I criminali magistrati sinistrati contro Netanyahu

Re: I criminali magistrati sinistrati contro Netanyahu

Messaggioda Berto » mer feb 15, 2023 9:52 pm

Riprendiamo da SHALOM di oggi, 14/02/2023, il commento di Ugo Volli dal titolo "Una grave crisi politica in Israele sulla riforma della giustizia".
Ugo Volli | La Nave di Teseo
Ugo Volli

https://www.facebook.com/carla.vivanti/ ... gTCZpmu4cl

I disordini
Lunedì 13 gennaio 2023 è stata una delle giornate più difficili dei settantacinque anni di storia della Knesset, il parlamento israeliano. Era in programma la discussione in Commissione affari costituzionali della prima parte della riforma dell’ordinamento giudiziario, che fa parte del programma con cui l’attuale maggioranza ha vinto le elezioni appena tre mesi fa. Vi sono state manifestazioni e disordini. Intorno all’edificio della Knesset si sono riunite decine di migliaia di persone e qualcuno è riuscito perfino a penetrare nell’edificio, interrompendo la riunione del gruppo parlamentare UTJ (i religiosi askenaziti, che fanno parte della maggioranza di governo). La riunione della commissione costituzionale è stata turbata da schiamazzi e perfino da violenze, i deputati dell’opposizione hanno cercato in ogni modo di impedire la riunione, scavalcando i tavoli e buttandosi contro la presidenza, trattenuti a stento dai commessi, e vi sono state 14 espulsioni. Nel frattempo vi sono state minacce di morte a Netanyahu e in generale alla maggioranza di governo: per esempio il sindaco di Tel Aviv, che è una delle persone più potenti del paese e sostiene l’opposizione, ha dichiarato pubblicamente che “solo un bagno di sangue” può “riportare la democrazia” in Israele.

Le proposte di legge
In concreto i provvedimenti da discutere nella commissione erano due. Il primo modifica la composizione del comitato che sceglie i giudici della corte suprema, spostandone l’equilibrio interno, che finora prevedeva una maggioranza automatica dell’apparato legale e un sostanziale diritto di veto per i vecchi giudici, in favore del Parlamento (il che naturalmente significa della sua maggioranza), come accade in molti paesi fra cui in parte anche l’Italia. L’altra proposta di legge elimina la possibilità di annullamento da parte della Corte Suprema delle “Leggi Fondamentali” che in Israele tengono il posto di una Costituzione che non è mai stata scritta in forma organica. Anche questo corrisponde a quel che accade in molti paesi: né negli Stati Uniti, né in Francia né in Italia, per esempio, i giudici costituzionali possono abrogare articoli delle leggi costituzionali.

Che succede adesso
Le due proposte di legge sono state approvate a maggioranza dalla commissione, che ne ha autorizzato l’esame del plenum della Knesset. Dato che si tratta di un parlamento con una sola camera, le proposte di leggi in Israele devono passare tre votazioni per essere approvate. La prima di queste votazioni dei due progetti di legge avverrà mercoledì o più probabilmente lunedì. Questa settimana e anche il tempo fra le successive votazioni potrebbe essere usato per raggiungere un compromesso. L’ha chiesto anche il presidente Herzog, in un messaggio trasmesso in televisione domenica sera, in cui proponeva anche le linee di un possibile accordo: un gesto del tutto inconsueto nel sistema politico israeliano, dove il presidente è una figura sostanzialmente formale, con poteri legali anche minori del presidente italiano. Qualche voce disposta all’accordo si è sentita, inclusa quella di chi ha proposto la riforma giudiziaria, il ministro della giustizia Yariv Lévin.


Le scelte dell’opposizione
Ma vi è molta intransigenza, tacita nella maggioranza di governo e molto esplicita nell’opposizione, che ha scelto la strada della piazza e della denuncia plateale di una “fine della democrazia” in Israele. Ma la democrazia consiste nell’esistenza di elezioni regolari, nel governo della maggioranza secondo i programmi sottoposti all’elettorato, nel diritto della minoranza di esprimere liberamente la propria opposizione, in una stampa libera ecc. Tutte queste condizioni in Israele ci sono da sempre e anche la crisi attuale le dimostra largamente. Bisogna solo sperare che tutte le parti politiche agiscano in maniera responsabile, accettando le regole del gioco e soprattutto quella fondamentale, che la sovranità appartiene al popolo.


Alberto Pento
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Re: I criminali magistrati sinistrati contro Netanyahu

Messaggioda Berto » gio feb 16, 2023 9:59 pm

Un giornalaccio sinistrato antisemita/antisraeliano filo nazi maomettano

Le spine di Netanyahu - Terza intifada e autoritarismo, Israele finisce in una morsa
Paolo Guzzanti
15 Febbraio 2023

https://www.ilriformista.it/terza-intif ... sa-343825/

Lo stato di Israele è per la prima volta nella tenaglia di una duplice minaccia: quella di una terza intifada che sta covando nella ormai famosa terza generazione palestinese, e quella di una crisi delle sue stesse istituzioni democratiche che ne hanno fatto finora un campione unico e separato di liberaldemocrazia di guerra.

Benjamin Netanyahu pur di governare ha dovuto coalizzarsi con la destra più conservatrice, religiosa e laica, e ora la prima conseguenza che emerge da questa scelta è l’idea di chiudere il capitolo – che aveva accompagnato Israele dalla nascita – di una magistratura indipendente a garanzia delle leggi e della costituzione e di metterla sotto il comando del governo proprio nel corso. di una crisi internazionale di cui ancora nessuno sa valutare gli esiti. La “Terza Generazione” dei giovani palestinesi è ormai l’incubo dei media israeliani. In breve: l’amministrazione palestinese che governa i territori dopo gli accordi di Oslo con la bandiera e la foto di Yasser Arafat che è affondata negli scandali della corruzione, del nepotismo, dell’autoritarismo ed è considerata spesso l’espressione dell’autorità di Israele in uniforme palestinese.

Il mese scorso tre alti funzionari americani sono andati a compiere un’approfondita ispezione per conto Jack Sullivan, National Security advisor e uomo di Biden per i rapporti con Israele, e sono tornati a Washington esprimendo la certezza di un’imminente gigantesco scontro fra Stato ebraico e giovani palestinesi. Finora la tensione non ha fatto che crescere e Israele non ha fatto che colpire le attività palestinesi nel West Bank, specialmente a Jenin e a Nablus, eliminando ovunque i capi della rivolta che però non sono più simili a quelle di un tempo: la terza generazione non ha più nulla a che vedere con l’Olp, e non intende obbedire né ad Hamas, né alla jihad islamica benché ne accetti l’alleanza senza riconoscerne l’autorità. Questo stato di tensione crescente ha costretto gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein a congelare il processo di riconoscimento di Israele, così come sta facendo anche il Marocco.

Adesso in Israele si litiga molto sulle responsabilità degli errori commessi sottovalutando lo spirito nazionalista dei giovani palestinesi adolescenti e in genere sotto i trent’anni. E si fanno roventi i rapporti fra Gerusalemme e Washington. Gli americani sono considerati i responsabili di una scelta ideologica che è risultata del tutto errata. Bisogna tornare al 2007, quando l’Olp di Arafat fu buttata fuori dalla Striscia di Gaza che aveva ricevuto come un interessato dono dagli israeliani nel 1994. A cacciare gli uomini di Arafat era stata Hamas ormai al culmine della sua popolarità per l’intransigenza contro lo Stato ebraico rispetto al “cedimento” seguito all’applicazione degli accordi di Oslo. Gli americani assunsero per sé il compito di affidare al generale Keith Dayton la ricostruzione dei servizi di sicurezza palestinesi, per renderli competitivi con quelli di Hamas, aggiungendo una intuizione semplicistica che si è rivelata fallimentarea: quella di far crescere i più giovani palestinesi in una società consumistica di tipo occidentale che avrebbe dovuto distrarli da ogni radicalismo.

Il facile accesso al debito avrebbe dovuto produrre insieme al benessere una società sottomessa alle scadenze bancarie. È stato un fallimento totale specialmente per il progetto totalmente andato a monte di sostituire gli slogan patriottici e religiosi con il culto delle celebrità e dei gossip. Fu una catastrofe completa perché la guerra di Gaza si rivelò troppo lunga e sanguinosa con più di duemila morti palestinesi, sicché i bambini di allora hanno conservato un ricordo non medicabile che li ha spinti a formare delle comunità armate specialmente nei campi dei profughi, promettendo di vendicare sia i morti di Gaza, sia la mancata solidarietà americana ed europea. Questa crescita della rivolta spontanea ha naturalmente fatto crescere sia gli appetiti di Hamas che dei jihadisti, fra loro in feroce concorrenza nella linea della durezza contro Israele e di castigo contro l’Amministrazione Palestinese trattata come collaborazionista. L’A.P. a sua volta scarica su Gerusalemme la responsabilità di non aver mai annunciato la creazione di uno Stato palestinese indipendente.

Negli ultimi tre giorni la Casa Bianca ha diramato segnali molto energici al governo israeliano: lo Stato palestinese deve essere portato a termine in modo rapido e partendo da adesso. L’America è terrorizzata da una situazione di instabilità che dalla guerra ucraina si estenda, passando per una Turchia in preda al dolore per la catastrofe del terremoto, alla Siria e al Libano. Una tale instabilità secondo le fonti militari e diplomatiche potrebbe indurre Israele, governata dalla coalizione di estrema destra, a procedere con un attacco violentissimo per eliminare i nuovi nemici i quali hanno frattanto deciso di non indossare maschere e passamontagna per nascondere il viso, ma anzi di moltiplicare in video i loro volti e diffonderli su tutti i social, marciando in parata con le armi bene in vista in aperta sfida alla polizia palestinese e alla dirigenza militare di Hamas e Jihad.

Gli accordi di Oslo sono stati firmati da al Fatah (il braccio armato dell’Olp di Arafat nel 1993) che da allora è politicamente finito e sostituito dalle organizzazioni di Hamas e Jihad, mentre l’Autorità Palestinese è rimasta di fatto prigioniera delle concessioni e degli aiuti di Israele. Ed ecco che da poco più di un anno è comparsa in scena questa misteriosa Terza Generazione che chiede l’immediata proclamazione dello Stato della Palestina, dichiarando di non voler concedere spazio politico neanche agli occasionali alleati di Hamas e Jihad. Il loro motto è “Non abbiamo paura” che ricorda il verso più potente della canzone We shall overcome, il canto di battaglia dei giovani americani in rivolta a Berkeley, California. Ed è un dato di fatto che questi palestinesi laici e non manipolabili, hanno tenuto testa ai reparti antisommossa dell’Idf israeliana e sono troppo giovani per avere un ricordo della seconda intifada che durò dal 2000 al 2005.

Sono esseri umani del tutto nuovi e in larga parte immemori e cresciuti in un costante addestramento psicologico alla sfida, alla dimostrazione di essere in grado di non fuggire. Il governo israeliano è in queste ore sotto una pressione molto ostile del presidente Biden e il deterioramento tra l’amministrazione democratica americana e Gerusalemme non fa che peggiorare dal momento in cui gli israeliani si sono sottratti alla politica delle sanzioni antirusse per avere mano libera e poter scegliere gli alleati a geometria variabile secondo necessità.

Sia il Cremlino che la Cina hanno dato segnali di interesse alla nuova movibilità del governo di Gerusalemme che per la prima volta sente di non poter contare fino in fondo dell’alleato americano che adesso è anche scandalizzato per i segnali che potrebbero indicare una involuzione di Israele verso una forma di democrazia autoritaria non più sottoposta ai poteri incrociati dei pesi e contrappesi, prima di tutto quello di una magistratura indipendente dal potere politico. che l’hanno finora fatta apparire un esempio per tutto il Medio Oriente e un alleato sicuro per i valori democratici occidentali.


Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.
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Re: I criminali magistrati sinistrati contro Netanyahu

Messaggioda Berto » ven feb 17, 2023 9:50 pm

Un appello degli ebrei italiani sinistrati

Mosso da profondo amore per Israele e preoccupato per le sue sorti, il Consiglio Direttivo di Beth Hillel sottoscrive all'unanimità un appello in solidarietà agli israeliani che manifestano da settimane contro alcune proposte di legge del governo Netanyahu e che lunedì 13 febbraio si sono riuniti in protesta davanti all’edificio della Knesset a Gerusalemme.
12 febbraio 2023

https://www.bethhillelroma.com/2023/02/ ... a-ragione/

La democrazia di Israele è in pericolo di vita. Il sesto governo guidato da Netanyahu non è una normale transizione di potere tra coalizioni di partiti diversi, tipico di una democrazia parlamentare. È l’espressione della volontà di un cambio di regime. Sul piano interno, le costrizioni che sarebbero imposte alla Corte Suprema e la sottomissione dell’intero sistema giudiziario al potere esecutivo mirano a distruggere le fondamenta stesse della democrazia liberale: la separazione e l’equilibrio dei poteri. Si propone una modifica della Legge del ritorno mirante ad abolire la clausola per cui un nonno ebreo è sufficiente per il diritto all’aliyah e alla cittadinanza israeliana. Si rifiutano di riconoscere atti di conversione celebrati da rabbini non ortodossi in Israele o comunque da rabbini ortodossi non soggetti al controllo del rabbinato centrale come viatico alla cittadinanza, atti che la Corte suprema aveva consentito con una sentenza nel 2021. Si aggiungano le spinte integraliste dei partiti ultraortodossi volte a vietare preghiere dei non ortodossi al Muro del Pianto e ad inserire programmi educativi da loro ispirati nel sistema scolastico pubblico.

Sul piano dei rapporti con i palestinesi, gli accordi di coalizione affermano la sovranità esclusiva del popolo ebraico sull’intero territorio tra il fiume Giordano e il Mediterraneo. A tal fine, la responsabilità dei territori occupati viene sottratta all’esercito, un potere sovrano riconosciuto dal diritto internazionale, e trasferita alle autorità civili.

Lo stato ebraico e democratico che i Padri Fondatori del sionismo sono stati in grado di creare, e che da allora ha resistito a tutte le vicissitudini della storia, rischia di non sopravvivere all’alternativa fra una quasi guerra civile e un regime teocratico.

Uniamo come ebrei della Diaspora la nostra voce agli israeliani che da settimane manifestano in protesta e che lunedì 13 febbraio – giornata in cui è stata indetta una sospensione dal lavoro promossa da molte associazioni – si sono riuniti in protesta davanti all’edificio della Knesset a Gerusalemme.



FIRMATO:

Il Consiglio direttivo di Beth Hillel Roma:

Daniela Gean (presidente) e, in ordine alfabetico:
Maria Carla Ballo
Nunzia Leah Bonifati
Fabio Benjamin Fantini
Pamela Harris
Olek Mincer
Stefano Ridolfi
Paolo Ruffini
Nancy Walters
e il nostro rabbino Joel Oseran

E INOLTRE:

Giorgio Gomel
Pupa Garribba

Edith Bruck
Anna Foa
Alberto Cuevas
Gad Lerner
Fiorella Kostoris
Stefano Levi Della Torre
Daniele Naim
Alessandra Ginzburg
Federico D’Agostino
Marco Fiammelli
Elzbieta Cywiak
Stefano Jesurum
Aviva Garribba
Ugo Foà
Ana Fitzpatrick
Sara Modigliani
Franca Eckert Coen
Maria Grossmann
Marina Piperno
Luigi Faccini
Amos Barone
Stefano Batori
Amira Batori
Noam Batori
Daniel Fitzpatrick
Ian Fitzpatrick
Claudio Treves
Luisella Gomel
Laura Quercioli Mincer
Daniel Moscetta
Elisabetta Lecco
Antonio Ya’akov Tagliacozzo
Eva Mangialajo Rantzer
Gregorio Gershom Apicella
Valentina Miriam Uberti
Mirco Aharon Ferrari
Danilo Elior Castelli
Anthony Yohanan Aghib
Barbara Etty Aghion
Hilario Hillel Levy Bergel
Bianca Rebecca Matalon
Olivia Esther Matalon
Enrica Valabrega
Barbara Lionetti
Coco Ochwada
Simonetta Santini
Giancarlo Caramandre Amodio
Raffaele Ventriglia
Maria Teresa Dal Monte Levi
Rav Ariel J. Friedlander
Rodolfo Sachs
Carmen Dal Monte
Carlo Jossef Riva
Aldo Luperini
Rossana Ottolenghi
Elisa Pesci
Vincenzo Yehudah Caruso
Valentino Yaakov Cameroni
Elena Lea Bartolini
Roberto Mirteto
Pierluigi Efraim Signorini
MariaPia Bassi
Monica Scaranello Bank
Italo Luigi Nicoletti
Paola Tzipora De Vita
Roberto Mirteto
Analia Setton
Alfredo F. Cattuti
Lucia Lior
Lucia Boffola
Giuseppe Falcone
Susanna Ventriglia
Emilio Sacerdoti
Antonino Attanasio
Gonca Araz
Piero Grazioli
Gabriella Gruder Poni
Roberto Attias
Simone Attias
Rubén Attias
Fiorella Castelnuovo
Delia Rina Sdraffa
Gabriello Jona Marchetti
Fiorella Rathaus
Roberta Ascarelli
Guido Carasso
Leonard Robbins
Sandro Ventura
Giulia Cuevas
Angelo Di Capua
Enrico Finzi
Barbara Geber Sassoon
Emilia Perroni
Alberto Gottlieb
Deborah Taub
Mario Tedeschi
Paola Fubini
Guido Carasso
Aldo Pavia
Roberta Guarnieri
Bianca Lami
Dario Hayun
Micael Zeller
Susanna Fresko
Irene Lopez
Eliezer Gentile
Ludovic Haim Plee
Gisella Kohn
Roberto Lehmann
Yoséf Solazzo

Daniele Ventriglia
Serena Suadi
Ghil Busnach
Maya Vetri
Clelia Caffaz
Annalisa Di Nola
Liliana Naim
Ambra Dina
Miriam Coen
Elena Lindström
Furio Aharon Biagini
Susanna Myers

Margery Friesner

Davide Banon
Franco De Benedetti
Homero Vigevani
Sonia Suadi
Evelyn Beller
Blando Palmieri
Erminia Licitri
Claudia Zaccai
Sara Klingeberg
Tullo Vigevani
Gemma Vecchio
Linda Ravenna
Barbara Ferrara
Cinzia Zincone
Rachele Forte
David Greiner
Daniela Ovadia
Alessandro Perugia
Elisa Alfandari
Marco Ramazzotti Stockel
Virginia Volterra
Alan Davìd Baumann
Gianfranco Ferlisi
Anna Kohn
Carlota Cozzupoli
Rafel Ioli
Laurie Kalb Cosmo
Ivan Gottlieb
Claudio Barbieri
Gabriele Aronov
Hugo Daniel Estrella

Carlo Nizzero
Renata Segre
Giovanni Levi
Franca Sacerdote
Sara Levi Minzi
Maristella Ciappina
Iarden Shatz Garribba
Tal Maitav

Laura Lea Sacerdote
Franca Sacerdote
Beppe Damascelli
Vittoria Vigo
Lascar Sergio
Bruna Laudi
David Terracini
Sara Claudia Barone
Carlotta Buffagni
Raul Wittenberg Cohn
Micaela Vitale
Lucio Damascelli
Celeste Nicoletti
Roberto Piperno
Sara Gomel
Lello Dell’Ariccia

Chiunque voglia diffondere e/o sottoscrivere l’appello può farlo scrivendo a comunicazioneBHR@gmail.com oppure inviando un commento qui sotto, in Add your comment.
Si avvisa che i commenti sono preventivamente letti e approvati dalla redazione.
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Re: I criminali magistrati sinistrati contro Netanyahu

Messaggioda Berto » sab feb 18, 2023 10:01 am

La riforma giudiziaria promossa dal governo israeliano affronta una questione giusta, ma nel modo sbagliato
Tutte le parti dovrebbero accettare l'offerta del presidente Herzog di mediare tra governo e magistratura

Michael Oren
(Da: Times of Israel, 12.2.23)

https://www.israele.net/la-riforma-giud ... aele-net_1

Sabato, nella mia sinagoga a Giaffa, uno dei leader della nostra comunità, un ex funzionario del Likud con dottorato di ricerca, mi ha detto che tutte le manifestazioni contro le riforme giudiziarie del governo sono solo l’estremo tentativo di rovesciare Netanyahu. “Il fatto che vinca fa impazzire gli elitari – mi ha detto – Ma Netanyahu non si arrenderà mai”. Più tardi, durante la lettura della Torà, un giovane vestito con una felpa nera e cappuccio calato sulla testa è entrato, si è fermato accanto a me e mi ha sussurrato all’orecchio: “Se Netanyahu pensa di fare il dittatore, lo ucciderò”. Dopodiché, proprio mentre venivano recitati i Dieci Comandamenti, si è voltato e se n’è andato.

Sentimenti simili potrebbero essere stati espressi nelle sinagoghe di tutto il paese, mentre la nostra società precipita verso uno scontro che ricorda quello sugli Accordi di Oslo del 1993, uno sconvolgimento che culminò nell’assassinio di un primo ministro. Mentre molti sostenitori di questo governo insistono perché si attenga strettamente al suo programma senza tirarsi indietro di un centimetro, specie di fronte a quelle che considerano proteste “della sinistra”, dall’altra parte i manifestanti non hanno nessuna intenzione di cedere. Non è allarmismo affermare che una tale prova di forza può facilmente degenerare in violenza.

È imperativo allontanarsi da quel precipizio. Ma come? Una riforma giudiziaria è necessaria, ma è problematica se viene promossa da un governo sospettato di secondi fini, come quello di assicurare una posizione ministeriale a un politico già condannato due volte (per reati fiscali ndr) e di promuovere un’agenda ultra-ortodossa e di estrema destra osteggiata da un grande numero di israeliani. Una riforma che consenta alla Knesset di annullare le decisioni della Corte Suprema sulla base di una maggioranza minima, e che conferisca al governo un diritto esclusivo di nomina di tutti i giudici, eliminerebbe di fatto i contrappesi e controlli giudiziari sull’operato del governo.

Un’immagine della manifestazione di lunedì mattina davanti alla Knesset

I manifestanti, dal canto loro, sono chiarissimi nell’esprimere ciò che non vogliono, ma tacciono su come propongono di modificare uno status quo che si va erodendo da tempo. Il governo sta affrontando una questione giusta ma lo fa nel modo sbagliato, mentre l’opposizione elude completamente la questione. La Corte Suprema, nel frattempo, si rifiuta anche solo di riconoscere che una riforma è necessaria.

Eppure la questione rimane: come possiamo preservare il controllo giudiziario, un pilastro praticamente di tutte le democrazie, e i controlli necessari per proteggere i diritti delle minoranze e prevenire l’emergere di un governo privo di qualunque limite? La domanda non è nuova. Come membro della Knesset, per quattro anni a partire dal 2015 mi sono occupato di una possibile riforma della Corte Suprema. “La Corte Suprema – avvertivo – è ormai considerata da ampi segmenti della società israeliana come aliena e persino ostile. Si è aperto un divario crescente tra la magistratura e la Knesset, con vari parlamentari che propongono leggi volte ad aggirare o ignorare le sentenze della Corte: leggi destinate a viziare la funzione di controllo giudiziale, uno dei pilastri di ogni democrazia”.

Per evitare questa lacerazione, proponevo di rivedere il processo di scelta dei giudici, incorporando elementi del sistema americano nel quale i cittadini hanno l’opportunità di influire sulla composizione della Corte votando per il presidente e per i senatori. Ma anziché assegnare ai politici la selezionare di tutti i giudici, raccomandavo che sette dei 15 giudici fossero nominati da un comitato indipendente, garantendo così la diversità e la rappresentanza delle minoranze nella Corte. Allo stesso tempo, propugnavo la fine dell’approccio attivista secondo cui “tutto è giudicabile” (hakol shafit). L’obiettivo era limitare l’ambito di competenza della Corte a questioni strettamente legali e non, ad esempio, a questioni inerenti la politica di difesa, come l’ubicazione della barriera di sicurezza o il destino delle salme dei terroristi.

Molte altre proposte sono state avanzate riguardo al controverso criterio della “ragionevolezza” come base per respingere leggi della Knesset, e riguardo all’aumento dei voti della Knesset necessari per respingere una sentenza della Corte, portandolo ad esempio a 75 invece dei 61 voti (su 120) attualmente previsti dalla proposta di riforma. Andrebbe inoltre ripreso l’antico dibattito sul fatto se Israele abbia bisogno di una Costituzione e di un Bill of Rights (Carta dei diritti). Una discussione aperta su queste, e altre questioni correlate, è cruciale se vogliamo mantenere una parvenza di unità nazionale. Senza dubbio, è preferibile alla virulenza che ho visto in prima persona lavorando per il governo israeliano nel 1993.

In quanto veterano sostenitore della riforma giudiziaria, esorto il governo ad accettare l’offerta di mediazione avanzata dal presidente Isaac Herzog. Ed esorto l’opposizione a presentarsi a quei colloqui con proposte positive di cambiamento. La maggioranza degli israeliani accoglierebbe con favore un simile approccio, così come la maggior parte dei nostri sostenitori in tutto il mondo.

Israele, uno dei pochi paesi al mondo che non hanno mai conosciuto un solo minuto di governo non democratico, e certamente l’unico di loro che non ha mai conosciuto un minuto di pace, può giustamente essere orgoglioso della propria democrazia. Essa è il fondamento della nostra alleanza con gli Stati Uniti e le altre democrazie, è un baluardo contro i boicottaggi ed è l’unica attestata piattaforma per gestire e difendere uno stato altamente irrequieto e implacabilmente minacciato. La democrazia è una delle nostre grandi conquiste e dobbiamo proteggerla, nella massima misura possibile, dalle politiche personali e di parte. Ai Dieci Comandamenti che leggiamo durante lo Shabbat potremmo aggiungerne un altro: quando sei in bilico sull’orlo del precipizio, tirati indietro e siediti a discutere.

Il presidente d’Israele Isaac Herzog durante il messaggio alla nazione di domenica sera
(Da: YnetNews, Jerusalem Post, 13.2.23)

In un discorso rivolto domenica sera alla nazione, il presidente d’Israele Isaac Herzog ha lanciato un appello al dialogo allo scopo di raggiungere un accordo di ampio consenso tra i fautori e gli oppositori della riforma giudiziaria e prevenire fratture nella società israeliana che potrebbero sfociare nella violenza. Herzog ha affermato che la riforma del sistema giudiziario così come viene proposta dal governo è dannosa per le basi democratiche di Israele e deve essere rinviata fino a quando non si troverà un compromesso. “Questa non è una disputa politica – ha detto Herzog – Siamo sull’orlo di un collasso costituzionale e sociale”. Il presidente ha chiesto che le iniziali votazioni previste per lunedì mattina nella Commissione Costituzione, legge e giustizia della Knesset venissero rinviate fino a quando non si potrà avviare un dialogo per raggiungere un ampio consenso sulla nuova normativa. Herzog ha spiegato che la premessa di base è che la Knesset è l’organo legislativo eletto e che il governo (sostenuto dalla maggioranza della Knesset) ha il diritto di promuovere le sue politiche, ma devono anche esserci controlli e contrappesi come la Corte Suprema, che salvaguarda Israele e la sua società. “Può essere legittimo un cambiamento – ha aggiunto Herzog – in modo che i tribunali possano rappresentare meglio lo spettro della società israeliana”. Secondo Herzog, la Knesset dovrebbe approvare una Legge Fondamentale che delinei i rapporti tra parlamento e magistratura, ma solo dopo aver raggiunto un accordo ampio. Il presidente ha anche affermato che i giudici dovrebbero essere eletti da un comitato in cui non detengano la maggioranza né i tribunali né i politici. “Se questo scontro finirà con una parte che vince e una che perse, saremo tutti sconfitti”, ha concluso Herzog.

Domenica sera il presidente della Commissione Costituzione, legge e giustizia Simcha Rothman, del partito Sionismo Religioso, ha respinto l’appello di Herzog a rinviare l’avvio delle votazioni sui disegni di legge definendolo “una richiesta dell’opposizione” e un “tentativo di indebolire il governo”. Lunedì mattina le votazioni in prima lettura nella Commissione si sono svolte fra rumorose contestazioni e l’espulsione dall’aula di due parlamentari dell’opposizione, mentre decine di migliaia di oppositori manifestavano a Gerusalemme davanti alla Knesset e in altre città. Ora l’iter prevede che i due primi disegni di legge approvati dalla Commissione con 9 voti contro 7 vengano sottoposti a tre votazioni della Knesset in seduta plenaria.

Lunedì pomeriggio il ministro della giustizia Yariv Levin e il presidente della Commissione Simcha Rothman hanno invitato i leader dell’opposizione Yair Lapid e Benny Gantz a un incontro nell’ufficio del presidente Herzog per valutare un compromesso. In serata, il leader dell’opposizione Yair Lapid ha respinto l’offerta dicendo: “Come ha sottolineato il presidente e come è stato ripetutamente spiegato, la condizione necessaria per avviare un dialogo è l’arresto immediato dei processi di votazione per un determinato periodo di tempo durante il quale i colloqui si svolgeranno con la mediazione del presidente. Se Levin e Rothman sono d’accordo, saremo felici di incontrarci anche domani mattina nell’ufficio del presidente”.
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Re: I criminali magistrati sinistrati contro Netanyahu

Messaggioda Berto » ven feb 24, 2023 5:29 am

TENERE DURO
Uno dei fondamenti della democrazia è il diritto alla protesta e, connesso ad esso, le manifestazioni e gli scioperi.
Niram Ferretti
20 febbraio 2023

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Nel 1984, contro il governo Thatcher i minatori inglesi proclamarono uno sciopero generale che durò 362 giorni. Margart Thatcher tenne duro fino alla fine non concedendo nulla. Tenne duro contro i sindacati, tenne duro contro le forze che si opponevano al suo rilancio dell'economia britannica.
Oggi in Israele, alla Knesset passa in prima lettura la legge di riforma del sistema giudiziaro, a cui faranno seguito altre due letture.
Durante il dibattito pubblico preliminare sulla legge ci sono state proteste. Ben vengano.
Il governo ha la maggioranza per fare passare la legge, una legge necessaria e fin troppo tardiva, atta a limitare uno strapotere che da almeno tre decenni condiziona la politica del paese.
Si poteva forse impostare una legge meno aspra in alcune sue formulazioni, e si potrebbe sedersi a un tavolo e discutere con l'opposizione, se l'opposizione non presentasse il governo in carica come una masnada di criminali il cui scopo è quello di trasformare Israele in una dittatura. Ma così come la situazione è andata a incardinarsi non ci sono i margini.
Ora si tratta di portare a casa il risultato come fece la lady di ferro.




E adesso? Alcuni possibili scenari dell’iter della riforma giudiziaria in Israele

Al momento non si vedono aperture al dialogo tra coalizione e opposizione, ma la pressione per la ricerca di una formula di compromesso è forte e non è escluso che accada
(Da: Jerusalem Post, YneNews, Israel HaYom, israele.net, 21.2.23)
giovedì 23 febbraio 2023
https://www.israele.net/e-adesso-alcuni ... so-israele

Con 63 voti a favore e 47 contrari la Knesset ha approvato in prima lettura una parte della riforma della magistratura proposta dalla coalizione di governo. La concitata sessione plenaria è iniziata nel pomeriggio di lunedì ed è continuata fino a tarda notte per poi concludersi dopo la mezzanotte. Se verrà approvato anche in seconda e terza lettura, il controverso disegno di legge modificherà la composizione del Comitato di nomina i giudici in modo tale che la coalizione di governo possa contare su una maggioranza automatica e impedirà alla Corte Suprema di pronunciarsi sui ricorsi contro le Leggi Fondamentali, che nella giurisprudenza israeliana hanno valore quasi costituzionale. Il voto di lunedì è significativo, in quanto sancisce il rifiuto ufficiale da parte della coalizione del piano proposto dal presidente Isaac Herzog la scorsa settimana che presupponeva il congelamento dell’iter d’approvazione della riforma prima delle votazioni in prima lettura allo scopo di aprire la strada a trattative con l’opposizione.

Il voto di lunedì notte, accompagnato da vivaci proteste dentro e fuori la Knesset, è stato celebrato come una storica vittoria da parte della coalizione. Ma quali sono i possibili scenari successi?

1. La riforma passa. Uno scenario altamente probabile è che questi primi disegni di legge vengano approvati in lettura finale dal plenum della Knesset. Potrebbe non avvenire subito ma, stando alle dichiarazioni della coalizione, avverrà entro la fine dell’attuale sessione che si concluderà verso Pesach (la Pasqua ebraica, che quest’anno cade dal 6 al 13 aprile) quando la Knesset andrà in pausa. Visto il ritmo sostenuto con cui la Commissione Costituzione, diritto e giustizia della Knesset, presieduta da Simcha Rothman, sta approntando i disegni di legge, questa tempistica è certamente possibile, anche se l’opposizione cercherà di ritardare il voto.

Al momento le parti non sono impegnate in alcuna trattativa, nonostante l’appello per una mediazione fatto dal presidente Isaac Herzog. Se non cambia nulla, la coalizione probabilmente porterà avanti la legge come previsto e la farà approvare nel prossimo futuro. Successivamente, il ministro della giustizia Yair Levin prevede di introdurre la seconda parte della riforma, che dovrebbe essere approvata durante la sessione invernale.

Il presidente d’Israele Isaac Herzog ha ribadito martedì l’appello a congelare l’iter di approvazione della riforma e avviare un dialogo fra maggioranza e opposzione

2. Una crisi costituzionale. Un’altra possibilità è che la riforma, se e quando venisse approvata dalla Knesset, venga bloccata dalla magistratura. La coalizione è chiaramente consapevole di questo possibile scenario, motivo per cui ha introdotto innanzitutto disegni di legge che danno alla Knesset la facoltà di respingere le sentenze della Corte Suprema con una maggioranza semplice di 61 parlamentari (su 120), di determinare la selezione dei giudici e di impedire alla Corte di intervenire sulle Leggi Fondamentali. Non è chiaro quanto i giudici sarebbero disposti a intromettersi in questi disegni di legge che riguardano direttamente la stessa Corte Suprema e il suo status, ma non è escluso che alcuni di loro spingano in questo senso, il che potrebbe dare vita a un vero e proprio corto circuito istituzionale.

3. Il processo di approvazione della riforma viene sospeso. Un’altra possibilità è che la riforma giudiziaria venga sospesa per lasciare spazio a trattative e alla ricerca di una compromesso. Molti membri della coalizione, che pure avrebbe i numeri per approvare la riforma senza aiuti esterni, preferirebbero che maggioranza e opposizione mediassero e si accordassero su uno schema condiviso per ridurre le tensioni. Sebbene probabilmente nessuna formazione dell’opposizione sosterrebbe la riforma anche dopo le trattative, in ogni caso questa procedura potrebbe contribuire ad attenuare la retorica più divisiva, allentare le tensioni e arrivare a una riforma che goda di un più ampio consenso nel paese. Tuttavia, dopo il successo della coalizione lunedì alla Knesset può anche darsi che si avviino dei colloqui, ma è improbabile che producano risultati.

4. Le parti raggiungono un compromesso. Secondo questo scenario, le trattative inducono la coalizione a rinunciare a parti importanti della riforma sotto la pressione del presidente e dell’opposizione. Questo sviluppo potrebbe incontrare difficoltà sin dall’inizio perché, mentre la destra ha chiari rappresentanti – il ministro Levin e il presidente della Commissione Rothman – la situazione dall’altra parte non è altrettanto chiara: da chi sarebbe rappresentata l’opposizione? Dal leader dell’opposizione Yair Lapid, dal leader del Partito di Unità Nazionale Benny Gantz, dalla presidente della Corte Suprema giudice Esther Hayut o dall’ex presidente della Corte Suprema giudice Aharon Barak, autore della “rivoluzione costituzionale” dagli anni ’90? Supponendo che l’opposizione possa scegliere un leader che la rappresenti, molto probabilmente le trattative si concentrerebbero su questioni tecniche volte a ridurre in qualche misura la portata della riforma. Per ora non sembra che le parti siano avviate in questa direzione, ma visto che c’è una forte spinta a favore della trattativa, anche questo scenario è possibile.

5. La coalizione non sopravvive all’affondo sulla giustizia. Dato il carattere fortemente divisivo della riforma proposta, che ha visto prodursi una drammatica spaccatura nell’opinione pubblica del paese, alcuni membri della coalizione potrebbero essere spinti a ripensare la propria posizione e condizionare il proprio voto all’apertura di un dialogo con l’opposizione senza il quale renderebbero impossibile il proseguimento dell’iter di approvazione. In un tale scenario, l’opposizione farebbe tutto il possibile per trascinare le cose in lungo per far perdere slancio alla coalizione e dare tempo alla nascita di dubbi negli elementi meno convinti della maggioranza, nella speranza di mettere in crisi la capacità della coalizione di approvare la riforma in modo compatto. Se ciò dovesse accadere, la coalizione andrebbe incontro a una perdita di prestigio e di sostegno in quella opinione pubblica di destra che finora l’ha sostenuta in campo legale e in altri campi, cosa che potrebbe persino metterne in forse la tenuta.




Israele. Il vero problema non è giudiziario, ma identitario
Rav Alberto Somekh
21 febbraio 2023

https://morasha.it/israele-il-vero-prob ... entitario/

La convulsa situazione politica israeliana conseguente all’insediamento del nuovo governo richiede qualche riflessione, sia pure con tutte le riserve imposte a un giudizio dall’esterno. È noto che la coalizione guidata da Netanyahu persegue una politica di ridimensionamento dei poteri e dell’azione della Corte Suprema, accusata di continue ingerenze nelle decisioni parlamentari. Non voglio entrare nei dettagli della riforma, che suscita grandi proteste da parte di persone e gruppi ostili all’esecutivo in carica, che reputano una minaccia all’assetto democratico del paese. Mi limiterò a formulare alcune considerazioni di carattere generale, fondate sulle fonti ebraiche. Il problema del rapporto fra politica e giustizia non è avvertito oggi per la prima volta e non solo in Israele: anche in Italia la recente cronaca giudiziaria ha suscitato almeno il fondato sospetto di una connivenza, in questo caso, della magistratura con le forze politiche che governano la repubblica.

Ma torniamo ai problemi di “casa nostra”. Il Midrash (Tanchumà, P. Mishpatim, 7) si sofferma sulla Mitzwah di ammonire il prossimo quando sbaglia. La formulazione del versetto (Wayqrà 19, 17), con la duplicazione del verbo (“ammonire ammonirai”, hokheach tokhìach), viene interpretata come un obbligo perentorio: “Chi si astiene dall’ammonire viene coinvolto nella medesima trasgressione. Chiunque abbia l’autorità per ammonire i suoi famigliari e non lo fa, partecipa alla trasgressione dei suoi famigliari; chiunque abbia l’autorità per farlo nei confronti della sua città, è complice del peccato commesso dalla sua città e così rispetto al mondo intero. Dice R. Chaninà: cosa significa il versetto: ‘H. farà giustizia degli anziani e dei prìncipi del Suo popolo’ (Yesha’yahu 3, 14)? Se i prìncipi hanno peccato, cosa hanno fatto di male gli anziani? Gli anziani non hanno ammonito i prìncipi”.

I prìncipi (sarim) rappresentano il potere politico, mentre gli anziani (zeqenim, ovvero i dotti: zeh she-qanah chokhmah) incarnano quello giudiziario. L’evidente richiamo al dovere dei giudici di ammonire, cioè di esercitare un’azione di controllo sui politici, si traduce implicitamente nell’invito rivolto a questi ultimi in modo non meno pressante affinché accettino i rilievi mossi dai giudici. Guai a una società la cui classe politica non ammetta di essere sottoposta a giudizio! Inoltre, le leggi si fanno sul lungo periodo. I sostenitori dell’attuale governo interessati ad allargarne il potere decisionale potrebbero pentirsene amaramente un domani se costretti a confrontarsi con una formazione di colore diverso. In realtà una vita statale sana presuppone che il potere giudiziario sia indipendente da quello politico. La normativa vigente in Israele prevede per la nomina dei membri della Corte Suprema una commissione formata da deputati e giudici in cui l’ultima parola spetta a questi ultimi: si presume che questa soluzione sia stata elaborata in buona fede proprio per garantire l’indipendenza dei giudici e non per autorizzarli a commettere soprusi verso i politici. È francamente difficile credere che il pomo di una discordia tanto vasta ormai si riduca a ciò.

La confusione fra potere politico e potere giudiziario in Israele è su un piano assai più profondo e porta a una confusione ulteriore, sul vero significato di democrazia. Vediamo anzitutto di fare chiarezza sui termini. La differenza fra politica e giustizia consiste nel fatto che la politica cura gli interessi di una società organizzata, mentre la giustizia ne tutela i princìpi morali. Gli interessi sono mutevoli a seconda dei tempi, delle esigenze e dei gusti della popolazione, mentre i princìpi sono saldi. In un paese democratico i cittadini sono chiamati periodicamente a votare i loro rappresentanti politici in funzione degli interessi preminenti del momento: non mi pare che questo sacrosanto presupposto sia oggi in discussione in Israele. La Corte Suprema ha invece unicamente il compito di vigilare che la tutela degli interessi contingenti esercitata dal parlamento e dal governo sia conforme ai princìpi cui lo Stato si ispira. Il rischio è che la giustizia permuti questi principi con dei contro-interessi, cosa nociva che esula dal suo compito. Per evitare questo problema non basta stabilire chi nomina i giudici: il passo fondamentale è chiarire una volta per tutte quali sono i principi ispiratori, nella fattispecie, dello Stato d’Israele cui richiamare i suoi giudici alle proprie responsabilità.

Personalmente non avrei dubbi in proposito: i nostri principi ispiratori non sono altri che la Torah. Come scrive Rav Soloveitchik, Israele non è soltanto uno stato-destino come altri, caratterizzato da un patrimonio storico e da una memoria collettiva condivisa, ma è anche uno stato-missione, proteso verso l’avvenire, diverso da tutti gli altri. Tale missione avrà sempre più importanza nel determinare le sorti future di un paese che è nato e vive per questo. Non confondiamo gli interessi con i princìpi. Una cosa è discutere di volta in volta quali interessi prediligere, nel rispetto dei princìpi: questa è democrazia. Altra cosa, completamente differente e che nulla c’entra con la democrazia, è aspirare ad affrancarsi da questi princìpi. A ben vedere il vero problema non è giudiziario, ma identitario. Per seguitare a esistere i cittadini israeliani dovranno scegliere da che parte stare in merito alla Torah. La vera riforma dovrebbe partire dalla scuola. Non è pensabile che lo Stato ebraico continui ad amministrare un doppio sistema educativo, in una parte del quale la Torah sia “relegata in un angolino”, con il risultato che una vasta percentuale della popolazione cresce nell’ignoranza più completa di cos’è un ebreo. Ma questo è un altro tema.


Il Consiglio per i diritti umani dell'ONU chiede a Israele di fermare la riforma giuridica:
"I cambiamenti potrebbero indebolire la tutela dei diritti umani".
L'eccellente risposta dell'ambasciatore israeliano all'ONU, Gilad Erdan:
21 febbraio 2023
https://www.facebook.com/permalink.php? ... 6159015433

"Il Commissario, che è responsabile di uno degli organi più distorti e antimorali del mondo, è l'ultimo che può insegnare a Israele cos'è la democrazia. Suggerisco al Commissario di impegnarsi nella protezione dei diritti umani in Siria, nell'assassinio di donne e manifestanti in Iran, nella persecuzione della comunità LGBT nell'Autorità Nazionale Palestinese e in un lungo elenco di gravi ingiustizie da parte di regimi oscuri che lui e il suo consiglio ignorano abitualmente - prima che intervenga e predichi la moralità a Israele"!



L'ONU è una organizzazione antisemita e antisraeliana in mano ai nazi maomettani e agli internazi comunisti.

L'ONU internazi comunista e nazi maomettano antisemita e antisionista
viewtopic.php?f=197&t=2950


Amnesty International attacca le democrazie come Israele e perdona le tirannie islamiste
https://it.gatestoneinstitute.org/9610/ ... l-tirannie
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Berto
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Re: I criminali magistrati sinistrati contro Netanyahu

Messaggioda Berto » sab mar 11, 2023 7:02 pm

Contro Netanyahu, contro il responso delle urne
1 marzo 2023

http://www.linformale.eu/contro-netanya ... elle-urne/

L’attuale situazione in Israele, con il susseguirsi di manifestazioni contro la riforma della giustizia promossa dal governo Netanyahu, è solo l’inevitabile acme della inarrestabile delegittimazione del premier in carica e del suo diritto di governare il paese.

È un diritto che non può essergli riconosciuto nonostante il mandato elettorale che lo ha portato per l’ennesima volta alla guida di Israele. Un mandato chiaro e inequivocabile, che è stato dato dagli elettori anche al programma di governo da lui esposto, di cui, la riforma della giustizia è uno dei pilastri.

C’è una parte del paese che non accetta il responso delle urne e che è sostenuta dalla parte più consistente dell’apparato culturale, politico e mediatico israeliano, nonché da una parte di quello militare, il quale, da anni, in tutti i modi ha cercato di presentare Netanyahu come una figura criminale indegna di guidare il paese, nonostante nessuna delle accuse a lui mosse, dalla corruzione all’abuso di ufficio, che hanno portato a una serie di processi ancora in corso, si sia conclusa con un verdetto di colpevolezza.

In questo momento, la colpa imperdonabile di Netanyahu agli occhi di una opposizione che lo ha demonizzato senza sosta è di volere riformare quello che a tutti gli effetti è un potere che, nel corso degli anni ha acquisito il ruolo di potestà dello Stato, la Corte Suprema.

Questa riforma già annunciata nel 2018, e da lungo tempo necessaria, ora che ha preso finalmente corpo deve essere stoppata. Ne va della potestà consolidata, costruita progressivamente sotto l’egida del suo principale artefice, quello che Richard Posner, tra i maggiori giuristi americani, definì nel 2007, “despota illuminato”, Aharon Barak.

Presidente della Suprema Corte di Israele dal 1995 al 2006 e precedentemente Procuratore Generale di Israele dal 1975 al 1978, nonché decano della facoltà di Legge dell’Università di Gerusalemme dal 1974 al 1975, colui che Ben Dror Yamini, non certo un partigiano della destra, ha definito il “rabbino imperiale della legge”, Barak ha fatto in modo di generare un sistema che non ha pari per potere e influenza con quello di nessun altro Stato democratico occidentale. Nelle parole di Posner:

“I giudici non possono essere rimossi dalla legislatura, ma solo da altri giudici; ogni cittadino può chiedere a un tribunale di bloccare l’azione illegale da parte di un funzionario governativo, anche se il cittadino non ne è personalmente colpito; qualsiasi azione governativa che sia “irragionevole” è illegale (“in parole povere, l’esecutivo deve agire ragionevolmente, perché un atto irragionevole è un atto illecito”); un tribunale può proibire al governo di nominare un funzionario che ha commesso un reato (anche se è stato graziato) o che è messo sotto esame etico in un altro modo, e può ordinare il licenziamento di un ministro se deve affrontare un procedimento penale. In nome della “dignità umana” un tribunale può costringere il governo ad alleviare i senzatetto e la povertà e un tribunale può revocare gli ordini militari e decidere “se impedire il rilascio di un terrorista nel quadro di un ‘accordo politico’, e indirizzare il governo nello spostare il muro di sicurezza che impedisce ai kamikaze di entrare in Israele dalla Cisgiordania”.

Sempre per Posner, Barak, da “per scontato che i giudici abbiano l’autorità intrinseca di scavalcare gli statuti. Un tale approccio può essere descritto con precisione come usurpativo”.

A questo vulnus la riforma prevista dal nuovo esecutivo intende porre rimedio, e ciò non può essere permesso, da qui l’isterica e demagogica accusa che con questa riforma si intenda mettere in pericolo la democrazia, mentre si tratta semmai del suo raddrizzamento, da qui il ricatto dell’opposizione nei confronti del governo e il sobillamento delle piazze.

La riforma della giustizia del governo Netanyahu è sicuramente perfettibile come ogni riforma, e alcuni suoi angoli acuti potrebbero essere smussati ma non con questa opposizione facinorosa e fanaticamente avversa a Netanyahu e al principio fondamentale della democrazia che essa per prima disconosce, quello dell’alternanza di governo e della prerogativa che ha la maggioranza di varare le leggi per le quali è stata votata dall’elettorato.




Lo scenario apocalittico e i suoi fautori interessati
La vittoria di Benjamin Netanyahu alle ultime elezioni in Israele non è stata accettata da un vasto contesto a lui avverso. Questo è il dato di base, il resto, per dirla col poeta, discende per li rami.
Niram Ferretti
2 marzo 2023

http://www.linformale.eu/lo-scenario-ap ... teressati/

Il “problema” Netanyahu la sinistra sperava di averlo definitivamente risolto con le imputazioni a suo carico, corruzione e abuso di ufficio, e con i processi avviati, a cui aveva fatto da corollario, prima e dopo, una campagna di demonizzazione paragonabile solo a quella messa in atto negli Stati Uniti contro Donald Trump. Di fatto i frutti sono poi arrivati, per un periodo Netanyahu è uscito di scena ed è tornato sui banchi dell’opposizione. Il tentativo di renderlo perennemente ineleggibile, nonostante i processi a suo carico è però fallito, ma perlomeno si era riusciti a rimuoverlo dal premierato. Al governo si insedia dunque il 13 giugno del 2021 una coalizione eterogenea che imbarca l’imbarcabile da Lapid a Bennett fino a Ra’am, il partito arabo di Mansur Abbas. I peana sono tanti, si saluta entusiasti il sol dell’avvenire. Soprattutto è a Washington che giubilano, perchè è a Washington che bisogna gettare sempre lo sguardo relativamente alle conseguenze di ciò che si muove politicamente in Israele. Non è un mistero per nessuno che il rapporto indissolubile tra Israele e il suo alleato principale condiziona e ha condizionato il destino dello Stato ebraico dal suo sorgere fino ai nostri giorni, nel bene come nel male.

La vittoria di Netanyahu e le sue alleanze, di cui la componente più problematica è quella rappresentata da Benzalel Smotrich e Itmar Ben Gvir, entrambi a capo di due formazioni politiche ultranazionaliste, per Washington rappresentano un fastidio. Subito dopo le elezioni, dalla Casa Bianca arrivano infatti i primi commenti preoccupati, o meglio, i primi avvertimenti. Non ce ne fu nessuno quando si imbastì il governo a rotazione Bennett-Lapid, e non potevano esserci perchè quel governo era gradito all’amministrazione Biden. Il gradimento scende poi drammaticamente quando si insedia nuovamente Netanyahu. Il problema è che non ci si limita a questo, che è sostanzialmente prevedibile, visto che la nuova realtà politica israeliana è ideologicamente non omogenea a quella in carica negli Stati Uniti, si va oltre. Cosa accade? In visita a Gerusalemme il 30 gennaio scorso, il Segretario di Stato, Antony Blinken in conferenza stampa con Netanyahu, irritualmente tocca un tema che riguarda la politica interna del paese, ovvero l’annunciata riforma del sistema giudiziario. Le parole di Blinken sono circonfuse di irenismo: bisogna evitare i contrasti e creare intorno alla riforma il consenso più ampio. A tutti è chiaro cosa è sottinteso, una riforma unilateale non incontrerà il plauso della Casa Bianca. La Casa Bianca non dovrebbe occuparsi di una riforma che riguarda la politica interna di uno Stato sovrano, ma invece, nel caso di Israele, lo fa eccome.

A monte di questo sommovimento c’è un potere, quello giudiziario, che la Corte Suprema incarna nella sua massima espressione e che, nel corso degli ultimi trent’anni è diventato, nelle parole di Amnon Rubinstein, giurista insigne e tra i fautori delle due leggi base di Israele a tutela dei diritti umani, “Uno Stato nello Stato”. Di questo potere e del suo principlae demiurgo, abbiamo dato ampio riscontrohttp://www.linformale.eu/il-gi ... emocrazia/ .

Nel frattempo 120 accademici israelaini tra cui il premio Nobel, Yisrael Aumann, sottoscrivono un appello a favore della riforma del governo indicandone la necessità: “La violazione dell’equilibrio tra i rami del governo e l’aumento del potere dell’Alta Corte sono stati compiuti attraverso vari strumenti, tra cui il controllo giurisdizionale sulla legislazione primaria, compresa la sua estensione alle leggi fondamentali, l’ampliamento del diritto alla legittimazione, l’ampliamento della dottrina di giustiziabilità e del criterio di ragionevolezza, l’uso dell’interpretazione oggettiva della legge e aumentando notevolmente l’autorità dei consulenti legali del governo “

Per la prima volta il potere giudiziaro israeliano plasmato negli anni secondo l’indirizzo di Barak, si trova davvero in difficoltà, la riforma della giustizia annunciata spesso e mai varata ora sembra che sia davvero in procinto di manifestarsi. L’intervento che prevede è drastico, si tratta di un dispositivo che destruttura in modo dirompente lo “Stato nello Stato” di cui parla Rubinstein, ovvero il ramo giudiziario che si è sostituito, vampirizzandoli, al legislativo e all’esecutivo.

Iniziano a muoversi le piazze, sempre più folte. La parola d’ordine è che l’attuale governo attenti alla democrazia, che la riforma della giustizia che si sta attuando, porterà Israele in un abisso. I toni sono sguaiati, enfatici, apocalittici. Si paventa il crollo verticale dello Stato, Benny Gantz evoca la guerra civile se il governo non si fermerà, si arriva al punto da prospettare un collasso finanziario del paese. Se si riformerà la giustizia da Israele fuggiranno i capitali. Un gruppo di economisti scrive una lettera in cui dichiara che se la riforma dovesse passare ci sarà “un prosciugamento di cervelli” dal paese, interviene persino Fitch, l’agenzia di rating americana, affermando che alcuni paesi (senza specificare quali) “Che hanno approvato importanti riforme istituzionali riducendo i controlli e gli equilibri istituzionali hanno visto un significativo indebolimento degli indicatori di governance della Banca mondiale (WBGI), gli indicatori più influenti nel nostro modello di rating sovrano (SRM)”, aggiungendo tuttavia che, “Non è chiaro in questa fase se le riforme proposte in Israele avrebbero un impatto altrettanto ampio”. Non solo non è chiaro, non vi è tra l’una e l’altra cosa alcun nesso di causalità, ma ciò che conta è quanto affermato nell’esordio, ipotizzarlo, creare la prospettiva della sua eventualità. Il clima di intimidazione in corso è parossistico, senza precedenti.
L’estesa rete degli avversatori della riforma è potente e agguerritissima, può contare sull’appoggio della Casa Bianca nonchè su quasi tutto il comparto mediatico-accademico israeliano, sulle sparse ed efficientissime ONG che da anni lavorano all’interno di Israele per minarne la credibilità internazionale, e su una parte consisistente dell’esercito, nonchè, come è ovvio, sulla corporatività quasi unanime della magistratura. La guerra civile evocata irresesponsabilmente da Benny Ganz è già in atto. Gli oppositori alla riforma vogliono che abortisca, non fanno sconti, è in gioco troppo, un potere consolidato e fortissimamente radicato che non ha nessuna intenzione di rinunciare alle sue prerogative.
È la dimostrazione che la riforma è urgente e indispensabile. Se l’esecutivo riuscirà a tenere botta fino alla fine, è tutto da vedere.




Alberto Pneto
Ecco dove vogliono andare a parare i sinistrati di Israele: negare gli ebrei e la loro Israele
I dhimmi che negano se stessi, gli ebrei che negano la loro ebraicità e la loro nazione, una mostruosità umana, civile e politica.
Al servizio dei nazi maomettani che vogliono la distruzione di Israele e la cacciata o lo sterminio degli ebrei come ovunque nel mondo quello dei cristiani, degli indù, degli zoroastriani, di ogni diversamente religioso, areligioso e pensante.
Questi ebrei atei e non ebrei, vittine della Sindrome di Stoccolma, hanno interiorizzato la dhimmitudine e ambiscono al suicidio politico dell'intero Popolo ebraico e del loro Stato di Israele.



Né stato degli ebrei né stato degli israeliani
Giorgio Gomel
3 Marzo 2023

https://www.affarinternazionali.it/lo-s ... netanyahu/

“Avremo dunque una teocrazia? No: la fede ci rende uniti, la scienza ci rende liberi. Non permetteremo affatto che le velleità teocratiche di alcuni nostri rabbini prendano piede: sapremo tenerle ben chiuse nei loro templi, come rinchiuderemo nelle caserme il nostro esercito di professione. Esercito e clero devono venire così altamente onorati come esigono e meritano le loro belle funzioni; nello Stato, che li tratta con particolare riguardo, non hanno da metter bocca, ché altrimenti provocherebbero difficoltà esterne e interne “ (Theodor Herzl, Lo Stato degli Ebrei, Treves editore, 2012, pagg. 129-130).


Lo “Stato ebraico”

Già nel 2018 la Knesset – il Parlamento israeliano – aveva approvato la controversa “legge della nazione“, una legge fondamentale con uno status quasi costituzionale, che sanciva nei fatti la transizione di Israele da “stato ebraico e democratico” – un ossimoro secondo alcuni; un tentativo in parte riuscito secondo altri di conciliare lo “stato degli ebrei” concepito da Herzl e dagli altri padri fondatori del sionismo, uno stato cioè dove gli ebrei potessero autodeterminarsi in una nazione, con il principio di una democrazia per tutti i suoi cittadini – ad uno “stato ebraico”.

La legge violava lo stesso spirito della Dichiarazione di indipendenza del ’48 che prescrive “completa eguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzione di religione, razza o sesso”. Con Israele definito dalla legge “stato-nazione del popolo ebraico” il diritto all’autodeterminazione è limitato agli ebrei. Ciò significa disconoscere il fatto che vi è in Israele un’altra nazione o etnia che nulla può dire circa il carattere dello stato di cui i suoi membri – gli arabi – sono cittadini con pari diritti. Pari diritti individuali sì, ma non i diritti collettivi di una minoranza nazionale, che dovrebbe potere conseguire attraverso strumenti legislativi e atti concreti uno status non inferiore a quello degli ebrei israeliani.


Radicalismo e discriminazioni

La legge rifletteva l’offensiva del radicalismo di destra, con norme volte a limitare la libertà di espressione – soprattutto nel mondo delle ong e dei movimenti dediti alla difesa dei diritti umani – l’indipendenza del potere giudiziario, in particolare i poteri della Corte suprema, il pluralismo delle opinioni, in una società in cui larghi strati dell’opinione pubblica appaiono indifferenti o anche ostili ai vincoli dello stato di diritto e intolleranti del dissenso.

Il dualismo fra “ebraico” e “democratico” esiste fin dalla nascita dello Stato di Israele; basti pensare alla Legge del ritorno che consente agli ebrei del mondo di diventare cittadini di Israele immigrando nel paese. Che Israele sia uno stato “ebraico”, non solo perché luogo di rifugio dalle persecuzioni di un popolo disperso, ma perché l’identità collettiva del paese è impregnata di cultura ebraica (la lingua, le feste, il calendario, i simboli pubblici) è certamente legittimo. Ma non è accettabile che lo stato favorisca il gruppo ebraico rispetto ad altre etnie. Israele è lo Stato degli ebrei, ma rispettoso dei diritti di tutti i suoi cittadini. La legge ha però codificato una discriminazione. Inoltre, uno Stato che non ha confini certi e riconosciuti come può definirsi? Se i territori palestinesi fossero annessi, come si configurerebbe Israele? Come lo stato-nazione del popolo ebraico ? Si giungerebbe così anche formalmente ad uno Stato binazionale, ma non egualitario, non democratico, con diritti pieni solo per ebrei.

L’identità dello Stato per il governo Netanyahu

Con il nuovo governo formatosi dopo le elezioni del novembre scorso, nel quale è decisivo il peso dei due partiti ultraortodossi e dei fondamentalisti del “Sionismo religioso”, con forti pulsioni verso il tribalismo, l’intolleranza, Israele non sarà piu’ neppure sul piano normativo lo “Stato degli ebrei”, nel senso del sionismo liberale di Herzl o di quello di matrice socialista, né tanto meno lo “Stato degli israeliani”, una democrazia piena ed egualitaria per tutti suoi cittadini. Diventerà uno “stato ebraico”, per mano di una bellicosa minoranza del paese.

Quali i passi più significativi se gli accordi di coalizione pattuiti fra il Likud e gli altri partiti saranno pienamente attuati? In essi si insiste compulsivamente sull’identità “ebraica” del Paese. Si inventano agenzie parti di ministeri dedicate a tal fine, in particolare una Autorità per l’identità ebraica e un incarico concernente i rapporti fra le scuole e la società civile affidati ambedue a Maoz, leader di Noam, partito omofobo e integralista, peraltro dimissionario accusando il resto del governo di “tradire” le intese.

La legge ribadisce il divieto di spazi egualitari di preghiera al Muro del Pianto, per uomini e donne, nonché per le molteplici e spesso confliggenti correnti dell’ebraismo, nonostante accordi negoziati in tal senso, nel tempo disattesi. Si statuisce persino una modifica della Legge del ritorno mirante ad abolire la clausola per cui dagli anni Settanta un nonno ebreo è sufficiente per il diritto all’aliya e alla cittadinanza israeliana. Si rifiutano di riconoscere atti di conversione celebrati da rabbini non ortodossi in Israele o comunque da rabbini ortodossi non soggetti al controllo del rabbinato centrale come viatico alla cittadinanza, atti che la Corte suprema aveva consentito con una sentenza nel 2021.

In sintesi, Israele, Paese nato sull’anelito del costruire una nazione nuova e vecchia al tempo stesso, multiculturale e unita, è scosso oggi dal pericolo di uno scisma profondo al suo interno che potrebbe disgregare la società.



Guida alla riforma - 10 domande a cui chi si oppone alla riforma non potrà rispondere senza mentire:
Shaulie Rotherman

1. C'è un'altra democrazia dove i giudici nominano i giudici o hanno il veto sulla nomina dei giudici e che cos'è?
2. Se la maggior parte dei giudici fossero di destra, sosterreste ancora i giudici che eleggono i giudici?
3. Chiamate il paese secondo i valori della Carta d'Indipendenza. Dove sono le parole "Ebreo e Democratico" scritte nella pergamena dell'Indipendenza?
4. Ma lo stato d'Israele non era una democrazia fino al 1992 (il disegno di legge delle leggi fondamentali)?
5. La Corte Suprema è stata autorizzata a scavalcare leggi e decisioni governative? Dove e quando?
6. Ci sono bilanci e freni in campo al giorno d'oggi? Menziona uno "equilibrio e freno".
7. Se il tribunale ha l'ultima parola, che senso ha fare le elezioni per la Knesset e il Primo Ministro?
8. L'avvocato era autorizzato a denunciare il governo secondo la sua opinione? Dove e quando?
9. Il vostro appello al dialogo e al compromesso significa che siete d'accordo sulla necessità di una riforma perché la situazione oggi non è giusta e deve essere risolta. Perché non hai chiesto alcuna riforma fino ad oggi?
10. Accetterete di approvare la riforma in cambio del pensionamento di Netanyahu?




L’ideologia sopra ogni altra cosa

Redazione
8 Marzo 2023

http://www.linformale.eu/lideologia-sop ... ltra-cosa/

C’è ancora qualcuno che davvero crede che quanto sta accadendo in Israele, il dilagare delle proteste in molteplici settori civili e che ora hanno investito anche una parte dei riservisti, quindi il comparto militare, abbia a che vedere unicamente con la annunciata riforma della giustizia? Davvero c’è qualcuno di così ingenuo o sprovveduto da non capire di cosa si tratta realmente?

La riforma della giustizia annunciata dal governo Netanyahu e presentata nel programma elettorale, quindi resa manifesta a chi ha votato alle ultime elezioni, è solo uno specchietto per le allodole, o meglio dire è il casus belli. Non che la riforma, per come è concertata non vada a modificare strutturalmente il potere abnorme della Corte Suprema israeliana, il punto non è questo. Il punto è Netanyahu, è il suo governo di “ultra-destra”, il problema sono Itmar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, il problema è lo stesso premier che l’opposizione sperava fosse definitivamente uscito di scena in virtù delle risibili accuse che gli sono state mosse e dei processi costruiti intorno ad esse.

Come ha dichiarato recentemente Caroline Glick in un suo intervento pubblico, la sinistra, in Israele, è “un ecosistema”, assai più di una mera rappresentanza politica, come lo è, d’altronde, negli Stati Uniti. Se fosse solo questo, tutto quello a cui stiamo assistendo, l’impeto della protesta, gli allarmismi oltreoceano, le ingerenze americane, gli interventi delle agenzie di rating, ecc. non avrebbero luogo. Il clamore in corso, l’esagitazione iperbolica non si sarebbero manifestati in modo così eclatante.

In un loro recente comunicato, i riservisti protestatari hanno dichiarato che non vogliono vivere sotto “una dittatura” e hanno definito Itmar Ben Gvir, “un criminale kahanista”. Benny Ganz, Ehud Barak, entrambi ex militari pluridecorati e con una carriera ai vertici dell’IDF non hanno avuto alcuna esitazione ha dichiarare che se la riforma della giustizia non verrà stoppata si andrà incontro a una “guerra civile”.

Messe insieme, tutte queste affermazioni denunciano la ripulsa assoluta di una parte del paese nei confronti di Netanyahu e del suo governo.

Criticare un governo in carica, in una democrazia è fisiologico, è una prerogativa dell’opposizione e dei media che le sono vicini, ma quella a cui stiamo assistendo non è critica, è una delegittimazione radicale che si fonda su un disconoscimento quasi antropologico dell’avversario.

Il clima irresponsabile da guerra civile è stato generato e viene mantenuto in vita dall’ecosistema di cui ha parlato la Glick, il vasto e articolato insieme che comprende la parte più consistente dei media, dell’università, che può contare su un vasto appoggio all’interno dell’esercito, che si avvale di ONG finanziate da capitali stranieri, le medesime che da anni contribuiscono a minare la credibilità di Israele all’estero e che, nella Suprema Corte, ha da almeno tre decenni la propria punta di diamante, la garanzia di salvaguardia della propria struttura.

Quando, nel 1977, dopo quarantanove anni di ininterrotto dominio del partito laburista, Menachem Begin vinse le elezioni, non provvide a mettere in atto, come avrebbe potuto fare, uno spoil system. Pur essendo stato demonizzato in campagna elettorale e accusato prevedibilmente di fascismo, lasciò ai loro posti, nei vari settori nevralgici della società civile, i vecchi socialisti che da anni occupavano quelle posizioni. Begin li considerava giustamente persone che se si fosse reso necessario avrebbero anteposto le loro preferenze ideologiche all’interesse superiore dello Stato, ma erano altri tempi, erano altri uomini, pur nella durezza senza sconti delle contese politiche. Oggi non è più così, e non è più così da molto tempo.

L’ecosistema di sinistra radicalmente ideologizzato presente oggi in Israele, privilegerà sempre, come sta facendo, l’ideologia rispetto ad ogni altra considerazione.





Il rifiuto nei confronti di chi ha vinto
Niram Ferretti
10 Marzo 2023

http://www.linformale.eu/il-rifiuto-nei ... -ha-vinto/

“Il caos è qui, con tutta la sua forza di risucchio” decretava David Grossman a dicembre, in un suo intervento poco dopo l’insediamento del governo Netanyahu. Il caos, naturalmente è Netanyahu e chi lo accompagna, soprattutto gli “impresentabili” Itmar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, impresentabili per la sinistra, per buona parte dei residenti di Tel Aviv per i quali in Giudea e Samaria vive una strana e aberrante forma di ebrei noti come coloni, gente che crede ancora arcaicamente sulla scia di Abramo, che esista un rapporto indistruttibile tra ebraismo e terra, un po’, diciamo, il fondamento stesso del sionismo.

L’affermazione dello scrittore israeliano molto à la page e suprestite della trimurti letteraria de-occupazionista rappresentata dai compianti Amos Oz e Abraham Yehoshua incarna in modo perfetto e inesorabile ciò che pensa la sinistra israeliana e quale è il suo atteggiamento liberale nei confronti di chi ha vinto alle ultime elezioni.

Per costoro, e certo non da oggi, la parola “democrazia” ha un significato univoco e un altrettanto univoco referente, non implica alternanza ed è esclusivamente incarnata dalla parte politica che essi rappresentano. Tutto il resto è uno sgradevole incidente di percorso, anzi un vulnus. Così fu quando Menachem Begin osò vincere le elezioni nel 1977, dopo quasi cinquanta anni di incontrastato dominio laburista, il “fascista” Begin, colui il cui mentore era stato Ze’ev Jabotinsky, figura enorme e così odiato da Ben Gurion che ne impedì la sepoltura in Israele fino a quando restò in carica. Anche i padri nobili erano uomini corredati da indistruttibili meschinità. Vino vecchio in otri nuovi dunque? Fondamentalmente. Ne abbiamo scritto varie volte in questi giorni in merito alla vituperata riforma della giustizia che fa parte del programma con il quale Netanyahu è stato eletto. Una riforma necessaria e tardiva, sicuramente non perfetta come non lo è nessuna legge, ma contro la quale è stata scatenata una mobilitazione senza precedenti.

Il comune denominatore di tutti gli interventi contro la riforma è il seguente: con la riforma in atto Israele cesserebbe di essere una democrazia, diventerebbe un’autocrazia, o forse persino una dittatutra piena. Il paese è in pericolo, bisogna salvarlo dall’abisso, o meglio dal caos, per citare Grossman, e chi può farlo se non Benny Gantz, Yair Lapid, forse Bennett, o Mansour Abbas? i componenti del governo precedente che per Grossman e compagni vari rappresentava l’opposto del caos, l’ordine, la bella forma, la continuità?

Sarcasmo a parte, questo è il canovaccio. La fotografia che ci consegna oggi Israele è quella di un paese profondamente diviso, una società in cui il disconoscimento dell’avversario è diventato radicale, soprattutto se è un rappresentante della destra. È già successo recentemente negli Stati Uniti, dove in fase pre-elettorale e successivamente alla sua vittoria, la demonizzazione di Donald Trump fu incessante, quotidiana. Si tratta, in entrambi i casi di democrazie malate, non strutturalmente, ma dentro lo stesso corpo elettorale dove prevalgono sentimenti fortemente manichei, e il compromesso, la collaborazione, l’intesa ragionevole, sono considerate cedimenti inammissibili nei confronti del Nemico.

Lo scopo di tutto il bailamme in atto, è uno solo, fare cadere il governo in carica, costringerlo all’implosione interna, disconoscere il responso delle urne e riportare dissennatamente il paese alle elezioni, ma in questo caso, come si è già visto, il rimedio potrebbe essere peggiore del male, ovvero, che Netanyahu esca ancora vincitore, forse anche più forte di quanto lo sia adesso. Vista la caratura politica degli attori che gli contendono il primato, è il più probabile degli esiti.



Netanyahu visita la Comunità ebraica di Roma. Il discorso della Presidente Dureghello: “Siamo e saremo sempre dalla parte dello Stato d’Israele”

Pubblichiamo di seguito il discorso della Presidente Ruth Dureghello durante la visita privata del Primo Ministro dello Stato d’Israele Benjamin Netanyahu presso la Comunità Ebraica di Roma
10 marzo 2023

https://www.shalom.it/blog/news/netanya ... a-b1128501


Gentile Primo Ministro Benjamin Netanyahu,
Gentile Signora Sara Netanyahu,
Rabbanim, autorità e amici.

È con grande piacere che ho l’onore di accogliere il primo ministro dello Stato d’Israele nella sua visita a Roma e alla Comunità Ebraica.

Questa città ha un significato importante nella storia del popolo ebraico.

I primi ebrei arrivarono qui a Roma in quello che allora rappresentava il centro della civiltà dell’epoca più di ventidue secoli fa. A ricordarci quello che avvenne successivamente c’è l’Arco di Tito con la raffigurazione della Menorah trafugata e della deportazione degli ebrei dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme.

Da quel giorno il popolo ebraico ha assunto su di sé l’imperativo morale di ricordare sempre, nei momenti tristi come in quelli lieti, il luogo da cui sono stati deportati e giunsero i nostri avi. “Im Eshkachèkh Ierushalaim tishkah ieminì” Se ti dimentico Gerusalemme si paralizzi la mia mano destra.”

Caro Primo Ministro, le posso assicurare che la Comunità Ebraica di Roma non solo non ha mai dimenticato Gerusalemme, ma come nessuna comunità nella diaspora ha saputo fare, è sempre stata e sarà dalla parte dello Stato ebraico, della sua capitale Gerusalemme, unica e indivisibile e di ogni singolo ebreo in qualsiasi luogo del mondo egli si trovi.

Sotto l’arco di Tito questa Comunità tornò simbolicamente nel 1947 con il Rabbino David Prato zl, all’indomani della Dichiarazione Generale delle Nazioni Unite che apriva la strada alla nascita dello Stato d’Israele, celebrando così l’inizio della fine della diaspora del popolo ebraico.

Nulla ha potuto scalfire questo legame millenario, non sono bastati secoli di vessazioni e privazioni, non c’è riuscita la segregazione nel Ghetto, né la persecuzione nazifascista con una ferita che ancora oggi non è rimarginata. Non c’è riuscito neanche l’attentato palestinese il 9 ottobre 1982 quando sotto una pioggia di proiettili e granate, all’uscita di questa sinagoga, quaranta persone rimasero ferite e un bambino di due anni, Stefano Gaj Tachè fu barbaramente ucciso. Oggi sono fisicamente con noi i genitori e il fratello Gadj, ma posso assicurare che il ricordo di Stefano è più vivo che mai a perenne memoria di ciò che produce l’odio contro Israele.

In quegli anni terribili il clima ostile verso Israele invitava gli ebrei a disconoscere il rapporto identitario con Israele, a prendere le distanze dalle scelte dei suoi governi.

Questa Comunità non si piegò al ricatto morale di chi voleva imporre l’assunto per cui per essere cittadini italiani bisognasse condannare Israele.
Sin da quei giorni la dirigenza comunitaria decise di darsi una regola che con convinzione rispettiamo ancora oggi: le scelte dei governi d’Israele riguardano i cittadini israeliani. Cittadini che, come in ogni democrazia, hanno il diritto di esprimere dissenso e di avere posizioni politiche diverse.

Noi ebrei nella diaspora non abbiamo questo privilegio. Noi siamo dalla parte dello Stato d’Israele perché l’antisemitismo che si cela anche sotto l’antisionismo non permette divisioni e o spazi in cui insinuarsi.

Il compito di una Comunità è quello di aiutare Israele a difendersi dai tentativi di delegittimazione perché sappiamo, e la Shoah ce lo ha insegnato, che la sicurezza degli ebrei della diaspora è legata all’esistenza di uno Stato Ebraico forte e sicuro. Noi rispettiamo e apprezziamo la vitalità della democrazia israeliana e l’unico auspicio che possiamo rivolgere è che il popolo d’Israele possa continuare ad essere unito nelle sue diversità e differenza.

Nei giorni scorsi, a Purim, abbiamo accolto sessanta familiari di vittime di attentati terroristici o di soldati caduti in battaglia. Se ogni ebreo è responsabile per l’altro significa che dobbiamo ricordare sempre quanto sia importante l’unità del popolo ebraico.

Oggi questa è una Comunità viva, ricca di sinagoghe, scuole ebraiche e attività di ogni tipo. Gli ebrei romani sono parte integrante della vita sociale, culturale e politica di questa città e di questo Paese. Siamo i più antichi fra i romani ed orgogliosamente italiani con il cuore e lo sguardo sempre rivolto a Gerusalemme di cui sosteniamo con convinzione il riconoscimento da parte del Governo italiano come capitale dello Stato d’Israele.

La nostra vicinanza ad Israele, al suo popolo e alla sua democrazia non può essere messa in discussione, siamo necessari l’uno per l’altro.
La forza d’Israele è negli ebrei della diaspora e la forza degli ebrei nella diaspora è lo Stato d’Israele.
Grazie Signor Primo Ministro



Noemi Di Segni e le critiche a Netanyahu: «L'isolamento internazionale di Israele dà spazio al terrorismo»

11 marzo 2023

https://www.open.online/2023/03/11/isra ... -critiche/

Noemi Di Segni, che dal 2016 guida l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, parla oggi in un’intervista al Corriere della Sera di Benjamin Netanyahu e della politica di Israele. «Non ho rivolto una critica severa al primo ministro d’Israele. Vorrei che la mia riflessione non venisse inserita nella dialettica oppositiva contro/pro governo, ma restare una voce che invita alla responsabilità di tutti e in primis di chi governa», premette. Poi: «Ho voluto dare voce a chi si sente smarrito nel caos delle reciproche accuse. Spiegare cosa ci si aspetta dal governo israeliano in termini di responsabilità e di attenzione al confronto in un momento così drammatico per Israele e, di riflesso, anche per le nostre comunità ebraiche italiane», dice a Paolo Conti.

Il confronto e lo scontro

Per Di Segni« Se in Israele non c’è un confronto costruttivo ma solo una contrapposizione oppositiva e violenta da parte di entrambi gli schieramenti, questo stile e questa spaccatura, oltre a riverberarsi nelle nostre comunità, genera difficoltà nella difesa di Israele su cui tutti ci impegniamo. Un conto è il pluralismo delle idee. Un conto è un modello fatto di scontri che si replica qui. Non va bene in Israele, non va bene in Italia». La leader spiega che il suo è stato «un invito alla pacatezza, a focalizzare il tema ragionando insieme all’interno di una dialettica politica per capire perché il tema della riforma della giustizia tocca così nel profondo le corde di Israele. Non ci si può barricare dietro a un ‘è giusto così e basta’ che produce gli scontri che vediamo. Guidare un dibattito è diverso che guidare fiumi di gente in piazza che si urlano contro». E precisa che la sua «è la posizione di chi si sente israeliano, ebreo e parte del destino di Israele». Perché «l’isolamento internazionale di Israele, la sua delegittimazione e demonizzazione che prescinde da ogni ragione e da ogni governo, che finisce col dare spazio al terrorismo», spiega. Infine risponde a Riccardo Pacifici, che ha affermato che lei non lo rappresenta:« Non è una novità, non si è mai sentito rappresentato da me. Ma lo sono migliaia di altri ebrei italiani che hanno manifestato queste posizioni. Il bello dell’ebraismo italiano è che ciascuno sceglie da chi farsi rappresentare».



THE MOB
Decima settimana di proteste in Israele contro la riforma della giustizia che il governo Netanyahu si appresta a varare. Come era prevedibile tutto ciò.
Niram Ferretti
11 marzo 2023

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Il potere della Suprema Corte, potere regale e sostanzialmente antidemocratico (in quale altro Stato democratico la Corte Suprema giudica la conformità di una legge non sulla base del corpus giuridico consolidato ma sulla base della sua "ragionevolezza"?), non può permettere di essere limitato. Trent'anni di dominio incontrastato non sono pochi, e ora, qualcuno osa metterli in mora dunque bisogna scatenare il putiferio.
Il governo è accerchiato, un po' come Sara Netanyahu che, qualche giorno fa si è trovata un gruppo di manifestanti fuori dal salone di bellezza dove si trovava i quali urlavano slogan contro di lei. È stata scortata fuori dalla polizia. Mancava la ghigliottina di cartone, ma c'era già stata, qualche anno fa, durante una delle manifestazioni di piazza contro Netanyahu. Sì, allora le manifestazioni programmate dai soliti noti erano tutte rivolte contro il premier presentato come un mix tra Lucky Luciano e Al Capone, così come ora si urla alla dittatura, al prossimo avvento del Primo Reich israeliano se la riforma dovesse passare così come è.
Il radicalismo di sinistra che impregna in Israele le ONG (tutte finanziate da soldi stranieri e tutte per lo smantellamento degli insediamenti in Giudea e Samaria e per la nascita di uno Stato palestinese nel cuore di Israele), la parte più consistente dell'accademia, dei mass media, e anche una parte dell'esercito anche ai suoi più alti livelli, non fa sconti. Vogliono, sia chiaro, lo scalpo di Netanyahu, il suo magnifico riporto, per appenderlo su una picca, magari con la sua testa attaccata, vedi ghigliottina di cartone.
Non si illuda chi crede da moderato che basterebbe un compromesso e che poi tutto tornerebbe a posto. Non è così. Vogliono solo una cosa, affossare in toto la riforma, affogare il nascituro e lasciare intatto lo status quo.
Netanyahu prenda esempio da Margaret Thatcher, quando lo sciopero dei minatori del 1984-1985 rischiò di paralizzare il paese. Non cedette di un millimetro.
Cedere, con costoro, significa avere già perso la battaglia.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I criminali magistrati sinistrati contro Netanyahu

Messaggioda Berto » sab mar 18, 2023 9:51 pm

FARSESQUE
Niram Ferretti
11 marzo 2023

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Come scongiurare lo sprofondamento di Israele dentro l'abisso del primo Reich ebraico? Semplicissimo. Si tratta di abolire, anzi abortire la riforma della giustizia che vorrebbe riformare il Gran Sinedrio della Suprema Corte, e subito, di seguito, abolire Netanyahu. Magari con un decreto firmato da quel grande condottiero che fu e che è Benny Gantz, evocatore di guerre civili, di no pasaran perentori e fulminanti. Uomini così, per citare George Sand, ne nascono uno ogni cento anni (forse anche di più).
Intanto marciano le truppe a difesa della democrazia, presidiate da ONG che già la difendono da anni, opponendosi al regime occupazionista vigente in Giudea e Samaria, terra islamica per eccellenza. Sono una garanzia per tutti. Con amici così, chi ha bisogno di nemici?
Che momenti magici, unici, irripetibili, quando al governo invece del neo-tiranno, c'erano galantuomini veri come Lapid, Bennett, Abbas, gente tutta di un pezzo che mai e poi mai si sarebbe immaginata di toccare un solo pezzo dell'ordinamento giudiziario. Timore e tremore era il loro atteggiamento base. E così si andava avanti, felicemente si può dire, finchè un giorno funesto si dovette andare ancora al voto e lui, sempre lui, il più longevo premier di Israele vinse un'altra volta imbarcando "criminali" kahanisti (copyright alcuni riservisti in sciopero) e oltranzisti omofobi, più tanti ultraortodossi che, dicono, vorrebbero di nuovo immolare capretti sul Monte del Tempio. Ma questo non è nulla al cospetto della riforma della Giustizia, un testo sacrilego che attenta all'ordinamento giuridico toranico che Aharon Barak ha istituito eternamente per Israele.
La democrazia sprofonda mentre lady Netanyahu si rifà i capelli e la folla fuori dal beauty center le rimprovera la sua insensibilità di fronte al dramma circostante, rediviva Maria Antonietta che si ossigena i capelli.



Israele: l'appello anti-Netanyahu dell'ex capo del Mossad e la seconda guerra d'indipendenza

16 marzo 2023

https://www.globalist.it/world/2023/02/ ... ipendenza/

Tamir Pardo fu nominato nel 2010 da Benjamin Netanyahu, primo ministro d’Israele, a capo dell’Istituto israeliano per le operazioni speciali, universalmente conosciuto, apprezzato, temuto, come Mossad. E in quel ruolo cruciale per la sicurezza dello Stato d’Israele ha lavorato a stretto contatto con il primo ministro.

Tamir Pardo non può essere di certo considerato un fiancheggiatore dei terroristi palestinesi, o dei palestinesi tutti, né un inveterato pacifista sinistrorso. Lui i nemici d’Israele li ha combattuti per tutta la vita. Ed è per questo che le sue affermazioni, riportate da Haaretz, dovrebbero far scattare molti campanelli d’allarme tra quanti hanno davvero a cuore la democrazia di quel Paese.

La parola all’ex capo del Mossad.

Scrive Haaretz: “Il primo ministro Benjamin Netanyahu deve dimettersi per il bene del Paese, ha dichiarato giovedì l’ex capo del Mossad Tamir Pardo, invitando “ogni cittadino israeliano” a unirsi alle proteste antigovernative delle ultime settimane.
“Non riesco a capire come una persona che è stata primo ministro per molto tempo non capisca che l’unica cosa che dovrebbe fare ora è dimettersi e lasciare che il suo partito nomini un altro primo ministro”, ha dichiarato Pardo all’emittente nazionale Kan, affermando che Netanyahu “vuole cancellare il [suo] processo e continuare ad essere primo ministro”.
“Ogni cittadino israeliano, senza eccezioni”, dovrebbe andare a protestare, spiegando che tutti gli israeliani, “ebrei e non ebrei, devono capire il pericolo” per il Paese.

Durante il suo servizio nella forza d’élite per le operazioni speciali Sayeret Matkal, Pardo è stato sotto il comando di Yoni Netanyahu, fratello maggiore di Netanyahu, ed è stato l’ultimo a vederlo vivo prima che venisse ucciso durante l’operazione Entebbe in Uganda nel 1976. Pardo ha manifestato apertamente la sua opposizione all’attuale governo e ha partecipato, insieme ad altri ex alti ufficiali dell’esercito e della sicurezza, alla protesta dei riservisti delle Forze di Difesa Israeliane della scorsa settimana davanti alla Corte Suprema. Pardo ha dichiarato di ritenere che l’attuale governo stia danneggiando la sicurezza israeliana trasferendo i poteri sulla vita civile in Cisgiordania dall’establishment della difesa al ministro delle Finanze Bezalel Smotrich.

.Una tale mossa, ha detto, è “la cosa più storta e il più grande generatore di rabbia e anarchia” e “metterebbe Israele in una situazione di rischio”. “C’è una profonda inquietudine per il fatto che ci stiamo avvicinando all’abisso. Non sono una voce solitaria, secondo me è la maggioranza” a crederlo, ha detto. I nostri “nemici pensano che siamo impazziti, [che] questo Paese si distruggerà”.


La seconda guerra d’indipendenza.

Così ne scrive sul quotidiano progressista di Tel Aviv, Uri Misgav: “Un giorno, forse, ci sarà tempo per andare a fondo della vigliaccheria, per sondare le origini della debolezza, per capire cosa passa per la testa di coloro che si sentono gridare dal podio della Knesset: “Rolex e Mercedes – Passeremo la riforma nonostante voi, vi sbatteremo in prigione”, e dicono: Ok, parliamone nella residenza del Presidente .[…] La proposta del Presidente Herzog è una vergogna. È una bozza di resa, una raccomandazione fatta con voce tremante al campo liberal-democratico su come presentare il collo alla ghigliottina (risposta: educatamente). Isaac Herzog è stato eletto con una maggioranza folgorante, perché questo è esattamente ciò che sa fare meglio: accattivarsi il favore di tutti, ricucire coalizioni, raggiungere “ampi accordi”. Ma qui non è così. Siamo nella seconda guerra d’indipendenza. Quale accordo di massima si sarebbe potuto raggiungere con i volontari jihadisti di Qawuqji? Quale coalizione si sarebbe potuta creare tra il neonato Stato e i cinque eserciti che lo hanno invaso? Nel momento in cui Netanyahu ha presentato un piano per una riforma radicale, ha adottato la posizione della mafia che dice che il sistema giudiziario richiede un cambiamento radicale. Chi l’ha deciso, l’imputato criminale Benjamin Netanyahu e il criminale seriale Arye Deri? Il lunatico Kohelet Forum, il cui rappresentante è stato messo a capo della Commissione Costituzione, Legge e Giustizia della Knesset? Il discorso stesso e la proposta di compromesso sono stati un coltello nella schiena del Presidente della Corte Suprema Esther Hayut e del Procuratore Generale Gali Baharav-Miara, e nella schiena delle masse di patrioti che sono scesi in piazza per difendere la democrazia di Israele. L’ex presidente Reuven Rivlin non avrebbe agito in questo modo. Gli eventi storici non sono consapevoli del loro carattere storico. Quando una persona si alza al mattino e si reca con la famiglia e gli amici a Gerusalemme, non capisce fin dall’inizio che prenderà parte a un evento formativo. Sente semplicemente che deve andare. Questo genio non sarà rimesso nella bottiglia. Le manifestazioni, le marce, le proteste, la voce chiara del sistema giudiziario, il sorprendente risveglio del settore imprenditoriale, l’audacia del settore high-tech, la determinazione dei riservisti e degli ex alti funzionari militari e della sicurezza, gli accademici e gli artisti che non si accontentano di stare a guardare, la nuova linfa degli studenti universitari e dei giovani. Alcuni guardano a questo incredibile fronte unito e si chiedono: ma qual è il prossimo passo? Qual è il vostro “gioco finale”? Dovrà finire, come sempre, con un compromesso. Dovremo incontrarci nel mezzo. Beh, no. Il compromesso non è un’opzione quando c’è un chiaro aggressore. Tra l’altro, queste sono più o meno le stesse persone che, dopo l’invasione della Russia, hanno consigliato agli ucraini di arrendersi a Putin. Le cronache dell’era moderna sono piene di scontri ed eventi estremi che hanno richiesto un chiaro trionfo di una parte sull’altra. Nessuno si aspettava che Lincoln incontrasse gli Stati Confederati a metà strada. Nessuno ha chiesto a Churchill quale fosse il suo fine ultimo. Tutto ciò che offrì fu sangue, sudore e lacrime. Quando Martin Luther King e il movimento per i diritti civili portarono un quarto di milione di persone a marciare su Washington, cantarono “We Shall Overcome”. Non hanno preso in considerazione il “dialogo” e gli “ampi accordi” con i sostenitori della segregazione razziale attraverso la cortese mediazione della Casa Bianca.

Non servono a nulla nemmeno le interminabili analisi per capire se Netanyahu voglia davvero una rivoluzione, se stia guidando o sia guidato. Chi ha nominato Levin, Ben-Gvir e Rothman alle loro posizioni? Ciò che conta è che questo gruppo è in preda al panico. I portavoce e i complici sono sotto shock. Si vedano i furiosi sfoghi psicotici degli emittenti di destra Yinon Magal e Erel Segal. La capacità dell’opposizione di portare in piazza masse di persone li sta divorando. L’appropriazione della bandiera israeliana da parte della protesta li sta uccidendo. Chi avrebbe mai pensato che le masse sarebbero scese in piazza per una clausola di scavalcamento, per il test di ragionevolezza e per la composizione di un comitato di selezione giudiziaria. Il campo dei teppisti ha ragione su una cosa: questa battaglia riguarda molto di più. E arrendersi non è un’opzione”.

Più chiaro di così…

Una presa di posizione coraggiosa.

Viene dall’Italia. “Mosso da profondo amore per Israele e preoccupato per le sue sorti, il Consiglio Direttivo di Beth Hillel (Comunità ebraica progressista, ndr) ) sottoscrive all’unanimità un appello in solidarietà agli israeliani che manifestano da settimane contro alcune proposte di legge del governo Netanyahu e che lunedì 13 febbraio si sono riuniti in protesta davanti all’edificio della Knesset a Gerusalemme.

La democrazia di Israele è in pericolo di vita. Il sesto governo guidato da Netanyahu non è una normale transizione di potere tra coalizioni di partiti diversi, tipico di una democrazia parlamentare.

È l’espressione della volontà di un cambio di regime. Sul piano interno, le costrizioni che sarebbero imposte alla Corte Suprema e la sottomissione dell’intero sistema giudiziario al potere esecutivo mirano a distruggere le fondamenta stesse della democrazia liberale: la separazione e l’equilibrio dei poteri. Si propone una modifica della Legge del ritorno mirante ad abolire la clausola per cui un nonno ebreo è sufficiente per il diritto all’aliyah e alla cittadinanza israeliana. Si rifiutano di riconoscere atti di conversione celebrati da rabbini non ortodossi in Israele o comunque da rabbini ortodossi non soggetti al controllo del rabbinato centrale come viatico alla cittadinanza, atti che la Corte suprema aveva consentito con una sentenza nel 2021. Si aggiungano le spinte integraliste dei partiti ultraortodossi volte a vietare preghiere dei non ortodossi al Muro del Pianto e ad inserire programmi educativi da loro ispirati nel sistema scolastico pubblico.

Sul piano dei rapporti con i palestinesi, gli accordi di coalizione affermano la sovranità esclusiva del popolo ebraico sull’intero territorio tra il fiume Giordano e il Mediterraneo. A tal fine, la responsabilità dei territori occupati viene sottratta all’esercito, un potere sovrano riconosciuto dal diritto internazionale, e trasferita alle autorità civili.

Lo Stato ebraico e democratico che i Padri Fondatori del sionismo sono stati in grado di creare, e che da allora ha resistito a tutte le vicissitudini della storia, rischia di non sopravvivere all’ alternativa fra una quasi guerra civile e un regime teocratico.

Uniamo come ebrei della Diaspora la nostra voce agli israeliani che da settimane manifestano in protesta e che lunedì 13 febbraio – giornata in cui è stata indetta una sospensione dal lavoro promossa da molte associazioni – si sono riuniti in protesta davanti all’edificio della Knesset a Gerusalemme”.


Niram Ferretti
Antonio Anto Oi Pardo è da tempo una caricatura. Il suo odio per Netanyahu è giunto ad apici grotteschi. Sono meravigliosi questi liberali che non accettano il responso delle urne. Lui al Mossad non era mai stato votato ma scelto da Netanyahu, e quest'utimo è stato votato dalla maggioranza degli israeliani. Tremano i polsi a pensare che uno così fosse a capo del Mossad.
Niram Ferretti
Antonio Anto Oi è lui che è stato dimesso per il bene del Mossad.


Ieri Benjamin Netanyahu era in visita in Italia ed è stato oggetto di contestazioni di una parte della comunità ebraica . Inoltre prima di venire in Italia vi erano state ampie manifestazioni all’aeroporto Ben Gurion e 37 piloti riservisti si erano rifiutati di partecipare all’addestramento per protesta.
Alessandro Bertonelli
11 marzo 2023

https://www.facebook.com/alessandro.ber ... Kr5msEUrJl

Sicuramente la decisione di riformare l’assetto istituzionale ( cambiare i poteri della Corte Costituzionale) da parte del governo è una decisione che comporta una contrapposizione politica anche molto forte .
Sul tema specifico aggiungo solo che se da una parte la Corte ora ha troppo potere discrezionale e politico perché può annullare anche leggi persino per motivi di opportunità, dall’altra una riforma che consentirebbe ad una maggioranza semplice di ignorare una sentenza della corte comporta a sua volta uno squilibrio nei poteri .
Però ciò che colpisce è il livello dello scontro a cui si è giunti; Netanyahu ha vinto correttamente le elezioni eppure da quando le ha vinte è iniziato immediatamente un disconoscimento del suo governo , è iniziata una contrapposizione che va oltre la normale dialettica politica .
Il motivo vero, al di là della questione della riforma della corte , penso sia espresso in questo passaggio dell’intervista allo scrittore
Joshua Cohen
D: L’espressione “lotta per la sopravvivenza della democrazia” la sentiamo ormai ovunque. Usa. Italia. Israele. Come scrittore non ha paura che a forza di ripeterla perda un po’ significato?
R: “Il pericolo non sta nel ripeterla bensì in ciò che dimostra la ripetizione della frase da parte delle persone. “La democrazia è in pericolo” è diventato uno slogan in gran parte di una classe internazionale di lavoratori professionisti e delle élite che hanno beneficiato di un sistema democratico. Invece le persone che sono state lasciate indietro dal sistema democratico hanno espresso la loro volontà nelle urne. Donald Trump ha perso le ultime elezioni, ma ha vinto quelle precedenti, Meloni ha vinto, idem per Netanyahu. Che ci piaccia o no, questo è il funzionamento della democrazia. Ripetere la frase sul pericolo che viene corso è un modo per evitare di confrontarsi sul fatto se la democrazia sia o no la migliore delle forme di governo disponibili”.
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Re: I criminali magistrati sinistrati contro Netanyahu

Messaggioda Berto » sab mar 18, 2023 9:52 pm

Palestinesi. Il problema dei palestinesi è che restano imprigionati nel rifiuto di Israele come stato ebraico, a prescindere dai confini.
Giorgio Sabato FerrariRadio3menda
11 marzo 2023

https://www.facebook.com/luciano.donder ... UxPY3qLWPl

Benjamin Netanyahu

Palestinesi. Il problema dei palestinesi è che restano imprigionati nel rifiuto di Israele come stato ebraico, a prescindere dai confini. Si opponevano prima della nascita dello Stato e si sono opposti dopo. Per questo rigettarono la partizione della Palestina nel 1947, per questo si batterono contro Israele quando Giudea e Samaria erano in mano ai giordani e sempre per questo l’Olp venne creata nel 1964, tre anni prima della guerra dei Sei Giorni. La Palestina che volevano liberare era Tel Aviv e Haifa. Questa fantasia di voler distruggere Israele, continuata anche dopo gli accordi di Oslo nel 1993, non finirà mai per scelta politica palestinese ma può dissolversi per effetto dei nostri accordi di pace con gli Stati arabi. E se scomparirà, avremo le condizioni realistiche per una pace con loro.
Ucraina. Sono pronto a fare qualsiasi cosa per porre fine a questa carneficina. Se entrambe le parti decideranno che è arrivato il momento di cercare una mediazione e che potrei essere di aiuto, lo considererò. Ma, tragicamente, non credo sia ancora arrivato questo momento. Questa guerra andrà ancora avanti prima di veder sorgere questa opportunità
Russia. Israele è l’unico Paese i cui piloti volano sulle Alture del Golan a brevissima distanza dai jet russi in Siria. Perché dobbiamo prevenire gli aiuti militari iraniani agli Hezbollah. Abbiamo un evidente interesse a evitare un confronto con la Russia. Abbiamo anche centinaia di migliaia di ebrei che ancora vivono in Russia e non vogliamo che la loro immigrazione in Israele venga impedita. La nostra relazione con la Russia è molto complessa ma facciamo il possibile per aiutare gli ucraini e per far finire questo conflitto. La Storia è imparziale e non perdona. Non favorisce i virtuosi, chi ha una superiorità morale. Favorisce chi è forte. Se vogliamo proteggere i nostri valori, diritti, le nostre libertà, dobbiamo essere forti. La lezione che ci viene dal passato è che la superiorità morale non garantisce la sopravvivenza della nostra civilizzazione. L’Impero romano sopravvisse per secoli perché era il più forte, quando altri più forti sorsero, scomparve. Niente può garantire la longevità delle nazioni ma quello che possiamo fare è proteggere le nostre libertà, con la forza, il più a lungo possibile.



Gino Quarelo

Questo è puro, crudo e sano realismo privo di qualsiai illusione fideistica e utopistica. La forza di Israele oltre a quella militare è dovuta principalmente alla intelligenza, alla civiltà, all'umanità estremamente morale degli ebrei ed è per questo che sono forti e vincenti anche se pochi e piccoli come Davide. Gli ebrei hanno un senso della giustizia incomparabile.


Intervento di Ruth Dureghello in merito all’incontro con Netanyau al Tenpio spagnolo di Roma
Ruth Dureghello
13 marzo 2023

https://www.facebook.com/guido.guastall ... 5017189467

È arrivato il momento di spiegare cosa è accaduto realmente prima e durante la visita del Primo Ministro Netanyahu, per fermare le maldicenze che in questi giorni si sono susseguite sulla nostra Comunità e sugli ebrei romani.
Quando una settimana fa ci è stata comunicata la volontà del Primo Ministro dello Stato d’Israele di venire a fare visita alla Comunità più antica della diaspora ne siamo stati onorati e felici. Abbiamo proposto diverse opzioni e dati i tempi stretti e soprattutto evidenti ragioni di sicurezza ci è stato comunicato che non c’erano le condizioni per organizzare al Tempio Maggiore un evento aperto a tutta la Keillà, come avremmo voluto, ma che fosse preferibile organizzare in un altro luogo importantissimo e significativo per la nostra Comunità, il Tempio Spagnolo.
Nessuna paura di non riempire, anzi. La felicità di accogliere un rappresentante dello Stato d’Israele per noi non dipende dal partito o dalla coalizione di cui fa parte. Che sia di destra o di sinistra noi siamo Per Israele sempre e così questa Comunità che è pronta a dare il kavod che la Medinà merita.
Come detto non c’erano i tempi e le condizioni di sicurezza e questa è stata la decisione.
Il rispetto istituzionale ci ha portato ad informare immediatamente ed invitare anche la Presidente Ucei perché, nonostante un certo atteggiamento verso Roma da parte sua e dei suoi consiglieri, ritenevamo giusto condividere il momento con tutti gli ebrei italiani.
Si tratta di educazione istituzionale e rispetto tra fratelli, quello che purtroppo è mancato dall’altra parte.
Quando viene un ospite a casa nostra noi gli diamo kavod: se abbiamo intenzione di attaccarlo per creare una polemica che finisce su tutti i media italiani e israeliani allora comunichiamo che forse non è il caso che venga, ma se lo si invita lo si fa nella maniera corretta, senza agguati o aggressioni.
Noi ci comportiamo così e in questa maniera pretendiamo che ci si comporti a casa nostra. Se Netanyahu avesse espresso la volontà di andare al centro bibliografico Ucei allora la presidente Di Segni avrebbe avuto il diritto di scegliere come comportarsi senza condividere, cosa che io comunque avrei fatto se fossi stata invitata.
Questo è il punto fondamentale della questione. Non c’è stato nessun accenno nell’incontro privato e nessun riferimento, nessun passaggio precedente con me e Rabbino capo che eravamo i padroni di casa nonostante ci fossimo confrontate più volte in quei giorni condividendo tensioni e preoccupazione. Una mancanza di rispetto a noi e alla Comunità che abbiamo il compito di presiedere.
Mai avrei pensato di dover ritenere una leggerezza non aver letto l’intervento della Presidente Di Segni.
Fuori luogo, se non fosse stato già abbastanza la ricerca ingiustificabile di visibilità politica per assecondare le istanze di alcuni, anche la “lezione” di moralità ebraica tenuta davanti al nostro Rav e non condivisa con l’assemblea rabbinica.
In merito alle contestazione c’è da ristabilire un po’ di verità. Non si può nascondere che mentre in quella sala si diffondeva il panico alla notizia di un attentato in un luogo frequentato da molti nostri giovani a Tel Aviv, quell’intervento scomposto e sgrammaticato abbia creato malumore. Detto questo se la presidente Di Segni può attaccare Netanyahu in diretta televisiva, può anche accettare che qualcuno non sia d’accordo con lei. Il dissenso o si accetta sempre o allora non si è sinceramente democratici. Pensare che solo alcuni abbiano il diritto di esprimere dissenso in base alla classe sociale o alla città di provenienza è un atteggiamento odioso e discriminatorio che da questo lato del Lungotevere non può trovare spazio.
Il Primo Ministro, al termine di tutti gli interventi previsti, dopo aver ripreso spontaneamente la parola per commentare l’attentato a Tel Aviv e esprimere cordoglio e vicinanza alle famiglie ha salutato i presenti e ci ha lasciato.
Da qui un susseguirsi di fatti che sono stati riportati e commentati in maniera falsa e bugiarda. Non è vero che ci siano state risse o spintoni, non è vero che qualcuno è stato aggredito fisicamente. Non lo avrei mai permesso e me ne sarei presa la responsabilità. Chi mette in giro voci false lo fa per creare ad arte un clima pericoloso per le nostre Comunità.
Sono sincera quando dico che nonostante la maleducazione istituzionale della Presidente Di Segni io non avrei contestato come hanno fatto alcune persone, cosa che ho anche rappresentato in quel momento, non è il mio stile e il mio modo di comportarmi, ma di certo non se ne può lamentare chi lo ha fatto a nome di una parte degli ebrei italiani.
Sì perché se si vuole rappresentare tutti gli ebrei italiani non si fanno interviste al Corriere della Sera in cui si dice di voler dare voce solamente a una parte di loro, bisogna provare a interpretare il sentimento di tutti e nelle divisioni evitare di acuire ciò che ci divide



Israele, il piano di Herzog
Pubblicato in Bokertov
Daniel Reichel
16/03/2023

https://moked.it/blog/2023/03/16/israel ... di-herzog/

Il presidente d’Israele Isaac Herzog ha presentato la sua proposta di compromesso per sostituire la radicale riforma della giustizia promossa dal governo Netanyahu. Lo ha fatto in un discorso in prima serata alla nazione in cui ha esortato entrambe le parti del dibattito a “non distruggere il Paese” in una lotta di potere sul sistema giudiziario, ma piuttosto a cogliere l’opportunità di “un momento costituzionale formativo”. Herzog ha poi messo in guardia i concittadini dal rischio che si scateni “una guerra civile”. I leader dell’opposizione Yair Lapid e Benny Gantz hanno accolto favorevolmente il piano di Herzog. Che è stato invece respinto dal Premier Benjamin Netanyahu, raccontano i quotidiani oggi. “Gli elementi centrali della proposta del presidente Herzog perpetuano semplicemente la situazione esistente e non portano il necessario equilibrio tra i rami. Questa è la sfortunata verità”, la posizione di Netanyahu in visita oggi a Berlino. Ne parla il quotidiano Domani, che ricorda la salda alleanza tra Germania e Berlino, ma anche la preoccupazione espressa dal governo del cancelliere Scholz per le politiche del governo Netanyahu. “C’è attesa – scrive il quotidiano – per le prese di posizione di Scholz nei confronti del suo ospite. Barcamenarsi tra il rimprovero e l’alleanza inviolabile non sarà facile: ci ha provato il presidente Steinmeier, che dopo l’opposizione di Herzog alla riforma di Netanyahu aveva espresso preoccupazione per la ‘trasformazione dello stato di diritto’”.

Israele, la minaccia dal Nord. Intanto in Israele si guarda con preoccupazione a quanto accaduto nel Nord, dove un terrorista con una cintura esplosiva – “giunto probabilmente dal Libano” dicono i media locali – è stato eliminato poche ore dopo aver attivato un complesso ordigno su una importante arteria a Megiddo, nella bassa Galilea. Nell’attentato Sherif al-Din, 21 anni, di passaggio con la propria automobile, è rimasto ferito in modo grave ed è ricoverato in ospedale. L’episodio è avvenuto lunedì ma è stato rivelato in una nota dei servizi di sicurezza soltanto ieri, racconta Repubblica, definendo l’attacco “grave quanto raro”. Il terrorista, che aveva una cintura esplosiva, è stato poi identificato mentre era a bordo di un altra auto ed è stato ucciso dalle forze di sicurezza. Molti, evidenzia Repubblica, i punti da chiarire nella vicenda. Ad esempio come ha fatto l’attentatore a passare il confine dal Libano. Forse attraverso “un tunnel non ancora identificato – come già accaduto in passato – oppure via mare. Nella nota, l’esercito specifica che il nesso con l’Hezbollah è ancora sotto indagine. – segnala Repubblica – Secondo gli analisti, l’attacco potrebbe anche essere stato compiuto da un gruppo armato palestinese basato nel sud del Libano, anche se appare difficile pensare che Hezbollah, entità vicina all’Iran che a Beirut rappresenta un vero e proprio stato nello stato, non abbia quantomeno offerto la sua approvazione”. La situazione è in ogni caso delicata e il Premier Netanyahu ha deciso per questo, scrivono diversi giornali, di anticipare il suo rientro da Berlino per questo.

Ebraismo, un progetto per conoscerlo. Sono state presentate al Meis di Ferrara sedici schede messe a punto da un gruppo di lavoro congiunto della Conferenza episcopale italiana e dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane per combattere e cancellare “pregiudizi e stereotipi anche nelle parole e nelle immagini” presenti nei libri di testo usati nelle scuole italiane, in particolare nelle ore di religione. Obiettivo è quello di dare una corretta informazione agli studenti sull’ebraismo. “Abbiamo cercato di offrire un prodotto affinché i testi scolastici non siano più fonte di errori o pregiudizi” le parole riprese oggi da Avvenire di rav Ariel Di Porto, che con Ernesto Diaco direttore dell’Ufficio Cei per la scuola e responsabile del Servizio nazionale dell’Irc, ha presentato le schede. “Un piccolo passo, ma allo stesso tempo grande verso l’obiettivo di una reciproca conoscenza”, le parole della presidente UCEI Noemi Di Segni riprese dal quotidiano della Cei. E per il segretario generale della Conferenza episcopale “queste schede aiutano i nostri giovani ad aprirsi alla realtà e al dialogo con gli altri”. Oggi, sempre al Meis, sono stati organizzati dei laboratori sulle schede con il coinvolgimento di docenti di religione. Sempre su Avvenire si racconta il contenuto delle schede che si dividono i tre aree: i concetti fondamentali dell’ebraismo, la vita della comunità ebraica, la storia.

Scontri ultrà. Diversi quotidiani aprono oggi con la notizia degli scontri a Napoli fra tifosi dell’Eintracht Francoforte, del Napoli e la polizia. “A Napoli una giornata di guerriglia. Ultrà scatenati: scontri, feriti e incendi”, titola il Corriere della Sera, che in racconta la giornata di tensione, con una macchina della polizia data alle fiamme e diversi danni al centro storico della città. La questione, prosegue il quotidiano, è diventato un caso politico con le opposizioni che attaccano il ministro dell’Interno Piantedosi per la gestione della situazione.

Un architetto da ricordare. Un targa dedicata ad Alessandro Rimini, architetto e progettista, vittima della persecuzione antisemita, è stata svelata a Milano. La targa è sulla facciata dell’ingresso del cinema Colosseo che Rimini progettò e di cui diresse i lavori tra il 1926 ed i1 1927. “Lì, – ricorda il Giornale – il 15 marzo ’44, fu arrestato a causa delle sue origini ebraiche proprio sul cantiere, mentre sovrintendeva, sfidando i divieti, ai lavori di ripristino dello stabile danneggiato dai bombardamenti del ’42. Imprigionato con altri ebrei nel campo di Fossoli, scappò dal treno diretto ad Auschwitz e tornò a Milano fino alla fine della guerra”.

Antisemitismo. Il Fatto Quotidiano con un articolo intitolato “I sinistri benpensanti della censura 2.0” respinge l’accusa di aver evocato elementi antisemiti nel ritratto dedicato alcuni giorni fa alla segretaria del Pd Elly Schlein. Sul quotidiano compare anche una difesa a firma di Moni Ovadia.




Il progetto di riforma giudiziaria in Israele
Ugo Volli
17 marzo 2023

https://www.facebook.com/groups/1807630 ... ently_seen

Ieri sera il Presidente dello Stato di Israele Itshak Herzog ha presentato ufficialmente in un discorso televisivo e nei dettagli in un’apposita pagina web la sua proposta di compromesso per la riforma della giustizia, che divide profondamente il paese. Ciò che ha motivato la riforma è la necessità di riequilibrare i poteri del settore giudiziario dello stato (in particolare Corte Suprema e Procuratore generale) che si sono molto espansi negli ultimi decenni, configurando una sorta di super-governo che ha l’ultima parola su tutte le scelte politiche fondamentali e anche sulle minori, e il principio per cui le scelte fondamentali della politica appartengono al popolo e dunque alla maggioranza parlamentare che risulta dalle elezioni. Dall’altro lato vi deve essere un altrettanto necessaria tutela dei diritti delle minoranze dalla possibilità di una “dittatura della maggioranza” e a sua garanzia l’indipendenza della magistratura. Contro i progetti di legge presentati dal governo Netanyahu vi sono state grandi manifestazioni e anche azioni di disturbo ai limiti della legalità; ma a tutti gli osservatori più avveduti è chiaro che in maniera più o meno sotterranea sono necessarie (e probabilmente si stanno già svolgendo) delle trattative per trovare una soluzione della questione accettabile a tutti i partiti principali. Ogni discorso di “guerra civile”, “colpo di stato” ecc. fa parte del livello propagandistico della politica, che in Israele è ben presente. Ma certamente vi è anche la volontà da parte dell’opposizione di utilizzare questa mobilitazione per rovesciare il governo e arrivare a nuove elezioni che cancellino la sconfitta subita sei mesi fa.

Il progetto di Herzog
Il presidente di Israele ha scelto di uscire dalla posizione di stretta neutralità notarile che in Israele è connaturato al suo ruolo e di fare una proposta politica per sbloccare la situazione. Il suo progetto avrebbe dovuto basarsi su discussioni con membri della coalizione e varie figure di sinistra, anche se ufficialmente i laburisti e il partito di Lapid non hanno partecipato poiché si rifiutano di negoziare fin che la maggioranza non rinuncia alla propria iniziativa legislativa. E però si tratta di una proposta che si allinea soprattutto con le esigenze dell’opposizione. Vediamo i punti più importanti.

Il comitato di selezione dei giudici della Corte Suprema
Fino ad ora, il principale punto critico nelle discussioni sulla riforma è che la maggioranza vuole allinearsi con la maggior parte degli altri paesi democratici, assegnando agli eletti (il Parlamento, in certi paesi il Presidente) la selezione dei giudici della corte suprema, mentre la sinistra vuole mantenere la situazione in cui questi giudici hanno l’influenza più importante su chi debba loro succedere, perpetuando così la loro ideologia. La proposta di Herzog non dà la maggioranza del comitato ai parlamentari eletti nella coalizione di governo. Secondo il progetto i giudici dovranno essere votati da 7 degli 11 membri di questo comitato, che devono includere almeno uno dei giudici della corte suprema che faranno parte del comitato, il che dà loro un diritto di veto sui nuovi giudici.

I poteri del procuratore generale
Un altro punto è il potere dei funzionari non eletti e non necessariamente nominati del governo in carica che attualmente affiancano i rappresentanti politici a tutti i livelli, col potere di ammettere o meno le decisioni politiche e nel caso del procuratore generale, anche di processare deputati e decidere l’incapacità dei ministri e del premier. Il procuratore generale e i consulenti legali dei vari organi costituzionali nel progetto continuano ad avere l'ultima parola sui ministri eletti e sui parlamentari, e non hanno un ruolo solo consultivo come vorrebbe la coalizione. Essi potranno essere rimossi solo su decisione di un comitato speciale, di cui il procuratore generale deve essere membro. Difficile pensare che si licenzi da solo.

L’abrogazione delle leggi
I giudici potranno nel progetto di Herzog abrogare le leggi della Knesset con una maggioranza di sette membri da un gruppo di soli undici sui quindici che compongono la Corte Suprema; il panel sarà scelto dal presidente della Corte senza alcun vincolo. Gli sarà facile sceglierli secondo il suo orientamento anche se nella Corte ci fosse dissenso. Questa legislatura non sarebbe autorizzata a fare altre leggi riguardanti i giudici. Non si parla nel progetto della possibilità per il parlamento di superare con un voto l’abrogazione della corte suprema, una possibilità che è parte importante del programma governativo.

L’opposizione della maggioranza al progetto
È insomma evidente che la proposta di Herzog appare allineata piuttosto con l’opposizione che col governo. L’ha detto in maniera assai sarcastica il ministro delle finanze Bezalel Smotrich, bestia nera dell’opposizione e dei media: spero, ha dichiarato, che sia stato un errore tecnico a portare Herzog a pubblicare sul sito web la proposta del presidente della corte suprema Hayut, piuttosto che la mediazione che aveva promesso negli ultimi giorni. Più diplomatico ma altrettanto reciso il primo ministro Netanyahu: “Per quanto riguarda la proposta del presidente, penso che ogni tentativo di raggiungere l'intesa e il dialogo sia certamente opportuno, e quindi i rappresentanti della coalizione sono andati più e più volte a parlare con il presidente, mentre i rappresentanti dell'opposizione non erano disponibili nemmeno per una trattativa. Sfortunatamente, le proposte dal presidente non sono accettabili per i rappresentanti della coalizione. Sezioni chiave del progetto perpetuano solo la situazione esistente e non portano il necessario equilibrio dei poteri.” Anche da parte dell’opposizione, però, il progetto di Herzog non ha raccolto consensi chiari.

Le prospettive
Oggi sarà un’altra giornata di agitazioni di piazza, mentre i progetti di legge della maggioranza proseguono il loro iter parlamentare, fra commissioni e votazioni. Ma nel mondo politico israeliano si possono leggere dei segni di trattativa. Il centro studi Qohelet, che ha aiutato a elaborare i progetti del governo, si è dichiarato favorevole a un compromesso, come pure importanti deputati del Likud. Il problema è anche trovare un modo in cui da una parte e dall’altra si possa arrivare a una trattativa senza perdere la faccia, che in politica vuol dire molto. Il progetto di Herzog doveva certamente servire a questo, ma probabilmente è stato presentato in un tempo e con modalità non troppo felici. O forse il presidente ha sacrificato consapevolmente la sua posizione naturale di mediatore, al fine di rompere la contrapposizione frontale. Nei prossimi giorni si vedrà se al di là dei rifiuti espliciti, la sua mossa sarà servita almeno a questo scopo. L’intenzione dichiarata della maggioranza è di chiudere la riforma prima della vacanze pasquali della Knesset, che per tradizione si prolungano parecchio, oltre la festa di Shavuot, quella della minoranza è di annullare la riforma. Ma molti fattori possono intervenire a cambiare questi piani.



Il presidente d’Israele Isaac Herzog presenta la sua proposta di riforma rivolgendosi al paese mercoledì sera
Il compromesso proposto dal presidente è stato accolto con favore dai leader dell’opposizione, respinto da Netanyahu e dalla coalizione di governo
Herzog presenta la sua formula: "Un quadro ragionevole per l’equilibrio dei poteri nello stato ebraico e democratico"
Israele.net
(Da: Times of Israel, 15.3.23)
16 Marzo 2023
Marco Paganoni

https://www.israele.net/paventando-una- ... -giustizia

Il presidente d’Israele Isaac Herzog ha presentato mercoledì sera una proposta di compromesso che nelle sue intenzioni dovrebbe prendere il posto dei progetti avanzati dal governo per una riforma radicale del sistema giudiziario. Rivolgendosi in prima serata alla nazione, Herzog ha esortato entrambe le parti della controversia a “non distruggere il paese” in una lotta di potere sulla magistratura, ma a cogliere piuttosto l’opportunità per “un momento formativo costituzionale”. Herzog ha definito il suo piano, redatto dopo centinaia di ore di riflessione nelle scorse settimane con politici, giuristi ed esperti di tutto lo spettro politico, “un percorso d’oro” che offre le migliori possibilità per un ampio accordo nazionale sulla riforma. “Questo quadro protegge ognuno di voi, cittadini d’Israele – ha spiegato – e protegge Israele come stato ebraico e democratico”. Dopo aver ascoltato infervorate opinioni da centinaia di israeliani, ha avvertito Herzog, “sbaglia chi pensa che una vera e propria guerra civile, al prezzo di vite umane, sia un limite impossibile da varcare”. Nel 75esimo anno di Israele, ha aggiunto, “siamo a un passo dall’abisso, ma una guerra civile è una linea rossa: ad ogni costo, e con ogni mezzo, non lascerò che accada”. Herzog ha detto d’aver percepito “un odio vero e profondo”, anche se da parte “di una piccola minoranza di persone”.

Poco dopo che Herzog ha reso pubblica la sua proposta, il primo ministro Benjamin Netanyahu l’ha respinta, appena prima di decollare per una programmata visita a Berlino. “Le cose proposte dal presidente non sono state concordate dalla coalizione – ha detto Netanyahu – e gli elementi centrali della proposta che ha avanzato perpetuano semplicemente la situazione esistente e non apportano il necessario equilibrio tra i rami [del potere statale]”. Il leader dell’opposizione Yair Lapid, di Yesh Atid, si è invece congratulato con Herzog per la cornice proposta e ha promesso di prenderla in considerazione “con rispetto per la sua posizione, la serietà con cui è stata scritta e i valori su cui si basa”. Dal canto suo, il partito di opposizione Unità Nazionale, guidato da Benny Gantz, ha affermato di “accettare il quadro del presidente come un pacchetto unico” e “come base per la riforma, al posto del pericoloso disegno di legge attuale” portato avanti dalla coalizione.

Il panorama di Gerusalemme visto dall’interno della sede della Corte Suprema d’Israele

Il quadro proposto dal presidente affronta diversi aspetti cruciali del rapporto tra i poteri dello stato israeliano: il valore costituzionale da conferire alle leggi fondamentali, le modalità di nomina dei giudici, la revisione da parte della magistratura delle leggi della Knesset, l’autorità dei consulenti legali del governo e del Procuratore generale. Lo schema di Herzog sancirebbe inoltre nelle leggi fondamentali alcuni diritti civili che attualmente non sono esplicitamente tutelati.

Nomina dei giudici. In base alla proposta di Herzog, nessun ramo dello stato sarebbe in grado di nominare giudici senza il contributo di un altro ramo. La coalizione di governo non godrebbe di una maggioranza automatica nella Commissione di nomina, come propone invece il disegno di legge promosso dall’attuale governo; ma anche la magistratura perderebbe il suo potere di veto sulle nomine. La Commissione preposta comprenderebbe 11 membri, fra cui quattro rappresentanti di governo e coalizione (tre ministri e un parlamentare); la magistratura avrebbe tre membri (il presidente della Corte Suprema e altri due giudici); l’opposizione avrebbe due membri di due partiti diversi e il Ministro della giustizia nominerebbe due giuristi in accordo con il presidente della Corte Suprema. Le nomine alla Corte Suprema e ai tribunali di grado inferiore richiederebbero la maggioranza di 7 degli 11 membri della Commissione. Ciò significa che la coalizione di maggioranza non avrebbe il controllo assoluto sulla nomina dei giudici previsto dal suo contestato disegno di legge, ma nemmeno i giudici manterrebbero il veto sulle nomine giudiziarie che hanno nella Commissione com’è oggi. Il presidente della Corte Suprema verrebbe selezionato con il sistema per anzianità come avviene oggi, a differenza della proposta del governo (non ancora trasformata in disegno di legge) di far scegliere il presidente dalla Commissione di nomina.

Maggiore peso costituzionale per le Leggi Fondamentali. Lo schema di Herzog istituirebbe un sistema rigido per l’approvazione delle Leggi Fondamentali, conferendo loro un maggiore status costituzionale. Secondo questa proposta, le Leggi Fondamentali non sarebbero soggette a controllo giurisdizionale. L’approvazione di una Legge Fondamentale richiederebbe quattro letture alla Knesset. Alle prime tre potrebbe passare col voto favorevole di 61 parlamentari, ma la quarta approvazione richiederebbe il sostegno di 80 parlamentari. In alternativa, la quarta lettura potrebbe avvenire nella Knesset successiva, cioè dopo nuove elezioni, e per approvarla servirebbero allora solo 70 deputati. Qualsiasi modifica alla legge elettorale richiederebbe l’approvazione di 80 deputati in ognuna delle quattro letture. Le Leggi Fondamentali già esistenti verrebbero “blindate”, nel senso che verrebbero ri-legiferate con una maggioranza qualificata, sebbene lo schema pubblicato mercoledì sera non specifichi esattamente come ciò avverrebbe. Il piano di Herzog prevede anche l’approvazione di una Legge Fondamentale sul processo legislativo, senza tuttavia offrire ulteriori dettagli. Il piano del presidente sancirebbe inoltre nella Legge Fondamentale “Dignità umana e libertà” il diritto all’eguaglianza e il divieto di discriminazione, nonché i diritti alla libertà di espressione, opinione, protesta e riunione che al momento non sono esplicitamente tutelati nelle Leggi Fondamentali di Israele (benché espressi nella Dichiarazione d’Indipendenza). Infine, verrebbe avviato un processo per la stesura di una Costituzione e una Carta dei diritti (Bill of Rights) da redigere “attraverso un ampio consenso”.

La linea rossa (da non superare) tracciata giovedì a Gerusalemme da manifestanti israeliani contrari alla riforma della giustizia promossa dalla coalizione di governo

Revisione giudiziaria. Nello schema di Herzog, la revisione giudiziaria delle leggi approvate dalla Knesset sarebbe soggetta ad alcune nuove restrizioni, ma molto meno rigorose di quelle previste dalle attuali proposte del governo. La Corte Suprema riunita come Alta Corte di Giustizia avrebbe il potere di respingere una legge della Knesset con una maggioranza di due terzi di un collegio di 11 giudici, laddove il disegno di legge del governo richiede una maggioranza dell’80% di tutti i 15 giudici. Il piano di Herzog non include alcuna disposizione su un aspetto cruciale della riforma avanzata dal governo, e cioè la possibilità per la Knesset di rendere una legge preventivamente immune dal controllo della magistratura con un voto a maggioranza semplice di 61 deputati su 120 in tre letture e di riapprovare una legge annullata dalla Corte, sempre a maggioranza semplice. Ciò che il piano del presidente propone, tuttavia, è di sancire in una Legge Fondamentale un accordo definitivo sul servizio militare e nazionale, che non sarebbe soggetto a controllo giudiziario. Ciò essenzialmente consentirebbe alla Knesset di ancorare nella costituzione il diritto degli studenti di yeshiva ultra-ortodossi di ottenere esenzioni dal servizio di leva, una questione estremamente controversa che divide il paese da decenni. I partiti ultra-ortodossi insistono ostinatamente sulla clausola di “prevalenza” della Knesset rispetto al potere di revisione della Corte proprio perché vogliono garantire che i giovani della loro comunità non siano obbligati a prestare servizio di leva. La proposta di Herzog è concepita per rispondere in modo circoscritto a questa esigenza senza consentire alla Knesset di prevalere sulla Corte rispetto ad altre questioni e diritti. L’alta Corte continuerebbe a esercitare il controllo giuridico sui diritti impliciti derivanti dalla Legge Fondamentale “Dignità umana e libertà”, benché non enumerati esplicitamente in tale legge. Al contrario, l’attuale disegno di legge del governo vieterebbe alla Corte di farlo, lasciando senza tutela diritti fondamentali come la libertà di espressione e la libertà di religione.

Il criterio della ragionevolezza. Lo schema di Herzog impedirebbe all’Alta Corte di utilizzare il generico criterio della “ragionevolezza” per annullare risoluzioni e decisioni politiche del governo così come la nomina di ministri. Si tratta di un punto che è stato al centro delle denunce della destra contro il sistema legale, soprattutto in occasione della recente decisione della Corte che ha obbligato il primo ministro a destituire il leader dello Shas, Aryeh Deri, dalla carica ministeriale. La Corte potrebbe continuare a utilizzare il criterio della ragionevolezza per quanto riguarda singole decisioni politiche ministeriali e azioni di altre istituzioni e agenzie statali, come i consigli municipali locali e le Authority statali.

Consulenti legali del governo. Il nuovo quadro proposto dal presidente manterrebbe lo status dei consulenti legali del governo come dipendenti pubblici professionisti sotto l’egida del Ministero della Giustizia, a differenza del piano del governo volto a trasformarli in nomine politiche. I fautori della riforma proposta dal governo denunciano gli interventi del Procuratore generale e dei consulenti legali ministeriali, accusati di scavalcare spesso e volentieri le iniziative politiche dei ministri eletti avvalendosi del fatto che il loro responso scritto è vincolante per il governo. In riferimento a questa preoccupazione, il piano di Herzog propone che un consulente legale ministeriale possa essere rimosso dall’incarico se emergono continui e sostanziali disaccordi con il ministro, previa approvazione da parte di un comitato ad hoc. Le posizioni assunte dal Procuratore generale e dai consulenti legali ministeriali rimarrebbero comunque vincolanti. Tuttavia, per venire ulteriormente incontro alle preoccupazioni dei sostenitori della riforma giudiziaria, il piano prevede che un ministro possa ottenere una consulenza indipendente nei procedimenti in cui è coinvolto il suo ministero qualora il Procuratore generale o il consulente legale ministeriale si opponessero alla posizione del ministro. Con il sistema attualmente in vigore questo non è possibile senza l’approvazione del Procuratore generale.

“Siamo nel mezzo di una crisi profonda e preoccupante – ha detto Herzog durante il suo discorso di presentazione della proposta di compromesso – Ma ritengo davvero con tutto il cuore che oggi ci troviamo di fronte anche a una grande opportunità storica”. Herzog ha definito il suo piano “un’opportunità per un accordo costituzionale equilibrato e intelligente, un accordo sui rapporti tra i poteri del nostro stato ebraico e democratico, del nostro amato paese. Siamo a un bivio: una crisi storica o un passaggio costituzionale determinante”. Sottolineando che le Forze di Difesa israeliane devono essere tenute fuori dalle dispute politiche, Herzog ha detto che la maggior parte degli israeliani è favorevole a un quadro di riforma giudiziaria “che porti sia giustizia che pace: la maggior parte degli israeliani vuole un quadro equilibrato, che stabilisca una volta per tutte l’equilibrio tra i poteri; la maggior parte degli israeliani vuole un accordo ampio; la maggior parte degli israeliani vuole vivere una vita dignitosa e sicura”. La sua proposta, ha concluso, soddisfa tali esigenze: “Non è un quadro presidenziale: è il quadro del popolo, una vittoria per tutto Israele”.


Dopo il secco rifiuto espresso da membri della maggioranza di governo, il presidente d’Israele Isaac Herzog ha dichiarato giovedì che la coalizione dovrebbe invece esaminare a fondo la sua proposta di compromesso: “Ascolto i commenti e accetto ogni critica con rispetto – ha detto Herzog – Questo è solo l’inizio di un dialogo, con una bozza che rappresenta un possibile punto di partenza per i negoziati”. (Da: YnetNews, 16.23)
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I criminali magistrati sinistrati contro Netanyahu

Messaggioda Berto » ven mar 24, 2023 9:47 pm

L'informazione sinistrata italiana che disinforma

Che cosa sta succedendo in Israele? Perché e chi protesta contro la «riforma» di Netanyahu

Davide Frattini
12 marzo 2023

https://www.corriere.it/esteri/23_marzo ... 9237.shtml

I giudici e il riassetto voluto dal nuovo governo di destra. Oltre 200 mila in piazza nelle città del Paese

Sette giorni dopo l’insediamento alla fine dell’anno scorso il governo di estrema destra ha presentato quella che considera una «riforma» necessaria del sistema. La faccia davanti alle telecamere e le idee che ci stanno dietro le ha messe Yariv Levin, nominato ministro della Giustizia da Benjamin Netanyahu proprio per implementare il progetto che punta a ridimensionare il ruolo della Corte Suprema, dei giudici e dei magistrati. Di fatto sottoponendoli alla maggioranza del momento, a questa maggioranza in questo momento. Per l’opposizione il blitz punta a trasformare il Paese in un regime autocratico, il primo ministro ribadisce di voler rafforzare la democrazia.

Quale è il sistema attuale?
Israele non ha una costituzione, negli anni sono state approvate dal parlamento tredici «leggi di base» che si ispirano alle indicazioni della Dichiarazione di Indipendenza: si concentrano soprattutto sui rapporti tra i poteri dello Stato, sulla protezione dei diritti civili e delle minoranze. La Corte Suprema ha il potere di bloccare e rinviare alla Knesset una norma che contraddica queste leggi o sulla base della «clausola di ragionevolezza» applicata a decisioni amministrative: i giudici l’hanno applicata un mese fa nel caso di Aryeh Deri, leader del partito Shas, nominato ministro da Netanyahu nonostante avesse patteggiato una condanna per evasione fiscale in cambio della promessa di ritirarsi dalla vita pubblica.

Perché il governo spinge per questa «riforma»?
La destra — e in parte l’opposizione — è convinta che in questi anni la Corte Suprema abbia abusato dei suoi poteri, intervenendo troppo e in troppe questioni. Il ruolo dell’Alta Corte infastidisce soprattutto i leader dei coloni che vedono nei giudici un ostacolo ai piani di annessione della Cisgiordania, i territori arabi catturati nella guerra del 1967 e che dovrebbero costituire un futuro Stato palestinese. Gli analisti spiegano che l’iperattivismo dei giudici è stato un fenomeno tra gli anni Novanta e Duemila e che da allora sono stati molto più cauti (e con posizioni conservatrici).

Quali sono gli elementi principali del disegno di legge?
Il governo vuole introdurre la possibilità di sovrascrivere una decisione della Corte con un voto del parlamento a maggioranza minima (61 su 120 deputati), in questo modo qualunque intervento dei giudici diventerebbe inefficace. Netanyahu ripete che il processo contro di lui per corruzione è un golpe per rimuoverlo, così vuole anche stabilire che le nomine e le promozioni dei giudici vengano decise dall’esecutivo. In passato – fanno notare i commentatori – è stato tra i più decisi difensori dell’indipendenza della magistratura.

La convivenza tra laici e religiosi
I partiti ultraortodossi puntano a ridimensionare la Corte Suprema perché si è opposta in nome dell’uguaglianza tra i cittadini all’esenzione degli studenti delle yeshiva, le scuole rabbiniche, dal servizio militare obbligatorio per i giovani. Una delle prime mosse del governo è stata anche il tentativo di abbattere la legge anti-discriminazione: un tassista, un proprietario di albergo, un medico potrebbero decidere di rifiutare l’assistenza o l’ospitalità per ragioni di sensibilità religiosa, mettendo in pericolo i diritti di donne, cittadini arabi, omosessuali.

Chi partecipa alle proteste?
Le manifestazioni vanno avanti da dieci settimane e sono diventate le più grandi nella Storia del Paese. Ormai in strada scendono anche conservatori moderati che hanno votato il Likud di Netanyahu, religiosi. Assieme alla comunità Lgbtq+ (preoccupata dalle frange oltranziste e dichiaratamente omofobe nella coalizione), alle donne, ai movimenti favorevoli a un accordo con i palestinesi. L’avanguardia è guidata dai riservisti dell’aviazione e delle forze speciali: sono considerati l’élite e minacciano di rifiutare la chiamata in servizio. La spaccatura coinvolge quindi le forze armante e i generali sono preoccupati che i Paesi o le organizzazioni nemiche possano approfittare di questo indebolimento. Le violenze in Cisgiordania sono quotidiane – i palestinesi uccisi quasi 80 dall’inizio dell’anno – e gli attacchi contro gli israeliani hanno causato 14 vittime.

Le paure per l’economia
Netanyahu ha ottenuto un master dalla Sloan School dell’Mit a Boston e si considera il creatore della start up nation o almeno delle condizioni finanziarie che l’hanno favorita. Anche gli avversari gli riconoscono il merito di aver costruito in questi quindici anni totali al vertice un’economia che continua a correre anche quando il mondo rallenta. Questo lascito traballa a causa del piano giustizia: i banchieri, i fondatori seriali di aziende hi tech, gli investitori internazionali temono che uno sbilanciamento tra i poteri, le crepe nella certezza del diritto, spingano alla fuga dei capitali.

Quali sono i possibili sbocchi alla crisi?
Il presidente Herzog ha già annunciato un paio di volte in diretta nazionale di aver approntato un compromesso e promette che la soluzione sia vicina. L’opposizione guidata da Yair Lapid e Benny Gantz (entrambi molto lontani dall’essere gli «anarchici insurrezionalisti» bollati dalla destra) chiede però che qualunque negoziato inizi solo dopo che il governo avrà fermato il processo per votare le norme. Invece gli uomini di Netanyahu stanno accelerando in commissione e in parlamento: sperano di far approvare i punti principali entro la fine del mese, prima delle festività ebraiche per la Pasqua.


Israele, la piazza contro Netanyahu
il video dal drone
Redazione di Rainews
18 marzo 2023
https://www.rainews.it/video/2023/03/il ... cafe8.html

Decine di migliaia di persone hanno manifestato anche ieri in Israele contro la controversa riforma della Giustizia del governo di destra.
Nell'undicesima settimana di proteste, i manifestanti hanno marciato nel centro di Tel Aviv con bandiere israeliane e cartelli di protesta con la scritta: "No alla dittatura" e "Israele non è ancora l'Iran".

Le riforme fortemente volute dal premier Benjamin Netanyahu consentirebbero al Parlamento di ribaltare le decisioni della Corte Suprema e ai politici di avere maggiore influenza nella nomina dei giudici. Secondo i critici, la riforma della giustizia è una minaccia alla separazione dei poteri. Temono anche che le riforme possano permettere a Netanyahu di sfuggire alla condanna nel processo per corruzione che lo vede imputato.
Il premier israeliano ha rifiutato finora tutte le proposte di mediazione, inclusa quella avanzata dal presidente Isaac Herzog.
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Re: I criminali magistrati sinistrati contro Netanyahu

Messaggioda Berto » ven mar 24, 2023 9:48 pm

I demenziali ebrei americani democratici, contro Netanyahu e la sua Israele


I soldi stranieri che spingono la protesta contro Netanyahu e la riforma
20 marzo 2023
https://www.facebook.com/Netanyahu/post ... 5FJMwMyBHl

Ieri ho rivelato che gran parte dei soldi che vanno al movimento "A modo nostro" proviene da un'organizzazione straniera chiamata PEACEWORKS, che nel 2016 ha donato circa 6,5 milioni di shekel a "A modo nostro". Lo spirito vivente dietro questa organizzazione è Daniel Lubatzky, un avversario veterano di Netanyahu che sembra avere un obiettivo per sostituirlo. Lobatzky, un miliardario ebreo americano di origine messicana, fondatore e amministratore delegato della compagnia di snack "Kind" è uno dei principali contribuenti del Partito Democratico negli Stati Uniti ed era precedentemente considerato vicino a Obama. Lubatzky si trovava dietro la fondazione "One Voice" da cui nasceva il movimento V15. Già nel 2016 Lubatzky diceva che "è impossibile avere una dittatura in Israele... Netanyahu è un pericolo per Israele... Non si può trasformare Israele in Turchia, e di conseguenza non essere alienati dall'ebraismo americano e dagli ebrei del mondo".

https://en.wikipedia.org/wiki/Daniel_Lubetzky
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