L'intolleranza dei "migliori"
Davide Cavaliere
31 Luglio 2023
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Anna Foa, sul sito web di Gariwo, associazione specializzata nella santificazione laica di ogni individuo in odore di «progressismo», delizia il lettore con «nuove», si fa per dire, riflessioni sull’attualità politica israeliana.
La storica, quasi nietzschianamente, ritorna ancora una volta, e come sempre, sul presunto tentativo di Netanyahu di «distruggere» la democrazia attraverso la riforma giudiziaria. Se eccettuiamo la furibonda avversione alla destra israeliana, la Foa, quantomeno, quando scrive «se Netanyahu vincerà, un governo composto da fanatici messianici, razzisti, fascisti dichiarati potrà fare quello che vorrà nel Paese, senza più il controllo della Corte Suprema», ha il merito di esplicitare il modo in cui la sinistra concepisce la Corte, ossia come argine e barriera a una destra inopinatamente associata a «fascismo» e «razzismo».
Anna Foa, come tanti intellettuali presuntivamente «illuminati», persuasi di essere «dalla parte giusta della Storia», non riconoscono alcuna legittimità ai loro antagonisti politici, qualificati come prole delle peggiori ideologie del secolo scorso – «il grembo da cui nacque è ancor fecondo», scrisse lo stalinista Bertolt Brecht.
L’ipermnesia dei crimini nazisti fa perdere ad Anna Foa senso della realtà e delle proporzioni. Per questa ragione può paragonare alcune, occasionali, violenze ebraiche a danno dei palestinesi come «pogrom». Come se in Israele avvenissero massacri simili a quelli di Kishinev o Leopoli che, proprio per la loro brutalità, diedero un forte impulso al sionismo.
Inoltre, appellandosi a non specificate fonti, ci informa che i suddetti «pogrom» a danno degli arabi avverebbero «protetti dalla polizia». Riemerge qua il fantasma di una paranoia degli anni Settanta italiani, quella di una segreta collaborazione tra i «fascisti» e la «polizia». Il quadro è fosco, nerissimo, ma la realtà è altrove.
Anna Foa, che si considera una custode delle democrazia, che guardando le proteste si è sentita «orgogliosa di essere ebrea, un sentimento che negli ultimi anni era davvero difficile provare» (per quale ragione?), fa risorgere un antico interrogativo: quis custodiet ipsos custodes? Chi tutelerà gli israeliani da coloro che vorrebbero mantenere il Paese ostaggio di un Corte Suprema politicizzata e dotata di poteri anomali?
La riforma giudiziaria non è un attacco alla democrazia, bensì la caduta di una «tirannia» morbida. I tribunali, compreso quello Supremo, non possono sostituirsi ai rappresentanti democraticamente eletti.
Il celebre giurista Amnon Rubinstein si espresse così sulla situazione giudiziaria in Israele: «si è creata una situazione in cui la Corte Suprema può riunirsi e decidere su ogni questione immaginabile […] Si è trattato di una rivoluzione totale nel pensiero giudiziario che ha caratterizzato la Corte Suprema delle generazioni precedenti, e ciò le ha conferito la reputazione di tribunale più attivista del mondo, suscitando ammirazione e critiche. In pratica, sotto molti aspetti la Corte Suprema sotto Barak è diventata un governo alternativo».
«Un governo alternativo». È questo il problema che Anna Foa, e come lei tanti altri «fautori dei diritti umani», non vogliono vedere. In una democrazia non possono esserci governi «ombra». La Corte Suprema, questo esecutivo «alternativo», avrà anche valori in linea con quelli della storica, ma le sue prerogative non coincidono con quelle previste nei regimi democratici.
Come scrisse il romanziere, recentemente scomparso, Martin Walser: «l’intolleranza oggi viene da coloro che pensano di essere i buoni e i migliori».
Il sogno spezzato della pace
Giuseppe Grimaldi
30 luglio 2023
http://www.linformale.eu/il-sogno-spezz ... C9wAExgxBQ
Israele, immancabilmente, è accusato da numerosi rappresentanti ONU di “uso sproporzionato” della forza quando risponde con azioni militari ai continui e ripetuti attacchi terroristici da parte delle organizzazioni terroristiche palestinesi e da membri della stessa Autorità Palestinese.
Un esempio recente si è avuto durante l’ultima operazione dell’esercito nell’area di Jenin ai primi di luglio. In questo caso lo stesso Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres, ha accusato Israele di «un “ovvio” eccessivo uso della forza». In pratica, per il Segretario Generale dell’ONU, Israele quando decide di operare militarmente in un “territorio ostile” come quello di Jenin o di Gaza violerebbe il diritto internazionale a prescindere, anche se nei fatti nessun civile è stato ucciso nei combattimenti (caso unico nella storia dei conflitti armati in territorio urbano densamente popolato). Prima di entrare nel merito dell’infondatezza di questa accusa abituale priva di ogni fondamento (nel diritto internazionale non esiste il principio di “proporzionalità” dell’uso della forza militare) oltre che di buon senso, è opportuno contestualizzare questo ultimo conflitto – uguale ai numerosissimi che si sono succeduti nel corso degli ultimi 15 anni – che contrappone lo Stato di Israele a bande di terroristi più o meno legittimate da gran parte della comunità internazionale (altro caso unico al mondo).
Una prima osservazione da fare è che si è trattato dell’ennesimo episodio di guerra asimmetrica che contrappone uno Stato (Israele) ad organizzazioni terroristiche (Jihad Islamica e Hamas) che non tengono minimamente conto delle regole del diritto internazionale in materia di diritto umanitario. Ciò pone subito un importante interrogativo: perché l’ONU e gran parte della comunità internazionale finanzia direttamente (tramite l’UNRWA per esempio) o indirettamente delle organizzazioni terroristiche per poi accusare Israele quando si difende dalla stesse? Questi lauti finanziamenti contribuiscono all’acquisto di armi, equipaggiamento e indottrinamento all’odio antisemita per mezzo delle stesse scuole costruite e condotte da membri dell’ONU. Un altro aspetto di questa guerra asimmetrica è costituito dal fatto che Stati membri dell’ONU (come l’Iran) forniscono cospicue quantità di armi o soldi ai terroristi nella totale indifferenza di ONU, UE e USA. Altri Stati come l’Egitto e la Giordania permettono il loro transito verso Gaza o la Samaria e Giudea, nella medesima indifferenza internazionale. Questi Stati non sono mai stati sanzionati per l’appoggio logistico (anche se non ufficiale) fornito anche se formalmente sono in pace con Israele. A ciò va aggiunto che le organizzazioni terroristiche palestinesi, fiancheggiate dall’Autorità Palestinese, hanno centri operativi, depositi di armi e esplosivi, esclusivamente tra la popolazione civile che viene – suo malgrado – conseguentemente esposta alle azioni militari di Israele, anzi, viene utilizzata scientemente come scudo umano. Di questo aspetto non vi è mai traccia nei “rapporti” dei vari rappresentanti ONU che di volta in volta accusano Israele di “uso sproporzionato della forza”. Veniamo ora al significato di questo termine.
Le norme internazionali sull’utilizzo della forza militare e le regole di ingaggio di un esercito sono disciplinate, principalmente, dalla Convenzione dell’Aia del 1907 e dalle Convenzioni di Ginevra. Esse non dicono quale sia “l’uso proporzionato della forza” (tanto è vero che il principio di “proporzionalità” non compare in nessun trattato internazionale), ma indicano in via generale quale sia l’uso della forza militare idoneo per la conquista di un obiettivo militare. Oppure, in merito alla popolazione civile, indicano – principalmente nel I protocollo alla IV Convenzione di Ginevra del 1977 – che è severamente vietato attaccare in “maniera indiscriminata” la popolazione civile. Va sottolineato che questo principio è definito all’Art. 51 (5) del suddetto protocollo. Per attacco indiscriminato si intende un attacco militare non su un obiettivo militare specifico ma su un’intera area urbana indipendentemente dal fatto che in essa ci siano chiare zone prive di obiettivi militari, cosa che Israele non ha mai fatto in nessuna delle sue operazioni militari. Allora perché Guterres ha dichiarato che Israele utilizza uno “sproporzionato” uso della forza, se tale principio non esiste nel diritto? Per meri scopi accusatori nei confronti dello Stato ebraico, che, in questo modo viene imputato di qualche violazione anche se di norme inesistenti. Israele, diviene così, immediatamente, colpevole a prescindere. Va sottolineato che l’accusa di “uso sproporzionato” della forza non è mai stata rivolta a nessun altro Stato al di fuori di Israele (neanche alla Russia per l’aggressione all’Ucraina).
Una cosa, invece, è certa nella Convenzione dell’Aia o nelle Convenzioni di Ginevra: è fatto divieto assoluto di utilizzo di abitazioni civili, luoghi di culto o ospedali come luoghi di stoccaggio per armi e munizioni e tanto meno il loro utilizzo come basi operative per azioni armate. Cosa, ad esempio, mai evidenziata nei “rapporti” ONU. Come si può ben comprendere, Israele è costretto a operazioni militari dai terroristi palestinesi, che non rispettano nulla del diritto internazionale, in teatri urbani dove è praticamente impossibile intervenire senza causare vittime civili (cosa che è però riuscita a fare nell’ultima operazione militare).
Cosa dice il diritto internazionale in merito alle vittime civili nei conflitti militari? Dice che è severamente vietato causare vittime civili solo quando i civili non costituiscono un chiaro obiettivo militare. Quando sono invece un obiettivo militare? Quando sono direttamente coinvolti negli obiettivi militari, come nel caso dei terroristi che li usano come scudi umani per proteggersi o proteggere i comandi o i depositi di armi. In questo caso la sola responsabilità di violazione del diritto internazionale ricade sulla parte – i terroristi palestinesi – che li espone ai pericoli del conflitto militare. Il compito dell’esercito israeliano è solo quello di non colpire deliberatamente abitazioni o strutture che non centrano nulla con i centri militari dei terroristi.
Facciamo un esempio. Guterres e altri (numerosi) funzionari dell’ONU hanno accusato Israele di “uso sproporzionato” della forza militare perché hanno utilizzato elicotteri e droni a copertura dei soldati sul terreno. Questa è una colossale menzogna, perché un esercito può utilizzare i mezzi che ritiene opportuni per portare avanti un’azione militare (se non espressamente vietati nelle convenzioni come ad esempio i gas o le armi batteriologiche). Quindi, la discriminante per stabilire se c’è stato un “uso indiscriminato” di forza militare (e non un “uso sproporzionato”) non è dato dai mezzi militari che vengono utilizzati ma dal modo in cui tali mezzi vengono utilizzati. Se sono utilizzati unicamente per colpire degli obiettivi militari – anche in centri urbani – sono legittimi, se sono utilizzati per bombardare a casaccio per colpire edifici che nulla hanno a che fare con gli obiettivi militari allora si è in presenza di un “uso indiscriminato” della forza militare. Se la presenza degli obiettivi militari è tra la popolazione civile la violazione del diritto (e dell’etica) ricade unicamente su chi li ha installati lì non su chi li colpisce.
Quando l’ONU decise l’operazione militare Restore Hope in Somalia nel 1992, la maggior parte dei combattimenti avvenne in centri urbani. Le truppe ONU utilizzarono anche mezzi pesanti e elicotteri da combattimento nei suddetti centri a protezione delle proprie truppe, che causarono centinai di morti tra i civili ma nessuno – ad iniziare dall’ONU – disse che ci fu un “uso eccessivo” o “indiscriminato” della forza (in una sola operazione militare ci furono oltre mille morti civili). Quando la NATO bombardò i centri abitati da civili in Serbia con una massiccia campagna aerea nessuno disse che ci fu un “utilizzo sproporzionato” della forza, anzi, un procuratore del Tribunale Internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia, stabilì che i bombardamenti effettuati a protezione delle truppe fu pienamente legale (ci furono oltre 500 civili uccisi dai bombardamenti). Lo stesso si può dire delle invasioni di Iraq e Afghanistan. In pratica, questa “non regola” dovrebbe valere unicamente per Israele. Si può aggiungere che Guterres, al pari di diversi ministri europei, utilizzando la falsa accusa di “uso eccessivo” della forza pone Israele nell’impossibilità oggettiva di difendersi da questa accusa inesistente perché essa non esiste nel diritto, assumendo di fatto una valenza di uno stigma morale. Diverso sarebbe stato difendersi dall’accusa di “uso indiscriminato” della forza, cosa normata dal diritto e quindi verificabile e che avrebbe smascherato la malafede dell’accusatore di turno.
A quanto detto fino ad ora, si può anche aggiungere che molti rappresentanti dell’ONU, al pari di quelli di vari governi, ritengono che essendo Hamas o la Jihad Islamica organizzazioni terroristiche non “devono” sottostare alle regole del diritto internazionale mentre Israele sì (cosa sostenuta anche dalla Corte di Giustizia Internazionale con parere consultivo del 2004 a proposito della barriera di sicurezza). Questo pone uno Stato legittimo (Israele) nell’impossibilità pratica di difendersi, come stabilito dalla leggi internazionali, perché qualsiasi azione da esso intrapreso potrà essere messa, sempre, in discussione, visto che la controparte non rispetta nessun principio umanitario nell’indifferenza generale. È quasi superfluo notare che questo atteggiamento è riservato unicamente ad Israele.
Un’ ultima annotazione va fatta in merito al termine “civile”. Quando, un individuo è considerato tale per il diritto internazionale? In senso stretto quando non porta una divisa e non faccia parte di un esercito “riconosciuto” come tale o di una milizia disciplinata dall’Art. 1 della IV Convenzione dell’Aia. Quindi un terrorista armato è un civile o è un militare anche se non ha una divisa ma esegue “tecniche” di tipo militare? Se individui non appartenenti ad eserciti o milizie di tipo militare aiutano volontariamente dei terroristi o delle truppe regolari, sono un legittimo obiettivo militare? Questi quesiti non sono semplici da definire con chiarezza perché il diritto internazionale, con le leggi di guerra (oggi diventate diritto umanitario), contempla solo i casi di guerra tra Stati e con eserciti “regolari”. Le regole per i conflitti asimmetrici (Stati contro organizzazioni terroristiche paramilitari) non sono state disciplinate. Ufficialmente, per il diritto internazionale, organizzazioni terroristiche come Hamas o Hezbollah anche se controllano territori e li gestiscono al pari di Stati riconosciuti non rientrano completamente nella categorie degli eserciti.
È chiaro che per questi e altri casi (talebani, Al-shabaab ecc.) è necessaria una implementazione delle regole del diritto internazionale in quanto, essi, posseggono tutti i requisiti statuali ma non rientrano ufficialmente nell’alveo delle sue regole. Questo è un vuoto che deve essere colmato perché sono una presenza con la quale bisogna fare i conti ogni giorno di più. Però una cosa è chiara: la poca chiarezza delle norme diventa uno strumento adatto ad attaccare unicamente Israele e mai i suoi nemici.
Autonomia sovrana e doppia morale
Niram Ferretti
1 Agosto 2023
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In una intervista rilasciata ieri a Fox News, Benjamin Netanyahu è stato costretto a dire ciò che è ovvio, ma che in tempi ferocemente avversi al senso comune è sempre necessario evidenziare.
“Non sono mai intervenuto nei dibattiti interni di altre democrazi Negli Stati Uniti è in corso un dibattito sostanziale tra la Corte Suprema e l’esecutivo, e non ho alcuna intenzione di commentare in proposit. Noi prediamo le nostre decisioni. Nelle democrazie e negli Stati sovrani, nelle democrazie sovrane, sono i rappresentati eletti dal popolo a prendere le decisioni, ed è quello che accadrà in Israele”.
Bisognerebbe spiegare il concetto all’amministrazione Biden, la prima ad ingerire massicciamente su una riforma, quella della giustizia, che riguarda la politica interna di uno Stato, e sulla quale solo Israele può avere, legittimamente, voce in capitolo.
Immaginiamo solo per un attimo gli Stati Uniti che intervengano sulla annunciata riforma della giustizia del governo Meloni. Sarebbe ipotizzabile una eventualità simile?, ma Israele, si sa, è un caso a parte per quanto riguarda tutti i parametri possibili.
Fin da subito, quando venne annunciata la riforma, il Segretario di Stato Antony Bliken, durante una visita ufficiale in Israele, recapitò a Netanyahu il messaggio che la riforma avrebbe dovuto essere concertata con l’opposizione. Di seguito, quando ormai proteste ben oliate ed eterodirette si seguivano con ritmo incalzante in gran parte del paese rischiando di paralizzarlo (lo scopo principale era quello di fare cadere il governo o di costringerlo alla resa su una riforma cardine, il che avrebbe significato la sua caduta), Biden in persona intervenne a gamba tesa, affermando in modo perentorio che Israele non poteva continuare a lungo sulla strada che stava percorrendo.
Bisogna procedere con ordine. La vittoria di Netanyahu alle ultime elezioni e la formazione di un governo con una forte accentuazione nazionalista e religiosa non è stata affatto presa bene a Washington dove, per ovvie ragioni ideologiche, si preferiva il governo precedente.
Seppure non apertamente ostile nei confronti di Israele come l’amministrazione Obama, l’amministrazione Biden ha continuato a mantenere in vita una spiccata prevenzione verso Netanyahu, a maggior ragione dopo la costituzione di un governo che ha imbarcato elementi considerati indigeribili. A tutt’oggi, Netanyahu non è ancora stato ricevuto alla Casa Bianca, uno sgarbo istituzionale assai eloquente.
In questi mesi, relativamente alla riforma della giustizia, abbiamo ascoltato affermazioni destituite della più totale credibilità e spudoratamente menzognere sulla presunta deriva antidemocratica a cui essa porterebbe. La realtà è ben altra. La riforma non solo è necessaria per arginare il potere esondante di una Corte Suprema il cui interventismo non ha precedenti in nessuno altro Stato democratico, ma costituisce di fatto, esattamente il contrario di quello che i suoi detrattori le imputano, essa infatti ha lo scopo di sanare lo squilibrio che la Suprema Corte ha inferto alla democrazia.
Il primo articolo della riforma, approvato la settimana scorsa a larga maggioranza dalla Knesset prima della chiusura estiva, va a modificare strutturalmente il cosiddetto principio di ragionevolezza, ovvero il criterio in base al quale, il Procuratore Generale dello Stato, i suoi funzionari incardinati nel governo e i magistrati, possono, a loro insindacabile giudizio, sulla base di ciò che viene considerato ragionevole o irragionevole, sterilizzare ogni decisione dell’esecutivo.
E’ questo solo il primo passo di una riforma che per anni è stata accantonata principalmente perché non sussisteva la maggioranza compatta per poterla realizzare. Ora, finalmente, questa maggioranza c’è, e nonostante le massicce proteste di piazza e le pesanti ingerenze americane, non ha ceduto alle pressioni è sta dando corso al mandato ricevuto dagli elettori.
Nell’intervista concessa a Fox News, Netanyahu ha fatto molto bene a ricordare che in questo momento, proprio negli Stati Uniti si è acceso un dibattito in merito alle prerogative della Suprema Corte, che, secondo i suoi critici, avrebbe, acquisito un potere soverchiante. Così, un suo critico, su Vox scrive:
“In meno di tre anni, da quando il presidente Joe Biden è entrato in carica, la Corte Suprema ha preso effettivamente il controllo sulla politica abitativa federale, ha deciso quali lavoratori devono essere vaccinati contro il Covid-19, ha privato l’EPA di gran parte del suo potere di contrastare il cambiamento climatico e riscritto una legge federale che permette al segretario dell’istruzione di modificare o condonare i prestiti agli studenti”.
A proposito della questione relativa alla bocciatura del condono dei prestiti agli studenti da parte della Corte, il medesimo autore, sempre su Vox scrive:
“Quindi il Congresso ha concesso esplicitamente al ramo esecutivo il potere di modificare o codonare gli obblighi di prestito studentesco durante una crisi nazionale come la pandemia di Covid-19. Ma sei giudici, quelli nominati dai presidenti repubblicani, hanno deciso di saperne di più sia del Congresso che dell’esecutivo”.
Ma non è esattamente questo quello che in Israele viene imputato dal governo in carica che si appresta a varare la riforma, ai giudici? Di prevaricare rendendole di fatto inefficaci, le prerogative dell’esecutivo? Con una variante, che il potere di interdizione nei confronti della politica, che l’autore di Vox imputa ai giudici conservatori voluti da Trump è, da trent’anni, e con una estensione assai maggiore, il potere che la Corte Suprema esercita in Israele.
La morale è, ovviamente, doppia. Siccome in Israele la maggioranza dei giudici che negli anni si sono avvicendati sugli alti scranni, ha avuto un orientamento progressista, se si tocca il loro potere, si attenta alla democrazia, mentre non solo è legittimo, ma doveroso, mettere in discussione le prerogative della più alta istituzione giuridica americana se le decisioni che essa assume sono in contrasto con l’indirizzo progressista del governo.
Informazione Corretta ieri e oggi
2 Agosto 2023
http://www.linformale.eu/informazione-c ... WvWnrw4Ndg
Commenti
Da Emanuel Segre Amar Presidente del Gruppo Sionistico Piemontese riceviamo e volentieri pubblichiamo
Spettabile Redazione,
C’era una volta un sito molto utile per tutti noi, Informazione Corretta. Ogni giorno si leggevano i principali articoli che riguardavano Israele, con commenti precisi agli articoli di disinformazione. Ultimamente IC ha cambiato completamente politica ed è diventata, poco per volta, una rassegna stampa come ne abbiamo tante. Poco per volta ha iniziato quindi a diffondere articoli pieni di menzogne che venivano pubblicati nei vari quotidiani. A questa nuova politica di IC Deborah Faith, firma storica che, in passato, si occupava di censurare le trasmissioni televisive menzognere nei confronti di Israele, si è rapidamente adeguata diventando un severo censore della politica attuale israeliana, correggendo anche, nelle sue risposte ai lettori, chi scrive alla redazione cercando di assumere una posizione meno schierata. Se penso che il responsabile (almeno di fatto) di IC è il “coordinatore” di associazioni di amicizia con Israele, che si avvale della collaborazione di Giorgio Berruto, firma storica del giornale HaKeillah di Torino, giornale di estrema sinistra da sempre molto severo verso tutti i governi israeliani, tutto si spiega, ma tutto è anche molto grave.
So che alcune firme storiche hanno smesso di collaborare con IC, ma questo, purtroppo, non è sufficiente per arginare il male che tale testata fa. E non mi stupisco che IC aumenti il numero di lettori, come mi scrisse Deborah Faith: basta allinearsi ad una certa politica e il gioco è fatto.
Egr. Dott. Amar,
Informazione Corretta è stata per anni, per noi tutti, un prezioso e indispensabile punto di riferimento. Era il luogo dove attingere puntualmente al raddrizzamento delle notizie false su Israele, ovvero era il luogo dove potere trovare su Israele tutto quello che veniva nascosto o deformato nell’ambito dell’informazione mainstream. Il merito di ciò lo si deve al fondatore del sito, Angelo Pezzana e alla valida squadra di collaboratori con cui ha saputo valorizzarlo, e occorre qui, soprattutto ricordare il contributo dato da Ugo Volli, per molti anni, firma storica del sito. Detto ciò, è nostro parere che da tempo Informazione Corretta abbia perso in smalto, offrendo, soprattutto, come scrive lei, un florilegio di notizie che non sopperiscono purtroppo a una carenza di analisi politica accurata o approfondita da parte dei suoi collaboratori.
Ogni sito, come ogni quotidiano che si occupi di politica, nazionale o internazionale, sia esso in stampa o in digitale, ha il diritto di darsi in merito la linea editoriale che ritiene. Sulla riforma della giustizia in Israele, tema caldo degli ultimi mesi, Informazione Corretta ha scelto una linea massimalista totalmente antigovernativa e contro la riforma. Si tratta di una scelta del tutto legittima, non è questo il problema, il problema è la modalità con cui tale scelta è espressa, ovvero tramite la mancanza di analisi accurate, sostituite da pistolotti demagogici, espettorazioni emotive, anatemi e invettive.
Si può ovviamente essere contrari alla riforma, qui su L’Informale siamo esplicitamente a favore, ma crediamo che, favorevoli o contrari, occorra esserlo con la massima precisione informativa, e nel caso di avversarla, saperlo fare rinunciando all’isteria e all’apocalittismo, ovvero presentando la riforma come un dispositivo eversivo il cui scopo è quello di condurre Israele a una dittatura.
Può capitare anche ai migliori di rasentare il ridicolo, ma sposarlo come linea editoriale rende solo un pessimo servizio all’informazione in generale.