Benjamin Netanyahu - בנימין נתניהו 24 marzo 2023
https://www.facebook.com/Netanyahu/post ... EA6aQRD4blCittadini di Israele,
Ho visitato l'ufficio di redazione a Tel Hashomer questa settimana. Ho incontrato giovani uomini e donne che si uniscono all'IDF per servire e proteggere tutti noi.
Nella storia del popolo ebraico, la cosa peggiore che ci è capitata è stata che abbiamo perso la capacità di difenderci. Perciò, generazioni di Giudei, per migliaia di anni, furono come foglie spazzate via dal vento. Non c'era niente che potessimo fare.
Quando siamo tornati indietro e abbiamo stabilito il paese d'Israele abbiamo stabilito la capacità di difenderci. La capacità di difenderci sono i soldati e i soldati di FDI. Questo è il grande cambiamento che si è generato.
Chi vuole distruggerci non è scomparso. La minaccia più grande è il tentativo dell'Iran di armarsi di un'arma nucleare pericolosa e mortale contro di noi.
Pertanto continuo il mio viaggio politico per migliorare le posizioni internazionali contro la corsa dell'Iran alle bombe atomiche contro di noi.
In questo contesto, ho incontrato oggi il primo ministro del Regno Unito, Rishi Sonak. Abbiamo anche parlato di approfondimento della cooperazione strategica tra noi in campo della sicurezza, dell'intelligence ed economico.
Israele farà di tutto per impedire all'Iran di usare armi nucleari,
E farò di tutto per garantire l'unità e per calmare lo spirito della nazione israele
Le persone sono fratelli noi siamo.
Abbiamo un paese e dobbiamo fare di tutto per proteggerlo dalle minacce esterne, e da uno strappo irreparabile dall'interno. Non possiamo permettere che nessuna controversia, per quanto piccante possa essere, metta a repentaglio il futuro comune di tutti noi.
Proteggeremo il paese. Proteggeremo il popolo. Salveremo la democrazia. Conserveremo i valori importanti per tutti noi.
Non abbiamo un altro paese.
Shabbat Shalom a tutti voi.
Israele. Crisi costituzionale in atto o peggio?Giorgio Gomel
24 marzo 2023
https://www.bethhillelroma.com/2023/03/ ... -o-peggio/Come da tempo il mondo ebraico progressista in Israele e nella Diaspora sostiene, solo la fine di un’occupazione di 55 anni della Cisgiordania e la nascita ivi di uno stato palestinese in rapporti di buon vicinato con Israele può assicurarne l’esistenza come stato democratico con maggioranza ebraica. Altrimenti il futuro implica la scelta fra uno stato binazionale arabo-ebraico segnato da una perenne guerra civile fra le due etnie o uno stato esclusivamente ebraico con i palestinesi privati di ogni diritto.
Oggi dopo le elezioni del novembre scorso vinte con meno dell’uno per cento del voto popolare da una coalizione di partiti suprematisti, integralisti e autoritari, che hanno conseguito 64 seggi su 120 nel parlamento, anche in ragione di una clausola di sbarramento del 3,25 per cento del voto che ha escluso due partiti della sinistra giunti appena al di sotto, la democrazia del paese è in pericolo di vita.
Una democrazia non è definita solo dal potere di una maggioranza eletta in libere elezioni. È anche definita dall’esistenza di un sistema di contrappesi in cui il potere giudiziario esercita un’azione di controllo sui poteri legislativo ed esecutivo. In Israele, dove non vi è costituzione per ragioni complesse legate alla nascita del paese e al groviglio della sua storia di 75 anni, l’unico organo abilitato a valutare la conformità di atti di governo alle Leggi fondamentali è la Corte Suprema. I partiti al potere insistono per modificarne il potere consentendo ad una semplice maggioranza parlamentare di annullare eventuali sentenze della stessa Corte a loro sgradite. Inoltre, una democrazia è definita dal rispetto dei diritti delle minoranze, come insegnano anche la stessa vicenda storica degli ebrei nel mondo – minoranza esigua, discriminata e perseguitata – e la Bibbia che insiste nei suoi testi sull’importanza del rispetto dello straniero. La Dichiarazione di Indipendenza di Israele del 1948 impone di assicurare la “completa uguaglianza dei diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti indipendentemente dalla religione, dalla “razza” o dal sesso”. Da esponenti dei partiti al potere sono venuti atteggiamenti e atti razzisti contro gli arabi. Nella stessa Dichiarazione si afferma che il paese “sarà aperto all’immigrazione di ebrei dal mondo e al ritorno di essi dalla dispersione dell’esilio”, senza definire il “chi è ebreo”. La Legge del ritorno ha consentito ad ebrei di immigrare in Israele ottenendone la cittadinanza. Le intese di governo impedirebbero tale prassi, definendo in modo più restrittivo l’ebraicità, mettendo in discussione le fondamenta stesse del progetto sionista che ha immaginato Israele come lo stato del popolo ebraico e portando ad una frattura profonda fra esso e l’ebraismo della Diaspora. Inoltre, la coalizione al potere cerca di imporre rigidi standard ortodossi sulle espressioni dell’identità ebraica, come il divieto di preghiera delle donne al Muro del Pianto a Gerusalemme e di spazi egualitari non solo per uomini e donne ma anche per le molteplici correnti dell’ebraismo.
Sul piano dei rapporti con i palestinesi, gli accordi di governo limitano esplicitamente ai soli ebrei il diritto di autodeterminazione sulla terra compresa tra il fiume Giordano e il Mediterraneo. Sarà estesa la legge civile israeliana alla Cisgiordania, il che equivale all’annessione de jure o de facto della stessa. Se infatti in virtù di un regime militare di occupazione come quello in vigore dal 1967 al 1993 per l’intera Cisgiordania e dagli accordi di Oslo di quell’anno per la zona C – circa il 60 per cento della superficie della stessa – il diritto internazionale impone di proteggere la popolazione che vi abita, qualora vi sia un potere civile non vi è alcun quadro giuridico che vieti il sussistere di due leggi diverse e discriminanti nello stesso territorio, l’una per gli ebrei, l’altra per gli arabi. Ciò avviene in un contesto in cui la violenza di formazioni militanti del mondo palestinese e l’azione di repressione dell’esercito israeliano hanno prodotto sul terreno da mese di marzo 2022 vittime e lutti non più registrati dalla fine nel 2005 della seconda intifada.
Un profondo scisma attraversa e lacera dunque la società israeliana. Proteste massicce da settimane di vasti settori dell’opinione pubblica, forme di quasi “obiezione di coscienza” di reparti della riserva dell’esercito – nell’aviazione, nell’intelligence, nella sanità militare, azioni di disobbedienza civile dimostrano la gravità della crisi e il pericolo acuto di una disintegrazione del paese. Il mondo ebraico della Diaspora, dagli Stati Uniti all’Europa all’America latina, con appelli, petizioni e manifestazioni pubbliche (
www.jlinknetwork.org, per una sintesi) denuncia il degrado antidemocratico del paese e sostiene cittadini e organizzazioni della società civile di Israele che si sono mobilitati in opposizione alle scelte politiche del governo.
IL CEDIMENTONiram Ferretti
25 marzo 2023
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063 Una riforma della giustizia necessaria e tardiva, che consentirebbe a Israele di mettersi sullo stesso piano delle altre democrazie occidentali, è stata presentata come un tentativo di sovvertimento democratico, come un colpo di Stato. Tutto questo perchè finalmente, dopo almeno vent'anni, un governo coeso ha deciso di riequilibrare il potere abnorme, imperiale, della Suprema Corte.
Quello a cui abbiamo assistito non ha precedenti. Un Segretario di Stato americano che a gennaio, subito dopo l'insediamento di un governo legittimamente eletto, trovandosi in Israele, dice al Primo Ministro israeliano che la riforma della giustizia, una questione di politica strettamente interna, deve essere concertata con il massimo consenso, a cui poi fanno seguito Joseph Borell, Emanuel Macron, Olaf Scholtz. Politici e capi di Stato stranieri che intervengono per dire la loro sulla riforma di uno Stato sovrano.
Si pensi se Netanyahu fosse intervenuto sulla decisione della Corte Suprema americana di abolire la entenza Roe v. Wade con cui nel 1973 la stessa Corte aveva legalizzato l'aborto negli Usa. Si pensi se fosse intervenuto in merito alla decisione di Macron di fare passare la riforma delle pensoni senza il concorso dell'Assemblea. Impensabile no? Eppure quello che vale per gli altri Stati non può valere per Israele.
Nel mentre, in Israele ONG di etrema sinistra si danno il passa parola, sostenute dalla maggioranza dei media, televisioni, giornali. Il passaparola è che la riforma attenti alla democrazia, che se dovesse passare, Israele diventerebbe una dittatura. L'isteria monta. Giungono allarmi da parte di agenzie di rating americane le quali ipotizzano senza specificare il nesso causale, che la riforma della giustizia potrebbe portare a gravi conseguenze economiche per il paese.
Di seguito la protesta si allarga all'esercito. Un gruppo di riservisti si rifiuta di presentarsi all'addestramento militare anche loro lamentando il rischio di deriva antidemocratica. Le piazze si riempono di decine di migliaia di persone, mostrando come ciò che scriveva Gustave Le Bon a fine Ottocento a proposito della psicologia delle folle sia sempre attuale.
“Annullamento della personalità cosciente, predominio della personalità inconscia, orientamento, determinato dalla suggestione e dal contagio, dei sentimenti e delle idee in un unico senso, tendenza a trasformare immediatamente in atti le idee suggerite, tali sono i principali caratteri dell’individuo in una folla. Egli non è più sé stesso, ma un automa diventato impotente a guidare la propria volontà.”
In questo contesto irrazionale ed esagitato, la moglie di Netanyahu è costretta a farsi scortare fuori da un centro estetico a causa di un cordone di manifestanti che ne blocca l'uscita, lo stesso premier, in partenza per l'Europa deve confrontarsi con il rifiuto dei piloti dell'El Al, la principale compagnia di bandiera israeliana di offrirgli il loro servizio. A Roma, dove si ferma per la prima tappa, la traduttrice italiana scelta per tradurre il suo discorso si rifiuta di farlo.
E ora siamo arrivati al cedimento. Il Ministro della difesa, Yoav Gallant, in un discorso alla tv, chiede che la riforma venga fermata e che si inizino subito le trattative con l'opposizione. Per il bene del paese. "La spaccatura nella società è entrata nell'esercito e rappresenta un pericolo immediato per la sicurezza del paese". Subito Yair Lapid palude al responsabile, alla voce del buonsenso. Altri tre parlamentari del Likud appoggiano Gallant.
Lo spettro del rischio della sicurezza del paese è quello di maggiore presa, anche se il numero dei riservisti che hanno manifestato il loro dissenso sono 450. Scrivono una lettera in cui dichiarono di non avere "Nessun contratto con un dittatore. Saremo contenti di dare il nostro apporto volontario quando la democrazia sarà salvaguardata".
I riservisti in Israele sono 408,000. Bastano 450 estremisti che chiamano Netanyahu "dittatore" per determinare il rischio per la sicurezza dello Stato?
Gallant pensa davvero che l'opposizione retta da veri galantuomini come Lapid e Gantz i quali nel passato più recente hanno presentato Netanyahu come un misto tra Luck Luciano e Al Capone, e che hanno costantemente soffiato sul fuoco della "guerra civile", vogliano giungere a un buon compromesso?
La loro intenzione è semplicemente quella di affossare la riforma, di farla sparire dalla scena, di preservare intatto lo strapotere della Corte Suprema, la creazione di Ahron Barak, massimalista giuridico, "despota" e "bucaniere" secondo Richard Posner, tra i maggiori giuristi americani, artefice della riforma radicale della giustizia che ha avuto luogo dai primi anni Novanta ad oggi, la quale ha sostanzialmente messo la mordacchia all'esecutivo e al legislativo.
"Il governo parallelo di Israele", come lo ha definito Ahmon Rubinstein, non può accettare in alcun modo che vengano posti limiti alla sua influenza ideologicamente progressista. Sono trent'anni che domina, trent'anni che interferisce sulle prerogative dell'esecutivo e del legislativo, che si sostituisce al corpo elettorale e ai partiti, soprattutto a quelli di destra che, negli ultimi vent'anni sono stati al governo del paese.
Il cedimento di Gallant, la paura, è il migliore regalo che si possa fare ai difensori dello status quo, ai preservatori dell'esistente e all'enorme potere di cui dispongono.
Inizia alla Knesset l'esame della riforma. Gallant e Dichter: va fermata. Migliaia ancora in piazzaIsraele, i giorni del voto. Ma ora due ministri "sfiduciano" Netanyahu
Francesco De Palo
26 Marzo 2023
https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 31034.html Inizia oggi in Israele l'iter parlamentare per approvare definitivamente la legge sul sistema di elezione dei giudici, parte centrale della controversa riforma giudiziaria promossa dal governo di Benjamin Netanyahu. Dal pomeriggio di ieri, e fino alla serata inoltrata, per il dodicesimo sabato consecutivo, il paese è stato interessato da un'imponente manifestazione di protesta foraggiata dai movimenti pacifisti e dalla sinistra israeliana, che hanno srotolato slogan come «Nessuno è al di sopra della legge», brandendo una foto di Netanyahu, Putin e Trump nel centro di Tel Aviv, in Kaplan Street.
Nel mirino dei contestatori non solo il premier, ma anche il ministro della Giustizia, Yariv Levin, autore della radicale riforma che punta a depotenziare l'eccessivo potere della magistratura israeliana che, va ricordato, può addirittura cancellare le leggi fatte dal Parlamento che in seguito non possono essere ripristinate, se non con un sistema estremanente farragginoso.
Dal momento che Israele non possiede una costituzione scritta, ma solo un insieme di leggi fondamentali, la Corte Suprema è di fatto il player più potente del paese. Per cui se il testo di riforma passasse, la Knesset potrebbe influire sul modo in cui vengono selezionati i giudici e sulle leggi su cui la Corte Suprema può pronunciarsi, di fatto interrompendo un certo abuso che la magistratura ha fatto del cosiddetto principio 'della ragionevolezza'.
Tra gli speaker scesi in piazza ieri nomi come l'ex ministro Tzipi Livni, il professor Yuval Noah Harari e Sophia Cohen, la figlia di Eli Cohen. Centinaia di manifestanti hanno bloccato lo svincolo di Karkur sull'autostrada Route 65 nel nord di Israele, quattro sono state le persone arrestate dalla polizia per aver lanciato dei razzi. Un gruppo che rappresenta i riservisti ha manifestato nella città natale del ministro della difesa, accusandolo di «prestare mano alla dittatura», portando barelle che rappresentavano i «primi corpi della guerra civile in arrivo», hanno gridato. Secondo il gruppo «il colpo di stato che sta dilaniando il popolo deve essere fermato ora prima che scoppi una guerra fratricida. Qui andiamo sotto la barella come facciamo nel nostro servizio militare e chiediamo di fermare il regime dittatoriale legislazione ora».
Il ministro dell'Agricoltura Avi Dichter, del Likud, ha chiesto al governo di sospendere i progetti di revisione giudiziaria fino a dopo il Giorno dell'Indipendenza, che cadrà il prossimo 26 aprile: «Non ci sarà modo di tornare indietro», ha dichiarato al notiziario di Channel 12. Dichter, ex direttore dell'agenzia di sicurezza Shin Bet, si unisce alle critiche mosse dal ministro della Difesa Yoav Gallant, che ha chiesto il congelamento della riforma per via della «spaccatura nella società penetra nell'esercito e questo è un pericolo immediato e tangibile per la sicurezza dello Stato», sollecitando colloqui multilaterali sulla riforma.
Oltre alle proteste già svolte in 150 città, che hanno fatto segnare ieri la partecipazione record nella storia di Israele, gli organizzatori hanno annunciato da oggi l'inizio della cosiddetta settimana dello sciopero, con picchetti permanenti contro ministri e parlamentari della coalizione davanti alle loro abitazioni e davanti alla Knesset.
Chi non rispetta gli impegni?David Elber
26 Marzo 2023
http://www.linformale.eu/chi-non-rispetta-gli-impegni/ Alcuni giorni fa la Knesset ha approvato, in via definitiva, una legge che annulla di fatto una parte di una legge (the Disengagement Law) voluta dall’allora premier Ariel Sharon con la quale il governo si impegnava a smantellare tutti gli insediamenti presenti nella Striscia di Gaza e in 4 località nel nord della Samaria. Questa nuova legge appena approvata permette il reinsediamento nelle quattro località della Samaria che furono evacuate nel 2005.
Immediatamente si sono levate le critiche internazionali per questa decisione, giudicata inaccettabile, che allontanerebbe la pace e la soluzione di due Stati che conviverebbero fianco a fianco. In particolar modo hanno destato sorpresa le durissime parole e le azioni del Dipartimento di Stato USA, che ha convocato l’ambasciatore israeliano a Washington, Mike Herzog, per manifestargli tutta la disapprovazione dell’Amministrazione Biden. Inoltre, in precedenza, il vice portavoce del Dipartimento di Stato, Vedant Patel, aveva definito l’approvazione di questa legge come “un grave atto con il quale Israele non rispetta gli impegni presi con gli Stati Uniti”.
Entreremo nel merito soltanto di questo ultimo aspetto: l’accusa nei confronti di Israele formulata dal Dipartimento di Stato di non “rispettare gli impegni presi con gli USA”. Questa frase, per chi conosce anche solo superficialmente le relazioni tra USA e Israele, suona risibile. Sono cinquanta anni che gli USA non rispettano gli impegni presi nei riguardi di Israele. Tra i tanti che se ne possono citare ne forniremo tre esempi.
Memorandum tra i governi di Israele e degli Stati Uniti d’America
Questo memorandum fu firmato nel 1975 dall’allora presidente Gerald Ford alla vigilia delle trattative tra Israele e l’Egitto che si sarebbero tenute di lì a poco a Ginevra per formalizzare il cessate il fuoco dopo la guerra di Yom Kippur del 1973.
Tra i vari “impegni” che gli USA assicuravano ad Israele c’era quello di rispettare in toto le disposizioni sancite dalle Risoluzioni 242 e 338, di garantire il veto americano alle risoluzioni del Consiglio dell’ONU giudicate palesemente anti-israeliane e di non riconoscere l’OLP fintanto che non avesse formalmente e nei fatti riconosciuto il diritto all’esistenza dello Stato di Israele. Infine di garantire la sicurezza di Israele se minacciato da potenze straniere. Tutti impegni disattesi nel corso dei decenni successivi ad iniziare dall’Amministrazione Carter insediata alla fine dell’anno successivo.
Accordi di Oslo
Gli USA sono – in teoria – dei garanti degli accordi e come tali dovrebbero comportarsi, cioè mantenere una posizione super partes e non come hanno iniziato a fare fin da subito premendo politicamente e in modo incessante solo ed esclusivamente su Israele. Tale situazione si è aggravata con l’amministrazione Bush per raggiungere un livello drammatico con le richieste dell’amministrazione Obama. Comportamento ora ripreso dall’amministrazione Biden. Tra queste si possono ricordare: richiesta di congelamento delle costruzioni nell’Area C, cosa non prevista in nessun punto degli Accordi di Oslo; liberazione di terroristi per riprendere i colloqui di pace interrotti dai palestinesi; utilizzare come base di partenza delle nuove trattative gli inesistenti “confini del ‘67” come futuri confini. A questo di può aggiungere la definizione dei centri abitati dagli ebrei in Giudea e Samaria come “insediamenti illegali per il diritto internazionale” anche se nulla di tutto ciò trasgredisce il diritto internazionale.
Questo ci conduce al terzo e ultimo esempio, quello che ha a che fare con la stretta attualità.
Scambio di lettere tra Sharon e George W. Bush
Nella lettera di Sharon (2004) al presidente G. W. Bush si motivava “l’impegno” di un ritiro unilaterale di Israele dalla Striscia di Gaza e da alcune aree del nord della Samaria con la finalità di «stimolare dei cambiamenti positivi nell’Autorità Palestinese che possono creare le necessarie condizioni per riprendere dei negoziati diretti». A Distanza di 19 anni quali “cambiamenti positivi” si sono verificati nell’Autorità Palestinese dopo il ritiro israeliano? Nessuno. Infatti, continua a pagare lautamente i terroristi, incita l’odio antisemita con i libri di testo scolastici finanziati da USA, UE e ONU. Infine, l’AP non ha mai voluto riprendere dei negoziati diretti e senza precondizioni. A questo, poi, si deve aggiungere che ha perso il controllo della Striscia di Gaza (2007) che è diventata una piattaforma di Hamas per il lancio di missili verso Israele e non certo, la prevista area di sviluppo economico, e di convivenza pacifica come modello per i due Stati per due popoli che vivono in pace fianco a fianco. Alla luce di tutto questo si può parlare ora, con l’approvazione di questa legge, del fatto che Israele non “rispetti gli impegni verso gli USA”? Non proprio.
Su cosa, invece, si “impegnava” il presidente Bush con la sua lettera a Sharon?
I punti principali che si leggono sono: «… Gli Stati Uniti ribadiscono il loro fermo impegno alla sicurezza di Israele, inclusi sicuri e difendibili confini…» In pratica Bush ribadisce quanto sancito dalle Risoluzioni 242 e 338 del Consiglio di Sicurezza. Più avanti, nella lettera si legge: «…Alla luce della nuova realtà sul terreno, inclusi i già esistenti principali centri di popolazione israeliana, è irrealistico aspettarsi che l’esito delle trattative sullo status definitivo sarà un pieno e completo ritorno alle linee armistiziali del 1949…». Come si può ben leggere la lettera di Bush dell’aprile 2004 parla di “centri di popolazione israeliana” e di “linee armistiziali del 1949”. Oggi l’amministrazione Bidien – come quella di Obama – parla di “insediamenti illegali secondo il diritto internazionale” e di “confini del ‘67”. Alla luce di quanto riportato, chi tra Israele e USA non ha rispettato gli “impegni” presi?
Il BabauDavide Cavaliere
12 Aprile 2023
http://www.linformale.eu/il-babau/Benjamin Netanyahu è uno degli uomini più odiati, non solo dalla stampa progressista di Israele, ma dai mass media di tutto il mondo. Fin dalla sua prima elezione, nel lontano 1996, è stato oggetto di continui attacchi politici e giudiziari, che non sono però riusciti a disarcionarlo in modo definitivo dalla carica di primo ministro. L’ondata di proteste sollevate dalla sinistra israeliana contro il progetto di riforma di un sistema giudiziario che, nel corso dei decenni, gli è stato pervicacemente ostile, sia sotto il profilo politico che sotto quello personale, sono solo l’ultimo atto di una sistematica campagna denigratoria che prosegue da oltre un ventennio.
Anche la moglie di Netanyahu, Sara Ben-Artzi, è stata vittima di una copertura negativa da parte della stampa mondiale, ed è anche finita al centro di una pretestuosa indagine volta a colpire lo scomodo consorte. Nel 2017, infatti, il procuratore generale Avichai Mandelblit, accusò Sara Netanyahu di aver ordinato dei pasti a spese dello stato senza autorizzazione. Il caso si è poi risolto in un nulla di fatto per mancanza di prove credibili.
Lo stesso premier, nella sua autobiografia, scrive: «nel periodo compreso tra giugno 2016 e dicembre 2019, ci sono state 561 notizie in prima serata televisive che coprivano le indagini contro di me, il 98% delle quali negative. Questo significa una notizia negativa a giorni alterni per tre anni e mezzo».
Benjamin Netanyahu è stato accusato di vari reati, la cui formulazione è apparsa fin da subito piuttosto fumosa: si va da sigari costosissimi, omaggio di un amico produttore cinematografico, fino al cosiddetto «caso 2000», riguardante un presunto accordo illecito stipulato tra lui e Arnon Mozes, editore di Yedioth Ahronoth, finalizzato a danneggiare Israel Hayom, il giornale finanziato dal proprietario di casinò Sheldon Anderson. Il 2016, invece, fu l’anno del «Submarine affair», ovvero quando gli venne imputato di aver acquistato sottomarini e navi non necessari da una società tedesca, al fine di avvantaggiare una seconda società della quale suo cugino Nathan deteneva quote minori.
Le azioni legali contro Netanyahu assomigliano a meri pettegolezzi, voci di corridoio trasformate in veri e propri «casi» da zelanti pubblici ministeri. Un canovaccio già visto negli Stati Uniti contro Donald Trump e in Italia contro Silvio Berlusconi. Nel frattempo, però, l’odio fomentato dai mass media contro il premier ha dato i suoi frutti avvelenati. Uno dei giovani figli del presidente, Avner Netanyahu, che, diversamente dal fratello Yair, non si occupa in alcun modo di politica, ha dovuto chiedere un ordine restrittivo nei confronti di un estremista di sinistra, chiamato Barak Cohen, che lo perseguitava accusandolo di «essere un ladro». In tempi più recenti, Sara Netanyahu è stata «sequestrata» in un salone di bellezza di Tel Aviv da parte di alcuni manifestanti anti-riforma. Per farle lasciare in sicurezza il beauty center è stato necessario l’intervento della polizia.
Gli assalti mediatici e giudiziari contro Netanyahu, come ricordato in un precedente articolo, discendono dal fatto che la sinistra non lo percepisce come un avversario politico, ma come un ostacolo sulla marcia per un Israele «denazionalizzato» e post-sionista. Se la sinistra israeliana analizzasse la sua storia recente, a cominciare, almeno, dai disastrosi e fallimentari Accordi di Oslo del 1993, capirebbe che il successo politico del Likud non è dovuto all’improvviso scatenarsi di oscure forze «reazionarie», bensì a una lunga serie di errori targati «laburista».
Le forze della sinistra socialista non solo non hanno garantito la pace, ma hanno gravemente minato la sicurezza di Israele. Fu Shimon Peres, allora Ministro degli Esteri di Rabin, a sostenere i negoziati segreti con l’OLP a Oslo. Dopo la firma degli accordi, nel 1994, Arafat scatenò il «Jihad per liberare Gerusalemme», che significò un’ondata di attentati suicidi nelle principali città israeliane. Non a caso, due anni dopo, a vincere le elezioni sarà proprio Netanyahu. L’illusione della «terra in cambio di pace» annebbierà anche Ehud Barak, Ariel Sharon e Ehud Olmert, che contribuiranno ulteriormente a indebolire Israele attraverso generose concessioni territoriali e politiche ai palestinesi.
La maggioranza degli israeliani ha però capito la lezione, ossia che è inutile discutere e negoziare con chi ti vuole annientare, per questo votano il Likud o partiti ancora più a destra come quelli di Ben Gvir e Smotrich. I cittadini israeliani, attraversono le elezioni, hanno premiato non una destra «estremista», ma una destra «realista», decisa a fronteggiare risolutamente il terrorismo e a non scendere a patti con organizzazioni antisioniste e antisemite.
Finora Netanyahu ha resistito bene ai diversi attacchi giudiziari, riuscendo sempre a incassare la maggioranza dei voti di una popolazione più interessata ai temi della sicurezza nazionale, che al prezzo dei sigari fumati dal capo del governo. Netanyahu è stato, ed è tuttora, con tutte le sue inevitabili pecche, una forza benefica per Israele. Lo stesso non si può dire per i suoi acerrimi nemici, la cui bile nera ha superato i livelli di tollerabilità.