Israele verso la libertà

Re: Israele verso la libertà

Messaggioda Berto » lun ago 07, 2023 6:59 pm

L'intolleranza dei "migliori"
Davide Cavaliere
31 Luglio 2023

http://www.linformale.eu/lintolleranza- ... uWVgU0mH8M

Anna Foa, sul sito web di Gariwo, associazione specializzata nella santificazione laica di ogni individuo in odore di «progressismo», delizia il lettore con «nuove», si fa per dire, riflessioni sull’attualità politica israeliana.

La storica, quasi nietzschianamente, ritorna ancora una volta, e come sempre, sul presunto tentativo di Netanyahu di «distruggere» la democrazia attraverso la riforma giudiziaria. Se eccettuiamo la furibonda avversione alla destra israeliana, la Foa, quantomeno, quando scrive «se Netanyahu vincerà, un governo composto da fanatici messianici, razzisti, fascisti dichiarati potrà fare quello che vorrà nel Paese, senza più il controllo della Corte Suprema», ha il merito di esplicitare il modo in cui la sinistra concepisce la Corte, ossia come argine e barriera a una destra inopinatamente associata a «fascismo» e «razzismo».

Anna Foa, come tanti intellettuali presuntivamente «illuminati», persuasi di essere «dalla parte giusta della Storia», non riconoscono alcuna legittimità ai loro antagonisti politici, qualificati come prole delle peggiori ideologie del secolo scorso – «il grembo da cui nacque è ancor fecondo», scrisse lo stalinista Bertolt Brecht.

L’ipermnesia dei crimini nazisti fa perdere ad Anna Foa senso della realtà e delle proporzioni. Per questa ragione può paragonare alcune, occasionali, violenze ebraiche a danno dei palestinesi come «pogrom». Come se in Israele avvenissero massacri simili a quelli di Kishinev o Leopoli che, proprio per la loro brutalità, diedero un forte impulso al sionismo.

Inoltre, appellandosi a non specificate fonti, ci informa che i suddetti «pogrom» a danno degli arabi avverebbero «protetti dalla polizia». Riemerge qua il fantasma di una paranoia degli anni Settanta italiani, quella di una segreta collaborazione tra i «fascisti» e la «polizia». Il quadro è fosco, nerissimo, ma la realtà è altrove.

Anna Foa, che si considera una custode delle democrazia, che guardando le proteste si è sentita «orgogliosa di essere ebrea, un sentimento che negli ultimi anni era davvero difficile provare» (per quale ragione?), fa risorgere un antico interrogativo: quis custodiet ipsos custodes? Chi tutelerà gli israeliani da coloro che vorrebbero mantenere il Paese ostaggio di un Corte Suprema politicizzata e dotata di poteri anomali?

La riforma giudiziaria non è un attacco alla democrazia, bensì la caduta di una «tirannia» morbida. I tribunali, compreso quello Supremo, non possono sostituirsi ai rappresentanti democraticamente eletti.

Il celebre giurista Amnon Rubinstein si espresse così sulla situazione giudiziaria in Israele: «si è creata una situazione in cui la Corte Suprema può riunirsi e decidere su ogni questione immaginabile […] Si è trattato di una rivoluzione totale nel pensiero giudiziario che ha caratterizzato la Corte Suprema delle generazioni precedenti, e ciò le ha conferito la reputazione di tribunale più attivista del mondo, suscitando ammirazione e critiche. In pratica, sotto molti aspetti la Corte Suprema sotto Barak è diventata un governo alternativo».

«Un governo alternativo». È questo il problema che Anna Foa, e come lei tanti altri «fautori dei diritti umani», non vogliono vedere. In una democrazia non possono esserci governi «ombra». La Corte Suprema, questo esecutivo «alternativo», avrà anche valori in linea con quelli della storica, ma le sue prerogative non coincidono con quelle previste nei regimi democratici.

Come scrisse il romanziere, recentemente scomparso, Martin Walser: «l’intolleranza oggi viene da coloro che pensano di essere i buoni e i migliori».




Il sogno spezzato della pace
Giuseppe Grimaldi
30 luglio 2023

http://www.linformale.eu/il-sogno-spezz ... C9wAExgxBQ

Israele, immancabilmente, è accusato da numerosi rappresentanti ONU di “uso sproporzionato” della forza quando risponde con azioni militari ai continui e ripetuti attacchi terroristici da parte delle organizzazioni terroristiche palestinesi e da membri della stessa Autorità Palestinese.

Un esempio recente si è avuto durante l’ultima operazione dell’esercito nell’area di Jenin ai primi di luglio. In questo caso lo stesso Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres, ha accusato Israele di «un “ovvio” eccessivo uso della forza». In pratica, per il Segretario Generale dell’ONU, Israele quando decide di operare militarmente in un “territorio ostile” come quello di Jenin o di Gaza violerebbe il diritto internazionale a prescindere, anche se nei fatti nessun civile è stato ucciso nei combattimenti (caso unico nella storia dei conflitti armati in territorio urbano densamente popolato). Prima di entrare nel merito dell’infondatezza di questa accusa abituale priva di ogni fondamento (nel diritto internazionale non esiste il principio di “proporzionalità” dell’uso della forza militare) oltre che di buon senso, è opportuno contestualizzare questo ultimo conflitto – uguale ai numerosissimi che si sono succeduti nel corso degli ultimi 15 anni – che contrappone lo Stato di Israele a bande di terroristi più o meno legittimate da gran parte della comunità internazionale (altro caso unico al mondo).

Una prima osservazione da fare è che si è trattato dell’ennesimo episodio di guerra asimmetrica che contrappone uno Stato (Israele) ad organizzazioni terroristiche (Jihad Islamica e Hamas) che non tengono minimamente conto delle regole del diritto internazionale in materia di diritto umanitario. Ciò pone subito un importante interrogativo: perché l’ONU e gran parte della comunità internazionale finanzia direttamente (tramite l’UNRWA per esempio) o indirettamente delle organizzazioni terroristiche per poi accusare Israele quando si difende dalla stesse? Questi lauti finanziamenti contribuiscono all’acquisto di armi, equipaggiamento e indottrinamento all’odio antisemita per mezzo delle stesse scuole costruite e condotte da membri dell’ONU. Un altro aspetto di questa guerra asimmetrica è costituito dal fatto che Stati membri dell’ONU (come l’Iran) forniscono cospicue quantità di armi o soldi ai terroristi nella totale indifferenza di ONU, UE e USA. Altri Stati come l’Egitto e la Giordania permettono il loro transito verso Gaza o la Samaria e Giudea, nella medesima indifferenza internazionale. Questi Stati non sono mai stati sanzionati per l’appoggio logistico (anche se non ufficiale) fornito anche se formalmente sono in pace con Israele. A ciò va aggiunto che le organizzazioni terroristiche palestinesi, fiancheggiate dall’Autorità Palestinese, hanno centri operativi, depositi di armi e esplosivi, esclusivamente tra la popolazione civile che viene – suo malgrado – conseguentemente esposta alle azioni militari di Israele, anzi, viene utilizzata scientemente come scudo umano. Di questo aspetto non vi è mai traccia nei “rapporti” dei vari rappresentanti ONU che di volta in volta accusano Israele di “uso sproporzionato della forza”. Veniamo ora al significato di questo termine.

Le norme internazionali sull’utilizzo della forza militare e le regole di ingaggio di un esercito sono disciplinate, principalmente, dalla Convenzione dell’Aia del 1907 e dalle Convenzioni di Ginevra. Esse non dicono quale sia “l’uso proporzionato della forza” (tanto è vero che il principio di “proporzionalità” non compare in nessun trattato internazionale), ma indicano in via generale quale sia l’uso della forza militare idoneo per la conquista di un obiettivo militare. Oppure, in merito alla popolazione civile, indicano – principalmente nel I protocollo alla IV Convenzione di Ginevra del 1977 – che è severamente vietato attaccare in “maniera indiscriminata” la popolazione civile. Va sottolineato che questo principio è definito all’Art. 51 (5) del suddetto protocollo. Per attacco indiscriminato si intende un attacco militare non su un obiettivo militare specifico ma su un’intera area urbana indipendentemente dal fatto che in essa ci siano chiare zone prive di obiettivi militari, cosa che Israele non ha mai fatto in nessuna delle sue operazioni militari. Allora perché Guterres ha dichiarato che Israele utilizza uno “sproporzionato” uso della forza, se tale principio non esiste nel diritto? Per meri scopi accusatori nei confronti dello Stato ebraico, che, in questo modo viene imputato di qualche violazione anche se di norme inesistenti. Israele, diviene così, immediatamente, colpevole a prescindere. Va sottolineato che l’accusa di “uso sproporzionato” della forza non è mai stata rivolta a nessun altro Stato al di fuori di Israele (neanche alla Russia per l’aggressione all’Ucraina).

Una cosa, invece, è certa nella Convenzione dell’Aia o nelle Convenzioni di Ginevra: è fatto divieto assoluto di utilizzo di abitazioni civili, luoghi di culto o ospedali come luoghi di stoccaggio per armi e munizioni e tanto meno il loro utilizzo come basi operative per azioni armate. Cosa, ad esempio, mai evidenziata nei “rapporti” ONU. Come si può ben comprendere, Israele è costretto a operazioni militari dai terroristi palestinesi, che non rispettano nulla del diritto internazionale, in teatri urbani dove è praticamente impossibile intervenire senza causare vittime civili (cosa che è però riuscita a fare nell’ultima operazione militare).

Cosa dice il diritto internazionale in merito alle vittime civili nei conflitti militari? Dice che è severamente vietato causare vittime civili solo quando i civili non costituiscono un chiaro obiettivo militare. Quando sono invece un obiettivo militare? Quando sono direttamente coinvolti negli obiettivi militari, come nel caso dei terroristi che li usano come scudi umani per proteggersi o proteggere i comandi o i depositi di armi. In questo caso la sola responsabilità di violazione del diritto internazionale ricade sulla parte – i terroristi palestinesi – che li espone ai pericoli del conflitto militare. Il compito dell’esercito israeliano è solo quello di non colpire deliberatamente abitazioni o strutture che non centrano nulla con i centri militari dei terroristi.

Facciamo un esempio. Guterres e altri (numerosi) funzionari dell’ONU hanno accusato Israele di “uso sproporzionato” della forza militare perché hanno utilizzato elicotteri e droni a copertura dei soldati sul terreno. Questa è una colossale menzogna, perché un esercito può utilizzare i mezzi che ritiene opportuni per portare avanti un’azione militare (se non espressamente vietati nelle convenzioni come ad esempio i gas o le armi batteriologiche). Quindi, la discriminante per stabilire se c’è stato un “uso indiscriminato” di forza militare (e non un “uso sproporzionato”) non è dato dai mezzi militari che vengono utilizzati ma dal modo in cui tali mezzi vengono utilizzati. Se sono utilizzati unicamente per colpire degli obiettivi militari – anche in centri urbani – sono legittimi, se sono utilizzati per bombardare a casaccio per colpire edifici che nulla hanno a che fare con gli obiettivi militari allora si è in presenza di un “uso indiscriminato” della forza militare. Se la presenza degli obiettivi militari è tra la popolazione civile la violazione del diritto (e dell’etica) ricade unicamente su chi li ha installati lì non su chi li colpisce.

Quando l’ONU decise l’operazione militare Restore Hope in Somalia nel 1992, la maggior parte dei combattimenti avvenne in centri urbani. Le truppe ONU utilizzarono anche mezzi pesanti e elicotteri da combattimento nei suddetti centri a protezione delle proprie truppe, che causarono centinai di morti tra i civili ma nessuno – ad iniziare dall’ONU – disse che ci fu un “uso eccessivo” o “indiscriminato” della forza (in una sola operazione militare ci furono oltre mille morti civili). Quando la NATO bombardò i centri abitati da civili in Serbia con una massiccia campagna aerea nessuno disse che ci fu un “utilizzo sproporzionato” della forza, anzi, un procuratore del Tribunale Internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia, stabilì che i bombardamenti effettuati a protezione delle truppe fu pienamente legale (ci furono oltre 500 civili uccisi dai bombardamenti). Lo stesso si può dire delle invasioni di Iraq e Afghanistan. In pratica, questa “non regola” dovrebbe valere unicamente per Israele. Si può aggiungere che Guterres, al pari di diversi ministri europei, utilizzando la falsa accusa di “uso eccessivo” della forza pone Israele nell’impossibilità oggettiva di difendersi da questa accusa inesistente perché essa non esiste nel diritto, assumendo di fatto una valenza di uno stigma morale. Diverso sarebbe stato difendersi dall’accusa di “uso indiscriminato” della forza, cosa normata dal diritto e quindi verificabile e che avrebbe smascherato la malafede dell’accusatore di turno.

A quanto detto fino ad ora, si può anche aggiungere che molti rappresentanti dell’ONU, al pari di quelli di vari governi, ritengono che essendo Hamas o la Jihad Islamica organizzazioni terroristiche non “devono” sottostare alle regole del diritto internazionale mentre Israele sì (cosa sostenuta anche dalla Corte di Giustizia Internazionale con parere consultivo del 2004 a proposito della barriera di sicurezza). Questo pone uno Stato legittimo (Israele) nell’impossibilità pratica di difendersi, come stabilito dalla leggi internazionali, perché qualsiasi azione da esso intrapreso potrà essere messa, sempre, in discussione, visto che la controparte non rispetta nessun principio umanitario nell’indifferenza generale. È quasi superfluo notare che questo atteggiamento è riservato unicamente ad Israele.

Un’ ultima annotazione va fatta in merito al termine “civile”. Quando, un individuo è considerato tale per il diritto internazionale? In senso stretto quando non porta una divisa e non faccia parte di un esercito “riconosciuto” come tale o di una milizia disciplinata dall’Art. 1 della IV Convenzione dell’Aia. Quindi un terrorista armato è un civile o è un militare anche se non ha una divisa ma esegue “tecniche” di tipo militare? Se individui non appartenenti ad eserciti o milizie di tipo militare aiutano volontariamente dei terroristi o delle truppe regolari, sono un legittimo obiettivo militare? Questi quesiti non sono semplici da definire con chiarezza perché il diritto internazionale, con le leggi di guerra (oggi diventate diritto umanitario), contempla solo i casi di guerra tra Stati e con eserciti “regolari”. Le regole per i conflitti asimmetrici (Stati contro organizzazioni terroristiche paramilitari) non sono state disciplinate. Ufficialmente, per il diritto internazionale, organizzazioni terroristiche come Hamas o Hezbollah anche se controllano territori e li gestiscono al pari di Stati riconosciuti non rientrano completamente nella categorie degli eserciti.

È chiaro che per questi e altri casi (talebani, Al-shabaab ecc.) è necessaria una implementazione delle regole del diritto internazionale in quanto, essi, posseggono tutti i requisiti statuali ma non rientrano ufficialmente nell’alveo delle sue regole. Questo è un vuoto che deve essere colmato perché sono una presenza con la quale bisogna fare i conti ogni giorno di più. Però una cosa è chiara: la poca chiarezza delle norme diventa uno strumento adatto ad attaccare unicamente Israele e mai i suoi nemici.


Autonomia sovrana e doppia morale

Niram Ferretti
1 Agosto 2023
http://www.linformale.eu/autonomia-sovr ... uWVgU0mH8M

In una intervista rilasciata ieri a Fox News, Benjamin Netanyahu è stato costretto a dire ciò che è ovvio, ma che in tempi ferocemente avversi al senso comune è sempre necessario evidenziare.

“Non sono mai intervenuto nei dibattiti interni di altre democrazi Negli Stati Uniti è in corso un dibattito sostanziale tra la Corte Suprema e l’esecutivo, e non ho alcuna intenzione di commentare in proposit. Noi prediamo le nostre decisioni. Nelle democrazie e negli Stati sovrani, nelle democrazie sovrane, sono i rappresentati eletti dal popolo a prendere le decisioni, ed è quello che accadrà in Israele”.

Bisognerebbe spiegare il concetto all’amministrazione Biden, la prima ad ingerire massicciamente su una riforma, quella della giustizia, che riguarda la politica interna di uno Stato, e sulla quale solo Israele può avere, legittimamente, voce in capitolo.

Immaginiamo solo per un attimo gli Stati Uniti che intervengano sulla annunciata riforma della giustizia del governo Meloni. Sarebbe ipotizzabile una eventualità simile?, ma Israele, si sa, è un caso a parte per quanto riguarda tutti i parametri possibili.

Fin da subito, quando venne annunciata la riforma, il Segretario di Stato Antony Bliken, durante una visita ufficiale in Israele, recapitò a Netanyahu il messaggio che la riforma avrebbe dovuto essere concertata con l’opposizione. Di seguito, quando ormai proteste ben oliate ed eterodirette si seguivano con ritmo incalzante in gran parte del paese rischiando di paralizzarlo (lo scopo principale era quello di fare cadere il governo o di costringerlo alla resa su una riforma cardine, il che avrebbe significato la sua caduta), Biden in persona intervenne a gamba tesa, affermando in modo perentorio che Israele non poteva continuare a lungo sulla strada che stava percorrendo.

Bisogna procedere con ordine. La vittoria di Netanyahu alle ultime elezioni e la formazione di un governo con una forte accentuazione nazionalista e religiosa non è stata affatto presa bene a Washington dove, per ovvie ragioni ideologiche, si preferiva il governo precedente.

Seppure non apertamente ostile nei confronti di Israele come l’amministrazione Obama, l’amministrazione Biden ha continuato a mantenere in vita una spiccata prevenzione verso Netanyahu, a maggior ragione dopo la costituzione di un governo che ha imbarcato elementi considerati indigeribili. A tutt’oggi, Netanyahu non è ancora stato ricevuto alla Casa Bianca, uno sgarbo istituzionale assai eloquente.

In questi mesi, relativamente alla riforma della giustizia, abbiamo ascoltato affermazioni destituite della più totale credibilità e spudoratamente menzognere sulla presunta deriva antidemocratica a cui essa porterebbe. La realtà è ben altra. La riforma non solo è necessaria per arginare il potere esondante di una Corte Suprema il cui interventismo non ha precedenti in nessuno altro Stato democratico, ma costituisce di fatto, esattamente il contrario di quello che i suoi detrattori le imputano, essa infatti ha lo scopo di sanare lo squilibrio che la Suprema Corte ha inferto alla democrazia.

Il primo articolo della riforma, approvato la settimana scorsa a larga maggioranza dalla Knesset prima della chiusura estiva, va a modificare strutturalmente il cosiddetto principio di ragionevolezza, ovvero il criterio in base al quale, il Procuratore Generale dello Stato, i suoi funzionari incardinati nel governo e i magistrati, possono, a loro insindacabile giudizio, sulla base di ciò che viene considerato ragionevole o irragionevole, sterilizzare ogni decisione dell’esecutivo.

E’ questo solo il primo passo di una riforma che per anni è stata accantonata principalmente perché non sussisteva la maggioranza compatta per poterla realizzare. Ora, finalmente, questa maggioranza c’è, e nonostante le massicce proteste di piazza e le pesanti ingerenze americane, non ha ceduto alle pressioni è sta dando corso al mandato ricevuto dagli elettori.

Nell’intervista concessa a Fox News, Netanyahu ha fatto molto bene a ricordare che in questo momento, proprio negli Stati Uniti si è acceso un dibattito in merito alle prerogative della Suprema Corte, che, secondo i suoi critici, avrebbe, acquisito un potere soverchiante. Così, un suo critico, su Vox scrive:

“In meno di tre anni, da quando il presidente Joe Biden è entrato in carica, la Corte Suprema ha preso effettivamente il controllo sulla politica abitativa federale, ha deciso quali lavoratori devono essere vaccinati contro il Covid-19, ha privato l’EPA di gran parte del suo potere di contrastare il cambiamento climatico e riscritto una legge federale che permette al segretario dell’istruzione di modificare o condonare i prestiti agli studenti”.

A proposito della questione relativa alla bocciatura del condono dei prestiti agli studenti da parte della Corte, il medesimo autore, sempre su Vox scrive:

“Quindi il Congresso ha concesso esplicitamente al ramo esecutivo il potere di modificare o codonare gli obblighi di prestito studentesco durante una crisi nazionale come la pandemia di Covid-19. Ma sei giudici, quelli nominati dai presidenti repubblicani, hanno deciso di saperne di più sia del Congresso che dell’esecutivo”.

Ma non è esattamente questo quello che in Israele viene imputato dal governo in carica che si appresta a varare la riforma, ai giudici? Di prevaricare rendendole di fatto inefficaci, le prerogative dell’esecutivo? Con una variante, che il potere di interdizione nei confronti della politica, che l’autore di Vox imputa ai giudici conservatori voluti da Trump è, da trent’anni, e con una estensione assai maggiore, il potere che la Corte Suprema esercita in Israele.

La morale è, ovviamente, doppia. Siccome in Israele la maggioranza dei giudici che negli anni si sono avvicendati sugli alti scranni, ha avuto un orientamento progressista, se si tocca il loro potere, si attenta alla democrazia, mentre non solo è legittimo, ma doveroso, mettere in discussione le prerogative della più alta istituzione giuridica americana se le decisioni che essa assume sono in contrasto con l’indirizzo progressista del governo.




Informazione Corretta ieri e oggi
2 Agosto 2023
http://www.linformale.eu/informazione-c ... WvWnrw4Ndg


Commenti

Da Emanuel Segre Amar Presidente del Gruppo Sionistico Piemontese riceviamo e volentieri pubblichiamo

Spettabile Redazione,

C’era una volta un sito molto utile per tutti noi, Informazione Corretta. Ogni giorno si leggevano i principali articoli che riguardavano Israele, con commenti precisi agli articoli di disinformazione. Ultimamente IC ha cambiato completamente politica ed è diventata, poco per volta, una rassegna stampa come ne abbiamo tante. Poco per volta ha iniziato quindi a diffondere articoli pieni di menzogne che venivano pubblicati nei vari quotidiani. A questa nuova politica di IC Deborah Faith, firma storica che, in passato, si occupava di censurare le trasmissioni televisive menzognere nei confronti di Israele, si è rapidamente adeguata diventando un severo censore della politica attuale israeliana, correggendo anche, nelle sue risposte ai lettori, chi scrive alla redazione cercando di assumere una posizione meno schierata. Se penso che il responsabile (almeno di fatto) di IC è il “coordinatore” di associazioni di amicizia con Israele, che si avvale della collaborazione di Giorgio Berruto, firma storica del giornale HaKeillah di Torino, giornale di estrema sinistra da sempre molto severo verso tutti i governi israeliani, tutto si spiega, ma tutto è anche molto grave.

So che alcune firme storiche hanno smesso di collaborare con IC, ma questo, purtroppo, non è sufficiente per arginare il male che tale testata fa. E non mi stupisco che IC aumenti il numero di lettori, come mi scrisse Deborah Faith: basta allinearsi ad una certa politica e il gioco è fatto.

Egr. Dott. Amar,

Informazione Corretta è stata per anni, per noi tutti, un prezioso e indispensabile punto di riferimento. Era il luogo dove attingere puntualmente al raddrizzamento delle notizie false su Israele, ovvero era il luogo dove potere trovare su Israele tutto quello che veniva nascosto o deformato nell’ambito dell’informazione mainstream. Il merito di ciò lo si deve al fondatore del sito, Angelo Pezzana e alla valida squadra di collaboratori con cui ha saputo valorizzarlo, e occorre qui, soprattutto ricordare il contributo dato da Ugo Volli, per molti anni, firma storica del sito. Detto ciò, è nostro parere che da tempo Informazione Corretta abbia perso in smalto, offrendo, soprattutto, come scrive lei, un florilegio di notizie che non sopperiscono purtroppo a una carenza di analisi politica accurata o approfondita da parte dei suoi collaboratori.

Ogni sito, come ogni quotidiano che si occupi di politica, nazionale o internazionale, sia esso in stampa o in digitale, ha il diritto di darsi in merito la linea editoriale che ritiene. Sulla riforma della giustizia in Israele, tema caldo degli ultimi mesi, Informazione Corretta ha scelto una linea massimalista totalmente antigovernativa e contro la riforma. Si tratta di una scelta del tutto legittima, non è questo il problema, il problema è la modalità con cui tale scelta è espressa, ovvero tramite la mancanza di analisi accurate, sostituite da pistolotti demagogici, espettorazioni emotive, anatemi e invettive.

Si può ovviamente essere contrari alla riforma, qui su L’Informale siamo esplicitamente a favore, ma crediamo che, favorevoli o contrari, occorra esserlo con la massima precisione informativa, e nel caso di avversarla, saperlo fare rinunciando all’isteria e all’apocalittismo, ovvero presentando la riforma come un dispositivo eversivo il cui scopo è quello di condurre Israele a una dittatura.

Può capitare anche ai migliori di rasentare il ridicolo, ma sposarlo come linea editoriale rende solo un pessimo servizio all’informazione in generale.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Israele verso la libertà

Messaggioda Berto » lun ago 07, 2023 7:00 pm

CORTE SUPREMA ISRAELE CONVOCA FORUM CON TUTTI 15 CONSIGLIERI
Ansa
2 agosto 2023

https://www.facebook.com/celeste.vichi/ ... VjPq4eJeSl

TEL AVIV - Sempre più arroventato in Israele il confronto fra il potere esecutivo ed il giudiziario, dopo che la Knesset ha approvato la prima fase della riforma giudiziaria intrapresa dal governo Netanyahu, ossia la 'limitazione della clausola di ragionevolezza'. In seguito alla presentazione di diversi ricorsi contro la netta revisione di quella clausola (cosa che secondo l'opposizione minaccia potenzialmente la democrazia israeliana), la presidente della Corte Suprema, Ester Hayut, ha convocato per il 12 settembre un'udienza alla presenza di un forum che in questa occasione includerà tutti i suoi 15 giudici: una decisione senza precedenti nella storia di Israele.
Ieri tuttavia, in una intervista alla rete televisiva statunitense Nbc, il premier, Benyamin Netanyahu, non si è impegnato ad accettare a priori una decisione della Corte Suprema, se essa annullasse la 'limitazione della clausola'. In Israele, ha osservato, "i governi rispettano le decisioni della Corte Suprema e la Corte Suprema rispetta le leggi fondamentali, che sono quanto noi abbiamo di più simile a una Costituzione.
Occorre rispettare entrambi i principi".
Il Likud ha intanto pubblicato un comunicato in cui sostiene che la Corte Suprema deve "rispettare le leggi fondamentali" e che se in questo caso non lo facesse "sarebbe un grave colpo per la democrazia israeliana". Più esplicito ancora uno dei dirigenti del Likud, Yuli Edelstein: "Se la Corte Suprema annullasse la 'limitazione della clausola di ragionevolezza' - ha detto ad un giornale religioso - sarebbe una dichiarazione di guerra".

Gino Quarelo
Questa corte eversiva ha poco da convocare forum, deve solo rispettare la legge fatta dal legislatore sovrano eletto democraticamente dal Popolo Sovrano, altrimenti si dimetta o venga destituita a forza (e se occorre vengano arrestati e processati i suoi membri per eversione della democrazia) e si provveda a farne un'altra rispettosa dei limiti democratici del suo ruolo.




Il Reo

Davide Cavaliere
3 Agosto 2023

http://www.linformale.eu/il-reo/?fbclid ... zvvklFJo6I

Il 28 settembre 2000, Ariel Sharon, allora capo dell’opposizione alla Knesset, fece una passeggiata presso il Monte del Tempio, luogo considerato sacro anche dai musulmani col nome di Spianata delle moschee.

Nella versione corrente, la passeggiata di Sharon, subito qualificata come «provocazione», avrebbe dato inizio alla Seconda intifada, ossia l’Intifada di al-Aqsa. Ma, come testimoniato dalla stessa moglie di Arafat, non fu la passeggiata del leader israeliano alla Spianata delle Moschee a scatenarla, poiché questa era già stata programmata dal capo dell’OLP.

Alcuni giorni fa, il ministro israeliano per la sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, si è recato al Monte del Tempio per la ricorrenza di Tisha b’Av, durante la quale gli ebrei di tutto il mondo piangono la distruzione del primo e del secondo tempio di Gerusalemme. Tale visita ha scatenato le ire del mondo arabo e dell’Amministrazione statunitense.

Il ministero degli Esteri saudita ha definito la recente visita di Ben-Gvir come una «flagrante violazione di tutte le norme internazionali e accordi» e una «provocazione per tutti i musulmani del mondo». Incurante del jihad in corso contro lo Stato di Israele e della negazione dei diritti dei suoi cittadini alla preghiera sul Monte del Tempio, l’amministrazione Biden ha condannando la visita del ministro israeliano affermando che «Qualsiasi azione o retorica unilaterale che metta a repentaglio lo status quo è inaccettabile».

Le dichiarazioni dei sauditi e dei democratici americani sono condivise da ampi settori dell’ebraismo presuntivamente «progressista» e «illuminato».

Viene spontaneo chiedersi: per quale ragione la visita al Monte del Tempio da parte di un politico israeliano sarebbe una «provocazione»? Ben-Gvir ha forse impedito ai fedeli musulmani di recarsi presso la moschea di al-Aqsa? Le critiche al ministro della sicurezza nazionale e, di riflesso, a tutto il governo, sono motivate da mero odio politico.

Gli ebrei, nell’indifferenza generale, sono da anni vittime di aggressioni nei loro pellegrinaggi al Monte, presso cui sono costretti a recarsi sotto pesante scorta armata. I musulmani, infatti, vorrebbero abolire ogni presenza ebraica da quel luogo, che considerano di esclusiva appartenenza islamica. Lo «status quo» difeso dai filopalestinesi è quello delle violenze, fisiche e simboliche, a danno dei religiosi ebrei.

Ben-Gvir, inoltre, ha avuto il merito di sottolineare come il ridotto numero di visitatori ebrei presso il sito – o addirittura la loro assenza – implicherebbe un minor numero di agenti di polizia israeliani di stanza presso il Monte del Tempio, «il che creerà un terreno fertile per massicce manifestazioni di incitamento all’omicidio di ebrei e persino uno scenario in cui verranno lanciate pietre contro i fedeli ebrei al Muro Occidentale», come ha dichiarato il ministro.

Scenari terribili che i benpensanti non intendono prendere in considerazione, preferendo accusare, oggi come ai tempi di Sharon, la destra di «irresponsabilità». Al contrario, gli unici a essere sconsiderati, al momento, sono coloro che, pur di minare Netanyahu, prestano il fianco o tendono la mano agli odiatori seriali dello Stato d’Israele.

Gino Quarelo
Esatto. Oltretutto va considerato che quest'area è area sacra degli ebrei da migliaia di anni, occupata ciminalmente e con la violenza dagli invasori nazi maomettani che hanno profanato le rovine del tempio (distrutto dai romani) e che senza alcun rispetto per gli ebrei hanno costruito una loro moschea, come hanno fatto con la basilica cristiana di Santa Sofia a Bisanzio/Instanbul.



Il demenziale sinistrato-ateo, filo nazimaomettano e antisemita Moni Ovadia, bugiardo e calunniatore (amico di Sgarbi e promosso dalla Lega di Ferarra)



Israele scende in piazza, ma è una buona notizia solo per metà
Moni Ovadia
7 agosto 2023

https://volerelaluna.it/in-primo-piano/ ... -per-meta/

Migliaia di bandiere israeliane, da molte settimane garriscono al vento nelle strade e nelle piazze delle principali città dello Stato ebraico. Non si vedeva nulla di simile da 75 anni, dal giorno della proclamazione dello Stato di Israele stesso. Se non fossimo stati informati dalle televisioni e della stampa della ragione della presenza di tutte queste bandiere nazionali potremmo pensare a una torrenziale manifestazione nazionalista. Invece no, si tratta di una vastissima mobilitazione per la difesa di uno dei principi istitutivi di qualsiasi democrazia, ovvero la separazione e l’indipendenza dei poteri dello Stato. L’opposizione parlamentare al Governo e anche parte rilevante della società civile decisamente sopita da anni e anni, anche quando avrebbe avuto sacrosante ragioni per fare il proprio mestiere, si è risvegliata di colpo quando il Governo ha annunciato, e poi fatto passare, un provvedimento di legge che de facto e de jure sottomette la Corte Suprema all’esecutivo privandola di una titolarità che finora le permetteva di bloccare un’azione del Governo sulla base del principio di “estrema irragionevolezza”.

Come mai questa titolarità dell’Alta Corte era espressa in termini così generici? Il motivo è che lo Stato di Israele non ha una Costituzione e non ha mai pensato di darsela perché i governi potessero avere le mani libere su molte questioni che i politici sionisti ritenevano imprescindibili per i loro obiettivi. Una Costituzione, per esempio, definisce i confini di un territorio nazionale. Lo fa sulla base della propria identità ma soprattutto in rispetto dei principi della legalità internazionale. E sulla base delle risoluzioni dell’ONU, i governi e l’autorità militare israeliane non avrebbero mai potuto perseguire sistematicamente e artatamente la politica di occupazione, colonizzazione, oppressione e segregazione del popolo palestinese.

Chiarito questo punto, ritorniamo alla mobilitazione di questi tempi. La vasta maggioranza della società israeliana non ha mai trovato la motivazione per mobilitarsi di fronte allo scempio dei più elementari diritti umani e neppure per l’assenza del più primario sentimento di rispetto nei confronti dei palestinesi di cui da decenni danno prova le autorità governative e militari dello Stato d’Israele. Solo piccole minoranze hanno lottato con determinazione rivendicando i principi universali di dignità ed eguaglianza a favore dei cittadini palestinesi. Ma non appena Bibi, ha deciso di disgregare la fragile e limitata democrazia israeliana per farne un regime autoritario, pronto a trasformarsi in un Iran degli ebrei israeliani, grazie alla complicità di sedicenti ebrei ortodossi (in realtà fanatici zeloti assetati di potere e agiti da un fanatismo per interessi), apriti cielo, è scoppiato un putiferio. La parte “laica”, secolare e religiosa, ha riscoperto di colpo che la democrazia è un valore su cui hanno sempre pensato che si fondasse il sionismo.

È una buona notizia? Si e no! Si, perché è sempre una buona notizia che vaste parti di un popolo si ribellino alle schifose trame di potere dell’ultimo aspirante autocrate e dei suoi sgherri. Ribellarsi è giusto! Gli ebrei israeliani lo hanno fatto ma solo perché Bibi voleva sottrarre loro una titolarità. E quindi… No, perché il vero veleno che ha reso l’aspirazione democratica dell’Entità sionista velleitaria è stato il processo esponenziale di oppressione dei palestinesi. La perversione del sogno ha avuto inizio con la Nakba ed è proseguito con la metastasi dell’occupazione illegale delle terre palestinesi. Lo aveva preconizzato lo studioso di ebraismo e filosofo Yeshayau Leibowitz, ebreo sionista. Con la visionarietà di un profeta aveva ammonito che se i territori occupati nel ‘67 non fossero stati restituiti immediatamente, il giovane stato ebraico sarebbe precipitato in un regime giudeo-nazista. Per il suo linguaggio provocatorio Leibowitz ebbe molti guai, ma la forza del suo magistero oggi ritrova forza.

I veri nemici della democrazia israeliana si chiamano occupazione, colonizzazione, apartheid e tutte le pratiche di violenza e di sadismo istituzionale, di arbitrio senza limiti che si traducono in decine di migliaia di arresti arbitrari, di leggi senza giustizia, tipiche delle peggiori forme di barbarie, di aggressioni dei coloni israeliani protetti dall’esercito contro i villaggi dei palestinesi (le stesse aggressioni che quando le subivano gli ebrei dalla marmaglia antisemita si chiamavano pogròm). La costellazione di arbitri, violenze, abusi, sopraffazioni che ogni ora subiscono i palestinesi richiederebbe la redazione di un ponderoso volume. La democrazia israeliana non può essere difesa opponendosi a un solo provvedimento di legge ancorché gravissimo, ma deve confrontarsi con una radicale rimessa in questione di tutte le pratiche politiche che l’hanno portata alla degenerazione guidata e voluta da una classe politica accecata dal nazionalismo fanatico e di cui Bibi Netanyahu è il più sinistro e cinico epigono che, per salvare se stesso, sarebbe capace di trascinare Israele nel baratro.



I bramini e i riformatori
Niram Ferretti
6 Agosto 2023

http://www.linformale.eu/i-bramini-e-i- ... eE1m5OKWZ0

Bisogna fare ordine per capire cosa accade in Israele dietro la cortina fumogena della propaganda, dell’isteria, della ben oleata macchina delle manifestazioni “spontanee” che in questi mesi hanno inondato le piazze (e leggersi o rileggersi La psicologia delle folle di Gustave Le Bon, testo immarcescibile sulla porosità al condizionamento della psiche umana farebbe bene a molti).

Abbiamo sentito in questi mesi gridare al golpe, all’eversione, all’imminente apparecchiarsi di una dittatura, i toni non hanno fatto concessioni alle sfumature. Su Israele incomberebbe il disastro più assoluto, la fine della democrazia, il venire meno della convivenza civile, la distruzione del tessuto dello Stato. Quello che in anni non è riuscito agli arabi, al terrorismo palestinese, l’obbiettivo non raggiunto da Arafat con due intifade, ora sarebbe prossimo. Senza bombe e corpi martoriati di civili per le strade di Gerusalemme, Tel Aviv e Haifa, ma semplicemente in virtù di una riforma, quella della giustizia, da lungo tempo in attesa, e ora, finalmente attuabile grazie a una convergenza compatta da parte dell’attuale maggioranza.

Il coro degli intellettuali di sinistra è unanime, la fine di Israele per come l’abbiamo conosciuto fino ad oggi è alle porte, vuole questo esito un governo impresentabile, clerico-fascista con alla guida un premier sotto processo. Non ha, ovviamente, alcuna importanza che gli “impresentabili” siano stati votati democraticamente, che nessuno abbia parlato di brogli, di elezioni rubate, che gli elettori abbiano votato in coscienza Netanyahu reputando inconsistenti le accuse nei suoi confronti, questo è del tutto irrilevante, come è irrilevante che la riforma della giustizia fosse esplicitamente dichiarata nel programma elettorale del governo. Per i David Grossman, per gli Eshkol Nevo, per altri “maestri” di scrittura e di pensiero, questo governo è colpevole a prescindere, è nato nella colpa.

La fiaccola degli odiatori in servizio effettivo permanente non spetta però o a loro, ma a colui che negli anni si è trasformato in un giacobino forsennato, Ehud Barak, il premier israeliano di più rapida durata, colui a cui si deve il tentativo di svendita di Israele nel 2000, quando si accordò per concedere a Yasser Arafat tra il 94 e il 96% della Giudea e Samaria più il 100% di Gaza con una compensazione di territori israeliani ulteriori ammontanti tra l’1 e il 3% per il 4 e il 6% dei territori della Giudea e Samaria che Israele si sarebbe trattenuto. Naturalmente, Gerusalemme sarebbe stata divisa in due. Fortunatamente per Israele Arafat disse di no e diede via alla Seconda Intifada.

Il fascismo è ormai per Barak categoria interpretativa assoluta dell’esistente. Tutto ciò che si trova appena un po’ a destra della sinistra, lo è intrinsecamente, e come non potrebbe esserlo massimamente il governo in carica, guidato dall’uomo dal record opposto al suo, quello del più longevo primo ministro che Israele abbia mai avuto?

Una volta che la cortina fumogena si dissipa, che le urla cessano, una volta che l’assordante propaganda di questi mesi si acquieta un attimo, la realtà appare per chi sappia vederla, esattamente opposta a quella dichiarata.

La riforma della giustizia in cantiere ha la funzione di volere ripristinare ciò che essa viene accusata di volere sabotare, ovvero ha lo scopo di ricondurre all’equilibrio un potere, quello della Suprema Corte, che da decenni ha esondato completamente dalle sue prerogative, trasformandosi di fatto, in un governo ombra, in un organo che, in assenza di una Costituzione, interpreta se stesso, del tutto arbitrariamente, come sua incarnazione vivente.

La Knesset può si formare governi e varare leggi, ma solo ed unicamente sotto la tutela morale di giudici licurghi per i quali le leggi possono essere accettabili o meno se rispettano il più soggettivo e abusabile dei criteri, quello della ragionevolezza.

Ma bisogna fare un passo indietro, risalire fino al 1995, quando avvenne qualcosa di unico nella storia delle democrazie moderne.

Convocati in parlamento per approvare due delle leggi Base dello Stato, ovvero le leggi del 1992 sulla Dignità Umana e la Libertà, e quella sulla Libertà di Occupazione, i parlamentari, meno di un quarto dei 120 aventi diritto, approvarono le leggi in questione senza tuttavia essere informati che esse avrebbero assunto uno status costituzionale. Questo lo decisero i giudici, di loro arbitrio, dopo che le leggi furono approvate con una risicata maggioranza degli aventi diritto.

Si trattò di un vero e proprio atto di pirateria giudiziaria. Improvvisamente e senza la convocazione di un’assemblea costituente Israele si trovava con delle leggi investite di prerogative costituzionali, e in base alle quali ogni futura legge dell’esecutivo che avrebbe toccato il loro ambito sarebbe stata giudicata idonea o non idonea.

Questo non fu altro che un passaggio, marcato e imperioso, di un processo di attivismo giuridico che era già in corso da metà anni Ottanta e che non aveva trovato opposizione.

La Corte Suprema, a un certo punto, aveva deciso di allargare il perimetro di ciò che essa considerava giudicabile, estendendolo a questioni che, precedentemente aveva considerato al di fuori della propria giurisdizione. Un passaggio emblematico fu il caso Ressler, nel 1986, quando la corte decise di dare seguito a una petizione contro l’esenzione dalla leva degli studenti religiosi delle yeshivot, una questione che era già stata portata al suo esame nel passato venendo respinta in quanto considerata di non pertinenza.

Questa svolta della Corte, la sua progressiva incidenza giuridica su pressoché ogni aspetto dell’esistente la si deve a una ben precisa filosofia giuridica, riassunta plasticamente da chi, in Israele, ha saputo incarnarla all’ennesima potenza, Aharon Barak, già presidente della Suprema Corte dal 1995 al 2006 e precedentemente Procuratore Generale dal 1975 al 1978, nonché decano della facoltà di Legge dell’Università di Gerusalemme dal 1974 al 1975, definito eloquentemente da Richard Posner, uno dei maggiori giuristi americani, come “un bucaniere della legge”.

Non esistono ambiti sui quali la legge non possa intervenire, e se ci sono essi sono marginali. La legge, per il non religioso Barak è in realtà un surrogato della Torah, un dispositivo sacro al quale ognuno deve sottomettersi, non in quanto legge ma in quanto apparato attraverso cui si invera la Giustizia. La giustizia non è un ideale, ma è pratica concreta che la legge manifesta a discrezione, ben si intende, di esseri umani dotati di un sapere superiore, i giudici, appunto, specialmente se siedono sugli alti scranni della Suprema Corte e sono tutti convergenti sul fatto che la legge non deve servire la legge ma la morale.

Soprattutto a lui si deve l’attivismo onnivoro della corte, soprattutto a lui si deve la convinzione estremamente problematica e altrettanto estremamente potenzialmente perniciosa che legge e giustizia abbiano a coincidere.

Occorre riannodare i fili, esaminare i precedenti. Quando, nell’agosto del 1986, due giornali ultraortodossi criticarono Barak e l’iperattivismo della corte in ambiti che tradizionalmente erano restati al di fuori delle sue prerogative, vedi il citato caso Ressler, in Israele si scatenò il finimondo. Venne chiesta la chiusura dei giornali, i politici di entrambi gli schieramenti si scagliarono contro di essi, e ci fu chi, come l’allora Ministro delle finanze, Dan Meridor, anticipando il futuro Ehud Barak, sentenziò che gli editoriali apparsi sui due giornali costituivano una “violenta campagna di incitamento senza precedenti nella storia dello Stato, il cui scopo non è solo quello di danneggiare giudici consolidati ma di minare i valori della società e la fiducia del pubblico nel sistema giudiziario”.

Dunque anche trentasette anni fa chi osava criticare la Corte Suprema, toccava i fili dell’alta tensione, rischiando di restare fulminato, come accadde, infatti, poco dopo all’allora presidente dell’Associazione degli Avvocati, Dror Hoter-Yishai, un laico, il quale osò affermare in una intervista che una corte non deve preordinarsi a ciò che essa ritiene sia la giustizia, ma deve occuparsi della legge: “La cosa più pericolosa per una corte e che un giudice sia libero di fare ciò che esso ritiene sia corretto, in base alla sua opinione di cosa lo sia o meno. Una corte deve occuparsi solo della legge. La legge è determinata dalla legislatura. È la legislatura che stabilisce le norme legali e se il popolo non le approva ha il potere di rimpiazzarla, ma non ha il potere di rimpiazzare i giudici che sono eletti a vita Ne consegue che i giudici non possono stabilire norme morali”.

Hoter-Yishai non si fermò e andò da accorto uomo di legge diritto al problema, prendendo di mira il principio di ragionevolezza, sul quale prima della chiusura della Knesset, il governo ha votato compattamente per modificarne l’utilizzo. Cosa disse Hoter-Yishai? “Se si comincia a mettere sotto esame la ragionevolezza e l’appropriatezza di una decisione, quello che si afferma essenzialmente è, ‘Sono io a deliberare’ poiché si antepone il proprio giudizio a quello del governo”.

Le reazioni non si fecero attendere. Di Yoter-Hoshai venne chiesta la testa. Da Meretz arrivò la richiesta di aprire una inchiesta nei suoi confronti per diffamazione nei confronti della corte, uno dei comitati talebani di salute pubblica allora già presenti chiese che venisse dimesso dalla presidenza dell’Ordine degli Avvocati, mentre il precedente presidente della Suprema Corte, Moshe Landau, affermò che il “grossolano sfogo” del Presidente dell’Ordine degli Avvocati non poteva passare sotto silenzio, come di fatto fu.

Da allora ad oggi, la Suprema Corte non solo ha mantenuto tutto il suo potere fiancheggiato da solerti intimidatori come avveniva all’epoca dei fatti riportati, ma lo ha strutturalmente consolidato, trasformandolo in una roccaforte praticamente inespugnabile, all’interno della quale una casta di bramini autoperpetuanti tiene da decenni l’esecutivo sotto scacco.

Per la prima volta un governo tenta l’inosabile, espugnare la fortezza, riformare la casta che lo abita, da qui e solo da qui ne è conseguito e ne consegue tutto ciò a cui abbiamo assistito, la demonizzazione forsennata del governo, il tentativo di rovesciarlo movimentando le piazze, la fomentazione di un clima senza precedenti di isteria e apocalittismo, mentre dall’estero, da parte dell’attuale amministrazione americana, si è vista una ingerenza senza precedenti negli affari interni di Israele. Tutto questo a dimostrazione di quanto il potere della Corte sia vasto, forte, spregiudicato e pronto a combattere con tutti i mezzi a disposizione per salvaguardarsi.

Prima della chiusura estiva del Parlamento, il governo Netanyahu ha incassato un importante risultato facendo passare la legge che riforma il principio di ragionevolezza, limitandone l’uso e l’abuso. È un inizio promettente, ma la battaglia sarà ancora dura e senza esclusione di colpi.

Con la riforma della giustizia messa in cantiere dall’esecutivo, la Corte rischia realmente di diventare un organo legislativo come in tutti gli altri sistemi democratici, e non come di fatto è in Israele, un potere usurpante quello dell’esecutivo. La storia insegna che quando un potere che abusa di se stesso si trova sotto attacco, non lascerà nulla di intentato per continuare a conservarlo.

Se il governo Netanyahu riuscirà a portare a casa la riforma, il risultato sarà di grande rilevanza, non solo politica ma sociale, se non riuscirà a farlo avremo la dimostrazione contraria che lo status quo consolidato dai magistrati in tutti questi anni è di fatto irriformabile.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Israele verso la libertà

Messaggioda Berto » dom ago 13, 2023 8:51 am

Un ebreo israeliano odioso. Speriamo che lo arrestino, lo processino e lo condannino.
Ehud Barak: il maestro dei burattini
Emanuel Segre Amar
23 luglio 2023
https://www.facebook.com/emanuel.segrea ... qLJbPTskql

L’ex capo di Stato Maggiore e ex premier (il premier rimasto in carica per minor tempo in Israele) è adesso indagato per incitamento alla sedizione.
Recentemente dichiarò in un’intervista rilasciata ad una TV inglese che il 3,5% della popolazione che manifesta nelle strade può far cadere un governo eletto.
Ehud Barak: il maestro dei burattini
Il punto in cui si incontrano le astute previsioni di MK Eichler e l'incubo pillola di zucchero di Yossi Melman, è un'intervista video di otto minuti con l'ex capo di gabinetto, ministro della Difesa e il secondo più breve primo ministro in carica Ehud Barak, registrata nel 2020. L'intervista ha fatto parte di una lunga discussione del Forum 555 che ha coinvolto tutti i leader delle proteste, delle organizzazioni e delle interruzioni che stiamo assistendo quest'anno: Shikma Bresler, Moshe Redman e, naturalmente, Ehud Barak.
In questo estratto di otto minuti, Barak espone tutte le questioni, dagli slogan alla disobbedienza civile e alla ribellione, i metodi di base, i leader, gli obiettivi generali del movimento di protesta e il suo obiettivo finale. Dice anche che pagherà le bandiere, gli striscioni e i sistemi altoparlanti.
Sì, gente, questo colpo di stato, quello vero, è in lavorazione da almeno tre anni, se non sei e anche di più - affermazioni simili fatte da Barak nel lontano 2017 stanno galleggiando su Internet che non dimenticano nulla.
Per avere un'idea dell'evento registrato, avanti veloce al minuto 7:10, dove viene introdotta l'intera cabala.
Ma prima di questo, Barak afferma che più ci sono scontri con il governo, più forte è la resistenza, che porterebbe inevitabilmente al governo costretto ad usare la forza contro i manifestanti. Quando la polizia usa la forza eccessiva per bloccare i manifestanti, non farà altro che rafforzare il movimento. Ovunque l'esercito spari tra la folla, il governo è destinato a cadere, Barak insegna.
Un panelist dice a Barak a questo punto (minuto 5:45): "Molti pensano che l'unico che Bibi teme sei tu. Quali sono le possibilità che tu provi a ricreare il successo del 1999 (quando Barak è stato brevemente eletto PM – DI)? ”
"Ascoltate, è risaputo che non soffro di eccessiva modestia", risponde Barak. "Posso dirvi che, oggettivamente, se, Dio non voglia, Bibi scompare un giorno la prossima settimana a mezzogiorno, e c'è la possibilità di un'escalation con Hezbollah o gli iraniani, e la crisi socioeconomica continua, per quanto riguarda le interruzioni, Trump, annessione sì o no, allora oggettivamente, sono più adatto e maturo di qualsiasi altro altra persona nel paese a prendere il volante. ”
E poi Barak dice questo: "Un mio amico, uno storico, una volta mi ha detto, Ehud, ti chiameranno quando i corpi galleggeranno nel fiume Yarkon. Desidero sottolineare: non galleggeranno i corpi dei palestinesi illegalmente provenienti dai territori, e non gli arabi israeliani. I corpi galleggianti saranno di ebrei uccisi dagli ebrei. ”
Barak ha poi parlato di dedicarsi alla raccolta dei fondi necessari per coprire tutta la logistica del progetto, così la gente non dovrà pagare di tasca, ma ho avuto difficoltà a seguire il suo discorso decisivo e sicuro di sé.
Ero bloccato con la sua vivida immagine dei corpi ebrei che galleggiavano nello Yarkon.
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