Perché i tedeschi se la sono presa così tanto con gli ebrei?

Re: Parké i todeski łi se ła ga ciapà tanto co łi ebrei?

Messaggioda Berto » dom apr 24, 2016 7:19 am

Mi sapete dire che influenza politica hanno avuto gli ebrei americani, europei e tedeschi nella sconfitta militare della Germania nella prima guerra mondiale e nel periodo successivo alla sconfitta e durante la ricostruzione della Germania che ha visto l'ascesa del nazional-socialismo tedesco detto nazismo e capeggiato da Hitler che aveva come modello e maestro l'italico e romanofilo imperialista Mussolini. Vi è che sostiene che l'odio tedesco per gli ebrei sia motivato dalla convinzione che gli ebrei del mondo, europei e tedeschi abbiano concorso alla sconfitta e alla distruzione della Germania e cercato di impedirne la rinascita.

https://www.facebook.com/ProgettoDreyfu ... 9041968457
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Re: Parké i todeski łi se ła ga ciapà tanto co łi ebrei?

Messaggioda Berto » lun apr 25, 2016 9:54 pm

L'INTERVENTO NELLA I GUERRA MONDIALE DEGLI STATI UNITI
(di Massimiliano Italiano)

http://www.lagrandeguerra.net/ggstatiuniti.html


Il Presidente Americano Woodrow WilsonAll'inizio della guerra, il presidente Wilson aveva proclamato la totale neutralità degli Stati Uniti. Il non intervento americano doveva riguardare ogni possibile implicazione con i paesi belligeranti, evitando qualunque tipo di presa di posizione in favore o contro ciascuno dei blocchi contrapposti. Nel suo discorso alla nazione del 19 agosto 1914 aveva raccomandato ad ogni singolo cittadino di non manifestare pubblicamente alcuna preferenza politica per nessuno degli schieramenti.

Anche le banche erano state ammonite a non concedere arbitrarie facilitazioni finanziarie. La società americana era profondamente divisa: nelle regioni più a est, dove maggiore era la presenza degli ex emigranti inglesi, vi era una maggiore simpatia per l'Intesa; nelle regioni centrali, invece, gli immigrati olandesi e tedeschi parteggiavano per gli imperi centrali.

Il prolungarsi della guerra in Europa aveva costretto i paesi dell'Intesa a chiedere agli esportatori americani una sempre maggiore quantità di materiali, di armi e di derrate alimentari. L'acquisto di questi beni richiedeva, però, una adeguata disponibilità finanziaria che i paesi importatori non avevano. Il presidente americano, per salvaguardare gli interessi economici nazionali, fu costretto ad autorizzare le banche a concedere i dovuti prestiti.

Gli Stati Uniti da semplici esportatori divennero così anche finanziatori, alimentando un irreversibile legame con i paesi europei. Con la crescita esponenziale del commercio verso l'Europa, aumentò di conseguenza l'interesse americano a salvaguardare la libertà dei mari e la sicurezza delle rotte commerciali. Il presidente Wilson aveva contestato agli stessi paesi dell'Intesa il “diritto di visita”, ovvero il diritto di ispezionare le navi mercantili per impedire il traffico di merci verso gli imperi centrali (blocco continentale).

L'affondamento del Lusitania e dell'Arabic, poi, preoccupò gli armatori americani, che temevano una escalation della guerra sottomarina. La promessa tedesca di sospendere le scorrerie nell'atlantico, dopo la minaccia di una rottura diplomatica da parte americana, aveva portato una nuova ventata di speranza per la conservazione della pace.

Ancora nel novembre del 1916, al momento della sua seconda elezione, Wilson conservava il convincimento di tenere gli Stati Uniti fuori dalla Guerra. L'affondamento dei mercantili lungo le coste inglesi e francesi divenne comunque sempre più frequente e i danni subiti dagli esportatori americani sempre più ingenti. Le esportazioni destinate alla Gran Bretagna e Francia costituivano ormai i 2/3 di tutto il commercio americano.

Non sorprende, perciò, che la risposta statunitense alla dichiarazione dello Stato Maggiore tedesco sull'estensione della guerra sottomarina, fosse quanto mai decisa e risolutiva: la difesa in armi dei convogli americani. La difesa dei convogli non fu tuttavia l'unico motivo che indusse gli Stati Uniti ad entrare nel conflitto. Secondo quanto sostenuto dall'opposizione, i veri motivi che indussero gli americani ad entrare in guerra vanno invece ricercati tra i grandi interessi finanziari, ormai in stretto legame con i paesi dell'Intesa.

La vittoria della Germania avrebbe infatti compromesso il rientro dei crediti. Per questo i banchieri avrebbero finanziato un grande movimento di opinione per esercitare pressione sul Governo. La morte di molti civili nel corso dei ripetuti affondamenti aveva indispettito l'opinione pubblica americana, più disposta ora a prendere una posizione nazionalista.

Soldato di colore U.S.A.La sospensione dei commerci con l'Europa avrebbe portato ad una danno economico incalcolabile per le famiglie americane. Molti armatori, per paura dei sommergibili, non prendevano più il largo con le proprie navi perdendo la clientela. Per rassicurare gli armatori, il presidente Wilson chiese al Congresso di autorizzare l'armamento dei mercantili per difendersi contro gli attacchi tedeschi. Rimaneva inteso che l'affondamento di un mercantile americano, così come era stato sottoscritto nell'ultimatum inviato a Berlino subito dopo la dichiarazione dello Stato Maggiore tedesco sulla guerra totale, avrebbe comportato l'entrata in guerra degli Stati Uniti. Così, quando il 19 marzo venne affondato il Vigilantia con tutto il suo equipaggio, non fu difficile per il Presidente americano ottenere l'approvazione da parte del Congresso per una partecipazione diretta nel conflitto. Era il 2 aprile del 1917. L'approvazione del Congresso americano non faceva degli Stati Uniti un altro alleato dell'Intesa ma un semplice componente esterno.

Gli USA entravano in guerra come “associati”, liberi cioè di decidere del loro futuro politico e soprattutto conservando il diritto di ritirarsi dalla guerra.

Il peso americano.

La partecipazione militare americana in Europa fu graduale. Il peso della macchina bellica americana, almeno da un punto di vista terrestre, si fece sentire in misura più decisiva solo durante l'ultima offensiva dell'Intesa.

Manifesto di reclutamento U.S.A.
...

Secondo le previsioni, l'invio e l'organizzazione del corpo di spedizione in Europa doveva avvenire su più scaglioni, suddivisi in un tempo minimo tra i 12 e i 15 mesi. Questo tempo era necessario per organizzare il reclutamento, formare con un breve addestramento i soldati, organizzare le unità e spedirle in Francia. Un effetto più immediato si ebbe invece a livello navale.

I mercantili armati e le navi scorta costituirono una seria minaccia per i sommergibili tedeschi che cominciarono a subire gravi perdite. Per la sola scorta delle unit à inglesi vennero messi a disposizione 35 cacciatorpedinieri. Per giunta, la protezione americana convinse anche le altre nazioni del Sud America a riprendere il traffico delle merci, mettendo a disposizione dell'Intesa un considerevole numero di imbarcazioni per il trasporto dei rifornimenti.

Con il blocco delle esportazioni verso i paesi rimasti neutrali, gli Stati Uniti costrinsero Svezia, Norvegia e Olanda a rinunciare ad ogni ambiguità commerciale che potesse favorire in alcun modo l'economia degli Imperi Centrali. L'ingresso degli Stati Uniti in guerra permetteva poi al Governo americano di gestire direttamente le forniture belliche ai governi amici e di fornire le coperture finanziarie per l'acqusisto delle merci e delle armi.
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Re: Parké i todeski łi se ła ga ciapà tanto co łi ebrei?

Messaggioda Berto » lun apr 25, 2016 10:07 pm

Il telegramma Zimmermann: la vera ragione che spinse gli USA ad entrare in guerra nel 1917
gennaio 3, 2014

https://aurorasito.wordpress.com/2014/0 ... a-nel-1917

Viene spesso, fin troppo spesso, affermato che la causa dell’entrata in guerra di Washington, nella Prima Guerra mondiale, sia stato l’affondamento da parte di un sommergibile tedesco del transatlantico inglese Lusitania, che trascinò con se 123 cittadini statunitensi. (1) In realtà la nave fu affondata nel 1915, mentre gli USA entrarono in guerra nel 1917. Infatti, entrarono in guerra in reazione alla faccenda del “telegramma Zimmermann”.
Il 16 gennaio 1917, Arthur Zimmermann, segretario agli Esteri della Germania imperiale, inviò un telegramma cifrato all’ambasciatore tedesco a Washington, utilizzando il nuovo codice 7500 che gli inglesi non avevano potuto decifrare, ma l’ambasciatore a Washington ritrasmise il telegramma nel vecchio codice 103040, noto agli inglesi, all’ambasciatore tedesco in Messico.
Il testo del telegramma affermava: “Abbiamo intenzione di cominciare la guerra sottomarina senza restrizioni il primo di febbraio. Ci adopereremo, nonostante ciò, a mantenere gli Stati Uniti neutrali. Nel caso non succeda, faremo al Messico una proposta di alleanza sulla seguente base: combattere insieme, fare la pace insieme, un generoso sostegno finanziario e la comprensione da parte nostra del diritto del Messico a riprendersi i territori perduti di Texas, New Mexico e Arizona. I dettagli sono lasciati a voi. Potrete informare il presidente (del Messico) di quanto sopra secretato non appena lo scoppio della guerra contro gli Stati Uniti è certo, e aggiungerei il suggerimento che avrebbe dovuto, di propria iniziativa, invitare il Giappone ad aderirvi immediatamente e anche a mediare tra il Giappone e noi. Si prega di richiamare l’attenzione del presidente sul fatto che l’impiego illimitato dei nostri sottomarini offre ora la prospettiva di convincere l’Inghilterra a fare la pace entro pochi mesi. Accusate ricevuta. Zimmermann”
In realtà, il telegramma venne concepito da un funzionario del ministero degli esteri tedesco, Hans Arthur von Kemnitz, che ne scrisse una prima bozza che Zimmermann firmò quasi senza leggere, probabilmente perché impegnato a redigere il testo diplomatico che giustificava l’annuncio della “guerra sottomarina senza restrizioni” contro il traffico navale diretto nel Regno Unito. Quando un altro funzionario seppe del telegramma, esclamò: “Kemnitz, quel fantastico idiota, ha fatto questo!?”
Berlino dovette criptare il telegramma perché la Germania era consapevole che gli alleati intercettavano tutte le comunicazioni transatlantiche, una conseguenza della prima azione offensiva della Gran Bretagna nella guerra. All’alba del primo giorno della Prima guerra mondiale, la nave inglese Telconia si avvicinò alle coste tedesche e tranciò i cavi sottomarini transatlantici che collegavano la Germania con il resto del mondo. Questo atto di sabotaggio costrinse i tedeschi ad inviare i messaggi tramite collegamenti radio poco sicuri o cavi sottomarini di proprietà estera. Zimmermann fu costretto a trasmettere il suo telegramma cifrato attraverso la Danimarca e la Svezia con un cavo sottomarino statunitense che passava anche per il Regno Unito. Va ricordato, inoltre, che uno stretto collaboratore del presidente statunitense Woodrow Wilson, il colonnello Edward House, fece si che il dipartimento di Stato degli USA consentisse ai tedeschi la trasmissione di messaggi cifrati diplomatici tra Washington, Londra, Copenhagen e Berlino.
Il telegramma di Zimmermann ben presto venne intercettato ed analizzato dalla Sala 40 dell’Ammiragliato inglese, l’ufficio dell’intelligence elettronica inglese. Winston Churchill, Primo lord dell’Ammiragliato inlgese, ordinò la creazione della sezione intercettazione e decodificazione dei messaggi criptati tedeschi, appunto la Sala 40, divenuta di vitale importanza per gli Alleati. La Sala 40 era formata da linguisti e criptoanalisti. Il telegramma Zimmermann, decifrato parzialmente da Nigel de Grey e dal reverendo William Montgomery, affermava che la Germania voleva istigare il Messico ad attaccare gli USA, un’informazione che avrebbe spinto il presidente degli USA Woodrow Wilson ad abbandonare la neutralità degli Stati Uniti, perciò Montgomery e de Grey lo passarono subito all’ammiraglio Reginald Hall, direttore della Naval Intelligence, aspettandosi che lo trasmettesse agli statunitensi. Ma l’ammiraglio lo ripose nella sua cassaforte, incoraggiando i criptoanalisti a completare il lavoro. Infatti, il 5 febbraio 1917, Hall non ebbe il nulla osta dal Foreign Office affinché consegnasse agli statunitensi tali informazioni. Ma Hall convocò un ufficiale dell’intelligence statunitense a Londra e gli diede lo stesso il telegramma. “In altre parole, il direttore dell’intelligence navale aveva unilateralmente preso la decisione di condividere un’informazione altamente sensibile con una potenza straniera, senza l’autorizzazione del proprio governo“.
Hall pensava che se gli statunitensi venivano a conoscenza del telegramma Zimmermann, i tedeschi avrebbero potuto concludere che il loro nuovo sistema di cifratura 7500 era stato spezzato, spingendoli a sviluppare un nuovo sistema di cifratura, bloccando così l’intelligence inglese. Inoltre “Hall era consapevole che la guerra totale degli U-boat sarebbe iniziata entro due settimane, e che essa avrebbe indotto il presidente Wilson a dichiarare guerra alla Germania imperiale, senza bisogno di compromettere la preziosa fonte dell’intelligence inglese”. Ma il 3 febbraio 1917, sebbene la Germania avesse avviato la guerra sottomarina senza restrizioni, il Congresso statunitense e il presidente Wilson annunciarono la prosecuzione della neutralità. D’altra parte, negli USA era diffuso un notevole sentimento anti-inglese, in particolare tra i cittadini di origini tedesche ed irlandesi, questi ultimi infuriati per la brutale repressione della Rivolta di Pasqua del 1916 a Dublino e, inoltre, presso la stampa statunitense Gran Bretagna e Francia non godevano di maggiore simpatia della Germania. Tutto ciò spinse gli inglesi a sfruttare il telegramma Zimmermann. All’improvviso, e in sole due settimane, Montgomery e de Grey completarono la decifrazione del telegramma. Inoltre, gli inglesi si resero conto che von Bernstorff, l’ambasciatore tedesco a Washington, trasmise il messaggio a von Eckhardt, l’ambasciatore tedesco in Messico, utilizzando il vecchio sistema di cifratura 103040 e “dopo aver fatto alcune piccole modifiche al testo” che poi von Eckhardt avrebbe presentato al presidente messicano Carranza. Se Hall avesse potuto avere la versione “messicana” del telegramma Zimmermann, i tedeschi avrebbero supposto che fosse stato reso pubblico dal governo messicano, e che non era stato intercettato dagli inglesi. Hall contattò un agente inglese in Messico, il signor H., che a sua volta s’infiltrò nell’ufficio telegrafico messicano. Il signor H. poté ottenere così la versione messicana del telegramma di Zimmermann. Hall consegnò tale versione del telegramma ad Arthur Balfour, il segretario agli Esteri inglese, che il 23 febbraio convocò l’ambasciatore statunitense a Londra Walter Page per consegnargli il telegramma di Zimmermann. Il 25 febbraio, il presidente Wilson ebbe la ‘prova eloquente’, come disse, che la Germania incoraggiava un’aggressione agli USA. Il telegramma, in realtà, affermava che il Messico avrebbe dichiarato guerra agli USA solo se questi avessero dichiarato guerra alla Germania. Ciò avrebbe giustificato l’intervento degli USA nella Prima guerra mondiale? Infatti il telegramma di Zimmermann viene citato come il casus belli della guerra tra USA e Germania imperiale. Ma, infine, il Messico sarebbe mai stato un serio nemico per gli Stati Uniti? Il Messico era preda da anni di una feroce guerra civile, non poteva costituire una qualsiasi seria minaccia per gli USA, e Berlino avrebbe dovuto saperlo. Il presidente messicano Venustiano Carranza assegnò a un generale il compito di valutare la fattibilità di un’aggressione agli USA, ma il generale concluse che non sarebbe stato possibile per i seguenti motivi:
– gli Stati Uniti erano militarmente molto più forti del Messico.
– le promesse della Germania erano ritenute appunto soltanto tali. Il Messico non poteva utilizzare alcun “generoso sostegno finanziario” per acquistare armi e munizioni, per la semplice ragione che poteva comprarli solo negli Stati Uniti, mentre la Germania non poteva inviare alcunché in Messico dato che la Royal Navy, ed eventualmente l’US Navy, controllava le rotte atlantiche.
– infine, il Messico aveva adottato una politica di cooperazione con Argentina, Brasile e Cile per evitare un qualsiasi contrasto con gli Stati Uniti e migliorare le relazioni regionali.
Comunque il telegramma fu reso pubblico, ma stampa e parte del governo degli Stati Uniti lo ritennero una bufala ideata dagli inglesi per coinvolgere gli USA nella guerra. Tuttavia, Zimmermann, in modo sbalorditivo, ne ammise pubblicamente la paternità, dicendo a una conferenza stampa a Berlino che semplicemente “non posso negarlo. E’ vero”. La Germania poteva benissimo dire che il “telegramma Zimmermann” era un falso, approfondendo così i gravi dubbi sulla faccenda espressi negli USA, dove l’opinione pubblica era poco restia a partecipare alla Grande Guerra. Perché allora Zimmerman confessò di averlo inviato?
Nell’ottobre 2005, venne scoperto il presunto dattiloscritto originale della decifratura del telegramma Zimmermann, “scoperto da uno storico rimasto ignoto” che lavorava su un testo ufficiale della storia del Government Communications Headquarters (GCHQ), il servizio segreto elettronico inglese. Si riteneva che tale documento sia il telegramma mostrato all’ambasciatore Page nel 1917. Molti documenti segreti relativi a tale incidente furono distrutti su ordine dell’ammiraglio Reginald Hall. Certo, tutto ciò suscita un sospetto: in realtà si sa cosa ha scritto Zimmermann (Kemnitz), ma non è noto cosa avessero di certo mostrato gli inglesi ai diplomatici e al presidente degli USA.
In Germania, le indagini su come gli statunitensi avessero ottenuto il telegramma Zimmermann portarono a credere che fosse stato violato in Messico, proprio come previsto dall’intelligence inglese. Quindi il presidente Wilson, che nel gennaio 1917 aveva detto che sarebbe stato un “crimine contro la civiltà” trascinare il suo popolo in guerra, il 2 aprile dello stesso 1917 affermò: “Consiglio che il Congresso dichiari che il recente corso del governo imperiale non sia in realtà nient’altro che una guerra contro il governo e il popolo degli Stati Uniti, e di accettare formalmente lo status di belligerante cui siamo stati così spinti”.
La diplomazia inglese (così come la sua propaganda nera) cercarono ostinatamente di convincere il presidente Wilson ad abbandonare la promessa di neutralità fatta nella sua campagna elettorale per le presidenziali del 1916, e di entrare in guerra a fianco degli Alleati, ma come affermò la storica statunitense Barbara Tuchman, “Una sola mossa della Sala 40 era riuscita laddove tre anni d’intensa diplomazia avevano fallito”.Unit7_map_Zimmerman_300g80Alessandro Lattanzio, 3/1/2014

Note:
1) “Gli inglesi contarono 1198 vittime, tra cui 123 statunitensi, mentre in realtà i morti furono 1201; vennero infatti omessi i corpi dei tre tedeschi inviati sul Lusitania dall’attaché militare tedesco a Washington di allora, von Papen, per fotografare eventuali materiali sospetti. I tre furono scoperti e tenuti a bordo come prigionieri. In seguito, il segretario personale del presidente Wilson, Joseph Tumulty, fece credere a Washington che le spie fossero in possesso di un ordigno esplosivo, mentre invece si trattava della macchina fotografica”.

Fonti:
The Telegram that brought US into Great War is found, Ben Fenton
The Zimmermann Telegram, Joseph C. Goulden
The Zimmermann Telegram, Barbara Tuchman
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Re: Parké i todeski łi se ła ga ciapà tanto co łi ebrei?

Messaggioda Berto » lun apr 25, 2016 10:24 pm

Alla ripresa della guerra sottomarina illimitata da parte della Germania, il governo americano sceglie di entrare in guerra. L'ingresso degli Stati Uniti nel conflitto rafforza straordinariamente l'Intesa sul piano finanziario, industriale e militare, proprio nel momento in cui la Russia sta cedendo ed il suo fronte è sul punto di crollare.

http://www.grandeguerra.rai.it/articoli ... fault.aspx
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Re: Parké i todeski łi se ła ga ciapà tanto co łi ebrei?

Messaggioda Berto » mar apr 26, 2016 7:23 am

El sionixmo nol xe envaxion e gnanca cołognałixmo
viewtopic.php?f=197&t=2124


IL SIONISMO: UN MAGNIFICO SOGNO O UN TERRIBILE SCACCO ?
I parte
http://www.doncurzionitoglia.com/Sionis ... Scacco.htm
DON CURZIO NITOGLIA
...
Frattanto la nascita del Sionismo, lungi dal risolvere l'eterna questione ebraica, la complicherà, trasportandola, in un'ottica conflittuale, nei paesi arabi, accenderà nuovo odio tra Islàm e Giudaismo, che prima, teologicamente, non esisteva (??? me despiaxe ma la ghè senprte stà da Maometo en xo) e che si afferma per motivi nazionalistici e di indipendenza territoriale.
L'Ebraismo internazionale mobilita i propri correligionari inglesi per ottenere l'intervento nella prima guerra mondiale degli USA. La Gran Bretagna concede ai capi sionisti impegnatisi a far scendere in guerra l'America, privilegi eccezionali. (18). Il 2 novembre 1917 il ministro degli esteri britannico lord Balfour consegna al presidente della federazione sionista britannica lord Rothschid una lettera che asserisce: . Questo focolare ebraico è una parola polisemantica, dietro la quale si cela il concetto di STATO EBRAICO. Tale progetto costerà caro soprattutto ai palestinesi (??? palestinexi? o envaxori arabi ?), anche se l'insediamento ebraico non godrà mai sonni tranquilli in quella che si rivelerà in oriente, come già lo era stata in Occidente, un'avventura priva di certezze fin dal giorno in cui i capi del popolo dissero "Sanguis eius super nos et super filios nostros", assumendosi una terribile responsabilità per i figli di Israele fino a quando non si convertiranno e non rientreranno nella Chiesa di Dio.

La Palestina: un paese isolato (???). «Rompere l'unità della Grande Siria ed enucleare da essa la Palestina è il primo passo per assicurare il buon esito del progetto sionista è una politica che genera nei palestinesi grande disorientamento (???). Essi si trovano d'improvviso in un paese occupato militarmente e tagliato fuori da qualsiasi precedente collegamento amministrativo e politico. La nuova entità territoriale che aveva sempre fatto parte di organizzazioni statuali più vaste e mai aveva manifestato aspirazioni autonomiste, è creata, fin dall'inizio, con l'obiettivo dello snaturamento etnico.
L'originaria (??? łi arabi łi jera anca lori envaxori e no endexeni) popolazione araba è destinata ad essere sommersa e sostituita» (19).
La reazione araba contro l'immigrazione e l'occupazione ebraica (che gli stessi inglesi autorizzavano) offrirà all'Impero britannico larghe possibilità d'ingerenza. Dietro l'alibi del mantenimento della pace, l'Inghilterra avrebbe potuto nascondere facilmente la sua volontà di presenza militare in Palestina sine die. Solo il processo di decolonizzazione iniziato alla fine della seconda guerra mondiale spingerà gli inglesi a lasciare la Palestina.
...




???

IL SIONISMO: UN MAGNIFICO SOGNO O UN TERRIBILE SCACCO ?

I parte

http://www.doncurzionitoglia.com/Sionis ... Scacco.htm

DON CURZIO NITOGLIA
Col presente articolo, attraverso l'analisi del pensiero e delle conquiste del Sionismo, si intende far vedere come la formazione dell'attuale Stato di Israele non risponda alle promesse divine.
All'analisi dell'evolversi dell'idea sionista seguirà lo studio del movimento sionista e dei suoi rapporti con le Superpotenze e con i vari Stati europei, compresi quelli nazifascisti, per arrivare alla questione teologica e dottrinale e al rapporto con la Chiesa.

Introduzione

Verso la seconda metà del XIX secolo si sviluppava il flusso migratorio di ebrei verso la Palestina, che non era tuttavia un fenomeno spontaneo, ma il prodotto del SIONISMO (1), col concorso di duecento delegati ebrei riunitisi a Basilea e l'adesione di più di cinquantamila ebrei, e con lo scopo di "lavorare al riscatto della Palestina, per crearvi uno Stato israelita" (2).
Il Sionismo non inizia però nel XIX secolo, ma "è l'espressione moderna del sogno vecchio di millenovecento anni, di ricostruire Israele, dopo che Roma aveva messo fine all'indipendenza ebraica in terra d'Israele" (3).

Varie tappe dell'idea sionista

a) Primo periodo: dalla caduta di Gerusalemme fino alla morte di Giuliano l'Apostata (70- 363).
Sotto il regno di Traiano (Ý 117) un falso Messia, chiamato Andrea, eccitò il fanatismo di alcuni ebrei al punto che, fra greci e romani, "duecentomila uomini perirono uccisi dalla spada e dal furore dei giudei" (4). Marco Turbo attaccò i rivoltosi e fece pagare loro col sangue un giorno di trionfo.
Sotto il regno di Adriano (130-135) si ebbe un secondo tentativo, quando un certo Bar-Cozbad si fece passare per il Messia e i Romani furono cacciati da Gerusalemme, che tuttavia ricadde ben presto nelle loro mani; ma mentre Tito aveva lasciato ancora qualche casa intera, con Adriano la città fu rasa al suolo e al suo posto fu costruita Elia Capitolina, che solo più tardi riprese il nome di Gerusalemme.
Sia il terzo tentativo di rivolta, avvenuto sotto il regno di Antonino (138-161), sia il quarto sotto Marco Aurelio (174-175) non ebbero successo e furono repressi.
Un'altra volta - la quinta - gli Ebrei, animati dalla speranza di restaurare politicamente il Regno di Israele, al tempo di Settimio Severo (193-211), cospirarono in Siria con i Samaritani contro la dominazione romana, ma ottennero solo di appesantire il giogo cui erano sottoposti.
Il sesto tentativo di riscossa si verificò sotto Costantino (321-327), ma venne anch'esso soffocato e "S. Giovanni Crisostomo nella seconda orazione contro i Giudei, ci racconta che Costantino, convinto che gli ebrei non avevano rinunciato al loro spirito di rivolta, fece tagliare loro una parte dell'orecchio, affinché, dispersi nell'Impero, portassero dappertutto su di sé il segno della loro ribellione" (5).
Sotto Costanzo si ebbe una settima rivolta, ma Gallo volò in Giudea, dove sconfisse i rivoltosi e rase al suolo Diocesarea, seggio dell'insurrezione: gli ebrei furono uccisi a migliaia e molte città, tra cui Tiberiade, furono bruciate.
L'ultimo tentativo di questo primo periodo è uno dei più celebri ed ha come cooperatore Giuliano l'Apostata, che non solo permise agli Ebrei di ricostruire il Tempio, ma li aiutò con tutti i mezzi: sull'esito finale si veda Sodalitium n° 39 e 40 (6).
Se un ruolo importante in tutti questi tentativi di rivolta è da attribuirsi alla tenacia ebraica, il fattore principale è dovuto, secondo l'ebreo convertito Augustin Lémann, ad una "interpretazione di certe profezie bibliche"(7); anzi "è proprio fondandosi su tali profezie che gli ebrei hanno sempre sperato di ritornare a Gerusalemme, di restaurarvi il Tempio (8), per gioirvi col Messia una piena e inalterabile prosperità" (9).

b) Secondo periodo: dalla morte di Giuliano l'Apostata fino alla Rivoluzione francese (363- 1789).
Questo lungo periodo fu marcato dalla rassegnazione, anche se si mantenne sempre una se pur sopita speranza, come afferma anche l'abbé Lémann: "con la morte di Giuliano l'Apostata e il trionfo definitivo del Cristianesimo, fino alla Rivoluzione francese, gli ebrei vivono un periodo di rassegnazione, ma sempre pieno di speranza" (10). Durante questo periodo "la capacità finanziaria e commerciale degli ebrei si sviluppa e si estende su tutte le nazioni, in maniera straordinaria [essi] divengono i finanzieri dei re, ma in mezzo alle preoccupazioni dei loro traffici e dei loro negozi, non smettono di pensare a Gerusalemme (11).
Verso il XVI e XVII sec. gli ebrei amanti della Terra Santa si spostarono verso Safed, a pochi chilometri da Betsaida; nel XVII sec. si contavano a Gerusalemme circa cento famiglie ebree e, a partire da quel periodo, i pellegrinaggi alla Città santa cominciarono a diventare sempre più numerosi.

c) Terzo periodo
Col filosofismo tedesco del XVIII secolo e con la Rivoluzione francese si assiste all'ABBANDONO dell'idea del ritorno a Gerusalemme e del dogma del Messia personale.
Quali furono le cause di un tale mutamento?
La prima è proprio il filosofismo impregnato di quello scetticismo settecentesco, che è stato agente corrosivo di tutte le religioni, compresa la talmudica, prima con Spinoza e poi con Mendelshon, che può essere considerato il fondatore di una sorta di neo-Giudaismo, mascherato da deismo. Comincia così a diffondersi nei ghetti l'idea che il Messia potrebbe essere un concetto, un regno, un popolo, ma non una persona, e sorge anche il problema della collocazione fisica e geografica di tale regno. È la Rivoluzione francese che concretizza questo mito. Nel 1791 fu concessa l'EMANCIPAZIONE agli ebrei francesi, che videro il Messia nei Diritti dell'uomo proclamati dalla Rivoluzione.
Dalla fine del XVII secolo fino al 1848 il mito del Messia impersonale ha avuto due scuole principali, di cui la prima fiorì in Germania sotto l'egida del filosofismo. Nel 1843 a Francoforte sul Meno si organizza un comitato ebraico riformista, al quale seguirono tre sinodi, uno nello stesso anno a Brunswick, uno ancora a Francoforte nel 1845 e un terzo a Breslau nel 1846, nei quali si affermava che l'unico Messia atteso era la libertà di essere ammessi tra le Nazioni; da questo il partito talmudista tedesco fu ferito a morte.
La seconda scuola si formò in Francia, sotto l'egida dell'emancipazione, che segna anche l'elemento diversificante delle due scuole. Infatti in Germania, dal momento che l'ebreo non era ancora emancipato civilmente, il suo pensiero era da considerare ardito e prematuro: la libertà civile, non ancora conquistata, era la perla per la quale si era pronti a sacrificare ogni cosa, anche il Messia personale. In Francia, invece, gli ebrei fin dal 1791 godevano della libertà civile ed erano quindi più moderati nell'evoluzione della fede circa il Messia. Nel Gran Sionismo del 1807 Napoleone era stato riverito ed insignito dei titoli riservati esclusivamente al Messia, anche se il partito talmudista era ancora abbastanza forte per fare da contraltare. Fu soltanto a partire dal 1848 che ogni "repressione" da parte della Sinagoga talmudica divenne inefficace anche in Francia. Infatti durante il regno di Luigi Filippo il razionalismo tedesco aveva esercitato un notevole influsso sull'Ebraismo francese. Nel 1846, durante l'insediamento del gran Rabbino di Parigi, il colonnello Cerf-Beer, in un discorso di circostanza gli fece comprendere che era ormai ora di iniziare con le riforme ("l'aggiornamento") anche in Germania: il partito talmudista non ebbe più la forza di reagire come in passato. Ormai anche il mondo ebraico francese affermava che la "La Rivoluzione era il vero Messia per gli oppressi" (12).
"La nuova Gerusalemme sarebbe stata la Gerusalemme del denaro, con un banchiere per Messia, con i fondi pubblici al posto della Thorà, la Borsa al posto del Tempio" (13). Quasi tutti i paesi dell'Europa occidentale e degli USA in cui gli ebrei conobbero l'emancipazione civile, accolsero tali idee sul Messia impersonale, col conseguente abbandono del dogma del Messia personale e del ritorno a Gerusalemme.

Breve storia del movimento sionista

Il Canale di Suez e la Gran Bretagna. Il progetto di aprire il canale di Suez suscitò, verso la metà dell'800, un vivo interesse in Europa, perché il Mediterraneo avrebbe riacquistato una notevole importanza. Erano interessate al progetto soprattutto la Francia, l'Impero asburgico e l'Italia. L'Inghilterra invece sarebbe stata svantaggiata. Chi si assunse l'onere economico dei lavori fu, in massima parte, il pascià d'Egitto Said, ma le finanze egiziane furono dissestate dall'enorme quantità degli esborsi. Nel 1863 gli succede suo nipote Ismail, al quale «vennero in aiuto le banche ebraiche Oppeneim e Rothschild, le quali, bloccato ogni diverso accesso al credito, strinsero in breve il sovrano in un abbraccio mortale. Agli egiziani è imposto il controllo congiunto anglo-francese sulle loro finanze; è l'anticamera dell'occupazione coloniale. La bancarotta egiziana e le difficoltà politiche che essa genera coincidono col destarsi dell'interesse britannico per il canale» (14). La Gran Bretagna incomincia così a cambiare politica nei confronti dell'Impero Ottomano, e dopo averlo difeso gelosamente, in chiave antirussa e antifrancese, decide di non opporsi la suo declino. Nel 1878 occupa Cipro e s'impossessa delle dogane turche. La situazione col passare degli anni degenera in violenti disordini e gli inglesi decidono di intervenire manu militari, per cui il 10 luglio 1882 le navi inglesi aprono il fuoco su Alessandria d'Egitto. Con la grande guerra (1914-1918) l'Inghilterra coglie l'occasione per assestare il colpo di grazia all'Impero Ottomano, prendendo il controllo della penisola arabica e della Siria, assicurandosi così la chiave d'accesso dal mediterraneo verso la Mesopotamia e il Golfo Persico. La Palestina avrebbe messo al sicuro le comunicazioni con l'India tramite il Canale di Suez. Il 18 dicembre 1814 la Gran Bretagna occupa l'intero percorso del canale. Gli inglesi, per essere più sicuri di aver debellato definitivamente l'Impero Ottomano, svolgono una politica atta a guastare i rapporti tra i turchi e le popolazioni dell'ex Impero Ottomano, (15). Contattano inoltre lo sceicco della Mecca Hussein, discendente della figlia di Maometto Fatima e perciò carico di un gran prestigio spirituale nel mondo islamico. (16). Si ruppe così la compattezza del fronte musulmano. Dopo tre anni di lotta la partita contro i turchi è vinta dagli arabi. Gli inglesi occupano Gerusalemme e Hussein Damasco. L'11 novembre 1918 un comunicato anglo-francese rassicura gli arabi promettendo loro dopo la lunga oppressione turca, l'insediamento di governi e amministrazioni arabe. Tuttavia gli arabi dovettero ricredersi e constatare che la Gran Bretagna non aveva per nulla in vista la liberazione dei popoli arabi dall'oppressore turco, quanto piuttosto desiderava imporre il proprio volere ai paesi dei Medio Oriente. Dalla dissoluzione dell'Impero Ottomano trassero vantaggio soprattutto l'Inghilterra e la Francia; il trattato di Sévres (10 agosto 1920) segna la fine definitiva dell'Impero Ottomano, la ratifica inglese di Cipro e dei poteri sul Canale di Suez. Estromessi i turchi, il destino dell'Arabia passa nelle mani anglo-francesi. Gli arabi non vogliono rinunciare all'indipendenza, ma il 24 luglio 1920 i siriani sono sopraffatti dai francesi e Damasco viene occupata. (17).

Frattanto la nascita del Sionismo, lungi dal risolvere l'eterna questione ebraica, la complicherà, trasportandola, in un'ottica conflittuale, nei paesi arabi, accenderà nuovo odio tra Islàm e Giudaismo, che prima, teologicamente, non esistev (???) a e che si afferma per motivi nazionalistici e di indipendenza territoriale. L'Ebraismo internazionale mobilita i propri correligionari inglesi per ottenere l'intervento nella prima guerra mondiale degli USA. La Gran Bretagna concede ai capi sionisti impegnatisi a far scendere in guerra l'America, privilegi eccezionali. (18). Il 2 novembre 1917 il ministro degli esteri britannico lord Balfour consegna al presidente della federazione sionista britannica lord Rothschid una lettera che asserisce: . Questo focolare ebraico è una parola polisemantica, dietro la quale si cela il concetto di STATO EBRAICO. Tale progetto costerà caro soprattutto ai palestinesi, anche se l'insediamento ebraico non godrà mai sonni tranquilli in quella che si rivelerà in oriente, come già lo era stata in Occidente, un'avventura priva di certezze fin dal giorno in cui i capi del popolo dissero "Sanguis eius super nos et super filios nostros", assumendosi una terribile responsabilità per i figli di Israele fino a quando non si convertiranno e non rientreranno nella Chiesa di Dio.
La Palestina: un paese isolato. «Rompere l'unità della Grande Siria ed enucleare da esssa la Palestina è il primo passo per assicurare il buon esito del progetto sionista è una politica che genera nei palestinesi grande disorientamento. Essi si trovano d'improvviso in un paese occupato militarmente e tagliato fuori da qualsiasi precedente collegamento amministrativo e politico. La nuova entità territoriale che aveva sempre fatto parte di organizzazioni statuali più vaste e mai aveva manifestato aspirazioni autonomiste, è creata, fin dall'inizio, con l'obiettivo dello snaturamento etnico. L'originaria popolazione araba è destinata ad essere sommersa e sostituita» (19).
La reazione araba contro l'immigrazione e l'occupazione ebraica (che gli stessi inglesi autorizzavano) offrirà all'Impero britannico larghe possibilità d'ingerenza. Dietro l'alibi del mantenimento della pace, l'Inghilterra avrebbe potuto nascondere facilmente la sua volontà di presenza militare in Palestina sine die. Solo il processo di decolonizzazione iniziato alla fine della seconda guerra mondiale spingerà gli inglesi a lasciare la Palestina.


Allora al colonialismo inglese subentrerà quello sionista.

Il "Libro Bianco". Il 17 maggio 1939 l'Inghilterra annuncia di voler abbandonare l'idea della spartizione della Palestina e il Foreign Office con un suo Libro Bianco, s'impegna a concedere ai palestinesi l'indipendenza; l'effettivo passaggio dei poteri, tuttavia, sarebbe avvenuto solo dieci anni dopo. Gli arabi pensano di intravvedere la fine delle loro sofferenze, ma la proposta inglese è condizionata all'esito della seconda guerra mondiale. Infatti il Libro Bianco segue di pochi giorni le garanzie antigermaniche rilasciate dall'Inghilterra a Polonia, Grecia e Romania, per cui rappresenta solo un diversivo o un espediente atto a accaparrarsi, in un momento così difficile, la simpatia e la neutralità del mondo arabo, la cui posizione è di estrema rilevenza strategica. L'Inghilterra in sostanza con il Libro bianco ha voluto solo tergiversare e congelare la questione palestinese e rinviare ogni decisione al termine del conflitto. Gli ebrei di Palestina si vedono accordare così una tregua provvidenziale di parecchi anni, una proroga all'eventuale sfratto e possono continuare ad accogliere nuovi immigrati. Nel maggio 1942 a New York, all'Hotel Biltmore, si riunisce una conferenza sionista che reclama la costituzione dello Stato ebraico e pretende l'annullamento di qualsiasi limite all'immigrazione, ed infine l'affidamento della supervisione sull'immigrazione alla Jewish Agency. «In Palestina intanto l'Haganah, l'organizzazione militare ufficiale dei sionisti che dal 1929 al 1939 si era armata con la connivenza della potenza mandataria (la Gran Bretagna), rafforza i suoi reparti e si prepara alla lotta contro gli inglesi nel caso costoro insistano a dare applicazione a quel Libro Bianco del 1939 col quale avevavo promesso ai palestinesi l'indipendenza. L'Irgun e la Banda Stern scatenano una campagna terroristica che si propone di piegare definitivamente gli inglesi al volere del Sionismo. Prima vittima illustre della Banda Stern è il ministro britannico per il medio Oriente, Lord Moyne, che viene assassinato nel novembre 1944» (20). Con la fine della seconda guerra mondiale assistiamo al coincidere de facto delle aspirazioni del Sionismo con quelle delle due superpotenze, (USA e URSS). Russi e americani hannno capito che uno Stato ebraico in Palestina è un valido elemento destabilizzante in una delle zone geopolitiche più importanti del mondo, che permetterà loro di interferire negli affari interni di tutti i paesi del Medio oriente e di innescarvi una grave conflittualità tra Europa e mondo arabo. Il compito dell'occupante britannico è ormai finito, ad esso subentreranno sionisti, USA e URSS. Il 29 novembre 1947 l'Assemblea Generale dell'ONU, con la risoluzione 181, approva il piano che prevede la spartizione della Palestina in due Stati: uno arabo e uno ebarico. (21). Il 14 maggio 1948 il consiglio Nazionale Ebraico proclama lo Stato d'Israele, mettendo il mondo davanti al fatto compiuto. (22). Mentre USA e URSS dietro lo schermo della guerra fredda collaborano sottobanco alla spartizione dell'Europa e del Medio Oriente, la stampa filo-ebraica presenta Israele come il bastione contro il comunismo - mentre in realtà era uno stato laico e socialista nato col consenso sovietico - tacendo però che il comunismo era fuori legge in tutti i paesi arabi, e creando il consenso del pensiero moderato e liberalconservatore. Con la guerra del 1967 l'intera Palestina è di Israele, compresa Gerusalemme, che secondo la risoluzione 181 avrebbe dovuto essere posta sotto amministrazione internazionale (23). Gli Ebrei non rispettano la decisione dell'ONU, le cui risoluzioni ingiungono il ritiro dell'esercito israeliano e che restano però lettera morta. Il 10 novembre 1975 l'ONU, per non perdere la faccia, è costretta a varare una risoluzione che equipara Sionismo e razzismo, ma Israele non si ferma, confidando nella irresolutezza dell'ONU, che di lì a qualche tempo sopprime la risoluzione.


La vittoria del Sionismo fallisce però il suo obiettivo principale, quello cioè di dare vita ad uno Stato nazionale pacificato e compatto anche etnicamente, come ha rilevato anche il giornalista ebreo Paolo Guzzanti in un recente articolo su La Stampa di Torino: «Questi giovani [di tel Aviv] così euroamericani, così laici, non hanno affatto l'aria di coltivare il nostalgico patriottismo dei padri e dei nonni Questa città sta perdendo la memoria Tel Aviv si va sempre di più costruendo dentro di sé come una minuscola simbolica New York l'intera città pullula di locali per gay, per lesbiche, per transessuali Le sfrenate passioni adolescenziali di molte ragazze di Tel Aviv per i Che Guevara di Hamas sono leggendarie Passioni in genere corrisposte da giovani palestinesi con spirito predatorio a senso unico: non si ha notizia di sciagurati sbandamenti delle ragazze palestinesi per i giovani soldati israeliani e matrimoni nei due sensi seguono la stessa legge: marito palestinese e moglie israeliana, sì. Marito israeliano e moglie palestinese, no. ()Un uomo che ha combattuto tutte le guerre mi dice: "La pace non è la fine dell'incubo I nemici che un tempo erano incapaci di combattere contro di noi che potevamo sconfiggere in un attimo OGGI SONO BRAVI COME ED ANCHE PIÙ DEI NOSTRI SOLDATI; sanno per che cosa combattere, sono bene armati ed addestrati. Da noi il patriottismo cede il passo al senso di colpa. Gli arabi ci odiano, ma parlano perfettamente l'ebraico. Noi non parliamo una parola di arabo e vorremmo essere amati da loro» (24).


IL SIONISMO: nascita e sviluppo del movimento sionista

a) Il primo Congresso di Basilea (agosto 1897).
Le origini del Sionismo attuale vanno ricercate nell'opera del giornalista viennese Theodore Herzl che, insieme al parigino Max Nordan, organizzò tre congressi a Basilea. Nel primo fu definito il programma del Sionismo, cioè "creare al popolo ebreo un domicilio garantito dal diritto pubblico in Palestina". Molto forti e vivaci furono le reazioni, quasi "una sollevazione massiccia del rabbinato contro tale progetto" (25), al punto che si parlò di DIVORZIO TRA SINAGOGA E SIONISMO. "La prima, soddisfatta dell'emancipazione, non voleva essere nient'altro che una religione. Il secondo, risvegliato dall'esplosione misteriosa dell'antisemitismo, proclama: noi siamo un popolo e vogliamo ricostruire la nostra nazionalità La prima non ha più la fede integrale di Mosé e dei profeti. IL SIONISMO NON CONSIDERA GLI EBREI CHE COME UN POPOLO, INVECE DI RICONOSCERE CHE È IL POPOLO, IL POPOLO DI DIO" (26).
Infatti è "unicamente in un FINE POLITICO E SENZA RIFARSI AL PASSATO RELIGIOSO D'ISRAELE che il Sionismo vorrebbe rientrare in possesso di Gerusalemme e resuscitarvi la nazionalità ebraica" (27).
D'altra parte il Rabbinato occidentale, pur avendo per lo più abbandonato la speranza di un Messia personale, rifiuta di associarsi al Sionismo e di incamminarsi verso Gerusalemme. Questo è il cuore del problema sionista e il principio della sua soluzione alla luce della fede cristiana, come vedremo in seguito.
Il Gran rabbino di Francia, Zadoc-Fahn spiega mirabilmente che "Il Sionismo risale alla distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte di Tito Ma vi è un'enorme differenza tra il Sionismo attuale e quello di diciotto secoli fa. PER I FEDELI DEI TEMPI ANTICHI ERA IL MESSIA INVIATO DA DIO CHE DOVEVA MIRACOLOSAMENTE RICOSTRUIRE SION NESSUNO AVREBBE MAI NEPPUR LONTANAMENTE PENSATO A COGLIERE TALE FINE MEDIANTE VIE NATURALI. Un tale spirito non poteva resistere all'influsso della Rivoluzione francese L'idea messianica si trasformò Il Messia divenne il simbolo del progresso, della fraternità umana, infine realizzata dal trionfo delle grandi verità morali e religiose che il Giudaismo ha sparso dappertutto" (28).
Se il Rabbinato occidentale, oramai ben integrato in Europa, rifiutava anche lo PSEUDO SIONISMO LAICO di Herzl, vi era ancora una frangia ebrea che attendeva un Messia figlio di David, ma "non avrebbe mai accettato di ritornare a Gerusalemme fino a che il Messia non fosse comparso" (29). RISTABILIRE UNO STATO D'ISRAELE CON MEZZI UMANI - come è avvenuto - NON ERA ACCETTABILE PER GLI EBREI TALMUDISTI. Gli Archives Israëlites scrivevano a questo riguardo: "Se per Sionismo si intende coloro che perseguono attualmente prima del tempo promesso la ricostruzione della nazionalità ebrea possiamo affermare che i sionisti di questa specie sono rari nantes in gurgite vasto" (30). Ed ancora: "Ricostruire il Regno di Giuda? Noi ebrei ortodossi, fedeli all'idea messianica, crediamo alla venuta del Messia fondatore di un impero universale. Ma quale rapporto vi è tra questo ideale religioso e il progetto del dottor Herzl e dei suoi amici?" (31).

b) Il secondo Congresso di Basilea (agosto 1898).
Durante il secondo Congresso apparve ancora più chiaro il nodo del problema e la contraddizione immanente al Sionismo moderno, per il quale il Giudaismo deve essere una nazione e non una religione, mentre per il rabbinato esso era una religione piuttosto che una nazione. Perciò il Rabbinato occidentale emancipato, benché liberal non voleva avere rapporti con il Sionismo, poiché quest'ultimo era soltanto un nazionalismo razionalista laicista e naturalista che non aveva alcuna radice nel suo passato religioso: "Noi non ci immaginiamo facilmente uno stato ebreo laico, di cui la Thorà non sia la carta necessaria non si riesce a capire l'esistenza di una società israelitica che non abbia la fede per suo fondamento. Tale nazionalismo puramente razionalista sarebbe la negazione della storia e delle profezie bibliche!" (32).
In sintesi il secondo Congresso segna l'abbandono di Gerusalemme da parte dei rabbini e l'abbandono della religione, e quindi del passato di Israele, da parte del Sionismo.

c) Il terzo Congresso di Basilea (agosto 1899).
L'ostilità del rabbinato esplode per la terza volta e la maggior parte degli ebrei d'Occidente si mostra fermamente contraria ai progetti dei sionisti. Tuttavia gli ebrei orientali, non ancora emancipati civilmente e quindi non assimilati, restano fedeli, per la maggior parte, all'idea del Messia personale e del ritorno miracoloso a Gerusalemme (33).


Il periodo di rassegnazione speranzosa è sempre sussistente nel Giudaismo orientale

Migliaia e migliaia di ebrei dell'Austria, della Romania, Polonia, Russia, dell'Asia e dell'Africa restano fedeli al Talmudismo, restano cioè estranei all'influsso del filosofismo, delle idee moderne e non hanno conosciuto la rivoluzione emancipatrice; perciò mantengono una fede cieca in un Messia bellicoso e conquistatore che li riporterà a Gerusalemme. Essi sono più numerosi degli ebrei occidentali. "Su sette, otto milioni di ebrei che esistono oggi [1901] come all'epoca di Gesù Cristo, la maggior parte risiede fuori dell'Europa occidentale" (34). È significativo l'appello indirizzato agli studenti ebrei dell'università di Praga dal Consiglio eletto del Corpo degli studenti della nazione ebrea: "Compagni Israeliti, gli ebrei non sono né tedeschi, né slavi, essi sono UN POPOLO A PARTE. Gli ebrei sono stati e restano un popolo autonomo per unità di razza, di storia, di sentimenti! Basta con le umiliazioni! ebreo, non sei uno schiavo!" (35).

Il Sionismo e Il B'naÏ B'rith

Se lo scopo del presente articolo è quello di affrontare il discorso sul Sionismo alla luce delle profezie dell'Antico e del Nuovo Testamento ad esso inerenti, occorre tuttavia fare un costante riferimento al processo storico della realizzazione del Sionismo in Palestina dalla fine del XIX secolo ai giorni nostri, rimandando il lettore per gli argomenti più specifici alla bibliografia indicata alla fine.
Emanuel Ratier ha presentato recentemente uno studio molto interessante e ricco di documenti inediti sul B'naï B'rith (36), nel quale vi è un intero capitolo dedicato al Sionismo, la cui documentazione servirà ora per analizzare quale influsso la potente loggia dei "Figli dell'Alleanza" abbia avuto nella nascita dello Stato di Israele.
Fin dalla sua origine il B'naï B'rith è di ispirazione sionista, fin da quando due rappresentanti del B'naï B'rith romeno parteciparono nel 1898 al secondo congresso sionista di Basilea. Tuttavia le logge americane, a differenza di quelle europee, tutte filosioniste, erano su posizioni molto più moderate; ma l'evoluzione verso un atteggiamento favorevole al Sionismo fu rapida e già nel 1917 il giornale ufficiale del B'naï B'rith americano affermava che la dichiarazione di Balfour era (37). Anche le logge londinesi esercitarono una capitale influenza sullo sviluppo del Sionismo, come testimonia anche Paul Goodman nella storia della prima loggia del B'naï B'rith d'Inghilterra: (38). Anche il distretto di Germania, inizialmente ostile al Sionismo si avvicinò successivamente alle posizioni londinesi filosioniste. Nel 1897 in una dichiarazione del 27 giugno, il Comitato generale del B'naï B'rith tedesco, si dichiarò totalmente contrario al Sionismo, ma successivamente in una seconda risoluzione del Comitato generale del 22 maggio 1921 si schierò su posizioni assolutamente favorevoli alla creazione di uno Stato ebraico in Palestina.


Il B'naï B'rith in Palestina
(39). Da centinaia di anni il Giudaismo d'oriente viveva in uno stato quasi letargico sotto il regime ottomano: (40).
Nel 1865, ventitré anni prima della nascita del Movimento sionista di Herzl, il B'naï B'rith organizzò una grande campagna di aiuti alle vittime ebree del colera in Palestina e da allora non ha mai cessato di finanziare iniziative private in Israele. Non appena le circostanze politiche lo permisero, l'ordine si impiantò in Medio Oriente; in Egitto nel 1887 furono create due logge e l'anno seguente fu fondata la prima loggia di Palestina, il cui primo segretario fu Elieser Ben-Yehouda, il padre dell'ebraico moderno, allora considerato una lingua morta, nel quale tradusse la costituzione e il rituale segreto del B'naï B'rith. (41).
Nell'aprile del 1925 l'Ordine inaugurò la prima Università ebraica.
La grande Loggia di Palestina
Il B'naï B'rith aveva sempre temuto che la creazione di un distretto di Palestina insospettisse il regime turco, per cui la sede del distretto d'Oriente era stata posta a Costantinopoli. Il mandato inglese e la dichiarazione Balfour autorizzarono la creazione del XIV distretto il cui primo gran Presidente fu David Yellin. Nel 1948 il B'naï B'rith contava in Israele quarantotto logge, nel 1968 centotrentotto, mentre oggi il loro numero supera le duecento.
Durante il regime turco, tra il 1873 e il 1917, erano già state fondate sei logge massoniche in Palestina... di cui la prima, denominata Loggia del re Salomone, a Gerusalemme nel maggio 1873; durante il mandato britannico (1921-1947) la Massoneria conobbe un rapidissimo sviluppo.
La loggia inglese del B'naï B'rith e la Palestina
Il primo presidente del B'naï B'rith Herbert Bentwich era stato uno dei primi a condividere le tesi di Theodor Herzl sul Sionismo e nel 1897 aveva organizzato un pellegrinaggio di ebrei in Palestina tramite l'Ordine degli anziani Maccabei, a nome del quale aveva vi acquistato un terreno, a Gezer, dando inoltre alla First Lodge un orientamento spiccatamente sionista.
All'inizio della prima guerra mondiale fu creato un Comitato ebraico d'urgenza, composto esclusivamente da membri del B'naï B'rith, con lo scopo di fare pressione sui futuri negoziatori di pace, per ottenere nel dopoguerra una home nazionale ebraica in Palestina (42).
Henry Monsky
In America l'Ordine fu il principale luogo d'incontro e fusione tra gli ebrei di origine tedesca (borghesi e riformisti) e gli ebrei provenienti dall'Europa dell'Est (più poveri, ortodossi e filosocialisti), che si opponevano all'idea di fusione degli ebrei con il popolo americano. L'ascesa al potere di Hitler nel 1933 rilanciò l'interesse per la home nazionale ebraica in Palestina. «Il vecchio antisionista è così divenuto - scrisse Alfred Cohen, presidente del B'naï B'rith americano - un non-sionista. Egli guarda senza ostilità l'operazione Palestina Sarà tuttavia sempre contro il Sionismo politico, che apparirà, per il momento, come una causa per la quale non ci può infiammare. Le discussioni accese tra sionisti e antisionisti si sono raffreddate» (43).
Henry Monsky, eletto presidente del B'naï B'rith nel 1938, approfittò della seconda guerra mondiale per rilanciare l'Eretz Israel e dal 1941 rimase in stretto contatto con i principali dirigenti sionisti. Il B'naï B'rith nel 1942 approvò il programma di Baltimora.
Il 29 agosto 1943 si tenne una storica riunione dell'Ebraismo americano, voluta da Monsky, alla quale erano presenti sessantaquattro organizzazioni nazionali ebraiche, con cinquecentoquattro delegati - di cui almeno duecento fratelli del B'naï B'rith - in rappresentanza di un milione e mezzo di ebrei. La riunione fu tuttavia boicottata da due tra le principali organizzazioni ebraiche antisioniste, il Comitato ebraico americano e il Comitato del lavoro ebraico.
Monsky fu correlatore della risoluzione a sostegno del programma di Baltimora, approvata quasi all'unanimità (408 voti contro 3), e divenne il presidente della nuova struttura ebraica unitaria, la Conferenza ebraica americana, che ebbe termine nel 1949, ma che fu rimessa in piedi nel 1955 da un organismo più modesto, la Conferenza dei presidenti delle grandi organizzazioni ebraiche, in seguito al riconoscimento dello Stato di Israele. Samuel Happerin ha scritto: «Pur non avendo mai ufficialmente avocato a sé l'ideologia sionista le azioni effettive del B'naï B'rith hanno compensato tutte le esitazioni. Per valutare l'aumento di potere del Sionismo americano bisogna tener conto in maniera preminente della guida, del numero dei membri e dell'assistenza finanziaria del B'naï B'rith» (44). Il B'naï B'rith non aveva infatti preso ufficialmente posizione in favore del Sionismo fino al 1947, volendo evitare ogni divisione in seno all'Ebraismo americano al cui interno permaneva una minoranza antisionista.

Il B'naï B'rith fa riconoscere Israele

È stato il "B'naï B'rith" che ha provocato il riconoscimento (de facto) dello Stato d'Israele da parte del presidente americano Harry Truman, che era ostile ad un riconoscimento rapido d'Israele, e che a causa del suo "ritardismo" veniva accusato dai dirigenti sionisti di essere un traditore. Nessuno dei leaders sionisti era ricevuto, in quei frangenti, alla Casa Bianca. Tutti, tranne Frank Goldman, presidente del "B'naï B'rith", che non riuscì però a convincere il Presidente. Allora Goldman telefonò all'avvocato Granoff, consigliere di Jacobson, amico personale del presidente Truman. Jacobson, un "B'naï B'rith", pur non essendo sionista, scrisse tuttavia un telegramma al suo amico Truman, chiedendogli di ricevere Weizmann (presidente del Congresso Sionista mondiale). Il telegramma restò senza risposta, allora Jacobson chiese un appuntamento personale alla Casa Bianca. Truman lo avvisò che sarebbe stato felice di rivederlo, a condizione che non gli avesse parlato della Palestina. Jacobson promise e partì. Arrivato alla Casa Bianca, come scrive Truman stesso nelle sue "Memorie": «Delle grandi lagrime gli colavano dagli occhi... allora gli dissi: "Eddie, sei un disgraziato, mi avevi promesso di non parlare di ciò che sta succedendo in Medio Oriente". Jacobson mi rispose: "Signor Presidente, non ho detto neanche una parola, ma ogni volta che penso agli ebrei senza patria (...) mi metto a piangere" () Allora gli dissi: "Eddie, basta". E discutemmo d'altro, ma ogni tanto una grossa lacrima colava dai suoi occhi (...) Poi se ne andò» (13).
Ebbene poco tempo dopo, Truman ricevette Weizmann in segreto e cambiò radicalmente opinione, decidendo di riconoscere subito lo Stato d'Israele. Così il 15 maggio 1948 Truman chiese al rappresentante degli Stati Uniti di riconoscere de facto il nuovo Stato. E quando il Presidente firmò i documenti di riconoscimento ufficiale d'Israele, il 13 gennaio 1949, i soli osservatori non appartenenti al governo degli Stati Uniti erano tre dirigenti del "B'naï B'rith": Eddie Jacobson, Maurice Bisyger e Frank Goldman.
È poi da ascrivere al B'naï B'rith il mutamento della politica americana riguardo alla questione palestinese: infatti se negli anni cinquanta essa era stata globalmente favorevole agli Arabi, essa cambiò rapidamente in seguito alle continue pressioni dell'Ordine sul governo americano per ottenere enormi aiuti economici e bellici in favore dello Stato di Israele.
Con la "guerra dei sei giorni" si assiste infine alla sionizzazione definitiva de facto e de jure del B'naï B'rith e dell'A.D.L.; «Questa vittoria miracolosa ha permesso un'identificazione tra ebrei e Stato di Israele, del tutto diversa da quanto era avvenuto agli albori di tale Stato. È in questo frangente che l'A.D.L. e il B'naï B'rith pongono come pietra di paragone l'asserto che l'antisionismo equivale all'antisemitismo» (45).

il Laicismo sionista

L'idea sionista di Teodoro Herzl è assolutamente laica e (46), come testimoniano le sue parole: (47).
(48).
Ma l'idea sionista era molto forte, al punto da rasentare in tanti fondatori di Israele l'indifferenza verso il genocidio, come denuncia lo storico israeliano Tom Segev nel suo libro Le septiem million (49), e come scrive Barbara Spinelli su La Stampa: (50). Anche Fiamma Nirestein qualche giorno prima aveva ricordato, sullo stesso quotidiano, che Ben Gurion aveva fatto affondare una nave carica di giovani militanti dell'Irgum, perché erano di ostacolo al riconoscimento dello Stato di Israele.
Vana era stata anche la speranza, di Teodoro Herzl, di ottenere un riconoscimento da parte della Santa Sede, nonostante l'incontro con San Pio X il 25 gennaio 1904, preceduto da quello con il cardinale Merry Del Val il 22. (51).

La conquista della Terra Santa

"Questo piano - scrive il Lémann - sembra essere stato adottato dai promotori del Sionismo. È così che l'infiltrazione lenta e dissimulata preparerebbe, a colpo sicuro, gli elementi costitutivi dello Stato ebraico in Palestina, fino al giorno in cui un avvenimento propizio ed improvviso [la seconda guerra mondiale, n.d.r.], permetterà al Sionismo, sia mediante un tentativo ardito, sia mediante un'abile diplomazia, di mettere definitivamente la mano sul suolo tanto desiderato di tutta la Giudea" (52).
Con la dissoluzione dell'Impero ottomano (durante la prima guerra mondiale) il mondo cattolico cominciò a sperare che la Palestina sarebbe tornata in mani cristiane: (53). E Pasquale Baldi, uno dei più noti studiosi della questione dei luoghi santi, così scriveva: «Oggi per un prodigioso combinarsi di eventi, che noi riteniamo provvidenziale, Italia, Francia, Inghilterra, tre nazioni che ebbero tanta parte nelle guerre sante, tengono Gerusalemme sotto il proprio dominio. Oggi a ragione dunque i cattolici di tutto il mondo possono attendersi che suoni finalmente l'ora della giustizia; che per i Santuari della Palestina si rinnovino gli splendori dell'era costantiniana, gli splendori del primo secolo delle crociate!» (54).
Ciò che della questione dei Luoghi Santi maggiormente colpì l'attenzione dell'opinione pubblica europea fu la loro liberazione dal dominio musulmano e poi le controversie delle diverse confessioni cristiane circa il loro possesso. La Santa Sede agì diplomaticamente in vista di questi due obiettivi principali, situare la Palestina nella sfera di controllo delle potenze cattoliche, e porre un riparo alle usurpazioni compiute dai greci ortodossi nel 1757 (55). Quando gli Stati dell'Intesa, ormai in procinto di vincere il conflitto, manifestarono un orientamento favorevole alla INTERNAZIONALIZZAZIONE della Terra Santa, il mondo cattolico pensò che il primo obiettivo fosse quasi raggiunto.
L'idea di affidare la Terra Santa ad un governo internazionale non era nuova, ma fu soltanto nel corso della prima guerra mondiale che queste proposte assunsero un carattere di attualità. Con la caduta del regime zarista cessò anche ogni possibilità di intervento russo-ortodosso in Medio Oriente. (56).
Il Vaticano tuttavia non riteneva che la soluzione di affidare il governo della Terra Santa ad un governo internazionale fossa la migliore; lo stesso card. Gasparri puntualizzò che alla S. Sede sembrava più corretto parlare di «carattere di nazionalità intendendo sottolineare che i luoghi santi, anziché essere sottoposti al governo di più nazioni, avrebbero dovuto essere sottratti al controllo di qualsiasi organismo politico ed affidati ad istituzioni religiose come la Custodia di Terra Santa. In questo contesto potrebbero trovare spiegazione le voci - non però confermate - relative all'eventualità di un governo pontificio in Palestina. Tuttavia la consapevolezza dell'impossibilità di tradurre in pratica questo progetto ne aveva impedito qualsiasi elaborazione concreta ed aveva indotto la S. Sede a ripiegare sull'ipotesi di un regime internazionale» (57).
«Dopo la prima guerra mondiale gli sforzi della Santa Sede si erano indirizzati nel senso di realizzare un progetto di riaffermazione del Cattolicesimo ispirato dal "proposito di procedere ad una cristianizzazione non soltanto degli individui, ma della società e degli Stati da compiere con tutti i mezzi" (58). La codificazione canonica del 1917, dominata dall'immagine della Chiesa come societas juridice perfecta, e la politica concordataria degli anni venti e trenta, volta a restituire alla Chiesa quelle funzioni pubbliche che le erano state sottratte in epoca liberale, costituirono le manifestazioni salienti di questo intendimento, cui era sottesa una ecclesiologia che mirava ad instaurare visibilmente il regno di Cristo in ogni sfera della vita umana, compresa quella politica» (59).
Tuttavia le speranze della S. Sede ebbero vita breve, perché tra il 1917 e il 1918 il quadro politico subì radicali cambiamenti che portarono all'accantonamento del progetto d'internazionalizzazione.
Vi fu quindi la famosa dichiarazione Balfour, che impegnava la Gran Bretagna a favorire la creazione di una Casa nazionale ebraica in Palestina. (60). Il cardinal Gasparri stesso, nel dicembre 1917, aveva detto al rappresentante diplomatico del Belgio che , aggiungendo anche: (61). Lo stesso pontefice Benedetto XV intervenne pubblicamente ed affermò che deprecava l'eventualità di un (62).
Il Papa temeva soprattutto che (63).
Il Consiglio supremo Alleato riunito a Sanremo nell'aprile del 1920 pose definitivamente fine alla speranza di una internazionalizzazione della Palestina assegnandone il controllo alla Gran Bretagna, proprio a quel paese, cioè, di cui la S. Sede diffidava maggiormente, non solo per il sostegno promesso alla causa sionista, ma anche per l'influenza che la chiesa anglicana avrebbe potuto esercitare in Terra Santa (64).

La Santa Sede e la "Teologia del Sionismo"

La Santa Sede vedeva nella dichiarazione Balfour per la creazione di una sede nazionale ebraica in Palestina la conferma del timore già espresso da Benedetto XV, che si intendesse cioè concedere agli ebrei in Palestina. Il cardinal Gasparri da parte sua, aggiungeva in una lettera ai timori prettamente religiosi espressi dal Pontefice, una nuova motivazione, la difesa delle "popolazioni indigene" e delle "nazionalità" minacciate dalle aspirazioni sioniste (65). (66).
L'Osservatore Romano si occupò ampiamente dei problemi della Terra Santa e del Sionismo, non sottovalutando affatto l'enorme importanza e la portata escatologica della questione sionista. «In Europa - scriveva il suo corrispondente da Gerusalemme - si è troppo facili, con una superficialità che irrita, a guardare al nuovo fenomeno semitico palestinese con aria scettica di compatimento. Ma la realtà è una sola: gli ebrei lavorano con eroica serietà di propositi L'eventualità di un argine da parte degli arabi non ha nessuna consistenza. La loro opposizione di prammatica non arresterà nemmeno di un passo l'avanzata del Sionismo» (67).
Da questa osservazione nascevano due linee interpretative, l'una privilegiava una lettura in chiave religiosa del Sionismo, giudicato un punto di passaggio verso "la conversione degli ebrei al Cristianesimo" (68); l'altra, invece, insisteva piuttosto sui pericoli che derivavano alla presenza cristiana in terra Santa, dal rafforzamento del Sionismo.
La Civiltà Cattolica si segnalò per aver dato una visione teologica del problema sionista, definendo chimerico il disegno perseguito dal Sionismo: (69), oltreché ingiusta, perché (70). Il Sionismo inoltre, per i gesuiti della Civiltà Cattolica, si mostra incapace di dare una risposta convincente al problema ebraico: (71). Soprattutto costituiva (72). Il rimedio proposto per riportare la pace in Palestina non sarà che (73).
Nel 1943 Mons. Tardini, Segretario per gli affari straordinari della Santa Sede, confermò tale visione teologica sul Sionismo, asserendo che (74).
La condanna dell'antisemitismo razzista e biologico espressa da Pio XI nel 1928 «non implicava in alcun modo l'adozione di orientamenti più favorevoli al Sionismo. Essa infatti nasceva dalla preoccupata reazione della S. Sede per il dilagare in Europa di movimenti e dottrine ispirati a principi di esasperato razzismo e nazionalismo, ma non presuppone alcuna revisione della tradizionale concezione cattolica che negava al popolo ebraico, dopo la venuta di Cristo, qualsiasi ruolo nella storia della salvezza, che non fosse quello di testimoniare, con le sue sofferenze, la verità della Rivelazione cristiana. "Dopo la morte di Cristo, Israele fu licenziato dal servizio della Rivelazione", disse nel 1933 l'arcivescovo di Monaco, card. Faulhaber» (75).
Nel 1938 La Civiltà Cattolica ribadì in modo più esteso la sua posizione: «Tutto il valore del Giudaismo era nella sua sola ragione di essere la preparazione dell'Avvento del Messia Venuto il Messia, in persona di Gesù Cristo, cessò necessariamente e automaticamente il valore del Giudaismo tutt'insieme, e quale popolo "eletto" e quale religione» (76).
(78).
Come aveva scritto L'Osservatore Romano «il Sacrificio di Cristo, voluto da un popolo che se ne proclamò responsabile per sé e per i suoi figli, nei secoli, davanti al giudice umano come a quello divino, costituiva di fronte alla storia e alla civiltà mondiale una tale prescrizione di qualsiasi diritto sulla terra promessa da non avere certo bisogno di invocare venti secoli ormai trascorsi a suo favore per essere ratificato da qualsiasi tribunale politico» (79). Su tale base di natura teologica si innestavano poi precise ragioni di ordine politico, che confermavano l'avversione al movimento sionista della Santa Sede, il cui obiettivo prioritario era quello di mantenere in mani cristiane il controllo dell'intera Palestina e per la quale il mandato britannico appariva il male minore a fronte della costituzione di due stati non cristiani in Terra Santa: (80).

...
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Re: Parké i todeski łi se ła ga ciapà tanto co łi ebrei?

Messaggioda Berto » ven apr 29, 2016 2:06 pm

Hitler sosteneva il sionismo?

https://www.facebook.com/dnobili/posts/ ... 68?fref=nf

Oggi Ken Livingstone, ex sindaco di Londra, è stato espulso dal partito laburista inglese, con la grave accusa di apologia del nazismo e antisemitismo. Noto per le sue posizioni anti-israeliane, ha affermato in un'intervista, che Adolf Hitler era un sostenitore del sionismo, prima di impazzire e finire con l'uccidere 6 milioni di ebrei.
In realtà, sebbene io nutra scarsa stima del personaggio, le sue dichiarazioni non sono completamente infondate e la sua espulsione, sulla base della mera " verità storica" , mi appare frettolosa.
Dopo l'avvento al potere di Hitler, la linea del partito sulla "soluzione al problema ebraico", era la migrazione di massa verso la Palestina; a tal proposito, per incoraggiare questa politica, furono avviati contatti con la Federazione Sionista della Germania. Il quotidiano del partito nazista "Der Angriff" fondato e controllato da Joseph Goebbels, pubblicò un reportage in dodici puntate di un viaggio in Palestina dell'ufficiale delle SS Leopold von Mildenstein, accompagnato dal dirigente sionista tedesco Kurt Tuchler. Nel reportage di propaganda sugli insediamenti sionisti, nella terra che poi sarebbe diventata Israele, si lodò la rinascita del nuovo popolo ebraico nella sue terra. Una medaglia celebrativa, con i due simboli, nazista e sionista sulle due facce, fu coniata da Goebbels e regalata ai lettori del giornale; si legge in tedesco:" Un nazista va in Palestina e racconta".
Queste vicende crearono la base per un accordo tra nazisti e sionisti, noto come "Haavara Agreement", in base al quale si facilitava l'emigrazione degli ebrei tedeschi in Palestina .L'accordo prevedeva il deposito di somme di denaro sulle banche tedesche, che poi sarebbero state investite per acquistare merci tedesche da esportare in Palestina. Sulla base di questo accordo, alcuni storici stimano che sono arrivati in Palestina, nella terra che poi sarà Israele, da 40.000 a 60.000 ebrei tedeschi; le transazioni equivalgono a circa di 14.000.000 di sterline dell’epoca!
Poi il "cambio di rotta": l'elaborazione e la pianificazione della soluzione finale, le deportazioni, i lager, le camere a gas e sei milioni di ebrei uccisi.
d.n.

PRECISAZIONE FONDAMENTALE ( dopo aver letto alcuni commenti): non si può dedurre che Hitler fosse sionista o che sostenesse ideologicamente il sionismo; meno che mai sposare l' equazione: sionismo = nazismo. Questo lo affermo, a scanso di equivoci, non perché io sia sionista, e lo rivendico con orgoglio, ma perché fu un accordo in base al quale quale sionisti e nazisti trassero dei vantaggi. Hitler stipulò anche un patto con i comunisti, Molotov-Ribbentrop, ma nessuno può dedurre che Hitler fosse comunista o che sostenesse il comunismo. Attenzione a come la storia può essere manipolata per fini propagandistici: non è questo l'intento del post.

Alcuni articoli sulla stampa israeliana:
https://www.kedem-auctions.com/he/node/10096
http://files.kedem-auctions.com/sale28/ ... ge161.html
http://www.malon.co.il/article.aspx?id=30747
http://files.kedem-auctions.com/sale43/ ... ge0148.pdf
https://he.wikipedia.org/wiki/%D7%94%D7 ... 7%A8%D7%94
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Re: Parké i todeski łi se ła ga ciapà tanto co łi ebrei?

Messaggioda Berto » lun mag 02, 2016 7:21 pm

Il violento libello Degli ebrei e delle loro menzogne, pubblicato nel 1543 da Lutero (1483-1546), è diventato celebre nel XX secolo - molto piú che nel XVI - per l'uso strumentale fattone dalla propaganda nazista.
Adriano Prosperi

http://www.einaudi.it/libri/libro/marti ... 8880619512

Nella riflessione apertasi dopo Auschwitz sulle responsabilità e sui precedenti della Shoah, la cultura e la società europea sono state costrette a fare i conti con la lunghissima storia dell'antiebraismo cristiano, e nel mondo protestante Lutero ha costituito un termine di confronto obbligato. I risultati della discussione intorno al rapporto tra l'antiebraismo di Lutero e il moderno antisemitismo, raccolti nell'apparato critico che accompagna questa traduzione condotta sulla prima edizione tedesca dell'opera, offrono la possibilità di verificare i termini reali della questione, stimolando cosí la presa di coscienza delle forme larvate di razzismo che hanno accompagnato la lunga storia dell'Europa cristiana.

«Lutero non è responsabile della Shoah... Il passato e il presente sono divisi da abissi profondi, i loro legami non sono quelli superficiali e grossolani che un facile e deresponsabilizzante determinismo è portato a vedere. Le differenze tra l'antiebraismo e poi antigiudaismo cristiano e l'antisemitismo razzista e nazifascista restano grandissime».





Martin Lutero e gli Ebrei
Posted on May 20, 2011

http://giacintobutindaro.org/2011/05/20 ... -gli-ebrei

Fratelli nel Signore, di Martin Lutero (1483-1546), il noto riformatore tedesco, c’è un aspetto fortemente da riprovare che è il suo odio verso gli Ebrei, che troviamo espresso nel suo libro Degli Ebrei e delle loro menzogne, da lui pubblicato nel 1543 e che secoli dopo sarà usato da Adolf Hitler per avvalorare e diffondere il suo odio verso gli Ebrei, tanto è vero che sotto l’Hitlerismo questo libro di Lutero ebbe diverse edizioni.

Ho ritenuto perciò opportuno farvi conoscere alcune delle cose che disse Lutero contro gli Ebrei, tratte dalla parte di questo libro che concerne le misure da adottare contro gli Ebrei, che sono persuaso lasceranno sbigottiti e sconcertati parecchi di voi per la stoltezza di Lutero, ma è doveroso che abbiate conoscenza di ciò.

—————————-
‘[Le misure da adottare] Io voglio dare il mio sincero consiglio.
In primo luogo bisogna dare fuoco alle loro sinagoghe o scuole; e ciò che non vuole bruciare deve essere ricoperto di terra e sepolto, in modo che nessuno possa mai più vederne un sasso o un resto. E questo lo si deve fare in onore di nostro Signore e della Cristianità, in modo che Dio veda che noi siamo cristiani e che non abbiamo tollerato nè permesso – consapevolmente – queste palesi menzogne, maledizioni e ingiurie verso Suo figlio e i Suoi cristiani. Perchè ciò che noi fino a ora abbiamo tollerato per ignoranza (io stesso non ne ero a conoscenza) ci verrà perdonato da Dio. Ma se noi, ora che sappiamo, dovessimo proteggere e difendere per gli ebrei una casa siffatta, nella quale essi – proprio sotto il nostro naso – mentono, ingiuriano, maledicono, coprono di sputi e di disprezzo Cristo e noi (come sopra abbiamo sentito), ebbene, sarebbe come se lo facessimo noi stessi, e molto peggio, come ben sappiamo.
Mosè scrive al XIII capitolo del Deuteronomio, che se una città pratica l’idolatria, bisogna distruggerla completamente col fuoco e non conservarne nulla. E se egli ora fosse in vita, sarebbe il primo a incendiare le sinagoghe e le case degli ebrei. Perchè ordinò molto severamente ai capitoli IV e XII del Deuteronomio di non togliere nè aggiungere niente alla sua legge. E Samuele dice al XV capitolo del I libro che non obbedire a Dio è idolatria. Ora, la dottrina degli ebrei non è altro che glosse di rabbini e idolatria della disobbedienza, cosicché Mosè è diventato del tutto sconosciuto presso di loro (come si è detto), proprio come per noi sotto il papato la Bibbia è diventata sconosciuta. E dunque anche in nome di Mosè le loro sinagoghe non possono essere tollerate, perché diffamano loro tanto quanto noi, e non è necessario che essi abbiano per una simile idolatria le loro proprie, libere chiese.
Secondo: bisogna allo stesso modo distruggere e smantellare anche le loro case, perché essi vi praticano le stesse cose che fanno nelle loro sinagoghe. Perciò li si metta sotto una tettoia o una stalla, come gli zingari, perché sappiano che non sono signori nel nostro Paese, come invece si vantano di essere, ma sono in esilio e prigionieri, come essi dicono incessantemente davanti a Dio strillando e lamentandosi di noi.
Terzo: bisogna portare via a loro tutti i libri di preghiere e i testi talmudici, nei quali vengono insegnate siffatte idolatrie, menzogne, maledizioni e bestemmie.
Quarto: bisogna proibire ai loro rabbini – pena la morte – di continuare a insegnare, perchè essi hanno perduto il diritto di esercitare questo ufficio, in quanto tengono prigionieri i poveri ebrei per mezzo del passo di Mosè, al XVII capitolo del Deuteronomio, nel quale egli ordina a quelli di obbedire ai loro maestri, pena la perdita del corpo e dell’anima; mentre invece Mosè aggiunge con chiarezza: in «ciò che ti insegnano secondo la legge del Signore».
……
Quinto: bisogna abolire completamente per gli ebrei il salvacondotto per le strade, perchè essi non hanno niente da fare in campagna, visto che non sono nè signori, nè funzionari, nè mercanti, o simili. Essi devono rimanere a casa.
……..
Sesto: bisogna proibire loro l’usura, confiscare tutto ciò che possiedono in contante e in gioielli d’argento e d’oro, e tenerlo da parte in custodia. E il motivo è questo: tutto quello che hanno (come sopra si è detto), lo hanno rubato e rapinato a noi attraverso l’usura, perchè, diversamente, non hanno altri mezzi di sostentamento.
……………
Settimo: a ebrei ed ebree giovani e forti, si diano in mano trebbia, ascia, zappa, vanga, canocchia, fuso, in modo che si guadagnino il loro pane col sudore della fronte, come fu imposto ai figli di Adamo, al III capitolo della Genesi. Perchè non è giusto che essi vogliano far lavorare noi, maledetti goijm, nel sudore della nostra fronte, e che essi, la santa gente, vogliano consumare pigre giornate dietro la stufa, a ingrassare e scorreggiare, vantandosi per questo in modo blasfemo di essere signori dei cristiani, grazie al nostro sudore. A loro bisognerebbe invece scacciare l’osso marcio da furfanti dalla schiena!
…..
Se però i signori non vogliono costringerli e non vogliono porre rimedio a questa loro diabolica ribellione, allora vengano espulsi dal Paese, come si è detto, e si dica loro di tornare alla loro terra e ai loro beni, a Gerusalemme, dove possono mentire, maledire, bestemmiare, deridere, uccidere, rubare, rapinare, praticare l’usura, dileggiare e compiere tutti questi empi abomini come fanno qui da noi
…..
A chi ora voglia ospitare, nutrire, onorare queste serpi velenose e piccoli demoni, ossia i peggiori nemici di Cristo Signore nostro e di tutti noi, e desideri farsi scorticare, derubare, saccheggiare, oltraggiare, deridere, maledire e desideri patire ogni male, raccomando sinceramente questi ebrei. E se non è abbastanza se la faccia anche fare in bocca, o gli strisci nel culo e adori questo luogo santo, poi si vanti di essere stato misericordioso, di avere rafforzato il diavolo e i suoi cuccioli, perchè possano bestemmiare il nostro amato Signore e il Suo prezioso sangue, per mezzo del quale noi cristiani siamo stati redenti. Così egli sarà dunque un cristiano perfetto, pieno di opere di misericordia, per le quali Cristo lo premierà nel giorno del giudizio – assieme agli ebrei – nell’eterno fuoco dell’inferno!
………
… venga loro proibito – sotto pena di morte – di lodare Dio, di rendere grazie, di pregare, di insegnare, presso di noi e nei nostri possedimenti. Possono farlo nella loro terra, e dovunque possano senza che noi cristiani lo sentiamo nè lo veniamo a sapere. La ragione è che le loro lodi, i ringraziamenti, le preghiere e gli insegnamenti, non sono altro che bestemmie contro Dio, maledizioni, idolatria, ….
….
Perciò, se io avessi potere su di loro, riunirei tutti i loro dotti e i migliori tra essi, e imporrei loro – pena il taglio della lingua fino alla radice – di convincere e persuadere, entro otto giorni, noi cristiani, dimostrando la veridicità delle loro infami menzogne contro di noi e cioè, nella fattispecie, che noi non adoriamo solamente l’unico, vero Dio.
……
Ai nostri governanti – se hanno ebrei sotto di sè – io auguro, e [anzi] li prego, di volere esercitare un’aspra misericordia verso questa gente miserabile, come sopra si è detto; e se volessero in qualche modo aiutarli (per quanto ciò sia difficile), dovrebbero fare come i bravi medici: quando la cancrena è arrivata nelle ossa, essi agiscono senza misericordia e tagliano, amputano, bruciano la carne, le vene, le ossa e il midollo. Così si faccia anche in questo caso. Si brucino le loro sinagoghe, si proibisca tutto ciò che ho elencato prima, li si costringa a lavorare, ci si comporti con loro senza alcuna misericordia, come fece Mosè nel deserto quando ne uccise tremila, perchè non si corrompesse l’intero popolo. Essi davvero non sanno quello che fanno, e in più, come le persone possedute [dal demonio], non vogliono sapere, nè ascoltare, nè imparare. Perciò con loro non si può usare alcuna misericordia, per non rafforzarli nella loro condotta. Se questo non dovesse servire allora dovremmo cacciarli come cani rabbiosi, per non essere partecipi delle loro orribili empietà e di tutti i loro vizi, e per non meritare, insieme a loro, l’ira di Dio e la dannazione. Io ho fatto il mio dovere: qualcun altro, ora, veda di fare il suo ! Io no ho colpa’ (Martin Lutero, Degli Ebrei e delle loro menzogne, Einaudi, 2008, pag. 188-189, 190, 191, 192, 195, 201, 203, 213, 217-218, 221-222)

————————-

Che dire? Martin Lutero nel parlare in questa maniera insensata nei confronti degli Ebrei disubbidienti mostrò di avere dimenticato quello che deve essere il nostro comportamento nei confronti dei nostri nemici.

Ascoltate infatti quello che ci ha insegnato Gesù: “Voi avete udito che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico: Non contrastate al malvagio; anzi, se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l’altra; ed a chi vuol litigar teco e toglierti la tunica, lasciagli anche il mantello. E se uno ti vuol costringere a far seco un miglio, fanne con lui due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un imprestito, non voltar le spalle. Voi avete udito che fu detto: Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico. Ma io vi dico: Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figliuoli del Padre vostro che è nei cieli; poiché Egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Se infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete? Non fanno anche i pubblicani lo stesso? E se fate accoglienze soltanto ai vostri fratelli, che fate di singolare? Non fanno anche i pagani altrettanto? Voi dunque siate perfetti, com’è perfetto il Padre vostro celeste” (Matteo 5:38-48); “Amate i vostri nemici; fate del bene a quelli che v’odiano; benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che v’oltraggiano … Siate misericordiosi com’è misericordioso il Padre vostro” (Luca 6:27-28, 36).

Come si può vedere, in base alle parole di Gesù Cristo, la nostra condotta verso i nostri nemici – siano essi Ebrei o Gentili – deve essere caratterizzata dall’amore e dalla misericordia, mentre Lutero incitava ad odiare gli Ebrei e ad essere spietati nei loro confronti.

Peraltro, Lutero con quelle stolte parole contro gli Ebrei ha violato anche un comandamento dato dall’apostolo Paolo a noi Gentili, che è quello di non insuperbirci nei confronti degli Ebrei disubbidienti, secondo che l’apostolo dice ai santi di Roma: “Ma io parlo a voi, o Gentili: In quanto io sono apostolo dei Gentili, glorifico il mio ministerio, per veder di provocare a gelosia quelli del mio sangue, e di salvarne alcuni. Poiché, se la loro reiezione è la riconciliazione del mondo, che sarà la loro riammissione, se non una vita d’infra i morti? E se la primizia è santa, anche la massa è santa; e se la radice è santa, anche i rami son santi. E se pure alcuni de’ rami sono stati troncati, e tu, che sei olivastro, sei stato innestato in luogo loro e sei divenuto partecipe della radice e della grassezza dell’ulivo, non t’insuperbire contro ai rami; ma, se t’insuperbisci, sappi che non sei tu che porti la radice, ma la radice che porta te. Allora tu dirai: Sono stati troncati dei rami perché io fossi innestato. Bene: sono stati troncati per la loro incredulità, e tu sussisti per la fede; non t’insuperbire, ma temi. Perché se Dio non ha risparmiato i rami naturali, non risparmierà neppur te. Vedi dunque la benignità e la severità di Dio; la severità verso quelli che son caduti; ma verso te la benignità di Dio, se pur tu perseveri nella sua benignità; altrimenti, anche tu sarai reciso. Ed anche quelli, se non perseverano nella loro incredulità, saranno innestati; perché Dio è potente da innestarli di nuovo. Poiché se tu sei stato tagliato dall’ulivo per sua natura selvatico, e sei stato contro natura innestato nell’ulivo domestico, quanto più essi, che son dei rami naturali, saranno innestati nel loro proprio ulivo?” (Romani 11:13-24).

Concludo dicendo che Martin Lutero con queste sue parole stolte ha fortemente disonorato la dottrina di Dio, e per questo porterà la pena della sua stoltezza. Per cui, badate a voi stessi, e non seguite le orme di Lutero.

Chi ha orecchi da udire, oda

Giacinto Butindaro
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Re: Parké i todeski łi se ła ga ciapà tanto co łi ebrei?

Messaggioda Berto » gio lug 14, 2016 10:16 am

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Parké i todeski łi se ła ga ciapà tanto co łi ebrei?

Messaggioda Berto » ven ago 12, 2016 8:45 am

I “semi” luterani nell'assolutismo e nel totalitarismo
di Francesco Agnoli

http://lanuovabq.it/it/articoli-i-semi- ... -16662.htm

Si avvicinano i Cinquecento anni dall'affissione delle famose tesi di Martin Lutero. Sarà allora interessante ricordare cosa significò la riforma protestante, anche dal punto di vista politico.

Per farlo la Nuova BQ ha intervistato il professor Rocco Pezzimenti, laureato in Scienze Politiche ed in Filosofia, già docente presso la Facoltà di Scienze Politiche della LUISS e all’Università degli Studi del Molise. Oggi Pezzimenti è Direttore del Dipartimento di Scienze Economiche, Politiche e delle Lingue Moderne della Lumsa.

Professore, il concetto di pessimismo antropologico di Lutero, unito all’idea del servo arbitrio, fanno del monaco tedesco un avversario della concezione antropologica che va da Aristotele (l’uomo come animale politico) a tutta la filosofia cristiana (l’uomo capace di bene, di amore per il prossimo, con l’aiuto della grazia divina). Perché questa visione antropologica ha conseguenze politiche?

Questa visione antropologica ha conseguenze politiche perché è il presupposto dell’assolutismo moderno.
Il pessimismo antropologico è alla base del pensiero che va da Machiavelli a Hobbes passando per tanti altri. È davvero curioso che il Rinascimento, e in genere tutta la prima modernità, mentre presenta un ottimismo quasi sfrenato, che pervade le scienze e le arti in genere, non riesca a dare alla politica quella centralità che, invece, riserva all’uomo ogni altro campo del sapere. La riflessione politica del Cinquecento, Seicento e, nell’Europa continentale, per buona parte del Settecento, è tutta pervasa da un acceso pessimismo, frutto di un crescente clima di insicurezza, che determina riflessioni o utopistiche o assolutistiche. La ragione di tutto ciò, contrariamente a quanto si ripete ormai da tempo in modo acritico, credo vada ricercata nelle Riforme, in tutte le Riforme, che ruppero quell’unità ideale, sulla quale si reggeva da secoli l’Europa, generando un clima di sospetti reciproci e, quindi, di insicurezza, che favorirono il sorgere e l’affermarsi dell’assolutismo visto come sistema politico capace di dare sicurezza e protezione, anche a costo di rinunciare alle più elementari libertà. Il sovrano assoluto viene così visto come il dio artificiale capace di assicurarci la vita. A questo sovrano, in cambio, si deve la più cieca obbedienza. Tutte le teorie sulla resistenza al tiranno e persino la possibilità del tirannicidio, fiorite in tutto il Medioevo, sembrano di colpo dimenticate.

Lutero, eliminando la Chiesa cattolica, sottomette il potere religioso al potere politico. Per contrastare l’autorità religiosa del papa, esalta e assolutizza il potere temporale; per avere il potere dei principi tedeschi, ingrandisce enormemente il loro potere. È così?

È così. Diciamo pure che questa è la logica conseguenza dell’eliminazione del dualismo tardo-antico e medievale tra politica e religione. Eliminando il potere religioso non rimane che il potere del principe che non trova nessuna autorità in grado di contrastarlo. Anzi, il potere politico, inglobando in sé anche ogni prerogativa di tipo religioso, annulla persino la libertà di coscienza. Questa, infatti, non trova più alcuna autorità in grado di sostenerla e perde ogni riferimento al quale ancorarsi. Si elimina così persino la possibilità dell’obiezione di coscienza.

L’episodio che più evidenzia questa nuova concezione del potere è la rivolta dei contadini, in seguito alla quale Lutero invita i principi all’uso della violenza: “Verso i contadini testardi, caparbi e accecati, che non vogliono sentir ragione, nessuno abbia un po’ di compassione, ma percuota, ferisca, sgozzi, uccida come fossero cani arrabbiati…”. Cosa è accaduto?

È accaduto che Lutero vedeva nella rivolta contadina la ribellione a quei principi che avevano appoggiato la sua Riforma. Una vittoria di quei disperati avrebbe potuto compromettere i risultati ottenuti dalla sua lotta e, per questo, vi si oppose. Lutero dimostra qui tutta la sua intolleranza. Sembra voler mantenere il monopolio della ribellione verso il Papato non rendendosi conto che, una volta rifiutata l’autorità religiosa, invitava chiunque a fare altrettanto, anche verso la sua riforma. Anche se non gli stava bene, questo fu, in fondo, il presupposto dal quale partirono tutti gli altri riformatori. Fu così che si generarono sette a ripetizione e che si frantumò, in modo irreparabile, l’unità del Cristianesimo.

L’intransigenza cui Lutero invita il potere politico, è la stessa che adotta nei confronti dei suoi oppositori. Ad Erasmo, nel De Servo arbitrio, spiega di avere ragione lui, senza alcun dubbio, nell’interpretare le Sacre Scritture. Lutero legge bene, Erasmo male. Altrove afferma: “Io non ammetto che la mia dottrina possa essere giudicata da alcuno, neanche dagli angeli. Chi non riceve la mia dottrina non può giungere alla salvezza”. C’è contraddizione tra il libero esame (ognuno può legger la Bibbia senza l’ausilio della Chiesa) e questo atteggiamento iperdogmatico?

Direi di no. Lutero sembra essere consequenziale. Quello che egli definisce il libero esame è il suo libero esame ed è chiaro che il suo è un dogmatismo pari a quello che, secondo lui, pretendevano di avere gli altri riformatori. Accettarli, significava accettare altre vie e possibilità di salvezza e soprattutto avrebbe significato la possibilità di essere giudicato, assieme alla sua dottrina, da altri. Paradossalmente Lutero vuole per sé quel privilegio che, invece, voleva togliere alla Chiesa. Come questa ribadiva extra Ecclesia nulla salus, egli affermava “Chi non riceve la mia dottrina non può giungere alla salvezza”. Solo che la Chiesa sosteneva la sua presa di posizione in base alla sua tradizione e in base all’eredità raccolta dagli apostoli; Lutero, invece, appoggiava questa sua presa di posizione unicamente sulla sua ribellione. Giunti a questo punto, occorre chiarire un argomento cruciale sul quale c’è ancora molta confusione. Un certa cultura antireligiosa sostiene che, con la sua ribellione, Lutero sia alla base della modernità. Ma questo, era proprio quanto egli non voleva. Per fondare la sua Riforma, sostenne che la Chiesa era diventata troppo “moderna” e che occorreva tornare alle origini che, peraltro, da un punto di vista dogmatico non ritrovò. La Chiesa, che non a caso si definisce semper reformanda, era al passo con i tempi ed era questo che non stava bene a Lutero.

Qual è l’effetto della riforma protestante al livello geopolitico?

A livello geopolitico gli effetti della Riforma furono devastanti. Non solo si determinò una spaccatura in Europa che causò circa due secoli di guerre di religione, ma tale frattura finì per ripercuotersi nel mondo intero, vista la penetrazione coloniale che le potenze europee ebbero negli altri continenti.

Dopo Lutero, Thomas Hobbes in Inghilterra e poi Hegel in Germania: c’è un filo rosso che porta dalla politica di Lutero all’assolutismo?

È questo un punto assai controverso tra gli studiosi. Personalmente penso che il filo rosso di cui lei parla ci sia anche se, per una serie di motivi assai complessi, in Inghilterra il pluralismo religioso, pure grazie alla presenza dei cattolici, sopravvisse determinando anche una ripresa degli ideali liberali. In Germania, invece, la frattura fu più accentuata e la stessa storia politica ne risentì. Non possiamo certo dimenticare che proprio dal paese di Lutero, oltre a venire la prima giustificazione dell’assolutismo, verranno poi le premesse teoriche dei totalitarismi contemporanei. Certo, ho la piena consapevolezza che non tutta la cultura tedesca sia responsabile di ciò – non dimentico quell’altro filo conduttore che va da Schiller a Mann – ma non posso dimenticare quello che lo storicismo dialettico ha significato per la cultura contemporanea per la sua rigidità e intolleranza.

Molti storici hanno messo in luce un fatto: che i protestanti tedeschi, molto più numerosi e forti dei cattolici, tardarono ben più di costoro ad accorgersi di cosa il nazismo fosse davvero. Tanto che, non pochi di essi, in principio, appoggiarono Hitler. Scrive Emilio Gentile: “Più propense a schierarsi con il nazionalsocialismo, con la sua concezione della nazione e dello Stato e con il suo antisemitismo, erano le chiese luterane, vincolate per secolare tradizione all’obbedienza al potere statale quale espressione della volontà divina”. C’è davvero un legame tra l’idea di nazione e di Stato di Lutero e l’ideologia nazista?

In base a quanto detto sin qui, negare questo legame equivarrebbe a sostenere che Hitler sia quasi il frutto di un caso o di un perverso miracolo. In politica, io non credo né all’uno né all’altro. Le cause del nazismo sono così tante ed evidenti che nessuno può dire che si sia generato all’improvviso. In parte della filosofia tedesca, si pensi a Fichte, c’è la convinzione che Lutero sia il prototipo della nazione tedesca. Queste affermazioni, peraltro ripeto non condivise da tanta cultura tedesca, devono, comunque, farci riflettere. Per quanto riguarda l’inizio della domanda, va ricordato che non sono pochi gli uomini di cultura tedeschi, e tra questi ricordo Mann, che lodarono la resistenza al nazismo operata da tanti cattolici tedeschi.

Infine, qual è il rapporto “giusto” tra potere temporale e potere religioso per la Chiesa?

La risposta a questa domanda, quanto mai attuale e importante, ci viene da tutta la riflessione filosofica e politica cristiana. Dalle due città agostiniane e dagli scritti di Giovanni di Salisbury alla riflessione tomista sino a quella di Rosmini. Si tratta di un dualismo necessario che cerca di limitare i possibili abusi e estremismi nei quali può cadere ogni singola parte. L’abolizione di questo dualismo è dovuto sicuramente alle riforme, ma giova ricordare che, anche nei paesi cattolici, si è fatto di tutto per mettersi su questa strada. Voglio ricordare che, quando nell’Ottocento si formulò la famosa espressione libera Chiesa in libero Stato, non furono pochi i pensatori cattolici, da Montalembert a Newman, che la criticarono. Per garantire un reale dualismo, si sarebbe dovuto dire libera Chiesa e libero Stato. Era solo una congiunzione, ma faceva una grande differenza e, mi sembra, che le conseguenze di tale differenza le abbiamo ora sotto gli occhi.





La libertà deviata che ha animato Lutero
di Angela Pellicciari11-06-2016

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-la- ... -16449.htm

Libertà e uguaglianza: le due parole che hanno fatto la storia moderna hanno Lutero come padre. Solo che bisogna intendersi sul loro significato. Libertà? A Lutero interessa quella dei principi. Papa e vescovi non obbediscono alla sua idea di riforma? Bene, vuol dire che la riforma la faranno i principi da lui investiti dell’autorità spirituale. La libertas ecclesiae scompare? Che importa, trionfa il vero vangelo di Gesù Cristo così come insegnato alla suola di Wittenberg, definita propria della “Chiesa cattolica di Cristo”.

L’uguaglianza va ristabilita: sacerdozio universale. Papi, vescovi, abati, religiosi, vanno azzerati. Lutero stabilisce che le ricchezze da loro amministrate (si calcola che la chiesa imperiale possedesse un terzo della ricchezza nazionale) vadano regalate ai principi. I cavalieri si ribellano perché vogliono parte del bottino tanto miracolosamente piovuto dal cielo? I cavalieri vanno combattuti così come i contadini. A loro riguardo Lutero stabilisce: “Chiunque lo possa deve colpire, strozzare, accoppare in pubblico o in segreto, convinto che non esiste nulla di più velenoso, nocivo e diabolico di un sedizioso, appunto come si deve accoppare un cane arrabbiato, perché, se non lo ammazzi tu, esso ammazzerà te e tutta la contrada con te”.

Qualche anno più tardi il più grande rivoluzionario del secondo millennio ammetterà la sua responsabilità nell’eccidio: “Nella sollevazione io ho ammazzato tutti i contadini, tutto il loro sangue è sul mio collo. Ma io lo rovescio su nostro Signore Iddio; egli mi ha imposto di parlare in modo siffatto”. Sì, perché il predicatore della libertà nega il libero arbitrio. Quindi nega la responsabilità individuale e “rovescia” tutto sulle spalle di nostro Signore. Paragonare, come alcuni fanno, Lutero a Francesco d’Assisi è quasi blasfemo.

Per Lutero la libertà è libertà da Roma. Perché a Roma c’è l’anticristo. Questa convinzione è tanto radicata nel monaco agostiniano da ripeterla dal 1520 –praticamente dall’inizio della sua campagna antiromana- fino alla morte. “Asino, cane, re dei ratti, coccodrillo, larva, bestia, drago infernale, escremento del diavolo, porco epicureo”: questi alcuni degli epiteti che Lutero riserva ai successori di Pietro. Lutero affianca l’allegra spensieratezza delle parole alla pesantezza delle immagini. Come tutti i rivoluzionari vuol far nuove tutte le cose, culto compreso. Una spietata iconoclastia purifica le chiese dalle incrostazioni idolatriche del culto cattolico: statue, affreschi, mosaici, croci, oggetti di culto di varia natura, paramenti, tutto distrutto. Se nelle chiese resta il vuoto, nelle case private Lutero vuole siano ben visibili, per la loro preziosa funzione pedagogica, un nuovo tipo di icone progettate in collaborazione con Lucas Cranagh il Vecchio. Si tratta di xilografie che mostrano al popolo, al popolo ignorante che non sa ben orientarsi, quale sia la vera natura del papa, della chiesa cattolica, degli ordini religiosi: immagini oscene, di rara violenza, che serviranno da falsariga ai rivoluzionari francesi.

Lutero uomo della misericordia? A parte quella mostrata nei confronti della chiesa di Roma e dei contadini, c’è anche la misericordia riservata agli ebrei: misericordia che farà scuola nella Germania strappata alla tradizione romana. Tre anni prima della morte, nel 1543, Lutero scrive Degli ebrei e delle loro menzogne e offre ai principi sette “consigli salutari” su come comportarsi nei loro confronti. Ne riportiamo tre:

- primo: “è cosa utile bruciare tutte le loro Sinagoghe, e se qualche rovina viene risparmiata dall’incendio, bisogna coprirla di sabbia e fango, affinché nessuno possa vedere più nemmeno un sasso o una tegola di quelle costruzioni”;
-secondo: “siano distrutte e devastate anche le loro case private. Infatti, le stesse cose che fanno nelle Sinagoghe, le fanno anche nelle case”;
-settimo: “sia imposta la fatica ai Giudei giovani e robusti, uomini e donne, affinché si guadagnino il pane col sudore della fronte”.

Divisione della cristianità, odio per Roma e la sua tradizione, odio per gli ebrei, dilapidazione dell’immenso patrimonio della chiesa tedesca, settarismo, pauperismo, guerre civili, utilizzo spregiudicato della storia ad uso di una propaganda menzognera, totalitarismo fino ad allora sconosciuto nelle nazioni cristiane, disprezzo per il popolo, nazionalismo esasperato. Queste alcune delle conquiste attribuibili alla riforma. Avremmo sperato che fossero i luterani a tornare a Roma, contenti che l’odio verso Pietro, nonostante tutto, non abbia prevalso. Contenti di tornare a casa. Come da qualche anno hanno ricominciato a fare gli anglicani.


Alberto Pento
Il confronto tra il cattolicesimo e il protestantesimo è la lotta tra l'imperialismo cattolico romano, erede di quello dell'impero romano terminato nel 476 d.C., e tutte quelle forze locali che volevano, sognavano di liberarsi da questo giogo imperiale romano prima e cattolico romano poi.
Questa lotta inizia già alla fine dell'impero romano d'occidente quando inizia ad imporsi il vescovo di Roma come erede spirituale del vecchio imperatore romano, su tutti gli altri vescovi italici, mediterranei, europei (per la verita questa lotta egemonica tra i vescovi inizia secoli prima quando l'impero romano assume il cristianesimo come religione di stato; la si trova anche nel conflitto tra Roma e Bisanzio, nello scisma dei tre capitoli; nelle varie lotte tra i vescovi dell'impero); e continua con la lotta per la supremazia tra il potere ecclesiale e il potere statale al tempo di Carlo Magno (cesaropapismo) e continua durante il Sacro Romano Impero (guelfi e ghibellini) e via via prosegue con Lutero, la ritroviamo nella lotta tra la Roma papale e la Venezia Serenissima (vedasi scomuniche e Paolo Sarpi), ed è tutt'ora in corso anche ai nostri giorni.
Anche per me come per Lutero e Calvino è importante Via da Roma in tutti i sensi; ma a differenza di Lutero io non odio ma amo gli ebrei e non sono più cristiano essendo divenuto aidolo (senza gli idoli delle religioni ma con D-o della spiritualità naturale) e non ateo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Parké i todeski łi se ła ga ciapà tanto co łi ebrei?

Messaggioda Berto » mar gen 31, 2017 11:26 pm

Intervista a Georges Bensoussan sul negazionismo
INTERVISTA A GEORGES BENSOUSSAN
di Lanfranco Di Genio
pubblicata originariamente sulla rivista "Una Città di Forlì"

http://www.informazionecorretta.it/main ... 0&id=23850

Georges Bensoussan è uno storico francese, direttore della "Revue d’histoire de la Shoah", pubblicazione del Centre de Documentation Juive Contemporiane di Parigi.

Georges Bensoussan ha pubblicato : "Génocide pour Mémoire" ed. Plon 1989, "L’Eredità di Auschwitz, come ricordare?" ed. Einaudi 2002; "Sionismo. Una storia politica e intellettuale"

L’ultimo numero della rivista che lei dirige a Parigi, "La Revue d’Histoire de la Shoah", ha come tema "Négationnisme et antisémitisme dans le monde arabo-musulman: la dérive". Sfogliando le pagine si delinea un quadro molto inquietante e potenzialmente pericoloso. Si tratta di un fenomeno recente ?

Questo antisemitismo arabo-musulmano è esasperato dal conflitto ma non è nato a causa del conflitto. Esisteva già prima del 1948 e ancora prima della nascita del sionismo, anche se non in forma così violenta, da pogrom, come è avvenuto in Polonia o in Russia per esempio. Esisteva però una cultura del disprezzo che la nascita del sionismo, e in seguito dello Stato d’Israele hanno esasperato. La nascita del sionismo e la creazione dello Stato israeliano sono due eventi incomprensibili, nel senso che un popolo considerato da sempre come vile, codardo sottomesso possa edificare di punto in bianco uno Stato, in una terra considerata esclusivamente araba, e che possa inoltre imporsi, in numerose occasioni, come vincitore nelle varie guerre che si sono succedute nel corso di questi anni, tutto questo è incomprensibile.

L’antisemitismo musulmano affonda le sue radici ancor prima della nascita dello stato di Israele ed è riconducibile alla figura del Dhimmi, l’ebreo suddito all’interno degli stati arabi. E’ risaputo che questo statuto di Dhimmi intendeva relegare perennemente gli Ebrei – come anche i cristiani che vivono in Medio Oriente - in una situazione di sudditanza, all’interno del mondo arabo. Ovviamente, la nascita dello stato di Israele ha messo in crisi questo modello, obbligando gli Arabi a misurarsi con gli Ebrei da pari a pari. Tuttavia è da una trentina d’anni, che l’antisemitismo arabo ha compiuto una svolta diabolica, soprattutto dopo la guerra dei sei giorni, che per il mondo arabo è stata un grosso trauma. Com’è possibile, che un piccolo paese come Israele, composto da un popolo di Dhimmi, da sempre sottomessi, abbia potuto sconfiggere la coalizione araba? Essendo stati sconfitti, non una volta, ma più volte, questi ripetuti fallimenti sono diventati incomprensibili. Questa incomprensione, di fronte alla sconfitta ha generato, anche nel mondo arabo, la teoria del complotto ebraico mondiale, collegandosi, in questo modo, alla medesima teoria del complotto di stampo occidentale, recuperando e integrando nel proprio immaginario il famoso falso storico I protocolli dei Savi di Sion. Tuttavia l’antisemitismo musulmano ha origini proprie; per esempio nel Corano vi sono molteplici invettive contro gli Ebrei traditori. Nonostante i legami con l’antisemitismo occidentale, l’antisemitismo musulmano, non è stato importato dagli occidentali, tranne che in un caso. La Chiesa cristiana ha, all’inizio del 19° secolo, esportato in Medio Oriente alcuni schemi dell’antisemitismo cristiano, come il sacrificio rituale di bambini cristiani o l’avvelenamento dell’acqua. Tra le piccole comunità cristiane, presenti nei paesi mediorientali, troviamo questi aspetti dell’antisemitismo cristiano. Purtroppo però, negli ultimi anni, si è assistito ad un’islamizzazione di temi e argomenti ricorrenti nell’antisemitismo occidentale. Un altro punto in comune è costituito dalla Shoah. Mi spiego. Dopo la Shoah, il termine antisemitismo, nel mondo occidentale, è diventato un termine tabù, tabù che per il mondo arabo è privo di senso. Attualmente però l’antisemitismo musulmano, svincolato da sensi di colpa, sta contribuendo a scardinare questo tabù e a liberare la parola "antisemita".

La Shoah rappresenta un ostacolo per la legittimazione dell’antisemitismo?

Sì, per forza di cose. La Shoah, nel mondo cristiano, è il senso di colpa, ma nel mondo arabo non vi è alcun senso di colpa, perché loro non si sentono, giustamente, colpevoli di nulla. Quindi, se in Occidente questo senso di colpa frena le tendenze antisemite, nel mondo arabo invece, e in particolare fra i Musulmani che vivono in Europa, questo senso di colpa non svolge alcun ruolo, perché è loro del tutto estraneo. Per loro il discorso antisemita è del tutto libero e privo di ostacoli. Questa libertà stimola il discorso e le tendenze antisemite occidentali e, soprattutto qui in Francia, rinvigorisce l’antisemitismo francese che, pur essendo minoritario, è sempre presente. In Francia l’antisemitismo francese fa leva sull’antisemitismo arabo, esprimendosi però sotto una forma più velata. Per esempio, attraverso la delegittimazione dello stato di Israele; questo antisemitismo si manifesta non attraverso una critica della politica israeliana, ma contestando il sionismo. Sono due cose estremamente diverse. Contestare la politica israeliana è perfettamente legittimo e plausibile, contestare il sionismo è direttamente legato all’antisemitismo, in quanto il sionismo è un movimento di liberazione di un popolo. Se si contesta questo diritto ad un popolo, rifiutandogli il diritto all’autodeterminazione e alla creazione di una propria nazione, e se si contesta questo diritto solo al popolo ebraico, e non agli altri, allora si fa un discorso puramente antisemita. Questo tipo di politica è, per forza di cose, una politica antisemita, perché vuol negare a questo popolo – e solo a questo popolo - il diritto di essere un popolo, per relegarlo ad una semplice espressione religiosa. Il popolo ebraico ha il sentimento e la coscienza di essere un popolo, e quindi deve essere considerato tale.

Shoah, antisemitismo e negazionismo sono quindi strettamente legati tra loro.

Sempre e comunque la Shoah rappresenta un ostacolo e, ovviamente, il negazionismo è strettamente coinvolto in questo discorso. Se si riuscisse a dimostrare che la Shoah non è mai avvenuta, l’ostacolo sarebbe rimosso. Per diversi anni il mondo arabo ha tentato di dimostrare che la Shoah non era mai avvenuta, ma che era una semplice invenzione dei sionisti; oggi non si fa quasi più questo discorso, non si nega più la Shoah, perché non incontrerebbe alcun eco in Occidente, e quindi si è cambiata strategia. Oggi, la linea dominante è di riconoscere che la Shoah è avvenuta, ma proprio perché avvenuta gli ebrei dovrebbero comportarsi in un altro modo, e non come dei nazisti. In altre parole, siccome voi Israeliani avete subito la Shoah, nel nome stesso della Shoah non avete il diritto di comportarvi in questo modo, e cioè di comportarvi come dei sionisti. Il discorso, però, va ancora oltre. Agli israeliani viene detto: se vi ostinate a volere uno stato proprio e a continuare ad essere dei sionisti, siete sulla stessa linea di Hitler, perché è stato Hitler, attraverso la persecuzione, a fare di voi un popolo e quindi, continuando a definirvi come un popolo, in fondo siete ciò che Hitler voleva che voi foste. Ma, siccome voi siete solo una religione, e non un popolo, dovreste rinunciare ad uno stato ebraico, dal momento che non esiste né uno stato cristiano, né uno stato musulmano in quanto tali. Se persistete nel volere un vostro stato, siete allo stesso livello dei nazisti. In nome della Shoah, dovreste staccarvi dal sionismo.

E’ questo un discorso molto complesso e molto perverso. Il fatto di aver islamizzato alcuni schemi dell’antisemitismo occidentale – quelli che si tenevano fino al 1945 - è anche una conseguenza della crisi profonda in cui versa il mondo arabo, il quale accusa e ritiene gli Ebrei quali principali responsabili di tutti i mali che lo affliggono. Si tratta però di un’evoluzione recente. 30 o 40 anni fa non era così. Io credo che la grande svolta sia avvenuta nel 1967, dopo la sconfitta cocente che gli arabi hanno subito. Per il mondo arabo questa sconfitta è stato un vero e proprio trauma; in sei giorni tre eserciti sono stati sconfitti da un manipolo di persone considerate sino ad allora come degli essere meschini e vigliacchi. Non solo sono stati sconfitti ma hanno addirittura subito una controffensiva che ha portato l’esercito israeliano a 100 km dal Cairo. Da questo momento in poi nel mondo arabo si è cominciato a costruire una logica per spiegare tale sconfitta, e cioè come mai il mondo arabo così valoroso e potente abbia potuto essere battuto da un nugolo di vermi. Oggi, gli israeliani sono visti come un esercito potente ma non era affatto così 30/40 anni fa. Basti guardare le caricature della stampa araba degli anni ‘50 e ‘60 in cui l’ebreo veniva rappresentato, secondo il classico stereotipo occidentale antisemita, come un essere gracile, malaticcio, pauroso e quindi totalmente inoffensivo. Nel 1967 tutto questo immaginario collettivo viene clamorosamente smentito, e da allora si comincia ad elaborare una teoria del complotto in cui l’ebreo diventa l’espressione di un potere malefico e mostruoso i cui tentacoli sono onnipresenti. Le successive sconfitte militari non fanno altro che accentuare e sviluppare questo nuovo arsenale ideologico. In particolare, la guerra del 1973 lanciata da due eserciti arabi in piena festa religiosa ebraica (festa del Kippour), rappresenta una delle vittorie militari israeliane, strategicamente più brillanti, tant’è che viene studiata nelle scuole militari europee. La vittoria del 1973 è un esempio di come si possa ribaltare a proprio a favore un confronto bellico partendo da una situazione iniziale di forte debolezza. Questo particolare viene oggi trascurato, come ci si dimentica delle notevoli perdite subite che, pur essendo state pesanti da entrambe le parti, per quanto riguarda l’esercito israeliano (3000 morti e 22.000 feriti gravi in 18 giorni), se rapportate alla popolazione totale del paese - che all’epoca contava 3, 5 milioni di abitanti - sono delle perdite enormi, quasi irreparabili. Gli arabi pur considerando questa guerra una mezza vittoria non possono ignorare che dopo 18 giorni di battaglia, la situazione si sia ribaltata e che l’esercito israeliano è ormai a 40 km da Damasco. Questo nuovo fallimento non fa che aumentare la frustrazione del mondo arabo. Questa senso di frustrazione provoca un discorso sempre più improntato sull’odio e allo stesso tempo completamente slegato dalla realtà. Per riuscire a giustificare la propria sconfitta il mondo arabo cambia strategia, e da questo momento l’ebreo diventa l’emblema di un complotto mondiale, il grande burattinaio che, da New York, regge i fili dei destini dell’umanità. Attualmente questa ossessione ha assunto un aspetto genocidario a causa di questo senso di frustrazione, non solo nei confronti del popolo ebraico, ma nei confronti del mondo occidentale in generale. Questa immensa frustrazione emerge in particolare dall’ultimo rapporto dal programma delle Nazioni unite sullo sviluppo, per gli anni 2002 e 2003. Questo rapporto indica una forte regressione a livello economico e culturale in tutti i paesi arabi. Mentre tutte le aree del pianeta danno dei segnali di ripresa, in particolare in America latina e Asia orientale, l’insieme del mondo arabo affonda a livello economico, culturale e sociale. Per esempio, l’ONU rivelava che attualmente nel mondo arabo vengono tradotti molto meno libri rispetto alla Grecia, che ha una popolazione di appena 10 milioni di abitanti. Questa immensa frustrazione, cristallizzata in particolare sul conflitto israelo-palestinese - che dovrebbe avere una valenza solo territoriale - ipermediatizzato e esasperato, genera un discorso inquietante e genocidario, perché frutto di un’ossessione: o noi o loro. I problemi saranno risolti quando finalmente Israele sarà scomparso e con lui tutti gli ebrei. C’è quindi in atto una demonizzazione dell’ebreo e dello stato di Israele, che, ai loro occhi, rappresentano il male assoluto sulla terra. Abbiamo allora da un lato una versione religiosa dell’ebreo, in veste di diavolo, e dall’altra una versione laica, rappresentata da Israele, in veste di stato fascista, imperialista e razzista. In entrambi i casi si tratta del diavolo sulla terra. E cosa si fa se si è in presenza del male? Lo si deve estirpare. Ci troviamo allora in presenza di un anitisemitismo che sta assumendo caratteristiche tipiche da genocidio. Ciò che avviene è estremamente preoccupante. E’ un discorso prettamente genocidario, e non bisogna aver paura di usare questa terribile parola, perché i discorsi, i cliché e l’immaginario che si sta sviluppando all’interno del mondo arabo, ci fa pensare ai discorsi nazisti degli anni ’30 e a quelli degli Hutu contro i Tutsi nel Rwanda, prima del genocidio del ’94.

In Europa, si è a conoscenza di questa linea e di questa piega così fortemente antisemita, che si sta sviluppando nel mondo arabo?

In Europa c’è tanta ignoranza, anche perché c’è un grosso lavoro di documentazione e di traduzione da svolgere. Sono pochi i documenti, gli articoli, i saggi che per il momento sono stati tradotti. E’ un lavoro che noi, della "Revue d’histoire de la Shoah" stiamo facendo. Siamo ancora all’inizio, solo adesso si comincia a prendere coscienza di questa tragica deriva, di questo sconvolgente discorso genocidario.

Io comunque non credo che ci sia una consapevole censura, anche se penso che quando se ne verrà a conoscenza, sarà una verità molto scomoda e imbarazzante, poiché contraddice gli schemi classici del pensiero occidentale. E’ inconcepibile pensare che una vittima del razzismo diventi a sua volta razzista. Una vittima è sempre innocente secondo il pensiero progressista occidentale. Invece purtroppo la realtà è un’altra e anche una vittima può diventare un bastardo.

Questo antisemitismo riguarda tutti i paesi arabo-musulmani o solo alcuni?

Purtroppo, secondo le nostre fonti di informazione, riguarda tutti i paesi, dal Marocco all’Iran. Il fatto grave è che sia attecchito e penetrato in tutti gli strati della società, diventando un discorso molto popolare e populista, che identifica negli ebrei i soli responsabili di tutte le loro sventure. La popolazione ha fatto proprio questo discorso antisemita, che si manifesta attraverso le caricature, le vignette, la stampa, la televisione, il cinema, gli slogans, le canzoni. E’ per questo che è estremamente pericoloso. Per esempio lo si nota molto bene in Francia, all’interno della consistente comunità araba, che è impregnata di questo discorso antisemita, soprattutto nelle classi sociali più umili e, fatto grave, fra i bambini. Quando ci si accorge, che nelle scuole elementari, tra gli scolari emergono sentimenti antiebraici, è ovvio che questo atteggiamento lo hanno respirato a casa. E’ doloroso constatare di come si stia pian piano sviluppando una cultura dell’odio, non solo nei paesi arabi, ma anche qui in Francia, dove esiste una forte comunità araba. Oggi, purtroppo, la pace civile interna è seriamente minacciata da questo fenomeno. Ci sono fatti, che avvengono addirittura all’interno delle scuole, che devono farci riflettere. Comunque le autorità francesi sono a conoscenza di ciò e devo riconoscere che, essendo consapevoli dei pericoli, hanno preso le misure adeguate.

Da due anni il governo francese, profondamente consapevole della gravità della situazione, sta lavorando e seguendo molto da vicino la situazione. I rapporti e le informazioni che giungono dalla polizia e dai servizi investigativi sono molto preoccupanti.

Ci sono forze nel mondo arabo consapevoli della pericolosità di questa fobia antisemita e che cercano di frenarla ?

E’ molto difficile oggi riuscire ad arginare ed emarginare questa degenerazione che sta colpendo il mondo arabo. Tuttavia, vi sono dei segnali che inducono all'ottimismo e che mostrano come anche all'interno della variegata società araba vi siano delle forze che si stanno opponendo a questa deriva genocidaria. Si può citare anche l'Algeria, un paese che ha conosciuto il terrorismo islamico in casa propria e, dopo aver sconfitto i fondamentalisti, è una delle coscienze più critiche all'interno del mondo arabo. Occorre inoltre sottolineare il ruolo delle donne arabe, in particolare le algerine, che si battono per i loro diritti, il più delle volte a loro rischio e pericolo, poiché dagli estremisti islamici sono considerate un vero e proprio nemico del loro modello di società arcaica, quasi alla stessa stregua degli ebrei. Vi sono anche degli intellettuali che alzano la loro voce per condannare certe iniziative di chiara impronta antisemita. Per esempio, nel 2001, era stato organizzato un congresso antisemita a Beirut, che per fortuna venne annullato, ed alcuni intellettuali arabi (pochi purtroppo) gridarono allo scandalo, manifestando la propria vergogna. Nello stesso tempo però, il celebre negazionista francese Garaudy ha ricevuto la laurea honoris causa in Egitto e le sue opere sono tradotte in 5 versioni diverse in arabo. I Protocolli dei Savi di Sion sono presenti oggi in 126 diverse edizioni. Si tratta per altro di edizioni recenti, che vanno dagli anni ’70 sino al 2002, che vengono vendute ovunque anche presso le librerie arabe di Parigi. C’è dunque solo un manipolo di intellettuali arabi che è consapevole di questa degenerazione e che la ritiene un aspetto della regressione in atto nel mondo arabo. In ogni caso, questa ondata di antisemitismo avviene purtroppo sotto la spinta di impulsi irrazionali, e di fronte all’irrazionale la ragione è disarmata. D’altra parte invece - e questo non appartiene all’ambito dell’irrazionale - oggigiorno, il fatto che l’Europa, per dei motivi complessi, appoggi troppo spesso la causa del mondo arabo, a causa della Palestina, potrebbe spianare la strada ad una nuova catastrofe. L’Europa non riesce a rendersi conto del pericolo nello stesso identico modo in cui, una grossa parte degli intellettuali europei chiuse gli occhi davanti ai crimini dello stalinismo, del comunismo e del gulag, sino almeno al XX congresso del partito e anche oltre. Nel 1974, la pubblicazione del libro L’Arcipelago Gulag di Solzenytsin è un’autentica sorpresa per moti intellettuali. Però, 40 anni prima, nel 1935, Boris Suvarin aveva pubblicato in francese "Stalin"; nel 1936 Anton Siliga, comunista iugoslavo, "Viaggio nel paese delle menzogne"; sempre nel 1936, André Gide "Ritorno dall’URSS"; questi autori non vennero letti, o vennero letti male, o addirittura disdegnati. Eppure, se fossero stati presi sul serio, in particolare Suvarin, si sarebbe capito immediatamente quello che stava avvenendo. Occorre sottolineare anche l’estrema diffidenza con cui vennero accolti questi libri. Suvarin, nel 1935, dovette pubblicare il suo libro presso una piccola casa editrice. André Malraux, per esempio, gli disse che avrebbe pubblicato il suo libro quando lui e i suoi compagni sarebbero andati al potere. Per tornare al discorso di prima: qual è il rapporto con l’odierna cecità degli intellettuali europei ? Essa mi fa pensare alla cecità, che c’è stata nei confronti dell’Unione Sovietica, dei crimini comunisti in Cina. Mi viene in mente il libro di Maria Antonietta Macciocchi "Sulla Cina" e l’eco che ha avuto in Europa. Il libro esce nel 1972, presso una grande casa editrice francese, " Seuil". Questo libro diventa subito un best seller, letto da numerose persone. Questo libro fa letteralmente schifo, perché è stato un’apologia dell’orrore, un’apologia del regime cinese, un’apologia dell’orrore della rivoluzione culturale cinese, di quel bagno di sangue che ha segnato la rivoluzione culturale cinese. La cecità della Macciocchi e di tutti coloro che hanno seguito la Macciocchi, il comunismo in generale e hanno chiuso gli occhi di fronte ai crimini dei Khmer rossi in Cambogia è la stessa cecità che mostrano oggi i filo-arabi e i filo-palestinesi. La forza dell’esercito israeliano annebbia loro la mente, senza che si rendano conto che invece Israele corre un gravissimo pericolo.

Nel mondo occidentale il sionismo non gode dunque di una maggiore legittimità.

Decisamente no. In Occidente il sionismo è sempre più delegittimato e in particolare per gli Europei. Io credo per una ragione in particolare e cioè che il sionismo, nella sua ambizione di costruire il proprio Stato nazionale, va contro l’attuale tendenza europea che consiste invece nel superamento dello Stato nazionale come è stato inteso sino a poco tempo fa. Queste due opposte tendenze fanno sì che per gli europei il sionismo sia attualmente incomprensibile, appunto perché viene considerato anacronistico. Da una parte c’è l’Europa che va verso una federazione di stati, verso un’integrazione, e dall’altra c’è il sionismo che invece va esattamente all’opposto, collocandosi quindi a controcorrente di un’evoluzione, per apparire agli occhi degli europei come un movimento retrogrado, simbolo di un modello arcaico di apartheid e di conseguenza come una forma di razzismo. Questa è una delle ragioni di fondo che secondo me tendono a delegittimare il sionismo. Ma ve sono anche delle altre. Una di queste è il senso di colpa per la Shoah, poiché sono state la Germania, l’Austria e i vari collaborazionisti europei ad aver commesso questo crimine, quindi si tratta di un crimine europeo. Che gli ebrei possano, oggi, commettere delle violenze in Palestina, contro un popolo che per il momento stanno sottomettendo e dominando - che è un fatto innegabile -, che si comportino da oppressori contro un popolo oppresso, è qualcosa che serve a rassicurare gli europei in quanto li aiuta a liberarsi dal proprio senso di colpa. Paragonando gli ebrei ai nazisti, ci si vuole liberare di un senso di colpa; si tratta però di un paragone aberrante, perché se gli ebrei stessero veramente usando i metodi dei nazisti, oggigiorno non ci sarebbero più palestinesi. Pensare che gli ebrei si stiano comportando come dei nazisti aiuta a liberarsi dal proprio senso di colpa e sentirsi in perfetta parità da un punto di vista di morale: seguendo questo ragionamento gli europei non hanno più nulla da rimproverarsi poiché in questo momento gli ebrei si stanno macchiando dello stesso crimine commesso 60 anni fa contro di loro, e quindi le colpe a questo punto sono equamente ridistribuite.

Però, a queste due ragioni appena evocate ne aggiungerei una terza, più sfumata. Io credo che gran parte dell’economia psichica dell’occidente cristiano si sia costruita intorno al rifiuto dell’ebreo. Questo rifiuto ha una matrice religiosa anche se successivamente ha assunto una forma nazionale e razziale. In ogni caso tutta l’economia psichica occidentale è avvelenata da questo rifiuto dell’ebreo. Il sionismo è un’ideologia nazionale che mette un termine a questa oppressione e denigrazione dell’ebreo, nello stesso modo in cui l’anticolonialismo mette fine alla dominazione del colonizzato. Per l’economia psichica occidentale l’ebreo era stato la vittima designata che fino adesso garantiva il funzionamento di tale economia, dal momento che per farla funzionare abbiamo sempre bisogno di rifiutare e respingere qualcuno o un gruppo; essere privati della propria vittima preferita mette in pericolo l’economia psichica occidentale. Mi spiego: l’ebreo che si ama in Europa è l’ebreo vittima, è ciò emerge, in particolare, negli ambienti della sinistra e dell’estrema sinistra occidentale, dove le stesse persone, da una parte commemorano la Shoah, con grande contrizione e sincerità, e dall’altra detestano il sionismo e lo Stato d’Israele. L’ebreo forte, sicuro, vittorioso, alla testa del suo esercito non corrisponde più all’immagine dell’ebreo vittima e di conseguenza non è più amato. Si è disposti a piangere per l’ebreo ma non si sopporta di vederlo in veste di colonnello al comando dei suoi carri armati. E’ per questa ragione che il sionismo disturba l’economia psichica dell’Europa.

In Europa c’è ancora chi sostiene che in una certa misura lo stato d’Israele sia stata un’operazione tutto sommato artificiale, che sia sorto improvvisamente, quasi dal nulla, dopo 3000 anni, su di una terra occupata da un’altra popolazione, come compenso per la persecuzione subita.

Certo, lo so, ma è un ragionamento sbagliato e che alla prova dei fatti non tiene assolutamente. Si vorrebbe che fosse artificiale, ma non è così. Basta andare in Israele per accorgersi di quanto sia forte il sentimento nazionale. E’ una nazione estremamente viva che ha un senso della propria identità molto marcato. In Israele ci sono dei dibattiti politici abbastanza animati riguardo al conflitto con i palestinesi, ma nessuno mette in discussione l’identità nazionale israeliana, e tutti si sentono ben radicati sulla loro terra. In Europa si fa fatica a cogliere questo aspetto fondamentale, ma non appena un europeo si reca in Israele è quasi costretto a constatare questo forte sentimento d’identità nazionale, e quindi deve ricredersi. Affermare che Israele sia uno stato artificiale è semplicemente ridicolo e non corrisponde assolutamente alla realtà.

Per capire la nascita di Israele occorre conoscere la storia del sionismo. Il sionismo viene generalmente visto solo sotto un aspetto protettivo: gli ebrei da sempre perseguitati avevano bisogno di un rifugio. Poiché oggi, il pericolo di persecuzione non c’è più, perché ci sono la democrazia, i diritti dell’uomo a proteggere gli ebrei, di conseguenza si pensa che il sionismo e Israele non abbiano alcuna ragion d’essere. Questo ragionamento è completamente sbagliato, perché il sionismo non nasce come reazione all’antisemitismo. Il sionismo nasce dalla laicizzazione del pensiero ebraico occidentale, in altre parole come risposta al processo di secolarizzazione del mondo occidentale. A questa secolarizzazione il mondo ebraico ha dato una risposta di tipo nazionale, che è appunto il sionismo. Il sionismo è quindi una reazione interna al mondo ebraico e non una risposta ad un’aggressione antisemita. L’aggressione antisemita ha sicuramente, in seguito, svolto un ruolo propulsore, ma all’origine del movimento sionista vi è la ricerca innanzitutto di dare una definizione nazionale dell’ebraismo, al di fuori della tradizione, della religione e della Torah. In altre parole, come restare ebrei quando si diventa atei. Si tratta dunque di una rivoluzione intellettuale, e chi afferma che lo stato d’Israele, oggigiorno, nell’Europa democratica e dei diritti dell’uomo, non ha più alcuna giustificazione, non ha capito nulla del sionismo. Non è la Shoah all’origine della nascita dello stato d’Israele. Anche senza Shoah esisterebbe oggi lo stato israeliano.Anche in questo caso si parte da una idea falsa degli ebrei, considerati tali, solo dal punto vista strettamente religioso. Non ci si rende conto che gli ebrei, oltre ad essere una religione, sono anche un popolo.

Per il mondo arabo l’illegittimità del sionismo e d’Israele poggia su presupposti molto diversi.

Per gli arabi il discorso è semplice, poiché, secondo loro la Palestina è una terra esclusivamente araba e gli ebrei sono dei colonialisti, tanto più che i primi sionisti provenivano dall’Europa e quindi il sionismo era necessariamente visto come un ramo del colonialismo europeo. Infatti espansione sionista e espansione imperialista sono concomitanti. Per gli arabi, inoltre, il sionismo è strettamente legato alla dichiarazione di Belfour del 1917: la dichiarazione di Belfour è una dichiarazione britannica, quindi dell’imperialismo britannico e, di conseguenza, i sionisti sono i figli dell’imperialismo britannico. Senza gli inglesi i sionisti non sarebbero mai riusciti a costruire un proprio stato. Tutto questo è vero da un punto di vista politico, nel senso che, senza l’ombrello britannico, nel periodo che va dal 1920 al ‘48, i sionisti sarebbero stati spazzati via. Questo bisogna ammetterlo, è vero. Però, gli inglesi non sono venuti in Palestina per curare gli interessi dei sionisti, ma i propri. La fortuna dei sionisti è stato incontrare, sulla loro strada, gli inglesi, ma è stato un puro caso. Gli inglesi si sono installati in Palestina per curare i propri interessi, e infatti, già nel 1922 avevano cominciato a rimangiarsi le promesse fatte ai sionisti nel 1917, perché si erano resi conto di aver commesso un grave errore politico-diplomatico, nei confronti del mondo arabo. Successivamente, le rivolte arabe contro i sionisti, nel 1929 e nel 1936, furono represse dalle truppe inglesi per ripristinare l’ordine pubblico e non per proteggere i sionisti.

Per quanto riguarda Israele e la Palestina siamo di fronte a due popoli che hanno entrambi una propria legittimità su questa terra.

Su questo non c’è dubbio. Entrambi i popoli hanno ragione. Si può sempre arguire che gli ebrei non hanno ragione, perché quella non era più la loro terra, ecc., ecc., ma io sono convinto che il sionismo abbia una sua legittimità. Voglio aggiungere un altra cosa: quelli che tentano di delegittimare il sionismo sono, a loro volta e involontariamente gli artefici di un’ingiustizia, perché la caratteristica dell’ingiustizia consiste nel voler trattare in maniera paritaria delle persone, che non sono uguali. Quello che voglio dire è che per gli ebrei Israele significa tutto, e quando dico tutto, intendo che non hanno nient’altro al mondo, se non questo fazzoletto di terra, su cui poggiano il loro immaginario spirituale, le loro tradizioni, la loro religione e la loro lingua. Per il mondo arabo e per i palestinesi, invece, la Palestina è solo una parte del mondo arabo. Se anche perdessero la Palestina, non avrebbero per questo perso tutto, come invece gli ebrei. C’è quindi una sproporzione a livello territoriale, tra i 4 milioni di kmq del mondo arabo e i 21.000 kmq di Israele. E’ inspiegabile questo accanimento su di un territorio così piccolo, che è a malapena l’equivalente di due province europee. La posta in gioco è molto sproporzionata, perché per gli ebrei perdere Israele sarebbe drammatico e rappresenterebbe la fine del popolo ebraico. Nel 1963 Hannah Arendt disse ad un’amica: " Se per disgrazia dovesse scomparire lo stato di Israele, ciò significherebbe la fine del popolo ebraico ". Per quanto riguarda i palestinesi, questo rischio non c’è, perché il popolo arabo non rischia l’estinzione. Si fa fatica in Europa a prendere in considerazione questa gigantesca sproporzione.

Da un punto di vista mediatico, si tende sempre ad accentuare le sofferenze e le miserie del popolo palestinese, mettendo in secondo piano le difficoltà ed i pericoli della popolazione israeliana.

Questo è dovuto al fatto, che il rapporto tra l’Europa e l’ebreo è completamente marcio, avvelenato e mi viene in mente un’osservazione che fece a suo tempo Sartre, riguardo al rapporto padre-figlio. Sartre diceva: " Quando, per strada, vedo un uomo e un giovane, che camminano insieme, senza dirsi una parola, allora so che sono padre e figlio". Con questo intendo dire, che i rapporti fra ebrei ed europei sono letteralmente schifosi, e questo è da imputare alla chiesa cattolica. Per quanto riguarda la stampa si stigmatizza molto, ad esempio, la sofferenza dei palestinesi, ma si evita di fare gli approfondimenti sulle sofferenze subite dagli israeliani, a causa degli attentati suicida. Su questa realtà, fatta di paura, di angoscia con il suo corollario di morti, di feriti e di persone che, pur essendo sopravvissute agli attentati sono ridotti oggi a delle larve, c’è purtroppo in Europa un angosciante silenzio. A me è capitato, quando ero lo scorso febbraio in Israele, di trovarmi non molto distante dal luogo in cui era appena avvenuto un attentato. Nel giro di 5 minuti sono passate una ventina di autoambulanze e le persone erano completamente agghiacciate e immobilizzate dalla paura, ed io stesso, quel giorno, dovevo recarmi in una biblioteca per cercare dei documenti e mi sentivo come paralizzato e ho dovuto rinviare ciò che mi ero proposto di fare. Però vorrei aggiungere anche altre due ragioni, riguardanti le posizioni quasi esclusivamente filo-palestinesi dei media. Perché la Palestina è così presente, all’interno della sinistra? Nel momento in cui il mito della rivoluzione proletaria ha cominciato a vacillare, la causa palestinese ha assunto un ruolo sempre maggiore, sino a diventare l’emblema della lotta degli oppressi di tutta la terra. Sotto sotto la Palestina rappresenta la causa per tutti quelli, che sognano una rivoluzione. Come a suo tempo c’era il mito di Cuba e della rivoluzione cinese, oggi è la Palestina che incarna questo mito rivoluzionario della sinistra. Con questo non voglio negare che la causa palestinese non abbia una sua legittimità e che non sia degna di questo nome. In Palestina c’è effettivamente un’ingiustizia che occorre riparare. Detto questo, il fatto che però abbia assunto un carattere mondiale, credo che sia dovuto ad un fascino per la violenza e per la forza, che gli ambienti dell’estrema sinistra nutrono ormai da tanto tempo, senza però mai esplicitarlo apertamente. E questo è un argomento tabù, perché siamo di fronte ad un discorso, che, da una parte si fa promotore della pace, dei diritti dell’uomo, della non-violenza e dall’altra sottintende una sordida realtà, da cui emerge un fascino per tutto ciò che è forza, violenza di tipo bolscevico. C’è una distorsione tra un discorso umanista, e un certo fascino per la violenza. Questo fascino si manifesta anche nei confronti del mondo arabo, che oggigiorno inneggia costantemente alla forza e alla violenza. Israele, pur essendo uno stato ben armato e potente, non tiene però un discorso di forza e di violenza. Intendo dire che Israele possiede la forza ma non la usa fino in fondo, cosa che invece farebbero gli altri se avessero gli stessi suoi mezzi. Porto un piccolo esempio: durante una lezione di storia, un adolescente di origine araba di un liceo parigino ha detto che non riusciva a capire come mai questi imbecilli di israeliani, con tutti i mezzi militari a disposizione, non fossero capaci di servirsene adeguatamente in Palestina. Si tratta di uno dei tanti episodi che avvengono nelle scuole francesi in cui si assiste purtroppo a diverse manifestazioni di antisemitismo, tra gli alunni di origine araba. Questo episodio mi ha fatto venire in mente il racconto di un ex soldato dell’esercito israeliano il quale nel corso di un’operazione militare, durante la guerra dei sei giorni, nel 1967, è entrato, insieme a un gruppo di soldati, nella casa di un palestinese abbastanza anziano, che alla loro vista ha cominciato a tremare di paura. Hanno perquisito la casa, e, non avendo trovato nulla, sono andati via. Sei mesi dopo, questa persona, che era ormai in congedo, passeggiando per strada ha incontrato l’anziano palestinese e l’ha salutato. Il tipo ha fatto finta di non riconoscerlo. L’ex soldato è tornato indietro e gli ha chiesto: "Ti ricordi di me ?" e l’altro ha risposto "Sì mi ricordo di te, ma siccome avete vinto la guerra non voglio avere nulla a che fare con voi." L’ex soldato però, prima di andarsene ha voluto sapere da questa persona anziana cosa pensasse del fatto che i soldati israeliani, quel famoso giorno, non gli avessero neanche torto un capello. L’anziano palestinese gli disse allora, testuali parole: "io penso che voi israeliani non siate dei veri uomini". Questo dimostra sino a che punto le nozioni di guerra e di virilità siano strettamente connesse. La virilità si dimostra attraverso la forza e la violenza. Questa mentalità è molto radicata nel mondo arabo, e mi ha colpito il fatto che sia presente anche in questo adolescente di origine araba nato in Francia. Ciò che è preoccupante è questo abisso culturale, ed è questo abisso che gli europei non riescono o non vogliono capire. Non ci si rende conto del conflitto culturale e ogni volta che lo si mette in evidenza si viene considerati razzisti. Anche in questo caso appare la solita miopia, incapace di riconoscere che, volenti o nolenti, si è in presenza di un conflitto culturale. C’è un conflitto di valori, come per esempio il ruolo assegnato alla donna; riconoscere questo conflitto non significa essere razzisti.

Lei, come storico, si occupa di storia del sionismo e di storia della Shoah argomenti che, come abbiamo visto, nonostante abbiano origini e contesti diversi, continuano ad intrecciarsi e a richiamarsi tra loro. Come è nato il suo saggio "L’Eredità di Auschwitz, come ricordare ?"

L’idea di scrivere sulla Shoah mi è venuta circa 17 anni fa, mentre preparavo con i miei studenti liceali una raccolta di testi fondamentali sulla Shoah. Con i miei studenti abbiamo realizzato una piccola dispensa e da questa dispensa è nato il mio primo libro, pubblicato nel 1989, dal titolo "Génocide pour Mémoire". In seguito, le diverse conferenze, che ho cominciato a tenere, hanno costituito la base del mio saggio "L’Eredità di Auschwitz". Però è innanzitutto la lettura di certi testi didattici sulla Shoah – in particolare un testo di Jean François Forges - in cui si diceva per esempio che ogni tipo di violenza, come quelle sui bambini, fosse un primo passo verso Auschwitz, che mi sono detto che affermazioni del genere erano decisamente stupide, e che era necessario riprendere le questioni politiche, che avevo trattato nel corso delle mie conferenze, per rispondere ad argomentazioni così moralistiche. Questa mia collera contro il testo di Forges ha dato alla luce il saggio " L’eredità di Auschwitz ", il che dimostra quanto sia proficuo arrabbiarsi con i testi altrui. Lo scopo, anche in questo caso, è pedagogico. Come insegnare Auschwitz? Non pretendo di avere una risposta assoluta, ma mi limito a indicare delle piste, degli itinerari per riflettere e aiutare a cercare delle risposte. L’obiettivo è quello di trasmettere un messaggio ed evitare che Auschwitz diventi una storia ripetitiva e nauseante. In Francia ormai esiste così tanto materiale, che si è quasi sommersi e stufi di sentir parlare sempre dello stesso argomento. Inoltre l’approccio viene fatto sempre da un punto di vista moralista, piagnucoloso.

Lei propone di affrontare la storia della Shoah, cambiando prospettiva, cercando di fare una genealogia del pensiero razzista nella cultura europea.

In questo senso si può individuare già nella teoria della " limpieza de sangre ", emanata dalla Spagna, alla fine del 1400, un primo segnale di questo pensiero razzista. In quel periodo gli ebrei, pur convertendosi al cristianesimo, non venivano equiparati al resto della popolazione, ed erano chiamati " nuovi cristiani ". Ciò significa che esistevano degli autentici cristiani e dei non autentici cristiani. In questo momento si introduce il concetto di sangue, di origine e quindi di razza nella percezione dell’essere umano. Questo avviene prima di Colombo e delle grandi scoperte. In seguito, la conquista delle Americhe e la tratta degli schiavi si fondano su un pensiero razzista europeo, ma non c’è ancora una volontà genocidaria. In ogni caso la scoperta delle Americhe, lo schiavismo e l’Inquisizione gettano le basi per lo sviluppo progressivo di un pensiero razzista tipicamente europeo.

Proseguendo nei secoli, è la stessa idea di umanità e di progresso, così come è stata sviluppata dal pensiero europeo, che deve essere rimessa in questione. Hannah Arendt diceva, che i diritti dell’uomo non ci proteggono da nulla.

La Dichiarazione dei diritti naturali dell’uomo è stata solo una tappa nella storia dell’emancipazione dell’uomo. Il problema è che i diritti umani si sono scontrati, sono entrati in conflitto con l’emergere dello stato-nazione e dei nazionalismi. Ci si è resi conto, allora, che un uomo senza passaporto, senza nazionalità è un essere completamente indifeso, e che la Dichiarazione dei diritti umani effettivamente non garantisce i diritti naturali ed è quindi insufficiente. Questo non significa che la Dichiarazione dei diritti dell’uomo non sia più valida. Occorre, invece, completarla, correggerla, partendo da un’analisi critica della civiltà occidentale, dal 1700 in poi, insistendo in particolare su di un punto: non sono responsabili gli Illuministi, ma al contrario l’oblio dell’insegnamento e dell’eredità illuminista. E’ questo rifiuto, che ha condotto alla catastrofe della Shoah. La Germania nazista ha rifiutato e negato l’Illuminismo, ed è questo antilluminismo di fondo, che ha portato alla catastrofe. Al tempo stesso è necessario rendersi conto della debolezza dell’Illuminismo, che è un pensiero che deve essere esteso, integrato e completato. E’ importante capire come mai la razza e la nazione abbiano assunto una tale importanza nel corso del 19° e 20° secolo, dal momento che le due nozioni si sviluppano parallelamente. Io credo che una risposta sia da cercare nella progressiva secolarizzazione della società e nella morte del concetto di Dio. L’idea di trascendenza, rappresentata da Dio, viene sostituita dall’idea di razza. La razza è la figura laicizzata della trascendenza ed è in questo senso che il razzismo è strettamente legato alla secolarizzazione.

Nella nuova edizione del suo saggio lei sviluppa ulteriori tematiche sulle quali è necessario riflettere, per esempio la nozione del male, e cioè come un uomo comune diventa assassino. Hannah Arendt a suo tempo, nel suo reportage sul processo a Eichmann aveva parlato di banalità del male.

Sì, ho sviluppato molto la nozione del "lavoro del male". Il male è un lavoro, e dal momento che si tratta di un lavoro è alla portata di gente comune. Come diventa un uomo comune assassino ? Lo diventa attraverso la forza dell'ideologia, attraverso la logica di gruppo e attraverso il conformismo. Si tratta in questo caso della scarsa capacità dell'individuo di riuscire a mantenersi autonomo e di agire secondo i propri principi e la propria indole, preferendo in questo caso rimanere integrato al gruppo per paura di essere rifiutato. Ciò è perfettamente visibile negli uomini che costituivano gli Einsatzkommando il cui compito fu di streminare gli ebrei della Polonia orientale, della Lituania, Estonia e Ucraina. Quando vennero arruolati furono immediatamente messi al corrente degli obiettivi delle loro missioni e venne lasciato loro la possibilità di essere trasferiti in altre unità dell'esercito e di non partecipare quindi allo sterminio. Ebbene, solo il 10% di questi soldati si avvalse di questa opportunità. La maggioranza aderì perché prevalse la logica del gruppo e dunque la paura di essere considerati dei vigliacchi e degli uomini senza coglioni. Per quanto riguarda il lavoro di Hannah Arendt io mi sono molto ispirato al suo lavoro. Uno degli aspetti che contesto riguarda il ruolo svolto dai consigli ebraici. E' vero che lei non è una storica e inoltre eravamo ancora negli anni '60 e tanti documenti importanti non erano ancora a portata di mano. Lei non conosceva a fondo la storia del ghetto di Varsavia, non aveva letto i vari scritti del ghetto di Varsavia che sono apparsi molto più tardi, e di conseguenza ignorava la complessità della situazione, sopravvalutando il ruolo dei consigli ebraici. Ci sono da parte sua degli errori di valutazione, il che non vuol dire che la sua analisi fosse del tutto sbagliata. La nozione per esempio di collaborazione che lei ha attribuito ai consigli ebraici è una questione estremamente delicata e io non impiegherei il termine "collaborazione"; direi piuttosto compromesso, ma non collaborazione. Aggiungerei anche il fatto che lei abbia sottovalutato l'adesione ideologica di Eichmann, privilegiando il ruolo burocratico dell'uomo. Bisogna tener conto che per il nazista Eichmann è un autentico incubo ritrovarsi a Gerusalemme, prigioniero degli ebrei, e di conseguenza tutta la dimensione ideologica del suo operato in seno al governo nazista ha cercato di tenerla lontana per far apparire esclusivamente la dimensione burocratica dell'uomo che ha semplicemente eseguito degli ordini. Ma lui non era ciò che voleva apparire; era un uomo che aveva condiviso un'ideologia, era un antisemita fanatico. C'è un aneddoto molto significativo, a dimostrazione ancora una volta di quanto un approccio moralistico serva a gran poco per studiare la Shoah: durante la sua prigionia, poiché Eichmann si annoiava nella sua cella, un secondino gli propose di acquistare un libro, appena uscito, dello scrittore Nabukov "Lolita", che stava riscuotendo un grande successo. "Lolita", un gran bel romanzo da cui poi Stanley Kubrick ha tratto un film, racconta la storia di un uomo di 40 anni sedotto da una ragazzina di 14 anni, e Eichmann dopo aver letto una trentina di pagine, gettò il libro disgustato dicendo che si trattava di un romanzo immorale. E' veramente incredibile che abbia detto questo. Per tornare all'affermazione di Hannah Arendt riguardo alla "banalità del male" sicuramente si riferiva alla "banalità dell'assassino", all'uomo Eichmann come "essere banale", perché il male non è mai una cosa "banale". Il "male" è sempre una scelta, anche nel caso in cui si obbedisca semplicemente agli ordini, è un atto che implica la scelta di fare del male. Parlando di banalità Hannah Arendt intendeva l'uomo comune che diventa assassino, perché pensando al male crediamo che il criminale sia un pazzo, uno psicopatico - il che è senza dubbio anche vero - , ma la grossa schiera degli assassini è composta da gente comune, che del resto, dopo la guerra, hanno ripreso tranquillamente la loro vita, come se ne niente fosse. Questo aspetto è estremamente interessante perché ci aiuta a capire come, dietro il male, ci sia un'operazione di "banalizzazione del male, attraverso il "lavoro", e cioè di come si riesca a convincere tantissime, normalissime persone ad operare il male nella misura in cui lo riescono a considerare un semplice lavoro da svolgere, separando con estrema facilità il lavoro dalla propria coscienza. Ciò è altrettanto valido quando pensiamo alla cultura. La cultura in se non ci protegge da nulla. Se invece serve a gettare uno sguardo critico su quello che si sta facendo allora la cultura può essere una barriera e un ostacolo al male, altrimenti è un accumulo di conoscenze che non servono a gran che. La cultura deve essere anche pensiero. Per concludere vorrei dire che nell'insegnamento della Shoah i punti sui cui occorre insistere è che non si tratta di una storia che riguarda esclusivamente il popolo ebraico ma che, attraverso questo popolo, è stata assassinata una nozione fondamentale e cioè una nozione di essere umano. Questo assassinio è strettamente legato a un certa evoluzione del pensiero occidentale di cui noi siamo gli eredi. In altre parole, vi sono nella nostra cultura dei germi molto pericolosi che occorre snidare per evitare che la nostra società continui a essere in balia del biopotere. Purtroppo invece viviamo in una società fortemente improntata sul biologico e l'economico.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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