Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » ven feb 05, 2021 9:55 am

Rossobruno cardiniano
Niram Ferretti
5 Febbraio 2021

http://www.linformale.eu/rossobruno-cardiniano/

Nel mondo di cartapesta di Franco Cardini, fu medievalista e poi ideologo e fabbricatore di fiction in cui i fatti e la realtà si dissolvono per lasciare apparire al loro posto immagini tra l’onirico e il fantastico, c’è una costante che non delude mai i suoi lettori, il cattivo, infatti, è sempre l’Occidente e il buono è sempre ciò che ad esso si contrappone.

Nulla di che meravigliarsi, già ragazzo, Cardini venne folgorato dall’ex collaborazionista e ardente ammiratore del Terzo Reich, Jean Thiriart, fondatore dell’organizzazione Giovane Europa che aveva come finalità quella di sganciare il vecchio continente dagli Stati Uniti e dal Patto Atlantico. Da allora e forse anche prima, non è dato saperlo, gli USA, agli occhi di Cardini, come a quelli del suo assai più celebre omologo americano, Noam Chomsky, sono diventati come Mordor ne “Il Signore degli Anelli”.

Tutto è buono quando si tratta di resistere all’impero del denaro, all’arrembaggio del Weltmarket. Non importa se oggi l’ex Cina comunista vi si sia convertita, sono gli USA la minaccia maggiore alla sopravvivenza del pianeta. E Cardini, che, nella sua vita è stato uomo di intersecazioni, in modo particolare quella tra gli “ismi”, di cui, l’Islam è l’ultima folgorazione dopo le amorevoli inclinazioni fascio-catto-comuniste che lo hanno preceduto, ha trovato anche in esso un buon antidoto.

Lo si comprende. L’Islam è l’approdo di tutto ciò che sanamente si contrappone alla tabe occidentale, ed è, infondo, la soluzione ultima, anche se iniziale (essendo esso, per i suoi seguaci, la religione primigenia dell’umanità), a ogni alienazione.

Lo scrisse chiaramente un eroe cardiniano, l’ayatollah Khomeini a Gorbaciov, il 1 1°gennaio del 1989: “Dichiaro chiaramente che la Repubblica Islamica dell’Iran, che è il bastione più saldo dell’Islam nel mondo, può facilmente riempire il vuoto ideologico del vostro sistema”. Ed è davvero un peccato che Cardini non sia giunto prima di ora a queste stesse conclusioni, si sarebbe risparmiato molta fatica, deviazioni e strade senza uscita.

Leggerlo fa sempre gusto. Il campionario è vintage, ma come il classici non delude mai. Così, in una intervista di un paio di anni concessa al sito, Osservatorio globalizzazione impariamo che:

“Il Patto di Varsavia, l’alleanza politico-militare tra URSS e i paesi suoi “satelliti”, è stata la necessaria risposta al patto NATO, a sua volta determinato dal fatto che gli statunitensi, rompendo una loro consuetudine politica che datava dalla cosiddetta “dottrina Monroe”, hanno preso a impegnarsi sempre di più come potenza egemone non solo sul Pacifico, ma anche sull’Atlantico. Una volta disintegrata l’Unione Sovietica, anche grazie all’impegno politico, diplomatico e culturale statunitense e allo strumento propagandistico degli ideali della “società del benessere”, vale a dire del consumismo, quella politica si è procurata altri nemici, sempre più agguerriti nella misura nella quale essa, provocando una sempre maggior concentrazione di ricchezza, determinava un generale impoverimento dei popoli”.

Nemmeno Gianni Minà o Lucio Manisco. L’URS virtuosa con i suoi alti ideali di eguaglianza e fraternità che ha dovuto soccombere contro il Weltmarket, il peggiore flagello che ha colpito l’umanità e di cui Adam Smith, Ludwig Von Mises, Friederich Hayek sono stati i sacerdoti. Esemplare.

La politica imperialista economica americana che impoverisce i popoli e arricchisce se stessa è filastrocca assai stantia, ma sempre efficace nonostante i fatti la smentiscano inesorabilmente. Basta guardare i dati concreti (ma gli ideologhi hanno sommo orrore della realtà) dal dopoguerra ad oggi per quanto riguarda il livello di povertà nel mondo. Come ha dichiarato recentemente il presidente del World Bank Group, Jim Yong Kim, “Negli ultimi 25 anni, più di un miliardo di persone sono uscite dall’estrema povertà e il livello globale della povertà è oggi inferiore a quello mai storicamente registrato. Questo è uno dei più grandi conseguimenti umani della nostra epoca ”. Ma non c’è nulla da fare, “I fatti non hanno accesso nel regno delle nostre fedi”, scriveva Marcel Proust. E la fede di Cardini è granitica, la sua ortodossia non ammette smagliature. Nella stessa intervista può infatti proclamare:

“Le potenze occidentali sottoposte all’egemonia statunitense hanno largamente provato di aver bisogno, per sopravvivere a se stesse conferendosi valori etici e culturali che evidentemente non sono più in grado di promuovere, di un “nemico metafisico”. L’Occidente contemporaneo, dopo aver battuto il “Male assoluto” nazista e l’”Impero del Male” comunista e sovietico (espressione coniata da Ronald Reagan nel 1983), aveva bisogno d’inventarsi un altro nemico, il “Terrore islamico”. Questa espressione si diffuse globalmente nel 2001, dopo l’11 settembre, e fu poi adottata dal governo di George W. Bush jr. a proposito del rais iracheno Saddam Hussein, precipitosamente derubricato da alleato nella tensione contro l’Iran a “nuovo Hitler” nella seconda guerra del Golfo.. L’adozione del passepartout ideologico costituito dal libro The clash of civilizations di Samuel Huntington e i movimenti neoconservative e theoconservative statunitensi, facilmente impiantati anche da noi, hanno fatto il resto, favorendo un ridicolo clima da “nuova crociata”.

È questo il feuiletton preferito del cantastorie rossobruno. Torvo, cupo. Un po’ Dumas, un po’ Eugène Sue. L’Occidente a traino americano che si inventa i mali, prima il nazismo, poi il comunismo, e poi, sì, poi, l’Islam nella forma del “terrore islamico”. Perché anche questa è una fola. Certo. Il jihad non fu mai praticato dai seguaci di Maometto se non come tenzone spirituale, è cosa nota. L’Islam è sempre stato pacifico e se, a volte, è stato guerriero, lo è sempre stato per reazione, per necessità, mai per vocazione. Fu solo e unicamente per reazione che nel settimo secolo il jihad detonò dall’Arabia. L’imperialismo islamico si impose solo per difesa, in Occidente come in Asia e in Africa. Certamente reazione fu, a chi non voleva e non vuole sottomettersi al Verbo del Profeta. Ma, per Cardini, le crociate sono solo state cristiane, e i cattivi da copione sono caucasici, europei in primis e poi, in seconda battuta, ameriKani. Quanto a Samuel Huntington è un vero villain, va bene per tutte le occasioni. I terzomondisti, o alterglobalisti, ne hanno fatto una caricatura, come gli atei militanti alla Hitchens e Dawkins l’hanno fatta dell’Altissimo. Colui che scrisse un libro rimasto negli annali della politologia della seconda metà de Novecento, ben sapeva che, “Fintanto che l’Islam resterà l’Islam (cosa che farà) e l’Occidente resterà l’Occidente (che è più dubbio) il fondamentale conflitto tra queste due civiltà e modi di vita continuerà a definire le loro relazioni nel futuro come le ha definite nel passato per quattordici secoli“. E a Bernard Lewis non pareva proprio che la violenza perpetrata in nome dell’Islam fosse una conseguenza della protervia occidentale, ma un dispositivo intrinseco alla sua stessa vocazione, quando scriveva: “La divisione tradizionale islamica del mondo in Casa dell’Islam e Casa della Guerra, due gruppi necessariamente opposti, dei quali il primo ha l’obbligo collettivo della lotta continua contro il secondo, ha ovvi paralleli con la visione comunista degli affari mondiali…il contenuto delle credenze è del tutto diverso, ma il fanatismo aggressivo del credente è il medesimo”.

Di nuovo nulla di tutto ciò nel dispositivo concettuale del burbanzoso fiorentino. L’Islam è solo palingenesi e umiliati e offesi, sublimi porte e angelologia. L’intervista in questione contiene altre perle.

“La grande crisi nasce nel 1979 dal susseguirsi di due eventi precisi e quasi contemporanei. Primo: l’impiantarsi in Iran della repubblica islamica nata coralmente da una grande rivoluzione di popolo contro la tirannia interna e l’umiliazione esterna imposta alla sua gente dallo shah Mohammed Reza Palhevi che aveva inaugurato un regime di dura repressione con introduzione coatta dei costumi occidentali in Iran e aveva nel contempo consentito agli statunitensi di spadroneggiare nel suo regno, provocando un sentimento di quasi unanime esasperata reazione dal quale fu cacciato a furor di popolo. Secondo: la necessità di cacciare i sovietici dall’Afghanistan e di metter fine all’esperimento socialista afghano, obiettivi che si sarebbero potuti ottenere in modo relativamente facile se gli afghani avessero accettato l’aiuto della repubblica islamica dell’Iran, vicina e disposta a muoversi (com’era nei voti del capo militare afghano comandante Massud, che pur era un musulmano sunnita mentre gli iraniani sono sciiti). Per “liberare” l’Afghanistan senza ricorrere agli iraniani, gli USA scelsero di appoggiarsi al loro principale alleato musulmano, il wahhabita re dell’Arabia saudita, che inviò in Afghanistan i suoi combattenti-missionari. Questi ultimi immisero in quel Paese un tipo d’Islam fanatico e retrivo, estraneo alle tradizioni afghane e tipico invece della setta wahhabita, fino ad allora confinata nel sud dell’Arabia. Da allora il wahhabismo ha innervato l’intero Islam, dilagando e distorcendone il carattere, fino a giungere al punto al quale siamo adesso: i wahhabiti, egemonizzati dal primo alleato degli USA nel mondo arabo, intendono egemonizzare a loro volta l’intero Islam sunnita sostenendo una guerra civile (fitna) contro gli sciiti in genere e gli iraniani in particolare. Tale guerra ha purtroppo il supporto sia degli USA, sia d’Israele, per ragioni e considerazioni di carattere politico-strategico che personalmente ritengo infauste”.

È stato necessario riportarla tutta intera questa infilata esorbitante di grotesqueries. Per Cardini è irrilevante che la guerra fratricida tra sunniti e sciiti cominci con la morte stessa di Maometto e perduri fino ad oggi. La colpa dell’estremismo islamico sarebbe solo dei wahhabiti a seguito della guerra in Afghanistan. E, ovviamente, ça va sans dire, i mandanti sarebbero loro, gli Stati Uniti, promotori anche del terribile Scià di Persia. Il fatto che il jihad, nella sua versione moderna, nasca in Egitto nel 1928 grazie ad Hassan al Banna e alla Fratellanza Musulmana, è un altro di quei fatti scomodi, che vanno doviziosamente rimossi dalla scena onde possano intaccare la fiction cardiniana. Quanto ai missionari, chi fu più missionario dell’ayatollah Khomeini il quale innestò l’Islam sull’impianto ideologico rivoluzionario marxista, la cui ispirazione trovò in Alì Shariati?. Ce lo ricorda Melanie Phillips in The World Upside Down: The Global battle over God, Truth and Power:

“Ali Shariati, un prominente ideologo della rivoluzione islamica in Iran, era un islamo-marxista che si basò cospicuamente sull’estremista anticolonialista Franz Fanon e la sua concezione di creare ‘un uomo nuovo’. Shariati mutuò da Fanon la descrizione dei ‘diseredati della terra’ e la tradusse in persiano rivitalizzando il termine coranico, mostazafin, o ‘il diseredato’. Sotto l’influenza di Shariati, gli estremisti iraniani diventarono marxisti e lessero Che Guevara, Regis Debray e il terrorista della guerriglia urbana, Carlos Marighela…Sotto l’influenza di Shariati, l’ayatollah Khomeini introdusse nel pensiero islamico radicale il fondamentale concetto marxista del mondo diviso in oppressi e oppressori…Nel 1980 Khomeini aveva stabilito una ‘rivoluzione islamica’ culturale di stile comunista per purgare ogni traccia di influenza occidentale dai licei e dalle università”.

Ma guai a incolpare l’Islam sciita, così puro e nobile e soprattutto antagonista degli amerikani, mentre, come è noto, i sunniti, soprattutto la Casa di Saud, sono intrecciati agli USA dal 1945.

Occorre fermarsi. Prendere respiro. Gli ebrei sono alle porte, ma Cardini è scaltro, evita accuratamente di cadere in un antisemitismo troppo corrivo. Gli ebrei restano in filigrana, presunti e non desunti. E sempre nella medesima intervista, a un certo punto, ecco aprirsi l’uscio su Israele:

“L’alleanza statunitense-israeliana-saudita, alla quale si sono accodati tanto la NATO quanto paesi arabi quali Egitto e Giordania, sta seriamente minacciando la pace, nel Vicino Oriente e nel mondo…La lotta ai migranti dall’Africa condotta senza combattere le vere cause della migrazione, ovvero l’alleanza tra le lobbies multinazionali che depredano suolo e sottosuolo africano, i governi locali tirannici e corrotti loro complici e la copertura internazionale che Francia e Gran Bretagna forniscono loro utilizzando sistematicamente lo strumento del veto in sede di consiglio di sicurezza ONU a tutte le risoluzioni che potrebbero fornire qualche via d’uscita al problema continentale africano, è il secondo grande problema del nostro mondo. Politica degli USA ed egemonia delle lobbies finanziarie internazionali sono le prime responsabili della situazione internazionale odierna”.

Questo è il nadir. C’è tutto, ma proprio tutto l’armamentario. Le calcificazioni, le ossidazioni della mente. Israele, gli Usa, i sunniti, le lobbies delle multinazionali, gli immigrati africani. Mancano gli Illuminati, il gruppo Bilderberg, i Savi. Sono impliciti, dentro nell’impasto. I topoi sono vecchi, stantii, puzzano di muffa, ma Cardini non demorde. La pace nel mondo sarebbe a rischio a causa di Israele, gli USA e gli arabi sunniti. Attenzione all’incastro. Non è Israele da solo che mette a repentaglio la sicurezza mondiale, rodato paradigma di antisemiti e antisionisti pluridecorati, ma lo è insieme agli USA e alla Casa di Saud. Se voglio lanciare il sasso contro gli ebrei e gli israeliani, lo lancio contemporaneamente contro altri bersagli. Mi limitassi al solo Israele, si noterebbe troppo, e Cardini non è un Blondet o un Fusaro qualunque.

Il Medioriente non sarebbe in tensione perenne da settanta anni a causa delle opposte mire arabo-islamiche, delle lotte intestine e tribali per conseguire il basto del potere, unicamente convergenti e solidali quando si tratta di unirsi nel tentativo di distruggere Israele. Il problema attuale non sarebbe l’espansionismo neo-imperiale sciita che si protende sulla Siria, in Libano, in Iraq, in Yemen, con appendice a Gaza. Non sarebbe l’impulso millenarista della rivoluzione islamica congiunto alla dichiarata intenzione di volere distruggere Israele. No. Anche qui gli sciiti sono rimossi dalla scena. I puri buoni sciiti. L’ultima frase del pistolotto brilla di luce propria.

“Politica degli USA ed egemonia delle lobbies finanziarie internazionali sono le prime responsabili della situazione internazionale odierna”.

Sembra uscita da un comunicato radio di Berlino o di Roma degli anni Trenta. Chi c’è dietro le lobbies finanziare internazionali e la politica degli USA? Chi gobierna el mundo? Cardini non lo dice, anche se in un suo feuilleton sulla seconda guerra del Golfo, Astrea e i Titani, scriveva a proposito degli USA:

“Di quale potere sovrano esso è rappresentante, di quale sovrana volontà esso è l’esecutore, al di là delle forme giuridiche preposte a legittimarlo. È sua la detenzione del potere imperiale o dietro ad esso ed altre forze, attualmente ‘in presenza’ nel mondo, si cela un ‘impero invisibile’-nel senso etimologico del termine, che cioè non è responsabile, non deve rispondere alle sue azioni-dinanzi ai suoi sudditi, i quali neppure sanno-o almeno, non con chiarezza-di essere tali?“

Basta una leggera spinta, un tocco in più, ed ecco apparire I Protocolli.

Per gentile concessione di “Caratteri Liberi”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » sab feb 06, 2021 6:58 am

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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » sab feb 06, 2021 6:58 am

Ricordare o negare gli ebrei morti e maltrattare quelli vivi uccidendoli di nuovo, no grazie!
Io preferisco amare e stare con gli ebrei vivi e la loro terra di Sion Israele
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L'uso improprio e criminale dell'Olocausto per colpevolizzare e demonizzare l'Europa
L'abuso dell'Olocausto per demonizzare l'Europa e le destre

La Shoà è una immane e terribile tragedia umana a danno degli ebrei di ieri, il cui ricordo non è monopolio degli ebrei di sinistra e delle sinistre (che si credono e che si fanno passare per campioni della lotta all'antisemitismo perché la sinistrità del passato era per lo più antisemita e ancora oggi lo è nella sua versione moderna di antisionismo/antisraelismo dove si concentrano e vivono la maggior parte degli ebrei del Mondo) e non può essere da loro strumentalizzata per dare contro alle destre (che in maggioranza non sono antisemite, antisioniste e antisraeliane) e per dare contro agli italiani, agli europei e agli statunitensi che difendono i loro diritti umani naturali e universali e i loro diritti civili e politici.
Oggi a difendere gli ebrei vivi del Mondo e di Israele sono più le destre che le sinistre, anche se vi sono impropriamente tra loro delle frange minoritarie però di origine sinistra come quelle fascista e nazista (la cosidetta destra sociale, social nazionalista) che sono demenzialmente, tradizionalmente profondamente antisemite e antisraeliane come lo sono anche le sinistre e le demo sinistre.

L'uso improprio e criminale o abuso dell'Olocausto per colpevolizzare e demonizzare l'Europa e gli europei
viewtopic.php?f=205&t=2888
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 6124104303


No all'uso improprio o abuso dell'Olocausto per colpevolizzare e demonizzare gli europei e i tedeschi di oggi che sono innocenti e che non hanno alcuna responsabilità per i fatti tragici del passato,
e per colpevolizzare e mostrizzare le destre, in particolare quelle identitarie, nativiste e civiliste,
no all'uso demenziale dell'Olocausto per negare l'esercizio dei diritti umani, civili e politici degli europei e dei tedeschi nei loro paesi e per impedir loro di difenderli civilmente e politicamente.

La demonizzazione di chichessia, basata sulla calunnia è un crimine e se riguarda un popolo intero come gli ebrei o i popoli di un continente come l'Europa è un crimine contro l'umanità e riproduce la illogicità primitiva del capro espiatorio che assorbe magicamente il male e su cui si fanno convergere tutti i mali del mondo per allontanarli da sé e la strumentalizzazione politica di questa illogicità primitiva da parte delle comunità umane, delle loro religioni, delle loro ideologie politiche, dei loro stati.

Se questo uso improprio o abuso dell'Olocausto, è ideologicamente e politicamente strumentale a negare e impedire agli europei (tra cui molti cittadini anche di etnia o di religione ebraica) l'esercizio dei loro diritti umani, civili e politici diventa un crimine intollerabile e da perseguire in ogni modo.



Un fantasma si aggira per l’Italia: il rossobrunismo
Steven Forti
20 Settembre 2018

https://www.rollingstone.it/politica/un ... /#Galassia


S'avanza una strana sinistra anche da noi: sovranisti, pro-Putin e contro Stati Uniti, immigrazione ed Europa. Indagine sulla sinistra populista alle vongole (e i loro amichetti di Casa Pound)

Alberto Bagnai, Stefano Fassina, Diego Fusaro, Simone Di Stefano e Giulietto Chiesa

Sempre di più si parla di rossobrunismo. È un fantasma ormai che si aggira per l’Europa. E ovviamente anche per l’Italia, il cui contesto politico, soprattutto dopo la formazione del governo Lega-M5S, non può che favorire la diffusione di idee di questo tipo. Gli si dedicano articoli su giornali, riviste e pagine web. E il termine è molto presente sui social, anche se molti soggetti definiti come rossobruni, smentiscono o non accettano tale etichetta. Ma di cosa stiamo parlando in realtà? Perché questo è il nocciolo della questione.

In realtà il rossobrunismo è un magma piuttosto indistinto in cui entrano in gioco diversi ambiti politici che condividono, a volte senza ammetterlo, alcune idee di fondo: il sovranismo, la lotta alla globalizzazione e al capitalismo, l’astio nei confronti della sinistra socialdemocratica, la critica serrata all’Euro e all’Unione Europea, un marcato anti-americanismo, la simpatia per la Russia di Putin, la condanna del cosiddetto buonismo della sinistra, soprattutto su temi quali l’immigrazione, la critica più o meno serrata del femminismo, della teoria gender o delle lotte LGTBI.

A monte c’è l’idea di un socialismo nazionale, che beve da teorizzazioni ed esperienze degli anni interbellici e che ha vissuto diversi aggiornamenti negli ultimi settant’anni. Si tratta di quella fusione di socialismo e nazionalismo che aveva avuto nel sindacalista rivoluzionario Georges Sorel uno dei suoi mentori; una fusione rivendicata poi dallo stesso Mussolini che aveva affascinato non pochi dirigenti politici e intellettuali di sinistra tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale: da Nicola Bombacci a Ottavio Dinale, da Curzio Malaparte a Edmondo Rossoni, giusto per rimanere in Italia. Il fascismo, in parole povere, come vera realizzazione del socialismo. Dopo la Seconda Guerra Mondiale ci sarebbero stati i gruppuscoli post-fascisti di Terza Posizione, l’esperienza sui generis dei nazimaoisti, il pensiero filosofico di Costanzo Preve e un largo eccetera. Sembrava cosa del passato, ma così non è. Quando ci si trova in una situazione di crisi – politica, economica, culturale, di valori – o di cambi epocali, come nell’attualità, il rossobrunismo, più o meno dichiarato, ritorna di moda.

La galassia rossobruna

La copertina de ‘Il primato nazionale’, il giornale di Casa Pound, dedicata a George Soros

Non è facile delimitare quest’area politico-culturale. I suoi confini sono piuttosto labili. Certo, ancora non esiste un movimento rossobruno tout court, e forse mai esisterà. Esistono però alcuni gruppuscoli, spesso derivati o riciclati del post (o neo) fascismo e altre volte realtà che si definiscono “né di destra né di sinistra”, che sono il cuore di questa galassia. È forse questa l’immagine più precisa per rappresentare quest’area: una galassia. Con un “sole” centrale, non troppo grande in realtà, rappresentato da gruppuscoli, giornali, case editrici, pagine web e Facebook. E poi una serie di pianeti che gli girano attorno, a volte coscienti di far parte di questa galassia, a volte attratti senza rendersene conto. E, infine, ci sono le irradiazioni di queste idee che giungono fino a ambienti politici e culturali inaspettati. Senza contare ovviamente l’influenza che hanno nella società e negli elettori.

Al centro della galassia rossobruna ci sono realtà come L’Intellettuale dissidente, una rivista online nata del 2012, la cui redazione, diretta da Sebastiano Caputo, è formata da millenials infatuati da figure eterodosse quali Malaparte – a cui dedicano addirittura una web radio – o lo scrittore francese Pierre Drieu La Rochelle, che finirà a collaborare con i nazisti. Ma poi, giusto per citarne alcuni, troviamo il circolo Proudhon, Azione Culturale, il sito L’Antidiplomatico – vicino ai 5 Stelle – o La Via Culturale, che si definisce “pagina di satira e approfondimento politico” diretta da Alessandro Catto, blogger de Il Giornale e autore del libro Radical chic. Conoscere e sconfiggere il pensiero unico globalista. Giusto per avere un’idea: la pagina Facebook de L’Intellettuale Dissidente ha 93mila follower, quella de L’Antidiplomatico 94mila e quella de La Via Culturale quasi 30mila. Non molti, ma nemmeno pochi. E i follower sono aumentati esponenzialmente negli ultimi tempi.

Realtà di questo tipo non sono una novità. Sono sempre esistite. Quel che è cambiato è che non stampano più una rivista in qualche scantinato, non fanno più riunioni a cui partecipano appena qualche decina di persone e non cercano più di diffondere il loro pensiero solamente con la vecchia tecnica del bouche-à-oreille, ma utilizzano intelligentemente le reti social e riescono a convertirsi in influencer, nascondendosi sotto l’etichetta dell’essere “indipendenti”. Non vincolati a nessun partito. Né di destra, né di sinistra, appunto. E, per di più, criticando il politcally correct, concepito come una specie di dittatura che proibisce la libertà di espressione. Come ha messo in luce lo storico spagnolo Francisco Veiga, la nuova estrema destra utilizza gli strumenti del ’68 per presentare il proprio discorso come eterodosso, antisistema, controcorrente.

Basti pensare al comico francese Dieudonné, che appoggia il Front National difendendo posizioni antisemite e negazioniste. La provocazione e il politicamente scorretto è la base anche di gran parte del rossobrunismo nostrano.

In questa galassia troviamo poi figure eccentriche, ed egocentriche, come Diego Fusaro, professore di Storia della Filosofia presso l’Istituto Alti Studi Strategici e Politici (IASSP) di Milano. Allievo di Preve e Gianni Vattimo, studioso di Hegel, Marx, Gramsci e Koselleck, autore di diversi saggi pubblicati da Bompiani, Feltrinelli e Einaudi, Fusaro è una figura mediatica che fa l’anti-sistema nei salotti buoni. Si definisce un pensatore marxista, ma la sua deriva – sempre che ci sia stata un’evoluzione nel suo pensiero – lo ha portato a collaborare nei mesi scorsi con il settimanale di Casa Pound, Il Primato Nazionale, oltre a partecipare a diversi incontri organizzati dai “fascisti del Terzo Millennio”, tra cui la recente festa nazionale del partito a Grosseto (Fusaro è un po’ il principale divulgatore del rossobrunismo che cerca legittimità a sinistra per togliersi di dosso la patina neofascista. Nei suoi scritti e nelle sue esternazioni c’è quel mix di sinistra nazionale e destra sociale, giustificata dal fatto che destra e sinistra sono ideologie superate e dall’esistenza di un nemico comune: il mondialismo. Si aggiungano le dure critiche alla teoria gender e l’appoggio al movimento no Vax, un po’ di complottismo e dietrologia, e abbiamo gli ingredienti principali del rossobrunismo.

Tra Dugin e Bannon

(???) Steve Bannon (???)

Ma c’è molto altro, in realtà. Parecchie figure che orbitano ormai anche loro in questa galassia. L’economista Alberto Bagnai, che criticava da sinistra l’Euro, ora siede negli scranni della Lega di Salvini. Giulietto Chiesa, storico corrispondente dell’Unità da Mosca, ha partecipato nella sede romana di Casa Pound alla presentazione dell’ultimo libro del filosofo russo Aleksandr Dugin dedicato a Putin.

«Ho accettato l’invito di Casa Pound perché è il momento di rompere gli schemi. Dobbiamo guardare la realtà da diversi punti di vista. Adesso siamo dentro il cambiamento che richiede un cambio di vocabolario. Il populismo è la liberazione. Se i grandi possono fare molte cose brutte, i piccoli se si mettono insieme possono fare delle cose straordinarie», avrebbe dichiarato Chiesa stando al resoconto de Il Primato Nazionale. Alto contro basso, antiestablishment contro establishment, sovranismo contro europeismo, in sintesi. La vecchia divisione destra-sinistra non esisterebbe più. Pochi giorni prima, nella presentazione milanese del libro di Dugin, c’era, guarda caso, proprio Diego Fusaro.

Cos’hanno in comune Casa Pound e Giulietto Chiesa? La lotta contro la globalizzazione, senza dubbio, un certo spirito anticapitalista e l’essere anti-americani e filo-russi. La geopolitica ha giocato un ruolo chiave nella conformazione di questa galassia: la guerra in Siria, quella in Ucraina, l’intervento occidentale contro Gheddafi in Libia… Non manca neppure quel fascino per l’uomo forte: da Putin, ovviamente, ad Assad, ma anche – perché no, in fin dei conti? – Trump e lo stesso Salvini. Non si dimentichi l’influenza del pensiero di Dugin, ex leader del Partito Nazionale Bolscevico, che ha aggiornato la teoria dell’eurasianismo. La Russia di Putin non è l’URSS, ma per alcuni vecchi comunisti gli assomiglia.

Ma non si perdano di vista nemmeno le reti internazionali che si sono andate creando. E che rompono apparentemente le logiche destra-sinistra. È un caso che il principale libro di Dugin, La quarta teoria politica, sia stato tradotto in inglese dalla moglie di Richard Spencer, uno dei maggiori esponenti della Alt-Right statunitense? Si metta in questo calderone anche l’instancabile Steve Bannon, ex consigliere di Trump, ex direttore del portale di estrema destra Breitbart News e ora fondatore di The Movement, piattaforma che vorrebbe unificare i partiti europei di estrema destra in vista delle elezioni della prossima primavera. Da mesi Bannon, che apprezza Dugin, gironzola per il Vecchio Continente e si riunisce con Marine Le Pen e Salvini. Bannon non è rossobruno, ma semplicemente di estrema destra, razzista e xenofobo. Ha capito però che per far uscire dal ghetto l’estrema destra bisogna rafforzare un discorso sociale, sempre ben infarcito di fake news, magari con l’aiutino di metodi illegali, vedasi lo scandalo di Cambridge Analytica. (???)

Che è poi quel che ha fatto Salvini, lepenizzando la Lega di Bossi e Maroni, e utilizzando a man salva i social grazie a Luca Morisi, come ha spiegato l’ex hacker Alessandro Orlowski in una recente intervista per Rolling Stone. In realtà, Casa Pound lavorava da tempo in questa direzione: basti vedere l’uso che veniva facendo di molte delle icone e dei simboli della sinistra, risignificando la loro traiettoria e decontestualizzando i loro discorsi. Da Gramsci a Che Guevara, da Pasolini a Thomas Sankara. Perfino Sandro Pertini. Un’operazione su cui insiste costantemente il cuore della galassia rossobruna, come hanno spiegato Mattia Salvia e Alberto Prunetti che considera il rossobrunismo né più né meno che una forma di Ur-Fascismo, prendendo a prestito il concetto coniato da Umberto Eco, ossia un “fascismo profondo”.

Attrazione fatale

Fossero solo questi ambienti a finire nelle fauci del rossobrunismo sarebbe preoccupante, ma comunque un fenomeno ancora abbastanza limitato. Il problema è che sono sempre di più i settori che nella sinistra europea – come descrive bene Guido De Franceschi – sono attratti da un certo nazionalismo. O che giochicchiano con un discorso identitario: la scissione di Wagenacht nella Linke tedesca, le uscite di Mélenchon, le esternazioni di Anguita, Monereo e Illueca in Spagna, le ambiguità di Corbyn in Gran Bretagna, il partito fondato dall’ex presidentessa del Parlamento greco durante il primo governo di Alexis Tsipras, Zoe Konstantopoulou, il nuovo progetto degli ex PD Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre “Patria e Costituzione”.

Che lo facciano per tatticismo o per convinzione non è dato sapere. Forse un po’ dell’uno e un po’ dell’altra. L’analisi di fondo sarebbe che, visto che l’estrema destra guadagna consensi nelle classi lavoratrici, l’unica maniera per bloccarne l’espansione è “adottare” parte del suo discorso. Ecco allora il richiamo alla patria, alla nazione, all’identità. Il tutto condito da un’opposizione senza se e senza ma all’Euro e all’Unione Europea, causa di tutti i mali, e da una tergiversazione del pensiero di Marx sul tema dell’immigrazione, che porta alcuni a vedere di buon occhio il governo giallo-verde. Citando senza saperlo proprio Fusaro, molti di questi esponenti della sinistra radicale – in Italia senza partito ormai – considerano gli immigrati come un “esercito industriale di riserva” che ruba il lavoro ai connazionali. Vedansi, ad esempio, le dichiarazioni di Ugo Boghetta dirigente di Rifondazione Comunista. A monte c’è l’idea che sia tutta una strategia del grande capitale finanziario. Ecco di nuovo il “mondialismo”.

Ma in fin dei conti non si rendono conto – o forse sì? Il che sarebbe ancora più drammatico – che questa lettura si sposa bene con la teoria della “grande sostituzione”, formulata dallo scrittore francese Renaud Camus e diffusa dalla Nouvelle Droite di Alain De Benoist. Secondo questa teoria, che aggiorna in realtà la bufala del fantomatico piano Kalergy, i migranti che arrivano in Europa non sono altro che una strategia del grande capitale per sostituire nel giro di una generazione la popolazione europea con persone provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa. Camus arriva a parlare di islamizzazione dell’Europa e di genocidio bianco, per intendendersi.

Ma ormai queste idee non sono più rinchiuse solo in ambienti della destra ultra. Le ha sposate pure Salvini, come si vanagloriava Il Primato Nazionale. Basti leggere questa dichiarazione dell’attuale ministro dell’Interno: “Sono sempre più convinto che sia in corso un chiaro tentativo di sostituzione etnica di popoli con altri popoli. Questa non è un’immigrazione emergenziale ma organizzata che tende a sostituire etnicamente il popolo italiano con altri popoli, lavoratori italiani con altri lavoratori”.

Ma a parlare dei no borders come “una foglia di fico dei liberisti progressisti” e di “un’opposizione antitaliana con la quale non vogliamo avere niente a che fare” che “cerca di rifarsi una verginità a piazza San Babila o sul molo di Catania senza fare autocritica” non è solo Il Capitano (cit. Luca Morisi). È l’ex PD D’Attorre. Queste le sue parole durante la presentazione di “Patria e Costituzione” lo scorso 8 settembre.

L’attrazione nazionalista è enorme, non c’è dubbio. La storia dell’Otto e del Novecento ne è una prova. La sua capacità di sostituire la logica che un tempo si sarebbe detta di classe è immensa. Neofascisti che utilizzano un linguaggio di sinistra per guadagnare consensi tra le classi lavoratrici. Finti eterodossi che fanno un cocktail di parole di destra e di sinistra. Settori della sinistra che adottano slogan dell’estrema destra, declinandoli marxisiticamente. È proprio qui dove percepiamo tutta l’influenza del rossobrunismo, il fantasma che si aggira pericolosamente in Italia e in tutta Europa.



L’antisemitismo di sinistra che la sinistra non sa riconoscere
È evidente che la lotta all'antisemitismo sia utilizzata da Salvini in chiave strumentale e giustissimo è stigmatizzare l'ipocrisia del leader leghista. Ma la sinistra, per essere credibile su questo terreno, dovrebbe iniziare a riconoscere e combattere l'antisemitismo che serpeggia silenzioso nelle sue stesse file.
di Matteo Gemolo
24 gennaio 2020

http://temi.repubblica.it/micromega-onl ... conoscere/

Per capire il perché Matteo Salvini si sia ritrovato settimana scorsa a dibattere pubblicamente di antisemitismo nell’inusuale contesto istituzionale della sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, affiancato da intellettuali conservatori stranieri, ricercatori ed ambasciatori dobbiamo fare un passo indietro e guardare all’Europa degli ultimi anni.

Allo stato attuale, 70 membri del moribondo partito Laburista inglese sono indagati dalla Commissione per l’Uguaglianza e Diritti Umani per antisemitismo. A discorsi politicamente legittimi e di critica al governo israeliano si intrecciano affermazioni dal sapore sovversivo e apertamente intollerante come “vorrei tanto essere il presidente dello Stato di Israele. Hanno un bottone per autodistruggersi, vero?” pronunciate da Ali Milani, ex-candidato laburista nel collegio di Uxbridge e South Ruislip e proposte quanto meno imbarazzanti come quelle di “ricollocare Israele negli Stati Uniti” per risolvere “il conflitto arabo-israeliano”, rivendicate da Naz Shaha, altra parlamentare Corbynista.

Nel luglio del 2019, la BBC si fa autrice di un documentario dal titolo incendiario “Il partito laburista è antisemita?” in cui vengono raccolte le testimonianze di otto ex-dirigenti e impiegati Labour che denunciano l’“insopportabile” atmosfera negazionista all’interno del proprio partito in merito a questioni legate all’antisemitismo e a presunti legami tra la cerchia di Corbyn, Hamas, Hezbollah e la fratellanza musulmana. Sempre nello stesso periodo, viene pubblicata una lettera aperta su The Guardian a firma di una sessantina di deputati laburisti che denunciano il proprio leader con argomentazioni simili. Un parricidio?

La convergenza tra sinistra anti-capitalista/anti-imperialista à la Corbyn e nuove forme di antisemitismo subdolo e silenzioso sembra non arrestarsi ai confini naturali della Manica.

Nell’analizzare la débâcle laburista nelle elezioni nazionali del 2019, Jean-Luc Mélanchon, leader francese de La France Insoumise ricicla l’argomento delle Epistole di San Girolamo del dum excusare credis, accusas (mentre credi di scusarti, ti accusi) incolpando Corbyn di aver dimostrato “debolezza” e generato “allarme tra le fasce più deboli del proprio elettorato” per il solo fatto di essersi confrontato e poi “scusato” con chi accusava il suo partito di non aver vigilato a sufficienza in merito a ripetuti episodi di antisemitismo: ci sono numerosi testimoni che riportano quanto fosse frequente sentire alle riunioni di partito espressioni come: “Zio scum” (feccia di sionista), “l’unica ragione per cui abbiamo prostitute a Seven Sisters è perché ci vivono degli ebrei” e “Hitler was right.” Per Mélanchon, meglio avrebbe fatto il leader laburista ad ignorare completamente il grido d’allarme lanciato dal capo rabbino inglese Ephraim Mirvis dalle colonne del Times alla vigilia delle elezioni nazionali britanniche e passare all’incasso elettorale.

Come spiegarsi dunque la sconfitta di Corbyn? Semplice: una macchinazione messa in atto da una fitta rete di lobby politico-mediatiche legate a Likud, il partito nazionalista liberale del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Quest’interpretazione, promossa da Mélanchon e sposata da tanti altri a sinistra, sembra fare pericolosamente da specchio alle teorie complottistiche demo-pluto-giudaico-massoniche (e chi più ne ha più ne metta…) di stampo fascista del secolo scorso. La cosa più grave è che questo approccio esclude aprioristicamente la possibilità che anche a sinistra si possano infiltrare forme occulte e subdole di antisemitismo.

Ma non è di certo una novità. In molti ambienti pseudo-progressisti questo genere di convinzione si salda alla perfezione con un’altra apodittica certezza: quelli pericolosi ed illiberali sono e saranno sempre dall’altra parte. Ce lo confermano quelli de Il Manifesto che scrivono con fervore: “i conservatori (inglesi) hanno sì il razzismo iscritto razzisticamente nel proprio Dna politico e sguazzano nell’islamofobia come tutte le destre fasciste…”, aggiungendo con deferenza religiosa: “Corbyn, un leader politico la cui militanza antirazzista nessun altro deputato di Westminster può vagamente pareggiare.”

E tornando all’Italia, ecco che ci ritroviamo in queste settimane al cospetto di un Matteo Salvini inedito che discute con opportunismo e fiuto politico eccezionale di antisemitismo, di fatto monopolizzando la conversazione su questioni che fino all’altro ieri sembravano del tutto ininfluenti: esiste un qualche legame tra sinistra ed antisemitismo? Quali sono le differenze sostanziali tra antisionismo ed antisemitismo? Esistono forme di antisemitismo diverse da quelle fascistoidi del secolo scorso? Questioni serie e che sono ormai da decenni dibattute in Europa da intellettuali, accademici e giornalisti provenienti da tutte le culture politiche.

E di fronte a questi interrogativi come reagisce parte della stampa italiana? Semplice: facendo la solita deleteria e controproducente (ormai la storia recente lo ha dimostrato) caricatura al cazzaro verde. “Salvini: l’antisemitismo in Italia? Colpa degli immigrati” si legge con incredibile spirito di sintesi su La Stampa; oppure “Salvini organizza un convegno sull’antisemitismo per prendersela coi migranti” titola Linkiesta.it.

Intendiamoci: fare la parodia al discorso del leader della Lega è facile. Troppo facile. Il suo linguaggio volutamente semplicistico e strumentale si autodenuncia da solo per quel che è: un tentativo prevedibilissimo di allinearsi alle destre conservatrici occidentali – quelle che riescono a vincere le elezioni e a governare paesi ben più complessi e dal peso internazionale ben più rilevante del nostro, come Regno Unito e Stati Uniti d’America.

Ma l’elemento di novità di queste settimane è un altro: Salvini ha finalmente capito che per trasformare il Carroccio da partito populista di protesta - abituato a tessere relazioni ambigue e controproducenti con movimentucoli neofascisti locali dallo scarso impatto elettorale - a forza di governo, deve circondarsi di “menti” esterne che contribuiscano con “argomenti” spendibili dal punto di vista intellettuale a realizzare quella mutazione genetica a cui il suo partito aspira da tempo e che gli garantirebbe un posto di tutto “rispetto” sul piano internazionale. Ed è così che tra un rigurgito al Mojito, i “bacioni” alla sinistra e i “bacini” al rosario, Salvini si ritrova per la prima volta supportato da intellettuali e pensatori appartenenti ad una destra conservatrice moderata, tutti provenienti da fuori Italia, pronti a dibattere in un contesto altamente istituzionale argomenti sui quali tra le file della sinistra italiana purtroppo sono ancora in molti a tacere. “Le nuove forme dell’antisemitismo” del 16 gennaio scorso segna il via a questo percorso di lifting intellettuale a cui si vuole sottoporre il Carroccio, a cui seguirà a breve un'altra conferenza intitolata “National Conservatism. God, Honor, Country: Presitdent Ronald Reagan, Pope John Paul II, and the Freedom of Nations”, che si terrà al Grand Hotel Plaza di Roma il 4 febbraio prossimo e che vedrà come ospiti anche il primo ministro ungherese Vicktor Orban.

Cosa ribattere dunque ad un discorso articolato come quello di Douglas Murray (autore tra i vari del best-seller “La strana morte dell’Europa: immigrazione, identità e Islam”) che da anni parla di antisemitismo di matrice religiosa? Come reagire di fronte a chi come Ramy Aziz (ricercatore egiziano copto e analista politico del Middle Eastern Affairs Journal) e Dore Gold (presidente del Jerusalem Center for Public Affairs) porta avanti una perorazione che tende ad erodere la già precaria e sottile linea di confine che vi è tra una legittima critica alle politiche governative israeliane e la negazione del diritto al popolo ebraico all’autodeterminazione?

Al di là dell’evidente uso strumentale che Salvini fa di questi argomenti, mescolando con una certa abilità la proposta di vietare per legge il Bds (boicottaggio dei prodotti provenienti da Israele) con il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Isreale (seguendo la lezione di Trump), cos’altro hanno da dire gli intellettuali di sinistra di fronte all’emergere di effettive nuove forme di antisemitismo? Basterà affermare che non esistono perché a parlarne è Matteo Salvini?

Chiunque sia genuinamente interessato a comprendere le cause dell’aumento esponenziale degli attacchi antisemiti degli ultimi decenni in Occidente dovrebbe compiere prima di tutto un gesto di onestà intellettuale: spogliarsi per un istante della propria casacca ideologica, allontanarsi dallo specchio su cui le stesse idee trite e ritrite si riflettono narcisisticamente da decenni e confrontarsi con i dati che provengono dal mondo reale.

L’Alto commissario delle Nazioni Unite (UNHCHR) riporta che gli atti antisemitici in Francia nel 2018 sono aumentati del 74% rispetto al 2015. Il numero delle minacce antisemite sono anch’esse in crescita del 67% e fanno riferimento a 358 incidenti registrati nel 2019 (comprendenti insulti orali e scritti, email di minaccia, graffiti, svastiche ecc.) rispetto ai 214 riportati del 2017. Sul suolo francese sono ancora 824 gli istituti ebraici sotto sorveglianza militare e poliziesca. Ancora più preoccupante appare la situazione in Francia se prendiamo in considerazione un ulteriore dato: rispetto alla tendenza generale che vede diminuire gli attacchi a sfondo raziale (scesi del 4,2% secondo DILCRACH, la Delegazione interministeriale alla lotta contro razzismo, antisemitismo e omofobia) e quelli di matrice anti-musulmana (il 2018 registra il livello più basso di attacchi contro cittadini di fede islamica dal 2010), gli atti antisemiti rappresentano più della metà, il 55%, di tutti gli atti violenti a sfondo razzista registrati nel 2018, a discapito del fatto che la comunità ebraica francese costituisca meno dell’1% della popolazione totale.

In Germania la situazione è altrettanto allarmante. Secondo l’Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) gli attacchi antisemiti hanno raggiunto un totale di 1.799 unità rispetto alle 1.239 del 2011. Le statistiche della polizia attribuiscono l'89% di tutti i crimini antisemiti tedeschi agli estremisti di destra, ma i membri della comunità giudaica descrivono un’altra realtà: secondo un’indagine dell’Unione Europea, il 41 % degli intervistati afferma che gli attacchi degli ultimi anni siano fondamentalmente di matrice islamica. Un'indagine della Anti-Defamation League sembra confermarlo, riportando un inquietante dato: il 56 % dei musulmani in Germania nutre atteggiamenti apertamente antisemiti, rispetto al 16 percento della popolazione complessiva.

Individuare le diverse radici ideologiche, politiche e religiose di questo sentimento crescente d’odio e pregiudizio nei confronti dei nostri concittadini ebrei è tanto fondamentale quanto urgente. Molti osservatori, non tra gli ultimi l’Agenzia tedesca per la sicurezza interna, hanno iniziato ad allargare il proprio campo d’indagine anche a fette della popolazione di confessione musulmana, dando risposta concreta al timore largamente diffuso all’interno della comunità ebraica rispetto a quel fenomeno noto come "antisemitismo d’importazione" che si affianca a quello del tutto locale d’origine neonazista. Dal 2015 in avanti, la crescente presenza di rifugiati provenienti dalla Siria e dall’Iraq ha allarmato molti ebrei in Germania che già si percepivano minacciati su due fronti opposti: da un lato, dall’avanzata della destra nazionalista dell’Afd, dall’altro da una più generale atmosfera d’intolleranza alimentata a distanza dal conflitto israelo-palestinese, soprattutto a partire dalla Seconda Intifada di inizio anni 2000.

Un episodio su tutti: nell’Aprile del 2018, nel distretto di Prenzlauer Berg a Berlino un ragazzo israeliano di nome Adam Armoush, viene aggredito da un 19enne siriano di origine palestinese mentre passeggia con un amico indossando uno yarmulke; il siriano prende la propria cintura e frusta il ragazzo israeliano al grido di “yehudi” (“ebreo” in arabo). La scena è filmata da un testimone ed il video, diffuso sui social media, genera una tale indignazione nell’opinione pubblica internazionale che Angela Merkel si ritrova costretta pubblicamente a parlare per la prima volta di “matrice islamica” in riferimento ad un episodio di violenza antisemita.

Anche in Svezia, il numero di crimini a sfondo antisemita registrati nel 2018 ha raggiunto il record più alto degli ultimi decenni, aumentando del 53% rispetto ai dati forniti dal governo nel 2016. Nei Paesi Bassi la polizia parla di casi raddoppiati tra il 2008 e il 2018, da 141 a 284 (dati Poldis). La comunità ebraica del Belgio, che conta circa 40.000 abitanti e si divide principalmente tra la capitale ed Anversa, ha subito un numero crescente di minacce ed intimidazioni negli ultimi anni a partire dall’attentato al Museo Ebraico di Bruxelles del 2014 per mano dell’ex miliziano dell'ISIS Mehdi Nemmouch, costato la vita a quattro persone. Il rabbino capo Albert Guigui non indossa più la kippah dal 2001, a seguito di un assalto antisemita alla sua persona per mano di un gruppo di giovani magrebini. L’esibizione del copricapo tradizionale ebraico viene percepito come pericoloso da un numero crescente di ebrei europei. Nel 2014, in Danimarca una scuola ebraica di Copenaghen ha invitato i suoi studenti ad indossare cappellini da baseball sopra i loro yarmulke. Nel 2016 Tzvi Amar, presidente del concistoro israelita di Marsiglia, ha consigliato agli ebrei della sua città di adottare una simile forma precauzionale. Anche in Italia gli incidenti antisemiti si sono quasi quadruplicati passando da 16 episodi nel 2010 a 56 nel 2018 (DIGOS).

Questi dati ci insegnano tre cose. Primo: il problema dell’antisemitismo è reale, vasto e radicato. Secondo: sottovalutare l’antisemitismo per pigrizia intellettuale o presunta superiorità morale, pensandolo come un problema che non ci affligge, significa solo rendersi complici della sua diffusione. Terzo: lasciare alle destre sole il monopolio su di un argomento che è molto più complesso di quello che ci fa comodo credere, è da irresponsabili.

E per concludere, si stia certi di una cosa: la comunità ebraica se ne fa molto poco delle nostre critiche nei confronti di Matteo Salvini, se a nostra volta non dimostriamo di esser capaci di riconoscere e combattere l'antisemitismo che serpeggia silenzioso tra le nostre stesse file.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » sab feb 06, 2021 6:59 am

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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » mer mag 12, 2021 9:25 pm

Galassia rossobruna
Davide Cavaliere
12 Maggio 2021

http://www.linformale.eu/galassia-rossobruna/

In Italia esiste un vasto movimento rossobruno. Con questa etichetta si definisce il bolscevismo nazionale, una corrente politica sincretica, tesa al superamento della dicotomia classica tra destra e sinistra e orientata alla costruzione di un fronte anticapitalista trasversale. Si tratta di un Frankenstein dalla testa nazionalista e dal tronco socialista, cuciti insieme con l’odio che gli estremismi politici nutrono per la civiltà liberale.

Un precursore del rossobrunismo, nel Bel Paese, può essere considerato Omar Amin, al secolo Claudio Mutti, un professore di latino e greco convertitosi all’Islam e membro di Terza Posizione, una setta che aveva la peculiarità di unire il fascismo a un terzomondismo filolibico e khomeinista. Mutti, sulla scia del teorico della Nuova Destra di Alain De Benoist, si è fatto sostenitore di una santa alleanza anticapitalista tra islamismo, comunismo e neofascismo. In tal senso scrive: “Contro il fronte dell’insolenza democratica, dell’avidità finanziaria e della dominazione ebraica ci dovrebbe essere un fronte di estrema sinistra e di estrema destra”.

Un altro padre spirituale del rossobrunismo italico è il filosofo torinese Costanzo Preve. Siamo in presenza di un ammiratore di Alain De Benoist e teorico di un comunitarismo che altro non è che socialismo depurato della sua componente materialistica e insufflato di un nazionalismo strumentale declinato in chiave antiliberale. Anche Preve auspicava la nascita di un fronte tra estrema destra ed estrema sinistra – rosso e bruno – in chiave anticapitalista e antiamericana, dunque antisionista.

Non a caso, alla fine della sua carriera intellettuale, il pensatore pubblicò i suoi libri per le case editrici nelle quali Mutti lavora come traduttore e curatore delle opere di antisemiti come Codreanu, von Leers, Faurisson, Thiriart e Szálasi. Ma, fatto non secondario, Preve è stato il maestro di Diego Fusaro, colui che, pur semplificandole, ha diffuso le tesi del suo mentore adattandole al teleschermo.

Fusaro è parte di un vasto e capillarizzato conglomerato di eredi e discepoli, talvolta involontari, di figure torbide come Mutti e Preve. Si tratta, per l’appunto, di quel movimento rossobruno che si esprime, con diverse sfumature, in una serie di testate online: InsideOver, L’Intellettuale Dissidente, Oltre la Linea, L’Antidiplomatico, Come Don Chisciotte, Sputnik Italia e Il Primato Nazionale. Non si tratta di spazi di informazione minoritari, dato che InsideOver, oltre a essere un sito di informazione registrato presso il Giornale online srl, può contare su sessantamila follower, mentre L’Intellettuale Dissidente supera i centomila come L’Antidiplomatico e Sputnik Italia.

In particolare, InsideOver è strettamente connesso a L’Intellettuale Dissidente, fondato da Sebastiano Caputo e Lorenzo Vitelli. Il primo è un sostenitore del dittatore siriano Assad, di Hezbollah e della teocrazia iraniana. Autore di un volumetto filoiraniano intitolato Mezzaluna sciita, edito dalla sua casa editrice GOG edizioni. L’editore in questione pubblica, tra gli altri, i testi di Gheddafi, Malcolm X e Chávez. I discorsi degli ultimi due sono stati curati da Emanuel Pietrobon, autore presso InsideOver e L’Intellettuale Dissidente. Nonostante il tono pacato dell’analista, Pietrobon non nasconde la sua avversione per Washington e per Israele, che considera due minacce imbevute di messianismo. In un articolo pubblicato su L’Intellettuale Dissidente, intitolato Italiani, popolo di filopalestinesi, si rammarica per le posizioni filoisraeliane di Salvini, in barba ai fatti storici definisce Herzl “influentissimo” e definisce “terrorismo” la lotta dell’Irgun e dell’Haganah.



Rossobruni d’assalto
Davide Cavaliere
25 Maggio 2021

http://www.linformale.eu/rossobruni-dassalto/

Occuparsi dei rossobruni italiani significa doversi inoltrare tra strenui avversari dell’atlantismo, del sionismo e del liberalismo; fra convinti apologeti dell’Islam sciita, simpatizzanti di Vladimir Putin e ammiratori di Bashar al-Assad. Si tratta di una torma che, in tempi recenti, si è data una patina autorevole unita a una nuance futurista.

Uno dei volti più noti di questa fazione è Sebastiano Caputo, autore presso InsideOver, Il Giornale e cofondatore della rivista L’Intellettuale Dissidente. Il reporter in questione, che si ritrae sovente con Marcello Foa, ha avuto un’ascesa fulminea. Caputo non ha mai nascosto la sua ammirazione per il dittatore siriano Assad, in un articolo pubblicato su L’Intellettuale Dissidente, in data 14 aprile 2018, intitolato Cosa ci insegna il popolo siriano, in riferimento a un attacco statunitense in Siria, il “nostro” scrive:

“Ora staremo a vedere se davvero si tratta solo di una rappresaglia perché anche se fosse non nasconderebbe il supporto diretto e indiretto che gli Stati Uniti insieme ai loro alleati della regione hanno dato in tutti questi anni ai gruppi terroristici che hanno portato la guerra in Siria […] È giusto prendere una posizione anche contraria, senza quella fottuta paura di essere tacciati come sostenitori di Bashar al Assad. Che poi di fronte ai suoi avversari politici, da Barack Obama, colui che ha fatto esplodere la regione, insieme ai flussi migratori, sostenendo le ‘primavere arabe’, fino a Donald Trump, un presidente palesemente commissariato dal complesso militare-industriale, si è dimostrato, contro ogni aspettativa, un degno erede dei grandi leader arabi del secondo Novecento”.

Caputo usa tante parole ma la sostanza è chiara: Assad sarebbe la vittima di una cospirazione statunitense, di presidenti americani manovrati da poteri economici occulti. Mancano all’appello solo i terribili “neocon”. Il tiranno siriano, violatore seriale di diritti umani, macellatore dell’opposizione democratica di un Paese che ha ricevuto in eredità dal padre, protettore del criminale nazista Alois Brunner e acerrimo nemico di Israele sarebbe, addirittura, un “degno erede dei grandi leader arabi del secondo Novecento”.

In uno scritto pubblicato su Il Giornale.it, in data 6 ottobre 2015, intitolato Baath, storia del partito che ha costruito la Siria, Caputo fa un vero e proprio panegirico del movimento panarabo: “In Medio Oriente, nell’universo politico di cultura laica, sono tante e spesso in conflitto tra loro, le personalità che si sono elevate al di sopra delle nazioni per incarnare l’ideale panarabo. Ahmed Ben Bella in Algeria, Gamal Abdel Nasser in Egitto, Saddam Hussein in Iraq, Muammar Gheddafi in Libia, Hafez Al Assad in Siria. Gli uomini passano, le idee restano. Di fronte ai grandi sconvolgimenti della regione, il più delle volte rimodellata dall’esterno, un solo gruppo politico è riuscito a conservarsi nel tempo e a mantenere viva la fiamma di un pensiero politico che ancora oggi appare profondamente attuale”.

Insomma, Caputo ha una predilezione per i leader arabi che usano le maniere forti, nemici di un mondo occidentale asservito al mercato e al consumismo di marca americana. Non a caso, infatti, è anche un grande ammiratore della teocrazia iraniana. Per InsideOver, il reporter ha raccontato l’Iran. In un articolo intitolato Le minoranze religiose in Iran, pubblicato in data 22 giugno 2016, Caputo scrive:

“Perché a differenza da quello che si pensa, escludendo la terra di Israele, quella iraniana rappresenta ancora oggi la comunità ebraica più numerosa dell’intero Medio Oriente […] l’Ayatollah Khomeini li dichiarò, al pari degli altri gruppi religiosi, una minoranza protetta e libera di pregare il suo Dio. La comunità ebraica in Iran dunque è stata riconosciuta ufficialmente da parte del governo, e, come per cristiani e zoroastriani gli è stato assegnato un seggio nel Parlamento, o Majlis”.

Caputo sembra uno di quei giornalisti che, dopo aver visitato l’Unione Sovietica o la Cina maoista, tornavano e descrivevano il paradiso in terra. Finge di ignorare che l’esigua minoranza ebraica dell’Iran vive nel terrore, sottomessa, minacciata costantemente da un regime che la brandisce per presentarsi come “tollerante”. Il deputato iraniano di fede ebraica incontrato da Caputo, Samiak Moreh Sedgh, non poteva denunciare il regime nel quale vive da oppresso.

Sempre per InsideOver, in uno scritto del 23 giugno 2016, intitolato Come cambia l’Iran, possiamo leggere: “Perché l’Iran dei contrasti è un Paese di anarchici conservatori in cui la sfera pubblica e quella privata sono perfettamente separate. La trasgressione sessuale e consumistica deve rimanere un fenomeno individuale che sta al di fuori dello spazio comune che, regolamentato dalla sharia, deve rimanere egualitario, religioso, decente. Perché proprio secondo il pensiero tradizionale le società dove c’è pervasività della forma-merce, con annessa mercificazione dell’esistente, si trasformano inevitabilmente in società individualiste in cui vita pubblica e vita privata si annullano e dove la trasgressione che diventa norma e pratica sociale e condivisa. E laddove pubblico e privato diventano interscambiabili, inizia la tirannia delle società liberali”.

Chiaro, no? In Iran pubblico e privato sono, rigorosamente, separati. Certo, una donna non velata può venire arrestata, gli omosessuali vengono impiccati in piazza, ma si tratta di dettagli. Sotto la teocrazia non esiste la mercificazione dei corpi, salvo quelli delle donne dissidenti che vengono violati nelle carceri del regime. La tirannia, ovviamente, è quella liberale. Caputo descrive scene di candida normalità: “Ragazze camminano senza velo nei lunghi corridoi, altre si scattano i selfie”. Un racconto tutto rose e fiori. Peccato che il Comitato delle Donne del Consiglio Nazionale della resistenza iraniana, in tempi recenti, abbia denunciato diversi arresti di ragazze senza velo, tradotte nelle patrie galere di Qarchak a Varaim.

Ma, per Caputo, il problema è l’Iranofobia. Avete letto bene. Così s’intitola un suo pezzo per L’Intellettuale Dissidente del 3 gennaio 2018, dove leggiamo: “Sette anni di guerra per procura alla Siria non hanno insegnato nulla ai commentatori di politica estera che ancora una volta seguono ciecamente una narrativa anti-iraniana diffusa a fuochi incrociati dai think tank neoconservatori e dagli intellettuali più progressisti del cosiddetto ‘mondo libero'”.

Eccoli, i neoconservatori, tessitori di trame a danno dei “popoli liberi”. Un’ossessione che condivide con alcuni autori della sua rivista, come Claudio Ciani. Nonostante la giovane età, Caputo diffonde vecchie e arrugginite tesi antiamericane e antimperialiste. Dopotutto, cosa aspettarsi da uno che ha scritto un libro con Diego Fusaro, odiatore seriale di Israele e degli Stati Uniti d’America?



I virus editoriali antioccidentali
Davide Cavaliere
2 Giugno 2021

http://www.linformale.eu/i-virus-editor ... cidentali/

Molto si è scritto a proposito dei giornali e delle riviste delle “nuove” sintesi tra neocomunismo e neofascismo, ossia in merito alla nebulosa “rossobruna”. Meno si è detto delle case editrici connesse al suddetto mondo. La più interessanti sono Edizioni GOG, Passaggio al Bosco, Arianna Editrice e Zambon Edizioni.

Edizioni GOG è legata a L’Intellettuale Dissidente, nota rivista filoiraniana e schierata con Assad e gli Hezbollah. Nel catalogo troviamo due scritti di Sebastiano Caputo, intitolati Mezzaluna sciita. Dalla lotta al terrorismo alla difesa dei cristiani d’Oriente e Alle porte di Damasco. Viaggio nella Siria che resiste. L’autore, che si vanta di “essere stato sul campo”, mette nelle mani del lettore due opuscoli mal confezionati, nei quali la crisi siriana viene presentata come frutto di un complotto occidentale a danno di una nazione non allineata all’impero americano. Si tratta di due libercoli tutti tesi a esaltare il Baath siriano, il clero iraniano ed Hezbollah. Ad accompagnare i due centoni troviamo anche Il libro verde di Muhammar Gheddafi, i Discorsi al popolo di Hugo Chávez e Nessuno può darti la libertà di Malcolm X. Tre eroi della causa rivoluzionaria contro l’Occidente liberale. L’autocrate venezuelano non poteva mancare, soprattutto visti i suoi legami con la teocrazia iraniana.

La Passaggio al Bosco è meno appariscente delle edizioni GOG, ma non meno votata alla causa antioccidentale. Tra le pubblicazioni, infatti, si rinviene Ho vissuto la resistenza palestinese. Un militante nazionalrivoluzionario con i Fedayin di Roger Coudroy. Si tratta di un libro scritto da un militante della Jeune Europe, il movimento nazionalbolscevico fondato dal collaborazionista belga Jean Thiriart. Coudroy si unì a Fatah e venne ucciso dall’esercito israeliano. Il testo è “arricchito” da uno scritto di Claudio Mutti, discepolo di Alain de Benoist, convertito all’Islam e teorico di un fronte trasversale contro l’Occidente. Poi troviamo Cattolici e identitari. Da La Manif pour tous alla riconquista di Julien Langella, “impreziosito” da una prefazione di Don Curzio Nitoglia, prete tradizionalista vicino a Maurizio Blondet e autore di libretti antisemiti e antisionisti. In lista troviamo anche l’americano filonazista Francis Parker Yockey, il fascista britannico Oswald Mosley e il mitomane collaborazionista Léon Degrelle. Non manca nemmeno un testo pro-Hezbollah: Hezbollah. Storia, organizzazione e dottrina del «Partito di Dio» di Andrea De Poli.

Arianna Editrice, fondata da Eduardo Zarelli, da alle stampe libercoli complottisti, antisionisti, antiamericani in odore di antiebraismo. In particolare, ha pubblicato alcuni scritti di Pietro Ratto, intitolati I Rothschild e gli altri. Dal governo del mondo all’indebitamento delle nazioni: i segreti delle famiglie più potenti e Rockefeller e Warburg. I grandi alleati dei Rothschild. Le famiglie più potenti della terra. Si tratta di due rivisitazioni del tema canonico dell’antisemitismo moderno: i banchieri ebrei che controllano il mondo. La Arianna propala la peggiore narrativa antioccidentale attraverso i saggi di Giacomo Gabellini, autore filorusso, antiatlantista e anti-israeliano. Il suo lavoro ricorda quello di Michel Chossudovsky, sostenitore di Putin e Assad. Lo “studioso” in questione ha dato alle stampe un corposo volume interamente dedicato all’epopea sionista: Israele. Geopolitica di una piccola, grande potenza, dove lo Stato d’Israele viene presentato, ça va sans dire, come una potenza colonialista e teocratica. Nel catalogo della Arianna Editrice è presente anche Paolo Sensini, autore cospirazionista animato da un virulento antisemitismo declinato in chiave antisionista.

Zambon editore, d’impronta marcatamente rossobruna, fa uscire testi radicalmente antisionisti, come quelli di Alan Hart, dell’esponente del movimento BDS Amedeo Rossi e di Paolo Borgognone, già autore per “Blondet & Friends” e per “Pandora TV” di Giulietto Chiesa. Tra i titoli spiccano La censura di Facebook agli ordini dei sionisti di Diego Siragusa, un attivista antisionista tra i più accaniti e il falsario Ilan Pappé con Controcorrente. La lotta per la libertà accademica. Zambon editore sembra specializzato in propaganda filopalestinese, tra le pubblicazioni si rinvengono anche i seguenti titoli: Missione di inchiesta delle Nazioni Unite sul conflitto di Gaza, Spezzare l’assedio. Il cinema del conflitto israelo-palestinese, USA: padroni o servi del sionismo? I meccanismi di controllo del potere israeliano sulla politica degli USA e L’Occidente all’ultima crociata.


L’impero, NATO e Al Qaida: predatori di primavere.

Le case editrici qui brevemente presentate sono un agglomerato di autori nostalgici dell’Unione Sovietica, cattolici tradizionalisti, neofascisti, estremisti di destra e sinistra uniti dall’avversione per Israele, gli Stati Uniti, le democrazie liberali e il mercato. Sebbene non si tratti di grandi editori non vanno sottovalutati, soprattutto nell’era della rete, che ha reso la promozione dei testi poco costosa e più capillare. Le tesi contenute nei libri sopra citati si sono diffuse sul web in modo impressionante, attirando non pochi sprovveduti e coalizzando fanatici di diversa estrazione politica. Sottovalutare l’influenza dei gruppi neototalitari sarebbe un errore. Il virus antidemocratico si replica velocemente in organismi poco vigili e scarsamente reattivi. Inoltre, come avviene con alcune malattie, l’infezione totalitaria si manifesta in modo evidente solo quando il sistema è compromesso.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » gio mag 13, 2021 9:28 pm

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Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » gio mag 13, 2021 9:28 pm

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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » mar mag 25, 2021 7:30 pm

Un'altro demenziale sinistrato antisemita antisionista antisraeliano è Sergio Romano


https://it.wikipedia.org/wiki/Sergio_Romano
Sergio Romano (Vicenza, 7 luglio 1929) è un diplomatico, giornalista, storico, saggista e accademico italiano.
È giornalista pubblicista dal 1950.




Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 13/03/2015, a pag. 53, con il titolo "Gli ebrei in Europa e lo Stato d'Israele", la risposta di Sergio Romano alla lettera di Jost Reinhold.
Informazione Corretta

http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=57530

Sergio Romano riconferma la sua ostilità verso Israele, interpretando a modo suo la storia, non solo del Medio Oriente, ma anche le motivazioni che dovrebbero giustificare il terrorismo islamico.
Esordisce discretamente ma prosegue in modo pessimo. Non può fare a meno di constatare come l'antisemitismo più diffuso oggi in Europa sia quello di matrice islamica, ma quello che segue nell'articolo è degno solo di essere criticato.
Romano ritiene che le scelte militari "spregiudicate" di Israele siano ciò che ha alienato i consensi di cui lo Stato ebraico godeva in passato tra le nazioni democratiche. Ammesso e non concesso che nei paesi democratici in passato davvero Israele fosse ritenuto più simpatico, Romano fa i conti senza l'oste: l'antisemitismo. E in particolare non considera come questo sia in crescita sul Vecchio Continente anche e soprattutto come conseguenza della presenza sempre più cospicua di musulmani.
La domanda finale di Romano è ridicola: il fatto che la maggior parte dei Paesi del mondo abbiano "riconosciuto" la Palestina è solo un indice in più che mostra come la maggior parte dei Paesi del mondo siano democrazie scadute.

Ecco la lettera e la risposta di Romano:


L'antisemitismo nazista è riportato in vita dall'islamismo


Sergio Romano

Tutti i giornali parlano più o meno tutti i giorni del preoccupante diffondersi in Europa di ogni forma di antisemitismo. Purtroppo non ho mai letto in questo contesto un’analisi del fenomeno. Lei, che ha tante volte commentato questioni ebraiche, potrebbe dare una risposta alla domanda del perché? Tutte le fonti ebraiche denunciano giustamente i fatti, ma difficilmente ho letto un suggerimento o una proposta su come anche la parte ebraica potrebbe contribuire a combattere questa piaga. Non mi sembra più che il «non dimenticare» possa essere l’unica soluzione.


Caro Reinhold,
Esistono forme di ostilità contro gli ebrei nei Paesi in cui importanti comunità musulmane convivono con una forte comunità ebraica. Il caso più vistoso è quello della Francia, un Paese che ospita contemporaneamente poco meno di cinque milioni di musulmani e poco meno di 500.000 ebrei. Il sentimento antiebraico in questo caso è strettamente legato sia all’esistenza della questione palestinese sia a quei sentimenti di nazionalismo frustrato e disagio psicologico che si manifestano nelle minoranze etniche soprattutto durante fasi economicamente difficili.

L’identificazione fra Israele e gli ebrei delle diaspore europee è arbitrario e discutibile, ma è quello a cui maggiormente ricorre chiunque approfitti di questo malessere per cercare di reclutare militanti jihadisti. Ed è giustificato, agli occhi dell’Islam radicale, dagli appelli di Benjamin Netanyahu agli ebrei francesi. Se il premier israeliano, dopo gli omicidi del supermercato kosher a Parigi nelle scorse settimane, li considera potenziali cittadini di Israele, perché non dovrebbero essere considerati tali anche dai francesi di religione musulmana?

Vi sono forme di ostilità antiebraica anche là dove esistono rigurgiti neonazisti. Ma il fenomeno, in questo caso, mi sembra meno rilevante. Le simpatie naziste sono una patologia europea da sorvegliare e sradicare, ma non mi sembrano statisticamente preoccupanti.

Esiste poi un terzo fattore, forse più inquietante. In questi ultimi anni Israele sta progressivamente perdendo il capitale di affetto e simpatia di cui ha lungamente goduto dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Per i socialisti europei il kibbutz era un modello da imitare anche sotto altre latitudini. Per chi aveva ancora negli occhi le immagini dei forni crematori, la nascita dello Stato ebraico era la dimostrazione di una entusiasmante vitalità nazional-religiosa. Persino operazioni militari spregiudicate, come la guerra del 1956 e quella del 1967, suscitavano ammirazione per l’audacia delle forze armate israeliane.

Oggi quei sentimenti si sono in buona parte dissolti. La politica degli insediamenti, mai interrotta, le guerre di Gaza, il fallimento di tutti i tentativi promossi dalla diplomazia americana per la soluzione della questione palestinese, la scarsa collaborazione offerta dal governo israeliano alla politica dei due Stati hanno creato delusioni anche in coloro che avevano accompagnato con le loro speranze l’evoluzione dello Stato israeliano nei primi decenni della sua esistenza. Come spiegare altrimenti il fatto che 135 Stati su 193 membri dell’Onu, abbiano riconosciuto la Palestina?



Sergio Romano e la disinformazione antiebraica: un rapporto che dura da anni ormai….
Emanuel Baroz
4 maggio 2009

http://www.focusonisrael.org/2009/05/04 ... e-israele/

Riportiamo da Informazione Corretta una lettera a Sergio Romano (e la risposta di quest’ultimo) da parte di un lettore del Corriere della Sera evidentemente stanco di dover leggere bugie intrise nell’odio antisraeliano pubblicate da questo personaggio su un quotidiano come il Corriere della Sera che si vanta di essere un giornale rispettabile e credibile.Continuiamo a ritenere che il solo fatto che questo signore (?) occupi il posto che fu di Indro Montanelli e poi di Paolo Mieli getti una macchia sul quotidiano di Via Solferino.

Per chi volesse saperne di più sul Gran Muftì di Gerusalemme consigliamo la visione di questo video

Manipola, ignora, cancella, adesso è senza pudore. Sergio Romano l’ha fatta troppo grossa, non riesce a coprirla

sergio-romano-israeleComplimenti al lettore Savino Isernia, che con la sua lettera a Sergio Romano ha provveduto a togliergli un altro velo, mostrandolo per quello che è, uno pseudo storico che usa la storia in modo disinvolto. Anche i sassi sanno chi era il gran Muftì di Gerusalemme ai tempi del nazismo, come lo ricorda giustamente il lettore del CORRIERE della SERA oggi, 03/05/2009 a pag.31. Con una piroetta a 360 gradi, Romano cancella tutto e lo presenta come un nemico degli inglesi ! A Romano manca anche il pudore. Ecco lettera e risposta:

«Bandiere palestinesi»

Caro Romano, è invalsa l’abitudine di sventolare le bandiere palestinesi alla festa del 25 aprile. Questi vessilli sono, a mio avviso, fuori luogo per due motivi: l’appoggio ideologico e militare dato dagli arabi e arabo-palestinesi al nazifascismo. Il Muftì di Gerusalemme, Amin al-Husayni, fu alleato di Hitler e Mussolini e ideatore della divisione di SS musulmane Handschar, che operò in Bosnia «eliminando» il 90% degli ebrei di Bosnia. Visitò i lager, raccomandando una «maggiore efficienza».

Diede impulso ai Fratelli Musulmani, organizzazione madre di Hamas e del terrorismo moderno. Disse di Eichmann: «Un diamante rarissimo, il vero salvatore degli arabi». Il panarabismo integralista nasce da lui. Per non parlare delle guerre di sterminio dichiarate, fatte e perse. «Butteremo a mare gli ebrei» era lo slogan. Le odierne manifestazioni di pensiero fascista, solo a titolo di esempio: la televisione ufficiale dell’Autorità Palestinese, non diversamente da quella di Hamas, continua a trasmettere programmi per l’infanzia in cui si ribadisce che Israele, da Metulla a Eilat, è tutta «Palestina occupata da liberare» (Palestinian Media Watch, 28 ottobre 2008). Non sarebbe più appropriato sventolare, ad esempio, le bandiere del Tibet?

Savino Isernia

Credo che alle celebrazioni del 25 aprile siano apparse, a seconda dei tempi, molte ban­diere (fra le le quali quelle di Cuba e del Vietnam del nord) non necessariamente gradite alla maggioranza dei manife­stanti. Quanto al Gran Muftì, penso che sarebbe un errore definirlo fascista o nazista. Co­me altre personalità che colla­borarono con la Germania e l’Italia durante la guerra, era semplicemente nemico degli inglesi: e quindi amico del ne­mico dei suoi nemici.

Sergio Romano

(Fonte Corriere della Sera, 3 Maggio 2009, pag. 31)



Le risposte di Sergio Romano che alimentano il pregiudizio antisraeliano e antisemita: una spina nel fianco per il giornalismo italiano
Progetto Dreyfus
13 Marzo 2015

https://www.progettodreyfus.com/le-risp ... -italiano/

Leggiamo oggi che secondo Sergio Romano, opinionista del Corriere della Sera, l’antisemitismo sempre più evidente e diffuso in Europa sarebbe colpa di Israele ed in particolar modo del premier Netanyahu.

Il 10 Marzo Romano aveva già affrontato a suo modo la crisi del canale di Suez, quella che portò alla guerra del 1956, in una maniera – diciamo così – piuttosto singolare, con una ricostruzione che di attinenza alla verità storica aveva veramente ben poco a che fare tanto era piena di inesattezze e salti temporali utili solo a dimostrare le presunte malefatte dello stato di Israele.

Solo pochi giorni prima (il 7 Marzo) in risposta ad un lettore che chiedeva lumi circa il rapporto tra Francia e Israele, Romano dava prova ancora della sua acredine contro Israele con riferimenti ad eventi mai accaduti. La domanda che emerge a scorrere le risposte dell’ex ambasciatore che occupa il posto che fu di Indro Montanelli è per quale motivo le lettere su Israele ed ebraismo vengono sempre sollecitamente e lungamente commentate da Romano, che ne approfitta per gettar fango su Israele e la sua gente da decenni con un’insofferenza che si spiega solo con la convinzione che lo stato ebraico costituisca un enclave mal digerita dal giornalista, che con un sapiente uso di parole inutili, si guarda bene dall’ammetterlo in modo esplicito.

Andando ancora a ritroso ecco un’altra risposta – stavolta datata 5 Marzo, e siamo solo andati indietro di qualche giorno – in cui si attaccano Netanyahu e Ariel Sharon per aver affermare una verità banale nella sua evidenza, cioè che gli ebrei in Europa non siano più al sicuro. Per Sergio Romano che evidentemente vive in una bolla tutta sua, gli attentati di Tolosa, Bruxelles, Parigi, Copenaghen, le aggressioni di Anversa, Parigi, Londra, le lettere minatorie alle comunità ebraiche europee e alle ambasciate israeliane (ultima quella di Berlino), le manifestazioni nelle varie città europee in cui con la scusa di sostenere la causa palestinese si grida “morte agli ebrei” e “Hitler aveva ragione”, il sostegno al terrorismo palestinese anti-israeliano ed antiebraico sotto qualsiasi sigla esso si nasconda, sono tutte invenzioni degli ebrei europei, probabilmente in qualche modo imbeccati dai loro omologhi israeliani

Sarebbe bene che Sergio Romano rileggesse le parole proprio di chi per tanti anni ebbe la rubrica delle lettere al quotidiano di via Solferino, rendendola una delle pagine più lette del giornale: “Che i profughi palestinesi siano delle povere vittime, non c’è dubbio. Ma lo sono degli Stati Arabi, non d’Israele. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta. Oggi, ubriacato da una propaganda di stampo razzista e nazionalsocialista, lo sciagurato fedain scarica su Israele l’odio che dovrebbe rivolgere contro coloro che lo mandarono allo sbaraglio. E il suo pietoso caso, in un modo o nellaltro, bisognerà pure risolverlo. Ma non ci si venga a dire che i responsabili di questa sua miseranda condizione sono gli «usurpatori» ebrei. Questo è storicamente, politicamente e giuridicamente falso.” (Indro Montanelli, Corriere della Sera, 16 Settembre 1972)


Le omissioni e le distorsioni di Sergio Romano sotto la lente di ingrandimento
Emanuel Segre Amar
1 Agosto 2017

http://www.linformale.eu/le-omissioni-d ... egre-amar/

L’articolo pubblicato nella edizione di domenica 30 luglio a firma di Sergio Romano sul Corriere della Sera, avente come titolo “Una tomba per due eredità”, merita, a mio parere, delle riflessioni su numerose affermazioni fatte dall’autore. Per brevità mi limito qui a riportare solo le osservazioni più importanti:

– L’autostrada che va da Gerusalemme a Hebron non “costeggia Ramallah”, giacché la “sede di Abu Mazen e dei suoi uffici governativi” si trova in tutt’altra direzione: Ramallah è a nord di Gerusalemme, Hebron 27 Km a sud. Questa affermazione, avulsa dal tema trattato, appare giustificata solo dalla volontà di ricordare nel seguito altre “verità” che tali appaiono oggi solo perché vengono ripetute all’infinito.

– Non ci si deve stupire se la regione è “chiamata dagli ebrei Giudea” perché questo, in effetti, è il suo nome storico, utilizzato da tutti, indipendentemente dalla loro religione, fino a quando precise volontà di cancellare ogni legame degli ebrei con la loro terra hanno iniziato a serpeggiare nel mondo. Mi permetto di ricordare che non solo in ebraico si chiama Yehuda, ma anche in arabo si chiama al-Yahudiyyah.

– La strada non ha affatto “i due muri che la separano dal territorio circostante”; questi si trovano unicamente nel tratto che affianca la città di Betlemme, e, in gran parte, non ha nemmeno le ben note barriere elettroniche che costituiscono per oltre il 90% le difese chiamate genericamente “muro” che sono state costruite unicamente come difesa dagli attentatori dopo la tragicamente nota intifada. E la strada non è affatto “israeliana”, visto che viene utilizzata da tutti, arabi, cristiani ed ebrei.

– Gli insediamenti israeliani nell’area di Hebron sono ben più di quattro (oltre una dozzina, nella realtà) e sono “protetti da truppe israeliane e da occasionali posti di blocco” per evitare il ripetersi delle situazioni che già nel 1929 hanno obbligato tutti gli ebrei – quelli sopravvissuti alla strage – ad abbandonare le case abitate ininterrottamente da 3000 anni (appare quindi difficile chiamare “vecchia comunità” chi abita una città da un tempo tanto lungo, raramente riscontrabile per altre città).

– Sergio Romano, che evidentemente ha visitato di recente la città di Hebron con un “accompagnatore”, non può non aver visto che la maggior parte delle case non sono affatto “fatte con la stessa pietra bianca, leggermente rosata, che è usata per quelle di Gerusalemme”, e che ben poche “hanno grate di ferro molto eleganti, con graziose volute”; inoltre, forse “l’accompagnatore” non ha fatto presente a Romano che le “autorizzazioni delle autorità israeliane”, concordate a Oslo per la zona C, non vengono rispettate nemmeno in tale zona, e non sono affatto necessarie per la zona A sulla quale si trova la maggior parte di Hebron.

– Usare la parola “ghetto” per le aree dove “vivevano poche centinaia di persone” fino al 1929, quando furono cacciati dal ben noto pogrom arabo, appare del tutto fuorviante; gli ebrei erano assolutamente liberi di muoversi in tutte le ore e di scegliere le proprie abitazioni dove gradivano, e pertanto la scelta della parola “ghetto” appare del tutto fuori luogo.

– A questo punto Romano si ricorda che nel 1929 vi fu “la prima grande sollevazione araba contro le colonie sioniste”, ma, tralasciando che evita di spiegarne le ragioni (il gran Muftì, noto amico di Hitler, aveva fatto spargere la voce che gli ebrei volevano distruggere la moschea di Al Aqsa, suscitando, in tal modo, allora come oggi, rivolte in tutta la regione), definisce “colonie sioniste” quelle che erano le antiche abitazioni di cittadini ebrei. Perché dunque definirle “colonie”? Perché non chiamare “colonie” quelle degli arabi, arrivati oltre un millennio e mezzo dopo gli ebrei?

– Non corrisponde al vero che nel 1967, dopo la guerra dei Sei giorni, gli ebrei “vi tornarono in maggior numero”; fino al 1980 nessun ebreo tornò a vivere in quella che è sicuramente una città avente per loro, da sempre, un enorme significato religioso, ma in quella decina di anni si devono piuttosto registrare solo attacchi portati dagli arabi, a colpi di granate, ai turisti che volevano tornare a visitare le antiche tombe dei Patriarchi, attacchi però non ricordati da Romano.

– Al contrario, molto spazio viene dedicato, nell’articolo, a “Baruch Goldstein, vestito con uniforme militare”; egli era effettivamente un maggiore nelle riserve dell’esercito, pluridecorato come il miglior medico d’emergenza, e non soltanto,”un medico che veniva da New York”.

– Scrivere che “Maometto incontrò durante il suo viaggio notturno a Gerusalemme, il profeta Ismaele”, è un’altra affermazione fuorviante per il lettore, dal momento che nel Corano Gerusalemme non viene citata nemmeno una volta, e la moschea più lontana nei giorni della morte di Maometto, dalla quale egli sarebbe salito in cielo, non poteva essere a Gerusalemme dove l’Islam non era ancora arrivato.

– Romano ricorda la presenza, a Hebron, dal 1995, “di un piccolo distaccamento di osservatori internazionali – che piacciono ai palestinesi, un po’ meno ai coloni ebrei che manifestano occasionalmente il proprio malumore con il lancio di sassi contro le auto quando fanno servizio di ronda”; sarebbe stato utile ricordare che il comando di questo piccolo distaccamento si trova nello stesso edificio dove si trova la direzione dell’OLP, posizione per lo meno sospetta per la dovuta imparzialità, e che gli ebrei hanno reagito contro le pattuglie due volte per protestare contro il silenzio degli osservatori dopo attentati commessi dagli arabi contro di loro. Una situazione non molto dissimile da quella che si riscontra nel sud del Libano dove non vi sono, al contrario, ebrei che possano protestare per la cecità – quando non addirittura complicità- degli osservatori delle Nazioni Unite che hanno lasciato accumulare oltre 100.000 missili puntati contro Israele, in una zona che in base alla Risoluzione ONU 1701 sarebbe dovuta estate demilitarizzata, affidandone l’applicazione all’Unifil.

– A questo punto Romano ricorda “il conferimento a Hebron e alla Tomba dei patriarchi del titolo di sito palestinese del patrimonio mondiale – al quale il governo israeliano ha reagito con rabbia”, ma omette di spiegare le ragioni di tale rabbia, ragioni che non sto qui a ricordare perché fin troppo note.

– Attorno alla Tomba dei Patriarchi, nella quale è sepolta anche Lea, non a caso dimenticata da Romano, la situazione appare diversa da quanto descritta nell’articolo; sarebbe stato doveroso ricordare non solo l’antichissima sinagoga ebraica, ma anche la basilica costruita dai bizantini, poi distrutta dagli arabi e da loro trasformata in moschea, ma forse queste realtà storiche non appaiono a Romano politically correct.

– Non è affatto vero che “Ismaele sia il padre dei dodici progenitori delle tribù arabe” sia perché quando si parla delle tribù, si parla di quelle degli antichi ebrei, sia perché la vicenda religiosa, come rappresentata nell’articolo, ricalca la versione sciita, e non quella dell’islam nel suo complesso.

– Non mi sembra corretto definire Hebron: “il quarto luogo santo dell’Islam”; è noto che è Roma a godere di questo privilegio, per ragioni non difficili da comprendere. Inoltre a Hebron non vi è nessuna “convivenza coatta”; tutti dovrebbero poter vivere dove desiderano, e ritengo che sarebbe piuttosto doveroso far capire ad Abu Mazen che non è accettabile la sua dichiarata volontà di non ammettere cittadini di religione ebraica nel futuro stato di Palestina.

– Le visite alle tombe seguono regole ben precise, anche se non facilmente accettate da tutte le parti interessate (come sempre succede quando vi sono più religioni coinvolte; lo stesso avviene ad esempio tra i cristiani al Santo Sepolcro di Gerusalemme); le tombe sono 15 metri sotto terra, e si entra solo nel luogo che segna la tomba di Isacco sottostante, la sala più grande (alla quale gli ebrei possono accedere solo in 10 giorni all’anno, unici giorni nei quali gli arabi non possono accedere) e il tutto è amministrato dai musulmani del WAQF che, come al Monte del Tempio (Spianata delle moschee per i musulmani) sono molto attenti a fare osservare le imposizioni con ferrea intransigenza, soprattutto nei confronti di chi per secoli sono stati considerati dhimmi.



Sergio Romano: "I confini che Israele vorrebbe sono confini biblici"
4 giu 2018

https://www.youtube.com/watch?v=TRCJYaezTBw

Sergio Romano, ex ambasciatore ed editorialista del Corriere della Sera, ha presentato il suo nuovo libro "Atlante delle Crisi Mondiali" il 16 maggio 2018 presso palazzo Clerici, la sede dell'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale di Milano.



Interventi e repliche – Lo Stato di Israele e gli ebrei
Amit Zarouk
Consigliere dell’ Ambasciata d’Israele in Italia risponde a Sergio Romano (13 marzo) sulla diffusione dell’antisemitismo in Europa
17 Marzo 2015

https://www.osservatorioantisemitismo.i ... in-europa/

Abbiamo letto con attenzione l’analisi del signor Sergio Romano sul fenomeno dell’antisemitismo in Europa (Corriere, 13 marzo), rilevandovi con nostra sorpresa una sorta di accettazione — qualcuno potrebbe intenderla come un ravvisamento di logicità — dei fenomeni di odio antiebraico e di violenza contro gli ebrei in Europa.
Il fatto che vi sia un’identificazione dell’ebraismo europeo con lo Stato d’Israele, o che in parte alcuni ebrei possano diventare cittadini israeliani, non può assolutamente costituire alcuna giustificazione dell’antisemitismo proveniente dai leader musulmani in Europa.
Non è giusto e non può essere giustificato colpire degli ebrei per il solo fatto di essere ebrei né degli israeliani per il solo fatto di essere israeliani. L’appello rivolto agli ebrei a trasferirsi in Israele è una pietra fondante della stessa nascita dello Stato d’Israele. Gli ebrei che scelgono di continuare a vivere in Europa, dove vivono da generazioni e dove la loro vita è profondamente radicata e inserita nel modo di vivere europeo, sono cittadini leali e con pieni e pari diritti rispetto a qualsiasi altro cittadino francese o italiano. La parte finale delle parole del sig. Romano, dove viene posto un nesso fra le politiche dei governi israeliani e l’antisemitismo, è anch’essa soggetta a essere interpretata come tendente a giustificare il fenomeno. Il governo israeliano è eletto con elezioni democratiche che riflettono la volontà della maggioranza dei cittadini d’Israele. Colpire gli ebrei in Europa per via delle azioni di un governo in Israele è pura espressione di un «nuovo antisemitismo, che colpisce gli ebrei per il solo fatto di essere ebrei, nascondendosi però dietro il pretesto di un’opposizione al governo d’Israele. La verità, invece, è purtroppo semplice: si tratta di odio per tutto ciò che è ebraico, incluso l’odio per l’unico Stato ebraico al mondo, e ciò esige contrasto e condanna, e non certo accettazione e tentativi di spiegazioni logiche.
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Messaggioda Berto » mar mag 25, 2021 9:10 pm

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Messaggioda Berto » mer mag 26, 2021 6:44 am

Un'altro sinistrato antisemita antisareliano filo palestinese e filo nazi maomettani
Giampaolo Musumeci
uno dei peggiori giornalisti di Radio24
un sinistro sinistrato che sta con i nazi maomettani della Fratellanza Mussulmana con il demenziale sinistro Regeni e che è contro al-Sisi; che sta con i nazi palestinesi maomettani contro Israele e i suoi ebrei

https://www.radio24.ilsole24ore.com/con ... o-musumeci
Fotografo e videoreporter, si occupa di immigrazione, attualità internazionale e conflitti, soprattutto in Africa. Ha lavorato in Somalia, ha intervistato esponenti dell'Ira in Irlanda, ha seguito il Generale ribelle Nkunda durante la guerra in Congo nel 2008, ha raggiunto i ribelli rwandesi dell'FDLR nella foresta congolese nel 2010, ha raccontato la crisi Libica nel 2011. Ha collaborato con Sky Tg24, Channel 4, Rainews24, Vanguardia, Die Zeit, la Radio Svizzera Italiana e Radio France International. Ha diretto e girato per Mtv una serie di documentari sui giovani di Belfast e uno sui ragazzi di Hebron. Ha scritto "Confessioni di un Trafficante di uomini" pubblicato in sei paesi nel mondo. Insegna alla scuola di giornalismo della cattolica e al master di radio24. Quando non è in giro per il mondo, vive a Milano. Con un feticcio africano sulla scrivania.

I ragazzi di Hebron
(dalla parte dei nazi maomettani detti palestinesi e contro Israele e i suoi ebrei)
https://www.youtube.com/watch?v=mtT3pbb6a5E
Hebron è nota nel mondo per essere la città della tomba di Abramo e dei patriarchi, venerati da musulmani, ebrei e cristiani. Il documentario è costituito dal racconto in prima persona - senza commento - di quattro adolescenti e preadolescenti che vivono nella parte della città occupata

https://vimeo.com/297822824
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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