Ricordare o negare gli ebrei morti e maltrattare quelli vivi uccidendoli di nuovo, no grazie!Io preferisco amare e stare con gli ebrei vivi e la loro terra di Sion Israele
viewtopic.php?f=197&t=2894 https://www.facebook.com/permalink.php? ... 7003387674L'uso improprio e criminale dell'Olocausto per colpevolizzare e demonizzare l'EuropaL'abuso dell'Olocausto per demonizzare l'Europa e le destre
La Shoà è una immane e terribile tragedia umana a danno degli ebrei di ieri, il cui ricordo non è monopolio degli ebrei di sinistra e delle sinistre (che si credono e che si fanno passare per campioni della lotta all'antisemitismo perché la sinistrità del passato era per lo più antisemita e ancora oggi lo è nella sua versione moderna di antisionismo/antisraelismo dove si concentrano e vivono la maggior parte degli ebrei del Mondo) e non può essere da loro strumentalizzata per dare contro alle destre (che in maggioranza non sono antisemite, antisioniste e antisraeliane) e per dare contro agli italiani, agli europei e agli statunitensi che difendono i loro diritti umani naturali e universali e i loro diritti civili e politici.
Oggi a difendere gli ebrei vivi del Mondo e di Israele sono più le destre che le sinistre, anche se vi sono impropriamente tra loro delle frange minoritarie però di origine sinistra come quelle fascista e nazista (la cosidetta destra sociale, social nazionalista) che sono demenzialmente, tradizionalmente profondamente antisemite e antisraeliane come lo sono anche le sinistre e le demo sinistre.
L'uso improprio e criminale o abuso dell'Olocausto per colpevolizzare e demonizzare l'Europa e gli europeiviewtopic.php?f=205&t=2888 https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 6124104303 No all'uso improprio o abuso dell'Olocausto per colpevolizzare e demonizzare gli europei e i tedeschi di oggi che sono innocenti e che non hanno alcuna responsabilità per i fatti tragici del passato,
e per colpevolizzare e mostrizzare le destre, in particolare quelle identitarie, nativiste e civiliste,
no all'uso demenziale dell'Olocausto per negare l'esercizio dei diritti umani, civili e politici degli europei e dei tedeschi nei loro paesi e per impedir loro di difenderli civilmente e politicamente.
La demonizzazione di chichessia, basata sulla calunnia è un crimine e se riguarda un popolo intero come gli ebrei o i popoli di un continente come l'Europa è un crimine contro l'umanità e riproduce la illogicità primitiva del capro espiatorio che assorbe magicamente il male e su cui si fanno convergere tutti i mali del mondo per allontanarli da sé e la strumentalizzazione politica di questa illogicità primitiva da parte delle comunità umane, delle loro religioni, delle loro ideologie politiche, dei loro stati.
Se questo uso improprio o abuso dell'Olocausto, è ideologicamente e politicamente strumentale a negare e impedire agli europei (tra cui molti cittadini anche di etnia o di religione ebraica) l'esercizio dei loro diritti umani, civili e politici diventa un crimine intollerabile e da perseguire in ogni modo.
Un fantasma si aggira per l’Italia: il rossobrunismoSteven Forti
20 Settembre 2018
https://www.rollingstone.it/politica/un ... /#GalassiaS'avanza una strana sinistra anche da noi: sovranisti, pro-Putin e contro Stati Uniti, immigrazione ed Europa. Indagine sulla sinistra populista alle vongole (e i loro amichetti di Casa Pound)
Alberto Bagnai, Stefano Fassina, Diego Fusaro, Simone Di Stefano e Giulietto Chiesa
Sempre di più si parla di rossobrunismo. È un fantasma ormai che si aggira per l’Europa. E ovviamente anche per l’Italia, il cui contesto politico, soprattutto dopo la formazione del governo Lega-M5S, non può che favorire la diffusione di idee di questo tipo. Gli si dedicano articoli su giornali, riviste e pagine web. E il termine è molto presente sui social, anche se molti soggetti definiti come rossobruni, smentiscono o non accettano tale etichetta. Ma di cosa stiamo parlando in realtà? Perché questo è il nocciolo della questione.
In realtà il rossobrunismo è un magma piuttosto indistinto in cui entrano in gioco diversi ambiti politici che condividono, a volte senza ammetterlo, alcune idee di fondo: il sovranismo, la lotta alla globalizzazione e al capitalismo, l’astio nei confronti della sinistra socialdemocratica, la critica serrata all’Euro e all’Unione Europea, un marcato anti-americanismo, la simpatia per la Russia di Putin, la condanna del cosiddetto buonismo della sinistra, soprattutto su temi quali l’immigrazione, la critica più o meno serrata del femminismo, della teoria gender o delle lotte LGTBI.
A monte c’è l’idea di un socialismo nazionale, che beve da teorizzazioni ed esperienze degli anni interbellici e che ha vissuto diversi aggiornamenti negli ultimi settant’anni. Si tratta di quella fusione di socialismo e nazionalismo che aveva avuto nel sindacalista rivoluzionario Georges Sorel uno dei suoi mentori; una fusione rivendicata poi dallo stesso Mussolini che aveva affascinato non pochi dirigenti politici e intellettuali di sinistra tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale: da Nicola Bombacci a Ottavio Dinale, da Curzio Malaparte a Edmondo Rossoni, giusto per rimanere in Italia. Il fascismo, in parole povere, come vera realizzazione del socialismo. Dopo la Seconda Guerra Mondiale ci sarebbero stati i gruppuscoli post-fascisti di Terza Posizione, l’esperienza sui generis dei nazimaoisti, il pensiero filosofico di Costanzo Preve e un largo eccetera. Sembrava cosa del passato, ma così non è. Quando ci si trova in una situazione di crisi – politica, economica, culturale, di valori – o di cambi epocali, come nell’attualità, il rossobrunismo, più o meno dichiarato, ritorna di moda.
La galassia rossobruna
La copertina de ‘Il primato nazionale’, il giornale di Casa Pound, dedicata a George Soros
Non è facile delimitare quest’area politico-culturale. I suoi confini sono piuttosto labili. Certo, ancora non esiste un movimento rossobruno tout court, e forse mai esisterà. Esistono però alcuni gruppuscoli, spesso derivati o riciclati del post (o neo) fascismo e altre volte realtà che si definiscono “né di destra né di sinistra”, che sono il cuore di questa galassia. È forse questa l’immagine più precisa per rappresentare quest’area: una galassia. Con un “sole” centrale, non troppo grande in realtà, rappresentato da gruppuscoli, giornali, case editrici, pagine web e Facebook. E poi una serie di pianeti che gli girano attorno, a volte coscienti di far parte di questa galassia, a volte attratti senza rendersene conto. E, infine, ci sono le irradiazioni di queste idee che giungono fino a ambienti politici e culturali inaspettati. Senza contare ovviamente l’influenza che hanno nella società e negli elettori.
Al centro della galassia rossobruna ci sono realtà come L’Intellettuale dissidente, una rivista online nata del 2012, la cui redazione, diretta da Sebastiano Caputo, è formata da millenials infatuati da figure eterodosse quali Malaparte – a cui dedicano addirittura una web radio – o lo scrittore francese Pierre Drieu La Rochelle, che finirà a collaborare con i nazisti. Ma poi, giusto per citarne alcuni, troviamo il circolo Proudhon, Azione Culturale, il sito L’Antidiplomatico – vicino ai 5 Stelle – o La Via Culturale, che si definisce “pagina di satira e approfondimento politico” diretta da Alessandro Catto, blogger de Il Giornale e autore del libro Radical chic. Conoscere e sconfiggere il pensiero unico globalista. Giusto per avere un’idea: la pagina Facebook de L’Intellettuale Dissidente ha 93mila follower, quella de L’Antidiplomatico 94mila e quella de La Via Culturale quasi 30mila. Non molti, ma nemmeno pochi. E i follower sono aumentati esponenzialmente negli ultimi tempi.
Realtà di questo tipo non sono una novità. Sono sempre esistite. Quel che è cambiato è che non stampano più una rivista in qualche scantinato, non fanno più riunioni a cui partecipano appena qualche decina di persone e non cercano più di diffondere il loro pensiero solamente con la vecchia tecnica del bouche-à-oreille, ma utilizzano intelligentemente le reti social e riescono a convertirsi in influencer, nascondendosi sotto l’etichetta dell’essere “indipendenti”. Non vincolati a nessun partito. Né di destra, né di sinistra, appunto. E, per di più, criticando il politcally correct, concepito come una specie di dittatura che proibisce la libertà di espressione. Come ha messo in luce lo storico spagnolo Francisco Veiga, la nuova estrema destra utilizza gli strumenti del ’68 per presentare il proprio discorso come eterodosso, antisistema, controcorrente.
Basti pensare al comico francese Dieudonné, che appoggia il Front National difendendo posizioni antisemite e negazioniste. La provocazione e il politicamente scorretto è la base anche di gran parte del rossobrunismo nostrano.
In questa galassia troviamo poi figure eccentriche, ed egocentriche, come Diego Fusaro, professore di Storia della Filosofia presso l’Istituto Alti Studi Strategici e Politici (IASSP) di Milano. Allievo di Preve e Gianni Vattimo, studioso di Hegel, Marx, Gramsci e Koselleck, autore di diversi saggi pubblicati da Bompiani, Feltrinelli e Einaudi, Fusaro è una figura mediatica che fa l’anti-sistema nei salotti buoni. Si definisce un pensatore marxista, ma la sua deriva – sempre che ci sia stata un’evoluzione nel suo pensiero – lo ha portato a collaborare nei mesi scorsi con il settimanale di Casa Pound, Il Primato Nazionale, oltre a partecipare a diversi incontri organizzati dai “fascisti del Terzo Millennio”, tra cui la recente festa nazionale del partito a Grosseto (Fusaro è un po’ il principale divulgatore del rossobrunismo che cerca legittimità a sinistra per togliersi di dosso la patina neofascista. Nei suoi scritti e nelle sue esternazioni c’è quel mix di sinistra nazionale e destra sociale, giustificata dal fatto che destra e sinistra sono ideologie superate e dall’esistenza di un nemico comune: il mondialismo. Si aggiungano le dure critiche alla teoria gender e l’appoggio al movimento no Vax, un po’ di complottismo e dietrologia, e abbiamo gli ingredienti principali del rossobrunismo.
Tra Dugin e Bannon
(???) Steve Bannon (???)
Ma c’è molto altro, in realtà. Parecchie figure che orbitano ormai anche loro in questa galassia. L’economista Alberto Bagnai, che criticava da sinistra l’Euro, ora siede negli scranni della Lega di Salvini. Giulietto Chiesa, storico corrispondente dell’Unità da Mosca, ha partecipato nella sede romana di Casa Pound alla presentazione dell’ultimo libro del filosofo russo Aleksandr Dugin dedicato a Putin.
«Ho accettato l’invito di Casa Pound perché è il momento di rompere gli schemi. Dobbiamo guardare la realtà da diversi punti di vista. Adesso siamo dentro il cambiamento che richiede un cambio di vocabolario. Il populismo è la liberazione. Se i grandi possono fare molte cose brutte, i piccoli se si mettono insieme possono fare delle cose straordinarie», avrebbe dichiarato Chiesa stando al resoconto de Il Primato Nazionale. Alto contro basso, antiestablishment contro establishment, sovranismo contro europeismo, in sintesi. La vecchia divisione destra-sinistra non esisterebbe più. Pochi giorni prima, nella presentazione milanese del libro di Dugin, c’era, guarda caso, proprio Diego Fusaro.
Cos’hanno in comune Casa Pound e Giulietto Chiesa? La lotta contro la globalizzazione, senza dubbio, un certo spirito anticapitalista e l’essere anti-americani e filo-russi. La geopolitica ha giocato un ruolo chiave nella conformazione di questa galassia: la guerra in Siria, quella in Ucraina, l’intervento occidentale contro Gheddafi in Libia… Non manca neppure quel fascino per l’uomo forte: da Putin, ovviamente, ad Assad, ma anche – perché no, in fin dei conti? – Trump e lo stesso Salvini. Non si dimentichi l’influenza del pensiero di Dugin, ex leader del Partito Nazionale Bolscevico, che ha aggiornato la teoria dell’eurasianismo. La Russia di Putin non è l’URSS, ma per alcuni vecchi comunisti gli assomiglia.
Ma non si perdano di vista nemmeno le reti internazionali che si sono andate creando. E che rompono apparentemente le logiche destra-sinistra. È un caso che il principale libro di Dugin, La quarta teoria politica, sia stato tradotto in inglese dalla moglie di Richard Spencer, uno dei maggiori esponenti della Alt-Right statunitense? Si metta in questo calderone anche l’instancabile Steve Bannon, ex consigliere di Trump, ex direttore del portale di estrema destra Breitbart News e ora fondatore di The Movement, piattaforma che vorrebbe unificare i partiti europei di estrema destra in vista delle elezioni della prossima primavera. Da mesi Bannon, che apprezza Dugin, gironzola per il Vecchio Continente e si riunisce con Marine Le Pen e Salvini. Bannon non è rossobruno, ma semplicemente di estrema destra, razzista e xenofobo. Ha capito però che per far uscire dal ghetto l’estrema destra bisogna rafforzare un discorso sociale, sempre ben infarcito di fake news, magari con l’aiutino di metodi illegali, vedasi lo scandalo di Cambridge Analytica. (???)
Che è poi quel che ha fatto Salvini, lepenizzando la Lega di Bossi e Maroni, e utilizzando a man salva i social grazie a Luca Morisi, come ha spiegato l’ex hacker Alessandro Orlowski in una recente intervista per Rolling Stone. In realtà, Casa Pound lavorava da tempo in questa direzione: basti vedere l’uso che veniva facendo di molte delle icone e dei simboli della sinistra, risignificando la loro traiettoria e decontestualizzando i loro discorsi. Da Gramsci a Che Guevara, da Pasolini a Thomas Sankara. Perfino Sandro Pertini. Un’operazione su cui insiste costantemente il cuore della galassia rossobruna, come hanno spiegato Mattia Salvia e Alberto Prunetti che considera il rossobrunismo né più né meno che una forma di Ur-Fascismo, prendendo a prestito il concetto coniato da Umberto Eco, ossia un “fascismo profondo”.
Attrazione fatale
Fossero solo questi ambienti a finire nelle fauci del rossobrunismo sarebbe preoccupante, ma comunque un fenomeno ancora abbastanza limitato. Il problema è che sono sempre di più i settori che nella sinistra europea – come descrive bene Guido De Franceschi – sono attratti da un certo nazionalismo. O che giochicchiano con un discorso identitario: la scissione di Wagenacht nella Linke tedesca, le uscite di Mélenchon, le esternazioni di Anguita, Monereo e Illueca in Spagna, le ambiguità di Corbyn in Gran Bretagna, il partito fondato dall’ex presidentessa del Parlamento greco durante il primo governo di Alexis Tsipras, Zoe Konstantopoulou, il nuovo progetto degli ex PD Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre “Patria e Costituzione”.
Che lo facciano per tatticismo o per convinzione non è dato sapere. Forse un po’ dell’uno e un po’ dell’altra. L’analisi di fondo sarebbe che, visto che l’estrema destra guadagna consensi nelle classi lavoratrici, l’unica maniera per bloccarne l’espansione è “adottare” parte del suo discorso. Ecco allora il richiamo alla patria, alla nazione, all’identità. Il tutto condito da un’opposizione senza se e senza ma all’Euro e all’Unione Europea, causa di tutti i mali, e da una tergiversazione del pensiero di Marx sul tema dell’immigrazione, che porta alcuni a vedere di buon occhio il governo giallo-verde. Citando senza saperlo proprio Fusaro, molti di questi esponenti della sinistra radicale – in Italia senza partito ormai – considerano gli immigrati come un “esercito industriale di riserva” che ruba il lavoro ai connazionali. Vedansi, ad esempio, le dichiarazioni di Ugo Boghetta dirigente di Rifondazione Comunista. A monte c’è l’idea che sia tutta una strategia del grande capitale finanziario. Ecco di nuovo il “mondialismo”.
Ma in fin dei conti non si rendono conto – o forse sì? Il che sarebbe ancora più drammatico – che questa lettura si sposa bene con la teoria della “grande sostituzione”, formulata dallo scrittore francese Renaud Camus e diffusa dalla Nouvelle Droite di Alain De Benoist. Secondo questa teoria, che aggiorna in realtà la bufala del fantomatico piano Kalergy, i migranti che arrivano in Europa non sono altro che una strategia del grande capitale per sostituire nel giro di una generazione la popolazione europea con persone provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa. Camus arriva a parlare di islamizzazione dell’Europa e di genocidio bianco, per intendendersi.
Ma ormai queste idee non sono più rinchiuse solo in ambienti della destra ultra. Le ha sposate pure Salvini, come si vanagloriava Il Primato Nazionale. Basti leggere questa dichiarazione dell’attuale ministro dell’Interno: “Sono sempre più convinto che sia in corso un chiaro tentativo di sostituzione etnica di popoli con altri popoli. Questa non è un’immigrazione emergenziale ma organizzata che tende a sostituire etnicamente il popolo italiano con altri popoli, lavoratori italiani con altri lavoratori”.
Ma a parlare dei no borders come “una foglia di fico dei liberisti progressisti” e di “un’opposizione antitaliana con la quale non vogliamo avere niente a che fare” che “cerca di rifarsi una verginità a piazza San Babila o sul molo di Catania senza fare autocritica” non è solo Il Capitano (cit. Luca Morisi). È l’ex PD D’Attorre. Queste le sue parole durante la presentazione di “Patria e Costituzione” lo scorso 8 settembre.
L’attrazione nazionalista è enorme, non c’è dubbio. La storia dell’Otto e del Novecento ne è una prova. La sua capacità di sostituire la logica che un tempo si sarebbe detta di classe è immensa. Neofascisti che utilizzano un linguaggio di sinistra per guadagnare consensi tra le classi lavoratrici. Finti eterodossi che fanno un cocktail di parole di destra e di sinistra. Settori della sinistra che adottano slogan dell’estrema destra, declinandoli marxisiticamente. È proprio qui dove percepiamo tutta l’influenza del rossobrunismo, il fantasma che si aggira pericolosamente in Italia e in tutta Europa.
L’antisemitismo di sinistra che la sinistra non sa riconoscereÈ evidente che la lotta all'antisemitismo sia utilizzata da Salvini in chiave strumentale e giustissimo è stigmatizzare l'ipocrisia del leader leghista. Ma la sinistra, per essere credibile su questo terreno, dovrebbe iniziare a riconoscere e combattere l'antisemitismo che serpeggia silenzioso nelle sue stesse file.
di Matteo Gemolo
24 gennaio 2020
http://temi.repubblica.it/micromega-onl ... conoscere/Per capire il perché Matteo Salvini si sia ritrovato settimana scorsa a dibattere pubblicamente di antisemitismo nell’inusuale contesto istituzionale della sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, affiancato da intellettuali conservatori stranieri, ricercatori ed ambasciatori dobbiamo fare un passo indietro e guardare all’Europa degli ultimi anni.
Allo stato attuale, 70 membri del moribondo partito Laburista inglese sono indagati dalla Commissione per l’Uguaglianza e Diritti Umani per antisemitismo. A discorsi politicamente legittimi e di critica al governo israeliano si intrecciano affermazioni dal sapore sovversivo e apertamente intollerante come “vorrei tanto essere il presidente dello Stato di Israele. Hanno un bottone per autodistruggersi, vero?” pronunciate da Ali Milani, ex-candidato laburista nel collegio di Uxbridge e South Ruislip e proposte quanto meno imbarazzanti come quelle di “ricollocare Israele negli Stati Uniti” per risolvere “il conflitto arabo-israeliano”, rivendicate da Naz Shaha, altra parlamentare Corbynista.
Nel luglio del 2019, la BBC si fa autrice di un documentario dal titolo incendiario “Il partito laburista è antisemita?” in cui vengono raccolte le testimonianze di otto ex-dirigenti e impiegati Labour che denunciano l’“insopportabile” atmosfera negazionista all’interno del proprio partito in merito a questioni legate all’antisemitismo e a presunti legami tra la cerchia di Corbyn, Hamas, Hezbollah e la fratellanza musulmana. Sempre nello stesso periodo, viene pubblicata una lettera aperta su The Guardian a firma di una sessantina di deputati laburisti che denunciano il proprio leader con argomentazioni simili. Un parricidio?
La convergenza tra sinistra anti-capitalista/anti-imperialista à la Corbyn e nuove forme di antisemitismo subdolo e silenzioso sembra non arrestarsi ai confini naturali della Manica.
Nell’analizzare la débâcle laburista nelle elezioni nazionali del 2019, Jean-Luc Mélanchon, leader francese de La France Insoumise ricicla l’argomento delle Epistole di San Girolamo del dum excusare credis, accusas (mentre credi di scusarti, ti accusi) incolpando Corbyn di aver dimostrato “debolezza” e generato “allarme tra le fasce più deboli del proprio elettorato” per il solo fatto di essersi confrontato e poi “scusato” con chi accusava il suo partito di non aver vigilato a sufficienza in merito a ripetuti episodi di antisemitismo: ci sono numerosi testimoni che riportano quanto fosse frequente sentire alle riunioni di partito espressioni come: “Zio scum” (feccia di sionista), “l’unica ragione per cui abbiamo prostitute a Seven Sisters è perché ci vivono degli ebrei” e “Hitler was right.” Per Mélanchon, meglio avrebbe fatto il leader laburista ad ignorare completamente il grido d’allarme lanciato dal capo rabbino inglese Ephraim Mirvis dalle colonne del Times alla vigilia delle elezioni nazionali britanniche e passare all’incasso elettorale.
Come spiegarsi dunque la sconfitta di Corbyn? Semplice: una macchinazione messa in atto da una fitta rete di lobby politico-mediatiche legate a Likud, il partito nazionalista liberale del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Quest’interpretazione, promossa da Mélanchon e sposata da tanti altri a sinistra, sembra fare pericolosamente da specchio alle teorie complottistiche demo-pluto-giudaico-massoniche (e chi più ne ha più ne metta…) di stampo fascista del secolo scorso. La cosa più grave è che questo approccio esclude aprioristicamente la possibilità che anche a sinistra si possano infiltrare forme occulte e subdole di antisemitismo.
Ma non è di certo una novità. In molti ambienti pseudo-progressisti questo genere di convinzione si salda alla perfezione con un’altra apodittica certezza: quelli pericolosi ed illiberali sono e saranno sempre dall’altra parte. Ce lo confermano quelli de Il Manifesto che scrivono con fervore: “i conservatori (inglesi) hanno sì il razzismo iscritto razzisticamente nel proprio Dna politico e sguazzano nell’islamofobia come tutte le destre fasciste…”, aggiungendo con deferenza religiosa: “Corbyn, un leader politico la cui militanza antirazzista nessun altro deputato di Westminster può vagamente pareggiare.”
E tornando all’Italia, ecco che ci ritroviamo in queste settimane al cospetto di un Matteo Salvini inedito che discute con opportunismo e fiuto politico eccezionale di antisemitismo, di fatto monopolizzando la conversazione su questioni che fino all’altro ieri sembravano del tutto ininfluenti: esiste un qualche legame tra sinistra ed antisemitismo? Quali sono le differenze sostanziali tra antisionismo ed antisemitismo? Esistono forme di antisemitismo diverse da quelle fascistoidi del secolo scorso? Questioni serie e che sono ormai da decenni dibattute in Europa da intellettuali, accademici e giornalisti provenienti da tutte le culture politiche.
E di fronte a questi interrogativi come reagisce parte della stampa italiana? Semplice: facendo la solita deleteria e controproducente (ormai la storia recente lo ha dimostrato) caricatura al cazzaro verde. “Salvini: l’antisemitismo in Italia? Colpa degli immigrati” si legge con incredibile spirito di sintesi su La Stampa; oppure “Salvini organizza un convegno sull’antisemitismo per prendersela coi migranti” titola Linkiesta.it.
Intendiamoci: fare la parodia al discorso del leader della Lega è facile. Troppo facile. Il suo linguaggio volutamente semplicistico e strumentale si autodenuncia da solo per quel che è: un tentativo prevedibilissimo di allinearsi alle destre conservatrici occidentali – quelle che riescono a vincere le elezioni e a governare paesi ben più complessi e dal peso internazionale ben più rilevante del nostro, come Regno Unito e Stati Uniti d’America.
Ma l’elemento di novità di queste settimane è un altro: Salvini ha finalmente capito che per trasformare il Carroccio da partito populista di protesta - abituato a tessere relazioni ambigue e controproducenti con movimentucoli neofascisti locali dallo scarso impatto elettorale - a forza di governo, deve circondarsi di “menti” esterne che contribuiscano con “argomenti” spendibili dal punto di vista intellettuale a realizzare quella mutazione genetica a cui il suo partito aspira da tempo e che gli garantirebbe un posto di tutto “rispetto” sul piano internazionale. Ed è così che tra un rigurgito al Mojito, i “bacioni” alla sinistra e i “bacini” al rosario, Salvini si ritrova per la prima volta supportato da intellettuali e pensatori appartenenti ad una destra conservatrice moderata, tutti provenienti da fuori Italia, pronti a dibattere in un contesto altamente istituzionale argomenti sui quali tra le file della sinistra italiana purtroppo sono ancora in molti a tacere. “Le nuove forme dell’antisemitismo” del 16 gennaio scorso segna il via a questo percorso di lifting intellettuale a cui si vuole sottoporre il Carroccio, a cui seguirà a breve un'altra conferenza intitolata “National Conservatism. God, Honor, Country: Presitdent Ronald Reagan, Pope John Paul II, and the Freedom of Nations”, che si terrà al Grand Hotel Plaza di Roma il 4 febbraio prossimo e che vedrà come ospiti anche il primo ministro ungherese Vicktor Orban.
Cosa ribattere dunque ad un discorso articolato come quello di Douglas Murray (autore tra i vari del best-seller “La strana morte dell’Europa: immigrazione, identità e Islam”) che da anni parla di antisemitismo di matrice religiosa? Come reagire di fronte a chi come Ramy Aziz (ricercatore egiziano copto e analista politico del Middle Eastern Affairs Journal) e Dore Gold (presidente del Jerusalem Center for Public Affairs) porta avanti una perorazione che tende ad erodere la già precaria e sottile linea di confine che vi è tra una legittima critica alle politiche governative israeliane e la negazione del diritto al popolo ebraico all’autodeterminazione?
Al di là dell’evidente uso strumentale che Salvini fa di questi argomenti, mescolando con una certa abilità la proposta di vietare per legge il Bds (boicottaggio dei prodotti provenienti da Israele) con il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Isreale (seguendo la lezione di Trump), cos’altro hanno da dire gli intellettuali di sinistra di fronte all’emergere di effettive nuove forme di antisemitismo? Basterà affermare che non esistono perché a parlarne è Matteo Salvini?
Chiunque sia genuinamente interessato a comprendere le cause dell’aumento esponenziale degli attacchi antisemiti degli ultimi decenni in Occidente dovrebbe compiere prima di tutto un gesto di onestà intellettuale: spogliarsi per un istante della propria casacca ideologica, allontanarsi dallo specchio su cui le stesse idee trite e ritrite si riflettono narcisisticamente da decenni e confrontarsi con i dati che provengono dal mondo reale.
L’Alto commissario delle Nazioni Unite (UNHCHR) riporta che gli atti antisemitici in Francia nel 2018 sono aumentati del 74% rispetto al 2015. Il numero delle minacce antisemite sono anch’esse in crescita del 67% e fanno riferimento a 358 incidenti registrati nel 2019 (comprendenti insulti orali e scritti, email di minaccia, graffiti, svastiche ecc.) rispetto ai 214 riportati del 2017. Sul suolo francese sono ancora 824 gli istituti ebraici sotto sorveglianza militare e poliziesca. Ancora più preoccupante appare la situazione in Francia se prendiamo in considerazione un ulteriore dato: rispetto alla tendenza generale che vede diminuire gli attacchi a sfondo raziale (scesi del 4,2% secondo DILCRACH, la Delegazione interministeriale alla lotta contro razzismo, antisemitismo e omofobia) e quelli di matrice anti-musulmana (il 2018 registra il livello più basso di attacchi contro cittadini di fede islamica dal 2010), gli atti antisemiti rappresentano più della metà, il 55%, di tutti gli atti violenti a sfondo razzista registrati nel 2018, a discapito del fatto che la comunità ebraica francese costituisca meno dell’1% della popolazione totale.
In Germania la situazione è altrettanto allarmante. Secondo l’Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) gli attacchi antisemiti hanno raggiunto un totale di 1.799 unità rispetto alle 1.239 del 2011. Le statistiche della polizia attribuiscono l'89% di tutti i crimini antisemiti tedeschi agli estremisti di destra, ma i membri della comunità giudaica descrivono un’altra realtà: secondo un’indagine dell’Unione Europea, il 41 % degli intervistati afferma che gli attacchi degli ultimi anni siano fondamentalmente di matrice islamica. Un'indagine della Anti-Defamation League sembra confermarlo, riportando un inquietante dato: il 56 % dei musulmani in Germania nutre atteggiamenti apertamente antisemiti, rispetto al 16 percento della popolazione complessiva.
Individuare le diverse radici ideologiche, politiche e religiose di questo sentimento crescente d’odio e pregiudizio nei confronti dei nostri concittadini ebrei è tanto fondamentale quanto urgente. Molti osservatori, non tra gli ultimi l’Agenzia tedesca per la sicurezza interna, hanno iniziato ad allargare il proprio campo d’indagine anche a fette della popolazione di confessione musulmana, dando risposta concreta al timore largamente diffuso all’interno della comunità ebraica rispetto a quel fenomeno noto come "antisemitismo d’importazione" che si affianca a quello del tutto locale d’origine neonazista. Dal 2015 in avanti, la crescente presenza di rifugiati provenienti dalla Siria e dall’Iraq ha allarmato molti ebrei in Germania che già si percepivano minacciati su due fronti opposti: da un lato, dall’avanzata della destra nazionalista dell’Afd, dall’altro da una più generale atmosfera d’intolleranza alimentata a distanza dal conflitto israelo-palestinese, soprattutto a partire dalla Seconda Intifada di inizio anni 2000.
Un episodio su tutti: nell’Aprile del 2018, nel distretto di Prenzlauer Berg a Berlino un ragazzo israeliano di nome Adam Armoush, viene aggredito da un 19enne siriano di origine palestinese mentre passeggia con un amico indossando uno yarmulke; il siriano prende la propria cintura e frusta il ragazzo israeliano al grido di “yehudi” (“ebreo” in arabo). La scena è filmata da un testimone ed il video, diffuso sui social media, genera una tale indignazione nell’opinione pubblica internazionale che Angela Merkel si ritrova costretta pubblicamente a parlare per la prima volta di “matrice islamica” in riferimento ad un episodio di violenza antisemita.
Anche in Svezia, il numero di crimini a sfondo antisemita registrati nel 2018 ha raggiunto il record più alto degli ultimi decenni, aumentando del 53% rispetto ai dati forniti dal governo nel 2016. Nei Paesi Bassi la polizia parla di casi raddoppiati tra il 2008 e il 2018, da 141 a 284 (dati Poldis). La comunità ebraica del Belgio, che conta circa 40.000 abitanti e si divide principalmente tra la capitale ed Anversa, ha subito un numero crescente di minacce ed intimidazioni negli ultimi anni a partire dall’attentato al Museo Ebraico di Bruxelles del 2014 per mano dell’ex miliziano dell'ISIS Mehdi Nemmouch, costato la vita a quattro persone. Il rabbino capo Albert Guigui non indossa più la kippah dal 2001, a seguito di un assalto antisemita alla sua persona per mano di un gruppo di giovani magrebini. L’esibizione del copricapo tradizionale ebraico viene percepito come pericoloso da un numero crescente di ebrei europei. Nel 2014, in Danimarca una scuola ebraica di Copenaghen ha invitato i suoi studenti ad indossare cappellini da baseball sopra i loro yarmulke. Nel 2016 Tzvi Amar, presidente del concistoro israelita di Marsiglia, ha consigliato agli ebrei della sua città di adottare una simile forma precauzionale. Anche in Italia gli incidenti antisemiti si sono quasi quadruplicati passando da 16 episodi nel 2010 a 56 nel 2018 (DIGOS).
Questi dati ci insegnano tre cose. Primo: il problema dell’antisemitismo è reale, vasto e radicato. Secondo: sottovalutare l’antisemitismo per pigrizia intellettuale o presunta superiorità morale, pensandolo come un problema che non ci affligge, significa solo rendersi complici della sua diffusione. Terzo: lasciare alle destre sole il monopolio su di un argomento che è molto più complesso di quello che ci fa comodo credere, è da irresponsabili.
E per concludere, si stia certi di una cosa: la comunità ebraica se ne fa molto poco delle nostre critiche nei confronti di Matteo Salvini, se a nostra volta non dimostriamo di esser capaci di riconoscere e combattere l'antisemitismo che serpeggia silenzioso tra le nostre stesse file.