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Gli USA antisemiti dei democratici e di Biden come nell'era ObamaFin dal suo insediamento, l’Amministrazione Biden ha iniziato una sistematica campagna di attacchi politici nei confronti di Israele. Di questo modus operandi abbiamo già dato conto in vari articoli (
http://www.linformale.eu/lamministrazio ... o-copione/ ); (
http://www.linformale.eu/amici-problema ... one-biden/ ); e (
http://www.linformale.eu/alcune-nomine- ... io-oriente /).
È quasi superfluo dire che mai nella storia delle relazioni bilaterali tra alleati si è assistito a un’opera di delegittimazione delle istituzioni nazionali così profondo e scientificamente organizzato come quello operato dai rappresentanti americani nei confronti di Israele. Forse l’unico precedente fu quello di Taiwan quando, nel 1971 per volere dell’Amministrazione Nixon, le fu tolto il seggio permanente al Consiglio di Sicurezza e fu esclusa dall’ONU.
Tra i numerosi casi che si possono evidenziare, ne illustreremo cinque molto indicativi.
Caso Shireen Abu Akleh
Il caso della giornalista palestinese con cittadinanza americana è emblematico.
La giornalista di Al Jazeera è rimasta uccisa – lo scorso 11 maggio – durante un’operazione anti terrorismo condotta dall’esercito israeliano nella città di Jenin. La prima considerazione da fare è che lo scontro a fuoco che le fu fatale, avvenne appunto a Jenin, cioè in una città amministrata dall’Autorità Palestinese di Abu Mazen. Negli ultimi anni Jenin è diventata una roccaforte delle organizzazioni terroristiche palestinesi che, nel solo 2022, hanno causato 31 morti in Israele, la quasi totalità dei quali civili. Di questo fatto nessun rappresentate americano ha mai chiesto conto al leader palestinese. Non di meno sono ripresi copiosi i finanziamenti degli Stati Uniti nei confronti dei cleptocrati dell’Autorità Palestinese.
Un secondo punto da mettere in rilievo è che l’AP ha trattenuto il corpo della giornalista e il proiettile che l’ha colpita negando per molti mesi ai periti israeliani e a quelli americani di potere svolgere le indagini indispensabili per stabilire la dinamica della sua morte. Fin da subito, tuttavia, sono iniziate le pressioni su Israele affinché rivedesse le proprie regole d’ingaggio per combattere i terroristi dando per scontata la sua responsabilità nella morte della giornalista.
Analoghe pressioni non hanno avuto luogo da parte americana nei confronti dell’AP per avere subito ripulito la scena dell’uccisione impedendo così le indagini forensi, o per non aver permesso l’autopsia congiunta con esperti americani nè per avere occulatato il proiettile per molto tempo.
Solamente oltre tre mesi dopo il fatto, i palestinesi hanno consegnato un proiettile compatibile con le armi in dotazione all’esercito israeliano – ma va sottolineato che anche i palestinesi hanno le stesse armi come si evince dalle tante foto postate sui social – ad una commissione congiunta israelo-americana composta insieme ad alcuni periti dell’FBI. Contestualmente, il Segretario di Stato Antony Blinken e vari membri del partito democratico hanno ricevuto i famigliari di Shireen in segno di deferenza. Deferenza che non è mai stata espressa nei confronti dei familiari dei giornalisti americani morti in vari teatri di guerra nel corso degli anni.
Secondo il responso della commissione della quale faceva parte anche l’FBI è impossibile stabilire con certezza chi abbia sparato il colpo fatale. Subito dopo la morte della giornalista, il comando dell’IDF aveva immediatamente dichiarato che c’erano “alte probabilità che il colpo fosse stato sparato accidentalmente da un soldato israeliano” durante il conflitto armato nel quale essa si era trovata coinvolta, ma, “non si escludeva che il colpo potesse essere stato sparato da palestinesi armati”. Quest’ultima frase è stata quasi del tutto taciuta dalla stampa che ha voluto enfatizzare esclusivamente l’eventuale responsabilità di Israele. Caso chiuso? Neanche per idea. Per nulla soddisfatti molti rappresentanti democratici (almeno 57 membri del Congresso e 22 senatori) hanno chiesto al Presidente Biden di incaricare l’FBI di una ulteriore indagine. Siccome la prima indagine è stata condotta per volere del Dipartimento di Stato, la seconda è stata affidata direttamente all’FBI dal Procuratore di Stato su richiesta dell’amministrazione.
Si vedrà a cosa porterà la nuova indagine. Una cosa è certa: non esistono dei precedenti di richieste simili in nessun paese “amico” soprattutto dopo che l’FBI ha già avuto accesso a tutte le informazioni utili. Inoltre, nessuna rimostranza è stata fatta all’AP per aver ostacolato in tutti i modi le indagini. Alcune considerazioni ulteriori vanno fatte in merito alla decisione di aprire una seconda indagine dell’FBI.
Nel corso degli ultimi tre decenni circa 2.600 giornalisti – molti dei quali americani – sono morti durante le loro corrispondenze in giro per il mondo ma in nessun caso l’FBI ha aperto un’indagine sulla loro morte. Solamente nel conflitto ucraino sono morti 15 giornalisti americani ma non è stata aperta alcuna indagine. Durante il conflitto in Iraq 13 giornalisti di vari paesi sono stati uccisi dalla truppe americane senza che l’FBI se ne sia occupata, anzi un procedimento penale intentato in una corte di giustizia di Madrid nel 2011 per l’uccisione di un giornalista spagnolo ad opera di soldati americani, fu fatto chiudere per le forti pressioni diplomatiche dell’Amministrazione Obama. Cosa dire dell’uccisione del giornalista saudita, residente negli USA, Jamal Khashoggi, ucciso, smembrato e fatto sparire con l’acido nel consolato saudita di Istanbul? Oltre a non avere mai aperto indagini da parte dell’FBI, gli Stati Uniti, con un atto del Presidente Biden, hanno dichiarato l’impunità dei mandanti (i regnanti sauditi) facendo terminare tutte le indagini tentate dai parenti. Infine, negli ultimi 20 anni, almeno 49 israeliani con passaporto americano sono stati uccisi dai palestinesi ma, anche in questo caso l’FBI non se ne è mai occupata nè nessuno dei loro parenti è mai stato ricevuto dal Segretario di Stato in carica.
In conclusione, ci troviamo di fronte a un chiaro esempio di doppio standard orientato da evidenti fini politici: mettere Israele sul banco degli imputati.
Ultima annotazione: Alcuni giorni orsono il canale televisivo Al Jazeera ha deciso di portare il caso di Shireen Abu Akleh presso il Tribunale Penale Internazionale per accusare Israele di crimini di guerra. Questa decisione sarà stata influenzata dalla precedente decisione americana?
Regole d’ingaggio
Come accennato in precedenza l’Amministrazione Biden, quasi sempre per bocca del suo portavoce presso il Dipartimento di Stato, Ned Price, ha iniziato una campagna ossessiva contro l’esercito di Israele chiedendo innumerevoli volte di modificare le regole d’ingaggio contro i terroristi e le bande armate palestinesi. E’ quasi superfluo dire che analoghe richieste non sono mai state presentate al Pentagono in occasione delle campagne di Afghanistan e Iraq, dove le morti di combattenti e soprattutto di civili causate dai militari americani sono state enormemente superiori (almeno 150.000 morti) a quelle avvenute negli scontri con i terroristi palestinesi. Anche in relazione alla percentuale di popolazione la sproporzione di vittime causate dagli americani è disarmante. Nessuna richiesta simile è stata mai fatta neanche ai paesi della NATO che hanno partecipato alle guerre indirizzate dagli USA. Se volessimo anche paragonare il numero di cittadini americani uccisi dalla polizia USA, circa 1.000 ogni anno (
https://www.washingtonpost.com/graphics ... -database/), e le condizioni nelle quali queste uccisioni avvengono (non paragonabili alla criticità di azioni anti terroristiche in territorio ostile) e con le dovute proporzioni di popolazione, si scopre che i poliziotti americani, negli ultimi 7 anni, hanno ucciso molte più persone, delle quali ben poche erano terroristi ben armati che avevano ucciso civili innocenti. Ma nessuno nello staff presidenziale si è mai sognato di “suggerire” al Dipartimento per la Sicurezza di cambiare le regole d’ingaggio della polizia americana. A questo bisogna aggiungere che il Dipartimento di Stato non ha mai chiesto ad Abu Mazen di cessare l’incitamento all’odio anti ebraico che è alla base del terrorismo o di intervenire per disarmare le organizzazioni terroristiche che di fatto controllano ampie zone di territorio in teoria amministrato dall’AP, come ha ampiamente dimostrato il caso di Jenin. Al massimo il Dipartimento di Stato si è sempre espresso condannando le morti di entrambe le parti così da instillare l’equiparazione dei morti civili causati dai terroristi con la morte dei terroristi stessi o di civili coinvolti accidentalmente negli scontri a fuoco, criterio mai utilizzato con altri Stati che non fossero Israele.
Queste continue ingerenze americane hanno senza dubbio portato ad un alleggerimento delle disposizioni difensive che sono la causa della morte di alcuni militari e poliziotti di frontiera nel corso del 2022. Oltre a questi gravi effetti, bisogna anche sottolineare le conseguenze politiche di tali ingerenze. Con quale altro paese alleato o amico, sotto molteplici attacchi terroristici, gli USA si sono sentiti in dovere di sindacare le regole d’ingaggio per difendere la propria popolazione civile? Mai con nessuno. Questa amministrazione – sulla falsa riga di quella Obama – ha la pretesa che Israele segua dei principi imposti che non sono richiesti a nessun altro, di nuovo, un doppio standard che rientra tranquillamente tra le definizioni di antisemitismo approvate dall’IHRA.
Chiusura di ONG colluse con il terrorismo
Un altro capitolo della campagna di delegittimazione di Israele orchestrata dall’Amministrazione Biden, è quello relativo a 7 ONG palestinesi colluse con gruppi terroristici come il Fronte Popolare di Liberazione Palestinese. In merito alla decisione presa dal ministro della difesa Benny Ganz (certo non un “estremista”), si può osservare che tale atto è stato deciso dopo anni di indagini e una enorme raccolta di prove che sono state condivise con gli stessi americani.
Presso lo stesso Congresso americano nel lontano 1993, si era tenuta una audizione per fare chiarezza se organizzazioni benefiche americane fornissero fondi a organizzazioni palestinesi collegate con il terrorismo. Già allora era emerso che due delle ONG chiuse da Israele la scorsa estate (la Union of Agricultural Work Committees e la Union of Palestinian Women’s Committees) erano implicate con il terrorismo palestinese. Al direttore di un’altra ONG chiusa, la Al-Haq, è stato negato l’ingresso in Giordania da diversi anni per collusione con il terrorismo. Sempre a questa ONG, Visa, Mastercard e American Express hanno negato transazioni sotto forma di donazioni sempre perché colluse con il terrorismo.
In merito alle restanti 4 ONG (Addameer, Bisan Center for Research and Discovery, Defense for Children International-Palestine, Samidoun Palestinian Prisoner Solidarity Network) ci sono abbondanti prove di collusione con il terrorismo. Ma l’unica preoccupazione nei loro confronti che ha riguardato il Dipartimento di Stato americano è stata in merito alla loro chiusura, interpretata dall’Amministrazione Biden come un attacco alla libertà e ai diritti civili dei palestinesi.
Viste le tante prove raccolte da vari enti americani nel corso degli anni, anche in questo caso è evidente che l’unico intento, dell’amministrazione in carica è quello di delegittimare una doverosa azione di sicurezza del governo israeliano. Qualsiasi cosa faccia un governo di Israele, anche il più “progressista” degli ultimi decenni, per l’Amministrazione Biden, sulla falsariga dell’Amministrazione Obama, si tratta a priori di un attacco alla libertà, ai diritti civili e alla pacifica convivenza.
Nelle università americane, fucina dei leader di domani, la lotta contro gli ebrei è arrivata a un grado altissimo di virulenzadi Paolo Salom
2 novembre 2022
https://www.facebook.com/ugo.volli/post ... 7128633776Qualcuno potrà pensare (e magari giustamente) che io mi ripeta. Tuttavia, trovo che il grado di irrealtà diffusa nel lontano Occidente sia a un punto tale da meritare di essere raccontata: ancora una volta. Mi riferisco, naturalmente, alle prese di posizione anti-israeliane dei cosiddetti benpensanti (e auto nominati “difensori degli oppressi”) che evitano accuratamente di condannare con la stessa sicumera le azioni, queste sì irresponsabili e terroristiche, della Russia in Ucraina. Tanto per intenderci: Tsahal entra nel Territori amministrati dall’Anp per inseguire e arrestare i responsabili di sanguinosi attacchi in Israele (il più delle volte contro civili inermi), ne segue una sparatoria con miliziani di questa o quella fazione, e l’onere di eventuali morti e feriti tra i combattenti arabi, ovviamente, viene gettato tutto contro lo Stato ebraico.
Io davvero non riesco a capire come questi personaggi riescano a vedere il mondo così, suddiviso in compartimenti stagni che rimangono serrati e non comunicanti: alcuni sono famosi, vedi l’ex Pink Floyd Roger Waters o la modella Gigi Hadid e ancora attori di Hollywood come Susan Sarandon o Mark Ruffalo; altri meno ma non pochi, ahimè, sono ebrei.
Cambiamo scenario: non si sono accorti, ancora, questi signori della natura spietata della guerra in Ucraina? Quel Paese dell’Est Europa (non all’altro capo del mondo) è praticamente raso al suolo. Mesi di incessanti bombardamenti da parte dell’Armata russa. Missili e altri ordigni lanciati consapevolmente (ovvero: di proposito) contro obiettivi civili: palazzi, scuole, ospedali. E tutto quello che riesce a emergere dalle bocche dei soliti censori non è: “Putin sei un terrorista, fermati!”. Piuttosto: “Chi lo dice al presidente ucraino Zelensky che è ora di trattare la pace?”.
Ecco: queste stesse anime belle del lontano Occidente – e qui bisogna riconoscer loro una certa coerenza – sono ovviamente in prima linea quando si tratta di condannare i “crimini e l’apartheid dei sionisti”. Qualche esempio? Quando in uno scontro a fuoco muore un terrorista armato, ecco gridare all’“assassinio di un adolescente palestinese”. Quando da Gaza arrivano razzi a decine, silenzio. Quando Israele risponde, facendo attenzione a colpire soltanto i combattenti, strepiti di “genocidio”. O quando invece un giovane arabo di Hebron, che ha trovato rifugio e asilo a Tel Aviv perché gay, viene rapito e brutalmente ucciso dai suoi compatrioti, il silenzio è assordante.
Non funziona così. Il mondo è uno solo e non è accettabile questa assoluta ipocrisia. E non dovremmo essere noi a dirlo. Già, perché la verità dei fatti, quando esce dalla bocca (o dalla penna) di un ebreo, conta poco a dispetto di chi afferma che i media occidentali sono “controllati dai sionisti”.
Insomma, siamo alle solite. La campagna d’odio contro l’unico Stato ebraico rinato miracolosamente dopo duemila anni di esilio è incessante, scientifica, ricca di risorse (provate a riflettere: quanti megafoni antisemiti sono pagati per il loro “lavoro”?). Nelle università americane, fucina dei leader di domani, la lotta contro gli ebrei sembra arrivata a un grado di virulenza che avrebbe fatto sorridere Hitler. Non è una novità: quando ho frequentato l’ateneo di Venezia, qualche decennio fa, l’attivismo anti-israeliano degli studenti arabi era formidabile. Ora, qualcuno ha capito che la chiave della lotta contro lo Stato ebraico (che ovviamente “va distrutto”, nessuno pensa a un futuro di coesistenza in questi ambienti) è oltre oceano più che in Europa. E sta ripetendo la stessa macchina del fango.
Sta noi dunque resistere e continuare, senza mai stancarci, a denunciare la follia dell’odio antisemita.
(Bet Magazine Mosaico, 2 novembre 2022)
Come gli americani e gli europei incoraggiano il terrorismo palestineseBassam Tawil
(*) Tratto dal Gatestone Institute – Traduzione a cura di Angelita La Spada
3 novembre 2022
https://www.facebook.com/progettodreyfu ... 6793059303https://www.opinione.it/esteri/2022/11/ ... bas-biden/Lions’ Den è un nuovo gruppo terroristico stanziato nella città cisgiordana di Nablus, controllata dall’Autorità Palestinese (Ap). Il gruppo è composto da decine di uomini armati affiliati a un certo numero di fazioni palestinesi, tra cui Hamas, la Jihad islamica palestinese e il partito al governo Fatah guidato dal presidente dell’Ap, Mahmoud Abbas.
L’Autorità Palestinese, che conta centinaia di agenti di sicurezza a Nablus, non ha adottato alcuna misura per tenere a freno i terroristi di Lions’ Den, i quali nelle ultime settimane hanno rivendicato una serie di attacchi sferrati nell’area di Nablus contro soldati e civili israeliani.
Invece di assumersi la responsabilità di fermare gli attacchi terroristici nelle aree sotto il loro controllo, i palestinesi continuano a violare gli accordi che hanno firmato con Israele.
L’articolo XV dell’accordo ad interim (o provvisorio) israelo-palestinese sulla Cisgiordania e la Striscia di Gaza del 1995 afferma: “Entrambe le parti prenderanno tutte le misure necessarie per prevenire atti di terrorismo, criminalità e di ostilità perpetrate reciprocamente, contro individui che ricadono sotto l’autorità dell’altra parte e contro la loro proprietà, e adottano misure legali nei confronti dei trasgressori”.
L’articolo XIV stabilisce che: “Ad eccezione della polizia palestinese e delle forze militari israeliane, nessun’altra forza armata deve essere istituita né deve operare in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Fatta eccezione per le armi, le munizioni e l’equipaggiamento della polizia palestinese e quelli delle forze militari israeliane, nessuna organizzazione, gruppo o individuo in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza deve produrre, vendere, acquisire, possedere, importare né in altro modo introdurre in Cisgiordania o nella Striscia di Gaza armi da fuoco, munizioni, armi, esplosivi, polvere da sparo o qualsiasi attrezzatura connessa”.
La realtà dei fatti, tuttavia, mostra che l’Autorità Palestinese non ha rispettato i suoi accordi con Israele.
Nella Striscia di Gaza, l’Ap non ha adottato misure concrete per impedire ad Hamas di costruire una massiccia infrastruttura terroristica. Hamas in seguito ha utilizzato il suo arsenale di armi non solo per attaccare Israele, ma anche per rovesciare il regime dell’Autorità Palestinese e prendere il pieno controllo della Striscia di Gaza.
Lo stesso scenario si ripete ora in Cisgiordania, in particolare nelle aree controllate dalle forze di sicurezza di Mahmoud Abbas.
Dall’inizio dell’anno, numerosi gruppi terroristici, tra cui Lions’ Den, sono emersi in queste zone sotto il naso di Abbas, il quale sembra riluttante o incapace di costringere le sue forze di sicurezza a dare la caccia ai terroristi. Questa, ovviamente, è una chiara violazione degli obblighi dei palestinesi previsti dagli accordi firmati con Israele.
Anziché cercare di contenere i terroristi, Abbas e l’Autorità Palestinese condannano Israele per averli arrestati o uccisi. Invece di esortare i gruppi armati a fermare i loro tentativi quotidiani di uccidere gli israeliani, i leader palestinesi continuano a glorificare gli uomini armati definendoli “eroi” e “martiri”.
Quando le forze di sicurezza israeliane hanno finalmente raggiunto e ucciso alcuni membri del gruppo Lions’ Den, a Nablus, il portavoce di Abbas, Nabil Abu Rudaineh, ha accusato Israele di aver commesso un “crimine di guerra” contro i palestinesi. Questa è la logica contorta della leadership palestinese: invece di denunciare i terroristi per aver preso di mira gli israeliani, come si sono ufficialmente e ripetutamente impegnati a fare, si scagliano contro Israele per essersi difeso dall’attuale ondata di terrorismo.
Mahmoud Habbash, consigliere per gli Affari religiosi di Abbas, ha definito l’uccisione dei terroristi a Nablus un “efferato massacro”. Habbash è andato oltre, appoggiando attivamente gli attacchi terroristici contro Israele e affermando che i terroristi hanno il diritto di “resistere” a Israele. È opportuno notare che anche i terroristi definiscono i loro attacchi contro gli israeliani una forma di “resistenza”.
Quando un alto funzionario palestinese come Habbash afferma che i terroristi hanno il diritto di condurre attacchi finalizzati alla “resistenza”, in realtà, sta dicendo loro di continuare a prendere di mira gli israeliani. Tali dichiarazioni non sono soltanto una violazione degli accordi firmati dai palestinesi con Israele, ma anche un ordine di lanciare ulteriori attacchi terroristici contro gli israeliani.
Un giorno prima che le forze di sicurezza israeliane facessero irruzione in una base appartenente al gruppo Lions’ Den, a Nablus, e uccidessero uno dei suoi comandanti, il ministro della Salute dell’Ap, Mai al-Kaila, ha apertamente elogiato i terroristi. Durante una visita a Nablus, al-Kaila ha dichiarato: “Rendiamo onore e stimiamo Lions’ Den e le famiglie dei martiri”.
Per “martiri” s’intendono i terroristi uccisi dalle forze di sicurezza israeliane dopo aver compiuto attacchi terroristici contro gli israeliani. I commenti del ministro rendono tristemente chiaro che la leadership palestinese sostiene e glorifica qualsiasi palestinese che abbia trasportato armi e abbia deciso di uccidere israeliani.
La leadership palestinese, in una politica denominata “pagare per uccidere”, fornisce già stipendi mensili ai terroristi palestinesi imprigionati da Israele e alle famiglie dei terroristi che sono stati uccisi durante gli attacchi. Presumibilmente anche le famiglie dei terroristi di Nablus beneficeranno di queste erogazioni.
Anche la fazione Fatah di Abbas continua a elargire elogi ai terroristi. Monir al-Jaghoub, un alto dirigente di Fatah in Cisgiordania, ha encomiato Uday Tamimi, un terrorista che ha ucciso a colpi di arma da fuoco una donna soldato israeliana a Gerusalemme all’inizio di ottobre.
Un altro dirigente di punta di Fatah, Abbas Zaki, ha coperto di lodi il gruppo Lions’ Den: “Ognuno di noi è un [membro di] Lions’ Den. Ognuno di noi è un [membro delle] Brigate dei Martiri di al-Aqsa [l’ala armata di Fatah]”.
Evidentemente, la leadership palestinese non ha problemi con i suoi fedelissimi di Fatah che effettuano attacchi terroristici contro Israele. Le Brigate dei Martiri di al-Aqsa, che hanno approvato alcuni dei terroristi di Lions’ Den come propri combattenti, appartengono alla fazione guidata da Mahmoud Abbas.
L’approvazione e l’esaltazione del terrorismo da parte della leadership palestinese non sorprende. Ciò che invece sorprende, ed è profondamente sconcertante, è che quei governi stranieri che forniscono aiuti finanziari e politici all’Autorità Palestinese, soprattutto gli americani e gli europei, non richiamino Abbas e la leadership palestinese per il loro sostegno pubblico al terrorismo e per la continua violazione degli accordi che hanno firmato volontariamente con Israele.
“Non ricorreremo alle armi e nemmeno alla violenza”, ha dichiarato Abbas nel suo ultimo discorso davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, “non ricorreremo al terrorismo, lo combatteremo”. Le sue parole erano dirette alla comunità internazionale, non al suo stesso popolo. Dopo il suo discorso, i palestinesi che vivono nelle aree controllate dalle forze di sicurezza di Abbas hanno compiuto decine di attacchi terroristici contro gli israeliani.
Il silenzio degli americani e degli europei riguardo alle azioni e alla retorica dei leader palestinesi equivale ad autorizzare Lion’s Den ed altri terroristi a continuare a lanciare i loro attacchi terroristici.
Se l’amministrazione Biden e gli europei credono che Abbas o qualsiasi altro leader palestinese impedirà a un terrorista di uccidere gli ebrei, si illudono in modo sconcertante.
Alberto PentoNon gli americani e gli europei ma una loro parte finora politicamente egemone, antisemita/antisraeliana e filo nazimaomettana, perlopiù sinistrata, atea e politicamente corretta.
Definizione IHRA antisemitismo, funzionario Onu propone la sospensioneRedazione
2 novembre 2022
https://www.facebook.com/progettodreyfu ... 6880862961https://www.progettodreyfus.com/ihra-an ... spensione/La divisione e inclusività sono termini che hanno una loro precisa natura, troppo spesso disattesa da chi in realtà vuole nascondere qualcosa.
Come nel caso del relatore speciale delle Nazioni Unite sul razzismo E. Tendayi Achiume, che ha proposto la sospensione della definizione operativa di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) durante i lavori della relazione annuale al Terzo Comitato dell’Assemblea Generale, facendo leva proprio sui due termini.
Achiume ha presentato un rapporto in merito ai crescenti pericoli dell’antisemitismo, del neonazismo e del razzismo:
“Sottolineo lo stato controverso, gli effetti divisivi e gli impatti negativi sui diritti umani della definizione di lavoro dell’IHRA sull’antisemitismo, che rimane una questione urgente di preoccupazione per i diritti umani, esorto il sistema delle Nazioni Unite e gli Stati membri ad avviare un processo aperto e inclusivo”.
Pronta e immediata la replica dell’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Gilad Erdan:
“Definire l’antisemitismo è il primo passo necessario per combatterlo, rifiutare la definizione IHRA è spesso un atteggiamento usato da coloro che difendono chi prende di mira le comunità ebraiche o che fanno atti antisemiti”.
E in merito ad Achiume ha affermato:
“Sta superando la sua autorità e promuovendo un’agenda politica che non ha posto nella discussione sulla lotta al razzismo, e la sua posizione sta aiutando gli antisemiti”.
Critiche alla proposta sono arrivate anche dall’Italia che ha respinto quanto sostenuto da Achiume. La professoressa Milena Santerini, già Coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo durante i governi Conte e Draghi, è intervenuta sulla vicenda:
“L’Italia non condivide l’opinione secondo cui l’adozione e la promozione della definizione operativa di antisemitismo dell’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto debba essere sospesa. Piuttosto, vorremmo sottolineare il valore della definizione operativa di antisemitismo dell’IHRA nella costruzione di una definizione comune e nel fornire un utile strumento di orientamento, a partire dalle attività di istruzione e formazione”.
Divisione e inclusività sono termini che vanno utilizzati con estrema precisione, senza distorcerli come ha fatto la funzionaria E. Tendayi Achiume proponendo sospensione di antisemitismo dell’IHRA.
A New York la comunità ebraica ha pauraIn tutto il paese gli episodi di violenza sono stati 2.717, con un aumento del 34% rispetto al 2020
Gianna Pontecorboli
28 novembre 2022
https://morasha.it/a-new-york-la-comuni ... -ha-paura/In un paese che ha visto moltiplicarsi recentemente gli episodi di antisemitismo anche violento, solo nel 2021 vi sono stati 2,717 incidenti, con un aumento del 34 per cento rispetto al 2020, la storia merita però di essere raccontata. E i dettagli che stanno lentamente emergendo a due giorni di distanza dall’episodio e che lunedì sono stati confermati durante una conferenza stampa a New York, dimostrano quanto sia urgente. Quando, sabato mattina, gli agenti di sicurezza della metropolitana newyorkese hanno fermato Christopher Brown, 21 anni, di Aquebogue, New York, e Matthew Maher, 22 anni, di Manhattan, pochi dei passeggeri che affollavano la Penn Station di New York hanno probabilmente notato l’episodio.
Secondo quanto hanno raccontato alla CNN alcune fonti della polizia, in realtà, l’allarme era cominciato già venerdì, quando erano apparsi su Twitter alcuni post minacciosi che gli agenti avevano fatto risalire alla clinica veterinaria in cui lavorava uno dei giovani. ”Vado a chiedere a un prete se posso sposarmi o sparare a una sinagoga e morire” diceva uno dei messaggi.
Messi in allerta, gli agenti della Joint Terrorism Task Force dell’FBI e quelli della Polizia di New York si erano subito impegnati in quello che hanno descritto come ”un frenetico lavoro” per individuare l’autore del post e nel giro di poche ore avevano individuato i due giovani sospetti. Le loro foto e una descrizione erano stati trasmessi a migliaia di agenti di polizia e alle guardie di sicurezza della metropolitana. Poco dopo, alcuni poliziotti e agenti dell’FBI avevano fatto irruzione nella abitazione di un loro amico sulla 94esima strada, dove i due sospetti si erano fermati per lasciare un sacco da montagna prima di avviarsi verso la Penn Station.
Quando gli agenti Ryan Fackner e Connor Conasurdo, che hanno raccontato la loro esperienza durante la conferenza stampa, li hanno poi fermati all’ingresso della stazione, i due giovani avevano un’arma semiautomatica illegale, un lungo coltello e altro materiale sospetto. Dopo l’arresto, i due giovani sono stati incriminati per il possesso delle armi. A Christopher Brown, che è stato incriminato anche per minacce terroristiche, e’ stata negata la possibilità di ottenere la libertà provvisoria su cauzione, mentre Matthew Mahrer l’ha ottenuta.
”Secondo l’accusa, i due arrestati possedevano armi da fuoco, munizioni, un coltello militare, una svastica, una maschera da sci, un giubbotto antiproiettile e altre cose’ – ha spiegato il procuratore generale di Manhattan Alvin Bragg – è stata evitata una potenziale tragedia, considerato il fatto che i post indicavano la loro intenzione di usare quelle armi in una sinagoga di New York”.
Adesso, per tutti è arrivato il momento di un’amara riflessione. Durante la conferenza stampa, il rappresentante dell’FBI di New York Mike Driscoll ha dichiarato lunedì che una decisione sulla possibile incriminazione federale dei due arrestati non è ancora stata presa ma potrebbe essere possibile e che le indagini continuano.” Non ci sono pericoli immediati per la comunità ebraica newyorkese, ha garantito.
”Grazie al nostro sforzo collettivo siamo stati in grado di scoprire, indagare e soprattutto fermare una minaccia alla nostra comunità ebraica”, ha dichiarato durante l’incontro con la stampa la responsabile della polizia newyorkese Keechant Sewell.
“Questa non era una vaga minaccia” le ha fatto però eco il sindaco di New York, Eric Adams,” Era una banda armata nazista a New York nel 2022. Pensateci un momento”. ”C’e’ una nuvola scura sulla nostra nazione”, ha poi aggiunto prima di chiedere un’azione più forte per fermare il terrorismo domestico e una maggiore vigilanza alla vigilia della stagione delle feste. Per questa volta, insomma, è andata bene, ma la spirale dell’odio potrebbe colpire anche quella Grande Mela che sembrava fino a ieri al riparo.
https://lavocedinewyork.com/new-york/20 ... -ha-paura/ Antisemitismo a New York, 63 ebreo aggredito a Central ParkRedazione
20 dicembre 2022
https://www.progettodreyfus.com/antisem ... gressione/ Antisemitismo a New York, Stati Uniti. Nella città e nel paese che la pubblicistica vuole essere un porto sicuro per gli ebrei, la polizia ha registrato nel solo mese di novembre 45 episodi antisemiti contro i 20 del novembre 2021.
Il dato fornito dalla polizia di New York non pare migliorare nel mese in corso. Un ebreo di 63 anni, infatti, è stato aggredito al Central Park la settimana scorsa da un uomo, che l’ha colpito alle spalle, facendolo cadere a terra.
Fortuna vuole che la vittima abbia riportato solo una mano rotta e un dente scheggiato. Ma la paura è stata tanta. Perché a tendergli un’imboscata è stato un 40enne che gli urlato insulti antisemiti ed è scappato su una bicicletta con un rimorchio, con un cartello attaccato con la scritta “Hungry Disabled”.
Un uomo comune, che secondo la polizia avrebbe inveito contro la sua vittima urlando “Kanye 2024”, riferendosi a Kanye West, noto rapper bandito dai social dopo diversi post antisemiti.
Scott Richman, direttore regionale dell’Anti-Defamation League di New York/New Jersey è intervenuto sulla vicenda e alla CNN ha detto:
“Crimini come questi hanno un effetto a catena nelle comunità e causano traumi unici oltre a danni fisici. Quando personaggi pubblici con enormi piattaforme alimentano le fiamme dell’antisemitismo, le persone lo copieranno e inizieranno a pensare che sia normale”.
Il consigliere Eric Dinowitz, presidente del Jewish Caucus del consiglio comunale, sempre alla CNN non poteva che rilasciare dichiarazione in scia a quelle di Richman:
“Sono profondamente turbato da questo vile, ma prevedibile attacco antisemita a Central Park. Gli attacchi antiebraici stanno aumentando a un ritmo allarmante, alimentati da una retorica odiosa e da un’ostinata ignoranza. Questi attacchi contro i newyorkesi ebrei non sono incidenti isolati, ma uno schema di attacchi contro un intero popolo”.
Antisemitismo a New York, Stati Uniti. Un uomo è stato aggredito perché ebreo. È stato aggredito da un uomo normale, perché l’Odio Antiebraico ha tratti comuni, non ha le fattezze dell’Orco.
Perché l’Odio Antiebraico non arriva da Marte, arriva da chi è vicino a noi.
Israele e Medio Oriente
La posta in gioco intorno al consolato americano a GerusalemmeDavid Elber
15 Ottobre 2021
http://www.linformale.eu/la-posta-in-gi ... rusalemme/Da quando si è insediata l’amministrazione Biden si è assistito ad un crescendo di azioni politiche tese a minare le importanti conquiste politiche e diplomatiche che lo Stato ebraico è riuscito ad ottenere con l’amministrazione Trump. Di questi risultati ne abbiamo parlato in diversi interventi su L’Informale (
http://www.linformale.eu/il-piano-trump ... dei-fatti/).
Qui si vuole mettere in rilievo un nuovo e pericoloso attacco alla legittima sovranità israeliana su Gerusalemme proveniente dall’amministrazione Biden: la pressante richiesta di riapertura del consolato americano a Gerusalemme.
La pressione politica americana su questo tema è stata condotta sia dal Segretario di Stato Antony Blinken sia da Joe Biden in persona durante l’incontro che ha avuto con il premier israeliano Naftali Bennett lo scorso agosto.
Si tratta di una pressione infida e pericolosa allo stesso tempo.
Infida perché sta avvenendo più dietro le quinte piuttosto che in maniera aperta e con motivazioni del tutto pretestuose e false dal punto di vista storico, diplomatico e giuridico.
Per prima cosa Joe Biden e il suo Segretario di Stato, da quando hanno iniziato a premere per la riapertura del consolato, hanno addotto come motivazione che essa facesse parte del programma elettorale del Presidente, cosa del tutto falsa visto che la riapertura del Consolato americano a Gerusalemme non compare in nessun documento ufficiale, né in quelli della presidenza né in quelli del partito democratico prima della vittoria alle elezioni nello scorso novembre.
Si tratta semplicemente da parte dell’amministrazione Biden del tetativo di cercare di accattivarsi le simpatie dei palestinesi i quali non hanno alcuna intenzione di sedersi attorno ad un tavolo negoziale (prassi che dura da oltre un decennio) per trovare un qualsiasi accordo con Israele. Si tratta, in pratica, dell’ennesimo “regalo” che l’amministrazione democratica vuol fare ad Abu Mazen per neutralizzare una legge dello Stato (the Jerusalem Embassy Act approvato al Congresso nel lontano 1995 sotto la presidenza Clinton) che il Presidente Trump ha solamente resa effettiva dopo oltre ben due decenni di procastinazioni immotivate. Joe Biden e la sua squadra l’hanno bollata come una iniziativa “sbilanciata” di Trump a favore di Israele “dimenticando” completamente che essa non è stata una sua iniziativa ma quella di tutto il Congresso degli Stati Uniti e quindi del popolo americano.
Similmente, l’amministrazione Biden sta facendo di tutto per neutralizzare un’altra legge, il Taylor Force Act, la quale proibisce espressamente il finanziamento di organizzazioni o amministrazioni implicate direttamente o indirettamente nell’uccisione di cittadini americani, cioè quello che da decenni fa impunemente l’ANP di Abu Mazen. Lo stesso discorso lo si può fare con la ripresa dei lauti finanziamenti americani all’UNWRA i cui testi scolatici sono palesemente di stampo antisemita.
E’ opportuno fare luce sulla motivazione ufficiale addotta da Biden e dalla sua squadra per la richiesta di riapertura del consolato a Gerusalemme: “il consolato USA a Gerusalemme c’è sempre stato dal 1844”. Si palesa già, in questa affermazione, tutta la malafede di questa amministrazione, che non ha il coraggio di dichiarare la vera motivazione politica di tale richiesta e si trincera dietro una interpretazione storica parziale e obsoleta.
L’affermazione che “il consolato USA a Gerusalemme c’è sempre stato dal 1844” non tiene conto che la situazione di Gerusalemme del 2021 è ben diversa da quella del 1844 o anche dei decenni scorsi, per il motivo evidente che, fino al 2018, l’ambasciata USA non era a Gerusalemme. E non esiste un solo caso al mondo che vede un’ambasciata e un consolato dello stesso paese situati nella stessa città. Questo è già sufficiente per comprendere l’infondatezza di questa affermazione. Se poi ci soffermiamo sullo specifico della città di Gerusalemme, si può osservare che quando il consolato USA fu aperto nel 1844 l’ambasciata americana era a Costantinopoli (Istanbul) e Gerusalemme faceva parte dell’Impero ottomano, quindi il consolato aveva un senso diplomatico e legale ben disciplinato. Con l’indipendenza di Israele nel 1948 la città di Gerusalemme fu divisa in due a causa dell’occupazione illegale della sua parte est ad opera dei giordani. Gli americani mantennero aperto il consolato perché decisero di aprire l’ambasciata accreditata in Israele a Tel Aviv, questo per decisione politica e non legale, mentre l’ambasciata in Giordania era ad Amman. Quindi, la decisione di mantenere il consolato a Gerusalemme aveva una sua logica e una labile parvenza di legalità. Ma ora, nel 2021, dopo che nel 2018 la precedente amministrazione ha spostato l’ambasciata a Gerusalemme (riconoscendola implicitamente come capitale di Israele) e contestualmente chiuso il consolato per ovvie ragioni diplomatiche e di diritto internazionale, non c’è nessuna ragione plausibile per riaprirlo. A meno che, non vi siano delle ragioni politiche e non legali dietro questa intenzione. Ragioni tanto semplici quanto pericolose: riaprendo il consolato – che serve unicamente come mezzo diplomatico e amministrativo per l’Autorità Nazionale Palestinese – l’amministrazione Biden vuole creare de facto una ambasciata di un ipotetico e futuro Stato palestinese a Gerusalemme. E questo in spregio al diritto internazionale e agli stessi accordi di Oslo sottoscritti e vincolanti per gli USA, creando dunque sul terreno uno stato di fatto che non sarebbe più necessario negoziare tra le parti.
Una ulteriore riprova di quanto siano prive di fondamento le giustificazioni americane per non ammettere la valenza di questo tentativo truffaldino-diplomatico è che già altri paesi hanno delle rappresentanze consolari per i palestinesi a Ramallah o a Abu Dis (nella periferia di Gerusalemme). Quindi, se la ragione fosse solo quella di migliorare l’efficienza amministrativa verso i palestinesi il consolato potrebbe essere aperto in una delle due località. Si staglia chiara la ragione esclusivamente politica di questa iniziativa.
Come già evidenziato, questa mossa non ha alcun fondamento nel diritto internazionale ed è addirittura in contrasto con la legge americana (the Jerusalem Embassy Act diventata esecutiva nel 2018 per volontà di Trump). Come possono allora Biden e la sua squadra bypassare questi ostacoli legali? Semplice, facendo forti pressioni sul governo d’Israele affinché sia quest’ultimo a dare il suo nulla osta all’operazione e una volta ottenuta la disponibilità del governo israeliano non ci sono più ostacoli legali che possono contrastare la riapertura del consolato.
L’unica speranza, per poter contrastare questa rovinosa decisione, rimane nella risolutezza del governo Bennett di non volere commettere un suicidio politico dalle conseguenze irreparabili.
Il doppio standard dell'Amministrazione Biden nei confronti di Israele, parte secondaDavid Elber
22 Dicembre 2022
http://www.linformale.eu/il-doppio-stan ... -parte-ii/ La questione della riapertura del consolato americano a Gerusalemme è uno dei cavalli di battaglia dell’Amministrazione Biden. Abbiamo già scritto qui su L’Informale della questione in maniera approfondita (
http://www.linformale.eu/la-posta-in-gi ... rusalemme/) . Qui possiamo solo ribadire che anche nel 2022 la sua riapertura è ancora in agenda. Soprattutto il Segretario di Stato Blinken, in più di una circostanza ha voluto precisare che l’amministrazione Biden vede come necessaria la sua riapertura per migliorare le relazioni con i palestinesi.
Per circa un anno e mezzo (il tempo della durata del governo Bennet/Lapid) la questione è stata congelata in modo da non mettere in crisi il governo di centro-sinistra. Ma ora che le ultime elezioni hanno ridato la maggioranza al centro-destra di Netanyahu non ci sono più ostacoli per riproporre questa operazione illegale di delegittimazione della sovranità israeliana sulla città. Si tratta di una operazione politica che si configura come una delle più meschine e dannose ai danni di Israele, considerato a parole come alleato, ma nei fatti trattato come uno Stato canaglia.
In attesa di lanciare una nuova offensiva politico-diplomatica ai danni dello Stato ebraico finalizzata alla riapertura del consolato, il duo Biden/Blinken ha nominato Hady Amr alla carica di “Special Representative for Palestinian Affairs”. Va precisato che questa carica non è mai esistita in precedenza ma è stata costruita su misura dal Dipartimento di Stato per inserirla nell’ambasciata di Gerusalemme in attesa della riapertura del consolato. Al momento presso l’ambasciata, ci sono: un ambasciatore (Tom Nides) e un console “ombra” per i palestinesi (Hady Amr) cosa che non ha precedenti nella diplomazia mondiale. E’ chiaro che un consolato americano a Gerusalemme per i palestinesi avrebbe la funzione di una vera e propria ambasciata e sarebbe solo questione di tempo (una futura amministrazione democratica?) per far si che lo diventi a tutti gli effetti. A questo punto si potrebbe anche cessare la pantomima delle trattative di pace visto che un po’ alla volta tutte le richieste palestinesi si stanno realizzando nei fatti.
Una menzione a parte la merita la figura di Hady Amr scelto per ricoprire il ruolo di console.
Andando a leggere il suo curriculum vitae si è portati subito a pensare che sia la “persona giusta al posto giusto”. Nel 2002 fu coordinatore nazionale presso il Middle East Justice Network, organizzazione americana che si è distinta unicamente per le sue posizioni anti israeliane. Il suo esordio come coordinatore è ben descritto dalle sue stesse parole: “Sono stato ispirato dall’intifada palestinese”. Negli anni successivi, assieme al suo amico Maher Bitar (altra figura di rilievo dell’amministrazione Biden: è responsabile delle informazioni di intelligence e sicurezza nazionale) si distingue per il sua attivismo anti israeliano lanciando accuse allo Stato ebraico di praticare l’apartheid, la pulizia etnica e la sistematica discriminazione dei palestinesi in ogni forum nazionale e internazionale. Fino al 2006 si divide tra il suo attivismo e varie cariche nel partito democratico, fino a quando le sue competenze lo portano a diventare il direttore del Brookings Doha Center, istituto completamente finanziato dal Qatar per gli studi sul Medio Oriente. Rivestirà la carica fino al 2010 quando inizierà a lavorare come consulente del Dipartimento di Stato con Barak Obama e consigliere di Biden. Tra il 2017 e il 2021, durante la presidenza Trump, ritornerà al Brookings Doha Center prima di essere richiamato al Dipartimento di Stato dal duo Biden/Blinken. Sicuramente le sue credenziali lo rendono il più appropriato “ambasciatore” in pectore per i palestinesi.
Accordo con il Libano per la suddivisione dell’EEZ
Come ultimo punto della disamina dell’operato dell’Amministrazione Biden relativamente al dossier Israele non può mancare l’accordo imposto allo Stato ebraici relativamente alla suddivisione della zona economica esclusiva con il Libano. Questo accordo salutato da molti come “storico”, nei fatti è una vera e propria capitolazione di Israele nei confronti del Libano sotto fortissima pressione americana interessata unicamente a portare a casa un trofeo diplomatico da esibire.
Molto sinteticamente si possono ricordare i passaggi principali della disputa sulla zona economica esclusiva.
Il tutto inizia nel 2007 quando il Libano e Cipro siglano un accordo sulle rispettive zone economiche esclusive. L’accordo in questione prevedeva come confine sud la così detta “linea 1” (si veda la cartina).
Nel 2010 Israele e Cipro a loro volta firmano un accordo analogo mantenendo la linea 1 come confine nord per la loro linea di separazione delle rispettive EEZ. Questo accordo viene depositato all’ONU che lo ratifica nel 2011. A questo punto il Libano protesta e non accetta più la linea 1 come suo confine sud. La linea che andava bene con Cipro non va più bene con Israele. Il Libano inizia così un contenzioso con Israele, sostenendo che il confine marittimo della sua EEZ è molto più a sud e precisamente la linea 23. La disputa, per molti anni, non fa progressi e le trattative si fermano. Nel frattempo Israele scopre un importante giacimento di gas chiamato Karish molto più a sud della linea 23. Nel 2017 delle esplorazioni condotte dal Libano portano alla scoperta di un giacimento, Qana, a ridosso della linea 23. Israele interviene perché parte del giacimento si trova poco più a sud della linea 23. L’amministrazione americana di Trump si offre come mediatore non essendoci relazioni diplomatiche tra i due paesi. Dopo anni di trattative sembra che un’intesa si possa trovare con un compromesso che prevede la spartizione del giacimento di Qana con il 55% al Libano e il 45% a Israele. Quando l’accordo sembra ormai raggiunto il Libano si tira in dietro, nel 2020, quando cambia l’amministrazione americana e alla presidenza viene eletto Biden. Nel 2021 il Libano sostiene che il confine sud del suo EEZ passa dalla linea 29 cioè molto più a sud di quanto aveva prima sostenuto con Cipro (linea 1) e poi nelle trattative con Israele (linea 23). Ora secondo il Libano tutto il giacimento Qana è di competenza libanese mentre il giacimento Karish che fino al 2020 non è mai stato in discussione appartiene per metà al Libano. Hezbollah inizia a minacciare Israele di attacchi militari sulle piattaforme di trivellazione se Israele non cede alla richieste libanesi. L’amministrazione Biden, tramite il suo rappresentante e mediatore Hochstein, si dichiara pronta a mediare. Ma fin da subito la “mediazione” americana si dimostra ben poco bilanciata: tutte le pressioni sono fatte esclusivamente sulla controparte israeliana. Alla fine il neo premier ad interim Lapid cede alla pressioni americane, nonostante il suo governo sia solo “facenti funzioni” e non pienamente legittimato dalla Knesset a poco più un mese dalle elezioni. Tutti (libanesi, israeliani e americani) gridano al risultato storico di questo accordo.
Ma proviamo, brevemente, a puntualizzare quello che faticosamente è emerso (c’è stato anche un tentativo del governo Lapid di tenere nascoste tutte le clausole). Per prima cosa va rimarcato che questo accordo non implica – come è stato evidenziato subito dai libanesi – il riconoscimento di Israele da parte del Libano: lo stato di belligeranza voluto dal Libano fin dal 1948 rimane in essere. Tanto è vero che le due controparti, per volontà libanese, non si sono mai incontrate nella stessa sala ma le reciproche richieste venivano riferite al “mediatore” americano che le riferiva poi alle parti. Va altresì notato che nell’accordo il nome Israele, nella versione in arabo per i libanesi, non compare mai per non “offendere” i libanesi. In pratica il Libano con questo accordo non riconosce Israele, né i suoi confini marittimi né terrestri, ma semplicemente “rinuncia” ad ogni pretesa sul giacimento Karish che non era mai stato in discussione nei dieci anni di trattative pre-Biden ma che all’ultimo minuto è stato inserito furbescamente assieme alle minacce di bombardamenti da parte di Hezbollah. Su questo punto è importante chiarire che l’accordo non è tra il Libano e Israele ma è tra gli USA e il Libano e tra gli USA e Israele. Il Libano non ha nessun obbligo verso Israele. Se per ipotesi il Libano dovesse rompere l’accordo e attaccare le istallazioni estrattive di Israele o rivendicare ulteriori zone EEZ a sud, dovrebbero essere gli USA ad intervenire contro il Libano secondo gli accordi. E’, francamente, pensabile che gli USA facciano la guerra al Libano per alcune miglia nautiche contese con Israele? E’ poco credibile. Dal punto di vista economico, il Libano, ha ottenuto tutto il giacimento conteso di Qana senza dover nulla ad Israele. Sarà Israele, eventualmente ad accordarsi sulle royalties con la società internazionale di estrazione che otterrà la licenza. Le royalties sono pattuite per un valore massimo del 15% del gas estratto. Ma una osservazione è doverosa farla: l’accordo non parla di una società specifica ma solamente di “società internazionale di estrazione non inserita nella lista di società sotto embargo internazionale.” La convinzione del governo Lapid è che sarà una società francese, americana o italiana a ottenere la licenza. Ma se il governo libanese sotto ricatto permanente di Hezbollah fosse costretto a cedere la licenza a una società qatariota o peggio iraniana? Sì, questo è possibile perché le società petrolifere iraniane NON sono sotto embargo internazionale ma solamente sotto embargo americano. Quindi si potrebbe verificare il caso in cui gli iraniani siano autorizzati a portare navi e attrezzature a pochi chilometri dalla costa israeliana. Infine se l’Iran o il Qatar decidessero di non pagare le royalties?
Sembra davvero un bel accordo, tanto è vero che il governo Lapid non voleva svelarne tutti i dettagli ma è stato costretto a farlo davanti alla Knesset. Un ultimo inquietante punto è doveroso rimarcarlo e riguarda esclusivamente la politica e soprattutto le regole del diritto in Israele.
Questo accordo (fatto con gli USA e non con il Libano come è stato dipinto dal governo Lapid), per come è stato condotto e approvato, ha inferto un duro colpo anche allo stato di diritto in Israele, per almeno due motivi. Il primo è che una legge fondamentale dello Stato di Israele sancisce che tutte le decisioni in merito al territorio nazionale devono essere prese con la maggioranza dei due terzi della Knesset oppure tramite l’approvazione con referendum nazionale. Il governo facente funzioni di Lapid (che è bene ribadire non ha i pieni poteri di un governo pienamente in carica) ha sostenuto che la EEZ non rientra in questo ambito. Su questo punto ha avuto l’appoggio del procuratore generale dello Stato, Gali Baharav-Miara. Poi il procuratore, viste le numerose proteste, si è tirato indietro e ha chiesto il parere della Corte Suprema che ha dato il via libera.
La decisione della Corte Suprema è del tutto sindacabile e sembra più un parere politico che dai contenuti legali, creando di fatto un precedente. Il secondo colpo allo stato di diritto è stato inferto anche nella procedura con la quale si è giunti all’accordo: infatti era prassi consolidata che un governo facente funzioni potesse esercitare solo le funzioni ordinarie ma non prendere decisioni importanti per lo Stato non rappresentando di fatto una maggioranza parlamentare. Un cosa simile era accaduta alcuni anni orsono per una decisione importante che il governo Netanyahu non ha potuto prendere proprio perché facente funzioni e in attesa di elezioni come quello attuale. In quel caso l’allora procuratore generale dello Stato, Avichai Mandelblit, diede parere negativo adducendo proprio il fatto che essendo solo un governo facente funzioni e non avendo i pieni poteri non aveva la legalità per prendere decisioni importanti per lo Stato. Ora il governo Lapid, che si trova nelle medesime condizioni dell’allora governo Netanyahu, ha avuto invece il nulla osta per firmare un accordo internazionale che senza ombra di dubbio è importante per lo Stato. A questo punto sorge il dubbio che per il procuratore o per la Corte Suprema non sia “la decisione importante” la discriminante per ammettere la legalità o meno di un atto ma è il governo che la propone ad esserlo. Questo precedente avrà certamente delle ripercussioni.
A conclusione degli esempi mostrati dell’operato dell’Amministrazione Biden nel 2022 verso Israele, si può affermate che esso è stato a dir poco problematico e siamo solo a metà del mandato.