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Le menzogne dei nazifascisti palestinesi e dei loro sostenitori atei sinistrati antisemiti/antisraelianiCalunnie e falsità dei criminali terroristi antisemiti nazi-palestinesi contro Israele e gli ebreihttp://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 196&t=2824
L'Inganno palestinesehttps://www.facebook.com/lingannopalestinese Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e occupato alcuna terra altruihttp://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 205&t=2825 14 anni dall'Operazione Piombo Fuso - disinformazioneThomas Cavagna
Scritto il 27 Dicembre 2022
https://disinformazioneig.altervista.or ... ombo-fuso/ Esattamente quattordici anni fa, il cielo sovrastante la striscia di Gaza veniva squarciato dal frastuono dei bombardamenti sganciati dai F-16 israeliani.
L’Operazione Piombo Fuso inizió così, nella mezzanotte del 27 dicembre 2008, approfittando della scadenza della tregua di sei mesi stabilita, con l’ausilio della mediazione egiziana, il 19 giugno dello stesso anno.
La causa apparente, direbbe Tucidide, fu la volontà dei coloni di porre fine alla violenza di Hamas, il movimento di liberazione palestinese che nel precedente decennio di attività contava 15 vittime, cadute sotto i colpi dei rudimentali razzi Qassam.
La causa reale, tuttavia, è l’impeto brutale del colonialismo sionista che, in accordo con le grandi potenze d’Occidente, ogni giorno, riduce la popolazione palestinese a cavia da laboratorio, collaudando le opere dell’industria bellica sullɜ civili.
Forte dei legami commerciali con i grandi privati, lo Stato illegittimo di Israele, infatti, non dovette nemmeno preoccuparsi di celare il suo reale intento.
Le bombe distrussero le università, le scuole, le abitazioni. Nemmeno i depositi alimentari dell’ONU vennero risparmiati. Solo nella giornata del 27 dicembre, le vittime palestinesi ammontavano a 300.
Tratto dal film-documentario “Piombo Fuso” (Stefano Savona, 2009)
Si rivelò inutile l’intervento formale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, che tentarono futilmente di imporre l’immediato cessate il fuoco.
Israele, vantando anche l’appoggio del Canada e dell’Europa, proseguì imperterrito la sua carneficina, testando sulle vittime del moto sionista i nuovi armamenti prodotti in collaborazione con gli Stati Uniti.
Bombe al fosforo bianco sulla popolazione palestinese, 2008.
Come confermato, in seguito alla strage, dal Comitato di Ricerca sulle Nuove Armi (NRWC), che, approfondendo la correlazione tra armamenti bellici e le ripercussioni a medio termine sui residenti nei territorio travolti da conflitti, giunse alla conclusione che gli esplosivi israeliani contenessero elevate quantità di fosforo bianco ed un elemento metallico ad altamente cancerogeno, oltre a metalli deleteri per il sistema nervoso.
Mentre i coloni, rivendicando la loro Terra Promessa, invocavano l’espulsione forzata della popolazione locale, riecheggievano le grida dellɜ palestinesi intentɜ a schivare le bombe al fosforo ed i proiettili al tungsteno.
Negli anni, le conseguenze dell’impiego di ordigni contenenti metalli tossici comportarono il gravoso incremento del tasso di deformazioni e patologie nei neonati e di aborti spontanei.
Gli studi della Fondazione Al Damer confermarono la preminente concentrazione di patologie fetali e radioattività nelle zone circostanti Beit Hanoun, Beit Lahiya e Jabaliya, dove l’intervento israeliano si era accanito.
Dal Ministero palestinese della Sanità vennero diramate numerose documentazioni medico-statistiche, volte a testimoniare i disastri ambientali ed umanitari causati dalle sostanze tossiche adoperate da Israele, con oltre 1200 morti (di cui 410 bambini).
La sera del 17 gennaio 2009, dopo un mese di violenze quotidiane, il governo israeliano annunció il raggiungimento degli obiettivi prefissatisi con l’apertura delle ostilità, dichiarando conclusa l’operazione militare. Le divise d’Israele, tuttavia, non vennero mai ritirate e le incursioni tuttora proseguono imperterrite.
Le Nazioni Unite risposero alla violenza di Israele con il controverso Rapporto Goldstone, che promuove le retoriche di colpevolizzazione dellɜ oppressɜ che associano la rabbia della Palestina e la catena di crimini di guerra e di contro l’umanità portati avanti, impunemente, da Israele.
I reali responsabili, come spesso accade, rimasero impuniti, quando, nel febbraio del 2009, Israele ammise la brutalità chimica dell’operazione militare e affibió qualche debole provvedimento disciplinare nei confronti di alcuni ufficiali delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) eletti a capro espiatorio, tra cui il generale di brigata Eyal Eisenberg ed il colonnello Ilan Malka, accusati di sparato proiettili d’artiglieria al fosforo bianco su un complesso delle Nazioni Unite e condannati per abuso d’autorità tale da mettere a repentaglio la vita altrui.
Ilan Malka
Nonostante l’impegno dellɜ militanti antisionistɜ, Israele continua a trarre massicci profitti dal commercio dei sistemi militari testati sulla popolazione palestinese.
A seguito dell’Operazione Piombo Fuso, infatti, la presenza degli ufficiali dell’esercito nel business privato permise la più significativa espansione di compravendita bellica, con proventi pari a 6 miliardi di dollari.
Come riportato in Gaza e l’industria israeliana della violenza, più si intensifica la segregazione etnica dellɜ palestinesi, maggiore sono i profitti per Israele.
La particolare condizione della Striscia, in cui 1,8 milioni di palestinesi sono forzosamente rinchiusi in una area densamente popolata, offre un laboratorio unico per la sperimentazione delle dottrine e delle tecnologie della guerra asimmetrica in contesti urbani.
– Gaza e l’industria israeliana della violenza (Tradardi, Carminiati e Bartolomei)
Non è una coincidenza che, al termine di ogni aggressione sionista, si tengano fiere internazionali affinché le compagnie private e pubbliche presentino i prodotti testati sulla popolazione di Gaza ai possibili acquirenti, accattivati dagli armamenti testati in battaglia.
Ennesima dimostrazione che i teatri di guerra son tutto fuorché causali. La scenografia bellica non è il frutto di una barbaria intrinseca nell’essere umano, tantomeno l’esito inevitabile della Storia. Il conflitto viene accuratamente progettato e fabbricato su misura del cliente. La guerra e la ferocia sono il prodotto del capitale, con il permesso del sistema che ne legittima le crudeltà in virtù di rapporti di potere tendenziosi e disfunzionali.
Israele, quindi, può vantare il titolo di primo fornitore al mondo di aeromobili a pilotaggio remoto, esportando i droni testati sullɜ palestinesi in oltre 20 paesi, principalmente europei.
Solo nel decennio 2001-2011, stando allo Stockholm International Peace Research Institute, le compagnie israeliane hanno esportato il 41% dei droni nel mondo.
Tra i settori in cui si registra la maggiore erogazione di armamenti, la sicurezza privata, le intelligence e, ovviamente, le Forze dell’Ordine. Alle conferenze degli esercenti israeliani, non mancano ministri della difesa e degli interni, oltre ad esponenti della Forza Pubblica da tutto il mondo.
La pagina di presentazione della Israel HLS 2014, tenutasi a Tel Aviv tra il 9 ed il 12 novembre, afferma, senza alcun pudore, che:
«Israele ha sperimentato la minaccia del terrorismo per decenni ed è arrivata per necessità a eccellere nell’ambito della sicurezza nazionale. In effetti, nessun altro paese ha una percentuale più alta di ex componenti di esercito, polizia e forze di sicurezza, con esperienza pratica nella lotta al terrorismo».
In contrapposizione alla narrazione malata della borghesia colonialista, il Gaza Community Mental Health Programme testimonia l’impatto catastrofico dell’Operazione Piombo Fuso e la rabbia palestinese continuerà a riversarsi nella strade, proiettile dopo proiettile e razzo dopo razzo, finché lo Stato illegittimo fondato sul colonialismo fanatico del capitale continuerà imperterrito a violentare la terra di Gaza e lɜ suɜ abitanti.
L'operazione Piombo fuso (ebraico: מבצע עופרת יצוקה, Mivtza Oferet Yetzukah[21]) è stata una campagna militare lanciata dall'esercito israeliano con l'intento dichiarato di "colpire duramente l'amministrazione di Hamas al fine di generare una situazione di migliore sicurezza intorno alla Striscia di Gaza nel tempo, attraverso un rafforzamento della calma e una diminuzione dei lanci dei razzi, nella misura del possibile". L'operazione militare si è protratta dal 27 dicembre 2008 alle ore 00:00 GMT del 18 gennaio 2009.
https://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Piombo_fusoObiettivo dichiarato dell'intervento militare israeliano è stato quello di neutralizzare Hamas che, a partire dal 2001, ha bersagliato i centri urbani nel sud di Israele con razzi Qassam provocando in otto anni 15 morti e centinaia di feriti fra la popolazione civile, costretta a un ritmo di vita scandito da sirene di allarme e corse nei rifugi (obbligatori per legge).
Da parte israeliana l'azione militare è descritta anche come una risposta all'intensificarsi del lancio di razzi Qassam da parte di Hamas contro obiettivi civili del Sud di Israele, non appena scaduta la tahdiʾa (calma) di sei mesi, ottenuta il 19 giugno 2008 dopo un lungo lavoro di mediazione da parte dell'Egitto.
Operazione “Piombo Fuso”: la relazione Malam smonta completamente il rapporto Goldstone
Emanuel Baroz
16 marzo 2010
Piombo Fuso: la relazione Malam smonta completamente il rapporto Goldstone
di Miriam Bolaffi
Video relazione Malam from Secondo Protocollo on Vimeo.
https://www.focusonisrael.org/2010/03/1 ... goldstone/ A darne notizia con grande risalto questa mattina è il Jerusalem Post. Dopo mesi di lavoro è pronta la lunghissima relazione che contesta punto per punto l’ormai tristemente famoso “Rapporto Goldstone”. Si tratta di una relazione che contiene immagini e video prodotta dal Intelligence and Terrorism Information Center (Malam) che dimostra inequivocabilmente come Hamas, durante l’operazione Piombo Fuso, abbia usato vecchi, donne e bambini come scudi umani oltre che case civili e ospedali come rampe di lancio e deposito di armi.
La “relazione Malam”, 500 pagine, dimostra come almeno 100 moschee sono state usate da Hamas per scopi militari, dimostra con immagini e video come i terroristi di Hamas si nascondessero in mezzo ai civili, dimostra come i tetti degli ospedali e di diverse strutture civili siano stati usati da Hamas come rampa di lancio per i missili, dimostra come i terroristi di Hamas usassero case di civili per combattere contro i militari dell’IDF.
Le 500 pagine della relazione Malam, a differenza del rapporto Goldstone, sono dettagliate e precise, coadiuvate da un impressionante numero di immagini desecretate e video ripresi da droni e dagli aerei israeliani.
Alla relazione, che verrà presentata oggi, hanno collaborato le Forze di difesa Israeliane (IDF) e lo Shin Bet, i quali hanno messo a disposizione di Reuven Erlich, ex colonnello del servizio segreto militare che guida il Malam, centinaia di video e immagini che dimostrano senza ombra di dubbio come Hamas lanciasse attacchi da almeno un centinaio di moschee e di come fosse una pratica sistematica usare bambini e donne come scudi umani. Le immagini mostrano come i terroristi si camuffassero da donna per ingannare i militari israeliani e come avessero posto i loro centri di comando e i loro depositi di armi all’interno di strutture civili quali ospedali e scuole.
Una parte della relazione è dedicata alle tecniche di combattimento usate dall’IDF in zone altamente popolose come lo è Gaza, tecniche che hanno sempre tenuto conto (nei limiti del possibile) dei civili e della possibilità che venissero usati da Hamas come scudi.
In buona sostanza la “relazione Malam” demolisce completamente e definitivamente il “rapporto Goldstone” e dimostra come detto rapporto sia stato scritto in maniera sommaria, faziosa e unilaterale senza fornire alcuna prova di quanto ivi affermato, ascoltando unicamente la versione fornita da Hamas che, lo ricordiamo, per stessa ammissione del suo leader politico Khaled Meshaal, considera la morte di un civile palestinese una vittoria morale e mediatica per Hamas e una sconfitta per Israele. Anzi, la relazione Malam fa di più, dimostra inequivocabilmente come in effetti sia Hamas a essere responsabile della morte dei tanti civili deceduti durante l’operazione Piombo Fuso confermando, se ce ne fosse bisogno, che la Striscia di Gaza è tenuta in ostaggio con la forza dal gruppo terrorista palestinese, l’unico e vero responsabile dell’attuale situazione del milione e mezzo di palestinesi di Gaza.
Operazione “Piombo Fuso”: una testimonianza che merita la nostra attenzioneEmanuel Baroz
20 ottobre 2009
Operazione “Piombo Fuso”: una testimonianza che merita la nostra attenzione
Il Colonnello inglese Richard Kemp difende l’esercito israeliano di fronte alla Commissione per i Diritti Umani dell’Onu
Filippo Lobina
https://www.focusonisrael.org/2009/10/2 ... hard-kemp/Questo è il testo (da me tradotto) del discorso che il Colonnello Richard Kemp ha tenuto di fronte alla Commissione per i Diritti Umani dell’Onu. In quell’occasione si è discusso del rapporto Goldstone e si è unilateralmente accusato Israele di violazione dei diritti umani e di crimini di guerra durante l’operazione Piombo Fuso nella Striscia di Gaza.
Il Colonnello Kemp con competenza e professionalità ha difeso le Forze Armate Israeliane, per aver fatto l’impossibile nell’evitare lutti e danni ai civili, più di ogni altro esercito nella storia dell’umanità. Ma di fronte alla cecità e alla malafede di tutti quei paesi “membri” che dei diritti umani se ne sono sempre fatti beffa, anche questa testimonianza è scivolata nel dimenticatoio. Sta allora a noi diffonderla il più possibile, per far sì che una fiammella di verità continui sempre ad illuminare le coscienze di tutti.
Grazie Colonnello Kemp.
“Grazie Signor Presidente.
Sono stato il comandante delle forze inglesi in Afghanistan. Ho prestato servizio con la NATO e le Nazioni Unite; ho assunto il comando di truppe nell’Irlanda del Nord, la Bosnia e la Macedonia; e ho partecipato alla Guerra del Golfo. Ho speso un tempo considerevole in Iraq fin dall’invasione del 2003, e ho lavorato sul tema del terrorismo internazionale con il Joint Intelligence Committee del governo britannico.
Signor Presidente, basandomi sulle mie conoscenze e la mia esperienza, posso affermare questo: durante l’operazione Cast Lead (Piombo Fuso), le forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno fatto il possibile per salvaguardare i diritti dei civili nelle zone di combattimento, più di qualsiasi altro esercito nella storia.
Israele ha fatto tutto questo nonostante si confrontasse con un nemico che deliberatamente ha piazzato la sua capacità militare dietro la popolazione civile utilizzandola come scudo umano.
Hamas, come Hizballah, sono degli esperti nel pilotare l’agenda dei media. Ambedue avranno sempre delle persone pronte a concedere interviste nelle quali si condannano le forze Israeliane per crimini di guerra. Queste organizzazioni sono esperte nelle messa in scena e nel distorcere gli avvenimenti.
La IDF ha dovuto affrontare una sfida di una portata sconosciuta a noi Britannici. E molti mass media e associazioni internazionali per i diritti umani hanno automaticamente, pavlovianamente presunto che la IDF si trovasse nel torto, che stessero abusando dei diritti umani.
La verità è che la IDF ha preso delle misure straordinarie per fornire ai civili di Gaza informazioni sulle aree diventate obiettivo militare, distribuendo più di 2 milioni di volantini, ed effettuando più di 100.000 chiamate telefoniche. Molte missioni che avrebbero potuto colpire la capacità miliare di Hamas sono state annullate al fine di prevenire vittime civili. Durante il conflitto, la IDF ha permesso il transito di aiuti umanitari verso Gaza. E fornire aiuti virtualmente nelle mani del tuo nemico è, nella tattica miliare, una cosa del tutto inimmaginabile. Ma la IDF si è presa questo rischio.
Nonostante tutto, certamente delle vittime civili innocenti sono state uccise. La guerra è caos ed è piena di errori. Ci sono stati errori da parte dei Britannici, Americani ed altre forze in Afghanistan ed in Iraq, e molti di questi possono essere attribuiti all’errore umano. Ma un errore non è un crimine di guerra.
Più di ogni altra cosa le vittime civili sono state una conseguenza del modo di combattere di Hamas. Quest’organizzazione deliberatamente ha provato a sacrificare la sua popolazione civile.
Signor Presidente, Israele non ha avuto altra scelta per difendere la sua popolazione, per fermare Hamas e i suoi lanci di missili.
E lo dico di nuovo: le forze di Difesa Israeliane hanno fatto il possibile per salvaguardare i diritti dei civili nelle zone di combattimento, più di qualsiasi altro esercito nella storia.
Grazie, Signor Presidente”
Col. Richard Kemp
Contro Israele: I manovali della propagandaNiram Ferretti
28 Novembre 2017
http://www.linformale.eu/contro-israele ... ropaganda/Nelle gerarchie più alte, come nell’inferno dantesco, stanno i demoni superiori, nei gironi bassi, si collocano i Cagnazzo, i Calcabrina, i Rubicante, tutti solerti addetti alla bisogna. Obbediscono ai superiori nel tormentare i reprobi e lo fanno con piacere e scarsa autonomia. Va detto subito, a scanso di ogni equivoco, i manovali della propaganda non hanno un pensiero proprio, ma simili ai pupazzi del ventriloquo parlano parole che gli sono suggerite ad una ad una, senza fallo. Tale è Gianluca Ferrara, questo il nome, un blogger a traino de Il Fatto Quotidiano, il cui compulsivo odio per Israele si alimenta di patacche tra le più grossolane per fornire a un pubblico a digiuno di storia e studio (ah che fatica!), ciò che famelicamente chiede, cibo guasto dal sapore forte, quasi nauseabondo, perfetto per un’epoca, la nostra, in cui la coprofagia è patologia assai diffusa.
In un suo pezzo, il Ferrara (nessuna parentela con Giuliano, beninteso) ci dice come mai “a suo parere” il prossimo Giro di Italia non dovrebbe partire da Israele. Perbacco, “a suo parere”, qui l’Autore parla con l’inciso di una soggettività perentoria e prorompente. Siamo pronti ad ascoltare tale auctoritas. Ed eccolo subito all’opera lo strillone:
“Purtroppo, la stampa internazionale cela ai più l’occupazione illegittima e violenta di Israele contro il popolo palestinese, reo di trovarsi in un territorio che i sionisti, già alla fine del 1800, hanno deciso si (sic) occupare”.
Suona forte, perentorio. E’ questa l’architrave di tutto l’edificio, “l’occupazione illegittima” (leggi alla voce “ladrocinio”) di terre altrui, quelle di un pueblo autoctono espropriato. Rimosso questo architrave crolla rovinosamente tutto. Badate al sostantivo, “sionisti”, come suona bene per marchiare negativamente gli ebrei che venuti dall’Europa là dove la storia del loro popolo, nei millenni, non li aveva mai staccati, arrivarono per comprare regolarmente e il più delle volte pagando prezzi esorbitanti, terreni dai latifondisti arabi allora sudditi dell’impero ottomano. Non vi era allora alcun pueblo palestinese, vittima di soprusi da parte di “colonialisti” rapaci e violenti. Non vi sarebbe stato fino al 1964, quando l’OLP lo generò ideologicamente rafforzandone la gracile costituzione dopo la Guerra dei Sei Giorni, malauguratamente per gli arabi vinta da Israele. Ma questa, che si chiama storia, fondata sui sassi duri e indigeribili dell’empiria, è materia troppo tosta per i cultori di fiction larmoyant in cui da una parte c’è la “vittima”, l’arabo-palestinese, e dall’atra “l’oppressore”, l’ebreo-sionista.
“Il Giro d’Italia partirà 10 giorni prima di una data che in Occidente è ignota ai più, ma che i palestinesi ben conoscono. Il 15 maggio in Palestina si commemora il giorno della Nakba (catastrophe in arabo): dopo la guerra arabo-israeliano (sic) (1948-1949), decine di villaggi e città palestinesi vennero distrutti e più di 700 mila palestinesi dovettero lasciare le proprie case e diventare profughi”.
La frase fa un certo effetto, non c’è che dire. Suscita nel lettore analfabeta o ideologicamente catafratto (il che è la stessa cosa) un moto di ripulsa e indignazione. Siamo sempre all’epos delle vittime e degli oppressori, e naturalmente, per ogni uomo giusto e pio, il cuore dovrebbe battere per le vittime. Il martirologio palestinese è un must della propaganda. Bisogna dirlo con franchezza, essere riusciti a trasformare l’esito di una guerra di aggressione nei confronti di uno stato appena nato, forse quello più certificato legalmente a livello internazionale, in una catastrofe per gli aggressori, è un capolavoro che non sarebbe dispiaciuto a Joseph Goebbels.
Certo ci furono circa 700,00 arabi-palestinesi (“palestinese” allora era ancora una definizione che afferiva alla regione e non una imposture etnica, tanto che gli ebrei residenti in Palestina si consideravano pure loro, al pari degli arabi, “palestinesi”) che sotto la pressione degli eventi diventarono rifugiati. Furono il risultato di una guerra, e dovettero sì lasciare le loro case, come tanti altri hanno dovuto farlo a causa dei conflitti. La guerra, si sa, è cosa brutta e sporca. Muoiono innocenti, donne e bambini, avvengono episodi atroci. Se non sarò io ad ammazzarti sarai tu ad ammazzare me. E se gli ebrei non avessero vinto quella guerra, oggi non ci sarebbe la Nakba da celebrare ma ci sarebbe da commemorare l’appendice mediorientale della Shoah. Per il resto si consoli il nostro apparatčik, la Nakba è ampiamente conosciuta in Occidente. L’UNRWA è stato creato apposta all’ONU per consolare i rifugiati, cioè i perpetui eredi di coloro i quali dovettero lasciare la Palestina a causa della guerra del 1948. Unico caso al mondo in cui lo status di rifugiato trapassa di generazione in generazione.
“Come ho già avuto modo di ricordare, a partire da quella data Israele iniziò il percorso di colonizzazione di terre non sue e di crescente allontanamento degli autoctoni. Unità paramilitari speciali come l’Hagana, il Palmach e l’Irgun occuparono con violenza i villaggi palestinesi e deportarono gli abitanti che furono costretti a lasciare la loro terra mentre vedevano le ruspe distruggere le loro case”.
Va riconosciuto, anche qui l’immagine è avvincente, manca solo la donna con il bambino in braccio morto e la vecchietta presa a calci, oppure, in alternativa, il soldato ebreo con il bambino arabo infilato nella baionetta. Ovviamente non ci fu alcuna colonizzazione, ci fu l’esito di una guerra vinta come conseguenza del costante rifiuto arabo di legittimare il venire in essere di uno stato arabo su terra sì colonizzata, questo è indubbio, dall’Islam nel VII secolo e da allora considerata in puro spirito musulmano Dār al-Islām per l’eternità. Ma va anche detta un’altra cosa, in un altro senso, certamente i palestinesi sono vittime, come tutte le popolazioni che hanno subito le conseguenze di un conflitto e che ancora oggi si trovano nella condizione di non avere un proprio stato realmente e non virtualmente stabilito. Purtroppo questa condizione è la conseguenza inesorabile dell’avere rifiutato senza sosta tutte le negoziazioni e gli accordi proposti dagli inglesi, all’epoca del Mandato Britannico e successivamente dagli israeliani. Dal 1937 con la Commissione Peel che propose agli arabi il 70% dei territori e agli ebrei il 17% per arrivare alla proposta Olmert del 2008. Nelle parole di Benny Morris: “Nel novembre del 1947 quando venne proposta una partizione del paese ci sarebbero dovuti essere quattrocentomila arabi nello stato ebraico e appena più di cinquecentomila ebrei, e i leaders sionisti, tra cui Ben Gurion e Chaim Weizmann, accettarono la cosa, la presenza di una larga minoranza araba nello stato ebraico. Si potrebbe affermare che non fossero sinceri, che non lo intendessero realmente, ma dissero di sì. Gli arabi dissero di no e iniziarono a sparare”(Benny Morris intervista con l’autore, Niram Ferretti, Benny Morris, Alla Scuola della Realtà, L’informale, 11/07/2016).
“Nel 1967, Israele, con la Guerra dei Sei Giorni si impossessò delle Alture del Golan, la Striscia di Gaza, la penisola del Sinai e Gerusalemme Est. Nel 2008, con l’operazione Piombo Fuso, fu persino usato il fosforo bianco. Nel luglio 2014, con Margine Protettivo, Gaza fu colpita dai caccia israeliani, un intero popolo senza via di fuga (Gaza è una prigione a cielo aperto cui non è permesso né accedere, né uscire) fu sottoposto ai raid di uno degli eserciti più potenti spalleggiato e protetto anche dagli Usa. Centinaia furono i bambini uccisi”.
La propaganda per funzionare deve incardinarsi su semplici ed efficaci presupposti, omettere, mentire, deformare. La realtà dei fatti, la sua complessità, viene sostituita con una fiction condensata che della realtà ha la parvenza ma che null’altro è se non una sua immagine distorta grossolanamente. La Guerra dei Sei Giorni fu un’altra guerra aggressiva da parte degli stati arabi guidati da Nasser, il cui scopo dichiarato era l’annichilimento, non riuscito nel 1948, dello Stato ebraico. Anche in questo caso, Israele vinse contro ogni aspettativa. E sì, conquistò (non “si impossessò”) di territori sotto il dominio dei suoi aggressori, come è sempre accaduto nel corso della storia a tutti gli eserciti del mondo a seguito di una vittoria su chi li aveva aggrediti. Nel 1978 in virtù degli Accordi di Camp David, il Sinai, la parte più cospicua della vittoria di Israele del 1967 venne restituita all’Egitto in cambio della pace. Il Sinai, contrariamente alla Giudea e alla Samaria, non era mai stato attribuito a Israele dal Mandato Britannico per la Palestina del 1922 e Israele, sotto pressione americana, ritenne che in cambio di buoni rapporti con l’Egitto fosse il caso di restituirlo. Alla faccia della colonizzazione e dell’espansionismo.
Per quanto riguarda l’uso del fosforo bianco, anche qui fa effetto il binomio. “Fosforo bianco” evoca una piaga biblica, una terribile sciagura, un’arma tra le più spietate. Peccato che il suo utilizzo sia permesso sotto la legge internazionale. In realtà esso serve per creare a scopo difensivo una densa barriera di fumo a protezione dei soldati impegnati sul terreno. Nel 2013, il quotidiano inglese The Observer, dovette correggere un articolo nel quale si affermava fraudolentemente che il fosforo bianco fosse un agente chimico. La smentita fu così formulata, “Il fosforo bianco usato dalle forze israeliane a Gaza nel 2008, non è un’arma chimica così come è inteso dalla Convenzione sulle Armi Chimiche, e il suo utilizzo non è “in contrasto con tutte le convenzioni internazionali”. Quanto a Gaza, “prigione senza uscita”, anche qui l’immagine, ormai un topos consunto, è suggestiva, ed è uno dei cavalli di battaglia di Gideon Levy, il più furente propagandista israeliano contro Israele. Certamente Gaza è una specie di prigione e lo è grazie a Hamas, il gruppo fondamentalista sunnita che nel 2007, con un colpo di stato ha preso il dominio dell’enclave costiera stabilendo un regno del terrore. Lo strillone non ci ha mai messo piede, ovviamente. Dovrebbe farlo, la visita gli riserverebbe molte sorprese.
Si prosegue poi con un altro classico, la presunta occupazione illegale dei territori della cosiddetta West Bank, o Cisgiordania o, per fare riferimento ai nomi ebraici precedenti alla loro annessione illegale da parte della Giordania nel 1950, Giudea e Samaria. L’occupazione illegale riguarderebbe anche Gerusalemme Est, annessa anche essa illegalmente dalla Giordania e conquistata da Israele nel 1967.
“Il popolo palestinese, nell’indifferenza internazionale, subisce un’occupazione che trasgredisce il diritto internazionale: sono decine le risoluzioni Onu che Israele sistematicamente viola”.
Qui Ferrara non Giuliano da fiato all’ugola senza sapere di cosa parla. Confonde l’ONU con una istituzione che promana leggi, cosa che non è, ne è mai stata, e in pieno ossequio alla propaganda fa credere che risoluzioni assai problematiche siano decreti legge, cosa che non sono né possono essere in alcun modo. Ma questo è il compito dei piccoli travet quale è lui, incessantemente spingere davanti a sé simile a Sisifo, il masso solidificato delle menzogne.
Come ha sottolineato Julius Stone, “Il precetto basilare della legge internazionale concernente i diritti di uno stato vittima di una aggressione, il quale abbia legalmente occupato il territorio dello stato aggressore per legittima difesa, è chiaro. E sussiste ancora come legge internazionale a seguito della Carta, la quale non concede alcun potere all’Assemblea Generale dell’ONU di emendare tale legge. Il precetto è che un occupante legale come Israele è autorizzato a restare in controllo del territorio coinvolto in attesa della negoziazione di un trattato di pace”. A sostegno di quanto affermato da uno dei maggiori giuristi internazionali, Dame Rosaylin Higgins, già Presidente della Corte Internazionale di Giustizia afferma testualmente:
“Non vi è alcunché nella Carta delle Nazioni Unite o nelle leggi internazionali che lasci supporre che l’occupazione militare, in assenza di un trattato di pace sia illegale…La legge dell’occupazione militare, col suo tessuto complesso di diritti e di doveri, rimane integralmente rilevante fintanto che le nazioni arabe accettino di negoziare un trattato di pace, Israele è di pieno diritto autorizzato a rimanere nei territori che attualmente detiene”.
Si potrebbe continuare, naturalmente con altre citazioni e altri esempi, ma siano sufficienti questi per smascherare la collezione di patacche venduta come se fossero opere pregevoli dalla manovalanza a basso costo. Altri sono più scaltri, posizionati meglio, con megafoni che amplificano di più il loro verbo, hanno giornali, riviste, aule da cui potere pontificare. Ma a ognuno tocca la posizione che gli è data in serbo.
Gli apparatčik come Ferrara non Giuliano non vanno disprezzati, hanno sempre svolto una funzione egregia nella tessitura dei grandi orditi menzogneri.
Gideon Levy: La menzogna come vocazione Nicola
Niram Ferretti, L’Informale, 22/06/2017
https://www.amicidisraele.org/2017/06/g ... vocazione/L’ultimo articolo di Gideon Levy su Haaretz, L’attacco silenzioso di Israele a Gaza, pubblicato il 20 giugno da L’Internazionale è forse uno dei più abbietti scritti dal giornalista israeliano di cui già ci siamo occupati precedentemente. Una cosa va detta subito per evitare equivoci, Levy è un giornalista esattamente nella stessa misura in cui lo era Giovanni Preziosi, il direttore ferocemente antisemita di Vita Italiana, la rivista che veniva pubblicata a Roma durante il Ventennio. Non che Levy condivida con Preziosi l’antisemitismo, no, quello che lo apparenta è la stessa ferocia ideologica, la stessa allucinata ossessione. Quella di Preziosi era rivolta nei confronti degli ebrei, quella di Levy ha come obbiettivo il paese in cui vive, Israele.
Come abbiamo già fatto nel precedente articolo dedicato a questo menestrello dell’impostura procederemo anche qui con alcuni campioni che via via chioseremo.
“Oggi si rischia un nuovo massacro nella Striscia di Gaza. Controllato, misurato, non di massa, ma comunque un massacro. Quando politici, funzionari e opinionisti israeliani parlano del “prossimo round”, stanno parlando del prossimo massacro…E quindi chiamiamo le cose con il loro nome, perché di massacro si tratta. È di questo che si discute in questi giorni in Israele. Chi è a favore di un massacro e chi è contrario? Servirà a Israele? Gioverà alla sua sicurezza e ai suoi interessi? Aiuterà la base del Likud? Israele ha scelta? Certo che no. Qualsiasi attacco a Gaza si risolverà in un massacro. Non c’è niente che possa giustificarlo, perché niente può giustificare un massacro. E quindi dobbiamo chiederci: siamo a favore di un nuovo massacro a Gaza? Oppure siamo contrari?”.
La prosa non è esattamente quella schiumante del Céline di Bagatelles pour un massacre, ma evoca in qualche modo la retorica allucinata del pamphlet del grande scrittore francese. “Massacro” è parola di sicuro effetto, raddrizza il collo, stura le orecchie. Chi massacrerebbe chi? Gli israeliani i palestinesi, ovvio. Erode è sullo sfondo. Anche nel racconto evangelico di Matteo si narra di una strage ordita ai danni dei neonati dal tetrarca impaurito dalla voce che tra essi potesse esserci il Messia e della strage dei bambini Levy non si dimentica:
“La storia ci insegna che ogni “operazione” israeliana a Gaza è peggiore delle precedenti. All’operazione Piombo fuso (inizio 2009), con 1.300 vittime palestinesi, tra cui 430 bambini e 111 donne, è seguita l’operazione Margine di protezione (estate 2014), con 2.200 vittime, 366 delle quali bambini, 180 dei quali neonati, e 247 donne. Viva il progresso e l’aumento del numero di bambini massacrati. La potenza israeliana aumenta a ogni operazione”.
Prestiamo attenzione alle parole, “bambini massacrati”. Gli israeliani massacrano i bambini. Nel Medioevo gli ebrei venivano accusati di perpetrare sacrifici rituali sui bambini cristiani. Leggende nere e fosche che Levy ricicla nella loro chiave moderna, in quel protratto romanzo criminale su Israele che scrive da anni su Haaretz e di cui questo suo ultimo articolo rappresenta una vetta forse insuperabile. Gaza è rappresentata come prigione senza scampo, in cui a un povero popolo martoriato (da Israele) viene ora anche razionata l’elettricità in attesa del massacro imminente. Raramente si è giunti a un livello così alto di demonizzazione ebraica da parte di un ebreo, esempi analoghi si possono trovare solo nella più feroce pubblicistica antisemita nazista o musulmana. Il livello è parossistico e tocca qui un apice fecale:
“E quale altro modo ha Gaza di ricordare al mondo la sua esistenza e le sue inumane sofferenze, se non i razzi Qassam? Sono rimasti calmi per tre anni e adesso sono oggetto di una caccia congiunta da parte d’Israele e dell’Autorità palestinese: un grandioso esperimento su cavie umane. Un’ora d’elettricità è sufficiente per la vita umana? E se bastassero dieci minuti? E cosa succederebbe a degli esseri umani totalmente privi di elettricità? L’esperimento è già in fase avanzata e gli scienziati tengono il fiato sospeso. Quando verrà lanciato il primo razzo? Quando comincerà il conseguente massacro?”
I palestinesi di Gaza come cavie umane sottoposte alla crudeltà israeliana fiancheggiata dall’Autorità Palestinese. Non ricorda tutto ciò un’altra crudeltà e efferatezze maggiori? Quelle perpetrate dai nazisti nei confronti degli ebrei? Certamente. Il parallelo implicito che Levy vuole istituire è questo, si tratta di uno dei grandi feticci della demonizzazione di Israele, lo Stato ebraico come stato nazista.
Naturalmente questo pezzo espressionista e grossolano di propaganda omette dati essenziali, fatti indispensabili per comprendere, funziona solo con chi non sa o sa ma è in profonda malafede, come l’autore. E cioè che Gaza è un enclave islamica dal 2007, da quando con un golpe Hamas il partito integralista fondato dallo sceicco Yassin prese il potere attraverso uno spietato regolamento dei conti con il rivale Fatah, che Hamas ha governato e governa da allora con il terrore su una popolazione dove il 70% dipende dai sussidi assistenziali e il 60% si arrangia con meno di due dollari al giorno a fronte del miliardo di dollari investito nella struttura militare da Hamas dal 2007 a oggi, che ogni mese Hamas raccoglie circa 28 milioni di dollari in tasse dai residenti della Striscia e che una parte cospicua delle tasse raccolte viene utilizzata per i salari dei membri dell’organizzazione mentre un’altra parte viene utilizzata per la fabbricazione di razzi e tunnel, che la crisi dell’elettricità in cui versa la Striscia è dovuta a una diatriba tutta interna all’Autorità Palestinese e Hamas, da quando ad aprile l’Autorità Palestinese dichiarò che non avrebbe più pagato il 40% della tassa sulla fornitura dell’elettricità erogata da Israele, che Israele nonostante ciò ha continuato a erogare elettricità gratis alla Striscia per sei settimane.
Tutto questo Levy non lo dice, come non dice che i dati dei morti civili che riporta sono la conseguenza di due conflitti non voluti da Israele e provocati in entrambi i casi da Hamas, come non dice che Israele abitualmente prima di colpire la Striscia ha sempre fatto il possibile per minimizzare i morti mentre Hamas ha sempre fatto il massimo per massimizzarli, soprattutto tra i civili, così da potere lucrare cinicamente sulla morte soprattutto delle donne e dei bambini. Nelle parole limpide di Asa Kasher, professore di filosofia e linguistica all’Università di Tel Aviv e autore del codice di condotta dell’IDF:
“Hamas attacca gli israeliani indiscriminatamente e lo fa da aree residenziali e anche da moschee, ospedali e scuole. Produce le munizioni in un campus universitario e stocca i suoi razzi nelle moschee e nelle scuole dell’UNRWA. I suoi comandanti e il suo sistema di comando e di controllo spesso operano nel seminterrato di un ospedale e i suoi combattenti non combattono in uniforme (se non, quando è utile, con l’uniforme dell’IDF). Hamas viola senza scrupoli ogni regola del manuale. Come dovrebbe reagire Israele?”.
Per Levy la risposta è semplice, non dovrebbe reagire affatto. Dovrebbe restarsene in attesa di ricevere i razzi Quassam da Gaza, circa 4700 durante l’arco delle sette settimane del 2014. Levy infatti non è interessato alla verità ma unicamente alla fiction nera intessuta di menzogne in cui il protagonista principale è Israele, lo Stato criminale par excellence.
Nel Mein Kampf, Adolf Hitler aveva già anticipato Gideon Levy e il suo metodo di “lavoro” quando scriveva che le masse sono molto più prone alle grandi menzogne che alle piccole poiché “Non gli verrebbe mai in mente di fabbricare falsità colossali e non crederebbero che altri avrebbero l’impudenza di distorcere la verità in modo così infame”.
Il sabba intorno a Israele: Fenomenologia di una demonizzazioneDi Niram Ferretti
https://books.google.it/books?id=6OQ2Dw ... ti&f=false "Con Israele per la libertà, contro il terrorismo" - XIX Congresso Nazionale della Federazione delle Associazioni Italia - IsraeleCONGRESSO | - Roma - 10:12 Durata: 6 ore 6 min
A cura di Guido Mesiti e Pantheon
Organizzatori:
Federazione delle Associazioni Italia-Israele
21 febbraio 2009
https://www.radioradicale.it/scheda/273 ... nale-della Il capro espiatorio: Israele e la crisi dell'EuropaDi Niram Ferretti
https://books.google.it/books?id=KEmwDw ... ti&f=falseLe vere parole di Primo Levi: cronaca di come la propaganda propalestinese abbia mistificato il suo pensieroEmanuel Baroz
12 aprile 2012
di Francesco Lucrezi
https://www.focusonisrael.org/2012/04/1 ... esi-ebrei/Esattamente un quarto di secolo fa, l’11 aprile del 1987, Primo Levi, com’è noto, poneva termine alla sua vita, precipitandosi nella tromba delle scale della sua casa torinese. In questi 25 anni, la sua straordinaria testimonianza ha raggiunto cerchie sempre più ampie di persone, in molti Paesi del mondo, le sue opere sono state tradotte in diverse lingue, alla sua figura sono stati dedicati numerosi libri, seminari, congressi, almeno due centri di studio a lui nominati sono attivi, in permanenza, a Torino e a New York. Parallelamente, la conoscenza della Shoah, nei suoi infiniti episodi particolari, ha fatto – nonostante tutti i negazionismi e revisionismi – passi da gigante, in tutto il mondo, uscendo – anche se solo in parte – dalla zona buia di silenzio, occultamento e rimozione a cui sembravano averla consegnata l’ammutolimento dei sopravvissuti, la vergogna dei vinti, la cattiva coscienza dei vincitori, l’universale desiderio di non parlarne, di girare pagina. Soprattutto negli ultimi anni, com’è noto, la memoria di ciò che è accaduto è diventata, pur tra non poche difficoltà e controversie, una sorta di religione civile, una specie di “prima pietra” della civiltà umana. Il contributo che la parola di Levi ha dato a tutto questo è incommensurabile.
Un imprescindibile dovere, per chiunque intenda, in ogni modo, onorarne la memoria, dovrebbe essere, a mio avviso, quello di difendere il suo testamento morale dai ripetuti, insidiosi tentativi di manipolazione e stravolgimento, messi in atto, a volte con lampante mala fede, e con mezzi particolarmente vili, per piegarne l’insegnamento in direzioni nuove, del tutto estranee ai suoi effettivi contenuti. Ci riferiamo, in particolare, alla dolosa distorsione del pensiero di Primo Levi, attraverso la quale, in più occasioni, le sue ripetute e, a volte, severe critiche alla condotta dei governi israeliani sono state artatamente trasformate in radicale delegittimazione dello stato di Israele nel suo insieme, fino al logoro insulto del “ribaltamento di posizioni”, che vedrebbe gli ebrei trasformati, da vittime di ieri, in carnefici di oggi.
È merito di Domenico Scarpa e Irene Soave, con un denso articolo, intitolato “Le vere parole di Levi”, pubblicato su Il Sole 24 ore di domenica scorsa, 8 aprile, avere smascherato un falso particolarmente turpe e maligno, per la gravità della sua portata e la vastità della sua circolazione, ossia l’attribuzione a Primo Levi della seguente frase: “Ognuno è l’ebreo di qualcuno. Oggi i palestinesi sono gli ebrei di Israele”. Un’asserzione che, come documentano gli autori, è ormai assurta al rango di “tenace leggenda metropolitana”, largamente accreditata dall’autorità della rete, che la diffonde senza sosta. Ormai la frase fa parte della storia, della biografia ufficiale di Primo Levi, la cui vita, il cui pensiero e la cui morte sono definitivamente votati alla santificazione dei “nuovi ebrei”, i palestinesi, e alla demonizzazione dei “nuovi nazisti”, gli israeliani. Peccato che Primo Levi non abbia mai detto niente del genere.
Sua, nel romanzo “Se non ora, quando?”, del 1982, è unicamente la frase generica “Ognuno è l’ebreo di qualcuno”. In un’intervista apparsa su la Repubblica del 28 giugno di quello stesso anno (l’anno dell’invasione del Libano, in cui particolarmente violento fu l’attacco della comunità internazionale contro Israele, e in cui Levi si pronunciò contro le opzioni militari del governo di Begin), a proposito della presunta analogia tra la condizione dei palestinesi di quel momento e quella degli ebrei durante la Shoah, il pur critico Levi rifiutò espressamente la grossolana equazione, ricordando che “non esiste un piano di sterminio del popolo palestinese”. Ma, in un articolo apparso il giorno dopo su il Manifesto, la famosa frase “Ognuno è l’ebreo di qualcuno” fu riportata, tra virgolette, e commentata dall’articolista (correttamente, dopo la chiusura delle virgolette) con la successiva annotazione: “E oggi i palestinesi sono gli ebrei degli israeliani”. Un’aggiunta, quest’ultima, che Levi non ha mai scritto, mai detto, mai pensato. Ma che, ciò non di meno, gli si è voluto falsamente attribuire, semplicemente spostando di qualche carattere la chiusura delle virgolette. Evidentemente, l’occasione di potere così sfruttare il nome di Primo Levi contro la patria degli ebrei era troppo ghiotta per potervi resistere.
Non imiteremo il comportamento dei falsari, e non trasformeremo Levi in uno strenuo difensore di Israele. Non lo è stato. Ma ricordiamo che l’ultima volta in cui ne ha parlato è stato nella pagina finale de I sommersi e i salvati, pubblicato nel 1986, poco prima della sua morte. E le sue ultime parole sono le seguenti: “I superstiti ebrei disperati, in fuga dall’Europa dopo il gran naufragio, hanno creato in seno al mondo arabo un’isola di civiltà occidentale, una portentosa palingenesi dell’ebraismo, ed il pretesto per un odio rinnovato”.
A 25 ANNI DALLA SCOMPARSA
Le vere parole di Levi
Nel 1982 «il Manifesto» pubblica una recensione che viene citata sul «New Yorker» in un saggio di Joan Acocella che dimentica, però, due virgolette importanti . L’insidioso sillogismo sull’essere «ebrei di qualcun altro» che gli viene attribuito in rete è un falso. Ecco come è accaduto
di Domenico Scarpa e Irene Soave
«Ogni straniero è nemico». Primo Levi riporta questa frase perentoria – mettendola tra virgolette – nella prefazione del suo libro più celebre, Se questo è un uomo, avvertendo il lettore che quando un tale «dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager». Uomo attento, scrittore attento alle sfumature, Levi aveva molti buoni motivi per diffidare dei sillogismi e della loro logica tranciante. Per ironia della storia, gliene è stato attribuito uno particolarmente insidioso, che si sviluppa così: «Ognuno è l’ebreo di qualcuno. Oggi i palestinesi sono gli ebrei di Israele». Se si cerca su Google il primo membro della frase si ottengono circa 426.000 occorrenze. Se si cerca la frase completa (il sillogismo ebrei-palestinesi-israeliani) e le si aggiunge il nome Primo Levi, i risultati sono 25.800: quanto basta per creare una tenace leggenda metropolitana, della quale Peppino Ortoleva ha descritto lo sviluppo. Nell’aprile 1982 Primo Levi pubblicava il suo primo romanzo; s’intitolava Se non ora, quando? e raccontava le avventure di una banda di partigiani ebrei russi, impegnati a combattere il nemico nazista in lungo e in largo per l’Europa. Nel testo ci s’imbatte in questa frase: «Perché? Perché ognuno è l’ebreo di qualcuno, perché i polacchi sono gli ebrei dei tedeschi e dei russi». A leggerla può sembrare una frase (un sillogismo) dalla struttura parlata, ma in realtà è una frase pensata: uno spezzone dei pensieri che attraversano la mente di Mendel l’orologiaio, uno dei protagonisti del romanzo e anzi la sua voce narrante. A ricopiare la frase così com’è, virgole comprese, e a cercarla a sua volta su Google, le occorrenze sono appena 84. Ricopiare è difficile, e il risultato di 84 contro 25.800 ci dice fino a che punto la moneta verbale cattiva sia capace di scacciare la buona. Però, non ci dice ancora come faccia a scacciarla, quali strade percorrano le parole inventate, falsificate, distorte. Il Centro internazionale di studi Primo Levi (
www.primolevi.it) – che ha sede a Torino e al quale collaborano i due autori di questo articolo – ha ricevuto negli ultimi due anni svariate segnalazioni dello pseudosillogismo di Primo Levi. A seguirne le tracce sul web, ci s’imbatte in una data: 1969, anno in cui Levi avrebbe formulato l’equivalenza storica palestinesi-ebrei allorché firmò un manifesto intitolato Le forche di Bagdad e la questione israeliana («Resistenza», a. XXIII, n. 2, febbraio 1969; il testo non è finora censito in nessuna bibliografia). Si trattava di un appello di «ebrei torinesi, aderenti o vicini ai movimenti di sinistra», critici sia verso i regimi liberticidi del mondo arabo sia verso la politica militare del Governo di Israele: ebrei laici che chiedevano, a Israele e ai palestinesi, un «accordo concreto fondato sul riconoscimento reciproco del diritto all’esistenza nazionale e autonoma». Del resto, è proprio tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo che la società civile italiana sembra accorgersi per la prima volta della questione palestinese: il che spiega, in parte, la data più remota -1969, appunto – cui si fa risalire la frase attribuita a Levi, frase di cui non c’è traccia nell’appello appena citato. Tantomeno la troveremo in appelli successivi dello stesso tenore, come quello di cui dà notizia «l’Unità» del 3 giugno 1976, che Levi sottoscrisse con Giorgio Bassani, Luciano Berio, Ignazio Silone e il senatore comunista Umberto Terracini.
Il 1982, l’anno di Se non ora, quando?, sarebbe stato per Levi il più propizio per pronunciare una frase del genere: se l’avesse pensata, naturalmente. L’occasione avrebbe potuto essere l’invasione del Libano, decisa dal premier israeliano Begin il 6 giugno 1982. E in effetti, il 16 giugno, compariva su «la Repubblica» un ennesimo e più allarmato appello dal titolo «Perché Israele si ritiri», firmato da otto intellettuali «democratici ed ebrei». Figuravano fra loro tre scrittori: Edith Bruck, Natalia Ginzburg e Primo Levi: «Coloro che in altri momenti hanno tremato per la minacciata distruzione dello Stato di Israele debbono oggi trovare il coraggio e la forza di opporsi alla politica del Governo Begin e a tutto ciò che rappresenta per i destini democratici dello stato di Israele e per la prospettiva di una convivenza pacifica con il popolo palestinese». Ancora una volta, nessuna traccia della frase famosa.
Primo Levi era, in quella stessa primavera 1982 dell’invasione israeliana in Libano, l’autore di un romanzo epico dove gli ebrei si mostravano armi in pugno: pistole, bombe, fucili mitragliatori oltre che violini per passare il tempo e orologi da aggiustare con mano salda e sottile. Nelle molte interviste rilasciate su Se non ora, quando? tra la primavera e l’autunno, Levi dovette rispondere a parecchie domande di attualità. A cominciare da quelle con cui Alberto Stabile («la Repubblica», 28 giugno) aprì la conversazione: «Perché alcuni ebrei italiani oggi identificano il dramma palestinese con le persecuzioni da loro subite quarant’anni fa?» Risponde Levi: «Non solo ebrei, anche molti non ebrei lo fanno. Qualche analogia c’è. lo non vorrei spingere le cose troppo oltre, ma le analogie mi sembrano essenzialmente queste. Si tratta di una “Nazione”, chiamiamola così tra virgolette, perché nel mondo arabo le cose sono sempre difficilmente definibili, che si è trovata senza Paese. E questo è un punto di contatto con gli ebrei. Esiste una diaspora palestinese recente che ha qualcosa in comune con la diaspora ebraica di duemila anni fa. E l’analogia non può andare molto oltre, a mio parere». «Due popoli vittime…» rilancia Stabile. E Levi: «Vittime di vicini troppo potenti. Tuttavia rifiuto di assimilare quella che Hitler chiamava la soluzione finale con le cose pur violente e pur terribili che fanno gli israeliani oggi. Non esiste un piano di sterminio del popolo palestinese. Questo è andare troppo oltre». Il 1982, dunque, è anche l’anno in cui Levi smentisce la possibilità di formulare il sillogismo da cui siamo partiti. E risposte come questa si leggono in altre sue interviste di allora. Eppure, il 1982 è anche l’anno cui viene fatta risalire la pseudo-frase di Levi in un autorevole saggio di Joan Acocella: A hard case. The life and death of Primo Levi, nel «New Yorker» del 17-24 giugno 2002. Acocella vi cita un’intervista di Levi «to an Italian newspaper», che risalirebbe appunto al 1982. Ecco la frase così come suona nel testo inglese: «Everybody is somebody’s Jew, and today the Palestinians are the Jews of the Israelis». Di quale articolo italiano si trattasse lo ha rivelato la tesi di laurea di Marta Brachini su «Israele e l’ebraismo in due giornali della sinistra: “l’Unità” e “il manifesto” (1982-1993)». Benché Brachini dati quell’articolo al 1987, non è stato difficile rintracciarlo.
Non è un’intervista bensì una recensione – molto elogiativa – di Se non ora, quando? La data è il 29 giugno 1982, la testata «il manifesto», il titolo Quando la stella di David era la bandiera dei perseguitati, l’autore Filippo Gentiloni. Il quale trascrive bensì correttamente la frase del romanzo: «Ognuno è l’ebreo di qualcuno, perché i polacchi sono gli ebrei dei tedeschi e dei russi». E chiude, correttamente, le virgolette, per poi aggiungere, di suo: «E oggi i palestinesi sono gli ebrei degli israeliani». Nell’articolo di Acocella, quelle virgolette che separano i fatti del romanzo dalle opinioni del recensore sono saltate: svista sufficiente per attribuire a Primo Levi un sillogismo che circola da anni – 25.800 occorrenze – sul web, e che peraltro corrisponde a una tesi politica circolante a sua volta da decenni, fra commentatori non ebrei o anche ebrei. Circolante sì, ma non certo negli scritti e nei detti di Primo Levi, che esplicitamente la rifiuta. Solo un concorso di casi fortunati ha permesso al Centro studi Primo Levi di ritrovare (cosa rarissima) l’origine probabile di questa falsificazione. Morale: a venticinque anni dalla sua scomparsa, pare si faccia ancora fatica, nel web e fuori, a leggere correttamente una delle prime frasi di Se questo è un uomo: quella, appunto, dove si rifiutano i sillogismi contundenti. Una buona occasione per rileggere, oggi, tutto il libro, e tutto il resto
La realtà parallela della propagandaNiram Ferretti
19 Gennaio 2023
http://www.linformale.eu/la-realta-para ... ropaganda/In un articolo de La Stampa veniamo informati che nel corso della rassegna “Mondovisioni, I documentari di Internazionale” è stato presentato ieri allo Spazio Kor di Asti il film H2: The Occupation lab.
“Il film porterà gli spettatori in Palestina, a Hebron”. Già qui è necessario rimarcare fin da subito lo slancio assegnatario della giornalista che cede Hebron alla “Palestina” e non, come è di fatto, alla Cisgiordania che non è sotto alcuna determinazione giuridica “Palestina”. Il Protocollo di Hebron del 1997 determina che Hebron si trova sotto la tutela dell’Autorità Palestinese. Tutela, non sovranità. Non esiste alcuna sovranità palestinese su nessun centimetro dei territori della Cisgiordania, così come non esiste di fatto alcuno Stato palestinese.
A Hebron sarebbe nato “il movimento dei coloni, e per la prima volta l’esercito israeliano ha imposto la politica di segregazione etnica”.
Si tratta di elementi essenziali del romanzo criminale su Israele la cui stesura comincia nel 1967. Nel canovaccio, i “coloni” recitano la parte dei cattivi, insieme all’esercito israeliano, una riedizione ebraica di quello segregazionista del Sud Africa.
Fare passare gli ebrei per colonizzatori in una cittadina menzionata nella Bibbia e dove, secondo il suo dettato, risiedette Abramo e Davide avrebbe ricevuto l’unzione di re di Israele, è una di quelle meraviglie che ci regala la storia sottomessa all’imperio della propaganda. D’altronde i nazisti procedettero ad arianizzare Cristo, e la sua variante “palestinese”, ovvero araba è da tempo in circolazione. A Hebron la comunità ebraica ha continuato a vivere per secoli, anche dopo l’occupazione araba del VII secolo. Chissà se anche loro erano “coloni”.
I “coloni” sarebbero anche tutti quegli ebrei che già a metà Ottocento ebbero l’ardire di emigrare nella terra d’origine dei loro antenati, e dove una minoranza di ebrei indigeni non si è mai allontanata.
Per quanto riguarda la “segregazione” in cui vivrebbero i palestinesi, è da decenni un caposaldo irrinunciabile di chi vuole presentare Israele come uno Stato protervamente razzista. Relativamente alla sua applicazione a Hebron, il Wye River Memorandum del 1998, integrativo degli Accordi di Oslo, assegna ai palestinesi la piena responsabilità sull’80% della cittadina mentre agli ebrei viene lasciato il restante 20%.
A tutt’oggi agli ebrei non è permesso entrare nell’Area H1 interamente palestinese, né nella parte dell’Area H2 dove una parte dei palestinesi risiedono. In altre parole, agli ebrei residenti a Hebron non è permesso l’accesso al 97% dell’area urbana, mentre ai palestinesi l’accesso non è consentito relativamente a una strada nell’Area H2, al-Shaduda Street, che congiunge tra di loro due quartieri ebraici.
Al-Shaduda Street è diventata per i solerti promotori della propaganda palestinese, un simbolo della”segregazione” israeliana a Hebron.
Una cosa però va detta con sicurezza a proposito di “segregazione”. Quella istituita dai palestinesi nei confronti degli ebrei è ferrea. Se un ebreo entrasse per sbaglio nell’Area H1 e venisse scoperto, la probabilità di uscirne vivo sarebbe pari allo zero.