Dalla parte degli ebrei e di Israele che è la loro terra

Dalla parte degli ebrei e di Israele che è la loro terra

Messaggioda Berto » ven feb 17, 2023 10:37 pm

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Berto
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Re: Dalla parte degli ebrei e di Israele che è la loro terra

Messaggioda Berto » ven feb 17, 2023 10:38 pm

23)
Le menzogne dei nazifascisti palestinesi e dei loro sostenitori atei sinistrati antisemiti/antisraeliani




Calunnie e falsità dei criminali terroristi antisemiti nazi-palestinesi contro Israele e gli ebrei
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 196&t=2824


L'Inganno palestinese

https://www.facebook.com/lingannopalestinese


Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e occupato alcuna terra altrui
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 205&t=2825


14 anni dall'Operazione Piombo Fuso - disinformazione
Thomas Cavagna
Scritto il 27 Dicembre 2022

https://disinformazioneig.altervista.or ... ombo-fuso/

Esattamente quattordici anni fa, il cielo sovrastante la striscia di Gaza veniva squarciato dal frastuono dei bombardamenti sganciati dai F-16 israeliani.

L’Operazione Piombo Fuso inizió così, nella mezzanotte del 27 dicembre 2008, approfittando della scadenza della tregua di sei mesi stabilita, con l’ausilio della mediazione egiziana, il 19 giugno dello stesso anno.

La causa apparente, direbbe Tucidide, fu la volontà dei coloni di porre fine alla violenza di Hamas, il movimento di liberazione palestinese che nel precedente decennio di attività contava 15 vittime, cadute sotto i colpi dei rudimentali razzi Qassam.

La causa reale, tuttavia, è l’impeto brutale del colonialismo sionista che, in accordo con le grandi potenze d’Occidente, ogni giorno, riduce la popolazione palestinese a cavia da laboratorio, collaudando le opere dell’industria bellica sullɜ civili.

Forte dei legami commerciali con i grandi privati, lo Stato illegittimo di Israele, infatti, non dovette nemmeno preoccuparsi di celare il suo reale intento.

Le bombe distrussero le università, le scuole, le abitazioni. Nemmeno i depositi alimentari dell’ONU vennero risparmiati. Solo nella giornata del 27 dicembre, le vittime palestinesi ammontavano a 300.

Tratto dal film-documentario “Piombo Fuso” (Stefano Savona, 2009)

Si rivelò inutile l’intervento formale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, che tentarono futilmente di imporre l’immediato cessate il fuoco.

Israele, vantando anche l’appoggio del Canada e dell’Europa, proseguì imperterrito la sua carneficina, testando sulle vittime del moto sionista i nuovi armamenti prodotti in collaborazione con gli Stati Uniti.
Bombe al fosforo bianco sulla popolazione palestinese, 2008.

Come confermato, in seguito alla strage, dal Comitato di Ricerca sulle Nuove Armi (NRWC), che, approfondendo la correlazione tra armamenti bellici e le ripercussioni a medio termine sui residenti nei territorio travolti da conflitti, giunse alla conclusione che gli esplosivi israeliani contenessero elevate quantità di fosforo bianco ed un elemento metallico ad altamente cancerogeno, oltre a metalli deleteri per il sistema nervoso.

Mentre i coloni, rivendicando la loro Terra Promessa, invocavano l’espulsione forzata della popolazione locale, riecheggievano le grida dellɜ palestinesi intentɜ a schivare le bombe al fosforo ed i proiettili al tungsteno.

Negli anni, le conseguenze dell’impiego di ordigni contenenti metalli tossici comportarono il gravoso incremento del tasso di deformazioni e patologie nei neonati e di aborti spontanei.

Gli studi della Fondazione Al Damer confermarono la preminente concentrazione di patologie fetali e radioattività nelle zone circostanti Beit Hanoun, Beit Lahiya e Jabaliya, dove l’intervento israeliano si era accanito.

Dal Ministero palestinese della Sanità vennero diramate numerose documentazioni medico-statistiche, volte a testimoniare i disastri ambientali ed umanitari causati dalle sostanze tossiche adoperate da Israele, con oltre 1200 morti (di cui 410 bambini).

La sera del 17 gennaio 2009, dopo un mese di violenze quotidiane, il governo israeliano annunció il raggiungimento degli obiettivi prefissatisi con l’apertura delle ostilità, dichiarando conclusa l’operazione militare. Le divise d’Israele, tuttavia, non vennero mai ritirate e le incursioni tuttora proseguono imperterrite.

Le Nazioni Unite risposero alla violenza di Israele con il controverso Rapporto Goldstone, che promuove le retoriche di colpevolizzazione dellɜ oppressɜ che associano la rabbia della Palestina e la catena di crimini di guerra e di contro l’umanità portati avanti, impunemente, da Israele.

I reali responsabili, come spesso accade, rimasero impuniti, quando, nel febbraio del 2009, Israele ammise la brutalità chimica dell’operazione militare e affibió qualche debole provvedimento disciplinare nei confronti di alcuni ufficiali delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) eletti a capro espiatorio, tra cui il generale di brigata Eyal Eisenberg ed il colonnello Ilan Malka, accusati di sparato proiettili d’artiglieria al fosforo bianco su un complesso delle Nazioni Unite e condannati per abuso d’autorità tale da mettere a repentaglio la vita altrui.
Ilan Malka

Nonostante l’impegno dellɜ militanti antisionistɜ, Israele continua a trarre massicci profitti dal commercio dei sistemi militari testati sulla popolazione palestinese.

A seguito dell’Operazione Piombo Fuso, infatti, la presenza degli ufficiali dell’esercito nel business privato permise la più significativa espansione di compravendita bellica, con proventi pari a 6 miliardi di dollari.

Come riportato in Gaza e l’industria israeliana della violenza, più si intensifica la segregazione etnica dellɜ palestinesi, maggiore sono i profitti per Israele.

La particolare condizione della Striscia, in cui 1,8 milioni di palestinesi sono forzosamente rinchiusi in una area densamente popolata, offre un laboratorio unico per la sperimentazione delle dottrine e delle tecnologie della guerra asimmetrica in contesti urbani.
– Gaza e l’industria israeliana della violenza (Tradardi, Carminiati e Bartolomei)

Non è una coincidenza che, al termine di ogni aggressione sionista, si tengano fiere internazionali affinché le compagnie private e pubbliche presentino i prodotti testati sulla popolazione di Gaza ai possibili acquirenti, accattivati dagli armamenti testati in battaglia.

Ennesima dimostrazione che i teatri di guerra son tutto fuorché causali. La scenografia bellica non è il frutto di una barbaria intrinseca nell’essere umano, tantomeno l’esito inevitabile della Storia. Il conflitto viene accuratamente progettato e fabbricato su misura del cliente. La guerra e la ferocia sono il prodotto del capitale, con il permesso del sistema che ne legittima le crudeltà in virtù di rapporti di potere tendenziosi e disfunzionali.

Israele, quindi, può vantare il titolo di primo fornitore al mondo di aeromobili a pilotaggio remoto, esportando i droni testati sullɜ palestinesi in oltre 20 paesi, principalmente europei.

Solo nel decennio 2001-2011, stando allo Stockholm International Peace Research Institute, le compagnie israeliane hanno esportato il 41% dei droni nel mondo.

Tra i settori in cui si registra la maggiore erogazione di armamenti, la sicurezza privata, le intelligence e, ovviamente, le Forze dell’Ordine. Alle conferenze degli esercenti israeliani, non mancano ministri della difesa e degli interni, oltre ad esponenti della Forza Pubblica da tutto il mondo.

La pagina di presentazione della Israel HLS 2014, tenutasi a Tel Aviv tra il 9 ed il 12 novembre, afferma, senza alcun pudore, che:

«Israele ha sperimentato la minaccia del terrorismo per decenni ed è arrivata per necessità a eccellere nell’ambito della sicurezza nazionale. In effetti, nessun altro paese ha una percentuale più alta di ex componenti di esercito, polizia e forze di sicurezza, con esperienza pratica nella lotta al terrorismo».

In contrapposizione alla narrazione malata della borghesia colonialista, il Gaza Community Mental Health Programme testimonia l’impatto catastrofico dell’Operazione Piombo Fuso e la rabbia palestinese continuerà a riversarsi nella strade, proiettile dopo proiettile e razzo dopo razzo, finché lo Stato illegittimo fondato sul colonialismo fanatico del capitale continuerà imperterrito a violentare la terra di Gaza e lɜ suɜ abitanti.

L'operazione Piombo fuso (ebraico: מבצע עופרת יצוקה, Mivtza Oferet Yetzukah[21]) è stata una campagna militare lanciata dall'esercito israeliano con l'intento dichiarato di "colpire duramente l'amministrazione di Hamas al fine di generare una situazione di migliore sicurezza intorno alla Striscia di Gaza nel tempo, attraverso un rafforzamento della calma e una diminuzione dei lanci dei razzi, nella misura del possibile". L'operazione militare si è protratta dal 27 dicembre 2008 alle ore 00:00 GMT del 18 gennaio 2009.

https://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Piombo_fuso

Obiettivo dichiarato dell'intervento militare israeliano è stato quello di neutralizzare Hamas che, a partire dal 2001, ha bersagliato i centri urbani nel sud di Israele con razzi Qassam provocando in otto anni 15 morti e centinaia di feriti fra la popolazione civile, costretta a un ritmo di vita scandito da sirene di allarme e corse nei rifugi (obbligatori per legge).

Da parte israeliana l'azione militare è descritta anche come una risposta all'intensificarsi del lancio di razzi Qassam da parte di Hamas contro obiettivi civili del Sud di Israele, non appena scaduta la tahdiʾa (calma) di sei mesi, ottenuta il 19 giugno 2008 dopo un lungo lavoro di mediazione da parte dell'Egitto.


Operazione “Piombo Fuso”: la relazione Malam smonta completamente il rapporto Goldstone
Emanuel Baroz
16 marzo 2010

Piombo Fuso: la relazione Malam smonta completamente il rapporto Goldstone
di Miriam Bolaffi
Video relazione Malam from Secondo Protocollo on Vimeo.

https://www.focusonisrael.org/2010/03/1 ... goldstone/

A darne notizia con grande risalto questa mattina è il Jerusalem Post. Dopo mesi di lavoro è pronta la lunghissima relazione che contesta punto per punto l’ormai tristemente famoso “Rapporto Goldstone”. Si tratta di una relazione che contiene immagini e video prodotta dal Intelligence and Terrorism Information Center (Malam) che dimostra inequivocabilmente come Hamas, durante l’operazione Piombo Fuso, abbia usato vecchi, donne e bambini come scudi umani oltre che case civili e ospedali come rampe di lancio e deposito di armi.

La “relazione Malam”, 500 pagine, dimostra come almeno 100 moschee sono state usate da Hamas per scopi militari, dimostra con immagini e video come i terroristi di Hamas si nascondessero in mezzo ai civili, dimostra come i tetti degli ospedali e di diverse strutture civili siano stati usati da Hamas come rampa di lancio per i missili, dimostra come i terroristi di Hamas usassero case di civili per combattere contro i militari dell’IDF.

Le 500 pagine della relazione Malam, a differenza del rapporto Goldstone, sono dettagliate e precise, coadiuvate da un impressionante numero di immagini desecretate e video ripresi da droni e dagli aerei israeliani.

Alla relazione, che verrà presentata oggi, hanno collaborato le Forze di difesa Israeliane (IDF) e lo Shin Bet, i quali hanno messo a disposizione di Reuven Erlich, ex colonnello del servizio segreto militare che guida il Malam, centinaia di video e immagini che dimostrano senza ombra di dubbio come Hamas lanciasse attacchi da almeno un centinaio di moschee e di come fosse una pratica sistematica usare bambini e donne come scudi umani. Le immagini mostrano come i terroristi si camuffassero da donna per ingannare i militari israeliani e come avessero posto i loro centri di comando e i loro depositi di armi all’interno di strutture civili quali ospedali e scuole.

Una parte della relazione è dedicata alle tecniche di combattimento usate dall’IDF in zone altamente popolose come lo è Gaza, tecniche che hanno sempre tenuto conto (nei limiti del possibile) dei civili e della possibilità che venissero usati da Hamas come scudi.

In buona sostanza la “relazione Malam” demolisce completamente e definitivamente il “rapporto Goldstone” e dimostra come detto rapporto sia stato scritto in maniera sommaria, faziosa e unilaterale senza fornire alcuna prova di quanto ivi affermato, ascoltando unicamente la versione fornita da Hamas che, lo ricordiamo, per stessa ammissione del suo leader politico Khaled Meshaal, considera la morte di un civile palestinese una vittoria morale e mediatica per Hamas e una sconfitta per Israele. Anzi, la relazione Malam fa di più, dimostra inequivocabilmente come in effetti sia Hamas a essere responsabile della morte dei tanti civili deceduti durante l’operazione Piombo Fuso confermando, se ce ne fosse bisogno, che la Striscia di Gaza è tenuta in ostaggio con la forza dal gruppo terrorista palestinese, l’unico e vero responsabile dell’attuale situazione del milione e mezzo di palestinesi di Gaza.



Operazione “Piombo Fuso”: una testimonianza che merita la nostra attenzione
Emanuel Baroz
20 ottobre 2009
Operazione “Piombo Fuso”: una testimonianza che merita la nostra attenzione
Il Colonnello inglese Richard Kemp difende l’esercito israeliano di fronte alla Commissione per i Diritti Umani dell’Onu
Filippo Lobina

https://www.focusonisrael.org/2009/10/2 ... hard-kemp/

Questo è il testo (da me tradotto) del discorso che il Colonnello Richard Kemp ha tenuto di fronte alla Commissione per i Diritti Umani dell’Onu. In quell’occasione si è discusso del rapporto Goldstone e si è unilateralmente accusato Israele di violazione dei diritti umani e di crimini di guerra durante l’operazione Piombo Fuso nella Striscia di Gaza.

Il Colonnello Kemp con competenza e professionalità ha difeso le Forze Armate Israeliane, per aver fatto l’impossibile nell’evitare lutti e danni ai civili, più di ogni altro esercito nella storia dell’umanità. Ma di fronte alla cecità e alla malafede di tutti quei paesi “membri” che dei diritti umani se ne sono sempre fatti beffa, anche questa testimonianza è scivolata nel dimenticatoio. Sta allora a noi diffonderla il più possibile, per far sì che una fiammella di verità continui sempre ad illuminare le coscienze di tutti.
Grazie Colonnello Kemp.

“Grazie Signor Presidente.
Sono stato il comandante delle forze inglesi in Afghanistan. Ho prestato servizio con la NATO e le Nazioni Unite; ho assunto il comando di truppe nell’Irlanda del Nord, la Bosnia e la Macedonia; e ho partecipato alla Guerra del Golfo. Ho speso un tempo considerevole in Iraq fin dall’invasione del 2003, e ho lavorato sul tema del terrorismo internazionale con il Joint Intelligence Committee del governo britannico.

Signor Presidente, basandomi sulle mie conoscenze e la mia esperienza, posso affermare questo: durante l’operazione Cast Lead (Piombo Fuso), le forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno fatto il possibile per salvaguardare i diritti dei civili nelle zone di combattimento, più di qualsiasi altro esercito nella storia.

Israele ha fatto tutto questo nonostante si confrontasse con un nemico che deliberatamente ha piazzato la sua capacità militare dietro la popolazione civile utilizzandola come scudo umano.

Hamas, come Hizballah, sono degli esperti nel pilotare l’agenda dei media. Ambedue avranno sempre delle persone pronte a concedere interviste nelle quali si condannano le forze Israeliane per crimini di guerra. Queste organizzazioni sono esperte nelle messa in scena e nel distorcere gli avvenimenti.

La IDF ha dovuto affrontare una sfida di una portata sconosciuta a noi Britannici. E molti mass media e associazioni internazionali per i diritti umani hanno automaticamente, pavlovianamente presunto che la IDF si trovasse nel torto, che stessero abusando dei diritti umani.

La verità è che la IDF ha preso delle misure straordinarie per fornire ai civili di Gaza informazioni sulle aree diventate obiettivo militare, distribuendo più di 2 milioni di volantini, ed effettuando più di 100.000 chiamate telefoniche. Molte missioni che avrebbero potuto colpire la capacità miliare di Hamas sono state annullate al fine di prevenire vittime civili. Durante il conflitto, la IDF ha permesso il transito di aiuti umanitari verso Gaza. E fornire aiuti virtualmente nelle mani del tuo nemico è, nella tattica miliare, una cosa del tutto inimmaginabile. Ma la IDF si è presa questo rischio.

Nonostante tutto, certamente delle vittime civili innocenti sono state uccise. La guerra è caos ed è piena di errori. Ci sono stati errori da parte dei Britannici, Americani ed altre forze in Afghanistan ed in Iraq, e molti di questi possono essere attribuiti all’errore umano. Ma un errore non è un crimine di guerra.

Più di ogni altra cosa le vittime civili sono state una conseguenza del modo di combattere di Hamas. Quest’organizzazione deliberatamente ha provato a sacrificare la sua popolazione civile.

Signor Presidente, Israele non ha avuto altra scelta per difendere la sua popolazione, per fermare Hamas e i suoi lanci di missili.

E lo dico di nuovo: le forze di Difesa Israeliane hanno fatto il possibile per salvaguardare i diritti dei civili nelle zone di combattimento, più di qualsiasi altro esercito nella storia.

Grazie, Signor Presidente”
Col. Richard Kemp


Contro Israele: I manovali della propaganda
Niram Ferretti
28 Novembre 2017

http://www.linformale.eu/contro-israele ... ropaganda/

Nelle gerarchie più alte, come nell’inferno dantesco, stanno i demoni superiori, nei gironi bassi, si collocano i Cagnazzo, i Calcabrina, i Rubicante, tutti solerti addetti alla bisogna. Obbediscono ai superiori nel tormentare i reprobi e lo fanno con piacere e scarsa autonomia. Va detto subito, a scanso di ogni equivoco, i manovali della propaganda non hanno un pensiero proprio, ma simili ai pupazzi del ventriloquo parlano parole che gli sono suggerite ad una ad una, senza fallo. Tale è Gianluca Ferrara, questo il nome, un blogger a traino de Il Fatto Quotidiano, il cui compulsivo odio per Israele si alimenta di patacche tra le più grossolane per fornire a un pubblico a digiuno di storia e studio (ah che fatica!), ciò che famelicamente chiede, cibo guasto dal sapore forte, quasi nauseabondo, perfetto per un’epoca, la nostra, in cui la coprofagia è patologia assai diffusa.

In un suo pezzo, il Ferrara (nessuna parentela con Giuliano, beninteso) ci dice come mai “a suo parere” il prossimo Giro di Italia non dovrebbe partire da Israele. Perbacco, “a suo parere”, qui l’Autore parla con l’inciso di una soggettività perentoria e prorompente. Siamo pronti ad ascoltare tale auctoritas. Ed eccolo subito all’opera lo strillone:

“Purtroppo, la stampa internazionale cela ai più l’occupazione illegittima e violenta di Israele contro il popolo palestinese, reo di trovarsi in un territorio che i sionisti, già alla fine del 1800, hanno deciso si (sic) occupare”.

Suona forte, perentorio. E’ questa l’architrave di tutto l’edificio, “l’occupazione illegittima” (leggi alla voce “ladrocinio”) di terre altrui, quelle di un pueblo autoctono espropriato. Rimosso questo architrave crolla rovinosamente tutto. Badate al sostantivo, “sionisti”, come suona bene per marchiare negativamente gli ebrei che venuti dall’Europa là dove la storia del loro popolo, nei millenni, non li aveva mai staccati, arrivarono per comprare regolarmente e il più delle volte pagando prezzi esorbitanti, terreni dai latifondisti arabi allora sudditi dell’impero ottomano. Non vi era allora alcun pueblo palestinese, vittima di soprusi da parte di “colonialisti” rapaci e violenti. Non vi sarebbe stato fino al 1964, quando l’OLP lo generò ideologicamente rafforzandone la gracile costituzione dopo la Guerra dei Sei Giorni, malauguratamente per gli arabi vinta da Israele. Ma questa, che si chiama storia, fondata sui sassi duri e indigeribili dell’empiria, è materia troppo tosta per i cultori di fiction larmoyant in cui da una parte c’è la “vittima”, l’arabo-palestinese, e dall’atra “l’oppressore”, l’ebreo-sionista.

“Il Giro d’Italia partirà 10 giorni prima di una data che in Occidente è ignota ai più, ma che i palestinesi ben conoscono. Il 15 maggio in Palestina si commemora il giorno della Nakba (catastrophe in arabo): dopo la guerra arabo-israeliano (sic) (1948-1949), decine di villaggi e città palestinesi vennero distrutti e più di 700 mila palestinesi dovettero lasciare le proprie case e diventare profughi”.

La frase fa un certo effetto, non c’è che dire. Suscita nel lettore analfabeta o ideologicamente catafratto (il che è la stessa cosa) un moto di ripulsa e indignazione. Siamo sempre all’epos delle vittime e degli oppressori, e naturalmente, per ogni uomo giusto e pio, il cuore dovrebbe battere per le vittime. Il martirologio palestinese è un must della propaganda. Bisogna dirlo con franchezza, essere riusciti a trasformare l’esito di una guerra di aggressione nei confronti di uno stato appena nato, forse quello più certificato legalmente a livello internazionale, in una catastrofe per gli aggressori, è un capolavoro che non sarebbe dispiaciuto a Joseph Goebbels.

Certo ci furono circa 700,00 arabi-palestinesi (“palestinese” allora era ancora una definizione che afferiva alla regione e non una imposture etnica, tanto che gli ebrei residenti in Palestina si consideravano pure loro, al pari degli arabi, “palestinesi”) che sotto la pressione degli eventi diventarono rifugiati. Furono il risultato di una guerra, e dovettero sì lasciare le loro case, come tanti altri hanno dovuto farlo a causa dei conflitti. La guerra, si sa, è cosa brutta e sporca. Muoiono innocenti, donne e bambini, avvengono episodi atroci. Se non sarò io ad ammazzarti sarai tu ad ammazzare me. E se gli ebrei non avessero vinto quella guerra, oggi non ci sarebbe la Nakba da celebrare ma ci sarebbe da commemorare l’appendice mediorientale della Shoah. Per il resto si consoli il nostro apparatčik, la Nakba è ampiamente conosciuta in Occidente. L’UNRWA è stato creato apposta all’ONU per consolare i rifugiati, cioè i perpetui eredi di coloro i quali dovettero lasciare la Palestina a causa della guerra del 1948. Unico caso al mondo in cui lo status di rifugiato trapassa di generazione in generazione.

“Come ho già avuto modo di ricordare, a partire da quella data Israele iniziò il percorso di colonizzazione di terre non sue e di crescente allontanamento degli autoctoni. Unità paramilitari speciali come l’Hagana, il Palmach e l’Irgun occuparono con violenza i villaggi palestinesi e deportarono gli abitanti che furono costretti a lasciare la loro terra mentre vedevano le ruspe distruggere le loro case”.

Va riconosciuto, anche qui l’immagine è avvincente, manca solo la donna con il bambino in braccio morto e la vecchietta presa a calci, oppure, in alternativa, il soldato ebreo con il bambino arabo infilato nella baionetta. Ovviamente non ci fu alcuna colonizzazione, ci fu l’esito di una guerra vinta come conseguenza del costante rifiuto arabo di legittimare il venire in essere di uno stato arabo su terra sì colonizzata, questo è indubbio, dall’Islam nel VII secolo e da allora considerata in puro spirito musulmano Dār al-Islām per l’eternità. Ma va anche detta un’altra cosa, in un altro senso, certamente i palestinesi sono vittime, come tutte le popolazioni che hanno subito le conseguenze di un conflitto e che ancora oggi si trovano nella condizione di non avere un proprio stato realmente e non virtualmente stabilito. Purtroppo questa condizione è la conseguenza inesorabile dell’avere rifiutato senza sosta tutte le negoziazioni e gli accordi proposti dagli inglesi, all’epoca del Mandato Britannico e successivamente dagli israeliani. Dal 1937 con la Commissione Peel che propose agli arabi il 70% dei territori e agli ebrei il 17% per arrivare alla proposta Olmert del 2008. Nelle parole di Benny Morris: “Nel novembre del 1947 quando venne proposta una partizione del paese ci sarebbero dovuti essere quattrocentomila arabi nello stato ebraico e appena più di cinquecentomila ebrei, e i leaders sionisti, tra cui Ben Gurion e Chaim Weizmann, accettarono la cosa, la presenza di una larga minoranza araba nello stato ebraico. Si potrebbe affermare che non fossero sinceri, che non lo intendessero realmente, ma dissero di sì. Gli arabi dissero di no e iniziarono a sparare”(Benny Morris intervista con l’autore, Niram Ferretti, Benny Morris, Alla Scuola della Realtà, L’informale, 11/07/2016).

“Nel 1967, Israele, con la Guerra dei Sei Giorni si impossessò delle Alture del Golan, la Striscia di Gaza, la penisola del Sinai e Gerusalemme Est. Nel 2008, con l’operazione Piombo Fuso, fu persino usato il fosforo bianco. Nel luglio 2014, con Margine Protettivo, Gaza fu colpita dai caccia israeliani, un intero popolo senza via di fuga (Gaza è una prigione a cielo aperto cui non è permesso né accedere, né uscire) fu sottoposto ai raid di uno degli eserciti più potenti spalleggiato e protetto anche dagli Usa. Centinaia furono i bambini uccisi”.

La propaganda per funzionare deve incardinarsi su semplici ed efficaci presupposti, omettere, mentire, deformare. La realtà dei fatti, la sua complessità, viene sostituita con una fiction condensata che della realtà ha la parvenza ma che null’altro è se non una sua immagine distorta grossolanamente. La Guerra dei Sei Giorni fu un’altra guerra aggressiva da parte degli stati arabi guidati da Nasser, il cui scopo dichiarato era l’annichilimento, non riuscito nel 1948, dello Stato ebraico. Anche in questo caso, Israele vinse contro ogni aspettativa. E sì, conquistò (non “si impossessò”) di territori sotto il dominio dei suoi aggressori, come è sempre accaduto nel corso della storia a tutti gli eserciti del mondo a seguito di una vittoria su chi li aveva aggrediti. Nel 1978 in virtù degli Accordi di Camp David, il Sinai, la parte più cospicua della vittoria di Israele del 1967 venne restituita all’Egitto in cambio della pace. Il Sinai, contrariamente alla Giudea e alla Samaria, non era mai stato attribuito a Israele dal Mandato Britannico per la Palestina del 1922 e Israele, sotto pressione americana, ritenne che in cambio di buoni rapporti con l’Egitto fosse il caso di restituirlo. Alla faccia della colonizzazione e dell’espansionismo.

Per quanto riguarda l’uso del fosforo bianco, anche qui fa effetto il binomio. “Fosforo bianco” evoca una piaga biblica, una terribile sciagura, un’arma tra le più spietate. Peccato che il suo utilizzo sia permesso sotto la legge internazionale. In realtà esso serve per creare a scopo difensivo una densa barriera di fumo a protezione dei soldati impegnati sul terreno. Nel 2013, il quotidiano inglese The Observer, dovette correggere un articolo nel quale si affermava fraudolentemente che il fosforo bianco fosse un agente chimico. La smentita fu così formulata, “Il fosforo bianco usato dalle forze israeliane a Gaza nel 2008, non è un’arma chimica così come è inteso dalla Convenzione sulle Armi Chimiche, e il suo utilizzo non è “in contrasto con tutte le convenzioni internazionali”. Quanto a Gaza, “prigione senza uscita”, anche qui l’immagine, ormai un topos consunto, è suggestiva, ed è uno dei cavalli di battaglia di Gideon Levy, il più furente propagandista israeliano contro Israele. Certamente Gaza è una specie di prigione e lo è grazie a Hamas, il gruppo fondamentalista sunnita che nel 2007, con un colpo di stato ha preso il dominio dell’enclave costiera stabilendo un regno del terrore. Lo strillone non ci ha mai messo piede, ovviamente. Dovrebbe farlo, la visita gli riserverebbe molte sorprese.

Si prosegue poi con un altro classico, la presunta occupazione illegale dei territori della cosiddetta West Bank, o Cisgiordania o, per fare riferimento ai nomi ebraici precedenti alla loro annessione illegale da parte della Giordania nel 1950, Giudea e Samaria. L’occupazione illegale riguarderebbe anche Gerusalemme Est, annessa anche essa illegalmente dalla Giordania e conquistata da Israele nel 1967.

“Il popolo palestinese, nell’indifferenza internazionale, subisce un’occupazione che trasgredisce il diritto internazionale: sono decine le risoluzioni Onu che Israele sistematicamente viola”.

Qui Ferrara non Giuliano da fiato all’ugola senza sapere di cosa parla. Confonde l’ONU con una istituzione che promana leggi, cosa che non è, ne è mai stata, e in pieno ossequio alla propaganda fa credere che risoluzioni assai problematiche siano decreti legge, cosa che non sono né possono essere in alcun modo. Ma questo è il compito dei piccoli travet quale è lui, incessantemente spingere davanti a sé simile a Sisifo, il masso solidificato delle menzogne.

Come ha sottolineato Julius Stone, “Il precetto basilare della legge internazionale concernente i diritti di uno stato vittima di una aggressione, il quale abbia legalmente occupato il territorio dello stato aggressore per legittima difesa, è chiaro. E sussiste ancora come legge internazionale a seguito della Carta, la quale non concede alcun potere all’Assemblea Generale dell’ONU di emendare tale legge. Il precetto è che un occupante legale come Israele è autorizzato a restare in controllo del territorio coinvolto in attesa della negoziazione di un trattato di pace”. A sostegno di quanto affermato da uno dei maggiori giuristi internazionali, Dame Rosaylin Higgins, già Presidente della Corte Internazionale di Giustizia afferma testualmente:

“Non vi è alcunché nella Carta delle Nazioni Unite o nelle leggi internazionali che lasci supporre che l’occupazione militare, in assenza di un trattato di pace sia illegale…La legge dell’occupazione militare, col suo tessuto complesso di diritti e di doveri, rimane integralmente rilevante fintanto che le nazioni arabe accettino di negoziare un trattato di pace, Israele è di pieno diritto autorizzato a rimanere nei territori che attualmente detiene”.

Si potrebbe continuare, naturalmente con altre citazioni e altri esempi, ma siano sufficienti questi per smascherare la collezione di patacche venduta come se fossero opere pregevoli dalla manovalanza a basso costo. Altri sono più scaltri, posizionati meglio, con megafoni che amplificano di più il loro verbo, hanno giornali, riviste, aule da cui potere pontificare. Ma a ognuno tocca la posizione che gli è data in serbo.

Gli apparatčik come Ferrara non Giuliano non vanno disprezzati, hanno sempre svolto una funzione egregia nella tessitura dei grandi orditi menzogneri.



Gideon Levy: La menzogna come vocazione
Nicola
Niram Ferretti, L’Informale, 22/06/2017

https://www.amicidisraele.org/2017/06/g ... vocazione/

L’ultimo articolo di Gideon Levy su Haaretz, L’attacco silenzioso di Israele a Gaza, pubblicato il 20 giugno da L’Internazionale è forse uno dei più abbietti scritti dal giornalista israeliano di cui già ci siamo occupati precedentemente. Una cosa va detta subito per evitare equivoci, Levy è un giornalista esattamente nella stessa misura in cui lo era Giovanni Preziosi, il direttore ferocemente antisemita di Vita Italiana, la rivista che veniva pubblicata a Roma durante il Ventennio. Non che Levy condivida con Preziosi l’antisemitismo, no, quello che lo apparenta è la stessa ferocia ideologica, la stessa allucinata ossessione. Quella di Preziosi era rivolta nei confronti degli ebrei, quella di Levy ha come obbiettivo il paese in cui vive, Israele.

Come abbiamo già fatto nel precedente articolo dedicato a questo menestrello dell’impostura procederemo anche qui con alcuni campioni che via via chioseremo.

“Oggi si rischia un nuovo massacro nella Striscia di Gaza. Controllato, misurato, non di massa, ma comunque un massacro. Quando politici, funzionari e opinionisti israeliani parlano del “prossimo round”, stanno parlando del prossimo massacro…E quindi chiamiamo le cose con il loro nome, perché di massacro si tratta. È di questo che si discute in questi giorni in Israele. Chi è a favore di un massacro e chi è contrario? Servirà a Israele? Gioverà alla sua sicurezza e ai suoi interessi? Aiuterà la base del Likud? Israele ha scelta? Certo che no. Qualsiasi attacco a Gaza si risolverà in un massacro. Non c’è niente che possa giustificarlo, perché niente può giustificare un massacro. E quindi dobbiamo chiederci: siamo a favore di un nuovo massacro a Gaza? Oppure siamo contrari?”.

La prosa non è esattamente quella schiumante del Céline di Bagatelles pour un massacre, ma evoca in qualche modo la retorica allucinata del pamphlet del grande scrittore francese. “Massacro” è parola di sicuro effetto, raddrizza il collo, stura le orecchie. Chi massacrerebbe chi? Gli israeliani i palestinesi, ovvio. Erode è sullo sfondo. Anche nel racconto evangelico di Matteo si narra di una strage ordita ai danni dei neonati dal tetrarca impaurito dalla voce che tra essi potesse esserci il Messia e della strage dei bambini Levy non si dimentica:

“La storia ci insegna che ogni “operazione” israeliana a Gaza è peggiore delle precedenti. All’operazione Piombo fuso (inizio 2009), con 1.300 vittime palestinesi, tra cui 430 bambini e 111 donne, è seguita l’operazione Margine di protezione (estate 2014), con 2.200 vittime, 366 delle quali bambini, 180 dei quali neonati, e 247 donne. Viva il progresso e l’aumento del numero di bambini massacrati. La potenza israeliana aumenta a ogni operazione”.

Prestiamo attenzione alle parole, “bambini massacrati”. Gli israeliani massacrano i bambini. Nel Medioevo gli ebrei venivano accusati di perpetrare sacrifici rituali sui bambini cristiani. Leggende nere e fosche che Levy ricicla nella loro chiave moderna, in quel protratto romanzo criminale su Israele che scrive da anni su Haaretz e di cui questo suo ultimo articolo rappresenta una vetta forse insuperabile. Gaza è rappresentata come prigione senza scampo, in cui a un povero popolo martoriato (da Israele) viene ora anche razionata l’elettricità in attesa del massacro imminente. Raramente si è giunti a un livello così alto di demonizzazione ebraica da parte di un ebreo, esempi analoghi si possono trovare solo nella più feroce pubblicistica antisemita nazista o musulmana. Il livello è parossistico e tocca qui un apice fecale:

“E quale altro modo ha Gaza di ricordare al mondo la sua esistenza e le sue inumane sofferenze, se non i razzi Qassam? Sono rimasti calmi per tre anni e adesso sono oggetto di una caccia congiunta da parte d’Israele e dell’Autorità palestinese: un grandioso esperimento su cavie umane. Un’ora d’elettricità è sufficiente per la vita umana? E se bastassero dieci minuti? E cosa succederebbe a degli esseri umani totalmente privi di elettricità? L’esperimento è già in fase avanzata e gli scienziati tengono il fiato sospeso. Quando verrà lanciato il primo razzo? Quando comincerà il conseguente massacro?”

I palestinesi di Gaza come cavie umane sottoposte alla crudeltà israeliana fiancheggiata dall’Autorità Palestinese. Non ricorda tutto ciò un’altra crudeltà e efferatezze maggiori? Quelle perpetrate dai nazisti nei confronti degli ebrei? Certamente. Il parallelo implicito che Levy vuole istituire è questo, si tratta di uno dei grandi feticci della demonizzazione di Israele, lo Stato ebraico come stato nazista.

Naturalmente questo pezzo espressionista e grossolano di propaganda omette dati essenziali, fatti indispensabili per comprendere, funziona solo con chi non sa o sa ma è in profonda malafede, come l’autore. E cioè che Gaza è un enclave islamica dal 2007, da quando con un golpe Hamas il partito integralista fondato dallo sceicco Yassin prese il potere attraverso uno spietato regolamento dei conti con il rivale Fatah, che Hamas ha governato e governa da allora con il terrore su una popolazione dove il 70% dipende dai sussidi assistenziali e il 60% si arrangia con meno di due dollari al giorno a fronte del miliardo di dollari investito nella struttura militare da Hamas dal 2007 a oggi, che ogni mese Hamas raccoglie circa 28 milioni di dollari in tasse dai residenti della Striscia e che una parte cospicua delle tasse raccolte viene utilizzata per i salari dei membri dell’organizzazione mentre un’altra parte viene utilizzata per la fabbricazione di razzi e tunnel, che la crisi dell’elettricità in cui versa la Striscia è dovuta a una diatriba tutta interna all’Autorità Palestinese e Hamas, da quando ad aprile l’Autorità Palestinese dichiarò che non avrebbe più pagato il 40% della tassa sulla fornitura dell’elettricità erogata da Israele, che Israele nonostante ciò ha continuato a erogare elettricità gratis alla Striscia per sei settimane.

Tutto questo Levy non lo dice, come non dice che i dati dei morti civili che riporta sono la conseguenza di due conflitti non voluti da Israele e provocati in entrambi i casi da Hamas, come non dice che Israele abitualmente prima di colpire la Striscia ha sempre fatto il possibile per minimizzare i morti mentre Hamas ha sempre fatto il massimo per massimizzarli, soprattutto tra i civili, così da potere lucrare cinicamente sulla morte soprattutto delle donne e dei bambini. Nelle parole limpide di Asa Kasher, professore di filosofia e linguistica all’Università di Tel Aviv e autore del codice di condotta dell’IDF:

“Hamas attacca gli israeliani indiscriminatamente e lo fa da aree residenziali e anche da moschee, ospedali e scuole. Produce le munizioni in un campus universitario e stocca i suoi razzi nelle moschee e nelle scuole dell’UNRWA. I suoi comandanti e il suo sistema di comando e di controllo spesso operano nel seminterrato di un ospedale e i suoi combattenti non combattono in uniforme (se non, quando è utile, con l’uniforme dell’IDF). Hamas viola senza scrupoli ogni regola del manuale. Come dovrebbe reagire Israele?”.

Per Levy la risposta è semplice, non dovrebbe reagire affatto. Dovrebbe restarsene in attesa di ricevere i razzi Quassam da Gaza, circa 4700 durante l’arco delle sette settimane del 2014. Levy infatti non è interessato alla verità ma unicamente alla fiction nera intessuta di menzogne in cui il protagonista principale è Israele, lo Stato criminale par excellence.

Nel Mein Kampf, Adolf Hitler aveva già anticipato Gideon Levy e il suo metodo di “lavoro” quando scriveva che le masse sono molto più prone alle grandi menzogne che alle piccole poiché “Non gli verrebbe mai in mente di fabbricare falsità colossali e non crederebbero che altri avrebbero l’impudenza di distorcere la verità in modo così infame”.


Il sabba intorno a Israele: Fenomenologia di una demonizzazione
Di Niram Ferretti
https://books.google.it/books?id=6OQ2Dw ... ti&f=false



"Con Israele per la libertà, contro il terrorismo" - XIX Congresso Nazionale della Federazione delle Associazioni Italia - Israele
CONGRESSO | - Roma - 10:12 Durata: 6 ore 6 min
A cura di Guido Mesiti e Pantheon
Organizzatori:
Federazione delle Associazioni Italia-Israele
21 febbraio 2009
https://www.radioradicale.it/scheda/273 ... nale-della


Il capro espiatorio: Israele e la crisi dell'Europa
Di Niram Ferretti
https://books.google.it/books?id=KEmwDw ... ti&f=false



Le vere parole di Primo Levi: cronaca di come la propaganda propalestinese abbia mistificato il suo pensiero
Emanuel Baroz
12 aprile 2012
di Francesco Lucrezi

https://www.focusonisrael.org/2012/04/1 ... esi-ebrei/

Esattamente un quarto di secolo fa, l’11 aprile del 1987, Primo Levi, com’è noto, poneva termine alla sua vita, precipitandosi nella tromba delle scale della sua casa torinese. In questi 25 anni, la sua straordinaria testimonianza ha raggiunto cerchie sempre più ampie di persone, in molti Paesi del mondo, le sue opere sono state tradotte in diverse lingue, alla sua figura sono stati dedicati numerosi libri, seminari, congressi, almeno due centri di studio a lui nominati sono attivi, in permanenza, a Torino e a New York. Parallelamente, la conoscenza della Shoah, nei suoi infiniti episodi particolari, ha fatto – nonostante tutti i negazionismi e revisionismi – passi da gigante, in tutto il mondo, uscendo – anche se solo in parte – dalla zona buia di silenzio, occultamento e rimozione a cui sembravano averla consegnata l’ammutolimento dei sopravvissuti, la vergogna dei vinti, la cattiva coscienza dei vincitori, l’universale desiderio di non parlarne, di girare pagina. Soprattutto negli ultimi anni, com’è noto, la memoria di ciò che è accaduto è diventata, pur tra non poche difficoltà e controversie, una sorta di religione civile, una specie di “prima pietra” della civiltà umana. Il contributo che la parola di Levi ha dato a tutto questo è incommensurabile.

Un imprescindibile dovere, per chiunque intenda, in ogni modo, onorarne la memoria, dovrebbe essere, a mio avviso, quello di difendere il suo testamento morale dai ripetuti, insidiosi tentativi di manipolazione e stravolgimento, messi in atto, a volte con lampante mala fede, e con mezzi particolarmente vili, per piegarne l’insegnamento in direzioni nuove, del tutto estranee ai suoi effettivi contenuti. Ci riferiamo, in particolare, alla dolosa distorsione del pensiero di Primo Levi, attraverso la quale, in più occasioni, le sue ripetute e, a volte, severe critiche alla condotta dei governi israeliani sono state artatamente trasformate in radicale delegittimazione dello stato di Israele nel suo insieme, fino al logoro insulto del “ribaltamento di posizioni”, che vedrebbe gli ebrei trasformati, da vittime di ieri, in carnefici di oggi.

È merito di Domenico Scarpa e Irene Soave, con un denso articolo, intitolato “Le vere parole di Levi”, pubblicato su Il Sole 24 ore di domenica scorsa, 8 aprile, avere smascherato un falso particolarmente turpe e maligno, per la gravità della sua portata e la vastità della sua circolazione, ossia l’attribuzione a Primo Levi della seguente frase: “Ognuno è l’ebreo di qualcuno. Oggi i palestinesi sono gli ebrei di Israele”. Un’asserzione che, come documentano gli autori, è ormai assurta al rango di “tenace leggenda metropolitana”, largamente accreditata dall’autorità della rete, che la diffonde senza sosta. Ormai la frase fa parte della storia, della biografia ufficiale di Primo Levi, la cui vita, il cui pensiero e la cui morte sono definitivamente votati alla santificazione dei “nuovi ebrei”, i palestinesi, e alla demonizzazione dei “nuovi nazisti”, gli israeliani. Peccato che Primo Levi non abbia mai detto niente del genere.

Sua, nel romanzo “Se non ora, quando?”, del 1982, è unicamente la frase generica “Ognuno è l’ebreo di qualcuno”. In un’intervista apparsa su la Repubblica del 28 giugno di quello stesso anno (l’anno dell’invasione del Libano, in cui particolarmente violento fu l’attacco della comunità internazionale contro Israele, e in cui Levi si pronunciò contro le opzioni militari del governo di Begin), a proposito della presunta analogia tra la condizione dei palestinesi di quel momento e quella degli ebrei durante la Shoah, il pur critico Levi rifiutò espressamente la grossolana equazione, ricordando che “non esiste un piano di sterminio del popolo palestinese”. Ma, in un articolo apparso il giorno dopo su il Manifesto, la famosa frase “Ognuno è l’ebreo di qualcuno” fu riportata, tra virgolette, e commentata dall’articolista (correttamente, dopo la chiusura delle virgolette) con la successiva annotazione: “E oggi i palestinesi sono gli ebrei degli israeliani”. Un’aggiunta, quest’ultima, che Levi non ha mai scritto, mai detto, mai pensato. Ma che, ciò non di meno, gli si è voluto falsamente attribuire, semplicemente spostando di qualche carattere la chiusura delle virgolette. Evidentemente, l’occasione di potere così sfruttare il nome di Primo Levi contro la patria degli ebrei era troppo ghiotta per potervi resistere.

Non imiteremo il comportamento dei falsari, e non trasformeremo Levi in uno strenuo difensore di Israele. Non lo è stato. Ma ricordiamo che l’ultima volta in cui ne ha parlato è stato nella pagina finale de I sommersi e i salvati, pubblicato nel 1986, poco prima della sua morte. E le sue ultime parole sono le seguenti: “I superstiti ebrei disperati, in fuga dall’Europa dopo il gran naufragio, hanno creato in seno al mondo arabo un’isola di civiltà occidentale, una portentosa palingenesi dell’ebraismo, ed il pretesto per un odio rinnovato”.


A 25 ANNI DALLA SCOMPARSA

Le vere parole di Levi

Nel 1982 «il Manifesto» pubblica una recensione che viene citata sul «New Yorker» in un saggio di Joan Acocella che dimentica, però, due virgolette importanti . L’insidioso sillogismo sull’essere «ebrei di qualcun altro» che gli viene attribuito in rete è un falso. Ecco come è accaduto

di Domenico Scarpa e Irene Soave

«Ogni straniero è nemico». Primo Levi riporta questa frase perentoria – mettendola tra virgolette – nella prefazione del suo libro più celebre, Se questo è un uomo, avvertendo il lettore che quando un tale «dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager». Uomo attento, scrittore attento alle sfumature, Levi aveva molti buoni motivi per diffidare dei sillogismi e della loro logica tranciante. Per ironia della storia, gliene è stato attribuito uno particolarmente insidioso, che si sviluppa così: «Ognuno è l’ebreo di qualcuno. Oggi i palestinesi sono gli ebrei di Israele». Se si cerca su Google il primo membro della frase si ottengono circa 426.000 occorrenze. Se si cerca la frase completa (il sillogismo ebrei-palestinesi-israeliani) e le si aggiunge il nome Primo Levi, i risultati sono 25.800: quanto basta per creare una tenace leggenda metropolitana, della quale Peppino Ortoleva ha descritto lo sviluppo. Nell’aprile 1982 Primo Levi pubblicava il suo primo romanzo; s’intitolava Se non ora, quando? e raccontava le avventure di una banda di partigiani ebrei russi, impegnati a combattere il nemico nazista in lungo e in largo per l’Europa. Nel testo ci s’imbatte in questa frase: «Perché? Perché ognuno è l’ebreo di qualcuno, perché i polacchi sono gli ebrei dei tedeschi e dei russi». A leggerla può sembrare una frase (un sillogismo) dalla struttura parlata, ma in realtà è una frase pensata: uno spezzone dei pensieri che attraversano la mente di Mendel l’orologiaio, uno dei protagonisti del romanzo e anzi la sua voce narrante. A ricopiare la frase così com’è, virgole comprese, e a cercarla a sua volta su Google, le occorrenze sono appena 84. Ricopiare è difficile, e il risultato di 84 contro 25.800 ci dice fino a che punto la moneta verbale cattiva sia capace di scacciare la buona. Però, non ci dice ancora come faccia a scacciarla, quali strade percorrano le parole inventate, falsificate, distorte. Il Centro internazionale di studi Primo Levi (www.primolevi.it) – che ha sede a Torino e al quale collaborano i due autori di questo articolo – ha ricevuto negli ultimi due anni svariate segnalazioni dello pseudosillogismo di Primo Levi. A seguirne le tracce sul web, ci s’imbatte in una data: 1969, anno in cui Levi avrebbe formulato l’equivalenza storica palestinesi-ebrei allorché firmò un manifesto intitolato Le forche di Bagdad e la questione israeliana («Resistenza», a. XXIII, n. 2, febbraio 1969; il testo non è finora censito in nessuna bibliografia). Si trattava di un appello di «ebrei torinesi, aderenti o vicini ai movimenti di sinistra», critici sia verso i regimi liberticidi del mondo arabo sia verso la politica militare del Governo di Israele: ebrei laici che chiedevano, a Israele e ai palestinesi, un «accordo concreto fondato sul riconoscimento reciproco del diritto all’esistenza nazionale e autonoma». Del resto, è proprio tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo che la società civile italiana sembra accorgersi per la prima volta della questione palestinese: il che spiega, in parte, la data più remota -1969, appunto – cui si fa risalire la frase attribuita a Levi, frase di cui non c’è traccia nell’appello appena citato. Tantomeno la troveremo in appelli successivi dello stesso tenore, come quello di cui dà notizia «l’Unità» del 3 giugno 1976, che Levi sottoscrisse con Giorgio Bassani, Luciano Berio, Ignazio Silone e il senatore comunista Umberto Terracini.

Il 1982, l’anno di Se non ora, quando?, sarebbe stato per Levi il più propizio per pronunciare una frase del genere: se l’avesse pensata, naturalmente. L’occasione avrebbe potuto essere l’invasione del Libano, decisa dal premier israeliano Begin il 6 giugno 1982. E in effetti, il 16 giugno, compariva su «la Repubblica» un ennesimo e più allarmato appello dal titolo «Perché Israele si ritiri», firmato da otto intellettuali «democratici ed ebrei». Figuravano fra loro tre scrittori: Edith Bruck, Natalia Ginzburg e Primo Levi: «Coloro che in altri momenti hanno tremato per la minacciata distruzione dello Stato di Israele debbono oggi trovare il coraggio e la forza di opporsi alla politica del Governo Begin e a tutto ciò che rappresenta per i destini democratici dello stato di Israele e per la prospettiva di una convivenza pacifica con il popolo palestinese». Ancora una volta, nessuna traccia della frase famosa.

Primo Levi era, in quella stessa primavera 1982 dell’invasione israeliana in Libano, l’autore di un romanzo epico dove gli ebrei si mostravano armi in pugno: pistole, bombe, fucili mitragliatori oltre che violini per passare il tempo e orologi da aggiustare con mano salda e sottile. Nelle molte interviste rilasciate su Se non ora, quando? tra la primavera e l’autunno, Levi dovette rispondere a parecchie domande di attualità. A cominciare da quelle con cui Alberto Stabile («la Repubblica», 28 giugno) aprì la conversazione: «Perché alcuni ebrei italiani oggi identificano il dramma palestinese con le persecuzioni da loro subite quarant’anni fa?» Risponde Levi: «Non solo ebrei, anche molti non ebrei lo fanno. Qualche analogia c’è. lo non vorrei spingere le cose troppo oltre, ma le analogie mi sembrano essenzialmente queste. Si tratta di una “Nazione”, chiamiamola così tra virgolette, perché nel mondo arabo le cose sono sempre difficilmente definibili, che si è trovata senza Paese. E questo è un punto di contatto con gli ebrei. Esiste una diaspora palestinese recente che ha qualcosa in comune con la diaspora ebraica di duemila anni fa. E l’analogia non può andare molto oltre, a mio parere». «Due popoli vittime…» rilancia Stabile. E Levi: «Vittime di vicini troppo potenti. Tuttavia rifiuto di assimilare quella che Hitler chiamava la soluzione finale con le cose pur violente e pur terribili che fanno gli israeliani oggi. Non esiste un piano di sterminio del popolo palestinese. Questo è andare troppo oltre». Il 1982, dunque, è anche l’anno in cui Levi smentisce la possibilità di formulare il sillogismo da cui siamo partiti. E risposte come questa si leggono in altre sue interviste di allora. Eppure, il 1982 è anche l’anno cui viene fatta risalire la pseudo-frase di Levi in un autorevole saggio di Joan Acocella: A hard case. The life and death of Primo Levi, nel «New Yorker» del 17-24 giugno 2002. Acocella vi cita un’intervista di Levi «to an Italian newspaper», che risalirebbe appunto al 1982. Ecco la frase così come suona nel testo inglese: «Everybody is somebody’s Jew, and today the Palestinians are the Jews of the Israelis». Di quale articolo italiano si trattasse lo ha rivelato la tesi di laurea di Marta Brachini su «Israele e l’ebraismo in due giornali della sinistra: “l’Unità” e “il manifesto” (1982-1993)». Benché Brachini dati quell’articolo al 1987, non è stato difficile rintracciarlo.

Non è un’intervista bensì una recensione – molto elogiativa – di Se non ora, quando? La data è il 29 giugno 1982, la testata «il manifesto», il titolo Quando la stella di David era la bandiera dei perseguitati, l’autore Filippo Gentiloni. Il quale trascrive bensì correttamente la frase del romanzo: «Ognuno è l’ebreo di qualcuno, perché i polacchi sono gli ebrei dei tedeschi e dei russi». E chiude, correttamente, le virgolette, per poi aggiungere, di suo: «E oggi i palestinesi sono gli ebrei degli israeliani». Nell’articolo di Acocella, quelle virgolette che separano i fatti del romanzo dalle opinioni del recensore sono saltate: svista sufficiente per attribuire a Primo Levi un sillogismo che circola da anni – 25.800 occorrenze – sul web, e che peraltro corrisponde a una tesi politica circolante a sua volta da decenni, fra commentatori non ebrei o anche ebrei. Circolante sì, ma non certo negli scritti e nei detti di Primo Levi, che esplicitamente la rifiuta. Solo un concorso di casi fortunati ha permesso al Centro studi Primo Levi di ritrovare (cosa rarissima) l’origine probabile di questa falsificazione. Morale: a venticinque anni dalla sua scomparsa, pare si faccia ancora fatica, nel web e fuori, a leggere correttamente una delle prime frasi di Se questo è un uomo: quella, appunto, dove si rifiutano i sillogismi contundenti. Una buona occasione per rileggere, oggi, tutto il libro, e tutto il resto



La realtà parallela della propaganda
Niram Ferretti
19 Gennaio 2023

http://www.linformale.eu/la-realta-para ... ropaganda/

In un articolo de La Stampa veniamo informati che nel corso della rassegna “Mondovisioni, I documentari di Internazionale” è stato presentato ieri allo Spazio Kor di Asti il film H2: The Occupation lab.

“Il film porterà gli spettatori in Palestina, a Hebron”. Già qui è necessario rimarcare fin da subito lo slancio assegnatario della giornalista che cede Hebron alla “Palestina” e non, come è di fatto, alla Cisgiordania che non è sotto alcuna determinazione giuridica “Palestina”. Il Protocollo di Hebron del 1997 determina che Hebron si trova sotto la tutela dell’Autorità Palestinese. Tutela, non sovranità. Non esiste alcuna sovranità palestinese su nessun centimetro dei territori della Cisgiordania, così come non esiste di fatto alcuno Stato palestinese.

A Hebron sarebbe nato “il movimento dei coloni, e per la prima volta l’esercito israeliano ha imposto la politica di segregazione etnica”.

Si tratta di elementi essenziali del romanzo criminale su Israele la cui stesura comincia nel 1967. Nel canovaccio, i “coloni” recitano la parte dei cattivi, insieme all’esercito israeliano, una riedizione ebraica di quello segregazionista del Sud Africa.

Fare passare gli ebrei per colonizzatori in una cittadina menzionata nella Bibbia e dove, secondo il suo dettato, risiedette Abramo e Davide avrebbe ricevuto l’unzione di re di Israele, è una di quelle meraviglie che ci regala la storia sottomessa all’imperio della propaganda. D’altronde i nazisti procedettero ad arianizzare Cristo, e la sua variante “palestinese”, ovvero araba è da tempo in circolazione. A Hebron la comunità ebraica ha continuato a vivere per secoli, anche dopo l’occupazione araba del VII secolo. Chissà se anche loro erano “coloni”.

I “coloni” sarebbero anche tutti quegli ebrei che già a metà Ottocento ebbero l’ardire di emigrare nella terra d’origine dei loro antenati, e dove una minoranza di ebrei indigeni non si è mai allontanata.

Per quanto riguarda la “segregazione” in cui vivrebbero i palestinesi, è da decenni un caposaldo irrinunciabile di chi vuole presentare Israele come uno Stato protervamente razzista. Relativamente alla sua applicazione a Hebron, il Wye River Memorandum del 1998, integrativo degli Accordi di Oslo, assegna ai palestinesi la piena responsabilità sull’80% della cittadina mentre agli ebrei viene lasciato il restante 20%.

A tutt’oggi agli ebrei non è permesso entrare nell’Area H1 interamente palestinese, né nella parte dell’Area H2 dove una parte dei palestinesi risiedono. In altre parole, agli ebrei residenti a Hebron non è permesso l’accesso al 97% dell’area urbana, mentre ai palestinesi l’accesso non è consentito relativamente a una strada nell’Area H2, al-Shaduda Street, che congiunge tra di loro due quartieri ebraici.

Al-Shaduda Street è diventata per i solerti promotori della propaganda palestinese, un simbolo della”segregazione” israeliana a Hebron.

Una cosa però va detta con sicurezza a proposito di “segregazione”. Quella istituita dai palestinesi nei confronti degli ebrei è ferrea. Se un ebreo entrasse per sbaglio nell’Area H1 e venisse scoperto, la probabilità di uscirne vivo sarebbe pari allo zero.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Dalla parte degli ebrei e di Israele che è la loro terra

Messaggioda Berto » ven feb 17, 2023 10:39 pm

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Dalla parte degli ebrei e di Israele che è la loro terra

Messaggioda Berto » ven feb 17, 2023 10:40 pm

24)
Ricordare o negare gli ebrei morti e maltrattare quelli vivi uccidendoli di nuovo, no grazie!
Io preferisco amare e stare con gli ebrei vivi e la loro terra di Sion Israele

viewtopic.php?f=197&t=2894
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 7003387674


SVENTATO GRANDE ATTACCO TERRORISTICO IN ISRAELE
26 gennaio 2023
https://www.facebook.com/noicheamiamois ... GCZsyWmanl
Grazie a precise informazioni di intelligence su una cellula terroristica, associata alla Jihad islamica, in procinto di compiere un grande attacco terroristico all'interno di Israele, soldati sotto copertura sono entrati questa mattina a Jenin con un camioncino del latte per arrestare i terroristi. Durante l'operazione anti-terrorismo sono scoppiati violenti scontri, quando i terroristi hanno aperto il fuoco contro i soldati dell'IDF.
Nello scontro sono rimasti uccisi almeno nove terroristi e almeno 6 sono rimasti feriti. Una donna di 60 anni è stata probabilmente uccisa dal fuoco dei terroristi.
Non ci sono vittime tra i soldati israeliani.

Fare memoria del presente
27 Gennaio 2023

http://www.linformale.eu/fare-memoria-del-presente/

Sette persone sono state uccise poco fa nel quartiere di Neve Yaakov a Gerusalemme, all’interno di una sinagoga, altre, un numero imprecisato sono state ferite. L’assassino, un terrorista palestinese residente nel quartiere palestinese di Beit Hanina, a Gerusalemme Est, è stato poi ucciso dalle forze dell’ordine.
La strage è, con ogni probabilità la risposta all’uccisione a Jenin da parte dell’esercito israeliano di nove palestinesi di cui tre miliziani del gruppo terroristico della Jihad Islamica Palestinese, gruppo sponsorizzato dall’Iran, che stava preparando un attentato all’interno dello Stato ebraico. Un quarto terrorista ucciso durante gli scontri apparteneva alla Brigata dei Martiri di Al Aqsa, fazione legata a Fatah. Jenin è da decenni un focolaio di attività terroristiche, costantemente monitorato da Israele.
La strage nella sinagoga di Gerusalemme Est, avvenuta oggi, in cui in Europa si celebra il Giorno della Memoria in commemorazione delle vittime della Shoah, ci deve fare presente una cosa soprattutto, la necessità di sottrarre a una valenza esclusivamente museale e quindi sterile, questo giorno.
Ricordare gli ebrei assassinati dalla ferocia nazista durante la Seconda guerra mondiale, deve immediatamente fissare il pensiero sul presente, un presente in cui, in Israele, l’odio antiebraico continua a mietere vittime senza interruzione dalla nascita stessa dello Stato.
E’ inutile piangere lacrime retoriche sui morti di ottanta anni fa, se poi non si ha ben chiaro che la volontà eliminazionista hitleriana nei confronti degli ebrei ha trovato la sua naturale continuità nel radicalismo islamico.
La volontà di distruggere Israele, di cancellarlo dalla mappa del Medio Oriente, è stata la costante del mondo arabo a partire dal 1948, per poi proseguire nel 1967 e quindi nel 1973. Il seguito fu il terrorismo su larga scala delle intifade, in modo particolare la seconda, e continua ancora oggi, anche se, fortunatamente, con una intensità minore.
Fare memoria dell’orrore del passato non serve a nulla se essa non viene strettamente unita in una stessa condanna ferma e inappellabile dell’orrore che il presente continua a manifestare a sua volta congiunta alla necessità di essere inequivocabilmente a fianco di Israele


A nome di tutti i cittadini israeliani desidero porgere le più sentite condoglianze alle famiglie degli assassinati nel spregevole e orribile attentato terroristico a Gerusalemme, la nostra capitale.
28 gennaio 2023
https://www.facebook.com/watch/?ref=sav ... 0876528624

Questo è un attacco terroristico criminale alle porte di una sinagoga nella giornata internazionale dell'olocausto.
Ringrazio il Presidente degli Stati Uniti, l'amico Joe Biden, che ha parlato con me esprimendo commozione e condoglianze per questo orribile omicidio. Ringrazio anche molti altri leader, anche provenienti dai paesi arabi, per essersi schierati con Israele in questo momento. Preghiamo tutti per la pace dei feriti in entrambi gli attacchi terroristici.
Vorrei elogiare la polizia e le forze di sicurezza per la loro determinazione e rapida azione, nonché per l'intraprendenza e l'eroismo che hanno scoperto i comuni cittadini, che fanno del male ai terroristi e quindi hanno salvato vite.
La nostra risposta sarà forte, rapida e accurata.
Chiunque provi a farci del male - faremo del male a lui e a chiunque lo aiuti.
Abbiamo già effettuato arresti estesi di terroristi, aiuti e istigatori.
Schieriamo forze, superiamo forze e lo facciamo in diverse arene. Sigilleremo e distruggeremo le case dei terroristi con una procedura accelerata, al fine di riscuotere un prezzo aggiuntivo da coloro che sostengono il terrorismo. Questo processo è già iniziato ieri ed è nel bel mezzo di esso.
Stasera porterò davanti al gabinetto ulteriori passi per combattere il terrorismo. Ciò include l'accelerazione e l'espansione significativa delle licenze di armi ai cittadini autorizzati. Come abbiamo visto più e più volte, anche questa mattina, questa cosa salva vite.
Inoltre, porterò davanti al Gabinetto la squalifica dei diritti nell'assicurazione nazionale da parte delle famiglie che sostengono il terrorismo.
Questo governo agirà in modo aggressivo, con determinazione e potere contro il terrorismo. E lo faremo con freschezza e determinazione.
Non cerchiamo una scala mobile, ma siamo pronti a qualsiasi scenario.

Emanuel Segre Amar
27 gennaio 2023
https://www.facebook.com/emanuel.segrea ... KrNr9oWWZl
Per Canale 5 a Gerusalemme gli ebrei sono “coloni” (anche se, fin dal primo censimento fatto a metà ‘800 erano già la maggioranza dei residenti), e per la RAI il terrorista di Shu’afat un “bravo lavoratore”.
Io ne ho abbastanza di questi pseudo-giornalisti che non si rendono nemmeno conto che portano alla rovina anche l’Europa.


... ha sparato verso un gruppo di coloni ...
https://mediasetinfinity.mediaset.it/vi ... 4501111C03

Questa è vera e propria manipolazione antisemita, una vergogna grande. Bisognerebbe che tutte le associazioni ebraiche prendessero posizione e che lo facesse anche la Liliana Segre con la sua commissione sul razzismo antisemita.


Un giornalaccio sinistrato antisraeliano e filonazimaomettano che calunnia gli ebrei raccontando falsità come: territori occupati, Israele aveva bombardato Gaza, suo nonno era un operaio edile, pugnalato a morte da un colono nel 1998


Strage in sinagoga, spari sulla folla. L'assalitore scriveva: "Meglio un cecchino di mille soldati"
N.Palazzolo 28 gennaio 2023 06:50

https://www.today.it/mondo/gerusalemme- ... agoga.html

Sale drammaticamente la tensione in Israele e nei Territori Occupati. Nel Giorno della Memoria, alcune ore dopo che Israele aveva bombardato Gaza, almeno persone sono rimaste uccise in un attentato compiuto da un 21enne palestinese. Lui stesso poi è stato ucciso dalle forze di polizia. La paura è quella di una escalation.

Spari sulla folla, cadaveri in strada

L'attacco è avvenuto davanti a una sinagoga a Gerusalemme, nel rione di Neve Yaacov a prevalenza ortodossa. L'attentatore ha aperto il fuoco sulla folla, lasciando a terra almeno sette morti e una decina di feriti. Tra le vittime, stando alle informazioni disponibili, anche un ragazzo di 15 anni. "Ha sparato a distanza ravvicinata a chiunque incontrasse", ha raccontato un testimone. Entrato nella sinagoga, ha anche cercato di inseguire chi era presente. Poi è fuggito con l'auto usata per l'attentato verso il vicino quartiere arabo di Beit Hanina. Inseguito e raggiunto dagli agenti gli ha sparato contro, ma è stato ucciso dalla reazione armata dei poliziotti.


Secondo attacco in 24 ore, cosa sta succedendo a Gerusalemme
Perché l'attacco alla sinagoga

L'attacco segue giorni di violenza in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Le tensioni sono aumentate ulteriormente giovedì mattina, quando un raid delle truppe israeliane in Cisgiordania contro una cellula terroristica ha provocato la morte di almeno nove palestinesi. La reazione, nella notte di giovedì ol lancio di numerosi razzi da Gaza, a cui Israele ha reagito con raid aerei. Venerdì la tensione è stata alta anche a Gerusalemme e sul Monte del Tempio, anche se le preghiere dei musulmani sono andate avanti senza problemi.

Quando si è saputo del grave attentato, le moschee di Gaza, Jenin, Hebron lo hanno annunciato con i megafoni. A Ramallah si è visto un convoglio di auto, in carosello per la città. Ha esultato anche il portavoce di Hamas, Hazem Kassem: "Un'azione eroica, vendetta per i morti a Jenin". Con lui il portavoce della Jihad Islamica, Daud Shahab: "Il messaggio a Israele è che siamo pronti alla resistenza e per la battaglia finale, che è molto vicina". L'attentato è visto quindi come risposta a "crimini" commessi da Israele nei Territori occupati palestinesi.

Le reazioni all'attentato a Gerusalemme

"Uno dei peggiori attentati degli ultimi anni", lo ha definito il commissario di polizia, Kobi Shabtai, giunto sul luogo dell'attacco. Secondo Shabtai, "sono stati uccisi anche coloro che erano arrivati a vedere cosa era successo". Di fronte alle polemiche, già serpeggianti e sollevate da parte di alcuni dei testimoni, sul fatto che la polizia sarebbe arrivata tardi, il commissario ha assicurato che "entro cinque minuti dalla chiamata, è giunta sul posto una squadra di agenti".

Benjamin Netanyahu ha voluto recarsi sul luogo dell'attacco e ha convocato una riunione del gabinetto di sicurezza. "Uno degli attentati più gravi degli ultimi anni. Abbiamo deciso - ha spiegato - alcuni passi concreti immediati e il Consiglio di difesa del governo li varerà in una riunione convocata per domani sera". Netanyahu quindi ha fatto appello alla popolazione a "non prendere la legge tra le proprie mani" in quanto ci sono un esercito e una polizia che agiscono su istruzione del governo.


Chi è l'attentatore della sinagoga

Ad aprire il fuoco è stato Khairi Alkam, 21 anni. Lui stesso è rimasto ucciso poi dalle forze dell'ordine. Secondo la stampa palestinese, era il nipote di Khairi Alkam, del quale portava il nome: suo nonno era un operaio edile, pugnalato a morte da un colono nel 1998. Nel passato pare avesse pubblicato un post su Facebook in cui scriveva che "il cecchino giusto al posto giusto è meglio di mille soldati nel campo più vicino".


"Attacco al mondo civilizzato"

Di "attacco al mondo civilizzato" parla il presidente americano Joe Biden, ricordando "l'impegno degli Stati Uniti per la sicurezza di Israele".

"Il Governo italiano - si legge in una nota di Palazzo Chigi - condanna con forza il vile attentato terroristico di Gerusalemme ed esprime il suo cordoglio e la sua vicinanza allo Stato d'Israele e a tutto il suo popolo".

Chigi
Il tweet di Palazzo Chigi

"Sono sconvolto dalla notizia dell'attacco alla sinagoga di Gerusalemme, durante lo Shabbat. Un atto di terrore, ancora più orrendo nel giorno in cui commemoriamo la Shoah. I nostri pensieri e le nostre preghiere vanno alle vittime e ai loro cari", scrive su Twitter il ministro degli Esteri, Antonio Tajani.



Quando terroristi armati muoiono in uno scontro a fuoco coi militari giunti ad arrestarli e fedeli ebrei vengono assassinati davanti a una sinagoga, non c’è nessuna “spirale” di violenza: ci sono vittime e carnefici.
Seth J. Frantzman, Israele. Net
30 gennaio 2023

https://www.facebook.com/noicheamiamois ... hgmswe4s4l

La strage di ebrei israeliani avvenuta venerdì sera ha suscitato la consueta ondata di condanne unita all’usuale tendenza a disumanizzare le vittime dipingendole come parte di una fantomatica “spirale di violenza” o genericamente vittime di un “conflitto” che dura da decenni.
Quando, giovedì, Israele ha effettuato un’operazione anti-terrorismo a Jenin per debellare un comando armato che, una volta scoperto, ha ingaggiato un violento scontro a fuoco in cui sono morti nove palestinesi tanti mass-media hanno parlato di escalation da parte di Israele (perlopiù tacendo che il commando terrorista si apprestava a colpire). Poi, venerdì sera, quando un palestinese ha assassinato a sangue freddo sette fedeli ebrei all’uscita da una sinagoga, tanti mass-media hanno parlato di “spirale” della violenza, mettendo i due eventi sullo stesso piano.
Ma quale spirale? L’operazione a Jenin è stata condotta per impedire alla Jihad Islamica Palestinese di perpetrare un ennesimo attacco terroristico: si tratta di un gruppo implicato da anni in un crescente numero di scontri armati con Israele. Non è una spirale: è un conflitto a senso unico in cui la Jihad Islamica Palestinese, foraggiata dall’Iran, accumula armi illegali e sferra attacchi contro Israele da luoghi come Gaza e Jenin, mentre gli israeliani cercano di impedire al gruppo di espandersi e realizzare attentati. E come potrebbero non farlo? La spirale non c’entra nulla. Dall’altra parte, l’attentato a Gerusalemme è stato perpetrato da un “lupo solitario” esaltato e radicalizzato che si è accanito contro dei civili ebrei (come già accaduto tante volte in passato, ben prima dei morti a Jenin). Nessuna spirale. Sono due fatti distinti, uno a Jenin e uno a Gerusalemme.
Il cliché della “spirale di violenza” viene tirato fuori continuamente, senza nessuna reale considerazione dei fatti. È un cliché così banale da sembrare uno di quegli articoli a base di luoghi comuni scritti da un chatbot. Le vittime innocenti di attentati terroristici meritano qualcosa di meglio. Non sono parti nella sceneggiatura di una commedia, sono vite umane interrotte. L’”occupazione” o il “controllo israeliano” non sono una scusa né un’attenuante. I terroristi che prendono deliberatamente di mira i civili non sono combattenti contro una forza di “occupazione”, sono assassini che commettono crimini spietati.


Bergoglio l'antisemita occulto che nega agli ebrei la loro capitale Gerusalemme
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2848
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 7003387674
Nella sua visita ai pochi cristiani discriminati del Marocco e al sue Re maomettano, Bergoglio dichiara la sua "santa" alleanza con l'Islam contro gli ebrei e Israele, negando loro Gerusalemme come capitale.
La negazione non è esplicita ma indiretta contenuta nell'affermazione che Gerusalemme dovrebbe essere patrimonio comune dell’umanità e soprattutto per i fedeli delle tre religioni monoteiste, come luogo di incontro e simbolo di coesistenza pacifica, in cui si coltivano il rispetto reciproco e il dialogo; affermazione dove si omette appunto di sottolineare che la città oltre a ciò è anche luogo storico e capitale dell'etnia o popolo ebraico e del suo stato nazionale di Israele.


OMICIDI ALLA SINAGOGA: L'ESULTANZA DELL'ODIO
Michelle Mazel
Progetto Dreyfus
30 gennaio 2023

https://www.facebook.com/progettodreyfu ... 4874793159

Innanzitutto i fatti. Venerdì sera, i fedeli iniziano a lasciare la sinagoga dopo il servizio di Shabbat. Questo è il momento che stava aspettando Kheiry Alkam, un ragazzo arabo di 21 anni che, arrivato in auto nel tranquillo quartiere di Neve Yaakov, apre il fuoco su questi uomini e donne indifesi. Bilancio, sette morti e diversi feriti, di cui tre in condizioni critiche. Poi cerca di scappare, incontra due poliziotti, che lui tenta invano di uccidere, e sono loro che lo eliminano. Mentre il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha condannando fermamente quella sera stessa quello che ha descritto come un attacco particolarmente spregevole, perpetrato proprio nel Giorno della Memoria della Shoah e che la Francia ha denunciato come “un attacco terroristico spaventoso”; mentre il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden alza il telefono per chiamare il Primo Ministro israeliano ed esprimergli il suo sostegno, dopo quello che lui interpreta come un “attacco al mondo civilizzato”, purtroppo si fanno sentire altre campane.
Secondo Le Figaro, “i portavoce di Hamas e della Jihad islamica si sono congratulati per l'attacco, “un'eroica azione di vendetta per il massacro di Jenin.” L'attentato è stato celebrato in tutta la cosiddetta Cisgiordania, a Gaza e nei quartieri palestinesi di Gerusalemme… A Shuafat, un quartiere arabo di Gerusalemme Est, dei palestinesi hanno distribuito pasticcini ai passanti.”.
Queste poche parole ci danno la chiave del conflitto. Tralasciamo la scelta di questo solenne giorno di commemorazione. Al terrorista non importava niente; d’altronde, la negazione della Shoah è una costante della narrativa palestinese. Ma lui avrà mai sentito parlare di Auschwitz? Quello che è certo è che ha preso di mira degli ebrei. Degli ebrei devoti e non degli israeliani.
Di israeliani avrebbe potuto trovarne per le strade di Gerusalemme o di Tel Aviv, ma lui voleva proprio attaccare degli ebrei religiosi ed è stato secondo i testimoni al grido di "Allah Akhbar" che ha compiuto questo massacro. Si tocca con mano la dimensione religiosa che alcun compromesso potrebbe risolvere. Accompagnata dalla demonizzazione dello Stato ebraico, essa spiega l'indecente esplosione di gioia plaudendo la morte di questi odiati ebrei che stavano uscendo dal loro empio tempio. La stampa occidentale nel suo complesso nasconde questo aspetto e “spiega” che l'assassino voleva vendicare i morti di Jenin del giorno prima, durante un sanguinoso scontro avvenuto tra dei terroristi e l’esercito, senza chiedersi cosa lo avesse portato a pensare che uccidere dei devoti ebrei sarebbe stato una legittima risposta. Si parla molto anche del fatto che Neve Yaakov è una "colonia" in territorio occupato, il che renderebbe legittimo l'attacco. Così, Le Monde (ahimè) non vede nulla di male in questo commento coraggiosamente firmato: “anonimo”: “È con grandissima soddisfazione che apprendo che dei coloni sono morti su una terra che non appartiene loro, e che essi occupano militarmente, a volte anche in violazione delle leggi israeliane...”
Per la cronaca, la “colonia” di Neve Yaakov è stata fondata nel 1924 – avete letto bene – su dei terreni acquistati legalmente a dei proprietari del vicino villaggio arabo. Chiamato “Hakfar Haivri Neve Yaakov” o il villaggio ebraico di Neve Yaakov, subì delle rivolte arabe del 1929, ma resistette fino a quando la legione araba ne cacciò gli abitanti nel 1948. La “colonia” di cui parla la stampa era stata ristabilita nel 1970, dopo la Guerra dei Sei Giorni, sulle rovine di questo villaggio.



Il nuovo ambasciatore ISRAELIANO in Germania, Ron Prosor, ha dichiarato che ISRAELE SOSTIENE pienamente la parte ucraina nel conflitto tra Kiev e Mosca e fornisce all'Ucraina molto più SOSTEGNO di quanto PUBBLICIZZATO.
30 gennaio 2023
https://www.facebook.com/paolo.ligozzi/ ... AtUbMQZy5l

Secondo Prosor, il sostegno di ISRAELE all'Ucraina non si limita a ciò che pubblicano i media. In particolare, l'ambasciatore israeliano ha affermato che l'esercito israeliano SOPPRIME regolarmente le CONSEGNE illegali di armi iraniane, che vengono SUCCESSIVAMENTE trasportate in Ucraina.
“L'esercito israeliano INTERROMPE regolarmente la fornitura di armi dall'Iran alla Siria e al Libano. Tra questi ci sono droni e missili iraniani che la Russia utilizza nel conflitto (la parte russa ha precedentemente negato l'uso di armi iraniane - ndr) ".Ha detto l'ambasciatore israeliano in Germania Ron Prosor.
In precedenza si è saputo che l'Ucraina ha armi dell'esercito iraniano, varie munizioni e, cosa piuttosto notevole, persino veicoli aerei senza pilota da ricognizione. Inizialmente, c'erano suggerimenti che queste armi potessero essere fornite da Teheran per l'Ucraina. Tuttavia, tenendo conto della dichiarazione di Prosor, tali armi e munizioni sono state fornite all'Ucraina dopo essere state confiscate dalla parte iraniana.
(Avia pro)
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Dalla parte degli ebrei e di Israele che è la loro terra

Messaggioda Berto » ven feb 17, 2023 10:40 pm

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Dalla parte degli ebrei e di Israele che è la loro terra

Messaggioda Berto » ven feb 17, 2023 10:41 pm

25)
Gli ebrei israeliani per difendersi dai nazisti maomettani che vivono in Israele o nei territori "palestinesi" dovranno e potranno (saranno costretti) girare armati per potersi difendere in ogni momento dagli attacchi dei terroristi islamici


Benjamin Netanyahu - בנימין נתניהו
Cari cittadini
Sono appena tornato da una visita ai feriti negli ospedali Shaare Tzedek e Hadassah Har Scofim, e i miei pensieri e le mie preghiere vanno a loro e alle loro famiglie. Vorrei anche esprimere la mia gratitudine al personale medico dedicato che se ne prende cura.

https://www.facebook.com/watch?v=1561366477709389
Alla luce dei recenti attentati terroristici a Gerusalemme, il Gabinetto ha compiuto passi forti per combattere il terrorismo:
Dall'aumento dell'attività delle nostre forze di sicurezza all'addebito dei prezzi da parte di chi sostiene il terrorismo, facciamo tutto il possibile per proteggere i nostri cittadini Abbiamo sigillato la casa del terrorista responsabile dell'ultimo attacco terroristico e presto la distruggeremo.
Inoltre, abbiamo deciso di negare i diritti in materia di assicurazione sociale alle famiglie che sostengono il terrorismo, oltre a negare carte d'identità e residenti alle famiglie di terroristi che sostengono il terrorismo.
Inoltre, stiamo espandendo e accelerando il rilascio delle licenze di armi a migliaia di cittadini autorizzati, compresi i soccorritori. Questo permetterà ai cittadini di salvare vite umane. Inoltre, adotteremo misure per rafforzare l'insediamento in Giudea e Samaria per far capire ai nostri nemici che non ci muoveremo dalla nostra terra.
Anche se non siamo alla ricerca di una scala mobile, ma siamo preparati ad ogni possibilità. La nostra risposta al terrorismo sarà rapida e potente e non ci tireremo indietro nella nostra lotta contro questi fattori pericolosi.
Vorrei elogiare ancora una volta il coraggio delle nostre forze di polizia e delle forze di sicurezza che stanno lavorando instancabilmente per proteggerci, e dei cittadini che hanno agito coraggiosamente durante il recente attentato terroristico a Neve Yaakov e nella città di David.
Dobbiamo essere tutti uniti per combattere il terrorismo. Insieme vinceremo.
· ·


Perché l’ondata terrorista in Israele si è aggravata
31 gennaio 2023

https://www.shalom.it/blog/israele-bc1/ ... a-b1126731

Gli attentati e le reazioni
È stato il più grave attentato da parecchio tempo: sabato sera a Neve Yaakov, un sobborgo di Gerusalemme, un terrorista palestinese ha ucciso sette persone all’ingresso della sinagoga dove andavano a pregare; poche ore dopo alla “città di Davide”, sempre a Gerusalemme, un altro terrorista, di appena 13 anni, ha ferito gravemente un padre e un figlio ebrei. Successivamente vi sono stati altri attentati per fortuna sventati in tutto il territorio di Israele, dal Golan a Gerico, dal Monte Hebron al Kfar Tapuah vicino ad Ariel. Dagli stati occidentali e in particolare dall’Italia, ma anche da paesi arabi come gli Emirati, la Giordania, perfino l’Arabia sono arrivate numerose dichiarazioni di solidarietà a Israele; al contrario tutte le fazioni palestiniste hanno manifestato gioia e esultanza per gli omicidi: un sentimento, va detto, che è stato vistosamente condiviso, con danze e canti, fuochi d’artificio, offerte pubbliche di dolci ai passanti, sfilate in cui si ostentavano le armi in tutti i centri dove la popolazione araba è numerosa, perfino in alcuni sobborghi di Gerusalemme. E un atteggiamento che conferma l’impossibilità di un progetto di pace con questi leader (e forse anche con questo pubblico, profondamente imbevuto di odio). Bisogna notare inoltre che ha fatto scandalo la presenza di bandiere palestinesi alle manifestazioni dell’opposizione di sinistra contro il governo israeliano, sabato sera a Tel Aviv e a Haifa. Uno dei problemi di Israele è che in certi ambienti l’odio contro Netanyahu sembra più importante della condanna del terrorismo.

Perché le stragi
L’orrore e la deplorazione per la strage sono ovvie e istintive; ma c’è bisogno anche di capirne le cause e analizzarne le dinamiche. La prima cosa da notare è che questi attentati rispondono a una pura logica terrorista, non strategica. Non sono stati colpiti obiettivi economici o militari e neppure simbolici. Gli assassinati non erano combattenti né politici. I terroristi hanno sparato a gente qualunque, che non conoscevano, di cui ignoravano i ruoli, solo perché ebrei: una logica analoga alle stragi naziste. Non possono certo sperare in questo modo di indebolire la forza di Israele, e neppure di terrorizzare la sua popolazione che resiste alle carneficine arabe da ben prima della fondazione dello stato ebraico. In altri termini, non vi è un progetto razionale che finalizzi questi orribili attentati (e la anche morte assai probabile di chi li compie) al progetto strategico dei palestinisti, cioè la distruzione dello Stato di Israele e l’instaurazione al suo posto di un regime islamista o nazionalista. Essi sono in primo luogo espressione di un odio antisemita violentissimo che si vede anche nella gioia selvaggia dei sostenitori del terrorismo. Ma vi è certamente di più, vi sono progetti politici e personali più limitati ma altrettanto velenosi.

L’interesse personale
Una prima ragione è biecamente personale. L’autorità palestinese spende più di mezzo miliardo di euro l’anno, circa il 15 % del suo bilancio, per pagare stipendi ai terroristi condannati e alle famiglie dei defunti. Un condannato per omicidio prende almeno 3000 euro al mese di stipendio o lo lascia in eredità alla famiglia se cade durante il suo crimine. Da quelle parti sono somme rilevanti, che fanno del terrorismo la carriera meglio pagata dello “stato di Palestina”. Inoltre il nome dei terroristi viene celebrato e ogni problema economico o giudiziario perdonato. E’ una forte e abbietta motivazione per l’assassinio di innocenti - e una altrettanto grave responsabilità dell’Autorità Palestinese.

La concorrenza fra i gruppi
Una seconda ragione è la competizione per la successione a Mohamed Abbas. Il “presidente” palestinese (eletto diciotto anni fa per un mandato di quattro anni, mai più confermato o esposto alle elezioni) ha 87 anni, cattiva salute e pochissima popolarità. Non ha eredi designati: la sua uscita dal gioco politico è questione di anni, forse di mesi. Alla sua morte o rinuncia il sistema dell’Autorità Palestinese rischia di esplodere. Il terrorismo, con la popolarità che ne consegue, sarà fra le ragioni determinanti della selezione del successore: non nel senso che gli assassini attuali abbiano la possibilità di una carriera politica, anche perché di solito muoiono negli attentati, ma chi li manda o gestisce la fazione che li manda sì. Dato che la comunità internazionale non sanziona seriamente le organizzazioni palestiniste per il terrorismo, ma guarda di fatto con indulgenza ai loro crimini e appena può li aiuta a violare la legge israeliana, la competizione fra le fazioni si gioca sull’estremismo verbale, e sulla capacità pratica di uccidere gli ebrei.

Gli accordi di Abramo
Una ragione più generale è questa. Negli ultimi anni la situazione medio-orientale si è evoluta verso la marginalizzazione della questione palestinese. Il problema è oggi per tutti gli stati della regione l’imperialismo iraniano e la passività degli Usa nei suoi confronti, che fa di Israele il solo ostacolo all’egemonia degli ayatollah. L’Autorità Palestinese e Hamas fanno il possibile per riportare il calendario al momento in cui erano loro al centro della politica della regione. E il terrorismo è la via più semplice per ottenerlo.

Il nuovo governo
Vi è infine, soprattutto da parte della stampa americana ed europea, la tendenza a mettere in relazione questi attentati con la svolta politica israeliana, che ha portato a un governo che si propone di gestire in maniera più dura i rapporti con l’Autorità Palestinese. I fatti dimostrano che il nesso non esiste. La crescita dell’ondata terrorista è iniziata la primavera scorsa. Si sono create nel territorio amministrato dall’Autorità Palestinese e con la sua complicità delle sacche urbane (per esempio Jenin e Nablus) dove comandano i terroristi, che spesso sono anche agenti di polizia dell’Autorità. Le forze di sicurezza israeliane sono costrette a frequenti e difficili incursioni per contrastare il radicamento terrorista e catturare i ricercati più pericolosi, affrontando una resistenza armata e organizzata, Così è stato mercoledì scorso, quando c’è stata una vera e propria battaglia a Jenin, in cui hanno perso la vita una decina di terroristi. Dunque l’azione del governo attuale non c’entra. È possibile però che la maggiore decisione nella lotta al terrorismo, le sanzioni più dure nei confronti di complici e familiari degli attentatori (che spesso si identificano), il maggior sostegno delle forze dell’ordine alle comunità sotto attacco, che sono state annunciate da Netanyahu dopo gli attentati, possano contribuire a smorzare l’offensiva terrorista. Ma non si può essere sicuri che ciò accada e potrebbe essere necessario un’operazione massiccia nelle basi terroriste, come avvenne vent’anni fa.
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Re: Dalla parte degli ebrei e di Israele che è la loro terra

Messaggioda Berto » ven feb 17, 2023 10:41 pm

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Dalla parte degli ebrei e di Israele che è la loro terra

Messaggioda Berto » ven feb 17, 2023 10:41 pm

26)
Demenziali antisemiti, antisionisti e antisraeliani italiani, di destra e di sinistra, atei (anche ebrei etnici) e cristiani



L'Italia antisemita e antisraeliana

viewtopic.php?f=197&t=2985
L'Italia sinistrata (atea e cristiana) antisemita: social fascista, social socialista e comunista, grillina e piddina
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 2474739090

L'orrore dei cristiani antiebrei e pronazismo islamico
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2172

Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra antisemiti, antiamericani e filo nazi maomettani
viewtopic.php?f=197&t=2944

Antisemitismo nazi comunista e nazi maomettano (e nazi cristiano)
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2804


Odiosi antiebrei nazisti hitleriani e fascisti mussoliniani,
bianchi e cristiani o ateo pagani, demenziali seguaci di Mussolini e di Hilter che in USA son detti suprematisti bianchi, assomigliano ai nazi maomettani, vergogne umane.
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 1251973434
Sono la rovina della destra, di quella democratica liberale e popolare, e di quella identitaria schierata a tutela dei diritti umani degli indigeni e dei cittadini europei.
Chiediamo a Trump a Salvini e agli altri leader delle destre occidentali di prender chiara e dura posizione contro questi dementi antisemiti contro i loro maestri storici e le loro demenziali ideologie razziste, imperialiste, suprematiste, inconcludenti e perdenti.
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 1251973434

I fascio-nazisti antisemiti danneggiano i sani e naturali nazionalismi occidentali
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 5450197562




Il caso di un mentecatto di destra e cristiano, novax e filoputin, un demenziale professore di diritto che insegna alle scuole superiori e che sminuisce i numeri dell'olocausto come versione soft del negazionismo della Shoah per non incorrere nell'accusa di negazionismo antisemita perseguibile per legge.

Spettacolo sulla Shoah a Milano, il prof negazionista: "Gonfiate i numeri"
30 gennaio 2023

https://www.progettodreyfus.com/shoah-p ... azionista/
https://www.facebook.com/progettodreyfu ... 5540757759


Sembra ormai divenuta prassi che in concomitanza con la Giornata della Memoria, “qualcuno” senta la necessità di riscrivere la storia della Shoah.

Necessità percepita come tale da Pietro Marinelli, professore dell’Istituto superiore Curie-Sraffa di Milan, che nel corso dello spettacolo “Herr Doktor”, incentrato sulla figura di Joseph Goebbels, allo Spazio Teatro 89, ha pensato di urlare verso l’attrice Beatrice Marzorati, che stava elencando dal palco il numero delle vittime:

“Questa è la vostra verità, dite solo quello che vi fa comodo, voi state gonfiando completamente i numeri”.

E all’attrice che aveva replicato “questa è storia”, il professore ha insistito “invece è ideologia”.

L’episodio è stato denunciato dai colleghi di Marinelli, che hanno scritto una lettera in cui:

“Dissociano pubblicamente dalle esternazioni del docente presente allo spettacolo in veste di accompagnatore di una classe, sia come cittadini sia nel loro ruolo di formatori di adolescenti, formatori appartenenti al medesimo istituto. Inoltre prendono fermamente le distanze dalle modalità di intervento del docente, che ritengono irrispettose nei confronti degli attori e del personale dello Spazio Teatro 89, che in tutti questi anni di collaborazione si è sempre mostrato accogliente ed inclusivo verso l’istituto”.

Anche la preside della scuola, Raffaella d’Amore, si è scusata con il Teatro, sottolineando che quanto accaduto non ha nulla a che fare con l’Istituto da lei diretto.

Ci piace pensare che affermazioni come quelle di Pietro Marinelli siano frutto dell’incapacità umana di credere che la Shoah sia avvenuta con quelle modalità e con quella specificità.

Possiamo “accettare” una guerra, ma non che 20 uomini si siedano a un tavolo e decidano di pianificare la barbara morte di un popolo intero.

In alternativa dovremmo pensare che l’odio antiebraico sia un seme presente in diverse persone, che cresce fino a portare ad affermazioni antistoriche sulla Shoah.


Veneti Per l'Ucraina
Marinelli sei un personaggio demenziale, uno scriteriato, dovresti essere cacciato dalla scuola pubblica: novax, negazionista della Shoà, antisemita e antisraeliano, antiamericano e antiue/antinato, antiucraino e filorusso, sei una vergogna umana.
Io ho votato la Meloni che è a favore di Israele e dell'Ucraina, spero che prenda pubblica distanza da figuri come te.

Essere contro il nazismo moamettano o Islam è più che giusto, essere contro il suprematismo LGBT è altrettanto giusto specialmente contro la versione transgender (che fa tanto male ai minori e ai giovani), ma non è sensato e giusto essere contro i vaccini e la civile responsabilità sanitaria, non è giusto e sensato essere contro l'Ucraina e a favore del demenziale nazifascista Putin che l'ha aggredita, e non è giusto e sensato essere contro gli ebrei e Israele e negare o sminuire l'olocausto come lo può fare un demenziale cristiano antisemita che ha in odio gli ebrei/giudei e che ha nostalgia per quello scimmunito di Mussolini e le sue stupide leggi sulla difesa della razza per dare contro agli ebrei.


Lettera aperta.
Egregio Professor Marinelli,
Le scrivo molto pacatamente perchè lo ritengo giusto, lo ritengo giusto per rispetto della mia famiglia e per rispetto delle milioni di famiglie che hanno patito, patiscono e, forse, patiranno, le conseguenze dei semi gettati nel vento dalle persone come Lei.
Semi di razzismo, culto della supremazia e violenza sistematica.
Rammenti che qualora Lei si tramuti in un cattivo maestro, potrà solo avere dei cattivi allievi in grado di seguirla.
Non so se ha letto molto, per poter parlare di Shoah, ma di certo non ha letto queste parole che Le allego, le legga con cura, ci mediti sopra, quando spegnerà la luce di sera, nella Sua camera:
".....quando videro che picchiarci non portava nessun vantaggio per loro, ci diedero un nuovo compito, traportare i morti nella "todeskeller", la "cantina", una specie di grotta scavata nel fianco della parete di granito della miniera.
I morti erano i bambini, morti di stenti, di setticemia, di polmonite, di febbre, di fame.
Non sapevano di chi fossero figli, molti di loro non li conoscevamo e non sapevamo i nomi, allora li guardavamo e cercavamo di metterli vicino alle donne morte, quelle più giovani, perchè potessero sembrare madri e figli.
Guardavamo i visi e il colore dei capelli, quelli più piccoli li mettevamo vicino alle ragazze più giovani, così da farli stare vicini quando sarebbero entrati in un'altra vita.
Tra loro alcuni avevamo il viso sereno, altri mettevano impressione per quanto erano sfigurati e scheletriti.
Eppure ci dicevamo tra noi che erano i vivi a mettere paura, non quei poveretti morti.
Perchè ai piccoli sarebbe piaciuto stare insieme alle loro mamme e noi cercavamo solo di dare sollievo alle loro anime..........
Le ha lette queste parole Professor Marinelli?
Le ha lette bene?
Le ha scritte mia nonna tornando da Flossenburg, nel 1945.
Adesso si immagini al buio e all'umidità di quella cantina, ad aiutare delle donne dimagrite e vestite di stracci, a sollevare fagotti di pochi chili e adagiarli piano a fianco di altri fagotti, un po' più grandi.
Se si sentirà male per l'odore, la vista di quello strazio e per conati di vomito, non si abbatta.......
Chieda aiuto alla donna con i capelli a caschetto neri e gli occhi azzurri che parla con la "erre" moscia, è mia nonna, Le sarà a fianco.
Perchè di "ideologia", in casa mia non se n'è mai parlato......i Giusti non parlano di "ideologia", parlano a Dio con le proprie azioni e le proprie testimonianze.
E non tema, se anche non proverà vergogna per le parole che Lei diffonde, un giorno ci sarà sempre , anche per la gente come Lei, qualcuno che poserà una pietra sul Suo nome.
Per ricordo, non per "ideologia", per Memoria.
Cordialmente
Roberto Casalone
Figlio e nipote di vittime, anzi "numeri" di ciò che chiama "ideologia"
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Dalla parte degli ebrei e di Israele che è la loro terra

Messaggioda Berto » ven feb 17, 2023 10:42 pm

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Dalla parte degli ebrei e di Israele che è la loro terra

Messaggioda Berto » ven feb 17, 2023 10:42 pm

27)
Giudea e Samaria (dette anche West Bank o Cisgiordania) sono terre ebraiche da sempre come Gerusalemme e tutta Israele


Giudea e Samaria
https://it.wikipedia.org/wiki/Giudea_e_Samaria
La Giudea e Samaria (in ebraico: יהודה ושומרון, Yehuda VeShomron, anche יו"ש Yosh o ש"י Shai; in arabo: اليهودية والسامرة‎, al-Yahudiyyah was-Sāmarah) è il nome ufficiale israeliano del settimo distretto di Israele. Conquistata da Israele alla fine della guerra dei sei giorni, è considerata un territorio occupato dall'ONU e dalla Corte internazionale di giustizia.


Cisgiordania

https://it.wikipedia.org/wiki/Cisgiordania
La Cisgiordania (letteralmente "la parte al di qua del Giordano"[1]; in arabo: الضفة الغربية‎, aḍ-Ḍiffä l-Ġharbīyä; in ebraico: הגדה המערבית‎?, HaGadah HaMa'aravit o, sempre in ebraico e ufficialmente per lo Stato d'Israele, יהודה ושומרון, Yehuda ve'Shomron, Giudea e Samaria[2][3]; in inglese chiamata West Bank, "la sponda occidentale") è un territorio senza sbocco al mare sulla riva occidentale del fiume Giordano, nel Medio Oriente. Fa parte, assieme alla striscia di Gaza, dei territori palestinesi e della regione storico-geografica della Palestina.
Prima della Grande Guerra, la zona ora conosciuta come Cisgiordania è stata sotto il dominio ottomano, come parte della provincia di Siria. Nel 1920, alla conferenza di Sanremo, la vittoria delle forze alleate l'assegnò alla sovranità del Mandato britannico della Palestina. La Guerra arabo-israeliana del 1948 vide la creazione di Israele in alcune parti dell'ex Mandato, mentre la Cisgiordania fu conquistata dall'emirato di Transgiordania e annesso l'anno successivo in un nuovo regno denominato Giordania. Gli accordi di armistizio del 1949 hanno definito i suoi confini ad interim.
Dal 1948 al 1967, la zona fu quindi sotto il controllo giordano, quando la perse a seguito della guerra dei sei giorni a favore di Israele, ma la Giordania non rinunciò ufficialmente alle sue pretese sull'area sino al 1988 quando le cedette all'OLP. Le richieste della Giordania non furono mai riconosciute dalla comunità internazionale, con l'eccezione del Regno Unito. La definizione dei confini venne stabilita in seguito alla stipulazione dell'armistizio di Rodi, quando venne definita dalle linee di "cessate il fuoco" tra gli eserciti israeliano e giordano.[4] A partire dal 1993, con gli accordi di Oslo la regione è sottoposta a controllo misto da parte dello Stato di Palestina e di Israele.


L’importanza strategica della Giudea e della Samaria: Intervista con YORAM ETTINGER
Niram Ferretti
4 Febbraio 2023

http://www.linformale.eu/limportanza-st ... -ettinger/

Nell’agosto del 2017, mentre si trovava in Israele, Niram Ferretti incontrò, tra gli altri, Yoram Ettinger. A cinque anni e mezzo di ditanza riproponiamo quell’intervista per la densa panoramica che essa offre in merito ad alcuni degli aspetti fondamentali del conflitto arabo-israeliano.

(N.d.R)

Tra i più informati analisti del conflitto arabo-israeliano e degli scenari mediorientali, Yoram Ettinger appartiene alla coriacea scuola dei grandi realisti, quegli studiosi e pensatori politici che non deflettono mai dal guardare le cose così come sono e non come vorrebbero che fossero. La realtà è la fuori, e spesso è difficile da affrontare, ma nulla è peggio del proiettare su di essa presupposti falsi e schemi fantasiosi, perché la realtà si incarica sempre di rigettarli duramente. L’ex ambasciatore Ettinger, (già rappresentante dei rapporti con il Congresso all’ambasciata israeliana di Washington), non corre questo rischio come sa molto bene chiunque legga online The Ettinger Report.

L’informale lo ha incontrato a Gerusalemme

Ambasciatore Ettinger, in un articolo da lei pubblicato per Israel Hayom il 17 luglio scorso, lei scrive, “Il politicamente corretto ha subordinato la realtà del Medio Oriente e la sicurezza nazionale a lungo termine nel Santo Graal di una coesistenza pacifica tra ebrei ed arabi ad ovest del Giordano”. Non è questa distinzione tra la realtà com’è e la realtà come uno vorrebbe che fosse, essenziale per comprendere il conflitto arabo-israeliano?

La convenienza a breve termine da una parte, e l’interesse o la sicurezza nazionale a lungo termine dall’altra, è una divisione storica tra esseri umani indipendentemente da Israele e dal conflitto arabo-israeliano. Ha anche influenzato e minato l’atteggiamento nei confronti del conflitto e come conseguenza di ciò ha solo aggiunto più benzina sul fuoco del medesimo invece di ridurlo o di estinguerlo. Una delle prove di ciò è che dal 1948 c’è stata una litania di tentativi da parte dei politici occidentali, principalmente americani ma anche europei per risolvere il conflitto arabo-israeliano, la questione palestinese, ma nessuno di questi tentativi ha avuto successo. Gli unici due tentativi coronati finora da successo, i quali hanno avuto come esito i trattati di pace tra Israele e l’Egitto e Israele e la Giordania, sono stati il prodotto di iniziative da parte degli israeliani i quali hanno negoziato direttamente con gli arabi senza intermediari occidentali. Quando si tratta della questione palestinese e del conflitto arabo-israeliano, il punto focale non è quello di incrementare i successi degli israeliani o degli arabi, ma l’interesse occidentale a lungo termine. La domanda da fare dovrebbe essere, indipendentemente dall’interesse di Israele, uno stato palestinese sarebbe a vantaggio o a svantaggio degli interessi occidentali in generale? La mia opinione è che chiunque esamini la questione in questo senso giungerà alla conclusione che fare appello alla correttezza politica, in altre parole al venire in essere di uno stato palestinese a ovest del Giordano, non farebbe che compromettere gli interessi occidentali.

Recentemente l’UNESCO ha designato la Tomba dei Patriarchi a Hebron come sito palestinese. Precedentemente ha prodotto un altro documento nel quale il Monte del Tempio, il sito più sacro per gli ebrei, è stato definito con il nome arabo di Haram al Sharif, il Nobile Santuario. In passato Yasser Arafat negava l’esistenza del tempio a Gerusalemme. Quello che sta facendo l’UNESCO non le sembra una chiara guerra culturale contro Israele da parte degli arabi e dei paesi islamici che detengono la maggioranza in seno all’organizzazione, con il fine di sradicare la storia ebraica dal Medioriente?

È un altro tentativo di ricreare il Medioriente in accordo con il progetto arabo e con un approccio europeo estremamente semplificatorio nei confronti del conflitto arabo-israeliano. Il presupposto europeo è che sia possibile risolvere il conflitto assecondando le richieste arabe. Questo tipo di approccio prima di tutto ignora la realtà, e la realtà è che le fondamenta della storia ebraica, della religione ebraica, del nazionalismo ebraico si trova nelle regioni montagnose della Giudea e della Samaria, comunemente conosciute come West Bank. La colonna portante dell’ebraismo non è Tel Aviv, non è Haifa o nessuna alta parte lungo la parte costiera, ma è nelle montagne di Giudea e Samaria. Ovviamente ciò complica la questione, ma la sfida è quella di affrontare la realtà non quella di ricrearla. La sfida è di subordinare i nostri punti di vista alla realtà invece di deformare la realtà in modo da farla coincidere con i nostri punti di vista semplicistici sul Medioriente. Quando si tratta di fare concessioni agli arabi, che si tratti dell’UNESCO o dell’UNRWA o delle Nazioni Unite in generale, o che si tratti di qualsivoglia governo europeo, è necessario imparare dai precedenti storici. Ogni volta che si cerca di conciliarsi un regime canaglia, si tratti di un regime arabo, iraniano o nord coreano si stimola solo il suo appetito. È come una persona che viene attaccata nell’oceano da uno squalo e pensa che lo squalo si accontenterà di un morso e poi se ne andrà via. Malgrado comporti inconvenienti a breve termine resistere ai regimi canaglia, non c’è dubbio che ciò favorisca gli interessi a lungo termine dei governi occidentali.

Questo ci riporta all’opzione di uno stato palestinese a ovest del Giordano, la preferita dei governi occidentali.

Questo presupposto è basato sull’idea che facendo concessioni ai palestinesi, accordandogli sovranità a ovest del Giordano, ciò diminuirebbe le fiamme del Medioriente. È vero l’opposto. Dovesse esserci uno stato palestinese nelle montagne della Giudea e della Samaria, esso fornirebbe un incentivo agli attuali tentativi di rovesciare il regime Hashemita a est del Giordano. Tornando indietro alla firma del trattato di pace tra Israele e la Giordania, il generale Dan Shomron l’allora Capo di Stato Maggiore dell’IDF mi disse che all’epoca era stato avvicinato dai suoi colleghi giordani i quali lo avevano implorato di non procedere al fine di stabilire uno stato palestinese ad ovest del Giordano perché il suo venire in essere avrebbe devastato il regime Hashemita a est del fiume. Di fatto, il Generale Yaalon, che all’epoca era a capo dell’intelligence militare, venne anch’esso avvicinato dai suoi colleghi giordani i quali gli domandarono se Israele era consapevole che quello che era stato firmato dai palestinesi il mattino sarebbe stato poi violato nel pomeriggio. Ciò si basava sull’esperienza degli hashemiti con i palestinesi a est del Giordano. La morale è che gli hashemiti sono il male minore in Medioriente. Vale a dire, uno stato palestinese potrebbe innescare un effetto a rimbalzo che potrebbe devastare gli interessi occidentali in accordo con i regimi-pro occidentali arabi nella penisola araba e in Giordania. Un loro controllo iraniano, o russo, o cinese devasterebbe l’economia occidentale e la stabilità del mercato del petrolio nel mondo e sicuramente esacerberebbe la questione del terrorismo mediorientale con conseguenze che si ripercuoterebbero in Europa, negli Stati Uniti e in Sud America. Uno stato palestinese significherebbe una base navale o aera russa al suo interno, e possibilmente una base militare iraniana che sconvolgerebbe drammaticamente il corrente equilibrio dei poteri nel Mediterraneo, già il ventre molle dell’Europa. Comporterebbe anche la devastazione di ciò che resta dei centri cristiani di Giudea e Samaria. Betlemme e Bet Jalla una volta erano centri a maggioranza cristiana fino agli Accordi di Oslo del 1993. Da allora sono decresciute a minoranze minuscole, meno del 20% a Betlemme e la stessa percentuale a Bet Jalla. Uno stato palestinese potrebbe eliminare completamente la presenza cristiana sia a Betlemme che in altri centri in Giudea e Samaria.

Nel 1993, Shimon Peres, Yitzhak Rabin e Yossi Beilin riportarono al centro della scena un Arafat caduto in disgrazia (dopo il suo appoggio all’invasione irachena del Kuwait). Il risultato di questa decisione furono gli Accordi di Oslo e la piena legittimazione dell’OLP come interlocutore. La conseguenza per Israele fu la Seconda sanguinosa Intifada. Cosa ha da dirmi in proposito?

C’è un precedente ed è il riconoscimento dell’OLP da parte dell’USA. Accadde nel dicembre del 1988 quando il presidente Reagan era alla scadenza del suo mandato. All’epoca l’OLP era la maggiore organizzazione terrorista araba che faceva incetta di terroristi internazionali in Europa, America Latina, Africa e Asia. La seconda fase attraverso cui venne fornito combustibile al terrorismo arabo, e in questo modo al terrorismo globale, fu nel 1993 quando, come ha ricordato lei, l’OLP venne praticamente sottratta all’oblio in un periodo in cui era confinata in Tunisia e in alcuni campi terroristi in Yemen, Libia e Libano e trasformata in una organizzazione legittima. Si trattò ancora di sottomettersi al pensiero desiderante, di sottomettersi alla tentazione di raggiungere un vantaggio a breve termine ignorando completamente la complessità della realtà e le gravi conseguenze per la sicurezza nazionale sul periodo medio e medio lungo. La prima vittima della legittimazione dell’OLP nel 1988 e quindi nel 1993 non è stata Israele e non sono stati gli ebrei, ma gli arabi.

Questo è quello che recentemente, in una intervista avuta con lui, ha sottolineato Bassem Eid. Ha detto chiaramente, come è sua abitudine, quanto i palestinesi abbiano sofferto e soffrano ancora sotto il governo dell’Autorità Palestinese di Mahmoud Abbas.

Le voglio raccontare un episodio a questo proposito. Alcuni anni fa venni presentato a un uomo d’affari arabo molto rispettato qui nell’area di Gerusalemme. La prima cosa che mi disse fu che gli arabi della zona non avrebbero mai perdonato gli ebrei per la loro situazione corrente. Pensai che stesse parlando della cosiddetta “occupazione” e gli domandai se non pensava che questa cosiddetta “occupazione” fosse meglio dell’occupazione giordana, siriana o egiziana, e la sua risposta fu stupefacente, “Chi sta parlando dell’occupazione? Sto parlando del fatto che voi ebrei ci avete portato addosso la piaga del terrorismo dell’OLP. Erano in Tunisia, lontano da noi, e voi gli avete portati qui e fondamentalmente ne avete fatto i nostri dominatori e da allora le cose sono andate a rotoli“.

E le fece degli esempi specifici?

Solo alcuni esempi indicativi. Sotto il controllo Giordano non c’era imposta sul reddito. Quello che i giordani si aspettavano dagli arabi-palestinesi è che fossero leali alla corona hashemita. Sotto Israele dovevano pagare dei contabili e dei revisori e una volta all’anno avere a che fare con le autorità israeliane per le imposte sul reddito e pagare le tasse. Quando arrivò l’OLP dovettero confrontarsi con una realtà non prevista. Dei taglieggiatori andavano da questo uomo d’affari a chiedergli duecentomila shekel, o quello che volevano. Se si chiedeva una pezza d’appoggio per questa richiesta ti veniva risposto che avevi la scelta di essere accusato di essere un collaboratore dei sionisti oppure di pagare quanto veniva richiesto. Se capitava di essere sposati con una donna avvenente o padri di una figlia avvenente maggiorenne, ogni tanto si veniva avvicinati da un ufficiale d’alto grado dell’Autorità Palestinese il quale poteva desiderare l’una o l’altra. Ancora una volta si aveva la scelta, o si tollerava il fatto che la propria moglie o la propria figlia venisse abusata o si doveva fronteggiare la possibilità di essere accusati di essere dei collaborazionisti e venire giustiziati sulla pubblica piazza. Per non parlare della corruzione. C’è una ragione perché Mahmoud Abbas viene soprannominato Mr. 20%. All’interno dell’Autorità Palestinese tutti sanno che un uomo d’affari internazionale il quale voglia verificare se ci sono delle opportunità d’affari con l’Autorità Palestinese deve, prima di tutto. incontrarsi con Abbas e poi, dopo l’incontro accordarsi sul versamento del 20% dell’ammontare del progetto concordato su uno dei conti di Abbas sparsi in giro per il mondo. Arafat fu l’iniziatore di questa prassi e Abbas l’ha continuata. Gli arabi in Medioriente conoscono molto bene queste tipologie di realtà ed è questa la ragione per la quale ai palestinesi elargiscono molte parole ma assolutamente pochi fatti concreti.

Da quello che dice è abbastanza chiaro che l’atteggiamento arabo nei confronti di Mahmoud Abbas e quello tenuto nei suoi riguardi dai paesi occidentali è molto diverso. Gli arabi sanno esattamente di chi si tratta mentre gli europei e gli americani hanno un’altra idea di lui. In Europa amiamo ammantare dell’alone scintillante dei “combattenti per la libertà” i manigoldi e i terroristi. Arafat veniva ricevuto abitualmente come una star nelle capitali europee.

Mentre a Mahmoud Abbas viene dato il benvenuto con un tappeto rosso quando atterra a Roma, Londra, Parigi, Washington o anche a Gerusalemme, gli viene dato il benvenuto con un tappeto liso quando si reca in qualsiasi capitale araba. La differenza è che gli arabi hanno familiarità con le gesta di Mahmoud Abbas fin dagli anni ’50, quando, insieme ad Arafat e ad altri membri di Fatah e dell’OLP, oggi l’Autorità Palestinese, erano membri della cellula palestinese dei Fratelli Musulmani al Cairo. Là erano coinvolti in atti di terrore e sovversione e dovettero scappare dall’Egitto durante la presidenza di Nasser. Poi la Siria aprì le sue porte ad Arafat e Mahmoud Abbas e i loro alleati, ma, nel 1966, i palestinesi che si trovavano lì si sentirono abbastanza forti per introdurre la sovversione e il terrorismo e dovettero scappare un’altra volta. Quindi fu il turno della Giordania, dove re Hussein aprì loro le porte e la Giordania venne impiegata per un numero di anni tra il 1968 e il 1970 come principale piattaforma terroristica anti-israeliana. Dal 1970 i palestinesi si sentirono abbastanza forti per cercare di rovesciare il regime hashemita. Il loro piano provocò una guerra civile in Giordania e come al solito Mahmoud Abbas, Arafat e i suoi alleati dovettero fuggire. Ripararono in Libano per un numero di anni e là saccheggiarono e stuprarono il sud del paese fino a quando, nel 1975, si sentirono ancora una volta sufficientemente forti per tentare di rovesciare il regime centrale di Beirut. La loro azione costrinse il regime centrale a ricorrere all’aiuto della Siria. Quello fu l’inizio dell’occupazione militare siriana del Libano.

Una serie di primati ragguardevole.

Non è terminata. L’ultimo tradimento intra-arabo da parte di Mahmoud Abbas e i suoi sodali palestinesi avvenne nel 1990 quando Saddam Hussein invase il Kuwait. Durante gli anni il Kuwait era stato il paese arabo più ospitale per Arafat e i suoi alleati palestinesi. Il Kuwait aveva assorbito circa trecentomila palestinesi aiutandoli a giungere a posizioni elevate, ma nell’agosto del 1990, quando Saddam Hussein invase il paese, tre battaglioni palestinesi di stanza in Iraq parteciparono all’invasione. L’intelligence palestinese in Kuwait favorì l’invasione e quella fu la ragione che spinse la leadership del Kuwait a espellere circa trecentomila palestinesi. Fino ad oggi alle conferenze della Lega Araba, i partecipanti mostrano il loro sdegno nei confronti dei palestinesi lasciando la sala quando Mahmoud Abbas si alza per parlare. Gli stati del Golfo non si dimenticano e non perdonano. Ciò dimostra chiaramente la differenza tra l’atteggiamento arabo e l’atteggiamento europeo e occidentale nei confronti dell’Autorità Palestinese e di Mahmoud Abbas. E ciò è evidente dal fatto che tutti i paesi arabi produttori di petrolio messi insieme forniscono l’Autorità Palestinese di una assistenza finanziaria inferiore rispetto a quella che le viene fornita dagli Stati Uniti.

Il Mandato Britannico per la Palestina del 1922 e confermato dalla Lega delle Nazioni, conferiva agli ebrei il diritto di risiedere ovunque in Palestina tra il fiume Giordano e il mare Mediterraneo. Tuttavia, dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, in virtù della formidabile propaganda messa in moto dagli arabi e dai russi, la parola “occupazione” e l’espressione “territori occupati” è diventata la modalità principale per descrivere come illegale la presenza israeliana in quegli stessi territori che il Mandato Britannico per la Palestina aveva conferito agi ebrei. Non si tratta di una contraddizione flagrante?

Non solo è una contraddizione flagrante, qui stiamo parlando della centralità della legge internazionale. Una volta che il mondo ha deciso che le precedenti decisioni legali prese dalla comunità internazionale non sono più dominanti perché complicano la realtà, perché ci obbligano a fare a meno della saggezza convenzionale e sembra che complichino il cosiddetto processo di pace, perché qualcuno dovrebbe firmare dei nuovi accordi? Di fatto, nel 1945, quando vennero stabilite le Nazioni Unite, l’Articolo 80 delle Nazioni Unite fece propri i precedenti trattati internazionali i quali accordavano allo stato ebraico l’intera regione ad ovest del fiume Giordano. Nel 1967, quando la Risoluzione 242 venne approvata dall’ONU essa affermava chiaramente che Israele non è obbligato a un completo ritiro dai territori catturati durante la Guerra dei Sei Giorni. Ci furono tre settimane di dibattiti sulla formulazione finale perché gli arabi appoggiati dai sovietici volevano introdurre la clausola, “ritiro da tutti i territori” e fortunatamente, alla fine ci si rese conto che se avesse dovuto esserci un completo ritiro per quale motivo prendersi la briga di negoziare? Se si soddisfa l’aggressore, la cui aggressione ha di fatto causato la guerra, come ci si può aspettare che la pace duri nella regione? Dalla Risoluzione 242 a oggi, Israele ha già restituito l’intero Sinai. L’intero Sinai è approssimativamente il 90% di tutto il territorio controllato da Israele dalla guerra del 1967 e la domanda è, l’estensione di questo territorio non soddisfa già il requisito del ritiro dai territori? Mi lasci aggiungere questo, nel trattato di pace egiziano-israeliano di Camp David del 1979 firmato da Stati Uniti, Egitto e Israele, c’è un riferimento a una autonomia “amministrativa” palestinese. Israele ha accettato di restituire all’Egitto l’intero Sinai per avere il trattato di pace. Una volta che il mondo decide che questa autonomia amministrativa deve essere trascurata e invece debba esserci uno stato sovrano, può Israele chiedere la restituzione dell’intero Sinai? Ovviamente non si possono riprendere i territori ceduti ma ci si può rimangiare qualsiasi accordo verbale fatto. Il segnale a Israele può essere quello di non firmare più impegni internazionali, perché questo tipo di impegni comportano una concessione territoriale da parte di Israele in cambio di una concessione retorica araba che è molto facile rimangiarsi. La conclusione è che i trattati internazionali sono vincolanti, sia che complichino la realtà oppure no, sono vincolanti, e se lo sono, Israele ha un diritto sull’intera area a ovest del fiume Giordano.

In un articolo fondamentale pubblicato nel 1991, Eugen W. Rostow, uno degli architetti della Risoluzione 242, scriveva, “Gli arabi della West Bank potrebbero costituire una popolazione della provincia autonoma della Giordania o di Israele a seguito del corso dei negoziati. Questo veniva scritto tre anni prima degli Accordi di Oslo”. L’idea di una futura integrazione degli arabi della West Bank in Giordania è una opzione più possibile e realistica di quella dei due stati?

La domanda è cosa si intende per “realistico”. Per me l’obbiettivo dovrebbe essere principalmente quello di minimizzare potenziali sommovimenti tettonici nella regione. In modo da minimizzarne la natura vulcanica, dovrebbe essere Israele a controllare le montagne della Giudea e della Samaria. Le farò un esempio. Negli anni ’70, la Siria che allora era una potenza militare formidabile, invase la Giordania, una potenza militare relativamente debole. L’obbiettivo era quello di espandere la Siria appoggiata dai sovietici in quella che loro chiamavano Siria del sud e da lì penetrare in Arabia Saudita e infliggere un forte colpo sia economico che di sicurezza nazionale agli interessi occidentali. Gli Stati Uniti non poterono assistere i giordani a fronte dell’invasione siriana, poiché erano coinvolti in Vietnam, nel Laos e in Cambogia. Nixon chiamò Golda Meir e le chiese di aiutare la Giordania nel suo tentativo di respingere l’invasione siriana. Nell’arco di 24 ore Israele mobilitò l’IDF alle frontiere israeliane-siriane-giordane, e l’invasione siriana venne respinta senza sparare un solo colpo. Se si riavvolge il nastro e si torna al 1970 con Israele ristretto nell’arco delle nove, quindici miglia della striscia lungo il Mediterraneo, dominata dalle montagne della Giudea e della Samaria, non ci sarebbe stato alcun modo in cui avrebbe potuto deviare l’invasione siriana della Giordania. In Giudea e Samaria Israele ha assolto la funzione del principale avamposto occidentale nel Medioriente, respingendo gli elementi radicali, assistendo quelli pro-occidentali. Oggi Israele rappresenta la maggiore assicurazione sulla vita per la Giordania e per i paesi arabi pro-occidentali produttori di petrolio, come l’Arabia Saudita, il Bahrein, Abu Dubai etc. Questi paesi produttori di petrolio non hanno relazioni diplomatiche con Israele ma considerano Israele un alleato fondamentale nel tentativo di contrastare il terrorismo islamico ai loro bordi e fuori di essi, nel loro tentativo di contrastare l’Iran. L’Europa, sfortunatamente, non è coinvolta in questo tentativo in maniera seria. Gli arabi non rispettano l’Europa, che sotto molti aspetti ha perso il proprio desiderio di sopravvivenza, sicuramente quello di flettere i muscoli, e di conseguenza considerano Israele un’assicurazione sulla vita molto più attendibile. Questo è il motive per cui oggi c’è una cooperazione tra questi stati arabi e Israele. Cooperazione nel contrastare il terrorismo, cooperazione di intelligence e di formazione. Se Israele non controllasse l’area montagnosa della Giudea e della Samaria, Israele, da produttore di sicurezza nazionale diventerebbe un consumatore di sicurezza completamente dipendente dagli Stati Uniti, invece di estendere come fa correntemente il braccio strategico americano.

Da quello che dice è chiaro che lei considera il controllo israeliano delle montagne della Giudea e della Samaria come strategicamente essenziale.

Assolutamente. Il controllo israeliano delle montagne della Giudea e della Samaria aumenta la sua postura deterrente. Quando si vive in un circondario violento come il Medioriente non ci si basa solo sulla polizia locale ma sulla propria postura di deterrenza. Una postura di deterrenza sostenibile minimizza gli incentivi ad attaccare da parte dei vicini violenti. D’altro canto, avere una posizione di deterrenza inferiore costituisce un incentivo per lo sconfinamento all’interno del proprio spazio vitale. La stessa cosa si applica a Israele. Quando si parla di una entità araba che controllerebbe le montagne della Giudea e della Samaria che dominano l’Israele ante 1967, ciò significherebbe per Israele non solo ridurre la propria postura di deterrenza ma perderla e diventare completamente dipendente dalla buona volontà da parte americana di venire in suo soccorso in una giornata di tempesta. Israele e nessun altro paese può permettersi di essere dipendente da una assistenza esterna. Ogni paese, ogni individuo, dovrebbe essere autosufficiente quando si tratta di sicurezza personale e nazionale.

Questo ci riporta all’estrema volatilità regionale.

Sì. Mentre oggi la Giordania è sicuramente una alleata di Israele nel contesto dell’intollerante, imprevedibile, violento e tettonico Medioriente, è la Giordania di oggi. Per definizione, i regimi mediorientali sono provvisori, come abbiamo visto con Mubarak in Egitto, come vediamo con la Siria, come abbiamo visto con Saddam Hussein in Iraq. Quando si tratta di un paesaggio del genere sappiamo per certo che ci saranno dei cambi di regime nei paesi che circondano Israele. La Giordania che è un elemento positivo oggi potrebbe diventare un elemento negativo e un nemico deciso domani, e dunque, per tornare alla sua domanda precedente, affidare le montagne della Giudea e della Samaria a una Giordania amichevole sarebbe subordinare una realtà a lungo termine a una convenienza a breve termine. L’importanza critica della Giudea e della Samaria non risiede unicamente nel fatto che si tratta di una regione al cuore dell’identità ebraica, religiosa, storica, culturale, nazionale, ma sul fatto che oggi la Giudea e la Samaria costituiscono un elemento strategico cruciale in quanto dominano la strada tra Tel Aviv e Gerusalemme. Se retrocediamo alla realtà pre-1967 Gerusalemme di base è una enclave circondata da un’area araba, quando una breve striscia connetteva Tel Aviv a Gerusalemme e l’unica strada da Tel Aviv a Gerusalemme era dominata dalla Giordania. Per di più le montagne della Giudea e della Samaria circondano Gerusalemme e dominano l’unico aeroporto praticabile di Israele, Ben Gurion. Le montagne dominano l’area di Tel Aviv, dominano il pezzetto lungo il Mediterraneo, il che significa che i crinali montagnosi della Giudea e della Samaria dominano circa l’80% della popolazione e delle infrastrutture di Israele. Chiunque abbia il controllo di queste montagne può determinare il destino di Israele. L’Occidente dovrebbe sostenere un controllo israeliano delle montagne della Giudea e della Samaria perché ciò estenderebbe il suo ruolo strategico nel Medioriente, assicurerebbe la sopravvivenza dei regimi filo-occidentali che oggi sono minacciati dall’Iran, dal Jihad islamico, dalla realtà in Siria, che domani potrebbe anche caratterizzare la realtà della Giordania.

Sono anni che sentiamo dire che la presenza dei cosiddetti “coloni” nella regione della Giudea e della Samaria, non più di 450.000 persone, sarebbe una delle ragioni principali, se non la ragione principale, dell’instabilità regionale e che per potere raggiungere la pace una decisione saggia sarebbe quella di sradicarli da dove si trovano.

Questo è un altro esempio del tentativo di semplificare la realtà in modo da ottenere una convenienza a breve termine e mandare al diavolo la realtà a lungo termine. Innanzitutto il conflitto arabo-israeliano non ha avuto inizio con il rinnovamento della presenza ebraica in Giudea e Samaria. L’ondata terrorista palestinese-araba durante gli anni ’20 e ’30 antecede la nascita dello stato ebraico e sicuramente antecede il 1967. La prima guerra araba contro Israele, quando gli arabi cercarono di sbarazzarsi del giovane stato ebraico che venne stabilito nel 1948, ebbe luogo diciannove anni prima che la prima comunità ebraica si ristabilisse in Giudea e Samaria. L’organizzazione di Fatah che è guidata da Mahmoud Abbas e prima di lui da Arafat, venne fondata nel 1959 e il suo obbiettivo strategico principale era la liberazione della Palestina. Otto anni prima che il primo insediamento ebraico fosse stabilito in Giudea e Samaria. L’OLP, capeggiata da Arafat e quindi da Mahmoud Abbas, venne stabilita nel 1964, e ancora una volta, il suo principale obbiettivo strategico era la liberazione della Palestina, tre anni prima la guerra del 1967. Si dovrebbe notare che in relazione agli Accordi di Oslo del 1993 è l’OLP ad essere la fonte dell’autorità dell’Autorità Palestinese. Non vi è dubbio che quando si risale all’origine del conflitto arabo-israeliano, all’origine del terrorismo palestinese, essi non hanno assolutamente nulla a che vedere con gli insediamenti ebraici. Quando parliamo degli insediamenti in Giudea e Samaria, stiamo parlando di ebrei che hanno rinnovato la loro presenza nella culla della loro storia, un fatto che rende giustizia alla storia umana e, allo stesso tempo, rende giusta a persone che sono ritornate dove la loro storia e la loro memoria sono incastonate. C’è anche una questione di moralità occidentale coinvolta relativamente alla differenza tra insediamenti ebraici e insediamenti arabi. All’interno dell’Israele pre-1967 abbiamo 1,8 milioni di arabi i quali vivono fianco a fianco con 6,8 milioni di ebrei. Nessun governo israeliano ha mai dichiarato il proprio interesse nel volere sradicare i coloni arabi nell’Israele pre-67 come prerequisito per la normalizzazione o la pace. Sarebbe altamente immorale. La domanda è, perché 1, 8 milioni di coloni arabi all’interno dell’Israele pre-1967 costituiscono una realtà morale giustificata, mentre i 450.000 ebrei in Giudea e Samaria rappresentano un ostacolo alla pace? Inoltre dobbiamo sentire la richiesta di congelare le costruzioni ebraiche in Giudea e Samaria perché così si faciliterà la pace. Non ho mai ascoltato nessuno dichiarare che dobbiamo frenare le costruzioni arabe in Giudea e Samaria in modo da facilitare la pace. Se non congeliamo le costruzioni arabe ma solo quelle ebraiche non pregiudichiamo l’esito dei negoziati? E se pregiudichiamo l’esito dei negoziati perché negoziare in prima istanza? Nessun israeliano sano di mente si aspetterebbe che gli arabi all’interno di Israele congelino le loro costruzioni mentre gli ebrei sono liberi di costruire. Gli arabi sono liberi di costruire legalmente e anche gli ebrei godono della stessa libertà. La stessa cosa dovrebbe valere per Giudea e Samaria.

Mi sembra evidente da ciò che dice che lei non pensa che fermare le costruzioni in Giudea e Samaria possa modificare in alcun modo il panorama politico. E’ così?

Per Israele soccombere alla pressione araba e astenersi dal costruire nell’area significherebbe un segno di pacificazione. In Medio Oriente un simile gesto da parte di Israele è visto in una sola maniera, come una manifestazione di debolezza. E una volta che si manifesta la debolezza non solo si invita altra pressione ma altra violenza, la quale mina ulteriormente la stabilità e la ricerca della pace.



Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e occupato alcuna terra altrui e non opprimono nessuno
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 205&t=2825
Gli ebrei d'Israele non hanno rubato e non hanno occupato nessuna terra altrui, nessuna terra palestinese poiché tutta Israele è la loro terra da 3mila anni e la Palestina è Israele e i veri palestinesi sono gli ebrei più che quel miscuglio di etnie legate dalla matrice nazi maomettana abusivamente definito "palestinesi" e tenute insieme dall'odio per gli ebrei e dai finanziamenti internazionali antisemiti.



RIMETTERE ORDINE NEI FATTI
Niram Ferretti
18 novembre 2019

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

E giunge, finalmente, una dichiarazione che segna una svolta decisiva. A farla è il Segretario di Stato americano, Mike Pompeo.
"Dopo avere attentamente studiato tutte le parti del dibattito legale, siamo giunti alla conclusione che la creazione di insediamenti civili israeliani in Cisgiordania non è di per sé incompatibile con il diritto internazionale".
È una dichiarazione che giunge dopo il verdetto della Corte di Giustizia Europea che ha stabilito che i prodotti che provengono dagli insediamenti della Cisgiordania o Giudea e Samaria (suo nome storico) o West Bank vanno etichettati perché gli insediamenti sono illegali per il diritto internazionale.
Ma questa è una menzogna ciclopica. Non esiste alcun diritto internazionale che abbia stabilito che gli insediamenti in Cisgiordania sono illegali. Esiste il Mandato Britannico per la Palestina del 1922 fatto poi proprio dalla Società delle Nazioni poi diventata ONU, secondo il quale gli ebrei avevano il diritto di stabilirsi ovunque a occidente del fiume Giordano.
Questo è il documento fondamentale, sopra tutti gli altri, che non esistono, in quanto esistono solo risoluzioni dell'ONU che hanno stabilito, a maggioranza araba e musulmana, che Israele "occuperebbe" territori che non gli appartengono e violerebbe il diritto internazionale.
I territori della Cisgiordania non hanno, dalla fine del impero ottomano, un detentore sovrano. Il Mandato britannico per la Palestina li assegnò agli ebrei.
Nel 1947, il Comitato dell'Assemblea Generale dell'ONU modificando le disposizioni del Mandato, suggerì un piano di partizione secondo il quale avrebbero dovuto nascere due Stati, uno ebraico e l'altro arabo, così composti: Quello arabo avrebbe dovuto includere la parte centrale e occidentale della Galilea, incluse la città di Acco e i territori della Giudea e della Samaria, una enclave a Giaffa e un pezzo della fascia costiera a sud che avrebbe incluso anche la Striscia di Gaza, con una porzione di deserto lungo il confine egiziano. Lo Stato ebraico avrebbe dovuto includere la Galilea orientale, la piana costiera da Haifa a Rehovot e parte del deserto del Negev fino a Eliat. Gerusalemme sarebbe stata un corpus separatum.
Malgrado molte riserve gli ebrei accettarono questa ulteriore diminuzione delle loro prerogative mentre gli arabi la rifiutarono in toto. La Risoluzione 181, non è dunque mai entrata in essere ed è stata definitivamente spazzata via dalla decisione araba di attaccare Israele per distruggerlo nel 1948.
A seguito della guerra del 1948, la Giordania occupò militarmente la Giudea e la Samaria e se l'annesse nel 1950. Gli ebrei vennero espulsi tutti.
Come è noto, dopo la guerra dei Sei Giorni del 1967, Israele catturò i territori dalla Giordania, quei territori che il Mandato Britannico le aveva assegnato, e che la Risoluzione 181 voleva toglierle.
Torniamo ora alla dichiarazione di Mike Pompeo che è una dichiarazione della Casa Bianca la quale afferma che gli insediamenti in Cisgiordania non sono in contrasto con il diritto internazionale. Ed è così che è effettivamente. Non lo sono. Non lo sono mai stati.
Lo sono per l'ONU e per la UE, ma non, adesso, per gli Stati Uniti.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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