Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » gio feb 04, 2021 10:08 pm

Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra antisemiti, antiamericani e filo nazi maomettani
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » gio feb 04, 2021 10:16 pm

Diego Fusaro, Maurizio Blondet, Massimo Fini, Massimo Veneziani, Giulietto Chiesa, Alain de Benoist, Paolo Barnard, Gianni Vattimo, altri come Sergio Romano e Franco Cardini
Aggiunti: Alain De Benoist, Greta Thunberg, Christopher Hitchens, Storici dell'Università di Torino, Influencer sinistrati





Diego Fusaro
https://it.wikipedia.org/wiki/Diego_Fusaro


Maurizio Blondet
https://it.wikipedia.org/wiki/Maurizio_Blondet


Massimo Fini
https://it.wikipedia.org/wiki/Massimo_Fini


Massimo Veneziani
https://it.wikipedia.org/wiki/Marcello_Veneziani


Giulietto Chiesa
https://it.wikipedia.org/wiki/Giulietto_Chiesa


Alain de Benoist
https://it.wikipedia.org/wiki/Alain_de_Benoist


Paolo Barnard
https://it.wikipedia.org/wiki/Paolo_Barnard


Gianni Vattimo
https://it.wikipedia.org/wiki/Gianni_Vattimo



altri:
Vauro (vignettista), Sergio Romano (ex diplomatico e opinionista), Giampaolo Musumeci (giornalista a Radio24), Alessandro Barbero (storico), ...
tutta la schiera degli ebrei non più ebrei come Gad Lerner, Moni Ovadia, ...
presenze di giornalisti antisemiti nella testata "Il Giornale", ...

Franco Cardini
https://it.wikipedia.org/wiki/Franco_Cardini

Vittorio Feltri ???
https://it.wikipedia.org/wiki/Vittorio_Feltri
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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » gio feb 04, 2021 10:17 pm

Diego Fusaro

Cabarettista antisionista
Davide Cavaliere
4 Febbraio 2021

http://www.linformale.eu/cabarettista-antisionista/

Tutto è cominciato con “La gabbia”, il programma televisivo condotto da Gianluigi Paragone. Quest’ultimo ha fornito spazio a una serie di soggetti cabarettistici e poco raccomandabili: Paolo Barnard, Giulietto Chiesa e Massimo Fini. Ma il suo principale demerito rimane quello di aver sdoganato Diego Fusaro.

Il filosofo torinese dalla barbetta gramsciana veniva presentato come: “il filosofo dagli occhi azzurri che conquista le donne con le citazioni”. Con questa comica biografia cominciava l’ascesa mediatica di Diego Fusaro, osservata con perplessità e invidia da chiunque si occupi di politica, storia e filosofia in modo serio.

Da allora, circa sette anni fa, “l’allievo indipendente di Marx, Gramsci, Hegel e Gentile” – come è solito definirsi – ha partecipato in modo sistematico a dibattiti televisivi e radiofonici, esibendo uno stile oratorio che, con Gadda, può essere compendiato nell’espressione “enfatiche cazziate”.

Fusaro è solito tuonare contro il “turbocapitalismo” dei “Signori del Mondialismo”, cosa che fa attraverso l’assemblamento di una serie di lemmi e declamazioni. Il tutto condito con una spolverata di termini tratti dal sistema hegeliano e da quello marxista. Il suo registro è talmente povero da poter essere sintetizzato in una manciata di formule: “cretinismo economico”, “epoca della compiuta peccaminosità”, “talassocrazia del dollaro”, “lo dico nel modo più radicale possibile”, “élites finanziarie” e così via.

Nulla di nuovo. Le sue idee sono le tesi di Costanzo Preve ed Alain de Benoist ridotte all’osso e adattate alle necessità del teleschermo. Se il “socialismo della cattedra” di Fusaro è assai noto, meno conosciute sono le sue convinzioni in merito a Israele.

Per analizzare la posizione “fusariana” sullo stato ebraico bisogna fare una premessa: il nostro, da buon marxista, identifica acriticamente gli Stati Uniti d’America col capitalismo. Il novello Gramsci riduce la storia e la complessa società statunitense alla formula – di sapore schmittiano – “talassocrazia del dollaro”. Con questa locuzione intende dire, sulla scia di Carl Schmitt, che gli Stati Uniti sarebbero una “potenza di mare” – il mare è la metafora di una spazio liscio, illimitato, senza frontiere, adatto allo scorrimento delle merci –, fondata sul potere economico e mercantile ben rappresentato dalla banconota verde: il dollaro.

La repubblica statunitense intrattiene, come tutti sanno e come Fusaro sa, una relazione speciale con Israele. Il sostegno che gli Usa forniscono a Gerusalemme, alla luce del modo in cui sono concepiti gli Stati Uniti, viene interpretato come una strategia economica americana tesa a colonizzare il medioriente. Nella brutale semplificazione della realtà posta in essere da Fusaro, Israele non è il prodotto dell’epopea sionista, bensì una mera punta di lancia dell’imperialismo economico americano. Come dimostra il contenuto di questo post Facebook:

“Non fatevi ingannare. Israele è e resta uno Stato criminale, esempio insuperato di democrazia missilistica”.

Nella mistificazione operata da Fusaro, Israele è un piccolo stato colonialista e militarista, un’estensione del potere “a stelle e strisce”. Ma non finisce qua, il telegenico filosofo torinese sembra credere che Israele controlli il mondo e sia un tutt’uno con la finanza e il capitalismo. Sono eloquenti, in tal senso, le seguenti riflessioni, sempre affidate a Facebook:

“Vorrei che la finiste di inneggiare a Bolsonaro come sovranista, patriota e antiglobalista. Bolsonaro è più liberista di Reagan. Non è patriottico, ma atlantista. Non difende l’interesse del suo Paese, ma quello degli Usa nel suo Paese. E, dulcis in fundo, nel suo rapporto servile verso Israele è la chiave per valutarne l’operato”.

“Se lottate contro l’immigrazione dall’Africa e poi accettate di essere colonia di Washington e camerieri di Israele, siete dei pagliacci senza dignità”.

Non è un caso, infatti, che Fusaro abbia condiviso gli articoli complottisti e anti-israeliani di Thierry Meyssan e abbia incontrato e discusso amichevolmente con Maurizio Blondet, noto pubblicista dal paranoico antisemitismo.

Il “filosofo dagli occhi azzurri che conquista le donne con le citazioni” sembra ritenere che Israele sia la chiave di volta di un potere oscuro, invisibile, onnipervasivo definito, di volta in volta, “turbocapitalismo”, “mondialismo” o “padronato cosmopolitico”. Fusaro ripropone la vecchia tesi del “complotto pluto-giudaico-massonico” rivestita di materialismo scientifico e invettive antiamericane.

Il logico corollario della suddetta visione è il sostegno che garantisce ai regimi illiberali e alle teocrazie, da lui definiti “eroici” e “resistenti” – quest’ultima è una parola chiave della retorica antimperialista. Sempre su Facebook scrive:

“Io non legittimo la resistenza dell’Iran all’imperialismo made in Usa: la esalto”.

Fusaro esalta un regime ierocratico, oscurantista e terrorista. Alle democrazia basate sull’economia di mercato, non certo prive di contraddizioni, preferisce una tirannia fondata sulla forca. A lui si adatta alla perfezione quella frase di Ayn Rand contenuta ne “La rivolta di Atlante”, che recita: “Il farabutto che dice di non vedere alcuna differenza fra il potere del dollaro e quello della frusta, dovrebbe imparare la differenza sulla sua stessa schiena”.

Fusaro è solo l’ultimo e più farsesco filosofo sedotto dall’illusione di Siracusa, quella che spinse Platone nella città siciliana per affiancare il tiranno Dionigi il Giovane. Le esibizioni filotiranniche dell’autore sono il portato della vecchia ideologia marxista che lo possiede e che gli mostra una realtà capovolta: quella di una democrazia occidentale gravida di intenti autoritari ben più nocivi di quelli dei regimi palesemente dittatoriali. Tale convinzione permette a Fusaro di chiudere gli occhi con la coscienza pulita davanti alla violenza, al terrore, all’antisemitismo, al totalitarismo dei nemici dell’Occidente.




Che cosa abbiamo fatto per meritarci Diego Fusaro?
di Raffaele Alberto Ventura pubblicato martedì, 7 aprile 2015

http://www.minimaetmoralia.it/wp/che-co ... ego-fusaro

In principio era un sito Internet intitolato “La filosofia e i suoi eroi”. Nei primi anni Duemila, chi cercasse in rete informazioni su Platone o Aristotele poteva facilmente imbattersi in queste pagine redatte da uno studente torinese di nome Diego Fusaro. Il sito era una galleria di santini animata da una visione schematica della storia del pensiero, ricalcata dai manuali, ma trasudava di un entusiasmo impressionante. Una decina di anni più tardi, nel 2013, il loro autore veniva annoverato da Maurizio Ferraris su La Repubblica tra i più promettenti giovani filosofi d’Europa.

Ho assistito alla folgorante ascesa mediatica di Diego Fusaro con un misto d’invidia e di stupefazione. Invidia perché, essendo suo coetaneo e avendo fatto gli stessi studi, ammetto che non mi dispiacerebbe affatto pubblicare libri con i più prestigiosi editori, dirigere una collana di testi filosofici, andare in televisione a tuonare contro il capitalismo e l’ideologia gender, partecipare a convegni col fior fiore degli intellettuali infrequentabili, condurre un programma su Radio Padania, rilasciare alla stampa russa interviste a sostegno di Vladimir Putin, fare dei selfie con Marione Adinolfi e infine essere definito “filosofo dagli occhi azzurri che conquista le donne con le citazioni”.

Stupefazione, tuttavia, perché a leggere e ascoltare certe esternazioni di Fusaro si può avere l’impressione di avere a che fare con un idiot savant che ripete meccanicamente degli slogan. Stupefazione, anche, per come Fusaro sia riuscito a non far pesare la sua progressiva radicalizzazione politica sul credito che gli prestano editori come Il Mulino, Bompiani e Feltrinelli. Così, come se nulla fosse, uno storico editore della sinistra italiana ha potuto affidare una monografia su Antonio Gramsci al promotore di un Fronte Nazionale Italiano. Nessuno sembra voler fare caso al fatto che il Gramsci di Fusaro, anti-scientifico e nazionalista, sia una filiazione diretta del gramscismo di destra teorizzato negli anni Settanta da Alain De Benoist. Un Gramsci fascista se teniamo fede alla definizione che De Benoist fornisce del fascismo come, appunto, “variante del socialismo avversa al materialismo e all’internazionalismo”.

Com’è potuta accadere questa cosa che chiamiamo Diego Fusaro? Alle fondamenta dell’edificio c’è una rapida carriera accademica, sostenuta dall’impressionante socievolezza del giovane Fusaro con alcuni grandi vecchi della filosofia italiana, a cominciare da Giovanni Reale e Gianni Vattimo. E poi l’incontro col pensiero di Costanzo Preve, studioso di Marx che teorizzò il superamento della dicotomia destra-sinistra, caldeggiando la nascita di un fronte comune — “rossobruno” come dicono alcuni, o “eurasiatico” come dicono altri — contro il capitalismo. Per questo motivo, alla fine della sua vita Preve si trovò a pubblicare i suoi libri per editori di estrema destra (Edizioni all’insegna del Veltro, Settimo Sigillo…) accanto a Julius Evola, Corneliu Codreanu e Robert Faurisson.

È da Preve che Fusaro prende le sue idee principali, ma è soltanto traducendole in un sistema di frasi a effetto che il giovane filosofo trova la ricetta adatta per bucare lo schermo. La sua strategia “nazionale-popolare”, programmaticamente gramsciana, si pone come obiettivo di “creare un nuovo senso comune” tenendo conto dei “semplici” (bontà sua) al fine di creare un “fronte trasversale” contro il “capitalismo trionfante”. Tutto questo, tuttavia, senza mai definire chiaramente le caratteristiche del suo progetto politico radicale.

Sicuramente Fusaro non è fascista, poiché autocertifica di non ammirare Hitler o Mussolini; sicuramente non è leghista, avendo preso duramente le distanze da Salvini; ma per sua stessa ammissione si considera più vicino al programma di CasaPound che a quello di Tsipras. Marxista, Fusaro? Questo proprio no, a meno di considerare marxista chiunque abbia il vezzo di citare Marx, e ultimamente sono tanti e insospettabili, da Alain De Benoist a Marine le Pen: Fusaro stesso si definisce “allievo indipendente di Marx e Hegel”, come già Preve prima di lui, ma il suo immaginario politico assomiglia quello del socialismo controrivoluzionario otto-novecentesco che culmina nel circolo Proudhon. Pare di avere a che fare con un caso particolarmente acuto di “marxismo immaginario”, per citare Raymond Aron… Forse è vero che destra e sinistra non esistono più, e allora dovremo trovare nuove parole. Non tanto per capire meglio le trasformazioni del piano ideologico — roba vecchia, del secolo scorso! come direbbe il giovane filosofo — quanto per taggare con maggiore precisione i nostri tweet: allora diciamo che Fusaro è indubbiamente un #sovranista e approssimativamente un #lepenista.

Malgrado la giovane età, Diego Fusaro è già fatto maestro nell’arte in cui eccellono i più celebrati filosofi contemporanei: quella di riuscire a trattare qualsiasi problematica dicendo sempre le stesse quattro cose, assumendo inoltre un linguaggio e un’espressività che il pubblico riconoscerà come professorale. A differenza di altri filosofi universitari ai quali viene rimproverato di esprimersi in un idioletto indecifrabile — ad esempio usando paroloni come “idioletto” — Fusaro parla e scrive in maniera relativamente chiara e persino pedagogica, anche se non immune da una certa tragicomica pesantezza.

La chiacchiera fusariana consiste nel montaggio semi-aleatorio di un pugno di moduli argomentativi preconfezionati, di formule declamatorie (“lo dico nel modo più radicale possibile”) e di citazioni ricorrenti (“cretinismo economico”, “epoca della compiuta peccaminosità”, eccetera). Come già segnalato sopra, molti elementi del suo discorso sono presi di peso dai libri di Costanzo Preve. Il risultato non è diverso da quello che si potrebbe ottenere con un generatore automatico e la quantità di testi generabile in questo modo è potenzialmente infinita, come testimonia la prolificità del giovane filosofo. Avventurarsi nella visione della sua gigantesca videografia su YouTube significa fare i conti con un universo di slogan ripetitivo e autoreferenziale. E per ciò stesso, incredibilmente efficace.

Talvolta il meccanismo s’inceppa e produce delle affascinanti anomalie, dei loop e dei glitch nel tessuto logico. Ecco un esempio gustoso della lingua fusariana, del suo modo di “occupare lo spazio” dicendo poco o nulla, tratto da un intervento al Festival della Politica di Mestre nel 2014:

Io credo che si tratti oggi più che mai di lavorare filosoficamente a partire da una critica delle ideologie che porti all’attenzione la critica del potere come necessariamente basata sulla critica delle ideologie.

Questa frase non passerebbe il test di Turing, celebre esperimento mentale che serve a distinguere l’intelligenza umana da quella artificiale. Ma siamo indulgenti: si tratta di uno scivolone come se ne fanno talvolta nella lingua orale. Parliamo allora del conto Twitter del filosofo, dove vengono mandati in rotazione continuamente gli stessi slogan, come se ad animarlo fosse un bot. Questo accade non perché Fusaro sia effettivamente un robot, ma perché applica un preciso metodo che si apprende nelle facoltà di filosofia. Una tecnologia espressiva della quale oggi l’ineguagliato campione è Umberto Galimberti, grande copia-incollatore di testi propri e altrui: con elevatissimi tassi di riciclaggio da un libro all’altro — fino al 95% — l’editorialista del magazine D di Repubblica ha tracciato la via del suo giovane erede.

Il metodo combinatorio, in effetti, si applica anche allo scritto. La carriera accademica di Fusaro segue il ritmo delle numerose pubblicazioni scientifiche, come il recente Fichte e l’anarchia del commercio. Si tratta di una lettura de Lo Stato commerciale Chiuso di Johann Gottlieb Fichte, testo feticcio della nuova destra ripubblicato nel 2009 per le Edizioni di Ar da Franco Freda, già fondatore del primo Fronte Nazionale italiano. Più che un vero saggio di storia delle idee, il libro di Fusaro è un capolavoro nell’arte di allungare il brodo: due o tre occorrenze per ogni singola citazione da Fichte; la tesi del libro parafrasata decine di volte cambiando l’ordine delle parole ma senza mai riuscire a darle maggiore profondità; grappoli di frasi identiche una dietro l’altra. Se vi siete mai chiesti come sia possibile realizzare un libro di 274 pagine con il materiale che serve a riempirne tutt’al più una cinquantina, un indizio tiene in questa semplice citazione dal testo (pp. 96-97):

L’aporia può essere superata continuando a concentrare l’attenzione sul mondo storico a contatto con il quale la Wissenschaftslehre come System der Freiheit si è venuta costituendo. È nostra convinzione che l’aporia possa essere superata continuando a concentrare l’attenzione sul mondo storico a contatto con il quale la Wissenschaftslehre è sorta.

Se non fosse chiaro, Fusaro sta dicendo che l’aporia si può superare concentrando l’attenzione sul mondo storico dalla quale è sorta la Wissenschaftslehre, che poi è un altro modo di affermare che si potrà superare l’aporia concentrandosi sul mondo storico a contatto della quale la Wissenschaftslehre si è costituita. La cosa più interessante è che comunque Fusaro non ci dirà assolutamente nulla di rilevante su questo benedetto contesto storico. Contrariamente a quello che ribadisce spesso, il nostro è incapace di storicizzare i testi: la sua tesi su Fichte infatti, molto simile alla sua tesi su Gramsci, è che… bisogna uscire dall’Euro! Per un’introduzione più pertinente all’opera di Fichte nel suo contesto, si preferirà leggere l’ottimo The Closed Commercial State: Perpetual Peace and Commercial Society from Rousseau to Fichte di Isaac Nakhimovsky.

Tra il 2005 e oggi Fusaro ha pubblicato più di dieci monografie. La maggior parte sembrano libri composti secondo le buone regole della scrittura filosofica universitaria e indicano una frequentazione approfondita delle fonti. Bentornato Marx! Rinascita di un pensiero rivoluzionario, per fare un esempio, svolge in maniera indubbiamente scorrevole il compito di difendere la sua tesi. Tesi piuttosto contestabile, va detto, che ancora una volta è esattamente la stessa di Preve: secondo Preve-Fusaro, della tradizione marxista si deve lasciar perdere l’elaborazione economica e invece concentrarsi sul lascito puramente filosofico. L’economia è, in generale, la bestia nera di Fusaro, che diffida da ogni confronto con la realtà empirica poiché potrebbe scoraggiare l’ottimismo della volontà.

È un libro che parla molto di alienazione, di feticismo, di sfruttamento, e assolutamente mai di composizione organica del capitale, di caduta tendenziale del saggio di profitto o semplicemente di teoria delle crisi. Il Marx di Fusaro sta qui semplicemente per dirci che il capitalismo è una cosa ingiusta, da abbattere a ogni costo, e non ci dice nulla sugli elementi che condannano il sistema a una perenne instabilità. Questo Marx è un Dickens che parla come un hegeliano. Appiattendo il pensiero di Marx sull’idealismo tedesco, Fusaro può facilmente liberarsi di tutto ciò che nel pensatore di Treviri appartiene alla tradizione del marxismo novecentesco e tornare alla fonte di un socialismo pre-scientifico, pronto per convergere con nazionalismo e comunitarismo. E d’altra parte, questo suo lavoro sull’attualità del pensiero di Marx — fermo circa ad Althusser — astrae totalmente dai più recenti dibattiti.

Vizi di forma esclusi, affinità elettive con i neofascisti a parte, c’è ancora chi sostiene che Fusaro porti avanti una critica necessaria del pensiero dominante del nostro tempo. In realtà, Diego Fusaro deve la sua fortuna alla capacità che ha avuto di occupare di forza un certo territorio ideologico, quello della critica del Sessantotto inteso come momento culminante del capitalismo — una critica popolarizzata da Michel Houellebecq con vent’anni di anticipo e molta più finezza, ripresa con originalità da Jean-Claude Michéa nei primi anni Duemila, ma in fondo già evidente a marxisti come Michel Clouscard e liberali conservatori come Raymond Aron che vivevano “in diretta” il maggio francese e ne coglievano con lucidità le contraddizioni.

Il pubblico di Fusaro è fatto di chi, non avendo avuto modo di sentire altrove certe idee, si convince che queste siano originali e controcorrente. Si convince quindi che esista una dittatura del “pensiero unico” semplicemente perché si abbevera egli stesso alle fonti della cultura dominante e non riesce a concepire che magari è la sua concezione di destra e di sinistra ad essere caricaturale. Ogni volta che legge un trafiletto su Judith Butler e la teoria del gender, marginalissima moda intellettuale non più rilevante del balconing, invece di farsi una bella risata lo prende come indizio di un progetto mondialista che minaccia direttamente il suo uccello. Questa non è critica dell’ideologia, e nemmeno dialettica conservatrice: è retorica populista, buona solo per arringare le folle.

Non avevamo certo bisogno di Fusaro per aprirci gli occhi sulle contraddizioni della sinistra e del capitalismo, eppure eccolo qui. Qualcuno lo applaude per avere scoperto l’acqua calda e lui la butta giù a secchiate su facili capri espiatori, nella più nobile tradizione di un “socialismo degli imbecilli” (cit. August Bebel) incapace di vedere all’opera le forze dell’economia dietro i comportamenti degli individui. Nel frattempo, la stampa, l’editoria e l’accademia continuano a fare come se fosse tutto normalissimo: d’altra parte questo ragazzo va in televisione, non lasciamocelo scappare! Altrimenti chi se lo compra un libro su Gramsci?



Corea del Nord e Stati Uniti, chi oggi rappresenta il vero pericolo per la pace?
Diego Fusaro
Filosofo

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/09 ... ce/3834656


Si continua ormai da mesi a discutere, senza troppe variazioni sul tema, sul pericolo rappresentato dalla Corea del Nord e dalla sua disponibilità di armi nucleari. Il dibattito, tuttavia, per chi sappia avventurarsi al di là degli steccati del pensiero unico e del teatro delle ideologie dominanti, è intrinsecamente falso nelle sue stesse fondamenta.

Provo a fare chiarezza, nel modo più semplice e diretto: sarebbe giusto e onesto chiedere alla Corea del Nord il disarmo, se il richiedente fosse esso stesso disarmato o, più realisticamente, si disarmasse contestualmente anch’esso. Ma non è così. Autoeleggendosi a poliziotto planetario (non mi risulta che tale incarico le sia stato assegnato consensualmente da nessuno), la monarchia del dollaro continua a reti unificate a lanciare grida d’allarme circa il pericolo rappresentato dalla Corea del Nord armata nuclearmente. Ma la monarchia del dollaro, che pretende il disarmo altrui, è pronta essa stessa, contestualmente, a disarmarsi?

Nei film western, quando i pistoleros si puntano l’uno contro l’altro la pistola, ciascuno può deporre l’arma se e solo se l’altro opera in modo analogo. Sarebbe pura follia, infatti, che uno gettasse la pistola e l’altro invece continuasse a impugnarla. Perché, dunque, la Corea del Nord dovrebbe deporre l’arma se la talassocrazia a stelle e strisce continua a essere armata fino ai denti e, di più, a esportare democrazia missilistica e a donare al mondo intero bombardamenti umanitari? Se la Corea del Nord gettasse l’arma, firmerebbe la propria condanna a morte: ossia la propria ridefinizione come colonia periferica del nuovo ordine mondiale atlantista.

Ricordo, per incidens (e a beneficio degli smemorati con interesse), che ad oggi le bombe atomiche sulla popolazione le ha gettate la liberalissima monarchia del dollaro e non la totalitaria Corea del Nord. Se, come si dice, quest’ultima è impresentabile, che dire allora di una potenza che ha sterminato centinaia di migliaia di innocenti con armi nucleari? Se la Corea del Nord è – come in larga parte è – oscena per la mancanza di libertà d’espressione e di diritti civili, che dire degli Usa, dove i signori apolidi del big business coesistono con immense nuove plebi emarginate, senza tetto e senza diritti sociali garantiti?

La Corea del Nord, se non altro, per quel che ne so, non si erge a modello universale per i popoli del pianeta. Il vero problema – lo sappiamo – è che il nuovo ordine mondiale post-1989 ha assunto un aspetto neoimperiale: il mondo intero deve, con le buone o con le cattive, subordinarsi all'”unica nazione indispensabile”, come Bill Clinton, il paladino degli spin doctors del progressisimo, ebbe a qualificare gli Usa. Chi non si piega, viene prima diffamato come Stato canaglia, poi bombardato in nome dei diritti umani, infine costretto a essere incluso nel nuovo ordine mondiale americano-centrico, identificato con la fine (capitalistica) della storia. Ecco lo storytelling dominante dal 1989 ad oggi: esso ci permette di leggere tutti i principali conflitti nel mondo post-sovietico (Iraq e Serbia, Afghanistan e Libia, ecc.).

L’happy end è sempre il medesimo: deposizione, quando non uccisione (Gheddafi, Saddam), del “dittatore” sempre accostato a Hitler dalla pubblicistica, e ingresso dello Stato liberato, nell’open space della libertà universale della free market democracy sotto egemonia statunitense. Lo sappiamo, nell’ordine simbolico dominante gli Stati traggono la loro legittimità non dalla sovranità popolare, dalla libera volontà del demos, bensì dalla lealtà al Fondo monetario internazionale e dal grado di asservimento alla talassocrazia del dollaro. Con tutti i suoi macroscopici limiti (se ne potrebbero certo menzionare tantissimi), la Corea del Nord è uno Stato non allineato al Washington consensus: e per questo i signori del mondialismo le hanno giurato odio imperituro. Fa bene, da un punto di vista geopolitico, a non disarmarsi: almeno fintantoché non si saranno disarmati anche quanti le chiedono di disarmarsi. È realisticamente il solo modo che ha per non capitolare. Senza esagerazioni: peggio della Corea del Nord vi sono solo gli Stati Uniti d’America. Chiedetevi, seriamente, chi oggi rappresenta il vero pericolo per la pace, la libertà e la sovranità dei popoli e avrete tutti gli elementi per inquadrare il senso della questione.





Non è guerra di religione. È guerra alla religione
Diego Fusaro
2016/08/17

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08 ... mo/2978988

La grande narrazione procede ormai dal 2001: Twin Towers, 11 settembre. La religione islamica avrebbe – si dice – dichiarato guerra all’Occidente. Ci troveremmo, dunque, nel bel mezzo di una “guerra di religione” dichiarata dal mondo islamico a quello cristiano. La si è battezzata “terrorismo”, come se Islam e terrore coincidessero in toto. Sia pure per cenni, propongo qui di rovesciare la prospettiva e di guardare le cose da un angolo prospettico diametralmente opposto: non è guerra di religione. È guerra alla religione. Non è l’Islam che ha dichiarato guerra all’Occidente. È l’Occidente del partito unico della produzione capitalistica che ha dichiarato guerra all’Islam e a ogni religione della trascendenza (cristianesimo compreso, sia chiaro).

Dopo la fine ingloriosa del comunismo storico novecentesco (Berlino, 1989), le religioni della trascendenza restano un ostacolo per l’economia di mercato: già solo in ragione del fatto che sono monoteismi alternativi a quello del mercato. Già solo in ragione del fatto che ci ricordano che il vero Dio è quello che sta nei cieli e non nelle banche; che i luoghi sacri sono le chiese e le moschee e non i centri commerciali.

Comunque la si voglia intendere, la religione della trascendenza – sia islamica, sia cristiana – è una feconda risorsa di senso e di resistenza rispetto al monoteismo idolatrico del mercato, all’integralismo fanatico dell’economia e al nichilismo assoluto della forma merce. “Il tempio è sacro perché non è in vendita”: così scriveva Ezra Pound. Per questo, il capitale ha dichiarato guerra alle religioni e aspira ad abbatterle: le fa passare per intrinsecamente terroristiche, fanatiche e violente, di modo che l’opinione pubblica sia pronta all’attacco contro di esse.

Di più, fa sì che gli islamici si illudano che i loro nemici siano i cristiani e i cristiani si illudano che i loro nemici siano gli islamici: laddove il vero nemico degli uni e degli altri è il fanatismo economico, la violenza immanente del mercato, l’integralismo liberista. In questo modo, anziché lottare insieme contro l’integralismo economico, islamici e cristiani finiscono per favorirlo: e per dissolvere se stessi in questo esiziale gioco al massacro da cui a uscire sconfitta è la religione della trascendenza.

Ce l’ha insegnato Pasolini: il contrario della religione della trascendenza non è il comunismo, ma il capitalismo. Che è ateo, nichilista e, per ciò stesso, nemico di ogni religione della trascendenza. Se il capitale, come ci insegna Marx, mira ad abbattere ogni ostacolo che lo limiti, ben si capisce perché esso oggi sia in lotta contro le religioni. È bene saperlo. Siamo nel bel mezzo di una guerra alla religione: una guerra tutta funzionale alla teologia economica del mercato, che aspira a essere il solo monoteismo legittimo, riconosciuto e venerato.

Prendiamone atto: il vero fanatismo, oggi, è quello dell’economia di mercato. Che in nome del “ce lo chiede il mercato” massacra i popoli e i lavoratori, distrugge ogni valore che non sia quello economico, abbatte ogni senso che non sia quello della forma merce.




La disuguaglianza è una categoria astratta
settembre 15, 2017
Diego Fusaro

http://www.tempi.it/cari-sfruttati-se-s ... bwfZdFx2jI


Finito il conflitto di classe, resta un mondo fatto di atomi competitivi, ciascuno in cerca del riscatto individuale e della fuga solitaria dalla miseria di cui è abitatore

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Fintantoché il conflitto di classe si articolava nella forma della contrapposizione frontale e diretta, era possibile individuare tanto lo scontro quanto lo sfruttamento quale essenza del nesso di forza capitalistico come rapporto teso a spremere pluslavoro in vista della creazione di un sempre più esteso plusvalore per il quale il capitale non pagava alcun equivalente. Con la mondializzazione americano-centrica compiuta, permane lo sfruttamento senza il conflitto. In luogo degli sfruttati, i quali sono tali nella misura in cui vi sono gli sfruttatori, figurano ora gli esclusi, secondo la nuova categoria che genericamente rimanda a chi subisce, senza alcun riferimento agli agenti dell’oppressione.

Gli esclusi non sono vittime di qualcuno: semplicemente, essi non partecipano dei benefici della società opulenta basata sulla miseria dei più, né godono di un’inclusione entro il sistema dei servizi e del lavoro. La loro esclusione, tuttavia, non dipende visibilmente da un rapporto di forza incardinato sullo sfruttamento, ma solo dall’accidentalità della loro situazione sociale, come se si trattasse di un evento fortuito e senza legami con il campo di forze conflittuale in cui si articola la società.

In termini convergenti e ugualmente inscrivibili nel registro della neolingua liberista e della sua ortodossia sempre riconfermante l’ordine simbolico vigente, nel regno del blocco storico capitalistico, in cui il disoccupato stesso figura come “lavoratore in transito”, è permessa la parola “disuguaglianza” e sono, invece, banditi lemmi come “sfruttamento” e “dominio di classe”.

Desocializzare per isolare
La disuguaglianza, alla stregua dell’esclusione, è una categoria generica, che desocializza e, insieme, ipostatizza nella forma di una cosa ciò che, in verità, corrisponde a un rapporto sociale asimmetrico. Più precisamente, la disuguaglianza è un’astrazione, un nome pudico con cui viene oggi definito l’inconfessabile, ossia il sempre crescente differenziale di classe fondato relazionalmente sullo sfruttamento, sull’estrazione forzata del pluslavoro. Oltre a rimuovere la dimensione relazionale, ossia il suo fondarsi sul nesso di signoria e servitù, la categoria di disuguaglianza si rivela coerente con l’ordine simbolico in ragione del fatto che produce e consolida l’individualizzazione livellante degli esseri umani e la solitudine dei lavoratori.

Se la precedente – e ora dichiarata fuori corso – nozione di sfruttamento classista affratellava, creando un orizzonte comune e una prospettiva solidale basata sul senso di appartenenza e sulla coscienza di classe, la nuova e astratta figura della disuguaglianza produce una visione del mondo composta da atomi competitivi e conflittuali, ciascuno in cerca del proprio riscatto individuale e della propria fuga solitaria dalla miseria di cui è abitatore (cfr J. Seabrook, Classi, caste, gerarchie, Carocci). Finisce per introdurre il vangelo della competitività – nella forma iperbolica del mors tua, vita mea – anche presso il polo del Servo, tradizionalmente più vicino al credo della solidarietà. La disuguaglianza è ora percepita non già come un rapporto classista di sfruttamento, riguardante l’individuo in quanto parte di una classe, bensì come una condizione ingiusta per il singolo io narcisista dal legame sociale spezzato, aspirante unicamente alla propria salvezza personale. Quest’ultima è essa stessa intesa in forma reificata come semplice “inclusione” nel sistema dell’apartheid capitalistico.

Un fato ineludibile
Di qui la scena di ordinaria postmodernità dei soggetti mercificati e disillusi, che continuano imperterriti a ravvisare nella loro condizione di sconfitti della mondializzazione l’eldorado di opportunità individuali che, di fatto, non si concretizzeranno mai.

La ricerca solidale e condivisa di un futuro diverso e migliore in cui lo sfruttamento sia superato, ma poi anche il sogno desto di un miglioramento delle condizioni della classe cui si appartiene, cedono allora il passo al nuovo paradigma, figlio della cultura del narcisismo, in cui i singoli atomi perseguono in solitudine prospettive di riscatto individuale nel quadro della gabbia d’acciaio del capitale trasfigurato ideologicamente in fato ineluttabile. La salvezza è intesa non come rovesciamento della situazione intrinsecamente ingiusta, bensì come semplice esodo personale da quella condizione, percepita come fisiologica e dunque non trasformabile in quanto tale, se non addirittura come densa di opportunità per l’individuo in grado di volgerla a proprio favore.


Alberto Pento
Si pensi alla Svizzera dove le assurdità di Fusaro non trovano alcun riscontro.



Il capitalismo ci vuole infantili
luglio 25, 2017 Diego Fusaro

http://www.tempi.it/perche-il-capitalis ... huuKjdryjJ

Il tentativo è rendere la società per sempre giovane, cioè dedita al consumo senza autorità e al ribellismo verso le forme mature dell’eticità borghese

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – La forma repressiva del capitalismo dialettico si è da tempo capovolta in quella permissiva del capitalismo assoluto: il suddito diventa consumatore la cui libertà si estende senza limiti fin dove si estende la sua capacità di acquisto. Alla morte di Dio segue, dunque, l’avvento non già dell’Oltreuomo profetizzato da Nietzsche, bensì del consumatore senza identità e senza spessore. Questi, a differenza dell’uomo maturo in grado di dire di no, deve essere permanentemente nella condizione del ragazzo immaturo, in balìa di desideri ai quali può soltanto cedere e ai quali, come Pinocchio nel Paese dei Balocchi, non è in grado di porre fine.

Il sistema della finanza planetaria e flessibile è, per sua natura, giovanilistico non solo perché nega la possibilità delle forme mature dell’eticità e vive di quella precarietà che caratterizza fisiologicamente la fase giovanile. Accanto a questi motivi, vi è anche il collegamento tra consumismo e giovinezza, ossia la propensione degli individui di età giovane all’acquisto incontrollato di merci, alla flessibilità degli stili di vita, al godimento disinibito, al ribellismo verso le norme stabili.

A differenza dell’uomo maturo borghese, progettuale e stabilizzato nelle forme di esistenza alle quali ha scelto di consegnarsi, l’eterno giovane post-borghese e ultra-capitalistico vive l’eterno presente instabile e non stabilizzabile dell’adolescenza perpetua estesa a ogni età dell’esistenza, centrata sul godimento aprospettico, aprogettuale e senza differimenti del life is now. La vita cessa di essere concepita e vissuta come un progetto fondato sulla stabilizzazione delle sue forme: prende a essere intesa come successione rettilinea e puntiforme di istanti sconnessi ed episodici, autonomi e tutti volti in senso esclusivo alla massimizzazione aprospettica del momento.

Il giovane si riconferma, così, il soggetto ideale per l’adesione al modello consumistico americano-centrico, per il nichilismo anarco-consumistico delle moltitudini eternamente giovani, instabili, anglofone e immature. Ed è per questa ragione che la tendenza del capitalismo flessibile coincide con l’infantilizzazione del mondo della vita, ossia con il tentativo di rendere la società permanente giovane, cioè dedita al consumo senza autorità e al ribellismo verso le forme mature dell’eticità borghese (negate realmente dalla logica del capitale e avversate ideologicamente dai giovani).

Il capitalismo flessibile e precario è, per sua stessa natura, giovanilistico. Esalta il giovane, perché esso – senza diritti e senza maturità, senza stabilità e biologicamente precario e in fieri – è il suo soggetto antropologico privilegiato; e questo non solo per via della scarsa compatibilità delle fasce non giovani con la nuova logica flessibile (da cui il sempre ribadito invito che la tirannia della pubblicità rivolge anche ai non giovani a vivere come se lo fossero), ma anche in ragione del fatto che il nuovo assetto della produzione e del consumo coarta l’intero “parco umano” a vivere alla stregua dei giovani, ossia in forme provvisorie, precarie e mai mature, perennemente in attesa di un assestamento sempre differito. Il capitalismo flessibile ci vuole tutti eternamente giovani, perché, a prescindere dall’età, permanentemente immaturi e non stabilizzati, disposti ad accettare di buon grado le forme coattive della precarietà e del mondo della vita deeticizzato.

D’altro canto, se oggi si è considerati “diversamente giovani” fino a cinquant’anni, è perché si è idealmente precari fino al termine della propria attività lavorativa, sia nella vita sociale sia in quella affettiva, incapaci cioè di stabilizzare la propria esistenza nelle tradizionali forme dell’etica borghese e proletaria, ormai superata dal nuovo modo della produzione flessibile, post-borghese e post-proletario.

L’imperativo del tutto e subito
La maturità borghese dell’età adulta con possibile coscienza infelice è stata sostituita dall’immaturità post-borghese con incoscienza felice dell’età giovanile. La capacità di progettare futuri stabilizzando l’esistenza mediante le forme della vita etica e mediante l’intreccio ragionato di legge e desiderio quale si esprime nell’austero imperativo categorico kantiano, ha ceduto il passo al presentismo assoluto e aprospettico della fase odierna del finanz-capitalismo. In essa, l’instabilità come cifra dell’esistenza, con la sua strutturale impossibilità di sedimentarsi in forme fisse, non permette la progettazione dell’avvenire. Impone, come unico imperativo, quello sadiano del godimento immediato e senza misura, autistico e tutto proiettato nell’hic et nunc di un presente pensato, pur nella sua instabilità, come sola dimensione temporale disponibile.

In questo scenario di deeticizzazione in atto e di precarizzazione forzata del lavoro e delle esistenze, i giovani costituiscono indubbiamente il nucleo di un progetto – silenzioso quanto violento – di mutazione antropologica orientato a trasformarli nel nuovo soggetto assoggettato al paradigma della società capitalistica planetaria.




Diego Fusaro: la filosofia come truce cabaret
Niram Ferretti
2018/01/08

http://caratteriliberi.eu/2018/01/08/in ... ce-cabaret

Epoca di parodie e cloni, la nostra, è anche quella di un generale adeguamento ai falsi spacciati per originali. Ormai si scommette perlopiù sull’incapacità dell’occhio a distinguere ciò che è alto da ciò che è basso, la qualità dalla sua imitazione.
Tutto è superficie, forma senza sostanza, avanzi radunati per produrre la frittata. Così, quando ci tocca leggere Diego Fusaro è come quando ci tocca vedere un film di Paolo Sorrentino. Scorrono immagini allestite da un vetrinista, da un illustratore patinato.

Con Fusaro che imita un filosofo, come Sorrentino un cineasta, e Allevi un musicista, troviamo bell’e pronto un armamentario di concetti abusati fino allo sfinimento. Fossero un pastiche, potremmo anche divertirci, purtroppo no, Fusaro è desolantemente privo di ironia. Marx, Marcuse, Bloch, Lukács, la Scuola di Francoforte, Lenin, un po’ di Hegel (povero Hegel tirato di qui e di là) e, ovviamente, il maestro di Fusaro, Costanzo Preve di cui l’allievo è il pret a porter.
Fusaro è perfetto per la nostra epoca. E’ un calco, come i gessi che imitano la scultura greca, solo che di greco in lui non si trova nulla. Il logos è stato abbandonato e al suo posto c’è la sua inconsapevole parodia, l’ideologia.

L’ideologia è un salasso della mente, una sua vampirizzazione. La priva della fatica del concetto e l’accomoda dentro un vocabolario preconfezionato affinché il pensiero vi si attacchi come la mosca alla carta moschicida. “Non si può restare intelligenti sotto l’ideologia“, scrive fulminante Alain Besancon.
Prendiamo ad esempio un articolo pubblicato da Fusaro sul suo blog e trainato da Il Fatto Quotidiano. Vi si parla di Iran, delle manifestazioni che vi hanno avuto luogo. Fusaro ci offre la sua ermeneutica, o meglio ci offre l’allestimento scenico di una koine vintage. La fucina è quella prevetiana. Le parole d’ordine sono le medesime. Saggiamone i campioni.

“La storia insegna ma non ha scolari. E, per questo, è destinata a ripetersi. Così ricordava Gramsci. E, in effetti, oggi, dopo il 1989, assistiamo a un canovaccio che si ripete sempre lo stesso. La monarchia neoleviatanica del dollaro dichiara guerra a tutti gli Stati non allineati con il nuovo ordine mondiale atlantista post-1989. Lo fa a suon di bombardamenti etici, rivoluzioni colorate, imperialismo umanitario, esportazione missilistica della democrazia”.
“Nuovo ordine mondiale”, “imperialismo” sono lemmi sperperati assai sul mercato delle idee, fanno parte del repertorio consolidato della narrativa rosso-bruna che ha fatto proprio quel verbo antimodernista e anticapitalista che annovera numi novecenteschi a sinistra come a destra, da Heiddeger a Hamsun, da Celine a Pound, da Adorno a Horkheimer, da Guenon a Marcuse a Pasolini, e così via. “Monarchia neoleviatanica” ha un buon sapore hobbesiano ed è farina del sacco di Fusaro anche se è un sacco abbondantemente pieno di farina altrui.

Dunque:
“Nihil novi. Non bombarda mai, ovviamente, per fini meschinamente imperialistici: ma sempre e solo per i diritti umani violati e per la liberazione dei popoli, id est la loro annessione nell’open space del mercato planetarizzato sotto l’egida della talassocrazia atlantista. A volte lo storytelling implode, quando si scopre che, ad esempio, non v’erano armi di distruzione di massa in Iraq o armi chimiche in Siria. Ma intanto l’obiettivo neo-colonialistico è stato raggiunto e i cani da guardia a guinzaglio cortissimo del giornalismo aziendale possono distrarre agevolmente le masse ampiamente manipolate dallo spettacolo pornografico televisivo e giornalistico”.

E’ un pezzo di vaudeville quasi espressionista se non fosse per la meccanicità della prosa, la rigidità cadaverica dei concetti. Fusaro riduce la filosofia a un cabaret lugubre, snocciola le sue battute come fossero roba seria come nel monologo sulla moglie bruciata di Felice Andreasi. La favola nera che ci racconta è quella archetipa del grande Leviatano, americano in questo caso, dell’ordo plutocratico all’insegna della de-umanizzazione e della reificazione.

Spartito suonato e risuonato sui cui margini slabbrati dal protratto uso sono visibili tuttora le impronte di Lenin, Mussolini, Hitler a cui si sovrappongono più recenti quelle di Khomeini. Infatti, quattro anni prima della sua nascita, che l’Iran rigenerò se stesso, deponendo il regime filoamericano dello Scia per abbracciare il rigorismo islamico. Anche Michael Foucault, all’epoca, salutò l’evento con grande fervore e insieme a lui numerosi altri intellettuali. Fusaro è in buona compagnia.
I custodi della fede, gli ayatollah, loro si che ci hanno saputo fare, ripristinare la lettera coranica all’insegna della sharia più integralista. Come fece Lenin in Russia (ammirato da Khomeini) si trattò di bonificare il paese col terrore. Terrore catartico, necessario, propedeutico alla palingenesi.
D’altronde, se aborrisci l’espansione del libero mercato, se detesti la libertà e il suo involontario corollario, il libertinismo, cosa c’è di meglio della Tradizione, qualsiasi veste essa possa avere? Bruna, nera, rossa, il colore della giubba non importa, l’importante è essere uniti contro monarchie neo-leviataniche all’insegna di Mammona, così come, una volta, non così tanto tempo fa, si era uniti contro il complotto demo-pluto-giudaico-massonico.

Notiamo en passant che nel dispositivo onirico di Fusaro non manca l’omaggio indiretto ad Assad, vero e proprio idolo degli antiamericani al cubo. Si trova nella frase, “non vi erano armi chimiche in Siria”. La realtà è il grande problema di molta filosofia, soprattutto quando si è sostituita la gnoseologia con le allucinazioni autoindotte.
Lo sanno anche i sassolini che dopo il massacro alla periferia di Damasco dell’agosto 2013 in cui circa 1400 persone vennero uccise con il sarin, il governo siriano si accordò con gli Stati Uniti e la Russia per la distruzione totale delle sue scorte di armi chimiche.
Distruzione totale che non avvenne mai purtroppo per le vittime successive, come testimoniano i casi degli attacchi a Talmens il 21 aprile 2014, a Sarmin e a Qmenas il 16 marzo 2015, e infine a Khan Shaikhun il 3 aprile 2017. Ma lui, il “filosofo” non lo sa. Infondo Assad è una protesi iraniana e dunque, all’occorrenza va difeso. Il problema è la “talassocrazia atlantista”.

Per quanto riguarda le fantomatiche armi di distruzioni di massa di Saddam Hussein, un’altra “vittima” della “monarchia neoleviatanica del dollaro”, ci sono ottime ragioni attraverso l’ampia documentazione satellitare dell’intenso traffico che si svolse tra Iraq e Siria prima dell’intervento americano del marzo 2003, che esse o i documenti e i materiali inerenti alla loro fabbricazione siano stati trasferiti in Siria. Tuttavia non è questo il punto, se in Iraq c’erano o non c’erano le armi. Quello che ci interessa sono gli assunti di Fusaro, è la sua farneticazione.

L’apice giunge ora, in questo paragrafo:
“È quel che sta accadendo in Iran: in quell’Iran che è, ad oggi, uno Stato eroicamente resistente al mondialismo imperialistico. E che, come tale, già da tempo è stato designato come bersaglio privilegiato da parte della monarchia del dollaro e delle sue colonie asservite (Italia in primis, ovviamente). Le manifestazioni di piazza in Iran debbono essere lette secondo questa chiave ermeneutica. Come un’enorme rivoluzione colorata manipolata e volta non a liberare i persiani, bensì a integrarli nel mondo “libero”, cioè sotto dominazione Usa con ridefinizione della società come regno del libero costume e del libero consumo”.

Lo schema dell’ideologo può funzionare solo in un modo, attraverso la distruzione della realtà e la sua sostituzione con una realtà astratta, monolitica, agghiacciante nella sua allucinata schematicità. Si tratta di quella realtà di secondo livello, interamente determinata dal pensiero che si contrappone a quella di primo livello, la realtà empirica dei fatti, secondo la fondamentale distinzione posta da Eric Voegelin. E ancora è Alain Besancon che ne definisce con impareggiabile lucidità il meccanismo. “Lo stato psichico del militante si distingue per l’investimento fanatico nel sistema. La visione centrale riorganizza l’intero campo intellettuale e percettivo fino alla periferia. Il linguaggio viene trasformato…ha il compito magico di piegare la realtà alla visione del mondo. E’ un linguaggio liturgico, in cui ogni formula indica l’adesione del locutore al sistema e, insieme, invita l’interlocutore ad aderirvi

Lo schemino di Fusaro è rudimentale e semplice e semplice perché rudimentale. Riassumiamolo. Esiste un potere globale, tentacolare, che il dispositivo liturgico di cui parla Besancon, definisce “mondialista” (parola totem) il cui scopo è quello dell’asservimento del pianeta alla propria volontà. A questo enorme potere oscuro, che, di nuovo, sia Lenin che Hitler avevano identificato nell’ordinamento moderno tecnologico capitalistico creato dalla borghesia imprenditoriale, si oppongono quei paesi i quali “eroicamente” (ma perché non “virilmente”?) resistono al suo imperio. Come facevano negli anni ’30 e ’40 l’Italia fascista, la Germania nazista, la Russia comunista.

L’asse rosso-bruno, l’antimodernismo salda i propri embrici. Dai totalitarismi e autoritarismi novecenteschi si passa poi con esemplare coerenza all’Islam. Antimodernista per vocazione, propugnatore di una visione di società sottomessa all’ordine del sacro. Chi meglio dell’Iran può rappresentare questa resistenza “eroica”, un paese che definisce gli Stati Uniti appunto “il Grande Satana”?
Verso la fine del suo articolo il Fusaro si chiede retoricamente dove sia finita la sinistra. E già dove è finita?

“La Destra del Danaro, con i suoi bellatores, dichiara guerra agli Stati resistenti e non allineati con il neo-leviatanico ordine mondiale atlantista, perché essi costituiscono un ostacolo al progetto globalistico di inclusione neutralizzante del pianeta nel modello unico reificato e classista. La Sinistra del Costume, dal canto suo, anziché resistere e opporsi a queste pratiche in nome della leniniana lotta contro l’imperialismo, le legittima in nome dei diritti umani con bombardamento etico incorporato e della democrazia missilistica d’asporto. Dov’è finita, in effetti, la sinistra? Perché non lotta contro l’imperialismo, come fece Lenin? Perché non difende gli Stati resistenti al mondialismo capitalistico e anzi si adopera perché vengano invasi militarmente?”.

Ecco sì, il santino di Lenin non poteva mancare all’album di famiglia. Il fanatismo di Vladimir Il’ič da proporre come cura per i mali del Weltmarket! Perché non fare come lui, non seguirlo nuovamente, magari istituzionalizzando un’altra volta come panacea sociale il terrore di massa, ripristinare una sorta di Ceka globale con a capo un altro Feliks Djerzinskij, il “Torquemada dell’Inquisizione rossa”? Fusaro, il fustigatore, sogna un Occidente finalmente liberato dalla sua decadenza. L’Iran, perché no? è un esempio a cui guardare.

Questo talebano da salotto riciclatore di vecchi programmi sconfessati dalla storia, ricoperti di sangue versato in nome del Progresso, dell’opposizione al capitalismo, alla democrazia, al libero mercato, considerati, non per quello che sono, naturali propensioni umane volte a una maggiore autonomia, a una maggiore emancipazione, a una maggiore prosperità, ma come una mostruosa schiavitù da cui liberarsi in nome di una società futura del tutto immaginaria e irrealizzabile perché innaturale, mostruosa e impossibile, ci trascina con le sue allucinazioni là dove, come in Iran domina il sopruso, la violenza, il terrorismo di stato. Là, dove l’umanità è stata già trascinata in un bagno di sangue durante nazismo e comunismo.

Quando il logos si assopisce è così che accade, prendono corpo chimere, arpie, parassiti della mente, incubi già sognati e terribilmente sperimentati. Storia vecchia questa, quella del giovane borghese occidentale il quale rigetta l’Occidente per umiliarsi, come ha scritto Leszek Kolakowski, “di fronte allo splendore di un’inequivocabile barbarie”.



Complottisti all’opera
Davide Cavaliere
24 Febbraio 2021

http://www.linformale.eu/complottisti-allopera/

Da un po’ di tempo, nel panorama politico nazionale, è apparso Vox Italia. Si tratta di un partito anticapitalista, antiantlantista, socialista, il cui principale ispiratore è il “filosofo” Diego Fusaro.

Sul canale YouTube del suddetto partito, Vox Italia Tv, è comparsa un’intervista a Dea, che si autodefinisce “un’artista israeliana di origine italiana e una fervida attivista per la Pace (in particolare fra israeliani e palestinesi) e per i Diritti Umani”.

L’intervista era condotta dal presidente di Vox Italia, Francesco Toscano, un “fusariano” di ferro con tendenze cospirazioniste e una radicata avversione a Israele. In un post su Facebook del 04/06/19, Toscano scrive:

“Oggi con il Corriere esce in edicola una biografia di Lenin. Alcuni accusano il leader russo di ferocia, anche per avere ordinato lo sterminio di tutta la famiglia Romanov, uccisa nel corso di un “rituale” kabbalistico (Blondet ricorda che gli assassini erano 12, come 12 sono le tribù di Israele. Il rabbino russo ha respinto sdegnato questa ipotesi). Nessuno dice però che lo Zar fece impiccare il fratello di Lenin per “sovversione”. Non giustifico la reazione di Vladimir Uljanov detto Lenin ma in parte ne comprendo le ragioni”.

E ancora, in un post del 10/07/17, elogiava il Generale Soleimani:

“Ora che Soleimani ha preso a schiaffi il burattino (“Isis”), si rischia una guerra diretta con i burattinai (Stati Uniti e Israele). Attenzione perché Soleimani mena…”.

Toscano cita come fonte credibile il noto antisemita Maurizio Blondet, parteggia per la teocrazia iraniana e ammicca alla tesi complottista secondo la quale l’Isis sarebbe una creazione israeliana e americana.

Il soggetto in questione intervistava la sopra citata Dea in merito alla presunta “dittatura” sanitaria in Israele. Quest’ultimo è uno stato piccolo e assediato dal terrorismo, che non può permettersi mesi di lockdown, dunque ha puntato su una massiccia e rapida campagna di vaccinazione. Premesso che, la politica sanitaria dello stato ebraico può essere criticata, essa però non deve tracimare in assurdi paralleli col nazismo come avvenuto durante la conversazione tra Dea e Toscano.

L’intento del colloquio dei due – anche al netto delle posizioni antisioniste di Vox Italia – non era informare sulle misure adottate da Gerusalemme, ma demonizzare Israele come dittatura “paranazista”, che tratta i non vaccinati come la camicie brune trattavano gli ebrei tedeschi. Siamo in presenza del solito dispositivo linguistico teso a delegittimare Israele come “Stato canaglia”.

La pandemia da Covid-19, come tutti i grandi eventi mondiali, catalizza tutte le ossessioni e le fantasie relative agli ebrei. Nelle fasi iniziali del contagio si incolpavano i banchieri ebrei e i sionisti di aver diffuso il virus per depredare le economie nazionali. Poi, si è continuato accusando Israele di aver diffuso il Covid-19 e incolpato la Cina nel tentativo di causare un conflitto tra Washington e Pechino. Ora, si sviluppano paralleli improbabili tra il totalitarismo nazista e le misure anti-Covid.

L’incontro tra il presidente di Vox Italia e l’artista italo-israeliana è stata un piccolo, ma significativo, addensarsi di paranoie antisemite, affermazioni provocatorie e consunte mascherate da “informazione libera”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » gio feb 04, 2021 10:17 pm

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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » gio feb 04, 2021 10:17 pm

Maurizio Blondet


Antisemitismo, Antisionismo e Debunking
Blondet & Co.
Davide Cavaliere
3 Febbraio 2021

http://www.linformale.eu/blondet-co/

In Italia esiste una vasta galassia, presente soprattutto in rete, di individui e riviste di area neofascista e socialista nazionale.

Uno dei nomi più conosciuti è quello del giornalista Maurizio Blondet. Ex inviato di “Avvenire”, diffonde sul web tesi strampalate e cospirazioniste imbevute di antisemitismo e cattolicesimo preconciliare. I suoi scritti si concentrano su presunti “poteri occulti” ebraici e massonici. Da vent’anni si impegna a promuovere la versione complottista dell’Undici settembre, secondo la quale gli attentati di Manhattan sarebbero il prodotto di un piano segreto dei sionisti e dei neoconservatori statunitensi. Blondet attinge con abbondanza dagli scritti di Thierry Meyssan e ai Protocolli dei Savi Anziani di Sion.

I libri di Blondet sono pubblicati dalla casa editrice Effedieffe, creata e diretta da Fabio De Fina. Quest’ultima ha pubblicato numerosi testi antisemiti e negazionisti della Shoah. Nel catalogo sono presenti Carlo Mattogno con “Negare la storia? Olocausto: la falsa convergenza delle prove”, troviamo anche “I bugiardi della Shoah” di Anna Kling e tutta una serie di autori antisemiti dell’estrema destra francese: Pierre Virion, Maurice Pinay e Yann Moncomble.

Spiccano anche i lavori di don Curzio Nitoglia, un prete tradizionalista, complottista e violentemente antisemita. Nel catalogo della Effedieffe è presente con numerosi testi come: “Le forze occulte della sovversione”, nella cui sinossi possiamo leggere: “Oggi ci troviamo nell’ultima fase, il Mondialismo, che cerca di impadronirsi del mondo intero per edificare un unico Tempio ed una sola Repubblica universale sotto il giogo di Israele e dell’America, i due Stati dominati dai principali Agenti del caos: il Giudaismo e la Massoneria”. In un altro testo, intitolato “Per padre il diavolo. Introduzione al problema ebraico, secondo la tradizione cattolica”, si scrive impunemente: “Oggi siamo giunti in prossimità di un tempo apocalittico. A noi non restano che due vie: cristianizzarci o giudaizzarci. La miglior difesa che hanno i Cristiani per non lasciarsi contaminare dal Giudaismo è non il pogrom, ma Gesù Cristo stesso”.

I suddetti testi sono disponibili sia sul sito di IBS.it che su Amazon.

Tra i collaboratori di Blondet c’era anche un giovane piemontese, Paolo Borgognone, i cui libri filorussi sono molto diffusi negli ambienti della destra sociale. Borgognone è prima linea nel denunciare le élites massoniche e americane che tiranneggiano il mondo e nel denunciare Israele.

Negli ultimi anni, tutto il percolato antisemita, antisionista, complottista, antiamericano si è agglomerato attorno alla rivista “L’intellettuale dissidente”.

Il suo fondatore è Sebastiano Caputo, allievo di Ugo Gaudenzi, già a capo del gruppo di estrema destra “Lotta di Popolo”, un quotidiano di “sinistra nazionale” – un modo più inoffensivo per dire nazional-socialista. Caputo è un sostenitore di Hezbollah, della teocrazia iraniana e del regime di Assad. Il suo giornale online è la cassa di risonanza della più rancida pubblicistica antisionista. Significativo l’articolo da lui scritto in occasione del 27 gennaio 2013, dal titolo “La Giornata della Cicoria”.

Su “L’intellettuale dissidente”, in un articolo a firma di Daniele Perra, pubblicato in data venti luglio 2018, possiamo leggere: “Con buona pace di chi per decenni ha continuato ad affermare, a dispetto dell’evidenza, che Israele fosse l’unica democrazia del Vicino Oriente; ora, grazie al voto della Knesset, è stato messo nero su bianco: lo Stato nazionale ebraico, declassando a cittadini di serie B la sua componente non ebraica, ammette la sua essenza non democratica”. In un altro articolo, a firma di Andrea Scaraglino, si può leggere: “Israele, dopo essere stato messo alle strette sul piano militare, è passato al contrattacco verbale, minacciando senza mezzi termini il presidente siriano Bashar Al-Assad”.

Questo è il tenore delle pubblicazioni della rivista, molto seguita nei settori della destra radicale. In Italia, purtroppo, non si è mai affermato un fronte politico liberale e conservatore. Tale carenza si manifesta in modo drammatico nella presenza, a un livello profondo, di induriti pregiudizi anti-israeliani e antiatlantisti. Scorie di un passato che, invece di scemare, hanno trovato nuova linfa grazie agli strumenti della rete e all’incapacità dei partiti tradizionali di fornire ideali alternativi tanto alla sinistra quanto alla variante sociale e antioccidentale della destra.




L'odio religioso in rete, un sito che denuncia il popolo ebraico come
Maurizio Blondet - Domenico Savino
Titolo: «Articoli su Israele e gli ebrei»
Informazione Corretta
10.02.2006

http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=15430

Recensire il giornale on-line effedieffe, emanazione dell'ononima casa editrice, non è facile. La produzione di lunghi articoli ricolmi di un'"erudizione stravagante e fantastica" è incessante, gli aggiornamenti si succedono quotidianiamente. Il giornale è diretto da Maurizio Blondet, giornalista cattolico che fa aperta professione del suo antigiudaismo religioso. La casa editrice, che ristampa classici dell'antisemitismo cari alla propaganda nazista come "I segreti della dottrina rabbinica" di Pranaitis, è diretta da Fabio de Fina. Il sito, ci informano i suoi curatori, vanta "250.000 visitatori al mese - molto fidelizzati - e il trend è in continua crescita; gli articoli fanno tendenza, sono oggetto di animati dibattiti (pensiamo per esempio a quelli di economia) e molti siti aspettano che venga inserito un nostro pezzo per copiarlo tempestivamente e fare di esso la punta di diamante delle rispettive news".
Cercheremo di rendere chiaro ai lettori a che cosa ci si trovi di fronte con alcuni esempi. Proponiamo di seguito una nostra sintesi critica di alcuni articoli, . Per ognuno dei testi riportiamo anche il realtivo link


Gli Stati Uniti, o, meglio, la lobby ebraica neocon che li controlla e che è il vero mandante dell'11 settembre, preparano un mega attentato non convenzionale in Europa. La prova sta nel fatto che a Berlino, il 31 gennaio scorso durante una riunione dell'Associazione germanica per i rapporti con l'estero, DGAP, gli americani del «Center for Transatlantic Studies» della John Hopkins University, Daniel Hamilton, Heiko Borchart e Gerd Foehrendbach, hanno detto che gli abitanti del Vecchi continente "vivono nella «devastante convinzione che l'Europa sia in qualche modo immune da grandi attacchi terroristici».
Un atteggiamento, hanno aggiunto, che cambierà di colpo quando gli europei si troveranno di fronte a un «mega-attentato».
Che «non è questione di se, ma di quando»." Ovvero, poiché gli americani ci avertono del fatto che il terrorismo internazionale minaccia l'Europa quanto l'America, sono loro a preparare gli attentati: "Il nostro nemico è il nostro alleato". Ispiratrice segreta di questa strategia è però "la setta ebraica dei Lubavicther"
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=940

Daniel Pipes è l'ispiratore della "provocazione" delle vignette danesi È un "anti-islamico" (In realtà, Pipes è ostile al movimento islamista, non all'Islam, per leggere direttamente gli articoli di Pipes, assolutamente non razzisti, si veda: http://it.danielpipes.org/). Le stesse vignette sono divenute note nel mondo arabo dopo la pubblicazione sul New York Times, appartenente alla famiglia ebraica "Mayer" (in realtà Sulzberger). Ovviamente il tour del predicatore danese Laban in tutto il Medio Oriente, le prediche di Qaradawi, i vertici degli stati islamici non c'entrano nulla. Il New York Times e Pipes, apparentemente molto lontani ideologicamente, sono in realtà sicuramente solidali, essendo entrambi "ebrei" . Il direttore di France Soir, giornale che ha ripubblicato le vignette, si chiama "Arnaud Levy" , tuttavia, "non è stato lui che l'editore del giornale, il magnate franco-egiziano (ma cristiano, non islamico) Raymond Lakah ha licenziato: ad essere licenziato è stato Jacques Lefranc, direttore esecutivo, di fatto il redattore-capo.Levy, intoccabile, resta al suo posto". Irrilevante che lo stesso Lefranc abbia chiarito che ha decidere la pubblicazione delle vignette è stata una riunione di redazione, con voto a maggioranza. Il vero responsabile è ovviamente chi si chiama "Levy".
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=936
A questo link link si trova la risposta di Pipes alle illazioni sul suo ruolo nella vicenda delle vignette:
http://www.opinione.it/pages.php?dir=na ... 32&aa=2006

L'aereoporto di Malpensa è in pericolo, perché la security è israeliana:
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=774
Così la metropolitana di Roma
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=608
Ovvero: individuati due obiettivi sensibili, se ne affida la sicurezza a società private israeliane. Ma, ovviamente, queste potrebbero fallire il loro compito (accade del resto anche in Israele). Se ne dovrebbe dedurre (poiché il terrorismo islamista non esiste) che sia la stessa Israele a organizzare gli attentati. Logico , no?

Karol Wojtyla era ebreo "lo ha scoperto con gioia Yaakov Wise, uno studioso di genealogie ebraiche che abita a Manchester.
Da esperto del problema, Wise ha fatto ricerche sull'ascendenza del lato femminile della famiglia Wojtyla: per decreto rabbinico sono le madri, non i padri, a trasmettere l'ebraicità.
La mamma di Karol, che morì quando lui era lattante, aveva sposato un polacco cattolico; ma il suo nome, Emilia Kaczorowska è apparso a Wise un adattamento polacco di un nome ebraico molto comune nel mondo yiddish: Katz.
La nonna si chiamava Marianna Scholz, altro nome ebraico (Schulze, Schultz).
E la bisnonna, Zuzanna Rybicka, altro nome di suono ebraico.
Infatti tali nomi appaiono frequenti nelle tombe del cimitero ebraico di Bielsko-Biala, da cui veniva la famiglia della mamma di Karol.". Prove inoppugnabli, come si vede: la madre del futuro Papa aveva un cognome che "è apparso a Wise un adattamento polacco di un nome ebraico molto comune nel mondo yiddish". La nonna si chiamava Scholz, nome affine agli ebraici Schulze e Schultz e forse ebraico esso stesso, la bisnonna Rybicka "altro nome di suono ebraico", infatti "tali nomi appaiono frequenti nelle tombe del cimitero ebraico di Bielsko-Biala". Non tutti i cognomi ebraici sono esclusivamente ebraici (Wise avrebbe dovuto almeno verificare anche la scarsità di tali cognomi nel cimitero cattolico di Bielsko- Biara) e anche una successione di cognomi sicuramente ebraici non proverebbe una successione matrilneare ebraica, dato che il cognome vine dato dal padre. Tuttavia, la scarsezza degli elementi di prova non scoraggia Blondet che non arretra neppure di fronte a supposizioni più impegnative: che Wojtyla cioè fosse un frankista ovvero un seguace (occulto) dello pseudo-messia anomico settecentesco Jacob Frank, falsamente convertitotisi al cattolicesimo. Indizi: l'ammirazione per Adam Mickiewicz, poeta nazionale polacco, cattolico di origine ebraica amico di Mazzini e sionista e quindi frankista, la collaborazione alla rivista cattolico-progressista «Tygodnik Powsszechny» diretta dal "potentissimo" Jerzy Turowicz, che era a sua volta un frankista, e "al suo funerale volle si cantassero cori ebraici" (in tutte le chiese cattoliche del mondo si cantano o si recitano inni ebraici:i salmi). A parte questo gravissimo elemento, che cosa proverebbe che Turowicz era frankista? Nel suo libro "Cronache dell'anticristo" Blondet ragiona così: in un'intervista , rispondendo a una domanda sulle sue origini ebraiche, Turowicz aveva dichiarato che la sua famiglia era convertita al cattolicesimo dal 700 , ma è nel 700 che molti ebrei polacchi si erano falsamente convertiti al cattolicesimo, seguendo Frank quindi la dichiarazione di Turowicz è un' ammissione di frankismo! Un lettore del sito fornisce un'altra prova dell'ebraismo occulto di Wojtyla: la pratica del "teatro rapsodico" , fondato sul "potere evocativo della parola".
Tutto questo castello di supposizioni e deliri per arrivare a concludere che il mea culpa verso gli ebrei, la visita alla sinagoga di Roma e la teologia dell'ebraismo del pontificato di Giovanni Paolo II sono l'esito dell'influsso anticristiano e diabolico di una setta ebraica occulta nata nel 700
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=864

http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=877

L'antisemitismo dei contadini polacchi sarebbe stato giustificato dallo sfruttamento operato a loro danno dagli amministratori ebrei delle proprietà terriere nobiliari, ma a tale regime si ribellarono i cosacchi e i tartari guidati da Bogdan Chmielnicki che "dedicarono una speciale attenzione agli ebrei", cioè li massacrarono a migliaia. I polacchi, pur oppressi dagli ebrei (non, sia chiaro, dal feudalesimo) li difesero. Quindi non furono mai antisemiti. Le vicende così "accuratamente" narrate risalgono al 1648. Probabile che Blondet ignori fatti più recenti, quali il massacro di Jedawbne (compiuto da polacchi durante l'occupazione nazista) il pogrom di Kielce compiuto, insieme a numerosi omicidi di ebrei scampati ai lager , dopo la guerra.
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=608

Domenico Savino ci informa che il genocidio degli armeni è un crimine ebraico. Infatti i Giovani Turchi sarebbero un'emanazione della setta islamica criptoebraica dei dunmeh , seguaci dello pseudo messia mistico seicentesco Shabbatai Zevi, convertito all'islam, secondo alcuni seguaci rimanendo segretamente ebreo e compiendo la "redenzione attraverso l'abiezione".Lo studioso David Fromkin, nel suo libro "Una pace senza pace", sulla base di documenti diplomatici britannici spiega l'origine della leggenda della natura ebraica dei Giovani turchi, divenuta in seguito molto cara a molte propagande antisemite, da quella islamista (che qualifica come dunmeh tutti i dittatori laicisti del mondo arabo, da Nasser a Saddam Hussein, vedi "Semiti e antisemiti " di Bernard Lewis) a quella dei seguaci del leader populista americano Lyndon La Rouche.Furono i rapporti dell'ambasciatore a Costantinopoli Sir Gerald Lowther, influenzato Gerald FitzMaurice, primo interprete e consigliere degli affari Orientali, a determinarla. Poiché i Giovani turchi avevano da prima, nel 1908, in seguito a una rivolta spontanea della popolazione, assunto il controllo di Salonicco, città i cui abitanti erano quasi per metà ebrei o dunmeh e dove l'avvocato ebreo Emmanuel Caraso avava fondato una loggia di massoni italiani, nella quale sembra avesse accolto la società segreta dei Giovani Turchi quando quest'ultima rischiava di essere scoperta dalla polizia segreta del sultano "la conclusione di FitzMaurice fu che le attività del CUP rientrassero in una cospirazione internazionale, e specialmente latino-mediterranea, manovrata da ebrei e massoni". Il rapporto di FitzMaurice diede origine a quello di Lowther , secondo il quale "gli ebrei si erano impadroniti di una organizzazione segreta massonica ("L'ebreo d'Oriente ha una particolare attitidine alla manipolazione delle forze occulte..), e che attraverso queste ultime erano in grado di influire profondamente sulle vicende dell'impero ottomano " ledendo, a causa dell'"odio ebraico" per l'Impero zarista, gli interessi inglesi.
In realtà, nota Fromkin "quando i duecentoottantotto membri del parlamento turco furono eletti nel 1908, fra essi si contarono solo quattro ebrei e quando il CUP creò un comitato nel 1909 Carasso non fu chiamato a farne parte, nè ebbe mai incarichi di rilievo nel partito o nel governo [...] Come deputati al parlamento Carasso e gli altri tre ebrei fecero il possibile per dimostrare di essere in primo luogo turchi, israeliti solo in secondo luogo: per esempio , appoggiarono le misure del CUP contro gli insediamenti sionisti in Palestina" . Djavid, definito da Lowther e FitzMaurice, senza prove, "criptoebreo" era, secondo i documenti turchi oggi venuti alal luce, il leader della fazione filoinglese del CUP, contro l'ipotesi che l'odio ebraico per la Russia stesse spingendo Costantinopoli contro Londra. Inoltre fu un dichiarato avversario del sionismo.
Non è difficile riconoscere nelle teorie dei due incompetenti diplomatici britannici (che con i loro errori di valutazione procurarono un serio danno al loro paese) il clima intelletuale di un epoca nella quale il Time poteva ritenere credibili i Protoccolli dei Savi Anziani di Sion. Un' epoca che, a quanto pare, non è passata per tutti
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=917

Hamas è stata "creata" da Israele che «ha aiutato Hamas in modo diretto e indiretto per usarla come antagonista dell'OLP». Vero, ma quando Hamas, che non si chiamava così, ma al-Mujamah, era solo un'organizzazione religiosa e assistenziale , egli attentati contro i civili israeliani e i proclami di distruzione di Israele li facevano Al Fatah e l'Olp. Poi, come ben ha spiegato Davide Frattini (http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=15241)
"la base ideologica del movimento di Yassin diventa l'Università islamica di Gaza, dopo che il presidente Anwar Sadat ha bandito i palestinesi dagli atenei egiziani per le loro proteste contro gli accordi di Camp David. «L'università finisce sempre di più sotto il controllo degli integralisti — continua Frisch — e Mujamah dà il via libera a incursioni contro i cinema, i locali che vendono alcol, i negozi con qualche vestito troppo succinto». Lo scontro con le autorità israeliane diventa inevitabile. Nel 1984, tredici membri vengono arrestati (compreso lo sceicco Yassin) e la guida passa a Rantisi. Il pediatra-leader comincia ad organizzare i duemila fedelissimi, fino ad allora impiegati soprattutto nelle comunità religiose: il gruppo immagazzina armi e si prepara all'intifada che esplode l'8 dicembre 1987".Da allora Israele non ha certo aiutato Hamas. Semmai una mano gliel' hanno data la comunità internazionale quando ha obbligato Rabin a riprendersi i dirigenti esiliati in Libano, e Arafat (con il quale Israele, come tutti sanno, ha provato a trattare, a diifefrenza di quanto scrive Blondet) quando li ha protetti invece di arrestarli come chiesto da Israele. Fin qui, comunque , le argomentazioni di Blondet si sono mantenute entro l'ambito dei più consueti luoghi comuni del giornalismo antisraeliano. Da lui è lecito aspettarsi, invece, un "X Files", una "verità" nascosta e sconvolgente. Eccola infatti: Hamas è stata creata rendendo pazzi i palestinesi attraverso i servizi psichiatrici che Israele "gestisce" nei territori: per esempio il "Gaza Community Mental Health Program, una clinica pagata dagli USA e gestita da psichiatri militari israeliani" . E' degno di nota il fatto che nel suo libro "Chi comanda in America" , Blondet accusi Israele di far gestire la clinica al dottor Sarraji, che ovviamente è un palestinese e non uno "psichiatra militare israeliano, " , descritto come un militante di Hamas intento a reclutare terroristi suicidi. In realtà Sarraji è un pacifista, minacciato di morte per la sua contrarietà al terrorismo suicida e non è affatto di Hamas, tanto che alle ultime elezioni palestinesi ha presentato una lista (la numero 7) che chiedeva la fine della violenza e la riapertura del dialogo con Israele sulla base della proposta formulata a Camp David da Barak. Sarraji era presente come consulente della delegazione palestinese e aveva giudicato la proposta molto buona e il rifiutarla un grave errore. Non proprio l'uomo giusto, per convincere i palestinesi alla guerra eterna con Israele, giustificando così i progetti espansionisti di quest'ultima.
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=944

In ogni caso , la malvagità diabolica di Israele, e degli ebrei, non ha bisogno di essere provata in alcun modo. Sono le scritture cristiane a indicarli come "l'anticristo": "Come cattolici ", scrive Blondet "sappiamo qualcosa di più preciso: «l’Anticristo è colui che nega che Gesù sia il Messia», dice Giovanni (1, 2, 22). Gianfranco Ravasi, bibblista cattolico di una qualche competenza, ha spiegato assai bene come, in epoca patristica i diversi (vi è la negazione della messianicità di Gesù, ma anche della sua divinità o di altri elementi del credo, in ogni caso la polemica è sempre principalmente rivolta a deviazioni dall'ortodossia interne alla Chiesa) profili "eresiologici" dell'Anticristo ( o degli anticristi, o dello "spirito di anticristicità") siano stati fusi con il profilo "escatologico" dell'"uomo d'iniquità" di cui parla Paolo. L'identificazione di quest'ultimo con gli ebrei sulla base di un indicazione eresiologica anche è dunque un'operazione sicuramente tendenziosa ed esegeticamente "spericolata". Riportiamo anche un brano che ci sembra gettare luce sullo stato d'animo di Blondet nel corso della sua personale battaglia con le "forze del male": "Maometto dice che l’«impostore» sarà smascherato da un testimone.
«Un uomo credente si farà avanti a lui e dirà: uomini, questo è l’ ‘impostore’ di cui ha parlato il profeta».
Non insinuo di essere io quell’uomo, so i miei peccati e le mie viltà.
Voglio solo dire che quell’uomo - secondo Maometto - non farà che svelare una verità che sarà evidente a tutti, ma che tutti faranno finta di non vedere".
Non "insinua" di essere lui quell'uomo, perché "sa i suoi peccati e le sue viltà". Ma deve pur ricordare testi sacri e tradizioni che trattano di uomini chiamati a grandi compiti religiosi sebbene gravati da "peccati e viltà". E il sospetto, magari per nulla gratificante non discutiamo , "di essere lui quell'uomo" potrebbe allora davvero "insinuarsi" nella sua mente.

http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=891¶metro=esteri

A commento di tutto questo ci piace citare quanto scritto da Blondet in un interessante articolo dedicato alla caccia alle streghe.Si tratta di un passaggio dedicato al ruolo della stampa in quella terribile vicenda: "Sulla qualità di quella cultura di carta, bisogna lasciare la parola a Guy Bechtel:«contrariamente all'idea che si è imposta nei Lumi, della stampa come invenzione liberatrice e promotrice di progresso, i primi libri, i preziosi incunaboli, hanno avuto un influsso negativo. Migliaia di opere che ci guardiamo bene dal ripubblicare, dal leggere in biblioteca e persino dal citare (citiamo solo quella dozzina di testi che davvero annunciavano il mondo futuro) contenevano soprattutto appelli all'odio, al pregiudizio, alla detestazione politica e religiosa, più che all'amore» e alla conoscenza.
La macchina da stampa di Gutenberg diffuse dapprima libelli, confermò odii e pregiudizi, diede credibilità ad incubi e ossessioni, prima di diventare lo strumento della cultura e della verità - se mai lo è stata.
Non è lo stesso oggi su internet?"
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » gio feb 04, 2021 10:18 pm

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » gio feb 04, 2021 10:20 pm

Marcello Veneziani


Israele, prova del nove
Davide Cavaliere
Febbraio 2021

http://www.linformale.eu/israele-prova-del-nove/

Marcello Veneziani è, senza ombra di dubbio, la penna più brillante e acuta della destra italiana. Quanti non intendono allinearsi alla Weltanschauung progressista e umanitaria, possono trovare nei suoi scritti un confortevole e colto rifugio.

Peccato, però, che al momento di confrontarsi con l’impasse mediorientale, Veneziani non riesca a far altro che reiterare vecchi pregiudizi che gettano una luce sconfortante sul suo modo di affrontare la questione.

Ha ragione la giornalista Melanie Phillips quando scrive che: “Non è esagerato affermare che la posizione che un individuo assume sul conflitto tra Israele e gli arabi è quasi un orientamento infallibile alla sua visione del mondo” e, purtroppo, quella di Veneziani è profondamente ancorata a residualità neofasciste.

Nei confronti di Israele, l’autore di Bisceglie, si limita a mettere su carta argomenti stantii o, semplicemente, falsi. Nel marzo di due anni fa, in un articolo intitolato “Dove si è cacciata la destra?”, Veneziani scrive:

“A proposito di Israele va notata una curiosità: il nazionalismo e il sovranismo sono deprecati ovunque dall’establishment globale meno che nel paese più nazionalista e sovranista sulla faccia della terra, che è proprio Israele, e ancor più l’Israele di Netanyahu”.

Come è possibile affermare una simile corbelleria? Intanto, non si capisce cosa intenda con “establishment globale”. Se si riferisce alle Nazioni Unite e all’Unione Europea ha commesso un errore grossolano. L’ONU bersaglia, regolarmente, Israele di risoluzioni in suo sfavore e di critiche infondate e pretestuose. Solo lo scorso anno, in piena pandemia, le risoluzioni anti-israeliane sono state diciassette. L’Unione Europea non riconosce la sovranità di Israele sulle Alture del Golan, la Giudea e la Samaria né Gerusalemme come capitale di Israele. Intrattiene rapporti amichevoli con l’Iran khomeinista e non ha mai inserito l’ala politica di Hezbollah tra le organizzazioni terroristiche.

Organizzazioni umanitarie internazionali come Amnesty International hanno nel mirino lo stato ebraico da decenni. La celebre ONG chiede, in maniera martellante, il boicottaggio di Israele. L’occupazione dell’Indonesia a Timor Est o a Papua, quella della Turchia a Cipro, della Russia in Georgia e Crimea, del Marocco nel Sahara occidentale e della Cina in Tibet non suscitano la medesima attenzione delle organizzazioni per i diritti umani.

Israele, dai suddetti, è accusato di razzismo, etnonazionalismo, apartheid, discriminazione religiosa… ma, per Veneziani, il “sovranismo israeliano” sarebbe immune dalle critiche. Viene il sospetto che lo scrittore, quando usa l’espressione “establishment globale”, alluda a una potente e tentacolare “lobby ebraica” che, segretamente, silenzia tutte le offensive politiche al sionismo. Insomma, si mette a suonare l’organetto fascista della “cospirazione ebraica”.

Alla fine si ritorna sempre lì, alla matrice ideologica di Veneziani, che è quella di una destra sociale, neofascista, postfascista, che ha fatto dell’antiamericanismo e dell’avversione a Israele un drappo nero da sventolare in ogni occasione. Non è un caso che simpatizzi con il regime teocratico iraniano. Teheran è un feticcio della destra sociale italiana, poiché condensa alcune passioni cruciali di quel mondo settario: il Sacro istituzionalizzato, il rifiuto della modernità, del liberalismo filiato dalla perfida Albione, la demonizzazione dell’America – o come dicono loro: “Amrika” – e, ça va sans dire, l’antisemitismo alimentato dalle invettive ducesche contro la plutocrazia ebraica.

Sarebbe bello se Marcello Veneziani riponesse in un cassetto il ripetutamente citato libro di Norman Finkelstein sullo “sfruttamento” della Shoah, e prendesse in mano qualche scritto di Bensoussan o Taguieff. Magari, potrebbe rivolgersi a Giano Accame, a lui più congeniale, storico e militante del Movimento Sociale Italiano che sposò posizioni filoisraeliane.

È davvero deludente vedere una raffinata mente giornalistica abbandonarsi a luoghi comuni da sezione missina, soprattutto quando si tratta di temi così cruciali. Una più approfondita documentazione sui temi relativi a Israele gioverebbe sicuramente a Veneziani e forse a rimuovere vecchie e incistate incrostazioni ideologiche.



Commenti:

Massimiliano Mingioni
È un'incrostazione della destra italiana non solo al livello intellettuale (alto) di Veneziani, e per quanti sforzi possano fare i leader. Prendete un qualsiasi post in cui elettori di destra discutano su Gianfranco Fini: nell'elenco delle nefandezze (ne ha commesse) infallibilmente al primo posto ci sarà "Gerusalemme"

Roberta Cuciti
Concordo pienamente, Niram
Su entrambi i punti.
Io stessa ti scrissi tempo fa che ho sempre reputato una buona cartina al tornasole la questione israeliana per valutare la visione del mondo che ha una persona; e su Veneziani, ahimè, penso da anni ciò che hai scritto.
Come lo penso di tanti amici della destra sociale.
Ciò che mi auguro è che, l'intelligente Giorgia Meloni, riesca a fare col suo partito "quel passetto in più".
Sulla questione mediorientale, non ho ancora capito come la pensi, la "ragazza"...è un tema divisivo nella tradizione della destra sociale e mi pare che la Meloni, prudentemente, non abbia ancora espresso posizioni chiare in merito.
Ma con la crescita incredibile del suo partito, bisognerà che ci faccia i conti, a breve.
Ciò che mi fa ben sperare è stato il suo avvicinamento ai conservatori americani, dopo il famoso congresso.
Che sia finalmente il punto di svolta della destra sociale? Con o senza Veneziani?


Edoardo Crateri
Penso che Veneziani sia infinitamente meno antiisraeliano di tutta la sinistra internazionale.

Niram Ferretti
Edoardo Crateri
probabile, ma a me personalmente non interessano le gradazioni di antisionismo, e molte dichiarazioni di Veneziani sono pregiudizialmente avverse a Israele, nonchè false.

Edoardo Crateri
Niram Ferretti
oggi come oggi non volere la distruzione di Israele per me già è qualcosa. Per il resto penso che Veneziani conosca poco Israele e che, non avendo interesse a conoscerla meglio, ne parli in maniera che lascia perplessi. Ricordo un articolo in cui associava la barriera ai vari muri della vergogna ignorandone la pura e semplice funzione di legittima difesa.

Niram Ferretti
Edoardo Crateri
uno che scrive della barriera difensiva israeliana che rappresenta "Il muro più vergognoso degli ultimi decenni fu innalzato im Israele per separare i palestinesi" o è un imbecille, e Veneziani non lo è sicuramente, o è in malafede. Un intellettuale che si occupa di storia delle idee e di politica come lui non può conoscere poco Israele o essere poco interessato a conoscerla, e se così fosse, dovrebbe avere il buongusto di tacere.

Bleve Carmelo
Ormai si usa fascismo su tutto, perché non usarlo anche su Veneziani
Anche perché Veneziani si comporterà sempre da gentiluomo, non risponderà neanche

Niram Ferretti
Bleve Carmelo
nessuno accusa Veneziani di essere fascista, e sicuramente io non uso questo termine per denigrare chi non la pensa come me, ma l'humus culturale da cui proviene Veneziani, senza peraltro che lo abbia mai nascosto è noto. Non proviene dal conservatorismo liberale, purtroppo desolantemente assente in Italia. Le posizioni di Veneziani su Israele anche se sicuramente non improntate a un antisionismo virulento traggono alimento dalla sua appartenenza culturale, su questo c'è poco da fare.

Bleve Carmelo
Io ho notato un sentire negativo alla parola residualita' neofasciste, a parte che io lo seguo da parecchio e non le ho mai notate, però questo ci può stare anzi, ma anche i commenti a seguire me lo hanno confermato
Ora può essere che io abbia preso una cantonata se è così mi dispiace e mi scuso

Bleve Carmelo
Il PD è da sempre contro Israele però nessuno gli ha mai detto che ha residualita'neofasciste

Niram Ferretti
Bleve Carmelo
il PD non può avere residualità neofasciste, può avere residualità comuniste. Io non ho nulla da spartire nè con il comunismo nè con il fascismo.

Bleve Carmelo
Sono morti e sepolti nessuno può avere a che fare con dei morti che hanno lasciato solo sofferenza e distruzione

Sergio Alaimo
già i cinesi son morti e sepolti....

Niram Ferretti
Bleve Carmelo
lei non è molto aggiornato. In Italia c'è un partito che fa esplicito riferimento al comunismo anche se ha percentuali irrilevanti, si chiama Comunisti Italiani, fino a pochi anni fa Rifondazione Comunista era al governo con Prodi, poi, in ambito nero, abbiamo Forza Nuova e Casa Pound. Quindi non so di cosa lei stia parlando.

Bleve Carmelo
Forza Nuova e CasaPound sono due cose diverse, oltretutto CasaPound è un'associazione non un partito

Bleve Carmelo
Forse è lei che sta confondendo, comunque

Sergio Alaimo
Niram Ferretti
inoltre non ho mai letto che il pci nelle sue variazioni di pelle abbia mai fatto autocritica sulla rottura di livorno e l'adesione alla 3 internazionale o comintern la massima critica e' stata al consociativismo nella spartizione del po… Altro...

Niram Ferretti
Bleve Carmelo
io non confondo. Lei parla di cose che non conosce a fondo. Sia gentile, prima di scrivere qui si informi. Casa Pound oggi non è più un partito, ma lo è stata. Dunque, non è un partito allo stato attuale delle cose, ma la sostanza non cambia. "CasaPound Italia (CPI), o semplicemente CasaPound, è un movimento politico di estrema destra e di matrice neofascista[1] e populista.[18][19][20][21] Fu costituito nel giugno 2008 come associazione di promozione sociale[22][23] in continuità con l'occupazione abusiva di uno stabile avvenuta il 26 dicembre 2003 nel rione Esquilino di Roma e la nascita di CasaPound, primo centro sociale di ispirazione fascista[24][25][26]. Ulteriori occupazioni, mobilitazioni e iniziative, originariamente limitate a Roma e successivamente estese su tutto il territorio nazionale, connotarono presto CasaPound come un vero e proprio movimento politico e in seguito come partito fino al 26 giugno 2019, data in cui il presidente Gianluca Iannone decretava momentaneamente conclusa l'esperienza politica di CasaPound come partito, ritornando ad essere un movimento che non si presenta più alle competizioni elettorali.[27]".

Bleve Carmelo
L',,80% dell'ultimo programma di CPI era simile a quello del partito comunista di Marco Rizzo, se lei parla perché si è letto ciò che scrivono i giornali, si è preso questo fastidio, se ne prenda un'altro vada ad ascoltare cosa dicono loro, perché questa storia di fascismo, di estrema destra sta cominciando a stancare

Alberto Pento
L'estrema destra è fascista in tutto e per tutto. Come l'estrema sinistra è comunista in tutto e per tutto.
Queste demenziali estremità o estremismi poi sono entrambe antisemite, antisioniste e antisraeliane e come se non bastasse sono filo nazi maomettane.
A me fanno schifo e orrore entrambe.
La misura della civiltà umana di un uomo si valuta con il metro del suo rispetto/amore o disprezzo/odio per gli ebrei e per Israele e il suo grado di democraticità si valuta rispetto al suo apprezzamento o meno della Svizzera e degli USA.



Chi tiene ai diritti dell’uomo e alla libertà deve difendere Israele
Davide Cavaliere
13 luglio 2020

https://www.corriereisraelitico.it/chi- ... e-israele/

Ugo Volli è un semiologo, critico teatrale e accademico italiano. Ha alle spalle oltre duecento pubblicazioni scientifiche e una decina di libri. È stato professore ordinario di semiotica del testo all’Università di Torino e direttore del Centro Interdipartimentale di Ricerca sulla Comunicazione (CIRCe). Ha collaborato con Umberto Eco. Autore delle celebri «Cartoline da Eurabia» per Informazione Corretta. Tra le sue pubblicazioni più recenti ricordiamo: Israele. Diario di un assedio (Proedi editore, 2016) e Il resto è interpretazione. Per una semiotica delle scritture ebraiche (Belforte Salomone, 2019).

Ha accettato di rispondere ad alcune domande per il Corriere Israelitico.

È stato diffuso sui social media il video di un ragazzo che, in uno sfogo, apostrofa come «negra» una donna con cui ha avuto un incidente automobilistico. La vicenda, che fino a non molto tempo fa sarebbe stata derubricata come atto di maleducazione o «bravata», ha visto l’intervento della Digos, di due ministri e la società sportiva per la quale il diciannovenne giocava lo ha espulso. Secondo lei, abbiamo un problema con alcune parole? Corriamo, davvero, il rischio di una manipolazione del linguaggio e, di conseguenza, della realtà?

La linguistica ci insegna che il linguaggio funziona secondo un regime di arbitrarietà. Ciò comporta che non vi è un significato unico e autentico per le parole, né una loro connotazione valoriale fissa, ma il senso è fissato socialmente e muta con il cambiamento sociale. Per esempio la parola «giudeo» che in Italia ha un valore negativo e insultante, corrisponde etimologicamente a «jew», «Juif» e perfino all’ebraico «jehudì», che sono designazioni neutre di ciò che noi chiamiamo «ebreo». «Negro» non è intrinsecamente insultante, è ovviamente legato etimologicamente a «nero», che invece oggi è una dizione accettata. Le interdizioni linguistiche spesso seguono una dinamica dell’eufemismo: si proibisce di usare un termine che designa una realtà censurata (parti del corpo, luoghi e attività «impresentabili» ecc.) o che rappresenta qualcosa in maniera insultante ed esso è sostituito da un’altra parola, perché bisogna pure poter nominare la cosa; ma essa diventa a sua volta insopportabile ed è a sua volta sostituita… senza fine. Così per esempio la serie luogo di prostituzione → «postribolo» → «casino» → «casa chiusa» ecc. «Negro» è insultante perché è stato usato per insultare e per questo è ora interdetto. Ma proibire le parole non elimina i rapporti sociali che esse servono a designare. Il «politically correct» nel linguaggio ancor prima di essere una violenza è una sciocchezza che non può funzionare.

Il movimento Black Lives Matter si è fatto portatore di un vero e proprio affatturamento linguistico: Colombo è diventato un «genocida» e Amedeo IV di Savoia un «colonizzatore». Quali sono le caratteristiche salienti del suddetto movimento? Rappresenta una minaccia alla democrazia?

«Black lives matter» è un movimento antidemocratico e fascistoide fin dal nome. I suoi aderenti hanno spesso sottolineato che intendono questa denominazione nel senso di dire che «solo» e non «anche» le vite dei neri contano, e hanno rifiutato con decisione ogni estensione a «tutte le vite». Di fatto il movimento è portatore di un’ideologia «rivoluzionaria» che nega l’uguaglianza dei diritti e discrimina gli avversari, spesso definiti in maniera razzista e discriminatoria: i «bianchi», gli ebrei, gli uomini, gli eterosessuali. I suoi metodi sono violenti, il suo rispetto per la libertà di chi non la pensa come loro è inesistente. È l’ennesima riedizione del tentativo di eliminare la civiltà liberale che ha fatto grande l’Occidente. Si tratta di un gruppo molto minoritario, che purtroppo è coperto oggi, per viltà o per interesse, da buona parte della sinistra anche democratica.

I militanti antirazzisti, oggi, sono fieri avversari di Israele. Quali sono le origini di questo odio «progressista» verso lo Stato Ebraico?

I veri militanti antirazzisti, a partire da Martin Luther King, sono sempre stati sostenitori di Israele. L’atteggiamento su Israele può essere preso come test per verificare l’autenticità dell’antirazzismo di un movimento. La ragione per cui alcuni movimenti che si pretendono «di liberazione» (riguardo al razzismo, ma anche agli orientamenti sessuali, al genere ecc.) sono anti-Israele si chiama «intersezionalità». Tutte le oppressioni, secondo questa teoria, avrebbero un’unica matrice, cioè il sistema occidentale della libertà politica ed economica. Con altro nome, è quel che già sosteneva Stalin, e poi da noi fu ripreso da Toni Negri: anche se la teoria marxista della lotta di classe non funziona e se gli operai hanno capito che il progresso sociale si ottiene col liberalismo e non col comunismo, quel che conta è unire tutti i nemici dello «stato di cose esistente». Di questo tentativo di coalizione dovrebbero far parte dunque non solo neri, donne, omosessuali e transessuali, ma anche gli islamisti, che pure sono portatori di un’ideologia clericale e reazionaria di oppressione delle donne e di violenta repressione dell’omosessualità, ma sono nemici dell’Occidente. E poiché odiano in maniera razzista gli ebrei e il loro stato, è «intersezionale» per gli «antirazzisti» condividere quest’odio razzista. Questa ragione politica si fonde poi col vecchio odio degli ebrei che da sempre ha un posto importante nei pregiudizi della cultura europea (oltre che islamica).

La civiltà occidentale ha sviluppato il concetto di «diritti dell’uomo» per proteggere gli individui dall’arbitrio del potere, attualmente hanno assunto i tratti di una religione secolare attraverso cui legittimare e giustificare il separatismo islamico nelle città europee, l’infibulazione, l’uso del burka… i «diritti umani» sono una minaccia alla sopravvivenza della civiltà europea?

Intesi secondo il buon senso e il significato originario, i diritti dell’uomo sono la sintesi dei valori occidentali, la parità di fronte alla legge, la libertà politica, l’integrità fisica e il diritto di proprietà. Gli islamisti non li hanno mai accettati, tant’è vero che ne hanno proposto una versione adulterata e musulmanizzata con la dichiarazione del Cairo del 1990. Non esiste nulla nelle dichiarazioni dei diritti dell’uomo (a partire da quella francese approvata nel 1789, fino a quella promulgata dall’Onu nel 1948) che autorizzi l’inferiorità delle donne sancita dall’obbligo del burka in certi stati islamici o addirittura alla loro mutilazione per impedirne la libertà sessuale con l’infibulazione. Nè in essi si può trovare la base per le censure dell’«islamofobia» che oggi è uno degli obiettivi dei movimenti islamisti e delle organizzazioni internazionali da essi influenzate come l’Unesco e altro organismi dell’Onu. Infine non vi è rapporto fra i diritti dell’uomo e la pretesa di un diritto generalizzato all’immigrazione. La cosiddetta «religione dei diritti umani» non è altro che una definizione propagandistica e deformante dell’agenda politica di sinistra, che tradisce le ragioni liberali su cui si è costruita l’idea dei diritti umani. È importante anche indicare che vi è un fondamento religioso, ebraico e poi cristiano dell’idea di una comune dignità degli esseri umani, che la tradizione rabbinica fa derivare dalla comune discendenza da una sola coppia di progenitori, com’è descritta all’inizio della Bibbia: il contrario di ogni possibile razzismo.

In che modo la retorica dei «diritti umani» viene impiegata per delegittimare Israele?

I diritti umani non hanno nulla a che fare con la delegittimazione di Israele (spesso praticata insieme alla sua demonizzazione, sulla base di un doppio standard: sono le tre «D» che Natan Sharansky ha proposto come test per definire la differenza fra un’opposizione legittima e l’antisemitismo). Israele viene spesso accusato di crimini inesistenti e bizzarri, che hanno senso solo per riattivare i vecchi miti antisemiti: per esempio ucciderebbe i bambini, sottrarrebbe ai nemici i loro organi interni, profanerebbe i luoghi sacri ecc. Sono calunnie insensate e senza base, come l’accusa spesso ripetuta di sottoporre i palestinesi alle stesse persecuzione che gli ebrei subirono dai nazisti. Si tratta in questo caso di un trasparente (anche se per lo più incosciente) tentativo di trasferire sulle vittime ebraiche le colpe dell’Europa. Di fatto Israele, anche se naturalmente non è perfetto e può compiere degli errori come tutti gli altri stati del mondo, è il solo paese nella vastissima area geografica fra l’Oceano Atlantico e l’India dove i diritti umani (e quelli politici e sociali) sono rispettati e attivamente promossi; in cui vigono le libertà di espressione, di associazione e di religione; in cui le minoranze etniche, religiose e politiche possono organizzarsi liberamente; in cui la magistratura è indipendente, i militari obbediscono alla politica, i governi sono liberamente scelti dall’elettorato; vi sono pari opportunità per uomini e donne e non sono ammesse discriminazioni sulla base degli orientamenti sessuali. Nonostante il terrorismo ininterrotto e le numerose guerre, i diritti umani, politici e sociali non sono mai stati sospesi in Israele e in buona parte si estendono anche ai non-cittadini, magari esplicitamente nemici come i sudditi dell’Autorità Palestinese. Chiunque provi a usare il criterio dei diritti umani per attaccare Israele, lo fa ignorando i fatti più elementari sulla vita del paese o in malafede. Al contrario, chi tiene ai diritti dell’uomo e alla libertà deve difendere Israele. Come diceva Spadolini, la libertà, anche quella dell’Europa, si difende sotto le mura di Gerusalemme.

Grazie professor Volli.




Il pregiudizio antisraeliano di Marcello Veneziani
26.07.2014
http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=54459

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 26/07/2014, a pag. 1, l'articolo di Marcello Veneziani dal titolo "Gaza, il conflitto che divide gli italiani ".
Veneziani, esponente di una destra non liberale e diffidente nei confronti di Israele, non si smentisce. Il suo pezzo stabilisce un'inaccettabile equivalenza morale tra Israele e Hamas, contiene frasi che non sfigurerebbero in un articolo del MANIFESTO, come: " Israele sarebbe intoccabile, può permettersi ogni carneficina ", attribuisce al conflitto israelo-palestinese il ruolo di deflagratore delle tensioni tra Islam e Occidente, quando è vero esattamente il contrario: Israele si trova sulla linea del fronte di uno scontro, quello tra islamismo e società occidentali, che non ha cercato né provocato, ma che le è stato imposto da chi ne rifiuta la stessa esistenza.

Di seguito, l'articolo:
Marcello Veneziani

Il conflitto tra Israele e palestinesi è percepito da noi in due modi radicalmente opposti. Una parte dell'opinione pubblica è convinta che l'informazione sia quasi tutta a favore dei palestinesi e ostile a Israele, taccia degli scudi umani e dell'uso delle vittime da parte di Hamas. E un'altra parte è convinta esattamente del contrario, che Israele sarebbe intoccabile, può permettersi ogni carneficina, rifiutare ogni tregua umanitaria, e nei media una fila di firme notorie è schierata in suo favore. Allo stesso modo vengono definiti di destra estrema sia i difensori a spada tratta d'Israele che i critici radicali di Israele. Insomma, il conflitto tra Israele e palestinesi scompagina i versanti e agli estremi accende opposti razzismi. Chi ha ucciso i tre ragazzi israeliani alle origini del nuovo conflitto ha colpito tre volte Israele e trenta volte treipalestinesi, agiudicaredal bilancio delle vittime e la loro proporzione. E lo si sapevain anticipo, visti i precedenti. Chi bombarda ospedali, uccide bambini e obbliga le popolazioni a lasciare le loro case pervagare privi di tutto nel nulla, è criminale. Ma è criminale pure chi colloca arsenali e basi missilistiche vicino a case e sedi umanitarie. La Palestina è l'unico luogo al mondo in cui sarebbe necessario il controllo delle forze multinazionali per garantire la vitae i diritti d'ambo i popoli. Ma è l'unico luogo in cui ciò non avviene. E questo conferma l'unicità di quel conflitto che poi acuisce lo scontro tra Islam e Occidente.



I muri dell'infamia vi appartengono
Marcello Veneziani
22 maggio 2021

https://www.marcelloveneziani.com/artic ... artengono/

I pappagalli mediatici e politici ripetono ogni giorno che bisogna abbattere i Muri, per aprire le porte agli immigrati, ai gay, ai trans, ai tossici, ai delinquenti da redimere e reinserire.

A volte marciano contro i muri, come è successo sabato a Milano, più spesso ci marciano, ma il muro è diventata la parola chiave per murare la destra, per discriminare i movimenti e le persone che si ispirano alla tradizione, alla sovranità nazionale, ai principi conservatori, o semplicemente alla civiltà, alla cultura e alla natura dei popoli e delle persone.

Mai razzismo più becero è sorto nel nome dell’antirazzismo. La controprova empirica è stata il previsto e confermato silenzio assoluto sulla marcia per la vita di Roma, in favore delle nascite e della famiglia, e invece l’enfasi assoluta per la marcia contro i muri di Milano, la grillata francescana di Assisi e perfino la nascita di un Partito Animalista Berlusconiano che abbatte un altro muro, quello che differenzia gli uomini dagli animali.

Volete affibbiare l’infamia del muro a culture e realtà di destra, che naturalmente per voi coincide con estrema destra. Ma il Muro più infame che la storia contemporanea conosca è il Muro di Berlino innalzato dai regimi comunisti per impedire la possibilità di fuga ad ovest dei loro sudditi oppressi.

E il muro più vergognoso degli ultimi decenni fu innalzato in Israele per separare i palestinesi. Se vogliamo tornare in Italia, e a Roma in particolare, c’è un solo muro che non si può varcare, e sono proprio le Mura Vaticane dove il Regnante predica al mondo ma non a casa sua di abbattere i muri e accogliere tutti.

E comunque i muri più famosi, i muri del pianto e della vergogna, non appartengono alla cristianità.

Detto questo, alle culture di destra si addice piuttosto il senso del confine. Perché vuol dire senso del limite, senso della misura, soglia necessaria per rispettare le differenze, i ruoli, le comunità.

Tutti i confini sono soglie, sono porte, che si posso aprire e chiudere, che servono per confrontarsi sia per colloquiare sia per contrastare, delimitare o arginare quando è necessario.

La società sradicata del nostro tempo ha perso il senso del confine, e infatti sconfinano i popoli, i sessi, le persone, si è perso il confine tra il lecito e l’illecito. Sconfinare è sinonimo di trasgressione, è superare la soglia, delirare, sfondare.

Il confine è protezione, sicurezza, è tutela dei più deboli, non è ostilità o razzismo. Vi consiglio di leggere L’elogio delle frontiere di Régis Debray.

Per questo io dico: non riducete una sensibilità e un modo di vivere millenario a intolleranza, chiusura, muro. C’è una storia e una civiltà dietro quel pensiero, su quel cardine indispensabile, su quella soglia che ci prescrive di non eccedere, non scardinare, si è costruito il mondo.

Le città che perdono i confini, come le persone, perdono i loro lineamenti, la loro identità, la loro dignità. I muri della disgrazia e della vergogna non appartengono a chi ama la propria civiltà, inclusi i suoi contorni.

Non capovolgete l’amore per la famiglia in omofobia, l’amore per la propria patria in xenofobia, l’amore per la propria civiltà in razzismo, l’amore per la propria tradizione in islamofobia. E l’amore per i confini in muri dell’odio.


Marcello Veneziani
@VenezianiMar
Lo sciagurato allineamento di Trump a Israele contro l’Iran accusato falsamente di essere dietro il terrorismo. Cerchi tra i suoi alleati arabi gli sponsor del terrorismo...
9 mag 2018
https://twitter.com/VenezianiMar/status ... 2423410689



Alberto Pento
Questi due articoli di M.V. bastano e avanzano a testimoniare la sua abissale ignoranza e il suo profondo e malcelato pregiudizio antiebraico e antisraeliano.
Io sono di "destra" ma ho poco da spartire con Veneziani e la sua destrità sinistra social fascista.
Io sono anticomunista tanto quanto sono antifascista, antinazista e antimaomettista che è la più disumana e terribile ideologia politico religiosa della terra che Veneziani invece, come pure al loro tempo Mussolini e Hitler, demenzialmente apprezza.
Cosa impedisce a Veneziani di capire dove stiano il bene e il male nella questione israelo palestinese, se non il suo pregiudizio antiebraico che in Italia ha due radici la cristiana e la socialista (fascista, nazista e comunista) con il loro portato di antiamericanismo, di anticapitalismo e di complottismo giudaico massonico che vogliono gli ebrei come perfidi carnefici e i cosidetti palestinesi arabo maomettani come le povere vittime innocenti!





Italia invertebrata
Marcello Veneziani
gennaio 2020

https://www.marcelloveneziani.com/artic ... ertebrata/

Quattro grandi potenze giocano la loro partita a due passi da casa nostra ma né l’Europa né l’Italia sono in grado di esercitare il benché minimo ruolo, di qualunque tipo. Stati Uniti, Russia, Iran e Turchia, e sullo sfondo la Cina, si contendono i loro spazi in Africa e in Medio Oriente, polveriera del mondo, e arrivano a lambire il nostro mare, ma l’Italia non esiste, non gode neanche di una copertura europea, conta quanto il due di coppe a briscola anche laddove dovrebbe avere un ruolo importante, come la Libia.

La repubblica italiana è sempre stata a sovranità limitata, sotto la protezione americana, rispetto a cui siamo stati servili e inaffidabili al tempo stesso. Totalmente sdraiati ma capaci di trattare sottobanco con gli arabi o i sovietici. L’unico personaggio che perseguì gli interessi nazionali italiani senza appiattirsi sugli Usa e le sue multinazionali fu Enrico Mattei, non un politico ma un manager di stato che probabilmente pagò caro il suo ruolo. E l’unico episodio governativo di dignità nazionale che si ricorda in 75anni fu a Sigonella, quando l’Italia di Craxi seppe dire di no all’America di Reagan, e pure lui ne pagò probabilmente lo scotto.

Abbiamo scontato per troppi decenni la nostra sconfitta militare, e quando pareva che potessimo finalmente emanciparci grazie alla caduta del bipolarismo Usa-Urss e all’ombrello europeo, siamo ricaduti in una posizione marginale perfino più subalterna che in passato. Prima dovevamo ubbidire agli americani e non scontentare i sovietici, ora la scala delle nostre servitù si è allargata alla Germania, alla Francia e a tutte le potenze internazionali citate, nonché ai paesi limitrofi perché non ci mandino caterve di migranti.

Il colpo di grazia finale è stato avere uno sprovveduto e inattendibile ministro degli esteri di proverbiale ignoranza, accompagnato da un premier spuntato dal nulla, indicato dal ministro medesimo, mai legittimato dalle urne o da un ruolo autorevole precedentemente coperto. Non abbiamo una linea di politica estera, non sappiamo che dire su nessun argomento, tra pareri approssimativi e orecchiati in materia internazionale; ci troviamo così muti, balbettanti, incapaci di assumere una posizione se non quella di chi ripete: però non passate alle mani, non sparate, fate la pace, non fatevi male o perlomeno non fateci del male, noi non c’entriamo, prendetevi la Libia, il Medio Oriente, vedetevela voi col nucleare, noi non ce l’abbiamo con nessuno, stiamo zitti e buoni per i fatti nostri.

Davanti a questo quadro, purtroppo, non ci pare un rimedio né un’accorta scelta strategica e tantomeno uno scatto di dignità l’appiattimento di Salvini e di alcuni settori del centro-destra sulle posizioni americane-israeliane e anti-iraniane. Parlo a titolo personale, ma reputo sciagurata l’uccisione di Soleimani e pericolosamente falsa la tesi di chi attribuisce all’Iran un ruolo nel terrorismo internazionale. Sappiamo che il terrorismo che si è accanito contro l’occidente ha matrice sunnita e non sciita, le complicità internazionali sono negli stati arabi, non in Iran che anzi ha combattuto l’Isis, e altre formazioni terroristiche in Siria e in Libano. Certo, c’è un odio ideologico e militante dell’Iran nei confronti degli Usa e di Israele, totalmente ricambiato; le milizie che combattono dalla parte dell’Iran non sono da meno quanto a fanatismo e ferocia, gli ayatollah come i pasdaran.

Ma gli Usa, considerando l’Iran uno Stato canaglia e nemico principale – così come ritiene Israele – lo sta spingendo a radicalizzare la propria posizione e a rompere ogni possibile patto anche in tema di disarmo nucleare.

Ho reputato preferibile Trump ai democratici alla Hillary Clinton e all’Establishment radical e liberal; e considero vergognoso il tentativo di impeachment da quando si è insediato alla Casa Bianca solo perché è un outsider politically uncorrect. Ritengo che Trump abbia ridato slancio e vitalità all’economia americana e al sentimento nazionale. Ma in politica estera ha preso pericolose cantonate, cavalca posizioni tranchant per assecondare la pancia degli americani ed è disposto a una guerra rovinosa se serve a garantirsi la rielezione.

Non si tratta però, come tanti lo presentano, di un forsennato populista perché in queste posizioni Trump ricalca la sciagurata politica mediorientale dei suoi predecessori inglesi e americani che tanti lutti e rovine ha generato, tanto fanatismo islamista ha scatenato. Si rivedono come in un film a rovescio la sciagurata guerra del Golfo, l’invasione dell’Iraq e la sanzioni, i bombardamenti che distrussero grandi testimonianze di civiltà; e poi il processo a Saddam per un presunto e mai trovato arsenale nucleare; e via via quel che è successo dall’11 settembre del 2001 in poi. A cui si è aggiunta la sciagurata responsabilità dei francesi, dei tedeschi e di altri partner europei per quel che riguarda la Libia, la primavera araba e il dissennato appoggio a ribelli e a tribù che produssero instabilità, terrorismo, profughi e clandestini. Fa male pensare che dobbiamo sperare nello zar Putin e in certi casi perfino nell’autocrate Erdogan per ristabilire l’equilibrio d’area, a che prezzo poi non sappiamo. La posizione di Salvini su questi temi ricalca su scala ridotta le posizioni e i moventi di Trump; più equilibrata mi è parsa la posizione della Meloni.

Ma da noi l’unico tema internazionale che desta interesse e interventi, dal Papa ai magistrati, è l’accoglienza dei migranti e la condanna per razzismo di chi vi si oppone. Stiamo seduti sull’orlo di una polveriera e continuiamo a ripetere: prego, accomodatevi, ingresso libero, pace pace.




Il sobrio orgoglio di essere "destri" - Marcello Veneziani
Marcello Veneziani
06/10/2010

https://www.marcelloveneziani.com/il-gi ... re-destri/

Che schifo, è di destra. Sono pochi a definirsi di destra ma il disprezzo per la destra è ancora forte, nota Giuliano Ferrara. Lo sappiamo, lo sappiamo. Questa legge del disprezzo vige in tutto l’Occidente, nota Ferrara; ma in Italia ancor di più. Tre cose da noi conducono al disprezzo o alla morte civile: avere opinioni contrarie al politicamente corretto e magari in sintonia con il buon senso comune, preferendo i valori tradizionali, civili e religiosi; avere un giudizio diverso sul fascismo e sull’antifascismo, ma anche sul comunismo, rispetto al canone dominante; preferire Berlusconi ai suoi avversari o ex alleati. Quest’ultima pesa di più di tutte, anche se è la meno legata ad un’identità di destra e la più contingente. Si veda, a conferma, il caso Fini&finiani: il loro recente neofascismo viene ripulito dal loro neo-antiberlusconismo. Se il fascismo è il male assoluto, il berlusconismo è il male due volte assoluto, oltre che dissoluto.

Il disprezzo verso la destra si articola in due modi: è gridato se il personaggio è più esposto in vetrina, è al potere o è più grossolano; è taciuto, per simulare la sua inesistenza, se il personaggio è meno vistoso e più sobrio, e magari pure colto. Il primo è manganellato, il secondo è cancellato.Nonostante il livore aggiuntivo verso chi tradisce la sinistra, il disprezzo verso gli ex è dimezzato: penso a Oriana Fallaci, a Pansa, allo stesso Ferrara. Con loro c’è un minimo di colloquio, si possono citare. Gli altri no, damnatio memoriae anche da vivi: sepoltura in piena attività o vituperio urlato a mezzo stampa. Nel caso della destra grossolana che commette vistose gaffe, ci sono episodi grotteschi. Prendete Ciarrapico: socio in affari per anni della sinistra editoriale, viene ora massacrato per un’infelice battuta e ribollato come fascistone. Vorrei ricordare una cosa: quando la sinistra tifava per gli arabi e i palestinesi contro Israele, il grossolano Ciarrapico pubblicava in difesa d’Israele un libro del leader ebreo Begin La rivolta e fu Israele. Che volete, le battute valgono più delle opere. Ma torniamo al tema serio.

Chi da destra denuncia il disprezzo viene accusato anche dai cosìddetti terzisti di vittimismo. Prendi le botte e zitto, non far la vittima. Mazziato e cornuto. Il disprezzo verso la destra è cagionato da tre agenti: una sinistra settaria e velenosa che propaga ribrezzo etnico, antropologico, per quelli di destra; l’inevitabile presenza a destra di personaggi screditati, ma questo accade quando si è in tanti e quando si va al governo; e il complice, connivente, disprezzino dei cosiddetti indipendenti, terzisti veri e presunti, a volte persino centrodestrorsi vaghi, snob o vigliacchetti. È lì che nasce la barriera del disprezzo. I suddetti a volte usano il disprezzino verso la destra come alibi per poter poi criticare la sinistra, facendosi così una polizza contro rischi. Ci sono ballerini in punta di piedi che bilanciano ogni critica a sinistra con uno sputino gentile a destra, per mostrare che loro sono in perfetto equilibrio, personcine ammodo. Per la destra colta si adeguano alla legge non scritta del potere intellettuale: morte civile. Dei tre agenti di disprezzo, questo è forse il più nocivo. Potrei ancora aggiungere che dire destra, in effetti, è dire poco: le destre sono tante e spesso tra loro si detestano o s’ignorano. Le destre presunte o implicite sono assai più di quelle che si dichiarano tali. Ci sono almeno tre destre: la destra liberale, un po’ conservatrice sul piano dei valori, liberista in economia, anticomunista e garantista; la destra della tradizione, con significative varianti cattoliche o ribelli; la nuova destra, sociale e comunitaria, critica verso il dominio del mercato e il modello consumista. Il tratto comune delle destre è oggi il richiamo alla sovranità popolare, la preferenza per una democrazia decisionista e un amor patrio territoriale e reale piuttosto che il patriottismo costituzionale. Fini sta alla destra come la posa dell’orzo sta al caffè.

Tre destre hard ribollono nei fondali del basic instinct: la destra reazionaria, rivolta al rimpianto del passato remoto; la destra neofascista, nostalgica del passato novecentesco; la destra autoritaria, che esige legge e ordine e a casa gli immigrati. L’operazione mediatica del disprezzo riduce le destre presenti a quelle hard: sarebbe come ridurre la sinistra presente a brigate rosse, stalinismo e maopolpottismo. Il basic istinct è sempre feroce, e cova a destra come a sinistra. Ma se fai paragoni, ti dicono che soffri di nevrosi. Sul piano dei fatti resta vero che, alla fine, la cosiddetta destra ha commesso meno errori in campo e in teoria della cosiddetta sinistra, ha saputo cogliere meglio la realtà e dar voce ai popoli, ha più aiutato lo sviluppo ed è stata più efficace, ha saputo meglio temperare libertà e tradizione, libertà e sicurezza, e ha meno vessato, perseguitato, oppresso i cittadini. E la destra culturale si è resa meno complice di intolleranze, totalitarismi vigenti e pericolose utopie, rispetto alla sinistra culturale. La destra ha generato sicuramente meno intellettuali, ma ha prodotto meno cattivi maestri e più grandi maestri (che sono rarità ma svettano nel Novecento). So che dire destra significa poco e produce troppi malintesi, e io parlo di destra come di una definizione che riguarda più il mio passato che il presente e il futuro. Ma davanti al disprezzo ideologico e razziale verso chi è di destra, lasciate che vi esorti alla sobria fierezza di essere e dirsi di destra.




Il razzismo immaginario
Marcello Veneziani
6 agosto 2018

https://www.marcelloveneziani.com/artic ... -razzista/

Ma che razza di bestia è il razzismo? Proviamo a uscire dalle rozze polemiche che sommergono la politica e i media e fanno del razzismo l’Unico, Assillante Tema del Giorno. Col miserabile strascico di polemiche caso per caso, il pallottoliere delle vittime vere e presunte del razzismo e viceversa le vittime dei migranti.

Dunque, per cominciare, le Razze esistono davvero o sono solo pseudoconcetti, ideologie, aberrazioni mascherate di etnologia? Non lo so se esistano o meno e rifiuto di prender partito in una disputa che dovrebbe avere tratti scientifici e invece ha solo connotati ideologici e politici. Non mi accontento di quel che la scienza ha attestato per secoli, che le razze esistono e differenziano l’umanità. Lo ha sostenuto la scienza positivista, innanzitutto, non legata a canoni reazionari o dogmi religiosi o nazionalisti, ma solitamente evoluzionista, laicista, a volte politicamente radicale, se non “di sinistra”. Era il tempo in cui si studiavano le razze, le differenze tra i popoli, la fisionomica, con esiti a volte crudeli. Non mi accontento dei loro studi perché la scienza si evolve più delle civiltà e le sue conoscenze possono essere confutate, ribaltate nel corso del tempo. Per la stessa ragione diffido di chi oggi proclama l’inesistenza delle razze perché è trasparente il messaggio ideologico e politico che vuole veicolare. Se nella classificazione delle razze di ieri è da considerare anche l’humus psicologico e ideologico dell’epoca, le dominazioni coloniali; nella negazione odierna è da considerare lo stesso retroterra in senso capovolto, compresa l’egemonia ideologica di una visione egualitaria, terzomondista, eurofobica.

In ogni caso, esistano o no le razze – siano una verità scientifica, un’evidenza reale o un’impostura, una forzatura della realtà – il riconoscimento delle razze implica le differenze tra le etnie e non la superiorità o l’inferiorità razziale. Diventa razzismo quando si impone il primato di una razza e si dispone la persecuzione di un’altra, fino all’aberrazione estrema dello sterminio. Nel mondo, l’unico paese che ha inserito oggi una clausola razzista nel suo ordinamento costituzionale è Israele che si definisce “Stato nazionale sovrano del popolo ebraico”, e dunque reputa estranei, ospiti o sudditi, i non ebrei, a partire dai palestinesi.

Fatta questa premessa di fondo, l’Italia d’oggi o l’Europa d’oggi, può dirsi preda del razzismo? Sono razzisti i populisti e i governi sovranisti, come suggerisce ogni giorno in tutte le salse l’Apparato mediatico-politico dominante? Se consideriamo i numeri, la presenza di milioni di migranti neri venuti da paesi remoti, con altre religioni o superstizioni, altri modi di vivere e di considerare la vita umana; se consideriamo che milioni di giovani sradicati vengono qui senza un lavoro, senza una donna, senza condizioni minime di stabilità, a cominciare dall’abitazione, siamo seduti su una polveriera. Arrivo a dire che rispetto a queste premesse sono relativamente pochi i reati compiuti dai medesimi tra violenze, stupri, furti, aggressioni, disordine sociale. E in rapporto a questi, sono ancora più esigui gli episodi di intolleranza da parte degli italiani che si possano veramente ricondurre al razzismo. Casi di maleducazione, difficile convivenza, violenza scoppiano ogni giorno, soprattutto nei luoghi più degradati o negli spazi pubblici più affollati di migranti. Se si isolano dalla cronaca quotidiana e si montano solo quelli che hanno avuto come antagonisti o vittime i neri, si fabbrica il razzismo. Ogni giorno sono svariati gli episodi d’intolleranza, gli screzi, gli insulti tra persone; se tra i tanti, amplifichiamo solo quelli accaduti ai neri, troveremo ogni giorno, una frase, uno schiaffo, un insulto ritenuto xenofobo. Si tratta di piccoli episodi rispetto a milioni di situazioni di disagio, in gran parte estranei al razzismo o non riconducibili al disprezzo razziale: scontri privati, antipatie, spazi vitali calpestati, donne insidiate, gelosie, incidenti, conflitti di vicinato e altro ancora. Tra questi non mancano episodi d’intolleranza razziale: ma riguardano una piccola minoranza di imbecilli integrali e non integrati, solitamente poco politicizzati, che agiscono coi riflessi condizionati: sono spinti alla violenza o all’intolleranza tanto dai pregiudizi diffusi sui danni prodotti dai migranti quanto dai pregiudizi opposti, dell’antirazzismo imperante, che suscitano reazioni o desideri perversi di protagonismo.

Ma parlare di razzismo e farlo così ossessivamente, anche a proposito di episodi che non c’entrano nulla significa solo scavare fossati di odio, spaccare i popoli, indurre le popolazioni all’autodisprezzo e a forme di razzismo autolesionista. Oggi il peggior razzismo è esercitato da una minoranza contro la maggioranza degli italiani. È il razzismo dell’antirazzismo. Oggi il razzismo più opprimente e intimidatorio, è etico, e non etnico; è quello culturale, politico, ideologico di una “razza eletta” rispetto al popolaccio che sceglie di pancia il sovranismo ed è perciò bollato come “naturaliter razzista”. Il razzismo degli antirazzisti diventa delinquenziale quando identifica l’amor patrio, il legame identitario e nazionale, col razzismo, che nella peggiore delle ipotesi è una sua degenerazione. È come se identificassimo la libertà con la violenta anarchia o i porci comodi e l’uguaglianza col totalitarismo comunista e il Terrore giacobino.

Sconfina nella demenza l’accusa retroattiva di razzismo rivolta contro autori, opere, eventi e personaggi del passato. Vengono censurati capolavori, manipolati e adattati al Canone dominante, vengono bollati d’infamia classici e giganti perché agli occhi dell’ideologia corrente sarebbero infetti dal razzismo. Il risultato di questa revisione moralistica della storia, dell’arte, della filosofia e della letteratura, oltre l’esito grottesco, è un’istigazione all’ignoranza, ma nel nome dell’umanità e dell’antirazzismo.

Il razzismo da tempo soffia anche nei tribunali, perché è facile il passaggio tra l’accusa ideologica e l’accusa penale. Volenterosi magistrati non mancano a supporto della caccia al razzista. È assurdo tenere in vita leggi speciali, come la legge Mancino, per colpire il razzismo e dintorni. Bastano le leggi ordinarie del nostro codice che puniscono ogni violenza e sopraffazione compiuta su qualunque persona di qualunque razza, colore, età, condizione. Le leggi speciali minano la forza delle leggi e l’autorevolezza del diritto, che è nella loro universalità. Finiamola con questa Feroce Impostura che avvelena il clima e lo predispone all’esasperazione, all’odio e alla violenza. Il razzismo è vomito, anche in coloro che l’hanno sempre in bocca.
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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » gio feb 04, 2021 10:39 pm

Eco ideologo e cattivo maestro
Marcello Veneziani
19 febbraio 2021

https://www.marcelloveneziani.com/artic ... o-maestro/

Cinque anni fa moriva Umberto Eco. Fu semiologo e sociologo brillante e romanziere di successo, critico acuto ma soprattutto fu un ideologo. Non un filosofo come oggi si dice, ma un ideologo. Nelle sue opere, Eco compì un’opera sistematica di demolizione della tradizione e dei buoni costumi, del senso religioso e del legame con la morale comune, contro la meritocrazia e “l’illusione della verità”. Auspicò una “guerriglia semiologica” (in quegli anni erano parole di piombo), negò rispetto al latino -“L’ossessione del latino è una manifestazione di pigrizia culturale, o forse di forsennata invidia: Voglio che anche i miei figli abbiano gli orizzonti ristretti che ho avuto io, altrimenti non potranno ubbidirmi quando comando”- attaccò i buoni sentimenti e la sua scia retorica, che promanavano dal libro Cuore, libro di formazione di più generazioni che servì a edificare un sentire comune dell’Italia postunitaria e che per Eco era invece “turpe esempio di pedagogia piccolo borghese, paternalistica e sadicamente umbertina”; elogiò Franti il cattivo e vide in lui il modello positivo dei contestatori, anzi di più, lo vide come ispiratore di Gaetano Bresci, l’anarchico che uccise all’alba del ‘900 Re Umberto a Monza. Capite che benzina Eco abbia gettato sul fuoco di quegli anni feroci. Del resto, in quegli anni Eco firmava il manifesto di Lotta Continua contro il Commissario Calabresi, che fu una sentenza di morte.

Il cattivo maestro Eco poi contestò il filosofo Abbagnano che elogiava la selezione e il merito, sostenendo che la selezione sia solo una legge di natura da correggere con la cultura e la solidarietà e auspica “che non ci sia più una società dove predomina la competitività”. Declassò la religione a fiaba e suggerì non di avversarla come facevano gli atei dichiarati ma più subdolamente di relativizzarla presentandola come fiaba tra le fiabe. Giudicò impossibile un Picasso che dipingesse l’Alcazar fascista come dipinse Guernica antifascista; dimenticando il filone futurista e fior d’artisti fascisti.

Eco suonò l’allarme perché stava crescendo agli inizi degli anni ‘70 la cultura di destra (tra Il Borghese, Volpe, la Rusconi diretta da Cattabiani). E le dedicò uno sprezzante articolo, confondendo volutamente pensatori e picchiatori, “magistrati retrivi” (allora le toghe erano considerate protofasciste) e riviste culturali. Disprezzò autori come Guareschi e Prezzolini, Evola e Zolla, Panfilo Gentile e “il risibile pensiero reazionario”. E fece una notazione volgare: “la nuova destra rinasce soltanto perché un certo capitale editoriale sta offrendo occasioni contrattuali convenienti a studiosi e scrittori, alcuni dei quali rimanevano isolati per vocazione, e altri non sono che arrampicatori frustrati”. Un’analisi così rozza e faziosa non l’abbiamo letta neanche nei volantini delle Brigate rosse. Fa torto al suo acume. È come se spiegassimo la cultura di sinistra con i soldi venuti dall’Urss o dalla finanza che paga le sue imprese editoriali.

Eco avvertì i suoi lettori che “il capitalismo come entità metafisica e metastorica non esiste”. Al fascismo, invece, Eco attribuì entità metafisica e metastorica elevandolo a Urfascismo: il fascismo come eterna dannazione. Sul rapporto tra cultura e capitalismo la considerazione becera fatta sugli autori di destra si inverte quando invece si tratta di un autore “di sinistra”: anche se “ha un rapporto economico con i mezzi di produzione” lui non ne dipende, perché conta “il rapporto critico dialettico in cui egli si pone con il sistema”. Traduco: se la cultura di destra trova investitori è asservita al Capitale e lo fa mossa solo dai soldi; se la cultura di sinistra è finanziata dal Capitale, invece usa gli investitori ma non si fa usare e ha scopi nobili… Può vivere “di prebende largite da chi detiene i mezzi di produzione” perché quel che conta è “la presa di coscienza” (direi ben altra presa…). Loro prezzolati, noi illuminati.

Prima che semiologo Eco è ideologo. Mascherato. Esprime quell’ideologia illuminista radical che traghetta la sinistra dal comunismo al neocapitalismo, spostando il Nemico dai padroni ai fascisti, dal Capitale ai reazionari, in cui Eco include cristiano-borghesi e maggioranze silenziose. L’antifascismo assurge a religione civile, a priori assoluto nella lotta tra Liberazione e Tradizione, che sostituisce la lotta di classe. Eco dimostra che la destra viene demonizzata anche quando non si può ridurre al rozzo cliché dei picchiatori o dei prepotenti, o mutatis mutandis dei leghisti o dei berluscones. Ma si accanisce sprezzante anche sulla destra colta, i suoi libri, i suoi editori, scrittori e filosofi, oggi da cancellare, ieri da eliminare; come accadde a Gentile. Un assassinio pensato in seno alla cultura e nutrito col fiele dell’ideologia. Il passato, a volte, echeggia.

Dante era di destra, dice Eco, e sentitamente lo ringrazio anche se mi ribello in cuor mio all’idea di ridurre un Grande a una parte politica moderna. Eco fa poi un terribile autogol. Scrive che “il vero intellettuale è colui che sa criticare quelli della propria parte, perché per criticare il nemico bastano gli uomini dell’ufficio stampa”. Beh, ho letto svariati attacchi e battute di Eco contro ogni destra, ma non ricordo una sola critica “alla propria parte”.

Anzi Eco fu il precursore e l’ideologo della svolta dal comunismo alla sinistra dem, liberal e radical. Individuò il target in quella fascia ampia che andava “dai radicali dell’Espresso alla sinistra del Pci”. Il progetto era ancora gramsciano: portare l’illuminismo alle masse, ma il nuovo illuminismo di Eco è passato dalla civiltà dei consumi e della televisione, dai mezzi di comunicazione pop e dal “superuomo di massa”, dai diritti civili, si è fatto internazionale più che nazional-popolare. L’impianto dei suoi valori è organico alla storia della sinistra, dal progressismo all’antifascismo; eleva il fascismo a Nemico Eterno (Urfascismus).

Il documento di quel passaggio lo rintracciamo in un saggio in due puntate che Eco dedica nell’ottobre del ’63 alla sinistra su Rinascita, il settimanale del Pci diretto da Togliatti. È lì in nuce la svolta della sinistra che verrà, quando cadrà la subalternità all’Urss e la sinistra passerà per così dire da l’Unità a la Repubblica, ovvero dal Pci al mondo radical de l’Espresso. Eco pose il problema di modernizzare la sinistra, inglobare le sinistre sfuse e i cattolici progressisti, di aprirsi alle culture pop ibridando ideologie e costumi, di guardare più all’America che alla Russia e di sposare quelle campagne che poi saranno tradotte in antifascismo, antirazzismo e antisessismo. C’è un pamphlet su Umberto Eco e il Pci che ripercorre la storia di quel saggio del ’63 (autori C. e G.Capris, ed. Imprimatur). Eco non esita a definire gramsciana la sua lettura del contemporaneo nel Superuomo di massa.

E gramsciana resta la sua idea del ruolo di guida degli intellettuali in questo processo e nella critica sociale. Non intellettuali organici a un partito ma un partito emanazione di quel clero di intellettuali. “È fuori di dubbio, scrive Eco in quel saggio su Rinascita – che la diffusione dei mezzi di massa vada analizzata e giudicata dal punto di vista ideologico”. Non solo giudicata ma anche guidata, come ha dimostrato il politically correct… Eco esorta a passare dal marxismo alla semiotica per leggere il mondo d’oggi come una mitologia. E, a differenza della sinistra contestatrice, che usa la scuola di Francoforte per criticare la modernità, Eco entra nel mondo pop, non disdegna le nuove forme di cultura contemporanea. L’egemonia culturale impostata da Togliatti era ancora un sogno umanistico che si fermava ai piani alti della cultura e dell’arte, mentre l’egemonia culturale venuta fuori dopo il ’68 è più pervasiva e investe il cinema, i giornali, la tv, lo spettacolo. Ecco la fenomenologia di Mike Bongiorno. Ecco la nascita de la Repubblica da una costola de L’Espresso, di cui Eco fu il nume tutelare. Intelligenza ironica e vasta erudizione, ma Eco fu ideologo e cattivo maestro.
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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » gio feb 04, 2021 10:40 pm

Massimo Fini



Ma saranno Santi suoi

http://www.massimofini.it/index.php?opt ... &Itemid=69

«Pio IX è un beato inaccettabile» ha scritto Il Manifesto; il Presidente del Consiglio, Giuliano Amato, ha affermato di non capire come «si possa conciliare la beatificazione di chi difese la vita, cioè Roncalli, con quella di chi ricorse alla condanna a morte, Pio IX»; Eugenio Scalfari ha sentenziato che «Pio IX è un beato di destra»; Pannella ha organizzato la solita manifestazione (non contro Pio IX, che sarebbe lecitissima, anche se un tantino anacronistica, ma contro la sua beatificazione); e anche due laici in genere coerenti e conseguenti come Indro Montanelli e Furio Colombo, di estrazione cattolica il primo, ebraica il secondo, hanno dichiarato, sia pur con qualche distinguo, che questa beatificazione non si doveva fare; il rabbino David Rosen e il presidente della comunità ebraica in Italia, Amos Luzzatto, hanno detto che la beatificazione di Papa Mastai è una mancanza di rispetto verso gli ebrei. In quanto a Israele ha fatto conoscere, per bocca del ministro Michael Melchior, il suo «profondo rammarico» e il suo disappunto. Davvero curiosi questi laici, Che siano diventati, da un giorno all'altro, cattolici? Per un laico, infatti, ciò che avviene all'interno di un'organizzazione privata su base volontaria, come la Chiesa, in materia di fede, di dogmi, di Santi, di Beati, di cherubini, di serafini, dovrebbe essere del tutto indifferente proprio perché costui, per suo stesso postulato, non crede a nessuna di queste cose, Un laico può criticare finche vuole la figura di Pio IX in quanto Papa reazionario, antiliberale, antirisorgimentale, non la sua beatificazione che è un atto squisitamente religioso che può interessare e riguardare solo gli adepti. Ancora più stravagante è che un presidente del Consiglio si immischi nelle scelte di fede della Chiesa e del suo pontefice contestando un beato. È come se il Papa volesse metter becco in una nomina a cavaliere della Repubblica fatta da Ciampi. Il brocardo di Cavour, «libera Chiesa in libero Stato», recepito dai Concordati, significa che Stato e Chiesa hanno sfere di competenza diverse, l'una temporale, l'altra spirituale, che non devono interferire fra di loro. Invece negli anni della cosiddetta seconda Repubblica abbiamo assistito a una gran confusione dei ruoli con il Papa (per non parlare degli eccellentissimi cardinali) che mette i piedi in questioni temporali di stretta pertinenza dello Stato italiano e ora, quasi a render la pariglia, con una batteria di laici, alcuni dei quali ricoprono cariche istituzionali, che si intromettono in una questione come la beatificazione, prettamente spirituale e religiosa. Di inaudita gravità è poi l'intervento di Israele. Che c' entra uno Stato con una beatificazione? Che atto di intimidazione è mai questo? Se l'avesse fatto la vecchia Unione Sovietica si sarebbero aperte, e giustamente, le cateratte. Furio Colombo, a Radio Radicale, ha sostenuto che Israele ha voce in capitolo in quanto rappresenta gli ebrei di tutto il mondo e sotto il pontificato di Pio IX un bambino ebreo fu battezzato a forza e gli ebrei erano ghettizzati. Mi stupisce che un ebreo laico, solitamente molto sorvegliato, come Furio Colombo, si lasci andare a sciocchezze del genere. Se fosse come lui dice allora sarebbe lecito accollare all'intera comunità ebraica, e quindi anche a quella italiana, la responsabilità delle ripugnanti violenze che lo Stato di Israele pratica da quando è nato, nei confronti del popolo palestinese. La distinzione fra Israele e comunità ebraica internazionale, fra sionismo ed ebraismo, e quindi, specularmente, tra antisionismo e antisemitismo, va tenuta ben ferma proprio per non precipitare nel razzismo antisemita. Ma del tutto sconclusionata e priva di senso è anche la protesta della comunità ebraica in quanto tale. La beatificazione di Pio IX, riguardando oltretutto un uomo vissuto più di un secolo fa, è un fatto interno del cattolicesimo e, con buona pace del rabbino Rosen e di Luzzatto, ogni religione a casa propria fa quello che più le pare. O la Chiesa cattolica deve adesso mettersi a depennare i suoi Santi e i suoi Beati perché non sono graditi al rabbino Toaff? Ognuno ha diritto di avere gli Dei, i Santi e i Beati che preferisce o di non averne nessuno. Altrimenti è intolleranza, E vien la nostalgia della Roma pagana che riconosceva a tutte le confessioni il diritto di sacrificare ai propri dei, quali che fossero, mentre i governatori di Galilea, con santissima pazienza, si sono slombati per impedire che ebrei e cristiani, comunità litigiosissime allora come oggi, si lapidassero a vicenda in nome di fedi diverse.




L'eterno salvacondotto della Shoah
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 5 maggio 2018

http://www.massimofini.it/articoli-rece ... ella-shoah

Che le dichiarazioni di Abu Mazen (gli ebrei sarebbero in qualche modo responsabili della Shoah) siano inaccettabili, come ha immediatamente dichiarato, fra gli altri, anche l’Unione Europea, non è nemmeno il caso di dirlo. Ci si chiede però, come ha fatto un lettore del Fatto (27.4), Mauro Chiostri, parlando dell’oggi e non del codificato ieri, se lo Stato di Israele non goda di uno speciale salvacondotto basato proprio sullo sterminio ebraico di tre quarti di secolo fa. E’ una domanda, per la verità, che si fanno in molti ma che non osano formulare pubblicamente nel timore di essere immediatamente bollati come antisemiti, negazionisti, razzisti, nazisti. Ma Israele è uno Stato e non va confuso con la comunità ebraica internazionale. In anni meno manichei di quelli che stiamo vivendo attualmente era la stessa comunità ebraica a non volere che si facesse una simile confusione. Ed era logico che così fosse. Perché Israele è uno Stato e, come tale, può compiere azioni criticabili, e anche nefande, ma non per questo ne deve rispondere, poniamo, un ebreo del ghetto di Roma. Oggi invece questa confusione esiste e Israele può compiere impunemente atti che ad altri Stati costerebbero l’indignata condanna, se non peggio, della cosiddetta ‘comunità internazionale’.

1.Durante le manifestazioni popolari di quest’ultimo mese e mezzo a Gaza i militari israeliani hanno ucciso 44 persone e ne hanno ferite 1.400. Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres aveva fatto richiesta di un’indagine indipendente sui morti a Gaza. Ma Israele l’ha respinta. Eppure richieste di questo genere sono state accettate persino da Assad e, a suo tempo, da Saddam Hussein. L’esercito israeliano sarà anche “il più virtuoso al mondo” come afferma Netanyahu ma certamente ha il grilletto molto facile.

2. L’altro giorno Benjamin Netanyahu, in diretta tv, con la massima esposizione mediatica possibile, ha accusato l’Iran di aver mentito sul proprio programma nucleare e di stare preparando almeno quattro o cinque bombe Atomiche della stessa potenza di quelle che gli americani sganciarono su Hiroshima e, tre giorni dopo, su Nagasaki. Ha anche affermato di essere in possesso di oltre 55 mila pagine di documenti che lo provano. E ha subito trovato una sponda nell’amico di sempre, gli Stati Uniti. In realtà è proprio Netanyahu a raccontar frottole che sono state subito smentite dall’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) i cui ispettori fanno la spola fra Vienna e Teheran e hanno sempre constatato che nelle centrali iraniane l’arricchimento dell’uranio non supera il 20% che è quanto serve per gli usi energetici, civili e medici del nucleare (per arrivare all’Atomica l’arricchimento deve essere del 90%). Questo il comunicato dell’Aiea che, in materia, è la fonte più autorevole dato che i suoi ispettori fanno le verifiche sul campo: “Non abbiamo alcuna indicazione credibile di attività in Iran attinenti allo sviluppo di un ordigno nucleare dopo il 2009”.

È grottesco, se non fosse inquietante, che uno Stato come Israele, che non ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare, che ha la Bomba, anche se non lo dice ma, per buona misura, fa sapere, ne accusi un altro, l’Iran, che questo Trattato ha sottoscritto e accetta da sempre le ispezioni dell’Aiea.

Ma anche se l’Iran, in linea puramente ipotetica, volesse farsi l’Atomica non sarebbe uno scandalo circondato com’è da potenze nucleari come lo stesso Israele, il Pakistan e la non lontana India. L’Atomica, è ovvio, serve solo da deterrente, come dice la logica e anche l’esempio del dittatore coreano che si è salvato semplicemente dimostrando di averla e, a contrario, i casi di Saddam Hussein e Muammar Gheddafi che sono stati eliminati provocando il caos mediorientale e libico che tutti abbiamo sotto gli occhi.

3. Gli israeliani hanno effettuato una decina di raid missilistici su postazioni iraniane in Siria. Gli ultimi due, nella notte di domenica scorsa, hanno provocato almeno 40 vittime. Certo le milizie iraniane sono fuori dal proprio territorio col pretesto di combattere l’Isis che è diventato il passepartout per ogni sorta di nefandezze, turche, russe, americane e, appunto, iraniane. Ma Israele ha il diritto di intervenire? Facciamo l’ipotesi opposta. Cosa succederebbe se missili iraniani colpissero ipotetiche postazioni israeliane fuori dal loro territorio? Il finimondo. La condanna e l’indignazione sarebbero unanimi e le ritorsioni, economiche e militari, immediate. Invece con Israele si sta zitti, si fa finta di non vedere, di non sapere.

4. Dal 1946 sono centinaia le risoluzioni Onu che Israele non ha rispettato. Evidentemente è legibus solutus. Fino a quando deve durare questo salvacondotto che, come scrive il lettore Mauro Chiostri, “specula sul dramma della Shoah mancando oltretutto di rispetto alle vittime innocenti che l’hanno subita”?




Non mi piacciono i popoli "Eletti da Dio"

http://www.massimofini.it/index.php?opt ... &Itemid=61

Caro Direttore,
Massimo Fini viene ospitato il 4 novembre sulla prima pagina del Gazzettino per commentare la fiaccolata in solidarietà con Israele e con i suoi usuali toni polemici e controcorrente si dichiara antisemita. La polemica è contro una stupida e ingiustificabile affermazione del portavoce della comunità ebraica di Roma che indicava come nemici di Israele e degli ebrei italiani tutti coloro che si fossero dissociati dalla manifestazione. Tuttavia le affermazioni di Massimo Fini non solo sono - come sempre nel suo stile estremo - provocatorie, ma, ahimè, veritiere. Va ad onore della sua onestà intellettuale il fatto di dichiararsi esplicitamente antisemita. A prescindere dalla polemica contingente, infatti, sono tali e tanti i momenti della carriera giornalistica di Fini caratterizzati da una costante polemica a senso unico contro Israele e contro gli ebrei, che nessuno fra i suoi numerosi lettori aveva più dubbi in proposito. Gadi Luzzatto Voghera Venezia Caro Luzzatto, mettiamo alcune cose in chiaro. Mia madre, Zinaide Tobiasz, era un'ebrea russa che ha visto sterminati tutti i suoi famigliari (genitori, sorella, fratello, zii, cugini) durante la seconda guerra mondiale. I suoi ebbero la sfortuna di trovarsi sul fronte sovietico-tedesco che fu il più feroce perché i contadini russi difesero con le unghie e con i denti la loro terra, a maggior gloria di Stalin che li aveva sterminati a milioni. Non sappiamo se i familiari di mia madre furono semplicemente vittime della guerra o anche del loro essere ebrei. Non lo sappiamo perché, dopo la guerra, i miei genitori fecero fare delle ricerche dalla Croce Rossa Internazionale, ma di quelle persone non si trovò alcuna traccia, sparite nel nulla. Per gli ebrei, che seguono la linea matrilineare, io sono quindi teoricamente un ebreo. Ma io non mi sento tale. Perché non sono stato educato in quella cultura. Mia madre fa parte infatti di quei casi - non rari - di ebrei che furono talmente choccati dalle violenze antisemite degli anni Trenta e Quaranta da rimuovere le proprie origini, anche quando, dopo la guerra, non c'erano più pericoli. Ciò dice, di per sè, della spaventosa ferocia di quelle persecuzione. È difficile quindi pensare che io non abbia sensibilità per la questione ebraica. Tuttavia non mi sento ebreo. Anche per un altro motivo. Da anarchico-individualista qual sono non mi piacciono le appartenenze appioppate dall'alto, culturali o razziali che siano. Io appartengo solo a me stesso. Per questo non mi interessa se la persona che mi sta da vanti è un ebreo, un arabo o un malgascio, mi interessa innanzitutto chi è lui come persona.(Segue a pagina 11) Dalle mie labbra e dalla mia penna non è quindi mai uscita una parola contro un ebreo o un negro o un arabo o un malgascio solo perché tale. Naturalmente posso preferire una cultura a un'altra o, da agnostico qual sono, una religione a un'altra. Non ho simpatia per "le tre grandi religioni monoteiste" perché vedo nel monoteismo la radice dell'intolleranza e del totalitarismo. Preferisco le religioni africane, che non hanno Iddii unici e, a volte, nemmeno pantheon di Dei, ma una concezione magica della vita e della natura e spiritualizzano anche la materia laddove noi occidentali, nel solco del pensiero giudaico-cristiano, poi secolarizzato dall'Illuminismo, abbiamo finito per materializzare anche l'uomo. Ancor meno mi piace che un popolo si consideri "eletto da Dio" perché vi trovo, in nuce, le radici di quel razzismo di cui poi proprio gli ebrei sarebbero stati così atrocemente vittime. Se esistono popoli "eletti" vuol dire che gli altri, i "non eletti", sono inferiori. Quando sento parlare di "popoli eletti" e di "razze superiori" mi vengono i brividi. La sua affermazione che criticare Israele vuol dire, per ciò stesso, essere antisemiti, è inaccettabile. Perché significa impedire la critica a uno Stato e alla sua politica sotto il ricatto morale dell'antisemitismo. Israele non è il Male, come pensa il presidente iraniano, ma non è nemmeno il Bene. È uno Stato come gli altri verso il quale si deve poter conservare il diritto di critica. Trovo inaccettabile l'eterno ricatto morale che, oggi, viene fatto per cui Israele dovrebbe godere di un trattamento di privilegio in ragione dell'Olocausto. Lo trovo inaccettabile e oltraggioso. Oltraggioso per quei sei milioni di ebrei morti e oggi strumentalizzati per ragioni che con la loro tragedia non hanno più nulla a che fare. Massimo Fini



FINI MASSIMI

Niram Ferretti
23 marzo 2023

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Su quel giornale pattumiera che è il Fatto Quotidiano, Massimo Fini scrive un pezzo dedicato al fascismo in cui, a un certo punto, tira in ballo gli ebrei, esibendo il vecchio campionario dell'antisemitismo complottista derivato dai Protocolli (gli ebrei signori del capitale e manovratori della finanzia mondiale) e dell'antisemitismo attuale mascherato da antisionismo (gli ebrei che praticano il genoicidio dei palestinesi e si divertono in particolar modo a uccidere i bambini).
Marco Travaglio, direttore del giornale, pubblica il pezzo, ma si riserva di intervenire dissociandosi, anche se, sicuramente, non gli piace il governo "fascistoide" attuale che governa in Israele.
Da anni il Foglio Quotidiano offre su Israele la vulgata abituale, quella mutuata dalla propaganda araba anche se Travaglio si dichiara "amico" dello Stato ebraico ("Con amici così chi ha bisogno di nemici?").
Massimo Fini è un caso umano. Ebreo della schiatta di quelli che detestano la propria origine (alla Otto Weininger per intenderci, non possedendone però l'intelligenza), ha sempre cercato, tutta la sua vita, di affermarsi come intellettuale maledetto, restando sempre tuttavia nelle retrovie. Gli sarebbe piaciuto essere un Pasolini di destra, ma la sorte gli ha negato questo ruolo confinandolo in quello assai più angusto di Fini Massimo.



Ebrei e non più ebrei che odiano gli ebrei e/o Israele
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2469
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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » gio feb 04, 2021 10:40 pm

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