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In Israele la sinistra che ha perso le elezioni vorrebbe impedire alla destra di realizzare il suo programma elettorale con cui ha vinto democraticamente le elezioni, tra cui la fondamentale riforma della giustizia e della Corte Suprema che si è accaparrata il potere politico di controllare, condizionare e limitare l'azione del governo e della maggioranza parlamentare impedendo di fatto l'esercizio democratico della sovranità popolare e la realizzazione della volontà politica della maggioranza che ha vinto le elezioni.
Corte Suprema che da trent'anni è in mano alla sinistra il cui potere si trasmette per cooptazione interna ed è sottratto al libero gioco democratico, snaturando e svilendo la democrazia e riducendo di fatto il sistema israeliano a una dittatura della sinistra.
Questa minoranza di sinistra che ha perso le elezioni tenta di impedire l'esercizio della democrazia con le manifestazioni di piazza, con le minacce di violenza e di guerra civile.
Questa non è democrazia, non è rispetto democratico è criminale eversione, è criminale violenza politica che va trattata con tutta la durezza che merita.
Ecco un servizio dell'ANSA antisraeliana e sinistrata
Israele: proteste contro licenziamento del ministro della Difesa
Deciso da Netanyahu dopo la richiesta di Gallant di congelare la riforma giudiziaria
27 marzo 2023
https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/ ... 07d1f.html Dopo il licenziamento da parte del premier Benyamin Netanyahu del ministro della Difesa Yoav Gallant, i leader delle proteste anti riforma hanno indetto da subito una manifestazione a Tel Aviv di fronte al ministero della Difesa.
"Non consentiremo alcun compromesso - hanno sostenuto - che danneggi l'Indipendenza della Corte Suprema". Gli stessi hanno chiesto che il ministro Gallant sia riportato alla responsabilità della difesa. Oggi il governo ha convocato una Commissione che intende modificare il meccanismo di nomina dei giudici della Corte assicurando alla maggioranza politica la preminenza nella scelta.
Il leader dell'opposizione Yair Lapid ha attaccato la decisione di Netanyahu, sostenendo che "il premier può licenziare il ministro, ma non può licenziare la realtà del popolo di Israele che sta resistendo alla follia della maggioranza". Il segretario generale dell'Histadrut, il potente sindacato laburista, Arnon Bar-David, ha annunciato una conferenza stampa per oggi durante la quale potrebbe annunciare uno sciopero generale.
Sulla vicenda è intervenuto anche il presidente israeliano Isaac Herzog che ha chiesto a Netanyahu di fermare la riforma della giustizia che - scrive in una nota riportata dai media locali - "indebolisce il sistema giudiziario". Herzog ha fatto appello direttamente al premier, facendo riferimento anche ai disordini avvenuti nel Paese: "Abbiamo assistito a scene molto difficili. Faccio appello al Primo Ministro, ai membri del governo e ai membri della coalizione. Per il bene dell'unità del popolo di Israele, per amore della responsabilità a cui siamo obbligati, ti invito a interrompere immediatamente il processo legislativo" della riforma.
USA: 'PROFONDAMENTE PREOCCUPATI, URGE COMPROMESSO'
"Siamo profondamente preoccupati per gli sviluppi in corso in Israele, compreso il potenziale impatto sulla capacità di reazione militare sollevato dal ministro della difesa Yoav Gallant, che sottolinea ulteriormente l'urgente necessità di un compromesso": lo ha detto il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Usa John Kirby commentando il licenziamento da parte del premier Netanyahu del ministro, 'reo' di aver chiesto di congelare la riforma giudiziaria che sta spaccando Israele. "Come il presidente ha recentemente discusso con... Netanyahu direttamente, i valori democratici sono sempre stati, e devono rimanere, un segno distintivo delle relazioni Usa-Israele", ha aggiunto il portavoce. "Le società democratiche - ha proseguito - sono rafforzate da controlli ed equilibri autentici e i cambiamenti fondamentali dovrebbero essere perseguiti con la più ampia base possibile di sostegno popolare. Continuiamo a sollecitare con forza i leader israeliani a trovare un compromesso il prima possibile basato su un ampio sostegno popolare".
La riforma della giustizia non è pericolosa per la democrazia israeliana, è essenziale
Mosaico
Ester Moscati
16 Febbraio 2023
https://www.mosaico-cem.it/cultura-e-so ... ssenziale/In riferimento al problema Giustizia oggetto di grande apprensione interna per Israele, abbiamo qui il dovere di presentare le due facce del problema, quest’ultima di Russel A. Shalev. La complessità deriva da una impostazione all’inglese delle regole non scritte che fino ad oggi hanno resistito ma che, con il crescere del Paese in tutti i sensi, deve essere rivisitata. Leggendo così le due versioni e punti di vista si riesce a comprendere il perché dei problemi sorti su questo argomento sensibile.
La riforma della giustizia non è pericolosa per la democrazia israeliana, è essenziale
di Russel A. Shalev
Israele è unico tra le democrazie occidentali, ha un sistema giudiziario autonominato che è, allo stesso tempo, legislatore, esecutivo, redattore e creatore della Costituzione israeliana. Questo enorme potere funziona senza controlli, equilibri o supervisione efficaci. Come conseguenza di ciò, le riforme che sono state discusse per quasi tre decenni si stanno avvicinando alla loro realizzazione.
Dopo l’insediamento di un governo di destra a seguito di quasi tre anni di caos politico, la questione della riforma giudiziaria è diventata una richiesta chiave della coalizione. Tra le riforme proposte vi sono modifiche al sistema delle nomine giudiziarie, una chiara definizione delle condizioni alle quali la Corte suprema può annullare le leggi e una clausola di revoca. Quest’ultima clausola consentirebbe alla Knesset di approvare una legge che impedirebbe alla Corte Suprema di annullare la legge.
L’establishment legale israeliano e i suoi alleati, a grande maggioranza a sinistra, afferma che queste riforme porteranno alla morte della democrazia israeliana e alla fine dei diritti delle minoranze. In verità, queste riforme sono essenziali per restituire un equilibrio di base al sistema politico israeliano perché, per decenni, di fatto, il potere supremo su quasi ogni questione della vita politica è stato nelle mani di un’aristocrazia giudiziaria autoperpetuante, non eletta, la quale gestisce il paese non secondo una legge scritta ma in base alla propria visione del bene.
Il paradigma di base attraverso il quale l’establishment legale interpreta il proprio ruolo è quello dei ‘guardiani’. I giudici e i consulenti legali si vedono come l’avanguardia nella difesa della democrazia israeliana, proteggendola dai barbari alle porte. In questo caso, i barbari sarebbero i membri e i politici della Knesset, i quali, o complottano o possono essere facilmente tentati di limitare o ignorare le libertà civili e i diritti umani fondamentali.
Mentre ogni sistema democratico richiede controlli ed equilibri tra i propri rami, la dottrina del guardiano ha un effetto pernicioso e corrosivo sulla democrazia israeliana. I funzionari eletti che agiscono come rappresentanti dei cittadini, vengono visti con sospetto e fastidio. Come amano ripetere i sostenitori dello status quo, la democrazia non è solo il governo della maggioranza. La democrazia potrebbe non essere solo il governo della maggioranza, eppure è, principalmente e fondamentalmente, il governo della maggioranza. I guardiani, piuttosto che agire come argini nelle circostanze più estreme, si sono costituiti come sovrani alternativi ai cittadini e alla Knesset.
Nonostante tutti i discorsi sui pesi e contrappesi, ai cittadini israeliani resta una Knesset debole e una Corte Suprema quasi onnipotente e onnipresente. Una regola fondamentale della democrazia è che ogni ramo sia controllato e limitato. Queste limitazioni esistono già nei confronti della Knesset. Ogni governo in Israele è composto da una coalizione di più partiti, ciascuno con i propri interessi e visioni del mondo. La natura della politica di coalizione è quella del compromesso e del dare e avere. Inoltre, la Knesset e l’esecutivo sono limitati dalle elezioni e sono direttamente responsabili nei confronti dei cittadini israeliani, che possono fare campagna elettorale, protestare o scendere in piazza. Se la Knesset dovesse adottare politiche che limitano i diritti dei cittadini israeliani, saranno prontamente espulsi alle prossime elezioni. Ciò è in contrasto con la Corte Suprema, che è isolata dalla responsabilità popolare e non deve affrontare nessuna conseguenza per la legislazione giudiziaria o la creazione di specifici indirizzi politici.
Il ruolo ognipresente della Corte Suprema nell’arena politica di Israele è una storia (o una tragedia) raccontata in molte parti. Alla sua fondazione Israele ha adottato il sistema parlamentare originario del Regno Unito. Contrariamente al sistema americano, il ramo esecutivo è scelto dal parlamento. Similmente al Regno Unito, un principio di questo sistema è la supremazia parlamentare, il che significa che la Corte Suprema non ha il potere di controllo giurisdizionale e non può abbattere la legislazione. Il ruolo della Corte Suprema è quello di risolvere controversie specifiche tra le parti e garantire che il governo rispetti la legge. Il luogo delle decisioni politiche è la Knesset.
Fino agli anni ’80, la Corte Suprema si è astenuta dal coinvolgimento in alcune questioni, basandosi sulla dottrina della “giurisdizionalità”. Questa dottrina significava che c’erano alcune questioni sulle quali il tribunale non aveva competenza, per le quali non esistevano parametri legali e nelle quali il coinvolgimento giudiziario sarebbe stato inappropriato. Le questioni non giudicabili includevano decisioni politiche, questioni politiche, procedimenti interparlamentari e affari esteri. Un punto di svolta cruciale fu la decisione Ressler del 1988, in cui la Corte annullò la decisione del Ministro della Difesa di esentare gli studenti ultraortodossi delle yeshivot dalla leva dell’IDF. La Corte aveva precedentemente ritenuto che la questione fosse una questione di natura politico-sociale e non giurisdizionale. Il giudice Barak spiegò che non esiste un vuoto giuridico e che tutte le questioni sociali hanno risposte legali.
Poiché la Corte ha limitato l’uso della non giurisdizionalità, ha ampliato la dottrina della ragionevolezza. La ragionevolezza consentiva ai giudici di annullare qualsiasi decisione amministrativa che ritenessero irragionevole, consentendo essenzialmente ai giudici di sostituire il loro giudizio a quello del ramo esecutivo. Allo stesso tempo, la Corte ha eliminato il requisito della “legittimazione”, il che significava che solo le parti direttamente interessate potevano adire al tribunale. Ciò ha aperto la porta alle ONG e a vari “firmatari pubblici” che presentavano petizioni contro leggi e politiche a cui si opponevano. La Corte ha iniziato a pronunciarsi su questioni diverse come quella relativa al budget che il governo dovrebbe investire in rifugi antiaerei vicino al confine di Gaza, avviando un’inchiesta pubblica sui guasti durante la seconda guerra del Libano e sul percorso corretto per la barriera di sicurezza della Giudea e Samaria.
La fase critica dell’attivismo in continua espansione della Corte giunse nel 1992 con l’approvazione della legge conosciuta come “Legge fondamentale sulla dignità umana e la libertà” e della “Legge fondamentale sulla libertà di occupazione”. Queste furono le prime leggi fondamentali (leggi intese a servire come base della futura Costituzione di Israele) che sancivano i diritti umani; le leggi fondamentali precedenti si limitavano a delineare i meccanismi istituzionali.
prima e seconda parte
Il giudice capo Aharon Barak annunciò che si era verificata una “rivoluzione costituzionale”, che le leggi fondamentali avevano uno status costituzionale e che queste davano alla corte il potere di annullare le leggi contrarie ad esse. Proprio così, Israele aveva una Costituzione, senza che i membri della Knesset, il governo o il pubblico ne fossero a conoscenza. Naturalmente, le leggi fondamentali non menzionano da nessuna parte il potere di annullare le leggi. Per questo, Barak si è guadagnato il titolo conferitogli dall’alto giudice statunitense Richard Posner di “pirata giudiziario” e “despota illuminato”.
Tre decenni di attivismo giudiziario hanno lasciato un sistema fondamentalmente squilibrato in cui un tribunale onnipotente affronta una Knesset debole. Nella famosa decisione “Mizrahi”, Barak ha sostenuto che le leggi fondamentali erano la norma costituzionale suprema di Israele e quindi giustificavano il controllo giurisdizionale. Tuttavia, nel 2018, la Corte ha accettato di esaminare una petizione contro la legge fondamentale dello Stato-nazione, nonostante la sua precedente affermazione secondo cui le leggi fondamentali erano le norme più elevate. La Corte ha flirtato con teorie legali radicali come “l’emendamento costituzionale incostituzionale”, che consentirebbe alla Corte di decidere in primo luogo cosa inserire nella Costituzione di Israele. Ciò è molto al di là di qualsiasi cosa i tribunali possano fare nelle democrazie occidentali, ed è un’ulteriore ed estrema usurpazione del mandato della Knesset.
Questa prepotenza giudiziaria genera una instabilità politica cronica. Le questioni politiche di cui si occupa la Corte sono antitetiche alle sentenze legali e al linguaggio di ciò che è giusto o sbagliato. Richiedono compromessi e concessioni, il vero pane quotidiano del lavoro parlamentare. Ad esempio, il ripetuto annullamento delle leggi sulle esenzioni alla leva per gli ultraortodossi non ha favorito in alcun modo l’integrazione ultraortodossa. I rapporti con la comunità ultraortodossa sono una grande sfida sociale che non può essere risolta legalmente o giudiziariamente.
L’influenza della Corte va ben oltre l’annullamento delle leggi. In tutte le fasi del processo legislativo e decisionale, i decisori devono chiedersi se la legge o la decisione sopporteranno il controllo della Corte. Il governo è ulteriormente svantaggiato nei confronti della Corte a causa dell’affermazione fatta dai consulenti legali del governo secondo cui la loro assistenza è legalmente vincolante. I tribunali hanno rifiutato di consentire agli avvocati privati di rappresentare i ministri, il che significa che il governo è alla mercé di consulenti legali che possono presentare opinioni più in linea con la loro coscienza personale.
Gli oppositori della riforma giudiziaria spesso chiedono “e se la Knesset annullasse le elezioni democratiche?” Tuttavia, la Corte Suprema si è avvicinata pericolosamente a farlo. Nel 1993, la Corte Suprema ha stabilito, nel famigerato precedente Deri-Pinhasi, che il Primo Ministro era obbligato a licenziare un ministro indagato per azione penale. La Corte ha riconosciuto che non vi era alcuna base per questa affermazione nella Legge Fondamentale del Governo, ma che il suo servizio continuato sarebbe stato fonte di “irragionevolezza che va alla base della questione”. Naturalmente, questo termine della frase è un puro sofisma, con nessuno oltre ai giudici stessi che sia in grado di prevederne o definirne il significato. In qualità di esperta legale, la professoressa Ruth Gavison ha avvisato che questo precedente è stato “un passo drammatico per subordinare il sistema politico-ufficiale al controllo giudiziario”. Nel maggio 2020, la Corte Suprema ha discusso se applicare questo precedente alla presidenza di Netanyahu. Ciò avvenne dopo un’elezione e dopo che Netanyahu era riuscito a formare un governo di unità nazionale e a guadagnarsi la fiducia della Knesset. In Israele, la Corte Suprema è l’ultima parola su chi può anche ricoprire cariche pubbliche, sulla base dell’amorfa “ragionevolezza” e senza una base legale esplicita.
Gran parte della discussione nazionale e internazionale su queste riforme si concentra su una clausola di deroga che richiede 61 membri della Knesset. La necessità di 61 membri della Knesset su 120, così sostiene l’argomentazione, consentirà al governo di annullare facilmente qualsiasi sentenza della Corte Suprema. Tuttavia, questo ignora diversi fatti importanti. In Canada la clausola di annullamento può essere attivata a maggioranza semplice. In Israele esiste già una clausola di deroga nella Legge fondamentale sulla libertà di occupazione (che garantisce a ogni cittadino o residente israeliano il “diritto di esercitare qualsiasi occupazione, professione o commercio”), che richiede anch’essa una maggioranza semplice. Nel sistema politico polarizzato di Israele, ottenere il sostegno di 61 membri della Knesset non è un’impresa facile. Il precedente governo Bennett-Lapid non aveva nemmeno una coalizione di 61 membri. C’è un consenso pressoché totale nella destra israeliana sul fatto che la richiesta di qualsiasi tipo di super maggioranza trasformerà la clausola di esclusione in una lettera morta. 61 è uno standard abbastanza alto; in Israele, ancora di più, è praticamente impossibile.
Questa anomalia non può essere risolta semplicemente chiedendo la moderazione giudiziaria. I giudici della Corte Suprema di Israele sono nominati da un comitato composto da nove membri. Cinque membri provengono dall’establishment legale: tre giudici della Corte Suprema e due membri dell’Ordine degli avvocati. Gli altri quattro membri sono funzionari eletti. Ciò significa che i giudici hanno essenzialmente un diritto di veto sulle nomine giudiziarie. Questa situazione è unica rispetto ad altre democrazie. In molti paesi come gli Stati Uniti e il Canada, i giudici sono scelti dai funzionari eletti. Nel Regno Unito, dove i giudici sono nominati da un comitato professionale, non hanno il potere di squalificare le leggi.
La sinistra israeliana sostiene che se dovessero essere approvate le riforme, i cittadini di Israele sarebbero lasciati con un tribunale castrato incapace di difendere i loro diritti. Questa affermazione semplicemente non regge. Israele era certamente una democrazia durante i suoi primi 50 anni prima della Rivoluzione Costituzionale. Ancora oggi, la Knesset potrebbe revocare la Legge Fondamentale sulla Dignità Umana a maggioranza semplice, sciogliere il tribunale e approvare qualsiasi legge desideri. Questo scenario da incubo è puro allarmismo per il semplice motivo che Israele è una democrazia vibrante con una cultura politica tollerante e liberale. Basta guardare al Regno Unito e alla Nuova Zelanda, dove la Corte non ha potere di controllo giurisdizionale. Questi paesi difficilmente possono essere definiti antidemocratici.
Dopo decenni di tentennamenti, il governo israeliano ha finalmente il potere di ristabilire l’equilibrio tanto necessario nel sistema politico israeliano. Le riforme proposte sono un tardivo contrappeso a decenni di usurpazione giudiziaria e mano pesante. Il ruolo originario della Corte deve essere ripristinato: pronunciarsi su controversie concrete e garantire lo stato di diritto. Le riforme proposte vanno al cuore stesso della democrazia israeliana. La questione fondamentale in gioco è, chi decide alla fine. Sono i cittadini di Israele o i suoi giudici?
Traduzione di Niram Ferretti
Anche la persecuzione giudiziaria contro Netanyahu rientra nello strapotere della Corte Suprema e della magistratura israeliana in mano alla sinistra, allo stesso modo che vediamo negli USA contro Trump e i suoi repubblicani non collusi con la sinistra e non disposti a compremessi che snaturerebbero la loro politica e renderebbero inutile la democrazia.
Si tratta sempre di violenza mediante menzogne e calunnie demonizzanti, di violenza mediante manipolazione e persecuzione giudiziaria con cui la sinistra minaccia, ricatta, condiziona l'avversario politico riservandosi se il caso l'estrema violenza del suo arresto e della sua condanna come ben vediamo in tutte le dittature della terra e in primis nella Russia di Putin.
I criminali magistrati sinistrati contro Netanyahu
viewtopic.php?f=197&t=2986 Questa è la sinistra israeliana composta prevalentemente da ebrei e mezzi ebrei etnici non religiosi e atei che hanno fatto proprio l'antisemitismo/antisraelismo/antisionismo tipico della sinistra occidentale atea e cristiana e del nazismo maomettano di cui si sentono dhimmi e che promuovono sia in Israele che in Occidente in opposizione e come alternativa al cristianismo.
Non cedere alla pressione della piazza
Redazione
27 Marzo 2023
http://www.linformale.eu/non-cedere-all ... la-piazza/ Una riforma della giustizia, una riforma necessaria a limitare il potere esorbitante in dotazione al ramo giudiziario, senza equivalenti in nessuna altra democrazia, dove i giudici non hanno la prerogativa di indirizzare il legislativo, di stabilire a proprio arbitrio come è accaduto dal 1995 in poi se determinate leggi sono leggi costituzionali o meno, facendolo con il concorso di un quarto del parlamento, ignaro all’epoca che esse sarebbero diventare tali.
Potere che nessuno gli ha conferito e che, in un paese privo di Costituzione come Israele, li ha messi nella condizione di crearla loro, senza il concorso del corpo politico. Questa riforma è stata trasformata dall’opposizione in un corpo contundente lanciato contro il governo in carica allo scopo di abbatterlo.
Da settimane le piazze sono state mobilitate da manifestanti i quali sono stati convinti, senza avere alcuna consapevolezza dei poteri specifici della Corte Suprema, senza avere una conoscenza chiara e precisa della natura delle riforme proposte, di essere a presidio della democrazia in pericolo.
In Israele sarebbe in pericolo la democrazia perchè si vuole riequilibrare la rivoluzione giudiziaria che Aharon Barak ha messo in atto a partire dal 1995, conferendo alla Corte Suprema poteri che nei precedenti 47 anni di vita non aveva mai avuto.
Durante quel lungo periodo, le Leggi Base, che costituiscono i mattoni di un edificio costituzionale in itinere, non venivano considerate de facto una Costituzione, in virtù di esse non venivano annullate le leggi del governo, il Procuratore Generale dello Stato non era la mano longa del ramo giudiziario, una sorta di vigilante che stabiliva a priori se una legge dell’esecutivo era più o meno conforme ai criteri stabiliti dalla Corte. All’epoca non si era ancora passati al massimalismo giuridico voluto da Barak, per il quale tutto è giudicabile, e ognuno può appellarsi ai tribunali per qualsiasi istanza e ragione. All’epoca i giudici non avevano potere di veto sulla nomina di altri giudici, costretti a essere conformi alla loro linea ideologica. Tutto questo non avveniva, ma nessuno scendeva in piazza a manifestare contro l’assenza di democrazia nel paese, contro la deriva “autoritaria” dell’esecutivo. Il paese funzionava normalmente, i giudici non si erano ancora trasformati nel corpus degli illuminati descritti da Platone ne La Repubblica.
Quello a cui stiamo assistendo sta avvenendo per un semplice motivo, perchè dopo trent’anni, per la prima volta, un governo coeso sulla necessità di riformare l’apparato giudiziario, ha deciso di mettere in atto la riforma, una riforma annunciata da anni ma mai attuata perchè nei governi precedenti non sussisteva la maggioranza politica per poterla attuare.
Dunque, il “governo parallelo” di Israele, nella felice definizione del giurista israeliano Amnon Rubinstein, ha deciso di correre ai ripari, di attuare la propria offensiva contro il pericolo incombente. Si è così iniziata a propagare la menzogna che il governo presieduto da Benjamin Netanyahu sia in procinto di attuare una riforma liberticida atta a imbavagliare i giudici, a sottometterli al potere dell’esecutivo. I media hanno iniziato a diffondere a spron battuto l’accusa, raccolta dalla fitta rete di ONG di sinistra presenti nel paese, a cui ha fatto da eco l’opposizione, sempre più schiacciata dall’estremismo di piazza. La folla non ha fatto che perpetuare il mantra in un crescendo esagitato che ieri sera è sfociato in disordini maggiori dopo che Benjamin Netanyahu ha annunciato il defenestramento di Yoav Gallant, ex Ministro della difesa il quale, poche ore prima, aveva pubblicamente annunciato, cedendo alla pressione della piazza e ad allarmismi infondati (il paventato rischio che la riforma della giustizia potrebbe mettere im mora la sicurezza del paese, solo perchè 450 riservisti su più di 400,000 hanno accusato Netanyahu di essere un dittatore e di non volere prestare servizio sotto di lui), che è opportuno sospendere la riforma.
Prima del fantomatico rischio per la sicurezza del paese, dove, all’interno del comparto militare si sono levate solo voci minoritarie di protesta, così come è minoritaria la parte del paese che è scesa in piazza, si era evocato in modo altrettanto fantomatico, il rischio di una recessione economica a riforma attuata, senza che nessuno abbia saputo specificare il nesso causale tra un ribilanciamento della Corte Suprma e un eventuale contraccolpo economico, così come nessuno ha specificato come, privare la Suprema Corte della facoltà di porre il veto sulla nomina dei giudici, o di decidere cosa è “ragionevole” o meno in merito alle decisioni prese dal governo, possa inficiare la sicurezza dello Stato. E i nessi non possono essere specificati perchè, perchè sono come la “virtù dormitiva” dell’oppio nel Malato immaginario di Moliere, inesistenti.
L’irrazionalità la sta facendo da padrone. La voluta, fomentata irrazionalità di un potere abnorme che si sente minacciato. È in momenti come questi che bisogna mantenere i nervi saldi, la barra dritta, e c’è da augurarsi che Benjamin Netanyahu non ceda alle pressioni della piazza, della folla eterodiretta, per la quale valgono sempre le parole scritte da Gustave Le Bon ne La psicologia delle folle:
“Annullamento della personalità cosciente, predominio della personalità inconscia, orientamento, determinato dalla suggestione e dal contagio, dei sentimenti e delle idee in un unico senso, tendenza a trasformare immediatamente in atti le idee suggerite, tali sono i principali caratteri dell’individuo in una folla. Egli non è più sé stesso, ma un automa diventato impotente a guidare la propria volontà.”
Se Netanyahu lo dovesse fare, sarebbe l’inizio della fine del suo governo, esattamente ciò che i facitori del caos creato ad arte in questi mesi, intendono ottenere.
???
Le proteste continuano, per il bene di Israele
Non si fermano le manifestazioni che sabato scorso in tutta Israele hanno portato per le strade oltre 600.000 persone contro il governo Netanyahu
27 marzo 2023
https://riflessimenorah.com/le-proteste ... di-israeleProfessor Della Pergola, oltre un mese fa ci eravamo lasciati con l’avvio della riforma della giustizia del governo Netanyahu e le prime forti proteste sociali. A che punto siamo sul piano dell’iter legislativo?
Dopo le dichiarazioni di Netanyahu di giovedí scorso e del ministro della difesa Gallant sabato sera, la rivoluzione israeliana è entrata in una fase nuova. Netanyahu, molto emozionato, quasi alterato, ha detto alla Nazione: “Ora basta!” Intendeva dire che da ora in avanti avrebbe ignorato le ingiunzioni della Procuratrice Generale, Taly Baharav-Miara, di non trasgredire il suo conflitto di interessi con la giustizia in quanto imputato di corruzione, truffa e mal gestione della cosa pubblica. Ossia: Netanyahu si è posto risolutamente al di sopra della legge (e poi è partito per Londra con la Signora, sua moglie). Ma Gallant ha scompigliato le carte, chiedendo di arrestare temporaneamente la legislazione perché le proteste di molti ufficiali (in particolare dell’aviazione e dei servizi d’informazione) e di un numero crescente di soldati rischiano di mettere in pericolo l’efficienza e la vera esistenza delle forze armate. Al richiamo di Gallant si sono uniti altri deputati del Likud, e così al momento Netanyahu non ha più la maggioranza garantita alla Knesset.
Ma fino a questo momento dov’eravamo arrivati?
Siamo in una fase abbastanza confusa. In parte sotto la pressione della protesta popolare e in parte in seguito evidentemente a dei dissensi interni al Likud, ci sono delle proposte di cambiamento che vengono formulate in corsa mentre l’iter della riforma va avanti. E così, da un lato la commissione parlamentare competente ha approvato la prima lettura delle varie proposte di legge, di cui la principale è quella sulla procedura di nomina dei giudici, cui dovrebbe seguire la seconda e terza lettura; dall’altro, la stampa dà conto delle diverse possibilità di “riforma della riforma” proposte dalla stessa maggioranza. Quindi non è chiarissimo esattamente quale sarà il testo che poi potrà essere proposto in seconda e terza lettura.
Quali sono le proposte di correzione più importanti?
Yariv Levin, il Ministro della Giustizia, del Likud, e il capo della commissione parlamentare giustizia Rothman, del sionismo religioso, sono i conduttori dei giochi. Secondo l’ultima versione si tratterebbe inizialmente di eleggere solamente tre (o forse due) giudici. L’obiettivo è comunque lo stesso: far in modo che questo governo ottenga la possibilità di assicurarsi la maggioranza tra i 15 giudici, sulla base della teoria, a mio modo di vedere infondata, che esiste oggi una maggioranza “attivista” nella Corte Suprema, secolare e di sinistra, ostile al governo. Oggi ci sono in pratica 8 giudici su 15 che sono considerati liberali, 5 che sono considerati conservatori, e 2 di cui non è chiaro il punto di vista. Il governo vorrebbe sostituire almeno 2 dei prossimi 3 giudici che stanno per andare in pensione, compresa la Presidente Hayiut, che sono tutti liberali, per arrivare così ad averne 7 conservatori, mentre gli 8 liberali diventerebbero 6, con i 2 incerti equamente divisi: il risultato è che il governo guadagnerebbe la maggioranza della Corte Suprema semplicemente sostituendo due giudici. O almeno cosí pensano, perché spesso i giudici “conservatori” hanno votato assieme alla maggioranza dei “liberali”, semplicemente perché si tratta di persone oneste e competenti, e l’intepretazione della legge non lasciava altra possibilità.
E per quelli successivi?
Il governo dice: noi eleggiamo i primi due (o tre) giudici, poi torneremo a un metodo di selezione che sarà più ampio, lasciando spazio anche all’opposizione. Questa proposta in un certo senso è peggiore della precedente, perché parla apertamente di giudici nominati dal governo e di giudici nominati dall’opposizione: vorrebbe dire trasformare i giudici in agenti politici. Questo governo, in realtà, vuole svuotare la Corte della propria autonomia e renderla servile alla maggioranza. Sullo sfondo, ricordiamo, sono i giudizi in corso contro Netanyahu, e l’inevitabile finale appello alla Corte Suprema. Netanyahu vuole nominare lui i giudici che alla fine dovranno certamente (lui pensa) assolverlo.
Che possibilità ci sono che la riforma venga approvata a breve?
La Knesset doveva in vacanza prima di Pesach, il che significa che si potrà lavorare al testo ancora solo pochi giorni. Ora sono stati aggiunti improvvisamente altri tre giorni di lavori; il risultato è che al momento non è assolutamente chiaro cosa accadrà. Certo, rinviare la discussione a dopo Pesach avrebbe un’importanza notevole, perché significherebbe rallentare tutto l’iter e in un certo senso smorzarlo, quindi, sia pure indirettamente, accogliere la richiesta del Presidente Herzog, che aveva proposto una pausa di riflessione e di trattativa, cosa che però la coalizione di governo ha rifiutato.
A proposito della proposta di mediazione di Herzog, di che si tratta?
Herzog è entrato nel merito, producendo un documento estremamente dettagliato, pubblicato direttamente su Internet, presentandolo come la Proposta del Popolo, con un discorso piuttosto emotivo. Su ognuno dei vari punti controversi ha cercato un compromesso, con delle formule intermedie non facili, per esempio sul quorum necessario in parlamento per superare il giudizio negativo della Corte Suprema su una legge.
Che risultati ha prodotto questa proposta?
Il governo non rinuncia a ottenere una maggioranza dentro la Corte Suprema. Su questo punto non si transige. Per riuscirci, vuole avere la maggioranza dentro il comitato che sceglie i giudici. Il risultato è che la maggioranza ha impiegato meno di dieci minuti per rifiutare la mediazione di Herzog, respinta da Netanyahu con tono beffardo mentre era all’aeroporto e partiva per la Germania. Questo rifiuto è gravissimo perché dimostra che il Presidente della Repubblica non conta nulla agli occhi della maggioranza, che gli ha riservato una mancanza di rispetto francamente vergognosa. Herzog d’altra parte non è che abbia rinunciato; ha detto che bisogna continuare anche se è ha subito un ceffone volgare.
Tra poco le chiederò dell’opposizione nel paese; prima però vorrei ricordare quali argomentazioni utilizza la destra per sostenere la riforma.
Negli ultimi tempi si è capito che la riforma è stata formulata in realtà dal “Forum Qohelet”, un centro studi israeliano, finanziato da ebrei americani, importante espressione di un pensiero ultraconservatore, libertario, nemico del settore pubblico. È una posizione molto influente nel discorso pubblico americano, vedi l’ex-Presidente Trump e oggi Ron DeSantis [governatore della Florida, probabile candidato alla presidenza, n.d.a.]. Il Forum Qohelet ha pubblicato di recente un’analisi comparata dei sistemi di elezione dei giudici della Corte Suprema in 50 paesi, fra cui anche l’Italia. Il lavoro è molto interessante, ma vedi caso la pagina dedicata a Israele è molto carente, perché sostiene che la Corte Suprema israeliana è un unicum che non esiste in nessun altro sistema, un caso assolutamente anomalo e quindi da modificare.
Si tratta di una lettura molto parziale, che omette di precisare che il sistema istituzionale israeliano ha una serie di gravi lacune, per non parlare del metodo elettorale assolutamente anacronistico. In realtà la Corte suprema è stata finora un importante strumento di bilanciamento ed equilibrio di un sistema pieno di lacune, privo di una costituzione, e in cui i partiti non rappresentano realmente la popolazione. In realtà l’elettore israeliano non elegge i deputati ma solamente i capi dei partiti. E i deputati si occupano molto di fare grandi dichiarazioni di alta politica e poco di legiferare per il popolo. Negli ultimi trent’anni la Corte Suprema quasi eroicamente ha cercato di riempire i vuoti del sistema, per affrontare questioni fondamentali mai discusse in Parlamento, come lo statuto di Chi è ebreo?, (di cui si parla solamente per inciso nella legge del ritorno) o le conversioni. Se la Corte Suprema ha un ruolo che può apparire esagerato e preponderante, questo dipende dalle lacune e dall’impotenza della Knesset – sempre bloccata da giochi di coalizione a volte legittimi, a volte squallidissimi.
C’è un esempio di questa disfunzione?
Prendiamo ad esempio il caso del ministro Deri, che non ha pagato le tasse, viene processato (in pretura), si impegna a ritirarsi dalla politica per evitare il carcere, viene pertanto condannato con la condizionale, e il giorno dopo non rispetta l’impegno e viene nominato ministro. La Corte Suprema dichiara la nomina estremamente implausibile, e Netanyahu è costretto a dimettere Deri. E la politica della destra che fa? Accusa la Corte di essere di sinistra, di non rispettare il voto popolare, di essere espressione degli ashkenaziti contro i sefarditi; mentre del fatto che Deri non ha pagato le tasse nessuno parla. In questo modo si può nominare a ministro un cavallo, la Corte annulla, il parlamento reinstalla.
A parte la riforma della giustizia, per il resto come sta governando Netanyahu?
Netanyahu si muove come se Israele fosse una repubblica presidenziale, con poca collegialità nei confronti del parlamento e dello stesso governo, mentre invece si tratta di un regime parlamentare e (finora) con una chiara e separata attribuzione dei poteri. Sarebbe offensivo parlare di questo governo utilizzando metafore pesanti, tuttavia occorre ricordare che si sta cercando di mettere le mani non solo sulla giustizia, ma anche sulla radiotelevisione pubblica (la proposta è di sopprimerla e privatizzarla distribuendo i fondi a canali di propaganda politica pro-governativa), sulla Biblioteca Nazionale, sull’Ufficio Centrale di Statistica –fondato dal mio maestro Roberto Bachi, noto per la sua integrità assoluta e la resistenza a pressione di ministri importanti come Golda Meir o Levi Eskhol – che ha un ruolo fondamentale perché calcola l’indice dei prezzi, l’inflazione, la disoccupazione. E ancora: si parla apertamente di controllare le università, influenzando il comitato centrale della distribuzione dei finanziamenti alle università.
Il ministro del tesoro ha perfino detto che bisognerebbe ridurre il turismo, perché probabilmente i turisti sono quasi tutti goym. Per non parlare del ministro della polizia, Ben Gvir, che è stato arrestato 50 volte e ora è il capo della sicurezza nazionale. Potrei continuare, ma mi limiterò a un ultimo punto: il tentativo di limitare la legge del ritorno, impedendo ai nipoti di ebrei di fare l’aliya. Su questo sono impegnato personalmente con uno studio che verrà diffuso prossimamente, e che dimostra l’assurdità del tentativo di riforma. E da ultimo: la proposta di prolungare la presente legislatura dai 4 anni consueti a 5 anni. E poi la personalizzazione in funzione pro-Netanyahu: é passata la legge che impedisce la rimozione del Primo Ministro per motivi legali (solo per motivi di salute). Procede la legge che consentirà di fare donazioni non controllate ai politici per coprire le loro spese legali e quelle delle loro famiglie (allusione al processo Netanyahu e alle numerose cause per diffamazione in cui è coinvolto il figlio Yair). Questo assalto a raffica a tutte le istituzioni possibili e immaginabili suscita una profonda offesa al sistema democratico.
Allora veniamo alle proteste nel paese. A che punto siamo?
Le proteste continuano, siamo ormai a dodici settimane; io stesso sono andato tre volte a manifestare, in tre luoghi e in tre circostanze diverse. Tuttavia le proteste sono ancora molto fluide, manca in questo momento un consolidamento che esprima una chiara dirigenza politica. Oggi il movimento di protesta è composto da centinaia di migliaia di persone, che scendono in piazza per scelta personale. È però senza precedenti che anche dall’esercito sia arrivata una protesta. Decine di membri di unità della riserva – che svolge un ruolo militare essenziale– hanno comunicato che smetteranno di partecipare come volontari. Questo è una specie di ammutinamento della riserva, rispetto a cui Netanyahu ha invocato maggiore severità da parte del Capo di Stato Maggiore, senza porsi la domanda come mai queste persone che per 75 anni hanno volato sui cieli della Siria, del Libano e magari anche in altri posti più lontani e hanno eroicamente fatto dei servizi che non si possono nemmeno nominare improvvisamente esprimono queste posizioni. Si tratta non di traditori, ma di persone che hanno permesso finora a Israele di esistere, mentre il governo è composto per una buona metà di ministri maschi che non hanno mai fatto il servizio militare o che rappresentano coloro che non lavorano e sono sussidiati a spese della previdenza sociale. A manifestare invece ci sono coloro che producono l’80% del PIL in vari settori, compreo lo HiTech.
Nessuno scende in strada per difendere la destra al governo?
Finora ci sono stati solo dei gruppetti estremisti piuttosto violenti, ma non c’è ancora stata la mobilitazione dei Haredim per la strada. È la posizione attendista di chi si aspetta i benefici da uno stato di cui non si sente realmente parte integrante. Quello che invece è interessante è che emergono dei gruppi di persone notoriamente di destra, religiosi tradizionali e politicamente conservatori, che manifestano contro la riforma, quindi c’è un leggero sgretolamento della maggioranza. Anche io quando ero in piazza ho visto un sacco di persone con la kippà. Indubbiamente esiste una certa perplessità degli ambienti moderati. Fra l’altro all’interno del Likud si vocifera che su 32 eletti ci siano 5 deputati critici verso la riforma. Se facessero i franchi tiratori, la riforma cadrebbe.
I sondaggi che indicazioni danno?
I sondaggi registrano una tendenza, e ci dicono che oggi il governo ha perso la maggioranza, perché avrebbe 56 membri in parlamento (contro gli attuali 64) se si andasse a votare oggi. Perdono alcuni seggi il Likud, i religiosi nazionali, anche i haredim, guadagnano invece Ganz, cioè la parte più moderata dell’opposizione, e Lapid, mentre il Meretz superebbe la soglia di sbarramento che aveva fallito a novembre.
Il mondo arabo intorno a Israele come osserva quello che sta succedendo nel paese?
Purtroppo vedo un grosso rischio, e cioè che gli arabi si illudano e possano commettere degli errori di valutazione. In passato l’abbiamo già visto, io vivo in Israele dal 1966, ho vissuto la guerra dei sei giorni, ho fatto il mio servizio della riserva per più di vent’anni, ho parlato a lungo con dei Palestinesi. Il problema è che nella psicologia delle Nazioni arabe c’è un senso d’euforia e un effetto domino. L’illusione crea euforia, l’euforia crea altra illusione, è una perversa spirale in cui il rischio di un fatto scatenante può determinare conseguenze drammatiche. Questa divisione interna israeliana dà l’impressione di debolezza, la protesta dei militari fa pensare che al momento giusto gli Arabi possano scatenare un’altra offensiva. È un grave rischio, perché Israele indubbiamente finisce col prevalere, però purtroppo nelle guerre ci sono anche sempre dei danni subiti.
Quello che è successo a Roma con la visita di Netanyahu, con la profonda spaccatura nel mondo ebraico italiano, che eco ha avuto in Israele?
Le parole di Noemi Di Segni e la reazioni che hanno suscitato a Roma sono state riportate in Israele, lei è stata citatissima, è apparsa anche in prime time, parlando in ebraico al telegiornale. Ha fatto sensazione anche la protesta di Pacifici, vedere uno con la kippà che urla in quel modo dentro una Sinagoga è apparso un fatto anomalo. Fra l’altro pochissimi hanno capito che Netanyahu è stato ricevuto nella bella ma piccola e sotterranea sala dello Spagnolo, e non nella magnificente cornice del Tempio Maggiore. Appare cioè evidente che le divisioni israeliane sono state esportate nella diaspora, non solamente a Roma. La funzione di Israele, di essere polo aggregatore, luce di speranza, centro spirituale, e al limite ultimo rifugio per l’ebraismo mondiale scompare alla luce delle divisioni interne. Nella diaspora purtroppo qualcuno scimmiotta in maniera patetica quello che avviene in Israele. Spesso nella diaspora ci si vuole allineare con questa o quell’altra parte che si confrontano in Israele, ma alla luce di informazioni molto carenti e imperfette. C’è una certa parte dell’opinione pubblica ebraica italiana che dà una lettura monocolore, senza capire né la lingua ebraica, né le sfumature della politica e del diritto israeliano. Al contrario, il mainstream della stampa e della televisione israeliana ha capito che Noemi Di Segni aveva semplicemente preso atto, preoccupata, di una situazione di crisi esistente nella società israeliana.
Secondo lei si può intervenite dalla Diaspora sulla politica israeliana?
Io penso di sì. Nel momento in cui il paese è spaccato in due – non c’è stata nessuna grande vittoria di Netanyahu, che ha avuto il 49% dei voti, quindi il 51% non lo ha votato – criticare il governo in carica non significa certo criticare Israele. La diaspora dovrebbe rendersi conto che qui la spaccatura è profonda. Ci si può astenere dall’intervenire, oppure si può esprimere una preoccupazione, come ha fatto la presidente dell’UCEI. Io sono a favore della facoltà di esprimersi, purché con cognizione di causa.
Corte Suprena USA
Quando un posto è vacante, il Presidente degli Stati Uniti, con il consenso del Senato, nomina un nuovo giudice.
https://it.wikipedia.org/wiki/Corte_sup ... %27AmericaIstituita dall'Articolo III della Costituzione degli Stati Uniti, la composizione e le procedure della Corte suprema furono inizialmente stabilite dal 1º Congresso degli Stati Uniti d'America con il "Judiciary Act" del 1789. Come successivamente stabilito dal "Judiciary Act" del 1869, la Corte è composta dal Presidente della Corte suprema e otto giudici associati. Ogni giudice ha un mandato a vita, il che significa che rimane nella Corte fino a quando non muore, si dimette o viene rimosso dall'incarico. Quando un posto è vacante, il Presidente degli Stati Uniti, con il consenso del Senato, nomina un nuovo giudice. Ogni giudice dispone di un solo voto per decidere i casi discussi dalla Corte. Quando è nella maggioranza, il Presidente della Corte decide chi scrive il parere della Corte; in caso contrario, il giudice più anziano nella maggioranza assegna il compito di redigere il parere.
Corte Costiutuzionale italiana
https://it.wikipedia.org/wiki/Corte_cos ... le_(Italia)
La Corte è costituita da quindici giudici, la cui elezione spetta a diversi organi: cinque sono scelti dal Parlamento, cinque dal Presidente della Repubblica e cinque da tre collegi di cui fanno parte le più importanti magistrature. Inizialmente il loro mandato durava dodici anni, poi ridotti a nove. I giudici della Corte eleggono uno di loro Presidente della Corte costituzionale, con funzioni di coordinamento e mandato triennale. Dal 20 settembre 2022, la presidente è Silvana Sciarra.
Corte costituzionale federale in Germania
https://it.wikipedia.org/wiki/Corte_cos ... e_federale Giudici: nomina e posizione
La nomina dei 16 giudici compete per metà al Bundestag (il parlamento federale) e per metà al Bundesrat (la camera che rappresenta i Länder). Il Bundestag designa i giudici di propria competenza attraverso un comitato di 12 grandi elettori, di cui fanno parte parlamentari eletti dalla medesima camera con metodo proporzionale, che delibera con la maggioranza dei due terzi dei voti. Il Bundesrat designa i giudici di propria competenza, su proposta di una apposita commissione, attraverso il voto pubblico e diretto dell'intero consesso espresso con una maggioranza di due terzi. I requisiti per l'elettorato passivo richiedono l'età di 40 anni, la cittadinanza tedesca, l'eleggibilità al Bundestag, la qualifica di magistrato o avvocato. È stabilito che almeno tre dei componenti di ogni Senat provengano dai ranghi delle supreme magistrature federali. I giudici costituzionali sono differenti, per posizione e disciplina, da ogni altro giudice.
Il Tribunale federale (tedesco Schweizerisches Bundesgericht, francese Tribunal fédéral, romancio Tribunal federal) è la più alta autorità giuridica della Svizzera. Attualmente è presieduto da Yves Donzallaz.
https://it.wikipedia.org/wiki/Tribunale ... e_svizzeroI giudici federali sono eletti dall'Assemblea federale prendendo in considerazione le diversità linguistiche, regionali e politiche. La durata della carica è di 6 anni e può essere rinnovata. La funzione di giudice federale è accessibile in linea di massima a ogni cittadino svizzero: una formazione giuridica non è indispensabile anche se ormai è diventata la regola.
CHI CREA LA COSTITUZIONE
Niram Ferretti
27 marzo 2023
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063Come non essere d'accordo con il demagogo televisivo Yair Lapid, quando, arringando la folla dei "difensori della democrazia", urla,
"Vogliamo una costituzione!"?
Sarebbe l'ideale, ma bisognerebbe spiegare a Lapid, qualcuno dovrebbe farlo, che per fare una Costituzione ci vuole un ampio consenso bipartisan, ci vuole una Costituente, e che non possono farla i giudici, ovvero non possono decidere i giudici della Corte Suprema, come hanno fatto a partire dal 1995, se determinate leggi base fanno le veci della Costituzione. Non sono i giudici che creano le costituzioni, in nessun paese democratico. Però Israele fa eccezione.
È uno dei cardini della riforma quello di intervenire su questa macroscopica stortura, perché i giudici non possono trasformare a loro piacimento delle leggi in testi costituzionali de facto e poi in base alla loro interpretazione bocciare le leggi dell'esecutivo che ritengono non conformi ad esse, o implementare a loro piacimento le leggi base, conformemente a quello che ritengono giusto.
Non funziona così, Lapid. In nessun paese democratico.
UN MESE PER DECIDERE
Niram Ferretti
27 marzo 2023
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063 Contro manifestazione degli israeliani che hanno votato per Netanyahu e sono a favore della riforma. Decine di migliaia di sostenitori del governo e della riforma della giustizia si sono radunati oggi a Gerusalemme. Tardivamente. Bisognava mostrarsi prima, prima che la piazza venisse monopolizzata interamente dai manifestanti chiamati a protestare contro la riforma e a "difesa della democrazia".
E' del tutto illusorio credere che il grosso del paese sia contro la riforma. Contro la riforma c'è una parte del paese, e, ovviamente specifici poteri costituiti, di cui il più imponente è quello rappresentato dalla Corte Suprema stessa.
Se fin dall'inizio delle proteste fossero subito scesi in piazza i sostenitori del governo e della riforma, il quadro che si è visto avrebbe assunto un significato meno strumentalizzabile.
Il fermo ai lavori paralmentari per il varo della riforma deciso da Netanyahu, dopo un accordo dell'ultimo minuto con Itmar Ben Gvir, che aveva minacciato l'uscita dall'esecutivo se la riforma fosse stata fermata, la posticipa di un mese. Un mese in cui, idealmente, il governo apre alla possibilità di un negoziato con l'opposizione. Non è una finestra molto ampia.
Adesso la palla passa nel campo dell'opposizione. Se continuerà a prevalere l'ala estremista che vuole che la riforma venga sepolta, non succederà nulla, e il governo continuerà lungo la strada che ha intrapreso.