per tutte le credenze religiose l’ambiente è un bene fondamentale.

L’abuso e la distruzione dell’ambiente, allo stesso tempo, sono associati ad un inarrestabile processo di esclusione. In effetti, una brama egoistica e illimitata di potere e di benessere materiale, conduce tanto ad abusare dei mezzi materiali disponibili quanto ad escludere i deboli e i meno abili, sia per il fatto di avere abilità diverse (portatori di handicap), sia perché sono privi delle conoscenze e degli strumenti tecnici adeguati o possiedono un’insufficiente capacità di decisione politica. L’esclusione economica e sociale è una negazione totale della fraternità umana e un gravissimo attentato ai diritti umani e all’ambiente. I più poveri sono quelli che soffrono maggiormente questi attentati per un triplice, grave motivo: sono scartati dalla società, sono nel medesimo tempo obbligati a vivere di scarti e devono soffrire ingiustamente le conseguenze dell’abuso dell’ambiente. Questi fenomeni costituiscono oggi la tanto diffusa e incoscientemente consolidata “cultura dello scarto”.

La drammaticità di tutta questa situazione di esclusione e di inequità, con le sue chiare conseguenze, mi porta, insieme a tutto il popolo cristiano e a tanti altri, a prendere coscienza anche della mia grave responsabilità al riguardo, per cui alzo la mia voce, insieme a quella di tutti coloro che aspirano a soluzioni urgenti ed efficaci. L’adozione dell’ “Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile” durante il Vertice mondiale che inizierà oggi stesso, è un importante segno di speranza. Confido anche che la Conferenza di Parigi sul cambiamento climatico raggiunga accordi fondamentali ed effettivi.

Non sono sufficienti, tuttavia, gli impegni assunti solennemente, anche quando costituiscono un passo necessario verso la soluzione dei problemi. La definizione classica di giustizia alla quale ho fatto riferimento anteriormente contiene come elemento essenziale una volontà costante e perpetua: Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi. Il mondo chiede con forza a tutti i governanti una volontà effettiva, pratica, costante, fatta di passi concreti e di misure immediate, per preservare e migliorare l’ambiente naturale e vincere quanto prima il fenomeno dell’esclusione sociale ed economica, con le sue tristi conseguenze di tratta degli esseri umani, commercio di organi e tessuti umani, sfruttamento sessuale di bambini e bambine, lavoro schiavizzato, compresa la prostituzione, traffico di droghe e di armi, terrorismo e crimine internazionale organizzato. È tale l’ordine di grandezza di queste situazioni e il numero di vite innocenti coinvolte, che dobbiamo evitare qualsiasi tentazione di cadere in un nominalismo declamatorio con effetto tranquillizzante sulle coscienze. Dobbiamo aver cura che le nostre istituzioni siano realmente efficaci nella lotta contro tutti questi flagelli.

La molteplicità e complessità dei problemi richiede di avvalersi di strumenti tecnici di misurazione. Questo, però, comporta un duplice pericolo: limitarsi all’esercizio burocratico di redigere lunghe enumerazioni di buoni propositi – mete, obiettivi e indicatori statistici –, o credere che un’unica soluzione teorica e aprioristica darà risposta a tutte le sfide. Non bisogna perdere di vista, in nessun momento, che l’azione politica ed economica, è efficace solo quando è concepita come un’attività prudenziale, guidata da un concetto perenne di giustizia e che tiene sempre presente che, prima e aldilà di piani e programmi, ci sono donne e uomini concreti, uguali ai governanti, che vivono, lottano e soffrono, e che molte volte si vedono obbligati a vivere miseramente, privati di qualsiasi diritto.

Affinché questi uomini e donne concreti possano sottrarsi alla povertà estrema, bisogna consentire loro di essere degni attori del loro stesso destino. Lo sviluppo umano integrale e il pieno esercizio della dignità umana non possono essere imposti. Devono essere costruiti e realizzati da ciascuno, da ciascuna famiglia, in comunione con gli altri esseri umani e in una giusta relazione con tutti gli ambienti nei quali si sviluppa la socialità umana – amici, comunità, villaggi e comuni, scuole, imprese e sindacati, province, nazioni, ecc. Questo suppone ed esige il diritto all’istruzione – anche per le bambine (escluse in alcuni luoghi) – che si assicura in primo luogo rispettando e rafforzando il diritto primario della famiglia a educare e il diritto delle Chiese e delle altre aggregazioni sociali a sostenere e collaborare con le famiglie nell’educazione delle loro figlie e dei loro figli. L’educazione, così concepita, è la base per la realizzazione dell’Agenda 2030 e per il risanamento dell’ambiente.

Al tempo stesso, i governanti devono fare tutto il possibile affinché tutti possano disporre della base minima materiale e spirituale per rendere effettiva la loro dignità e per formare e mantenere una famiglia, che è la cellula primaria di qualsiasi sviluppo sociale. Questo minimo assoluto, a livello materiale ha tre nomi: casa, lavoro e terra; e un nome a livello spirituale: libertà dello spirito, che comprende la libertà religiosa, il diritto all’educazione e gli altri diritti civili. Per tutte queste ragioni, la misura e l’indicatore più semplice e adeguato dell’adempimento della nuova Agenda per lo sviluppo sarà l’accesso effettivo, pratico e immeditato, per tutti, ai beni materiali e spirituali indispensabili: abitazione propria, lavoro dignitoso e debitamente remunerato, alimentazione adeguata e acqua potabile; libertà religiosa e, più in generale, libertà dello spirito ed educazione. Nello stesso tempo, questi pilastri dello sviluppo umano integrale hanno un fondamento comune, che è il diritto alla vita, e, in senso ancora più ampio, quello che potremmo chiamare il diritto all’esistenza della stessa natura umana.

La crisi ecologica, insieme alla distruzione di buona parte della biodiversità, può mettere in pericolo l’esistenza stessa della specie umana. Le nefaste conseguenze di un irresponsabile malgoverno dell’economia mondiale, guidato unicamente dall’ambizione di guadagno e di potere, devono costituire un appello a una severa riflessione sull’uomo: «L’uomo non si crea da solo. È spirito e volontà, però anche natura» (Benedetto XVI, Discorso al Parlamento della Repubblica Federale di Germania, 22 settembre 2011; citato in Enc. Laudato sì, 6). La creazione si vede pregiudicata «dove noi stessi siamo l’ultima istanza [...]. E lo spreco della creazione inizia dove non riconosciamo più alcuna istanza sopra di noi, ma vediamo soltanto noi stessi» (Id., Incontro con il Clero della Diocesi di Bolzano-Bressanone, 6 agosto 2008, citato ibid.). Perciò, la difesa dell’ambiente e la lotta contro l’esclusione esigono il riconoscimento di una legge morale inscritta nella stessa natura umana, che comprende la distinzione naturale tra uomo e donna (cfr Enc. Laudato sì, 155) e il rispetto assoluto della vita in tutte le sue fasi e dimensioni (cfr ibid., 123; 136). Senza il riconoscimento di alcuni limiti etici naturali insormontabili e senza l’immediata attuazione di quei pilastri dello sviluppo umano integrale, l’ideale di «salvare le future generazioni dal flagello della guerra» (Carta delle Nazioni Unite, Preambolo) e di «promuovere il progresso sociale e un più elevato livello di vita all’interno di una più ampia libertà» (ibid.) corre il rischio di diventare un miraggio irraggiungibile o, peggio ancora, parole vuote che servono come scusa per qualsiasi abuso e corruzione, o per promuovere una colonizzazione ideologica mediante l’imposizione di modelli e stili di vita anomali estranei all’identità dei popoli e, in ultima analisi, irresponsabili.

La guerra è la negazione di tutti i diritti e una drammatica aggressione all’ambiente. Se si vuole un autentico sviluppo umano integrale per tutti, occorre proseguire senza stancarsi nell’impegno di evitare la guerra tra le nazioni e tra i popoli.

A tal fine bisogna assicurare il dominio incontrastato del diritto e l’infaticabile ricorso al negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato, come proposto dalla Carta delle Nazioni Unite, vera norma giuridica fondamentale. L’esperienza dei 70 anni di esistenza delle Nazioni Unite, in generale, e in particolare l’esperienza dei primi 15 anni del terzo millennio, mostrano tanto l’efficacia della piena applicazione delle norme internazionali come l’inefficacia del loro mancato adempimento. Se si rispetta e si applica la Carta delle Nazioni Unite con trasparenza e sincerità, senza secondi fini, come un punto di riferimento obbligatorio di giustizia e non come uno strumento per mascherare intenzioni ambigue, si ottengono risultati di pace. Quando, al contrario, si confonde la norma con un semplice strumento da utilizzare quando risulta favorevole e da eludere quando non lo è, si apre un vero vaso di Pandora di forze incontrollabili, che danneggiano gravemente le popolazioni inermi, l’ambiente culturale, e anche l’ambiente biologico.

Il Preambolo e il primo articolo della Carta delle Nazioni Unite indicano le fondamenta della costruzione giuridica internazionale: la pace, la soluzione pacifica delle controversie e lo sviluppo delle relazioni amichevoli tra le nazioni. Contrasta fortemente con queste affermazioni, e le nega nella pratica, la tendenza sempre presente alla proliferazione delle armi, specialmente quelle di distruzione di massa come possono essere quelle nucleari. Un’etica e un diritto basati sulla minaccia della distruzione reciproca – e potenzialmente di tutta l’umanità – sono contraddittori e costituiscono una frode verso tutta la costruzione delle Nazioni Unite, che diventerebbero “Nazioni unite dalla paura e dalla sfiducia”. Occorre impegnarsi per un mondo senza armi nucleari, applicando pienamente il Trattato di non proliferazione, nella lettera e nello spirito, verso una totale proibizione di questi strumenti.

Il recente accordo sulla questione nucleare in una regione sensibile dell’Asia e del Medio Oriente, è una prova delle possibilità della buona volontà politica e del diritto, coltivati con sincerità, pazienza e costanza. Formulo i miei voti perché questo accordo sia duraturo ed efficace e dia i frutti sperati con la collaborazione di tutte le parti coinvolte.

In tal senso, non mancano gravi prove delle conseguenze negative di interventi politici e militari non coordinati tra i membri della comunità internazionale. Per questo, seppure desiderando di non avere la necessità di farlo, non posso non reiterare i miei ripetuti appelli in relazione alla dolorosa situazione di tutto il Medio Oriente, del Nord Africa e di altri Paesi africani, dove i cristiani, insieme ad altri gruppi culturali o etnici e anche con quella parte dei membri della religione maggioritaria che non vuole lasciarsi coinvolgere dall’odio e dalla pazzia, sono stati obbligati ad essere testimoni della distruzione dei loro luoghi di culto, del loro patrimonio culturale e religioso, delle loro case ed averi e sono stati posti nell’alternativa di fuggire o di pagare l’adesione al bene e alla pace con la loro stessa vita o con la schiavitù.

Queste realtà devono costituire un serio appello ad un esame di coscienza di coloro che hanno la responsabilità della conduzione degli affari internazionali. Non solo nei casi di persecuzione religiosa o culturale, ma in ogni situazione di conflitto, come in Ucraina, in Siria, in Iraq, in Libia, nel Sud-Sudan e nella regione dei Grandi Laghi, prima degli interessi di parte, pur se legittimi, ci sono volti concreti. Nelle guerre e nei conflitti ci sono persone, nostri fratelli e sorelle, uomini e donne, giovani e anziani, bambini e bambine che piangono, soffrono e muoiono. Esseri umani che diventano materiale di scarto mentre non si fa altro che enumerare problemi, strategie e discussioni.

Ho iniziato questo intervento ricordando le visite dei miei predecessori. Ora vorrei, in modo particolare, che le mie parole fossero come una continuazione delle parole finali del discorso di Paolo VI, pronunciate quasi esattamente 50 anni or sono, ma di perenne valore. «È l’ora in cui si impone una sosta, un momento di raccoglimento, di ripensamento, quasi di preghiera: ripensare, cioè, alla nostra comune origine, alla nostra storia, al nostro destino comune. Mai come oggi [...] si è reso necessario l’appello alla coscienza morale dell’uomo [poiché] il pericolo non viene né dal progresso né dalla scienza: questi, se bene usati, potranno anzi risolvere molti dei gravi problemi che assillano l’umanità» (Discorso ai Rappresentanti degli Stati, 4 ottobre 1965). Tra le altre cose, senza dubbio, la genialità umana, ben applicata, aiuterà a risolvere le gravi sfide del degrado ecologico e dell’esclusione. Proseguo con le parole di Paolo VI: «Il pericolo vero sta nell’uomo, padrone di sempre più potenti strumenti, atti alla rovina ed alle più alte conquiste!».

La casa comune di tutti gli uomini deve continuare a sorgere su una retta comprensione della fraternità universale e sul rispetto della sacralità di ciascuna vita umana, di ciascun uomo e di ciascuna donna; dei poveri, degli anziani, dei bambini, degli ammalati, dei non nati, dei disoccupati, degli abbandonati, di quelli che vengono giudicati scartabili perché li si considera nient’altro che numeri di questa o quella statistica. La casa comune di tutti gli uomini deve edificarsi anche sulla comprensione di una certa sacralità della natura creata. Tale comprensione e rispetto esigono un grado superiore di saggezza, che accetti la trascendenza, rinunci alla costruzione di una élite onnipotente e comprenda che il senso pieno della vita individuale e collettiva si trova nel servizio disinteressato verso gli altri e nell’uso prudente e rispettoso della creazione, per il bene comune . Ripetendo le parole di Paolo VI, «l’edificio della moderna civiltà deve reggersi su principii spirituali, capaci non solo di sostenerlo, ma altresì di illuminarlo e di animarlo».

Il Gaucho Martin Fierro, un classico della letteratura della mia terra natale, canta: “I fratelli siano uniti perché questa è la prima legge. Abbiano una vera unione in qualsiasi tempo, perché se litigano tra di loro li divoreranno quelli di fuori”. Il mondo contemporaneo apparentemente connesso, sperimenta una crescente e consistente e continua frammentazione sociale che pone in pericolo «ogni fondamento della vita sociale» e pertanto «finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi» (Enc. Laudato sì, Il tempo presente ci invita a privilegiare azioni che possano generare nuovi dinamismi nella società e che portino frutto in importanti e positivi avvenimenti storici (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 223). Non possiamo permetterci di rimandare “alcune agende” al futuro. Il futuro ci chiede decisioni critiche dei bisognosi.

La lodevole costruzione giuridica internazionale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e di tutte le sue realizzazioni, migliorabile come qualunque altra opera umana e, al tempo stesso, necessaria, può essere pegno di un futuro sicuro e felice per le generazioni future. Lo sarà se i rappresentanti degli Stati sapranno mettere da parte interessi settoriali e ideologie e cercare sinceramente il servizio del bene comune. Chiedo a Dio Onnipotente che sia così, e vi assicuro il mio appoggio, la mia preghiera e l’appoggio e le preghiere di tutti i fedeli della Chiesa Cattolica, affinché questa Istituzione, tutti i suoi Stati membri e ciascuno dei suoi funzionari, renda sempre un servizio efficace all’umanità, un servizio rispettoso della diversità e che sappia potenziare, per il bene comune, il meglio di ciascun popolo e di ciascun cittadino. La benedizione dell’Altissimo, la pace e la prosperità a tutti voi e a tutti i vostri popoli.
Grazie.
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Re: El Papa creistian

Messaggioda Berto » gio ott 01, 2015 8:30 pm

??? No no!

Migranti, il Papa: "Superare emergenza, parrocchie non abbiano paura"
Messaggio di Francesco per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. "I media aiutino a prevenire timori ingiustificati"
di ANDREA GUALTIERI
01 ottobre 2015
http://www.repubblica.it/vaticano/2015/ ... -124059595

CITTA' DEL VATICANO - Papa Francesco invoca una 'fase due' nell'approccio alla questione dei migranti. "I flussi migratori sono ormai una realtà strutturale" ??? e si deve puntare al "superamento della fase di emergenza", afferma il pontefice nel messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che si celebrerà a livello ecclesiale domenica 17 gennaio 2016.

CHI RESTA A GUARDARE E' COMPLICE. Bergoglio invoca "programmi che tengano conto delle cause delle migrazioni, dei cambiamenti che si producono e delle conseguenze che imprimono volti nuovi alle società e ai popoli". E in questo senso formula richiami in due direzioni. Da una parte arriva a definire "complici" delle tragedie quanti assistono "come spettatori" nell'indifferenza e nel silenzio davanti a "morti per soffocamento, stenti, violenze e naufragi", ma anche davanti alle "nuove forme di schiavitù gestite da organizzazioni criminali" che, ricorda Francesco, "vendono e comprano uomini, donne e bambini come lavoratori forzati nell'edilizia, nell'agricoltura, nella pesca o in altri ambiti di mercato". ???

IL PROBLEMA DELL'INTEGRAZIONE. Il secondo richiamo del pontefice è invece focalizzato sul tema dell'integrazione: "La presenza dei migranti e dei rifugiati - scrive il Papa nel messaggio - interpella seriamente le diverse società che li accolgono" e si deve prevenire "il rischio della discriminazione, del razzismo, del nazionalismo estremo o della xenofobia" ???. E la formula suggerita da Bergoglio è basata sul rispetto reciproco tra chi arriva e chi accoglie: "E' importante guardare ai migranti non soltanto in base alla loro condizione di regolarità o di irregolarità, ma soprattutto come persone che, tutelate nella loro dignità, possono contribuire al benessere e al progresso di tutti, in particolar modo quando assumono responsabilmente dei doveri nei confronti di chi li accoglie, rispettando con riconoscenza il patrimonio materiale e spirituale del Paese che li ospita, obbedendo alle sue leggi e contribuendo ai suoi oneri". ???
Si tratta quindi di gestire la questione dell'identità dei popoli che, ammette Francesco, "non è di secondaria importanza". Ma la soluzione, aggiunge, è nel "Vangelo della misericordia". E spiega: "Ognuno di noi è responsabile del suo vicino: siamo custodi dei nostri fratelli e sorelle, ovunque essi vivano. La cura di buoni contatti personali e la capacità di superare pregiudizi e paure sono ingredienti essenziali per coltivare la cultura dell'incontro, dove si è disposti non solo a dare, ma anche a ricevere dagli altri. L'ospitalità, infatti, vive del dare e del ricevere".

IL DIRITTO DI MIGLIORARE L'ESISTENZA. In questo senso, Francesco interpella quanti vedono i flussi migratori come una minaccia alla "tranquillità nazionale": persone che, sottolinea, siedono negli scranni politici, "ma anche in alcune comunità parrocchiali". A loro il Papa chiede: "Non è forse desiderio di ciascuno quello di migliorare le proprie condizioni di vita e ottenere un onesto e legittimo benessere da condividere con i propri cari?". E ai cristiani ricorda che la misericordia "alimenta e irrobustisce la solidarietà verso il prossimo come esigenza di risposta all'amore gratuito di Dio": "L'amore di Dio - è scritto in un altro passaggio - intende raggiungere tutti e ciascuno, trasformando coloro che accolgono l'abbraccio del Padre in altrettante braccia che si aprono e si stringono perché chiunque sappia

Mi no so par gnente d'acordo co ti, col to far da enperador del mondo!
No te si ła cosiensa del mondo e no te pol deçidar par mi!
Me despiaxe ma el to "far ben" el deven "el nostro mal".
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Re: El Papa creistian

Messaggioda Berto » dom nov 15, 2015 10:13 pm

"Il Papa sta distruggendo la Chiesa"
Dagli insulti al mondo vescovile alle confidenze con Scalfari: Bergoglio è fuori controllo? Anatomia di una cattolica guerra civile
di Damian Thompson | 09 Novembre 2015

http://www.ilfoglio.it/chiesa/2015/11/0 ... e_c247.htm


The Spectator, sabato 7 novembre

Domenica 1° novembre, il quotidiano italiano la Repubblica ha pubblicato un editoriale a firma di Eugenio Scalfari, uno dei più celebri giornalisti del Paese, in cui questi sosteneva che il Papa gli avrebbe confidato che «alla fine di percorsi più veloci o più lenti tutti i divorziati che lo chiedono saranno ammessi» al sacramento della comunione. L’opinione pubblica cattolica è rimasta di sasso: il Papa aveva appena terminato di presiedere un sinodo di tre settimane, in cui erano emerse ampie divergenze proprio attorno alla questione dell’ammissione o meno dei divorziati cattolici risposati alla comunione. Sinodo che, alla fine, aveva votato per un nulla di fatto. Lunedì scorso, il portavoce del Papa, padre Federico Lombardi, ha dichiarato che quanto riferito da Scalfari «non è in alcun modo affidabile» e «non può essere considerato il pensiero del Papa».

Abbastanza normale, potreste pensare: Scalfari ha 91 anni, e poi non è solito prendere note o usare registratori durante le sue interviste. Ovvio che egli non sia «affidabile». Ma ciò non ha soddisfatto i media, che hanno segnalato come il Papa sapesse benissimo a cosa stava andando incontro. In fondo questa era la quarta volta che aveva deciso di farsi intervistare da una persona che confida nella sua memoria da novantenne. Dopo il loro ultimo colloquio, Scalfari aveva attribuito al Papa l’affermazione per cui la pedofilia all’interno della Chiesa coinvolge il 2% dei preti, inclusi vescovi e cardinali. Il povero Lombardi aveva dovuto smentire tutto anche allora. La volta scorsa, i cattolici hanno concesso a Francesco il beneficio del dubbio. Stavolta, invece, molti di loro stanno dicendo: lasciando perdere Scalfari, come si può avere fiducia in ciò che dice il Papa? Sono passati due anni e mezzo dall’inizio del pontificato, ma è solo nell’ultimo mese che i semplici cattolici conservatori, e non i tradizionalisti più irriducibili, hanno cominciato a sostenere che papa Francesco è fuori controllo. Notare: «fuori controllo», non «sta perdendo il controllo», che sarebbe un problema meno grave. Nessun pontefice, infatti, a memoria d’uomo, ha mai lasciato spazio alla specifica paura che ora sta avvolgendo la Chiesa: che il magistero conferito a Pietro da Gesù non è sicuro nelle sue mani.

I media non-cattolici non hanno ancora colto il pericolo mortale insito nella sfida che si trova ad affrontare il papa argentino. Dal modo rilassato e audace con cui si comporta in pubblico, e dai suoi commenti improvvisati, concludono che si è di fronte a un papa liberale (sempre secondo gli standard papali) attorno alle tematiche più sensibili relative alla morale sessuale, e invece guardano ai vescovi conservatori dal cuore duro come a degli ipocriti.

Tutto questo è vero, ma su una cosa i giornalisti – e i milioni di fan laici del Papa – si sbagliano di grosso. Per il suo modo di comportarsi alla mano e per la sua preferenza per il modesto titolo di «vescovo di Roma», loro credono che papa Bergoglio rivesta la carica di Supremo Pontefice con molta leggerezza. Ma chiunque lavori in Vaticano vi dirà che non è così. È vero, Francesco esercita il potere con una sicurezza di sé pari a quella di Giovanni Paolo II, il papa polacco la cui guerra santa contro il comunismo si concluse con il crollo dell’Unione Sovietica, ma le similitudini tra i due finiscono qui. Giovanni Paolo II non ha mai nascosto la natura della sua missione. Egli era deciso a chiarire e a consolidare gli insegnamenti della Chiesa. Francesco, al contrario, mira a muoversi verso una Chiesa più compassionevole e meno attaccata alle regole, ma si rifiuta di dire fino a dove voglia arrivare. A volte egli assomiglia a un automobilista che guida alla massima velocità senza cartina e specchietto retrovisore. E quando l’auto si ferma, come nel caso del sinodo dello scorso ottobre, egli come Basil Fawlty comincia a colpire disperatamente il cofano della propria auto con un bastone (celebre scena comica di una nota sitcom britannica, ndt).

I non-cattolici sono apparsi molto più interessati agli “storici” pronunciamenti di Francesco sul cambiamento climatico che non al sinodo, dominato dalla disputa circa il diritto dei divorziati cattolici risposati a ricevere la comunione. E ciò ha reso la situazione paradossale. L’enciclica del Papa Laudato si’ ha conferito una temporanea vitalità agli attivisti ambientali, mentre la conferenza sulla famiglia è stata storica, ma non nella maniera giusta. Durante il sinodo, i fedeli cattolici hanno cominciato a chiedersi se il Papa sia stato abbandonato dal proprio giudizio, oppure se sia sempre stata una persona ben diversa di quanto la sua spensierata immagine pubblica suggerisce.

Nei circoli della Chiesa le preoccupazioni sono cominciate a emergere nell’ottobre dello scorso anno, quando il Papa convocò un sinodo straordinario e preparatorio che fallì sotto i suoi occhi. A metà assemblea, gli organizzatori – nominati da Francesco – annunciarono il raggiungimento di un consenso sulla revoca del divieto di comunione e sulla volontà di riconoscere gli aspetti positivi delle relazioni tra gay. I media esultarono, prima di scoprire che erano tutte sciocchezze. I vescovi sinodali, inclusi i cardinali più anziani, non avevano affatto espresso il favore a queste aperture. Il cardinale George Pell, il conservatore australiano che ricopre il ruolo di «ministro dell’Economia» del Papa, perse le staffe – e quando Pell si arrabbia non passa inosservato. Il voto finale bocciò entrambe le proposte. Nonostante ciò, Francesco ha chiesto al sinodo di quest’anno di riesaminare la questione della comunione ai divorziati. Il primo sinodo non è stato soltanto sconfortante per il Papa, ma anche bizzarro. Perché Francesco permise ai suoi stretti collaboratori, il cardinale Lorenzo Baldisseri e l’arcivescovo Bruno Forte, di organizzare una conferenza stampa in cui, nella pratica, si dispensarono bugie?

Qualsiasi altro pontefice avrebbe spedito Baldisseri e Forte in una parrocchia in Antartide per aver mandato tutto a rotoli. Al contrario, nello stupore generale, il Papa li ha invitati a gestire il sinodo del mese scorso, e ha altresì invitato anche il cardinale Walter Kasper, un 82enne teologo tedesco ultra-liberale che intende spazzare via ogni impedimento alla comunione per i divorziati risposati. Insomma a farla breve, Francesco ha fatto capire di pensarla come Kasper, pur sapendo che la maggior parte dei vescovi del recente sinodo voleva mantenere il divieto alla comunione. Perché dunque il Papa ha insistito così tanto affinché i vescovi affrontassero questa tematica nella discussione, consapevole che questi non avrebbero mai votato come lui voleva?

I cardinali più anziani erano stupefatti – e infuriati – all’idea che il sinodo sulla crisi della famiglia in tutto il mondo sarebbe stato dominato dal bisticcio attorno a tale questione. Una settimana prima che questo cominciasse, 13 cardinali, guidati da Pell, hanno scritto una lettera al Papa chiedendogli di non permettere che ciò accadesse, e anche esprimendogli i propri sospetti sul fatto che il programma del sinodo fosse stato allestito proprio per dare la massima visibilità alle idee minoritarie di Kasper. Come prevedibile, il sinodo ha immediatamente cestinato il piano di Kasper, ma ha comunque lasciato aperta la possibilità di introdurre piccoli cambiamenti, ma questo solo perché un mese prima che il sinodo cominciasse Francesco ne ha alterato gli equilibri interni, invitando vescovi aggiuntivi che condividevano le sue idee liberali. E questo ci porta a sottolineare un fatto inquietante, che ha seriamente indebolito la fiducia verso Francesco: tra le persone invitate, infatti, vi era anche il molto liberal cardinale belga Godfried Danneels, che cinque anni fa si ritirò in maniera disonorevole dopo essere stato registrato mentre chiedeva a un uomo di tacere sugli abusi subiti da un vescovo prima che quest’ultimo andasse in pensione. Il vescovo era lo zio della vittima. In altre parole, Danneels tentò di coprire abusi sessuali che avevano avuto luogo all’interno di una famiglia. Papa Francesco ne era al corrente, ma ha comunque deciso di dargli un posto d’onore al sinodo dedicato alla famiglia. Ma perché, per amor di Dio? «Per ringraziarlo dei voti nel conclave» sibilano i conservatori – una calunnia, forse, ma di certo non aiuta il fatto che Danneels vada in giro a vantarsi di aver permesso l’elezione di Bergoglio.

Il sinodo si è concluso in maniera confusa, con un documento che ammette o non ammette la revoca del divieto alla comunione in circostanze speciali. Entrambe le parti si sono attribuite la vittoria – e il Papa, dicono gli osservatori, ha perso le staffe. Nel discorso conclusivo, Francesco si è duramente scagliato contro i «cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa» e contro la «chiusura di prospettive», aggiungendo che «i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito». L’allusione era chiara: i chierici che avevano difeso incondizionatamente il divieto di comunione rappresentavano i Farisei del Gesù di Francesco. Il Papa stava inviando insulti cifrati verso almeno metà di tutto il mondo vescovile – e, a quanto pare, stava anche dando ai preti il permesso di contestare le istruzioni circa la comunione e il divorzio. Un prete vicino al Vaticano è rimasto scioccato, ma non sorpreso. «State vedendo il vero Francesco», ha detto.

«È un brontolone, non riesce a nascondere il suo disprezzo verso la propria Curia. A differenza di Benedetto questo signore premia i suoi compagni e punisce i suoi nemici». Normalmente gli uomini di Chiesa non si riferiscono al Santo Padre con l’espressione «questo signore», anche se non gradiscono la sua teologia, ma in realtà oggi questa è una delle descrizioni di Francesco più gentili; le altre non possono essere pubblicate in una rivista destinata alle famiglie.

La Chiesa cattolica non è mai sembrata così vicina alla Comunione anglicana, che andò in mille pezzi quando i credenti ortodossi, specialmente in Africa, credettero che i propri vescovi avessero abbandonato gli insegnamenti di Gesù. Nel caso del cattolicesimo, però, la crisi strisciante si colloca in una scala molto più grande. Per milioni di cattolici, la forza più importante della Chiesa è certamente la sua coerenza e la sua immutabilità. Si aspettano che il vicario di Cristo sulla terra preservi la stabilità. Se i papi precedenti sono apparsi come delle figure elevate e distanti, questo è perché essi avevano bisogno proprio di questo, per evitare che potesse emergere uno scisma all’interno di una Chiesa che ha radici in tante culture diverse.

Oggi invece il successore di Pietro si sta comportando come un politico, litigando con i propri avversari, ammiccando al pubblico con citazioni, e telefonando ai giornalisti per rilasciare dichiarazioni sorprendenti che il suo ufficio stampa può tranquillamente smentire. Egli sta facendo capire di non trovarsi d’accordo con gli insegnamenti della sua stessa Chiesa. Ma un Papa non può comportarsi in questo modo senza cambiare la natura stessa della Chiesa. Forse è ciò che Francesco intende fare, ma questo lo si può solo immaginare, visto che egli deve ancora articolare un programma coerente di cambiamento, né è chiaro se sia intellettualmente attrezzato per metterlo in pratica. I cattolici fedeli credono che l’ufficio di Pietro sopravviverà a prescindere da chi lo detiene. Gesù l’ha promesso. Ma dopo il caos dell’ultimo mese, la loro fede è messa alla prova fino al punto di rottura. Bergoglio sembra rivelarsi l’uomo che ha ereditato il papato e l’ha distrutto.

(traduzione di Ermes Antonucci)
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Re: El Papa creistian

Messaggioda Berto » mar dic 01, 2015 7:25 pm

Il viaggio in Africa
Francesco: continuo l'opera di pulizia
Mimmo Muolo, inviato a bordo dell'aereo papale
30 novembre 2015

http://www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/pa ... aereo.aspx

Il pensiero e il cuore sono ancora in Africa. L’Africa che lo ha sorpreso con la sua gioia di vivere, lo ha addolorato con le sue povertà. L’Africa «sempre sfruttata dalle altre potenze». Ma l’occhio del Papa non perde di vista il mondo. E così, mentre l’aereo del ritorno a Roma si alza nel cielo terso del Centrafrica, il pensiero di Francesco va già alla Cop21 di Parigi. «Accordo ora o mai più. Siamo sull’orlo del suicidio» ecologico. I temi ambientali sono stati ben presenti nel viaggio. E allora l’appello è una sorta di appendice della visita. Poi nelle altre domande della conferenza stampa a bordo dell’Airbus Alitalia trovano posto anche altri temi. Il dialogo con i musulmani: «Non si può cancellare una religione perché ci sono i fondamentalisti» (e infatti il Papa ha fatto salire l’imam della moschea centrale sulla papamobile, fatto senza precedenti); Vatileaks, con l’ammissione che nella scelta di Vallejo Balda e Francesca Chaouqui «è stato commesso un errore»; la lotta all’Aids e l’uso del preservativo («il problema dell’Africa è molto più grande di questa particolare questione»). La conferenza stampa dura un’ora. E alla fine giunge il caloroso applauso dei giornalisti che suona come un riconoscimento al suo coraggio e alla sua determinazione nell’intraprendere un viaggio alla vigilia così rischioso e poi rivelatosi un successo.

Il clima
«Si arriverà finalmente a qualcosa di concreto?», gli chiedono in relazione al vertice parigino. «Io non ne sono sicuro – è la risposta –, ma posso dire: adesso o mai. Ogni anno i problemi sono più gravi. Siamo al limite di un suicidio e sono sicuro che quasi la totalità di quelli che partecipano alla Cop21 hanno questa coscienza». Io ho fiducia – afferma – «che questa gente farà qualcosa e prego per questo».

Gli islamici e il fondamentalismo
«Oggi – racconta il Papa – sono andato in moschea, ho pregato in moschea e l’imam è salito in papamobile per fare il giro al piccolo stadio». Gli chiedono anche se di fronte al pericolo del fondamentalismo, i leader religiosi debbano intervenire di più in campo politico. «Se questo vuol dire fare politica, no – è la sua risposta –. Ma si può fare una politica indiretta con la predicazione dei valori veri. A cominciare dalla fratellanza tra noi. Siamo tutti figli di Dio. E in questo senso si deve fare una politica di riconciliazione. Non solo tolleranza, ma anche convivenza, amicizia. Il fondamentalismo è una malattia che c’è in tutte le religioni. Noi cattolici ne abbiamo alcuni, anzi tanti, che credono di avere la verità assoluta. Il fondamentalismo non è religioso, è idolatrico e spesso finisce in tragedia. Tocca a noi leader religiosi cercare di convincere quelli che hanno questa tendenza».
Quanto al rapporto con l’islam, «i musulmani – dice il Papa – hanno tanti valori e si può dialogare. Io da tanti anni ho un amico musulmano. Non si può cancellare una religione perché in un momento della storia ci sono dei gruppi fondamentalisti. Anche noi cattolici qualche volta lo siamo stati e dobbiamo chiedere perdono. Caterina de’ Medici non era una santa. Ricordo la guerra dei 30 anni e la notte di san Bartolomeo. Il sacco di Roma non l’hanno fatto certo i musulmani». Ad ogni modo niente guerre, dietro le quali ci sono spesso ambizioni e poteri economici. «L’economia di un Paese è in crisi. Si fa una guerra e si risolleva. E chi vende le armi ai terroristi?». Dunque «le guerre sono un peccato, sono contro l’umanità, sono causa di sfruttamento e vanno fermate», perché Dio è il Dio della pace».

Il cosiddetto Vatileaks 2
Due le domande sul processo attualmente in corso in Vaticano. Domande franche, con risposte dello stesso tenore, specie quando la giornalista di Tv2000, Cristiana Caricato, gli chiede: «Come è stato possibile che nel processo di riforma da lei avviato due persone come Vallejo Balda e Francesca Chaouqui siano entrate in una commissione? Crede di aver fatto un errore?». «Io credo che sia stato fatto un errore – risponde Francesco –. Vallejo Balda è entrato per la carica che aveva come segretario della Prefettura degli Affari economici. Come è entrata lei non sono sicuro, ma credo che l’abbia presentata lui come una donna che conosceva il mondo dei rapporti commerciali». Quindi il Papa prosegue: «Hanno lavorato. Quando è finito il lavoro, i membri di quella commissione che si chiamava Cosea sono rimasti in alcuni posti in Vaticano. La signora Chaouqui non è rimasta in Vaticano, perché era entrata per la Commissione e dicono che si sia arrabbiata per questo. I giudici ci diranno la verità. Per me – sottolinea – non è stata una sorpresa, non mi ha tolto il sonno perché hanno fatto vedere il lavoro che è cominciato in Vaticano con la commissione dei cardinali C9: cercare la corruzione».
E a questo proposito papa Bergoglio ricorda che «la corruzione viene da lontano». «Voglio ricordare – afferma infatti – che 13 giorni prima della morte di san Giovanni Paolo II, nella via Crucis del venerdì santo al Colosseo, l’allora cardinale Ratzinger ha parlato della sporcizia della Chiesa. Poi nella Messa pro eligendo Pontifice ne ha parlato ancora e noi lo abbiamo eletto per questa sua libertà di dire le cose». Quanto alla durata del processo, il Papa ha ricordato il suo desiderio che tutto finisse prima dell’8 dicembre, data di inizio del Giubileo a Roma. «Ma credo che non si potrà fare», ha aggiunto, per tutelare le esigenze della difesa. «Ringrazio Dio che non ci sia Lucrezia Borgia – ha concluso sul punto con una battuta –. Noi continueremo con i cardinali e con le commissioni a pulire».
L’altra domanda su Vatileaks, più capziosa, suonava così: «Dato che lei ha detto che la corruzione è dappertutto, anche in Vaticano, qual è l’importanza della stampa libera e laica nel suo sradicamento, dovunque si trovi?». Francesco ha fatto notare: «La stampa libera, laica e anche confessionale, deve essere professionale. L’importante è che le notizie non vengano manipolate. La denuncia dell’ingiustizia e delle corruzioni è un bel lavoro. Ma la stampa professionale deve dire tutto, senza cadere nei tre peccati più comuni: la disinformazione (dire la metà), la calunnia (quando non c’è professionalità si sporca l’altro) e la diffamazione che è dire cose che tolgono la fama di una persona. Abbiamo bisogno di professionalità. Poi un giornalista che è un vero professionista, se sbaglia chiede scusa». Nessuno ha fatto nomi, ma è chiaro che sullo sfondo della domanda aleggiavano i “fantasmi” di Nuzzi e Fittipaldi, i due giornalisti sotto processo in Vaticano.

L’Africa e l’Aids
Tra i temi africani poteva mancare l’Aids. «Non è forse il tempo di cambiare la posizione della Chiesa circa l’uso dei preservativi per limitare nuove infezioni da Hiv?», chiedono. «La domanda mi sembra troppo piccola e anche parziale – risponde Francesco – Sì, è uno dei metodi. La morale della Chiesa si trova su questo punto davanti a un quesito. È più importante difendere la vita o che il rapporto sessuale sia aperto alla vita? Ma questo non è il problema. Il problema è più grande. Questa domanda mi fa pensare a quella che fecero a Gesù: “Maestro, è lecito guarire di sabato?”. È obbligatorio guarire – ribatte il Papa –. La malnutrizione, lo sfruttamento, il lavoro schiavo, la mancanza di acqua potabile, quelli sono i problemi. Non se si può usare il cerotto per la ferita. La grande ferita è l’ingiustizia sociale e nell’ambiente. E a me non piace scendere nella casistica, quando la gente muore per mancanza di acqua, perché si continua a trafficare le armi e a fare le guerre che sono il maggiore motivo di mortalità. Quando non ci saranno più questi mali, allora si potrà chiedere: “È lecito guarire di sabato?”».

L’Africa vera
Francesco dice di aver sentito «grande dolore», quando è andato nello slum di Kangemi, a Nairobi. Oppure quando domenica ha visitato l’ospedale pediatrico di Bangui dove i bambini muoiono di malaria e malnutrizione e i medici sono impotenti per la mancanza di macchinari e medicine. «In terapia intensiva non hanno gli strumenti per l’ossigeno», ha raccontato. «L’Africa è vittima, sempre è stata sfruttata da altre potenze. È un continente martire dello sfruttamento». E le cause sono lì sotto gli occhi di tutti. «Non ricordo precisamente i numeri, verificateli voi stessi – ha aggiunto il Papa –, ma credo che l’80 per cento della ricchezza del mondo è nelle mani del 17 per cento della popolazione. È un sistema economico dove al centro c’è il dio denaro. Una idolatria. Che si ha quando un uomo perde la carta di identità di essere figlio di Dio e si cerca un dio alla sua misura. Se l’umanità non cambia – ha ammonito –, continueranno le miserie, le tragedie, le guerre, i bambini che muoiono di fame, l’ingiustizia. Cosa pensa questa percentuale che ha in mano l’80 per cento della ricchezza del mondo? Questo non è comunismo, ma la verità».
Francesco ha comunque rivelato che ciò che lo ha colpito di più è stata «la folla, la gioia, quella capacità di far festa con lo stomaco vuoto. Per me l’Africa è stata una sorpresa. Le persone hanno il senso dell’accoglienza molto grande, perché sono felici di essere visitati». Poi ripensando alle tre tappe, ha aggiunto: «Ogni Paese ha la sua identità. Il Kenya è più sviluppato. L’Uganda ha l’identità dei martiri. La Repubblica Centrafricana la voglia di pace, di riconciliazione, di perdono. Fino a poco tempo fa hanno vissuto come fratelli. Adesso si faranno le elezioni. Vogliono la pace. Niente odio».

I prossimi viaggi
«Credo che il prossimo viaggio sarà in Messico, ma non ci sono ancora le date». Il Papa ha confermato che si recherà in pellegrinaggio alla Vergine di Guadalupe e per questo toccherà Città del Messico. Le altre tappe (nel Chapas, a Ciudad Juarez e a Morelia) sono state scelte perché mai toccate dai precedenti viaggi dei Papi nel Paese. «Se un giorno tornerò in Africa? Sono anziano, i viaggi sono pesanti», ha risposto poi, aggiungendo che nel 2017 potrebbe tornare ad Aparecida in Brasile. Per l’Armenia «c’è la promessa di andare, ma non so se sarà possibile».
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Re: El Papa creistian

Messaggioda Berto » lun feb 01, 2016 8:33 pm

Papa Francesco: “Crisi delle vocazioni e monasteri vuoti? Sono disperato”
Il Pontefice nel suo discorso a braccio davanti a sacerdoti e suore per il Giubileo della vita consacrata ha espresso i suoi timori per la riduzione del numero di persone che decidono di indossare l'abito sacro: "C'è un pericolo: che la congregazione che diventa sempre più piccola poi si attacca ai soldi che sono lo sterco del diavolo"
1 febbraio 2016

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02 ... to/2422636


“Crisi delle vocazioni? Sono disperato e il rischio è poi che la congregazione sempre più piccola si attacchi ai soldi, che sono lo sterco del diavolo”. Sono queste le parole usate da Papa Francesco nel suo discorso a braccio durante l’udienza concessa nell’aula Paolo VI in Vaticano ai religiosi, sacerdoti e suore, per il Giubileo della vita consacrata. “Quando chiedo”, ha detto, “quanti seminaristi ci sono in una comunità religiosa maschile o femminile e mi si risponde 4 o 5 oppure 1 o 2 novizie e intanto la comunità invecchia e ci sono monasteri grandi e vuoti, portati avanti da poche suore vecchiette, allora tutto questo mi fa venire una tentazione contro la speranza. Cosa succede? Perché il ventre della vita consacrata diventa tanto sterile?”.

Bergoglio parlando davanti a sacerdoti e suore ha espresso le sue preoccupazioni per la riduzione del numero di persone che scelgono di indossare l’abito sacro. E ha chiesto più impegno per capire le vere vocazioni e aiutarle a crescere: “In alcune congregazioni”, ha continuato, “fanno l’esperimento dell’inseminazione artificiale. Invitano persone, le ricevono e poi lì dentro nascono i problemi. No, si deve ricevere con serietà, discernere bene se c’è una vera vocazione e aiutarla a crescere. Contro questa tentazione di cessata speranza, dobbiamo pregare di più e con intensità, senza stancarci, bussando alla porta del cuore di Dio”.

E a conclusione del suo intervento Papa Francesco ha messo in guardia da quello che secondo lui è il principale dei rischi: “C’è un pericolo: è brutto, ma devo dirlo. Quando una congregazione religiosa vede che non ha figli né nipoti e comincia a essere sempre più piccola, allora si attacca ai soldi, che sono lo sterco del diavolo. Quando non hanno la grazia di nuove vocazioni, si preoccupano per la loro vecchiaia e pensano che i soldi salveranno la loro vita. Ma così non c’è speranza”.


Il Papa: «Preghiamo per le vocazioni»
1 febbraio 2016

http://www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/pa ... rati-.aspx

Tre sono i pilastri della vita consacrata da osservare: "profezia", "prossimità", "speranza". Sono stati ricordati Papa Francesco ai religiosi, sacerdoti e suore, ricevuti in udienza nell'aula Paolo VI in Vaticano per il Giubileo della vita consacrata.

Di cosa ha parlato il Papa nell'incontro con i religiosi?
Nell’aula Paolo VI Papa Francesco ha messo da parte il testo scritto e si è rivolto, parlando a braccio, direttamente ai religiosi per il Giubileo della vita consacrata, citando, tra l'altro, lo spirito di servizio della missionaria incontrata in Africa e ricordata nell'udienza del 2 dicembre 2015 e menzionando l'esempio di santità di Teresa di Gesù.

Dopo il dialogo, l'obbedienza
"Ci sono fra voi uomini e donne che vivono una obbedienza forte, - ha detto il Papa nella udienza ai partecipanti al giubileo della vita consacrata, in cui ha parlato interamente a braccio - non una obbedienza militare, no quello no, quello è disciplina, ma una obbedienza che è donazione del cuore e questo è profezia: se non hai voglia di fare qualcosa, o quell'altra, se non vedi chiaro parlo con superiore, ma dopo il dialogo obbedisco, questo - ha rimarcato Papa Francesco - è la profezia contro il seme dell'anarchia che semina il diavolo. L'anarchia della volontà è figlia del demonio, non di Dio, il figlio di Dio non è stato anarchico, non ha chiamato i suoi a fare una forza di resistenza contro i suoi nemici".

«Obbedienza - ha detto portandosi la mano alla bocca come per spingere qualcosa verso lo stomaco - è fare qualcosa che non ci piace, alle volte come il mio italiano è tanto povero devo parlare il linguaggio dei sordomuti, si deve ingoiare quella obbedienza, ma si fa».

Vita consacrata significa vicinanza e conoscenza delle persone
Francesco ha raccomandato "prossimità": i religiosi sono "uomini e donne consacrate, ma non per allontanarsi dalla gente e avere tutte le comodità, no, per avvicinare e capire la vita dei cristiani e dei non cristiani, le sofferenze, i problemi, le tante cose che soltanto si capiscono se un uomo o una donna consacrata diviene prossimo, nella prossimità".
"Diventare consacrati - ha detto Francesco - non significa salire uno, due, tre scalini nella società. Per i consacrati non è uno status di vita che mi fa guardare gli altri così (dall'alto, ndr): la vita consacrata mi deve portare alla vicinanza con la gente, vicinanza fisica, spirituale, conoscere la gente".

Il pericolo del «terrorismo delle chiacchiere»
Francesco è tornato sull'altro pericolo che attenta alla vita religiosa: il "terrorismo delle chiacchiere". "Sentite bene: chi chiacchiera è un terrorista dentro la propria comunità; butta come una bomba la parola contro gli altri. Chi fa questo distrugge come una bomba e poi si allontana", ha scandito prima di citare in proposito l'apostolo Giacomo che diceva: "forse è la virtù più difficile da avere per un uomo, limitare la lingua". "Le chiacchiere non servono: c'è la tentazione di non dire le cose in capitolo, ma fuori si parla male della priora o del superiore".

Il calo delle vocazioni
Continuando il discorso a braccio il Papa si è rammaricato per il calo delle vocazioni, sottolineando: «A me costa tanto quando vedo il calo delle vocazioni. Molti monasteri sono portati avanti da suore vecchiette e a me questo mi fa venire una tentazione contro la speranza». «Ma Signore cosa succede? Perché il ventre della vita consacrata diventa tanto sterile?».
"Alcune congregazioni - ha osservato il Papa - fanno l'esperimento delle inseminazioni artificiali. Ricevono chiunque e poi escono i problemi". "No, non è questa la strada", ha spiegato.
"Si deve ricevere con serietà e discernere bene per aiutare a crescere le vere vocazioni e contro la tentazione di disperazione che ci dà questa sterilità dobbiamo pregare di più e senza stancarci", ha continuato Francesco, confidando: "a me fa tanto bene leggere quel brano della Scrittura dove Anna, mamma di Samuele, pregava per avere un figlio. E il vecchio sacerdote che non vedeva bene pensava fosse ubriaca perché parlava da sola".
Allora, io domando a voi: il vostro cuore, davanti al calo delle vocazioni, prega? Il Signore che è stato tanto generoso non mancherà la sua promessa ma dobbiamo chiedere, dobbiamo bussare alla porta del suo cuore".
"Quando vai in un cimitero - ha poi concluso - e vedi che ci sono tanti missionari morti a 40 anni per via delle malattie di quei paesi tu dici questi sono santi, sono semi. Il Signore deve scendere in questi cimiteri per vedere cosa hanno fatto i nostri antenati affinché ci dia vocazioni perché ce n'è bisogno". ???
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Re: El Papa creistian

Messaggioda Berto » mer feb 17, 2016 5:21 pm

Francesco: «Il mio abbraccio ai fratelli ortodossi»
Bergoglio alla vigilia del faccia a faccia con il patriarca di Mosca Kirill previsto per il 12 febbraio a Cuba: «I ponti durano e aiutano la pace, i muri no: sono destinati a cadere»
di Massimo Franco

«Sono felicissimo». Quando si chiede a Francesco di commentare la riconciliazione tra Chiesa cattolica e ortodossa dopo quasi mille anni di scisma, la risposta è affidata a un superlativo che esprime soprattutto gioia. D’altronde, la strategia con la quale il Papa ha guidato e seguito le trattative è stata altrettanto disarmante, nella sua semplicità. «Io ho lasciato fare. Ho solo detto che volevo incontrare e riabbracciare i miei fratelli ortodossi. Tutto qui. Sono stati due anni di trattative di nascosto, ben condotte da vescovi bravi. Per gli ortodossi se n’è occupato Hilarion, che oltre a essere bravo è anche un artista, un musicista. Hanno fatto tutto loro». Alla vigilia del faccia a faccia storico che avverrà il 12 febbraio a Cuba con il Patriarca russo Kirill, nella quiete pomeridiana di Casa Santa Marta, in un incontro all’insegna dell’informalità, Jorge Mario Bergoglio appare soddisfatto, soprattutto perché ritiene di avere costruito un altro ponte.

Da mesi si intuiva che l’ultima pietra stava per essere posata. Alla fine di giugno scorso, sul Corriere della Sera , proprio il teologo Hilarion, «ministro degli Esteri» del Patriarcato di Mosca, aveva detto che quell’incontro storico «era in agenda». Aveva parlato di «prospettiva vicina». E espresso la speranza che «non si incontrino un futuro Papa e un futuro Patriarca, ma questi due». A fine anno le voci si erano infittite. Si parlava di un’insistenza del Patriarcato ad accelerare la tappa finale, condivisa peraltro dalla Santa Sede. Si è cominciato a ipotizzare uno «scalo tecnico» a Cuba per la visita papale in Messico. Il 23 gennaio scorso il cardinale tedesco Kurt Koch, che in Vaticano presiede il consiglio per l’unità dei cristiani, aveva detto che «il semaforo non è più rosso ma giallo». E il comandante della Gendarmeria vaticana, Domenico Giani, reduce da un sopralluogo in Messico, a Ciudad Juarez, la città di immigrazione al confine con gli Stati Uniti, dove il Papa celebrerà la Messa e che era nella sua traiettoria mentale fin dall’inizio, ha aggiunto che un «cambio di itinerario» a sorpresa non era da escludersi.

Il «semaforo» è diventato verde nello spazio di neanche due settimane. Di colpo, un ponte crollato da mille anni si è materializzato, pronto per essere attraversato. Una riconciliazione del cristianesimo europeo, ma fuori dai confini europei: quasi a testimoniare che il baricentro della Chiesa oggi è altrove. A quanti lo incontrano a Casa Santa Marta, il Papa lo ripete con una miscela di speranza e di lucida preoccupazione. «Ponti: quelli bisogna costruire. Passo dopo passo, fino ad arrivare a stringere la mano a chi sta dall’altra parte. I ponti durano, e aiutano la pace. I muri no: quelli sembrano difenderci, e invece separano soltanto. Per questo vanno abbattuti, non costruiti. Tanto sono destinati a cadere, uno dopo l’altro. Pensiamo a quello di Berlino. Sembrava eterno, e invece: puff, in un giorno è caduto giù». Il «ponte» ricostruito con l’ortodossia è frutto di questa paziente strategia del dialogo; di rispetto per interlocutori che il Papa valuta soprattutto come persone. Francesco sa bene che «la Russia ha sangue imperiale», dai tempi della zarina Caterina. E, come la Cina, anche «la Russia può dare molto». In questa fase, ripete il Papa alle persone che gli sono vicine, «non possiamo dire di essere circondati da un mondo in pace. Dovunque ci voltiamo ci sono conflitti. Io ho parlato di terza guerra mondiale a pezzi. In realtà non è a pezzi: è proprio una guerra. Le guerre come si fanno? Agendo sull’economia, col traffico delle armi, e facendo la guerra contro la nostra casa comune, che è la natura. I trafficanti stanno facendo molti soldi, comprando armi da un Paese che gliele dà per colpirne un altro, suo nemico. E si sa quali sono». Per lui, la questione ecologica è un pezzo fondamentale di quella che si può definire sicurezza globale. «Tagliare gli alberi significa desertificare interi territori. Per questo, in Paesi come lo Zambia hanno cominciato a ripiantarli, a riforestare le zone per evitare l’impoverimento della terra. E bisogna stare attenti alle monoculture. Se si producono sempre le stesse cose, senza alternare le coltivazioni, presto il terreno diventa morto».

«L’Occidente deve fare autocritica sulle primavere arabe». Non perdere nessuna occasione per costruire ponti e evitare qualunque tipo di guerra è un punto fermo, per il Pontefice. L’intervento militare dell’Occidente in Nord Africa e le cosiddette «primavere arabe» sono stati un azzardo che ora si paga a caro prezzo. «Sulle primavere arabe e l’Iraq si poteva immaginare prima quello che poteva succedere. E in parte c’è stata una convergenza di analisi tra la Santa Sede e la Russia. In parte, è bene che non esageriamo perché la Russia ha i suoi interessi». Ma il Papa invita sempre a pensare «alla Libia prima e dopo l’intervento militare: prima di Gheddafi ce n’era uno solo, ora ce ne sono cinquanta. L’Occidente deve fare autocritica». Non si può non pensare con una punta di apprensione a quanto può accadere se Usa e Europa riterranno di dovere attaccare di nuovo il territorio libico, lacerato tra tribalismo e terrorismo islamico. Sa bene che quanto accade al di là del Mare Mediterraneo è una tragedia.

«L’Europa alla fine sorriderà ai migranti». Agli interlocutori che gli parlano delle migrazioni epocali in atto e dell’allarme che suscitano in Europa, Bergoglio replica ricordando il suo primo viaggio del luglio 2013 nell’isola siciliana di Lampedusa, luogo-simbolo della tragedia dei profughi. Allora gettò una corona di fiori in mare: un omaggio a tutte le persone morte annegate attraversando il Mediterraneo su barconi e gommoni sovraffollati. «Quando andai a Lampedusa, il problema dell’immigrazione era appena agli inizi. E adesso è esploso», ripete sempre, come a dire che la vista lunga della Chiesa non è stata compresa in tempo; e l’Europa si trova a gestire un problema aggravato dalla mancanza di visione e di strategia. È «una sfida da affrontare con intelligenza, naturalmente, perché dietro c’è il problema enorme e terribile del terrorismo». Lo sguardo del Papa verso il Vecchio Continente, tuttavia, non è pessimista. Raccontano che stia preparando il discorso che pronuncerà in occasione del Premio Carlo Magno per la pace e l’integrazione, conferitogli dalla giuria di Aquisgrana, in Germania. E sarà «un discorso di grande affetto». Colpì molto quanto disse nella fugace visita al Parlamento di Strasburgo, nel novembre del 2014: un’occasione nella quale le sue parole accorate, in alcuni passaggi perfino dure sull’Europa, crearono un’eco immensa. In quell’occasione disse che «un’Europa che sia in grado di fare tesoro delle proprie radici religiose, sapendone cogliere la ricchezza e le potenzialità» potrà essere anche «più facilmente immune dai tanti estremismi che dilagano nel mondo odierno, anche per il grande vuoto ideale a cui assistiamo nel cosiddetto Occidente». Il «cosiddetto» Occidente: già l’aggettivo scelto era significativo. Ma andò oltre. Rivolto agli europarlamentari, non esitò a evocare «un’Europa nonna e non più fertile e vivace. Per cui i grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva, in favore dei tecnicismi burocratici delle sue istituzioni». Poche ore dopo il Papa ricevette una telefonata. «Mi chiamò la cancelliera tedesca Angela Merkel», ama raccontare Francesco. «Era un po’ arrabbiata perché avevo paragonato l’Europa a una donna sterile, incapace di fare figli. Mi chiese se davvero pensavo che l’Europa non poteva fare più figli. Io le risposi che sì, l’Europa ne può fare ancora, e tanti, perché ha radici solide e profonde. Perché ha una storia unica. Perché ha avuto e può avere ancora un ruolo fondamentale: pensiamo solo alla cultura e alle tradizioni che incarna. E perché nei momenti più bui ha sempre dimostrato di avere risorse non sospette».

Ma negli incontri a Casa Santa Marta insiste con i suoi interlocutori che «l’Europa deve e può cambiare. Deve e può riformarsi. Se non è in grado di aiutare economicamente i Paesi da cui provengono i profughi, deve porsi il problema di come affrontare questa grande sfida che è in primo luogo umanitaria, ma non solo. Si è rotto un sistema educativo: quello che trasmetteva i valori dai nonni ai nipoti, dai genitori ai figli. Ebbene, occorre porsi il problema di come ricostruirlo». Spesso, Bergoglio usa una metafora biblica. Paragona il Vecchio Continente a Sara, la moglie di Abramo. Sara è sterile e quando ormai ha più di settant’anni, secondo gli usi di quei tempi remoti dà in moglie la sua schiava al marito perché partorisca per lei un figlio. Poi, però, miracolosamente, riesce ad averne uno a novant’anni. «L’Europa», ama ripetere Francesco, «è come Sara, che prima si spaventa ma poi sorride di nascosto». La sua speranza, riferisce chi gli ha parlato, è che l’Europa «sorrida di nascosto» agli immigrati. La forza le può venire dalla memoria dei «grandi personaggi dimenticati» della sua storia recente. Francesco è un ammiratore dei protagonisti della rinascita europea dopo la Seconda guerra mondiale. Cita il cancelliere tedesco Konrad Adenauer, il ministro degli Esteri della Francia, Robert Schuman, l’italiano Alcide De Gasperi. Ma intravede «grandi dimenticati» anche nella cronaca dei nostri giorni. «Ad esempio la donna-sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini», per il modo in cui si è spesa a favore dei profughi. Ed è solito citare «tra i grandi dell’Italia di oggi» sia il capo dello Stato emerito, Giorgio Napolitano, che l’ex ministro Emma Bonino. «Quando Napolitano ha accettato per la seconda volta, a quell’età, e sebbene per un periodo limitato, di assumersi un incarico di quel peso, l’ho chiamato e gli ho detto che era un gesto di “eroicità” patriottica». Quanto alla Bonino, a interlocutori che strabuzzano gli occhi sentendo citare l’esponente radicale, sostiene che «è la persona che conosce meglio l’Africa. E ha offerto il miglior servizio all’Italia per conoscere l’Africa. Mi dicono: è gente che la pensa in modo molto diverso da noi. Vero, ma pazienza. Bisogna guardare alle persone, a quello che fanno».

Un messaggio al presidente cinese Xi Jinping? I n fondo, la sua idea del poliedro come figura geometrica che meglio rispecchia la frammentazione di questa fase storica, e l’esigenza di trovare un punto di equilibrio, di unità e convivenza tra disuguali, nascono da questo approccio inclusivo: lo stesso che gli sta permettendo di rimuovere i detriti lasciati dalla Guerra fredda, e di tentare di contribuire alla costruzione di un nuovo ordine mondiale. La mediazione tra Usa e Cuba. Il viaggio negli Stati Uniti. L’apertura del Giubileo in Africa. Adesso il Messico e la riconciliazione con il mondo ortodosso. Sono tutte tappe di una «strategia dei ponti» alla quale questo Papa argentino e australe, espressione di un «Occidente alternativo», non mette limiti: neanche quelli dell’Impero di Mezzo cinese. La sua intervista a Asia News sulla Cina ha fatto il giro del mondo. E si parla di un messaggio rivolto nelle prossime ore allo stesso presidente della Repubblica popolare, Xi Jinping: un’altra pietra posata sul ponte col quale Francesco spera di attraversare, prima o poi, anche la Grande Muraglia.
8 febbraio 2016
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Re: El Papa creistian

Messaggioda Berto » sab feb 20, 2016 4:04 pm

Migranti, il Papa a Trump: “Chi vuole solo muri non è cristiano”
L’intervista a tutto campo sul volo di ritorno dal Messico. Le unioni civili: «Il Papa non si immischia nella politica italiana. Un parlamentare cattolico deve votare secondo la propria coscienza ben formata». Il virus Zika: «L’aborto non è un male minore, è un crimine, è da far fuori come fa la mafia». Il prete pedofilo «”mangia” il bambino e con un sacrificio diabolico lo distrugge». Anche il Papa «ha bisogno dell’amicizia e del pensiero delle donne». «Serve una “rifondazione” dell’Europa. Il mio sogno? Andare in Cina»
andrea tornielli
Inviato sul volo Ciudad Juarez-Roma

https://www.lastampa.it/2016/02/18/vati ... agina.html

Nella giornata che si è conclusa con la messa e la preghiera silenziosa davanti al confine con gli Stati Uniti sul quale migliaia di migranti provenienti dal Messico e dal Sudamerica hanno trovato la morte, Papa Francesco dialogando con i giornalisti ha risposto a una domanda sulle ultime dichiarazioni di Donald Trump. E pur concedendo al controverso politico repubblicano il beneficio del dubbio, Francesco ha detto papale papale che non può essere cristiano chi pensa solo a costruire muri invece di gettare ponti. Parole riferite alla situazione americana, ma applicabili anche a chi in Europa evoca o già costruisce muri e barriere per bloccare i migranti. Francesco per 45 minuti ha risposto a tutte le domande dei cronisti che viaggiavano con lui. Ecco la trascrizione dell’intervista.

Santo Padre, in Messico ci sono migliaia di persone scomparse, e il caso dei 43 studenti di Ayotzinapa è emblematico. Vorrei chiedere: perché non ha ricevuto i loro familiari?

«Nei miei messaggi ho fatto continui riferimenti agli assassinati, alle morti e alla vita comprata da tutte queste bande di narcotrafficanti e di trafficanti di persone, dunque di questo problema ho parlato, ho parlato delle piaghe che sta soffrendo il Messico. C’erano molti gruppi, anche contrapposti tra loro, con lotte interne, che volevano essere ricevuti e allora ho preferito dire che alla messa di Ciudad Juarez li avrei visti tutti, o se preferivano in una delle altre messe, che c’era questa disponibilità. Era praticamente impossibile ricevere tutti questi gruppi, che d’altra parte si affrontavano tra di loro, in una situazione difficile da comprendere per me che sono straniero. Ma credo che sia la società messicana a essere vittima di tutto questo, dei crimini, dello scarto delle persone: è un dolore tanto grande, questo popolo non si merita un dolore così».

Il tema della pedofilia, come ben sa il Messico, ha radici molto dolorose. Il caso di padre Maciel ha lasciato eredità pesanti, soprattutto con le vittime. Le vittime si sentono non protette. Che pensa di questo tema? Ha pensato di riunirsi con le vittime? E quando i sacerdoti vengono coinvolti in casi di questo tipo ciò che si fa è di cambiare loro parrocchia, niente di più...

«Innanzitutto, un vescovo che cambia di parrocchia un prete che ha commesso abusi sui minori è un incosciente, è meglio che rinunci. Chiaro! Nel caso Maciel bisogna fare un omaggio a colui che ha si è opposto a tutto questo, Ratzinger, il cardinale Ratzinger, un uomo che ha presentato tutta la documentazione sul caso Maciel e come Prefetto ha fatto l’indagine, ha raccolto tutta la documentazione e poi non ha potuto andare oltre nella sua messa in pratica. Ma se vi ricordate, dieci giorni prima della morte di san Giovanni Paolo II, durante la Via Crucis, Ratzinger disse a tutta la Chiesa che bisognava pulire la sporcizia della Chiesa. E nella messa “Pro eligendo Pontifice” pur sapendo che era candidato - ma non tonto - non gli è importato di fare operazioni di maquillage sulla sua posizione, disse esattamente lo stesso. Oggi stiamo lavorando abbastanza, con il cardinale Segretario di Stato e con il C9. Ho deciso di nominare un altro segretario aggiunto della Congregazione per la dottrina della fede perché si occupi solo di questi casi. Si è costituito un tribunale d’appello presieduto da monsignor Scicluna. I casi continuano. Poi c’è la commissione per la tutela dei minori, che si occupa di protezione: mi sono riunito una mattina intera con i sei membri, già vittime di abusi. E a Philadelphia mi sono incontrato con le vittime. Rendo grazie a Dio perché questa pentola è stata scoperchiata, bisogna continuare scoperchiandola ancora. Gli abusi sono una mostruosità, perché un sacerdote è consacrato per portare un bimbo a Dio e invece se lo “mangia” e con un sacrificio diabolico lo distrugge».

Lei ha parlato molto dei problemi degli immigrati, dall’altra parte della frontiera, negli Usa c’è una campagna abbastanza dura su questo. Il candidato repubblicano Donald Trump ha detto in un’intervista che lei è un “uomo politico” e una “pedina” del governo messicano per le politiche migratorie. Trump ha detto di voler costruire 2.500 chilometri di muro e di voler deportare 11 milioni di immigrati illegali. Che cosa pensa? Un cattolico americano può votarlo?

«Grazie a Dio ha detto che io sono politico, perché Aristotele definisce la persona umana come “animale politico”, e questo significa che almeno io sono una persona umana. Io una pedina? Mah, lo lascio al vostro giudizio e al giudizio della gente. Una persona che pensa solo a fare muri e non ponti, non è cristiana. Questo non è nel Vangelo. Votarlo o non votarlo? Non mi immischio, soltanto dico che quest’uomo non è cristiano, se veramente ha parlato così e ha detto quelle cose».

L’incontro con Kirill e la firma della dichiarazione comune ha provocato reazioni dei greco cattolici dell’Ucraina: hanno detto di sentirsi traditi e parlano di un documento politico, di appoggio alla politica russa. Lei pensa di andare a Mosca o a Creta per il sinodo pan-ortodosso?

«Io sarò presente, spiritualmente, a Creta con un messaggio. Mi piacerebbe andarci ma bisogna rispettare il sinodo. Ci saranno degli osservatori cattolici e dietro di loro ci sarò io, pregando con i migliori auguri che gli ortodossi possano andare avanti. I loro vescovi sono vescovi come noi. Con Kirill, mio fratello, ci siamo abbracciati e baciati e poi abbiamo avuto un colloquio di due ore, dove abbiamo parlato come fratelli sinceramente: nessuno sa di che cosa abbiamo parlato. Sulla dichiarazione degli ucraini: quando l’ho letta, mi sono un po’ preoccupato perché l’ha fatta l’arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyc degli Ucraini Sviatoslav Schevchuk. È lui che ha detto che il popolo si sente profondamente deluso e tradito. Io conosco bene Sviatoslav, a Buenos Aires per quattro anni abbiamo lavorato insieme. Quando, a 42 anni è stato eletto arcivescovo maggiore, è venuto a salutarmi e mi ha regalato un’icona della Madonna della tenerezza dicendo: mi ha accompagnato tutta la vita, voglio lasciarla a te che mi hai accompagnato in questi quattro anni. Io ce l’ho a Roma, tra le poche cose che ho portato da Buenos Aires. Ho rispetto per lui, ci diamo del tu, mi è sembrata un po’ strana la sua dichiarazione. Ma per capire una notizia o una dichiarazione bisogna cercare l’ermeneutica complessiva. Ora quella dichiarazione di Schevchuk è nell’ultimo paragrafo di una lunga intervista. Lui si dichiara figlio della Chiesa, in comunione col vescovo di Roma, parla del Papa e della sua vicinanza col il Papa. Sulla parte dogmatica, nessuna difficoltà, è ortodossa nel buon senso della parola, cioè è dottrina cattolica. Poi ognuno ha il diritto di esprimere le sue opinioni, sono sue idee personali. Tutto quello che ha detto è sul documento, non sull’incontro con Kirill. Il documento è discutibile, e anche c’è da aggiungere che l’Ucraina è in un momento di guerra, di sofferenza: tante volte ho manifestato la mia vicinanza al popolo ucraino. Si capisce che un popolo in quella situazione senta questo, il documento è opinabile su questa questione dell’Ucraina, ma in quella parte della dichiarazione si chiede di fermare questa guerra, che si facciano degli accordi. Io personalmente ho auspicato che gli accordi di Minsk vadano avanti e che non si cancelli col gomito quello che hanno scritto con le mani. Ho ricevuto ambedue i presidenti e per questo quando Schevchuk dice che ha sentito questo dal suo popolo, io lo capisco. Non bisogna spaventarsi per quella frase. Una notizia la si deve interpretare con l’ermeneutica del tutto, non della parte».

Il patriarca Kirill l’ha invitata a Mosca?

«Il patriarca Kirill mi ha invitato? Io preferisco fermarmi solo a quello che abbiamo detto in pubblico. Il colloquio privato è privato ma posso dirle che io sono uscito felice, e anche lui lo era».

Lei in questi giorni ha parlato di famiglia: in Italia si dibatte sulle unioni civili. Che cosa pensa delle adozioni e in particolare dei diritti dei figli?

«Prima di tutto io non so come stanno le cose nel Parlamento italiano, il Papa non s’immischia nella politica italiana. Nella prima riunione che ho avuto con i vescovi nel maggio 2013 ho detto loro: col Governo italiano arrangiatevi voi. Il Papa non si mette nella politica concreta di un Paese. L’Italia non è il primo paese che fa questa esperienza. Quanto al mio pensiero, io penso quello che la Chiesa sempre ha detto su questo tema».

Da qualche settimana c’è molta preoccupazione per il virus Zika, con il rischio per le donne in gravidanza. Alcune autorità hanno proposto l’aborto e la contraccezione per evitare le gravidanze. La Chiesa può prendere in considerazione in questo caso il male minore?

«L’aborto non è un male minore, è un crimine, è far fuori, è quello che fa la mafia. Per quanto riguarda il male minore, quello di evitare la gravidanza, si tratta di un conflitto fra il quinto e il sesto comandamento. Il grande Paolo VI, in Africa aveva permesso alle suore di usar gli anticoncezionali in una situazione difficile. Ma non bisogna confondere l’evitare la gravidanza con l’aborto, che non è un problema teologico, ma è un problema umano, medico, si uccide una persona, contro il giuramento di Ippocrate. Si assassina una persona per salvarne un’altra, nel migliore dei casi. È un male umano, come ogni uccisione. Invece evitare una gravidanza non è un male assoluto, e in certi casi, come in quello che ho citato del beato Paolo VI, questo è chiaro. Io esorterei i medici perché facciano di tutto per trovare i vaccini contro queste zanzare che portano questo male».

Lei riceverà il premio Carlo Magno, tra i più prestigiosi della Comunità europea. Anche Giovanni Paolo II teneva molto a questo premio e all’unità dell’Europa che sembra stia andando un po’ in pezzi. Lei ha una parola per noi europei che viviamo questa crisi?

«Per quanto riguarda il premio: io avevo l’idea di non accettare onorificenze o dottorati, non per umiltà, ma perché non mi piacciono queste cose. Però in questo caso sono stato convinto dalla santa e teologica testardaggine del cardinale Kasper che è stato scelto per convincermi. Ho detto sì, ma a riceverlo in Vaticano e lo offro per l’Europa: che sia un premio perché l’Europa possa fare quello che io ho indicato a Strasburgo, per far sì che l’Europa non sia nonna ma sia madre. L’altro giorno, mentre sfogliavo un giornale, ho letto una parola che mi è piaciuta, la “rifondazione” dell’Europa e ho pensato ai grandi padri. Oggi dove c’è un Schumann, un Adenauer, questi grandi che nel dopoguerra hanno fondato l’Unione Europea? Mi piace questa idea della rifondazione, magari si potesse fare, perché l’Europa ha una storia, una cultura che non si può sprecare e dobbiamo fare di tutto perché la Ue abbia la forza e anche l’ispirazione di andare avanti».

Lei ha parlato molto delle famiglie nell’anno santo della misericordia, ma come essere misericordiosi con i divorziati risposati? Si ha l’impressione che sia più facile perdonare un assassino che un divorziato che si risposa...

«Sulla famiglia hanno parlato due sinodi e il Papa ha parlato tutto l’anno nelle catechesi del mercoledì. La sua domanda è vera, mi piace. Nel documento post-sinodale che uscirà forse prima di Pasqua si riprende tutto quello che il sinodo ha detto: in uno dei capitoli ha parlato dei conflitti, delle famiglie ferite. La pastorale delle famiglie ferite è una delle preoccupazioni, come pure una preoccupazione è la preparazione al matrimonio. Per diventare prete ci vogliono otto anni, e poi se non ce la fai, chiedi la dispensa. Invece per un sacramento che dura tutta la vita, solo quattro incontri. La preparazione al matrimonio è molto importante. La Chiesa, almeno nella pastorale comune in Sudamerica, non ha valutato tanto questo. Alcuni anni fa nella mia patria c’era l’abitudine a sposarsi di fretta quando c’era un bambino in arrivo e così coprire socialmente l’onore della famiglia. Lì non erano liberi e tante volte questi matrimoni sono nulli. Come vescovo ho proibito ai sacerdoti di fare questo: che venga il bambino, che i due continuino da fidanzati e quando si sentono di impegnarsi per tutta la vita, che si sposino. Poi ricordiamo che le vittime dei problemi della famiglia sono i figli: ma sono anche vittime che i genitori non vogliono, quando papà o mamma non hanno tempo di stare con i loro figli. Quando io confesso uno sposo o una sposa, domando “quanti figli ha”? Si spaventano un po’, forse perché pensano che i figli dovrebbero essere di più, e allora io domando: lei gioca con i suoi figli? Tante volte dicono: non ho mai tempo! Interessante che nell’incontro con le famiglie a Tuxtla Gutierrez, ci fosse una coppia di risposati in seconda unione, bene integrati nella pastorale della Chiesa. La parola chiave che usò il Sinodo, e io riprenderò nell’esortazione, è “integrare” nella vita delle Chiesa le famiglie ferite. E non dimenticare i bambini, sono le prime vittime».

Significa che i divorziati risposati potranno fare la comunione?

«Integrare non significa dare la comunione. Io conosco cattolici risposati che vanno in chiesa due volte l’anno e vogliono fare la comunione, come se fosse un’onorificenza. Lavoro di integrazione, tutte le porte sono aperte, ma non si può dire che possono fare la comunione, perché questo sarebbe una ferita per i matrimoni e non farà fare loro quel cammino di integrazione. Questa coppia di divorziati risposati era felice. Hanno usato un’espressione molto bella: noi non ci comunichiamo con l’eucaristia, ma sì, siamo in comunione quando visitiamo gli ospedali e condividiamo cose. La loro integrazione è questa. Se poi ci sarà qualcosa di più lo dirà il Signore. È una strada, un cammino».

Numerosi media hanno evocato e fatto clamore sull’intensa corrispondenza fra Giovanni Paolo II e la filosofa Anna Teresa Tymieniecka. Un Papa può avere un’intensa corrispondenza con una donna? E lei ne ha?

«Questo rapporto di amicizia tra san Giovanni Paolo II e Teresa Tymieniecka lo conoscevo. Un uomo che non sa avere un buon rapporto di amicizia con una donna - non parlo dei misogini che sono malati - è un uomo a cui manca qualcosa, e io per mia esperienza, quando chiedo consiglio a un collaboratore amico, anche mi interessa sentire il parere di una donna: loro ti danno tanta ricchezza, guardano le cose in un altro modo. A me piace dire che la donna è quella che costruisce la vita nel grembi e ha questo carisma di darti cose per costruire. Un’amicizia con una donna non è peccato. Un rapporto amoroso con una donna che non sia tua moglie è peccato! Il Papa è un uomo, e ha bisogno anche del pensiero delle donne. Anche il Papa ha un cuore che può avere un’amicizia santa e sana con una donna. Ci sono stati santi come Francesco e Chiara... Non spaventarsi! Però le donne ancora non sono ben considerate nella Chiesa, non abbiamo ancora capito il bene che possono fare alla vita di un prete, alla vita della Chiesa, con un consiglio, un aiuto, una sana amicizia».

Torno sull’argomento della legge sulle unioni civili che sta per essere votata al Parlamento italiano. C’è un documento della Congregazione per la dottrina della fede del 2003 dove si afferma che i parlamentari cattolici non devono votare queste leggi. Qual è il comportamento per un parlamentare cattolico in questi casi?

«Non ricordo bene quel documento, ma un parlamentare cattolico deve votare secondo la propria coscienza ben formata, questo direi, soltanto questo, è sufficiente, e parlo di coscienza ben formata, cioè non quello che mi sembra o che mi pare. Ricordo quando fu votato il matrimonio fra persone dello stesso sesso a Buenos Aires, io stavo lì, i voti erano pari allora un parlamentare ha consigliato all’altro: “Tu ci vedi chiaro?”. “No”. “Neanch’io, pero così perdiamo. Se non andiamo a votare non si raggiunge il quorum, ma se raggiungiamo il quorum diamo il voto a Kirchner. Preferisco darlo a Kirchner e non a Bergoglio, e andiamo!”. Questa non è una coscienza ben formata».

Dopo l’incontro con il Patriarca di Mosca il Cairo, c’è un altro disgelo all’orizzonte, ci sarà l’udienza con l’imam di Al Azhar?

«La scorsa settimana monsignor Ayuso, segretario del cardinale Tauran, è andato a incontrare il vice dell’imam. Io voglio incontralo, so che a lui piacerebbe, stiamo cercando il punto, sempre tramite il cardinale Tauran».

Dopo questo viaggio messicano, che viaggi farà, quali viaggi sogna?

«Rispondo: la Cina, andare là, mi piacerebbe tanto! Vorrei anche dire una cosa giusta sul popolo messicano: è un popolo che rappresenta una ricchezza tanto grande, un popolo che sorprende, ha una cultura millenaria. Voi sapete che oggi in Messico si parlano 65 lingue, è un popolo di una grande fede ma che anche ha sofferto persecuzioni religiose, ci sono martiri, adesso ne canonizzerò due. Un popolo non lo si può spiegare, non è una categoria logica, è una categoria mitica, non si può spiegare questa ricchezza, questa gioia, questa capacità di far festa nonostante le tragedie che vive. Questa unità, un popolo che è riuscito a non fallire, a non finire, con tante cose che accadono: a Ciudad Juarez c’era un patto per il cessate il fuoco, dodici ore per la mia visita, poi riprenderanno. Questo popolo solo si spiega con Guadalupe e io vi invito a studiare seriamente il fatto Guadalupe, la Madonna è lì, io non trovo altra spiegazione».

Che cosa ha chiesto alla Madonna di Guadalupe? Lei sogna in lingua italiana o in spagnolo?

«Sogno in esperanto! Alcune volte sì, ricordo un sogno in altra lingua, ma sognare in lingue no, sogno piuttosto immagini. Ho chiesto alla Guadalupana per prima cosa la pace, quella poverina deve aver finito con la testa così... Ho chiesto perdono, ho chiesto che la Chiesa cresca sana, ho pregato per il popolo messicano. Ho chiesto tanto che i preti siano veri preti, e le suore vere suore, i vescovi veri vescovi. Ma le cose che un figlio dice alla mamma sono un segreto».

Qui la conferenza stampa integrale del Papa sul volo di ritorno dal Messico
http://press.vatican.va/content/salasta ... 00288.html



Cari amici,
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come è possibile che Papa Francesco mentre sulla legge in discussione nel Parlamento, che contempla temi vitali sul piano morale e sociale, quali il matrimonio omosessuale, le adozioni dei bambini da parte delle coppie omosessuali e l'utero in affitto, dice che "non si immischia nella politica italiana" perché "il Papa è per tutti e non può mettersi in politica, concreta interna di un paese", contemporaneamente interferisce pesantemente nella politica interna degli Stati Uniti, in piena campagna elettorale, scomunicando il principale candidato repubblicano, Donald Trump, che ha promesso di costruire un muro di 2.500 chilometri alla frontiera con il Messico per bloccare l'invasione di clandestini, sostenendo che "una persona che pensa di fare i muri, chiunque sia, e non fare ponti, non è cristiano"?

Cari amici, come è possibile che questo sia il Papa del "chi sono io per giudicare", quando si tratta di denunciare l'ideologia dell'omosessualismo, e contemporaneamente è il Papa dell'interventismo senza riguardi nei confronti di nessuno quando si tratta di sostenere l'ideologia dell'immigrazionismo?

Cari amici, per quanto mi riguarda, io la penso in modo esattamente opposto a quello di Papa Francesco. Sono decisamente contrario alla legge che prende il nome dalla senatrice del PD Cirinnà, mentre sono decisamente a favore del blocco dell'invasione di clandestini, anche con la costruzione di muri in assenza di barriere naturali, come ha ipotizzato Trump e come stanno facendo tanti stati democratici in Europa e altrove nel mondo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: El Papa creistian

Messaggioda Berto » gio mar 03, 2016 1:14 pm

Semo tornà al marcà de łe endoulgense

Indulgenza per chi soccorre i clandestini

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Buongiorno amici. L'ultima di Papa Francesco è l'indulgenza per chi soccorre i clandestini. Ieri nell'udienza generale ha detto: “Cercate la giustizia, soccorrete l'oppresso: rendete giustizia all'orfano, difendete la causa della vedova, pensate ai tanti profughi che sbarcano in Europa e non sanno dove andare”, ricordando che se si compiono le opere di misericordia, tra cui il soccorso ai profughi, “i peccati diventeranno bianchi come la neve”. "Questo è il miracolo della misericordia di Dio. E i nostri peccati diventeranno bianchi come la neve, e candidi come la lana, e i popoli potranno vivere nella pace”.

Sempre Papa Francesco si è scagliato contro i "soldi sporchi": “Se viene qualche benefattore con "offerta frutto del sangue di gente sfruttata, maltratta, schiavizzata, con il lavoro mal pagato, io dirò a questa gente, per favore portati indietro il tuo assegno, brucialo”.

Cari amici, se oggi la Chiesa concede l'indulgenza, rimettendo i peccati, a chi accoglie un clandestino, dovremmo ricordare al Papa che, dal momento che in Italia l'accoglienza la si fa con i soldi degli italiani, l'indulgenza andrebbe concessa a tutti i contribuenti italiani che finanziano fin troppo generosamente le centinaia di migliaia di clandestini che ci siamo imposti di accogliere, nonostante ci siano 12 milioni di italiani poveri che dovrebbero essere aiutati prima dei clandestini.

Inoltre, se proprio si dovessero condannare coloro che fanno la beneficenza con i soldi altrui, frutto dello sfruttamento di una maggioranza di italiani costretti alla sofferenza vessati dal più alto livello di tassazione al mondo, ebbene si dovrebbero condannare la miriade di associazioni, fondazioni, cooperative catto-comuniste che stanno lucrando con un giro d'affari miliardario legato all'accoglienza dei clandestini.

Cari amici, denunciamo e ribelliamoci alla dittatura dell'immigrazionismo che ci obbliga a anteporre l'interesse dei clandestini rispetto al legittimo e inalienabile diritto degli italiani di beneficiare in via primaria delle risorse e dei servizi che sono il frutto del loro lavoro e l'eredità di generazioni che hanno forgiato la nostra civiltà. Diciamo basta a questa mistificazione della realtà che contrasta con il bene comune. La prospettiva a cui tendere è impegnarci affinché ciascuno possa vivere dignitosamente a casa propria, non lo sradicamento di milioni di giovani africani, guarda caso quasi tutti musulmani, e l'auto-invasione di quest'Europa votata al suicidio della civiltà laico-liberale e di questa Chiesa votata all'eutanasia della cristianità.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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