Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » gio feb 04, 2021 10:40 pm

Giulietto Chiesa


Giulietto Chiesa, il terrorismo e il complotto demoplutonazisionista
L'Informale
Matteo Gianola
15 Gennaio 2016

http://www.linformale.eu/giulietto-chie ... isionista/

Dopo i fatti di Colonia, Amburgo, Helsinki e in altre città europee a capodanno e gli ultimi attacchi terroristici sembra sempre più chiaro un coordinamento centrale di questi eventi per destabilizzare i governi Europei.
È un caso che tutto si sia svolto in centri non troppo strategici e non, invece, in piazze importanti come Londra o Roma o, ancora, a Riyad?
Assolutamente!
Il malcontento delle popolazioni musulmane è incanalato verso un avversario per riuscire a indebolirlo. Non esiste un vero “scontro fra civiltà” ma una strategia pianificata, unita a altri fatti che sono successi nel corso dell’ultimo anno, per rendere inoffensivo un rivale geopolitico importante come l’Europa.
Mentre la finanziarizzazione dell’economia spinge il controllo del mondo nelle bani delle banche, non delle multinazionali come ipotizzavano anni fa diversi scrittori di fantascienza ma di chi detiene il potere sui mezzi di pagamento e sulla mobilità dei capitali, esiste un direttorio occulto che finanzia cospicuamente terroristi e migranti nonché muove le redini degli scandali economici, come quello relativo al Dieselgate, percorrendo un progetto di egemonia politica e finanziaria del mondo.

Sono parti di servizi segreti, organizzazioni più o meno conosciute che progettano un nuovo ordine mondiale.
Tutto questo sembra un delirio?
Beh, è quello che ha affermato Giulietto Chiesa durante la puntata de La Zanzara del 13 gennaio scorso.
Incalzato da Cruciani e sbeffeggiato da Parenzo, il buon Giulietto, tra allusioni e mezze affermazioni, ha descritto come America e Israele, con l’appoggio dell’Arabia Saudita, sarebbero dietro agli sconvolgimenti che si stanno registrando nel mondo.
Ovviamente il nostro reporter d’assalto non ha voluto fare nomi precisi salvo lasciarsi andare a un attacco diretto contro i vertici israeliani e il Premier Netanyahu definendoli criminali di guerra e nazisti (!) facendo riferimento all’operazione “piombo fuso” del 2008, nonché lasciando intendere che il solito Mossad con l’ausilio, guarda caso, della CIA sarebbe il primo finanziatore del Daesh e di tutto l’apparato terroristico che sta colpendo, anche nelle ultime ore, in ogni parte del mondo.

Non è nuovo il richiamo al complotto globale per destabilizzare i governi eletti nei vari stati per portare una nuova governance mondiale con a capo un consiglio occulto di potenti, già nel medioevo si vedeva negli ebrei i nemici dell’umanità che miravano a schiavizzare mediante l’esercizio dell’usura come si può leggere anche ne Il Mercante di Venezia di Shakespeare nella figura di Shylock; lo stesso ritornello lo si poté vedere nella leggenda nera che accompagnò la repressione e la cancellazione dell’Ordine cavalleresco dei Templari, a voler ben vedere.
Nel secolo XIX, poi, con la pubblicazione in Russia dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion iniziò a circolare il mito del progetto di un gruppo ristretto di persone per conquistare il controllo del mondo intero; una storia, questa, che si novellerà regolarmente cambiando i protagonisti fino a giungere alle figure, ormai leggendarie, della Trilaterale o del Bilderberg, unite all’onnipresente Massoneria, ma è singolare che gli ebrei e lo stato di Israele siano sempre presenti all’interno di questi racconti che, anche grazie al web, sono passati dai discorsi da bar a timori e credenze radicate a livello globale.

Vero è che un discorso da bar, uno che si snodò per tanto tempo all’Hofbrauhaus di Monaco, si concretizzò in una delle più grandi tragedie che la storia ricordi ma è anche altrettanto vero che oggi migliaia di persone credano che i Rothschild controllino tutte le banche centrali mondiali e che la presenza stessa di Israele sia un fattore destabilizzante per il mondo intero, così come il piccolo stato mediorientale sia la vera superpotenza che mira alla conquista del mondo.
Non fosse per il ricordo di quello che fu, dai pogrom di mille anni fa alla Shoa, sarebbe bello ridurre le affermazioni di Chiesa a un altro capitolo delle Cronache di Cialtronia ma, purtroppo, sono fin troppi a sostenere che queste leggende, tra l’altro assai inverosimili, siano una verità assodata e chi tentasse di smentirle un agente al servizio dei potentati occulti.


GAZA E IL «DISEGNO APOCALITTICO» DI GIULIETTO CHIESA
24 luglio 2014

https://sebastianoisaia.wordpress.com/2 ... to-chiesa/

«Non perdiamo di vista il quadro. Chi muove tutte queste pedine insieme vuole andare “oltre”. L’obiettivo è la Russia. Ecco perché io occupo gran parte del mio tempo a seguire questo disastro. E l’altro obiettivo (segnatamente per Israele e l’Arabia saudita) è l’Iran. Questi due obiettivi equivalgono a un salto di qualità bellico incalcolabile. Gaza è la cartina di tornasole di un disegno apocalittico. Muoviamoci per fermarlo».

Chi, come Giulietto Chiesa, si muove sul terreno della lotta interimperialistica, e appoggia un polo imperialista (magari quello formato dalla Russia, dalla Cina, dall’Iran ecc.) contro un altro (magari quello cosiddetto “occidentale” a trazione americana) è parte integrante del denunciato «disegno apocalittico». Come altre volte detto (dal sottoscritto), per le classi dominate di tutto il pianeta si tratta di attaccare lo status quo SOCIALE, non di difendere l’attuale status quo GEOPOLITICO ovvero di crearne uno nuovo.

Pensare di poter appoggiare “tatticamente” uno dei poli imperialisti per creare i presupposti di uno sconvolgimento sociale di portata planetaria è una mera illusione, dimostrata dalla storia passata e recente, non certo dal modestissimo personaggio che scrive queste due righe. Certo, partecipando alla contesa interstatale, magari, nella fattispecie, dalla parte delle nazioni che osteggiano Israele, e che per questo spingono il «covo di briganti» (Lenin) chiamato ONU a decidere delle sanzioni contro il «piccolo Satana», può dare a qualcuno la sensazione di “fare qualcosa di concreto”, di menare le mani, di non fare solo chiacchiere (vedi sempre chi scrive); ma è appunto un’impressione che non permette di riflettere sulla cosa essenziale: fare la cosa giusta. E oggi per me fare la cosa giusta significa denunciare tutti i protagonisti statali-nazionali della contesa, grandi o piccoli che siano. Senza la famosa – ma a quanto pare poco compresa – autonomia di classe per i dominati non c’è altro “destino” che non sia la maledetta coazione a ripetere del Dominio, magari sotto il cielo di un nuovo equilibrio geopolitico.

Il «disegno apocalittico» che per me va fermato e distrutto si chiama dominio capitalistico. Continuare a surrogare la nostra attuale impotenza di dominati, una tragica realtà che va riconosciuta fino in fondo («la verità è rivoluzionaria», diceva quello), con la potenza dei dominanti, a prescindere da chi essi siano, significa rimanere intrappolati in eterno in quel maligno Disegno.


ONU: NON SI MUOVE FOGLIA CHE L’IMPERIALISMO NON VOGLIA

Si dice e si scrive: «Tutto il mondo è attraversato da guerre, piccole o grandi che siano. Ovunque si contano migliaia di morti e feriti. E l’ONU sta a guardare! Ma allora, a che serve l’ONU?» Già, a che serve questo «covo di briganti»? Non sarà che all’ONU non si muove foglia che l’Imperialismo (naturalmente a cominciare dalle Potenze maggiori: Stati Uniti, Russia, Cina, Unione europea a trazione tedesca) non voglia? Sono enigmi che mi tolgono il sonno, e pure l’appetito!
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » gio feb 04, 2021 10:41 pm

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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » ven feb 05, 2021 8:35 am

Gianni Vattimo


Dichiarazioni antisemite del filosofo Gianni Vattimo
Fonte:
Corriere della Sera
17 Gennaio 2014

https://www.osservatorioantisemitismo.i ... i-vattimo/

Il filosofo e professore emerito Gianni Vattimo, intervistato dal Corriere della Sera sul suo passaggio dall’Italia Dei Valori di Antonio Di Pietro al Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, alla domanda “La si accusa di antisemitismo. E di rivalutare il Protocollo dei saggi di Sion” risponde:

“Ho detto solo che per essere inventati, sono stati ben inventati. Quanto al resto sono antisionista, non antisemita. Lungi da me l’idea di un complotto giudaico-massonico. Credo che lo Stato di Israele sia stato l’inizio della rovina. E comunque ricordiamoci che la Federal Reserve è di proprietà di Rothschild e Rockefeller”.



L’antisemitismo di Heidegger commentato da Gianni Vattimo
Fonte:
L'Espresso
Autore:
Gianni Vattimo
Heidegger antisemita indispensabile
5 Dicembre 2014

https://www.osservatorioantisemitismo.i ... i-vattimo/

Un grande filosofo e un pensiero sotto accusa. Vattimo risponde all’intervista sui “Quaderni neri” pubblicata nel numero scorso

Dei “Quaderni neri” di Martin Heidegger è forse più interessante la storia esterna che il contenuto filosofico. Non intendo sminuire l’importanza dei testi ora pubblicati (che conosco solo attraverso la lettura di Donatella Di Cesare in “Heidegger e gli ebrei. I ‘Quaderni neri”, Bollati Boringhieri). Ma semmai sottolineare che per ora la loro importanza sembra legata non tanto a ciò che essi dicono, ma agli effetti a cui stanno dando luogo, come appunto il libro della Di Cesare. Il quale è la vera novità, il testo mai ancora scritto che, più che offrire strumenti per rileggere Heidcgger, lo illumina come un vero e proprio documento d’epoca, in cui si riassume una parte decisiva della cultura del Novecento.

Tutto si gioca intorno alla battaglia heideggeriana per il superamento della metafisica. Che egli, come si sa, concepiva come il peccato originale della civiltà occidentale, quella tendenza a identificare l’essere con l’ente, con l’oggetto, che culmina nella riduzione di tutto, compreso il soggetto umano, a «risorsa disponibile», manipolabile secondo criteri matematico scientifici, insomma nel trionfo della tecnica. Che c’entra questo con gli Ebrei? Per Heidegger, essi sono il popolo metafisico per eccellenza: sradicati da ogni rapporto con il territorio – non hanno patria, e dunque non rispondono a un destino storico – sono l’emblema della astrattezza matematica che caratterizza la razionalità moderna.

Si ricorderà qui che Di Cesare è autrice di un libro (“Israele. Terra, ritorno, anarchia”) in cui molti concetti heideggeriani sono messi a frutto in una intensa analisi dell’ebraismo, e che nessuno pensa di accostare ai “Quaderni neri” di Heidegger, «complici» di Auschwitz. Ciò che c’è di comune, però, è quello che Di Cesare illustra nel lungo excursus storico sull’antisemitismo nella filosofia europea. Molti dei terni che ricorrono in questa storia confluiscono nella visione heideggeriana. Che non risulta ovviamente legittimata da questi richiami, ma appare meno contingentemente legata al suo “nazismo”. Con l’excursus storico viene in luce la novità dello studio di Di Cesare, che produce una sorta di corto circuito: mentre si credeva che la questione fosse un modo di processare Heidegger e la sua teoria, qui siamo messi di fronte al fatto che questa teoria è solo la punta di un iceberg che galleggia da secoli nella nostra cultura.

Ma insomma, Heidegger risulterebbe così assolto dalla colpa di aver ” fiancheggiato”, per lo meno, il nazismo e Auschwitz? Ritorniamo così all’aspetto “biografico” del tema. I “Quaderni neri” sono un documento d’epoca ma anche un pezzo della biografia di un pensatore del quale la filosofia del Novecento non può fare a meno. Sul conto del documento d’epoca si deve mettere ancora il mito a cui Heidegger sembra aver ceduto: l’idea tardo settecentesca, già di Hölderlin, che la Germania, non ancora industrializzata e divisa in piccoli stati, potesse essere una nuova Grecia presocratica, quella sognata da Nietzsche, ancora immune dal razionalismo e perciò pre-metafisica.

L’errore anzitutto storico di Heidegger è stato di pensare che questa nuova Grecia potesse essere la Germania di Hitler, stretta fra il comunismo sovietico e il capitalismo anglo-americano, vista come ultimo baluardo dell’Europa umanistica. Ma più grave è stato qui l’errore filosofico di Heidegger, l’idea, contraddittoria con la sua filosofia della differenza ontologica, che potesse risorgere una civiltà pre-metafisica, come se la metafisica potesse essere davvero superata in una civiltà con la presenza dell’essere (che non può mai identificarsi con l’ente presente).

È possibile ritenere che questa auto-contraddizione sia solo una “caduta” del pensatore (che aveva vissuto gli anni drammatici di Weimar e che, anche con l’idea di Israele popolo metafisico, poteva illudersi di ridurre alla ragione filosofica l’antisemitismo hitleriano). Resta da vedere se invece proprio l’esito tragico del nazismo non costringa a rivedere persino la nozione heideggeriana di metafisica e di conseguenza tutta la sua visione della modernità.


Il delirio antisemita di Vattimo non conosce freni: “Israele peggio di Hitler”
Emanuel Baroz
18 luglio 2014
Gianni Vattimo: «Israele peggio di Hitler», sdegno della comunità ebraica
(Fonte: Il Secolo XIX, 17 Luglio 2014)

Nella foto in alto: Gianni Vattimo, uno squallido antisemita in cerca di visibilità

https://www.focusonisrael.org/2014/07/1 ... di-hitler/

vattimo-israele-hitler-nazismo-antisemitismo-focus-on-israelRoma – «Israele stato canaglia», «Israele stato nazista e fascista, peggio di Hitler». E ancora: «Ci vorrebbero più morti israeliani». Il professor Gianni Vattimo, ex parlamentare europeo, rilascia un’intervista choc a La Zanzara su Radio 24. «Andrei a Gaza – dice Vattimo ai due conduttori Giuseppe Cruciani e David Parenzo – a combattere a fianco di Hamas, direi che è il caso di fare le Brigate Internazionali come in Spagna, perché Israele è un regime fascista che sta distruggendo un popolo intero, in Spagna non era niente in confronto a questo. E’ un genocidio in atto, nazista, razzista, colonialista, imperialista e ci vuole una resistenza: ci vogliono le brigate internazionali».

Hamas, poveretti senza armi tenuti in schiavitù. «Tutta l’informazione compresa la stampa italiana piange sul fatto che c’è una pioggia di missili su Israele, ma Hamas quanti morti ha fatto? Nessuno. I poveretti non hanno armi, sono miserabili tenuti in schiavitù, come tutta la Palestina. Hanno dei razzetti per bambini, e voglio promuovere una sottoscrizione internazionale per permettere ai palestinesi di comprare delle vere armi , veri missili, e non delle armi giocattolo. L’Europa dovrebbe dare gratis le armi ai palestinesi».

Sparerei contro gli israeliani. «Sparerei contro quelli che bombardano ospedali, cliniche private e bambini sparerei, certo ma purtroppo non sono capace non avendo fatto il servizio militare. Ma imparerei volentieri per combattere contro i bastardi israeliani sionisti che non hanno niente a che fare con gli ebrei».

Peggio di Hitler. «Israele vuole distruggere definitivamente i palestinesi, è una guerra di puro sterminio. Sono peggio di Hitler perché hanno anche l’appoggio delle grandi democrazie occidentali». Davanti allo stupore di una frase del genere i conduttori chiedono spiegazioni: «I palestinesi sono stati cacciati dalla loro terra e sono vittime di un genocidio con la scusa dell’Olocausto. Stanno ripetendo l’Olocausto al rovescio, sterminando i palestinesi, in tutti i modi, gli impediscono di vivere mentre sono vivi, li rinchiudono a Gaza e poi li gasano e li bombardano».

La reazione della comunità ebraica. «Un concentrato delle più nefande illazioni – accusa Renzo Gattegna, presidente dell’UCEI (Unione Comunità Ebraiche Italiane), in una nota – che non meriterebbe risposta se attorno a queste non si costruissero, con modalità che riteniamo inaccettabili, trasmissioni di successo e molto seguite dai giovani come La Zanzara. Dal popolo ebraico che da perseguitato si sarebbe fatto persecutore all’incitamento alla violenza nei confronti dei civili israeliani, dall’utilizzo strumentale della Shoah a difesa delle ragioni dello Stato ebraico alle accuse di contiguità con il fascismo rivolte ai leader dell’ebraismo italiano: i veleni di Vattimo non solo ci disgustano ma saranno oggetto di un nostro approfondimento per un’adeguata reazione».

Dura risposta anche da parte del Presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici: “Paragone Israele-Hitler abominevole. È odio razziale”. “È una paragone abominevole, Gianni Vattimo ha trascinato nel conflitto tutti gli ebrei, come se noi fossimo gli stessi di quelli dell’epoca fascista“ aggiunge Pacifici.



L'antisemita Heidegger secondo Theodor W. Adorno: dedicato ai suoi ammiratori italiani
A cura di Diego Gabutti
Informazione Corretta
02.07.2019

http://www.informazionecorretta.com/mai ... 0&id=75131

In Italia, Heidegger è stato diffuso in Italia da Gianni Vattimo, sul cui odio per Israele invitiamo i lettori di IC a fare una ricerca nei nostri archivi, scrivendo il suo nome in home page, colonna a destra in alto. Sodale in questa diffusione è Donatella Di Cesare, la non dimenticata vice presidente della Fondazione tedesca - creata per onorare la memoria di Heidegger - che ha cancellato dal suo curriculum ogni traccia di quel suo impegno.

Th.W. Adorno (da Il gergo dell’autenticità, Bollati Boringhieri 2016)

Pericolo del pensiero sarebbe, a detta di Heidegger, il filosofare. Il pensatore autentico, diffidente di una cosa così moderna come la filosofia, scrive: «Quando nell’estate incipiente fioriscono i narcisi isolati nascosti nel prato e la rosa alpina risplende sotto l’acero (...)» oppure: «Quando sui clivi dell’alta valle, su cui passano lente le mandrie, si ode uno scampanio dopo l’altro (...)». E ancora: «Si stendono i boschi | precipitano i ruscelli | le rocce durano nel tempo | la pioggia scroscia | i campi sono in attesa | sgorgano le sorgenti | dimorano i venti | la benedizione si sofferma pensosa.» Il rinnovamento del pensiero per mezzo di un linguaggio obsoleto si conforma a quest’ultimo. L’ideale espresso è l’arcaico: «Ciò che vi è di più antico tra le cose antiche giunge al nostro pensiero da dietro e tuttavia ci viene incontro.» (…) Nel Reich di Hitler, Heidegger ha rifiutato, il che si può comprendere, una cattedra a Berlino. Egli giustificò questo rifiuto nell’articolo Perché restiamo in provincia? Con abile strategia egli indebolisce il rimprovero di provincialismo, conferendogli un significato positivo. In questi termini: «Quando in una notte fonda d’inverno una tempesta di neve infuria con i suoi colpi attorno alla baita e tutto copre e nasconde, allora il tempo è maturo per la filosofia.»

Heidegger e Hitler in una caricatura, quanto mai reale

Heidegger presuppone l’esistenza di un’armonia prestabilita tra il «contenuto essenziale» e il parlottio che rammenta la terra natia. Perciò i toni alla Jungnickel [un esponente del Kitsch tedesco] non sono amabili debolezze. Essi devono sopraffare il sospetto che il filosofo possa essere un intellettuale: «E il lavoro filosofico non si svolge come una occupazione singolare di una persona eccentrica. Esso appartiene in pieno al lavoro dei contadini.» Si desidererebbe conoscere perlomeno la loro opinione in merito. Heidegger non ne ha bisogno. Infatti, egli siede «con i contadini sulla panca accanto alla stufa durante la pausa serale del lavoro (...) oppure al tavolo nell’angolo del crocifisso e lì noi parliamo appena. Fumiamo silenziosi le nostre pipe (...) L’appartenenza intima del proprio lavoro alla Selva Nera e ai suoi uomini si basa su un insostituibile radicamento secolare nel suolo alemanno-svevo». (…) Il radicamento nel suolo si pavoneggia: «Da poco mi è stata offerta una cattedra a Berlino per la seconda volta. In una tale circostanza lascio la città e mi ritiro nella baita. Ascolto ciò che dicono le montagne, i boschi e le fattorie. Nel frattempo arrivo dal mio vecchio amico, un contadino settantacinquenne. Nel giornale ha letto che sono stato chiamato a Berlino. Cosa ne dirà? Egli poggia lentamente lo sguardo sicuro dei suoi chiari occhi sui miei, tiene la bocca rigidamente chiusa, poggia la sua mano fedele e prudente sulla mia spalla e scuote il capo in modo appena percettibile. Questo significa: inflessibilmente no!» Sia la descrizione del vecchio contadino, che l’elogio di quel mutismo riscontrato dal filosofo non solo nei suoi contadini ma anche in se stesso, ricordano i cliché più stinti dello strapaese.

I contributi apportati alla conoscenza del mondo contadino da una letteratura che non fa coro agli istinti ammuffiti del Kitsch tedesco piccolo borghese – in modo particolare quelli del realismo francese dal tardo Balzac sino a Maupassant – vengono ignorati, quantunque accessibili in traduzione anche a un presocratico. I piccoli contadini devono la loro sopravvivenza soltanto ai liberi doni di quella società dello scambio, alla quale le loro proprietà terriere riescono a sottrarsi solo in apparenza; rispetto allo scambio i contadini hanno di meglio solo una cosa ancora peggiore, lo sfruttamento immediato della famiglia, senza il quale farebbero bancarotta (…). I mestieri stabili, che sono anch’essi una fase dello sviluppo sociale, vengono usati normativamente da Heidegger ancora nel 1956 in nome di una falsa eternità dei rapporti agrari: «L’uomo tenta invano con il suo pianificare di dare un ordine al pianeta, se egli non è integrato nella parola che il sentiero di campagna gli rivolge.» (…) La filosofia che disdegna di essere tale, per sottolineare la propria diversità altrimenti inesistente rispetto alla filosofia stessa, ha bisogno a prova della sua originarietà di questo simbolo contadino di sesta mano. (Ma) il rapporto Kogon, secondo cui le peggiori atrocità nei campi di concentramento sono state compiute dai figli minori dei contadini, condanna ogni discorso sullo stare al sicuro; i rapporti agrari, che costituiscono il suo modello, spingono i figli diseredati nella barbarie. Heidegger si appropria persino del concetto di distruzione, penalizzato nei gradi inferiori, con le sue funeste implicazioni di angoscia, cura e morte. Ma come quei pupazzi che stanno sempre in piedi, il positivo ogni volta si rialza. Il pericolo, il rischio, il porsi-in-gioco e tutti i brividi relativi non sono da prendere sul serio; già a una donna della cerchia dei protoautentici, che allora disse che nei reconditi dell’inferno di Dostoevskij risplende di nuovo la luce della redenzione, fu risposto che in questo caso l’inferno assomiglierebbe ad un breve tunnel ferroviario. Gli autentici più in vista parlano malvolentieri della redenzione, come del resto anche il signor parroco; preferiscono mietere sulla terra bruciata. Essi non sono meno furbi di quella psicologia sociale che osservava che i giudizi negativi, qualunque sia il loro contenuto, hanno migliori prospettive di conferma rispetto a quelli positivi. Il nichilismo diventa una farsa, un mero metodo, come una volta era già avvenuto per il dubbio cartesiano. L’ideologia fascista dovette rimuovere dalla coscienza il sacrificio annunciato in favore del predominio tedesco, perché la chance di ottenere ciò per cui veniva richiesto era sin dall’inizio troppo piccola per reggere una tale consapevolezza. «Il sacrificio ci renderà liberi», scrisse un funzionario nazionalsocialista nel 1938, modificando polemicamente uno slogan socialdemocratico. Heidegger è d’accordo. Ancora nell’ottava edizione di Che cosa è la metafisica? – apparsa nel 1960 – egli ha mantenuto, senza attenuarne opportunisticamente i toni, le seguenti proposizioni: «Il sacrificio è il prodigarsi dell’uomo nella salvaguardia della verità dell’Essere per l'essente, prodigarsi che è sottratto ad ogni costrizione, perché sorge dall’abisso della libertà. Nel sacrificio avviene quella segreta gratitudine che, sola, consente di apprezzare la gratuità con cui l’Essere nel pensiero si è consegnato all’essenza dell’uomo.»



Vattimo
http://www.informazionecorretta.com/fin ... nd=vattimo

L'antisemita Heidegger secondo Theodor W. Adorno: dedicato ai suoi ammiratori italiani (Informazione Corretta)
Continua lo sbianchettamento del filosofo nazista Martin Heidegger (Il Fatto Quotidiano)
La lezione di Gustaw HerlingLa Stampa - Corriere della Sera
Diffamazione e odio razziale: indagato Lannutti (Corriere della Sera)
Antisemitismo e Odio per Israele: Elio Lannutti (M5S) almeno è sincero, a differenza dei leader, i suoi vangeli sono i Protocolli (Informazione Corretta)
Heidegger e l’applicazione del diritto nazista (Informazione Corretta)
Leggere i 'Protocolli dei Savi di Sion': lo consiglia Gianni Vattimo (Corriere della Sera)
Gianni Vattimo: sempre con i dittatori, gli antisemiti e gli hitleriani (Il Foglio)
Iran, il regime che piace a Vattimo: balla senza velo, 18enne arrestata (Corriere della Sera)
I due seguaci del filosofo di Hitler (Corriere della Sera)
Gianni Vattimo, sempre schierato con i dittatori (Corriere della Sera)
Contro Zygmunt Bauman (Il Foglio)
Heidegger? Un nazista antisemita, lo scrive Angelo Bolaffi (La Repubblica)
Il partito TCO: 'Tutta Colpa dell'Occidente' (Il Foglio)
Convegno su Heidegger, prosegue l'opera di sbianchettamento di Donatella Di Cesare (Corriere della Sera)
Andrea's Version affonda Gianni Vattimo... (Il Foglio)
Se anche la filosofia sdogana l'antisemitismo. Ecco come e chi lo fa
Se anche la filosofia sdogana l'antisemitismo. Ecco come e chi lo fa (Bollettino della Comunità ebraica di Milano)
Romanticismo politico (Informazione Corretta)
Perché Donatella Di Cesare attacca Informazione Corretta? (Informazione Corretta)



I cattivi maestri e la mela avvelenata delle false verità
Fiona Diwan
6 Dicembre 2013

https://www.mosaico-cem.it/cultura-e-so ... lse-verita

Lo scrittore Josè Saramago ha paragonato l’occupazione israeliana dei territori palestinesi ad Auschwitz, ciononostante non gli è stato certo negato il premio Nobel per la Letteratura. Lo storico e giornalista italiano Massimo Fini ha spezzato più di una lancia in favore di Erich Priebke, scrivendo che semplicemente Priebke obbediva agli ordini e alle regole della guerra, ma ben pochi hanno avuto qualcosa da ridire. E poi c’è il professor Gianni Vattimo, filosofo ed europarlamentare dell’Italia dei Valori, che inneggia alla bomba atomica per l’Iran, che chiede il boicottaggio degli scrittori israeliani alla fiera del libro di Torino, che dice che Israele è l’industria dell’Olocausto e gli ebrei italiani sono accecati dal sionismo- e qui qualche levata di scudi, per fortuna, l’abbiamo vista -.

O ancora, il matematico e scrittore Piergiorgio Odifreddi, che considera le camere a gas “un’opinione” e che ha suscitato la reazione irritata di Beppe Severgnini: dal suo blog Italians, Severgnini lo accusa di ostinazione, di ego ipertrofico, di voler difendere l’indifendibile. Cattivi maestri, ancora, come l’israeliano e professore universitario Schlomo Sand che in un saggio, L’invenzione del popolo ebraico, sostiene che il popolo d’Israele è una bufala, che non esiste né sul piano antropologico, né storico, né culturale e che pertanto la pretesa degli ebrei di accedere a una propria sovranità politica, come qualsiasi altra nazione, è infondata e lo Stato di Israele non ha ragione di essere.

«I cattivi maestri? Ci sono e ci saranno sempre. Ma diciamo la verità: un Cattivo Maestro è spesso un ignorante, punto e basta. Quando intellettuali e scrittori come Gianni Vattimo, Piergiorgio Odifreddi o Josè Saramago si scagliano contro Israele, e fanno paragoni tra Israele e il nazismo, e negano l’esistenza delle camere a gas o danno dignità ai Protocolli dei savi di Sion, in verità non ne sanno nulla, straparlano, vogliono farsi pubblicità sparandola grossa. A Vattimo mancano gli elementi base di una cultura storica specifica, i fatti sulla Shoah e su Israele; Saramago non ha la benché minima competenza sul tema e Odifreddi è uno che nei suoi libri fanfaroneggia in maniera imbarazzante. Pensi che, nel suo parossismo anticlericale e ateistico, si è persino inventato che le parole cristiano e cretino hanno la stessa origine etimologico-linguistica, cosa falsa! Insomma, ciò che preme a costoro è costruirsi un profilo luciferino, affascinare e sedurre con un pensiero fintamente oltranzista, far finta di svelare verità nascoste senza ahimè mai conoscere i fatti e voler davvero confrontarsi con essi». Usa parole dure e senza mezzi termini Pierluigi Battista, editorialista del Corriere della Sera, saggista e scrittore, autore tra l’altro del bel saggio Rizzoli, I conformisti, l’estinzione degli intellettuali d’Italia. Una penna acuminata, la sua, che ha per bersaglio proprio il conformismo, quel tradimento degli intellettuali che era già stato tema di indagine del pensatore francese Julien Benda: nel 1927 lo stigmatizzò nel suo Il Tradimento dei chierici, intellettuali non più “custodi dei valori” ma servi di regimi, ideologie e poteri politici. Ed è con la consueta stoffa del polemista che Battista parla di Saramago come affetto da “emiplegia intellettuale”, un pensiero doppio che «permette a chi lo pratica di sostenere simultaneamente due tesi opposte senza mai sentirsi in contraddizione, senza mai avvertire il sapore dell’incoerenza o i morsi dell’ipocrisia». Dove sono finiti, si chiede Battista nel suo libro, quei magnifici irregolari ed eterodossi, quei pensatori di frontiera come George Orwell e George Bernanos, Simone Weil e Albert Camus, Hannah Arendt, Ennio Flaiano, Alberto Arbasino, Dino Buzzati, gente che fu anche la coscienza critica del proprio tempo…? Morti e sepolti.

«Odifreddi straparla: usa un approccio matematico, ed espressioni come “non risulta che ci siano state le camere a gas, è un’opinione…”. Ma la Storia non è la matematica, non è la soluzione di un problema algebrico! E Vattimo fa propri i temi dell’antisemitismo contemporaneo (tipici del mondo arabo), li diffonde nelle aule universitarie senza pagare dazio, senza colpo ferire, e nessuno, a parte il mondo ebraico, che protesti! A nessuno di costoro fa specie che in Egitto vada in onda una soap sui Protocolli dei savi di Sion o che a Gaza si parli di “maiali ebrei”!».

NEGAZIONISTI E DINTORNI

È di poche settimane fa l’assoluzione del professore di storia di un liceo di Roma: Roberto Valvo aveva affermato in classe che Olocausto e campi di concentramento non erano veri e che i filmati sulle deportazioni erano falsi, fatti anni dopo e non nel periodo storico originario. Ha messo in discussione il numero dei morti, dicendo che i sei milioni non erano sicuri, che la stima era errata. E che durante la guerra tutti erano magri, non solo chi era nei campi di concentramento. Che senso ha oggi tornare a usare l’espressione Cattivo Maestro?

«Non amo molto questa espressione anche se credo oggi vada di nuovo resuscitata. È il residuo di un’epoca in cui lo stravolgimento delle idee era un pericolo reale e aveva una grande influenza sull’opinione pubblica. In epoche come l’800 e fino al 1970 del XX secolo, il potere e l’influenza degli intellettuali sull’opinione pubblica erano infinitamente più grandi, i maitre-a-penser godevano di uno status, erano ascoltati e seguiti come oggi per noi sarebbe impensabile. Personalmente non amo abusare di questa espressione perché mette in luce una visione pedagogica della cultura, mentre io credo che la cultura sia qualcosa di caotico, eterodosso, non sistematico, e che a volte ci sono cattive letture che ci fanno molto bene. In genere, storicamente, i cattivi maestri sono stati portatori di una contro-dottrina, indicano ai loro seguaci un pensiero ispirato al paradosso e all’estremismo. Il cattivo maestro pensa soprattutto a sconcertare, stupire, ed è convinto, sotto sotto, che l’elaborazione intellettuale debba sfociare in un gesto distruttivo. Al di là delle idee, per loro ciò che conta è l’atto dello scandalo, il motto verbale che fa presa sulle persone più vulnerabili. Insomma i cattivi maestri spesso si riconoscono dal fascino, dal potere di seduzione e dal loro potenziale manipolativo. Invece di predicare l’equilibrio, l’assennatezza pacata, la responsabilità dei propri gesti e pensieri, i cattivi maestri spesso incitano a uno stile di pensiero radicale. e quasi sempre non hanno remore morali che possano frenare questo impulso, anche a costo di fare danni o usare la violenza. Quanti di noi, almeno una volta, in gioventù, non hanno subito il fascino di un pensiero apparentemente stupefacente, pieno di accostamenti avventurosi, sedotti da un pensiero falsamente eterodosso alla Beppe Grillo, per intenderci? Il problema è che prima o poi si finisce sempre tra le braccia della violenza, o per indicare un nemico da abbattere, e a cui negare il diritto ad esistere.

Qualunquismo? Intransigenza? Malafede? Cosa prevale?

«Il conformismo. Prevale l’intransigenza ideologica, il politicamente corretto, con i suoi tabù. Oggi non puoi dire, ad esempio, che non sei d’accordo sul velo delle donne, senza venire subito tacciato di islamofobia. La nostra società sta tornando dottrinaria e intollerante. Parlare male di Israele fa parte del manuale del politicamente corretto, è una forma di conformismo, un ritornello condiviso».

E la legge sul reato di negazionismo?

«Sono decisamente contrario. Sono un liberale e quindi resto nemico di qualsiasi legge introduca un nuovo reato d’opinione, per quanto qui si tratti di posizioni e pregiudizi raccapriccianti. Ma per quanto esecrabili siano, le idee negazioniste non possono essere sanzionabili penalmente.

Cosa pensi dell’ostracismo gettato dagli accademici inglesi nei confronti dei colleghi israeliani, considerati sgraditi nelle università britanniche?

«Storicamente la sinistra inglese e i conservatori non hanno mai amato Israele, e questo fin dai tempi del mandato Britannico sulla Palestina. Tra gli intellettuali, Ken Loach in testa, c’è sempre stata una potente ostilità verso Israele, considerato un elemento di disordine, instabilità, caos. Il grande pensatore inglese Isahia Berlin ha sempre riferito dell’insofferenza e della diffidenza dell’Accademia inglese verso gli ebrei».

Cosa pensi del caso di Moni Ovadia?

«Mi colpisce l’ebreo che si dissocia dagli altri ebrei in nome dell’ebraismo. Ovadia è l’esempio di un cantore di un mondo scomparso ma del tutto indifferente alla possibilità di scomparsa degli ebrei di oggi. Ha sposato la tesi dell’illegittimità della nascita dello Stato d’Israele in quanto oppressore dei palestinesi. E dice di parlare in nome della lotta all’oppressione. Non arriva ad augurarne la scomparsa ma non è disposto a spendere una sola parola per la sua esistenza, visto che pensa che sia indifendibile. Inoltre, sostiene quello che da sempre dicono gli antisemiti: ovvero che gli ebrei NON devono coltivare un rapporto speciale con Israele. “Siate italiani, francesi, inglesi e questo basta, lasciate Israele al suo destino!”, dicono.

Quale antidoto ai cattivi maestri?

«Semplice: non cedere mai nel confronto culturale. Essere pazienti, fare come lo storico francese Pierre Vidal Naquet che controbatteva con calma, sempre, lui che aveva perso entrambi i genitori ad Auschwitz, ai negazionisti non gliela dava mai vinta, continuava fino allo sfinimento, a costo di sembrare pedante, la lista dei fatti, delle date, degli episodi storici accertati, batti e ribatti, punto dopo punto, per confutare tutte le balle e le false notizie… Così si vince, con la pazienza e la determinazione di un caterpillar».



Svolta su Heidegger: "La Shoah era necessaria"
8 febbraio 2015

https://gazzettadelsud.it/articoli/cult ... d9c13ebc4/

Gli ebrei responsabili del proprio sterminio, un destino necessario per il compimento dell'Essere. E il pensiero nazista nella filosofia di Heidegger ora ha delle prove.

La "purificazione dell'Essere" inevitabile attraverso lo sterminio antisemita, che è stato semplicemente "autoannientamento", selbstvernichtung. È questa la parola chiave che riaffiora da uno scritto recentemente ritrovato e che potrebbe dare una svolta ad uno dei capitoli più controversi della storia del pensiero di Martin Heidegger. Secondo un documento ritrovato nella scorsa primavera, il filosofo tedesco, già in passato accusato di aver taciuto sulla questione della Shoah, gli ebrei si sarebbero autoannientati. Nessuno potrebbe allora essere chiamato in causa, se non gli ebrei stessi.

Il documento - come scrive oggi il Corriere della Sera - è contenuto in un volume che sarà pubblicato in Germania: 'Quaderni neri', curato da Peter Trawn. Si tratta delle note risalenti al periodo cruciale che va dal 1942 al 1948. E il quaderno del 1945/46, che sembrava fosse andato perduto, era il tassello mancante della costruzione filosofica di Heidegger in merito ai concetti di ebraismo. Dunque una prospettiva inedita sul suo pensiero, che dà voce a quello che era da sempre stato definito il "silenzio di Heidegger": la mancanza di una presa di posizione netta sulle atrocità dei campi di concentramento, qui considerati dal pensatore tedesco come l’industrializzazione della morte, la "fabbricazione dei cadaveri".

Lo studioso Gianni Vattimo parla di Heidegger ed ebraismo

Il filosofo, che vede innanzitutto nella seconda guerra mondiale un conflitto diretto tra tedeschi ed ebrei, spiega che "solo quando quel che è essenzialmente 'ebraico', in senso metafisico, lotta contro quel che è ebraico, viene raggiunto il culmine dell’autoannientamento nella storia". La Shoah avrebbe allora un ruolo decisivo nella storia dell’Essere, perché coinciderebbe con il "sommo compimento della tecnica" che, dopo aver usurato ogni cosa, consuma se stessa. In tal senso lo sterminio degli ebrei rappresenterebbe quel momento apocalittico in cui ciò che distrugge finisce per autodistruggersi. Culmine "dell’autoannientamento nella storia", la Shoah rende quindi possibile la "purificazione dell’Essere".


Come si possono ignorare i deliri antisemiti di Gianni Vattimo e considerarlo un grande filosofo?
Angelo Pezzana
5 gennaio 2023
https://www.facebook.com/groups/1807630 ... 865299868/

Esistono i cattivi maestri? Eccome. Pensatori fegatosi, veri odiatori travestiti da paladini della giustizia. Perchè, quando si tratta di odiare, l’intelligenza e la cultura ahimè non c’entrano nulla. La storia delle idee è piena di esempi, da Kant in avanti, passando per Heidegger. Come allora non essere preoccupati leggendo il peana apparso sul Corriere della Sera (il primo quotidiano in Italia per tiratura -il 31/12/2022-), a firma di Maurizio Ferraris con il titolo “Il mio elogio di Vattimo”? Vattimo che “merita il suo posto di primo piano nella filosofia contemporanea”, scrive Ferraris.

I protocolli dei savi anziani di Sion
Come può il Corriere della Sera dimenticare che il professor Gianni Vattimo, filosofo e europarlamentare, inneggiava fino a ieri all’atomica in mano agli Ayatollah, alla produzione della bomba da parte di un regime che assassina i suoi giovani, Vattimo che chiese il boicottaggio degli scrittori israeliani al Salone del Libro nel maggio 2008, che disse che Israele è l’industria dell’Olocausto e gli ebrei italiani accecati dal sionismo?
Utile è ricordare il passato. Nel 2008 il nostro filosofo era alla guida dei Centri sociali torinesi che volevano impedire, al Salone del Libro di Torino, l’apertura del padiglione israeliano, all’epoca l’ospite d’onore. Le pagine culturali dei quotidiani di allora traboccavano di dichiarazioni di Vattimo.
La Stampa del 7 maggio 2008 - pag. 35 - riportava una cronaca di Mario Baudino: “dita puntate contro un grande complotto non solo mediatico, Vattimo evoca persino i Protocolli di Sion, cioè il famoso libello confezionato dalla polizia zarista all’origine dell’antisemitismo moderno, dicendo che non ci ha mai creduto, ma ora comincia a ripensarci”. Una affermazione giudicata dal cronista “battuta pesante”. Una cronaca del quotidiano genovese Il Secolo XIX, 17 luglio 2014, riportava come titolo: “Il delirio antisemita di Vattimo non conosce freni, Israele peggio di Hitler”. “Ci vorrebbero più morti israeliani” erompeva ancora Vattimo in una intervista choc a La Zanzara su Radio 24 – “andrei a Gaza, a combattere a fianco di Hamas, direi che è il caso di fare le Brigate Internazionali come in Spagna, perché Israele è un regime fascista che sta distruggendo un popolo intero... È un genocidio in atto, nazista, razzista, colonialista, imperialista e ci vuole una resistenza, le Brigate internazionali”. Hamas, poveretti, gente senza armi tenuta in schiavitù. “Hamas quanti morti ha fatto? Nessuno, voglio promuovere una sottoscrizione internazionale per permettere ai palestinesi di comprare armi vere, veri missili, non delle armi giocattolo. L’Europa dovrebbe dare gratis le armi ai palestinesi”, diceva Vattimo. Israele peggio di Hitler. “È una guerra di puro sterminio, i palestinesi sono stati cacciati dalla loro terra, li rinchiudono a Gaza e poi li gasano e li bombardano”, sempre Vattimo.
All’epoca, la reazione delle Comunità ebraiche fu immediata. “Un concentrato delle più nefande illazioni” accusò Renzo Gattegna, allora Presidente dell’UCEI -, “i veleni di Vattimo non solo ci disgustano ma saranno oggetto di una adeguata reazione”. E oggi? Quale reazione? Dopo le esternazioni del 2008/2013/2014/2022 c’è invece chi ancora ne vuole fare un maitre-a-penser. Forse le cose non sono andate come dovevano andare, se Vattimo merita gli elogi del primo quotidiano italiano.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » ven feb 05, 2021 8:36 am

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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » ven feb 05, 2021 8:36 am

Paolo Barnard

Paolo Barnard e il revisionismo storico
Andrea Carancini
PAOLO BARNARD E IL REVISIONISMO STORICO
Di Carlo Mattogno

https://www.andreacarancini.it/2010/01/ ... o-storico/

L’articolo di Paolo Barnard Cosa penso io, antisionista e critico dei crimini d’Israele, dell’Olocausto[1] è uno dei più sconcertanti che abbia letto sull’argomento, e non certo per il contenuto, quanto per il tono insolitamente acceso e l’abbondanza di paragoni truculenti del tutto fuori luogo.
Il suo tema centrale, la questione numerica delle presunte vittime olocaustiche, dimostra che egli non ha ben chiaro che cosa si intenda per “Olocausto” e, conseguentemente, di che cosa si occupi il revisionismo. Mi limito a riferire quanto al riguardo hanno osservato due scrittori ebrei, Michael Shermer e Alex Grobman:
«Quando gli storici parlano di “Olocausto” nell’accezione più generale si riferiscono al fatto che circa sei milioni di Ebrei sono stati uccisi in modo intenzionale e sistematico dai nazisti, con l’utilizzo di un certo numero di mezzi diversi, comprese le camere a gas. Secondo questa definizione dell’Olocausto, ampiamente accettata, ciò che i cosiddetti revisionisti dell’Olocausto di fatto stanno facendo è negarlo, poiché ne negano le tre componenti fondamentali: l’uccisione di sei milioni di persone, le camere a gas e l’intenzionalità»[2].
Il revisionismo condivide questa definizione, con la precisazione che i fattori essenziali sono le camere a gas e, soprattutto, l’intenzionalità, ossia la presunta uccisione pianificata e sistematica di Ebrei in quanto tali. Ho già esaminato questo punto in un breve scritto in rete al quale rimando[3].
Il fattore numerico è il meno rilevante, perché – in via di principio – i sei milioni non dimostrano la realtà di un piano di sterminio intenzionale, pianificato e attuato in camere a gas o in qualunque altro modo, come non lo dimostrano i 23 milioni di morti dell’ Unione Sovietica durante la seconda guerra mondiale. Al riguardo, i due autori rilevano giustamente, anche se in senso diverso:
«se siano stati cinque milioni o sei milioni è fondamentale per le vittime, ma è irrilevante se la questione è stabilire se l’Olocausto abbia effettivamente avuto luogo»[4].
In questo contesto va rilevato che i veri «ragionieri contabili dell’atrocità» sono i fondamentalisti dei 6 milioni; coloro che, invece di rallegrarsi per il fatto che il numero reale delle vittime naziste è ben al di sotto di quello preteso, se ne rammaricano e si indignano, perché viene intaccata la loro cifra sacra; coloro che, crollata la leggenda sovietica dei 4 milioni di vittime ad Auschwitz (in massima parte presunti gasati ebrei) e trovatisi all’improvviso defraudati di quasi 3 milioni di vittime, hanno giocato impudentemente al rialzo in altri settori dell’orrore per ripristinare la cifra fatidica dei 6 milioni; coloro che operano «distinguo psicopatici» tra morti ebrei e morti non ebrei, tra “gasati” e “non gasati”, ai primi soltanto essendo riservata la plenitudine divina, salvo poi fingere nelle cerimonie ufficiali di rammaricarsi per zingari e omosessuali, le uniche due categorie di vittime degne di farisaica commozione: per tutte le altre vittime c’è solo un razzistico «chissenefrega». Jahveh non ama i goijm.
Sono costoro a «trovare una differenza determinante nel fatto che 6 milioni di sterminati possano essere in realtà “solo” 4 o 500.000»; è per costoro che «l’orrore si qualifica solo sopra a un certo chilaggio», quello dei 6 milioni; costoro sono i detentori del «termometro dell’Olocausto che dà non applicabile» sotto i 6 milioni di morti.
A questa impostazione del problema, con riferimento agli Ebrei morti sotto il regime nazionalsocialista, indipendentemente dal loro numero, Barnard può sempre obiettare: «Ma che differenza fa, Cristo, se sono morti così o nelle camere a gas?». Certamente nessuna, ma questo è un giudizio morale, non storico. La storia, come accertamento dei fatti, si occupa proprio di questa distinzione, che non è «psicopatica», ma, appunto, storica.
Il tono dell’articolo, virulento e offensivo, è tipico di chi si ritiene il depositario esclusivo dell’humanitas, il monopolista unico della pietas, che profonde la sua virtuosa indignazione sui bruti revisionisti, «malati nell’anima prima ancora che nel cervello», dall’alto di una presunta superiorità intellettuale, morale e culturale.
Egli riassume così la sua attività di studioso:
«Ho dedicato anni del mio lavoro alla questione israelo-palestinese. Ho viaggiato in quelle terre, ho studiato molto, e sono arrivato a una conclusione, o meglio, a un giudizio storico. Premetto che un giudizio storico non dialoga con i singoli accadimenti, coi numeri e con le statistiche, ma solo con la più basilare onestà morale nell’osservazione di un segmento di Storia. Ebbene, la mia conclusione è che in Palestina la componente ebraico-sionista abbia torto marcio».
Egli aggiunge che, al riguardo,
«la storiografia occidentale e i media ad essa asservita ci hanno raccontato sempre e solo menzogne, una colossale e incredibile mole di menzogne, talmente reiterate da divenire realtà per chiunque»
e avverte che la sua conclusione non è una
«ennesima speculazione delirante su chissà quale complotto internazionale plutocratico-giudaico-massone, né una fantasticheria negazionista»,
bensì il frutto di «una autorevolissima ricerca storiografica», di «una rigorosa documentazione» che si attua «nell’ambito della revisione storica degli eventi fondamentali del passato» e fa riferimento a una «mole di dettagli e fatti taciuti e sepolti dalla storiografia ufficiale»[5], la quale, naturalmente, non è troppo incline a riconoscere i meriti di questa ricerca. Esattamente come avviene per la ricerca revisionistica, le cui analogie formali con quella condotta da Barnard sono tanto evidenti che non c’è bisogno di sottolinearle.
Lungi da me il dubbio sulla sua serietà e sul suo rigore, come pure, in modo particolare, sul suo valore come studioso della questione israelo-palestinese. Ciò che però sorprende, e che stona spiacevolmente nel suo articolo, è il gratuito disprezzo che egli manifesta nei confronti di coloro che hanno dedicato anni del loro lavoro alla questione olocaustica, che hanno ispezionato luoghi e visitato archivi, che hanno studiato molto, che hanno messo in luce una mole di dettagli e di fatti taciuti e sepolti da decenni, che hanno elaborato una revisione storica e sono giunti ad una conclusione diversa da quella propalata dalla “storiografia ufficiale”.
Per lui infatti tutto si riduce a «fantasticheria negazionista», giudizio irrispettoso nei confronti di chi ha studiato la propria materia con la stessa serietà, lo stesso rigore, la stessa onestà intellettuale e morale con cui egli ha studiato la sua. E non vale certo chiamare in causa gli “storici” pretesi “demolitori” del revisionismo, perché i “demolitori” delle conclusioni di Barnard sono “storici” che hanno esattamente la stessa competenza e la stessa dirittura intellettuale e morale. Che cosa direbbe egli di chi, facendosi forte della “storiografia ufficiale”, liquidasse la sua ricerca, senza nulla sapere di essa, come fantasticheria antisemitica?
Qui traspare il senso profondo della critica che gli è stata mossa e che ha provocato la sua reazione. Avendo egli sperimentato sulla propria pelle che nel mondo occidentale infuria una storiografia propagandistica, adeguatamente spalleggiata dai mezzi di informazione, forgiatrice di menzogne colossali, incredibili, reiterate a tal punto da divenire realtà per chi non conosce la realtà vera, come può credere sensatamente che tale storiografia operi unicamente nel settore della questione israelo-palestinese? Perché non riconoscere quantomeno la possibilità che la “storiografia ufficiale” ci abbia «raccontato sempre e solo menzogne, una colossale e incredibile mole di menzogne» anche sul tema olocaustico?
D’altra parte, bisognerà pur chiedersi per quale ragione la storiografia occidentale si sia asserragliata su queste posizioni ingannatrici. Scartando l’ «ennesima speculazione delirante su chissà quale complotto internazionale plutocratico-giudaico-massone», resta una sola spiegazione: l’unità d’intenti e di vedute degli Occidentali in funzione olocaustica, ossia il riconoscimento agli Israeliani di «uno status di vittima storica dell’Europa indifferente, quando non pienamente complice» che li rende creditori irrisarcibili: che cosa sono qualche migliaio di Palestinesi assassinati al cospetto dell’immane tragedia olocaustica? L’Olocausto, agli occhi degli Occidentali, conferisce giustificazione morale ai crimini israeliani e li induce a «distinguo», quelli sì, «psicopatici»: sì, è vero, hanno commesso dei crimini, ma che cosa sono di fronte ad Auschwitz? Ogni nuovo crimine trova sempre dei solerti «ragionieri contabili dell’atrocità» pronti a soppesare le sofferenze ebraiche e quelle palestinesi, e il piatto della bilancia precipita sempre immancabilmente dalla parte israeliana. Grazie anche all’offuscamento indotto da “giornate delle memoria”, “criminali di guerra” ultranovantenni, “superstiti” dell’ultim’ora, celebrazioni, libri, film; in breve, grazie all’industria dell’Olocausto. E così gli Occidentali, intimamente rosi da un senso di colpa sordo e artificioso, si scaricano della loro cattiva coscienza esaltando gli Israeliani e sacrificando i Palestinesi.
Ora, dato che la radice della questione israelo-palestinese, per quanto riguarda l’atteggiamento degli Occidentali, è olocaustica, e atteso che è impossibile spezzare dall’interno questo nefasto circolo vizioso, non vale la pena di considerare la possibilità che anche la storiografia olocaustica sia mendace? Accertare se per caso anche questi storici abbiano «torto marcio»? Se è possibile liberare i crimini israeliani dall’enorme contrappeso olocaustico?
Il riconoscimento di questa possibilità legittimerebbe in via di principio la ricerca revisionistica, ma proprio questo, incomprensibilmente, è per tutti intollerabile. Al riguardo Barnard sentenzia apoditticamente:
«L’Olocausto c’è stato, e ribadisco: chissenefrega dei vostri distinguo psicopatici».
Cioè la “storiografia ufficiale” mente sulla questione israelo-palestinese, ma non su quella olocaustica, dove è oracolo di verità; lì ricercatori seri e onesti lavorano alacremente allo smantellamento delle sue menzogne e al trionfo della verità, qui invece c’è una verità precostituita, al di sopra e al di fuori di qualunque indagine, e coloro che osano indagarla sono dei «malati nell’anima prima ancora che nel cervello» e «chissenefrega» delle loro ricerche. Solo quelle condotte da Barnard sono serie, scientifiche, rigorose, accurate, documentate; quelle revisionistiche sono, nel migliore dei casi, «fantasticherie».
Il senso profondo della «pavidità» che gli è stata rimproverata – e che vale per tutti gli altri studiosi anticonformisti, inclusi quelli dei fatti dell’11 settembre 2001[6] – sta tutto qui, nel fatto inquietante che questi valenti ricercatori si dimostrano giustamente ipercritici nel loro settore specifico di studi, ma, in campo olocaustico, diventano ipercreduloni, perdono inspiegabilmente ogni facoltà critica e rifiutano in modo aprioristico qualunque indagine scientifica.
E, per definire un tale atteggiamento, «pavidità» è indubbiamente il termine meno offensivo.
Perché esso potrebbe anche avere a che fare «con la più basilare onestà morale nell’osservazione di un segmento di Storia».

Carlo Mattogno

18 Gennaio 2010

[1] In: http://www.paolobarnard.info/intervento ... php?id=165.
[2] Negare la storia. L’Olocausto non è mai avvenuto: chi lo dice e perché. Editori Riuniti, Roma, p. 28.
[3] Faurisson: “un vero e proprio insulto alla verita’ storica”?, in: http://ita.vho.org/012Losurdo.htm
[4] Negare la storia. L’Olocausto non è mai avvenuto: chi lo dice e perché, op. cit., p. 231.
[5] Torto marcio, in: http://www.paolobarnard.info/palestina.php
[6] Riguardo a questi ho già svolto considerazioni analoghe nell’articolo Revisionismo e “complottismo”, in:
https://www.andreacarancini.it/2009/02/ ... logie-tra/



Paolo Barnard: come asfaltare chi osa negare i crimini di Israele
Tratto da www.stampalibera.com

https://www.disinformazione.it/Israele_barnard.htm

Quando, il 22 luglio 1946, il terrorismo sionista fece esplodere l’hotel King David di Gerusalemme che ospitava il quartier generale britannico uccidendo 86 funzionari e 5 passanti, e mandando all’ospedale altre 58 persone, Winston Churchill dichiarò testualmente: «Se i nostri sforzi per il futuro del sionismo devono produrre un nuovo gruppo di delinquenti degni della Germania nazista, molti come me dovranno riconsiderare le posizioni tenute così a lungo». Nella stessa epoca, 1948, Albert Einstein e Hannah Arendt scrissero di loro pugno sul “New York Times” una protesta veemente contro la brutale ferocia sionista verso i palestinesi, definendola «simile, in organizzazione e metodi, ai partiti nazisti e fascisti». Lo stesso anno, fu addirittura un ministro del primo governo dello Stato d’Israele, Aharon Cizling, a dichiarare: «Adesso anche gli ebrei si sono comportati come i nazisti, e io sono sotto shock». Parole che tutti dovrebbero ricordare sempre, sottolinea Paolo Barnard, autore di uno studio – basato su prove e documenti storici – che accerta le spaventose e sistematiche atrocità (preventive) commesse da Israele contro i palestinesi.

E’ sempre Israele che sferra il primo colpo, e si tratta di un colpo mortale: pulizia etnica, aggressioni terroristiche, omicidi, campagne militari, stragi, stupri di massa, persecuzioni di ogni genere. Tramortiti da tanta violenza, i palestinesi impiegarono oltre 50 anni a reagire, portando il loro caso di fronte alle Nazioni Unite. Tutto inutile, però: Israele continua a uccidere, e il mainstream lo dipinge regolarmente come vittima della storia e della violenza araba. Una montagna sanguinosa di mistificazioni, che Barnard prova a demolire pubblicando il mini-saggio “Come ‘asfaltare’ chi difende Israele con 10 autorevoli risposte”. Fonti: libri di storia di ogni provenienza, relazioni di organi internazionali, documenti ufficiali di governi occidentali. Autore di libri scomodi come “Perché ci odiano”, che indaga le reali cause della (recente) ostilità del mondo islamico verso l’Occidente imperialista, Barnard definisce questo nuovo studio una «guida imbattibile per distruggere uno per uno gli argomenti usati dai personaggi mediatici asserviti alla menzogna quando difendono il terrorismo d’Israele e il genocidio dei palestinesi».

Premessa: «Anti-sionismo non significa antisemitismo. Sionisti = élite ebrea criminale genocida dominante in Palestina dall’800 a oggi. Semiti sono i normali ebrei e palestinesi, d’Israele, della Palestina o del mondo. Solo gli ignoranti, o i falsari amici dei sionisti, spacciano un anti-sionista per antisemita». Primo luogo comune: “Sono gli arabi ad aver sempre attaccato gli ebrei emigrati in Palestina per sfuggire alle persecuzioni europee”. Falso: «Menzogna storica totale. Per tutto il XIX secolo e oltre, i palestinesi accolsero l’emigrazione ebraica europea con favore, amicizia ed entusiasmo. Al punto che le massime autorità religiose ebraiche d’Europa lo testimoniarono». Lo disse il 16 luglio del 1947 l’eminente rabbino Yosef Tzvi Dushinsky, alle Nazioni Unite: prima del sionismo, «non vi fu mai un momento, nell’immigrazione degli ebrei ortodossi europei in Palestina, nel quale gli arabi abbiano opposto resistenza alcuna. Al contrario, quegli ebrei erano i benvenuti per via dei benefici economici e del progresso che ricadevano sugli abitanti locali, che mai temettero di essere sottomessi. Era risaputo che quegli ebrei giungevano solo per motivi religiosi e non ebbero difficoltà a stabilire rapporti di fiducia e di vera amicizia con le comunità locali».

Vent’anni prima, si esprimeva nello stesso modo un altro rabbino di grande fama, Baruch Kaplan, già a capo della “Beis Yaakov Girls School” di Brooklyn, in giovinezza attivo nella Yeshiva (scuola religiosa) di Hebron. «Gli arabi – dichiarò Kaplan – furono sempre assai amichevoli, e noi ebrei condividemmo la vita con loro a Hebron secondo relazioni di buona amicizia». Lo stesso religioso riferì che il rabbino polacco Avraham Mordechai Alter aveva compiuto una ricognizione in Palestina per «capire che tipo di persone erano i palestinesi, così da poter poi dire alla sua gente se andarci o no». In una lettera, «scrisse che gli arabi erano un popolo amichevole e assai apprezzabile». Lo conferma la Commissione Shaw del governo inglese, a proposito delle violenze fra arabi e sionisti nel 1929: «Prima della Grande Guerra (1915-18) gli arabi e gli ebrei vivevano fianco a fianco, se non in amicizia, almeno con tolleranza». Negli 80 anni precedenti, cioè in epoca precedente al fenomeno sionista, «non ci sono memorie di scontri violenti fra i due popoli». Due popoli? Secondo la vulgata sionista, non esisteva un vero popolo Si trattava di “tribù sparse”, con “pochi individui che vivevano sulle terre bibliche”. Un leader storico del movimento sionista europeo, Israel Zangwill, dichiarò a inizio secolo che «la Palestina è una terra senza popolo», al contrario degli ebrei, «popolo senza terra». Una menzogna, scrive Barnard, smentita di nuovo dall’interno dello stesso movimento sionista europeo, che iniziò la colonizzazione su larga scala della Palestina alla fine del XIX secolo.

Al 7° congresso sionista del 1905, un leader di nome Yitzhak Epstein si alzò e lasciò agli atti questa frase: «Diciamoci la verità. Esiste nella nostra cara terra d’Israele un’intera nazione palestinese, che vi ha vissuto per secoli, e che non ha mai pensato di abbandonarla». La narrazione filo-sionista condanna chi considera colonialisti gli israeliani? Peccato, perché «il movimento sionista europeo nacque razzista, violento e prevaricatore (come è oggi). All’arrivo in Palestina trattarono subito i palestinesi come bestie, perché li consideravano poco più che bestie. Furono i sionisti a iniziare violenze e atrocità contro i palestinesi pacifici». A inizio ‘900, in uno scambio fra un fondatore del movimento sionista ebreo europeo, Chaim Weizmann (che sarà il primo presidente d’Israele nel 1948) e gli allora padroni coloniali inglesi, si legge: «Gli inglesi ci hanno detto che in Palestina ci sono qualche migliaio di negri (“kushim”), che non valgono nulla». Parole inequivocabili, e indelebili. Il più celebre umanista sionista della storia, Ahad Ha’am, lanciò un allarme contro la violazione dei diritti dei palestinesi da parte dei sionisti: gli ex “servi nelle terre della Diaspora” «d’improvviso si trovano con una libertà senza limiti, e questo cambiamento ha risvegliato in loro un’inclinazione al dispotismo».

«Essi – continua Ha’am – trattano gli arabi con ostilità e crudeltà, gli negano i diritti, li offendono senza motivo, e persino si vantano di questi atti. E nessuno fra di noi si oppone a queste tendenze ignobili e pericolose». Era il 1891, osserva Barnard, mezzo secolo prima di Hitler: già allora il razzismo e la violenza sionista faceva questo a palestinesi innocenti. «Per quasi 50 anni prima dell’Olocausto – continua Barnard – i sionisti che emigravano in Palestina aggredirono i palestinesi e programmarono nei dettagli la pulizia etnica della Palestina, con metodi feroci e terroristici. Ripeto: 50 anni prima di Hitler». Il padre del movimento sionista, Theodor Herzl, aveva dichiarato: «Tenteremo di sospingere la popolazione (palestinese) in miseria oltre le frontiere, procurandogli impieghi nelle nazioni di transito, mentre gli negheremo qualsiasi lavoro sulla nostra terra… Sia il processo di espropriazione che l’espulsione dei poveri devono essere condotti con discrezione e di nascosto». Un’altra personalità sionista di fine ‘800, Leo Motzkin, sancì: «La colonizzazione della Palestina si fa colonizzando tutta l’Israele biblica, e deportando i palestinesi da altre parti».

E’ quindi ovvio che il destino di pulizia etnica del palestinesi fu progettato 50 anni prima della Shoah. E anche nelle decadi successive alla fine ‘800, «il razzismo e la pulizia etnica contro i palestinesi rimasero priorità», per lo Stato ebraico. Alla fine degli anni ’30, ricorda Barnard, «il leader sionista Yossef Weitz aveva anticipato gli infami protocolli nazisti di Wannsee (che, fra le altre cose, listavano gli ebrei d’Europa da deportare) scrivendo i ‘Registri dei Villaggi’ dove si indicavano tutte le famiglie palestinesi da cacciare a forza». Peggio: «Addirittura Ephraim Katzir (che diventerà presidente di Israele, pensate) arrivò a lavorare in laboratorio per trovare un veleno per accecare i palestinesi». Il leader storico sionista, David Ben Gurion, aveva redatto il Piano Dalet per la completa pulizia etnica della Palestina ben prima dell’arrivo in Palestina dei profughi dai campi di sterminio tedeschi. Nel suo stesso diario, Ben Gurion scrisse cose atroci su come colpire i palestinesi innocenti: «Dobbiamo essere precisi su coloro che colpiamo. Se accusiamo una famiglia palestinese non c’è bisogno di distinguere fra colpevoli e innocenti. Dobbiamo fargli del male senza pietà, altrimenti non sarebbe un’azione efficace».

E allora, l’aggressione araba contro gli ebrei del 1948? “Tutte le nazioni arabe attorno alla Palestina – dice il mainstream sionista – tentarono di sterminare gli ebrei, che per fortuna vinsero quella guerra, se no sarebbe stato un altro Olocausto!”. Infatti, i leader arabi “incitarono via radio i palestinesi ad abbandonare i loro villaggi per permettere lo sterminio degli ebrei!”. Per questo, “i palestinesi se ne andarono volontariamente”. «Menzogna completa», protesta Barnard. Intanto, allo scoppio della guerra arabo-ebraica del 1948, gli ebrei sionisti avevano già inflitto 50 anni di atrocità, pulizia etnica e stragi ai civili palestinesi, «per cui la reazione araba aveva una giustificazione pluri-decennale». Ma la tanto millantata guerra del 1948 fu «una messa in scena totale, una vera bufala già organizzata affinché i sionisti vincessero, grazie ad accordi segreti fra Ben Gurion e il Re arabo della Transgiordania, Abdullah». La “guerra bufala”, la chiamò nelle sue memorie il comandante delle truppe arabe, l’ufficiale arabo-inglese Glubb Pasha.

Il re Abdullah e Ben Gurion finsero di combattersi per poi spartirsi la Palestina. Le altre truppe arabe non potevano impensierire Israele: «Gli egiziani erano per la metà Fratelli Musulmani con le ciabatte ai piedi, i libanesi non combatterono mai, i siriani erano armati ma erano quattro gatti, e gli iracheni erano sotto gli ordini del traditore Abdullah, per cui fecero nulla». Infatti, dai diari di Ben Gurion, risulta che in piena guerra del ’48 raccomandò al suo esercito: «Tenete il meglio delle truppe per la pulizia etnica della Palestina, secondo il Piano Dalet». Quanto alle “trasmissioni radio” dei leader arabi per incitare i palestinesi ad abbandonare la regione, si tratta di un falso storico sonoramente smentito dalla Bbc, che monitorò l’intera massa di comunicazioni circolate in Medio Oriente nel 1948. Tutte le trascrizioni sono custodite al British Museum di Londra: in esse, scrive Barnard, non vi è traccia di un singolo ordine di evacuazione da parte di alcuna radio araba dentro o fuori dalla Palestina.

Al contrario, si possono leggere gli appelli ai civili palestinesi affinché rimanessero a presidiare le loro case. E lo si può ben capire: nel 1948, alla vigilia della guerra “fondativa” del mito dell’invincibilità militare di Davide che si batte per difendersi dal gigante Golia, «la pulizia etnica sionista aveva già espulso 750.000 palestinesi, tutti civili». Ma la menzogna è tenace, si replica puntualmente con la Guerra dei Sei Giorni del 1967, quando gli arabi “tentarono di sterminare gli israeliani”, i quali “in una prova di eroismo militare riuscirono ad evitare un altro Olocausto”. «Questa versione è una farsa, distrutta vergognosamente dai documenti segreti del governo americano e della Cia», annota Barnard. «Non solo gli israeliani non corsero alcun reale pericolo nella cosiddetta Guerra dei Sei Giorni, ma gli arabi tentarono di tutto per non combattere, e furono ignorati da Tel Aviv e dagli Usa. Il governo israeliano invece terrorizzò la popolazione ebraica in quell’occasione, sapendo perfettamente che avrebbe attaccato per primo e avrebbe stravinto».

Lo rivelano i documenti americani “declassificati” nel 2005: fu Israele ad aggredire gli arabi, non il contrario. La Cia sapeva che Israele avrebbe annientato gli arabi. Il 3 giugno 1967, al Pentagono, il ministro della difesa statunitense Robert McNamara incontrò il capo del Mossad, Meir Amit. «Quanto durerà questa guerra?», gli chiese. «Durerà sette giorni», rispose il capo dell’intelligence israeliana. Tutto questo mentre il presidente egiziano Nasser, teoricamente nemico di Israele, «disperatamente tentava i contatti con gli inglesi e con gli americani per evitare la guerra», inviando a Washington il suo ministro degli esteri Zakariya Mohieddin per cercare di mediare la pace. «Mentre Mohieddin sta per partire per l’America, gli israeliani attaccano l’Egitto e distruggono l’esercito egiziano».

Il premier israeliano Menahem Begin, molti anni dopo confessò tutto: l’aggressione araba era una ‘bufala’. Fu Israele ad aggredire, disse al “New York Times”: «Nel giugno del 1967 di nuovo affrontammo una scelta. Le armate egiziane nel Sinai non erano per nulla la prova che Nasser ci stesse attaccando. Dobbiamo essere onesti con noi stessi. Noi decidemmo di attaccare lui». Questa, conclude Barnard, è un’altra grande bugia che ci hanno raccontato, ed è un modello della storiografia su Israele: «Ci raccontano sempre questa cosa, che Israele è la vittima, che sta per soccombere agli arabi cattivi, mentre la realtà è esattamente diametralmente l’opposto». Perché tante menzogne? Semplice: «L’élite bellica sionista-israeliana ha bisogno delle finte aggressioni arabe, ha bisogno dei pericoli, ha bisogno della minaccia inventata o gonfiata per mantenersi al potere».

Per questo, aggiunge Barnard, l’élite israeliana ha così tanta paura della pace, e lavora da sempre – anche all’Onu – per sabotarla in ogni modo, a partire dalla storica risoluzione 181 del 1947. «La leadership sionista visse, e sopravvive oggi, solo grazie alla strategia della tensione che loro creano provocando violenze, proprie o palestinesi, continue». Se la leadership sionista accettasse la pace, continua Barnard, «dovrebbe confrontarsi con un paese, Israele, che essa gestisce da cani». A quel punto, «gli israeliani li caccerebbero». Sono vittime del loro governo, debitamente disinformate. Come valutare, del resto, lo stesso piano di pace del 1947? Consegnava agli ebrei, minoranza assoluta, il 56% delle terre. Il Negev andava a Israele, benché abitato da 90.000 arabi e appena 600 ebrei, ai quali andava anche l’unico porto commerciale vitale, Haifa. Poi andava agli ebrei l’86% delle terre fertili, aranceti, ulivi. Ai palestinesi erano anche negati i confini con la Siria, dove vi sono le fonti di acqua. E Gerusalemme rimaneva “internazionale”, ma di fatto in mano ebraica. «Questa è la vergognosa realtà. Come potevano i palestinesi accettare?».

Lord Alan Cunningham, l’ultimo Alto Commissario inglese in Palestina, scrisse a Ben Gurion nel marzo 1948: «I palestinesi sono calmi e ragionevoli, voi sionisti fate di tutto per provocare violenza». Il diplomatico americano Mark Ethridge, inviato alla conferenza di Pace di Losanna nel 1949, dichiarò furioso: «Se non siamo arrivati alla pace è primariamente colpa d’Israele». Nel 1971 il presidente egiziano Sadat aveva offerto la pace a Israele in cambio del suo Sinai illegalmente occupato. Tel Aviv reagì mandando Ariel Sharon a fare la pulizia etnica del Sinai, dove l’esercito israeliano fece orrende stragi condannate dall’Onu e causò la Guerra del Kippur, del 1973. Inoltre, «la criminosa invasione israeliana del Libano nel 1982 (19.000 morti civili arabi) fu causata non da minacce a Israele, ma dall’esatto contrario». Massima rivelazione dell’orrore, il massacro dei civili rifugiati nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila, sterminati da miliziani su ordine dello stesso Sharon.

La vera crisi, per Israele, è la pace: Tel Aviv andò in tilt nel 1982, di fronte alla clamorosa proposta di pace avanzata da Yasser Arafat. Il leader dell’Olp, futuro capo dell’Autorità Nazionale Palestinese, fece di tutto per fermare gli estremisti islamici. Lo ammise lo stesso capo dei servizi segreti ebraici Shab’ak, cioè Ami Ayalon, in una relazione al governo: «Arafat sta facendo un ottimo lavoro, si è lanciato anima e corpo contro i terroristi». La massima occasione per la pace? Fu l’incontro a Camp David nel luglio del 2000 fra Clinton, Arafat e il premier israeliano Ehud Barak. «La stampa mondiale riportò che fu Arafat a rifiutare la pace, ma è falso. Fu il contrario. Ai palestinesi non fu presentata alcuna proposta scritta, gli fu chiesto di cedere un 9% di terre, e di ricevere un misero 1%, gli fu negata ogni discussione sul ritorno dei profughi cacciati dalla pulizia etnica pre 1948 (come invece sancisce la Risoluzione Onu 194) e non gli fu concesso nulla su come dividersi Gerusalemme. Come poteva Arafat accettare?».

E’ provato che, mentre Israele predicava la pace, in segreto pianificava altra pulizia etnica della Palestina, nonché l’uccisione di Arafat e la guerra ai civili. Sono stati scoperti 5 piani segreti della difesa israeliana a questo scopo, racconta Barnard: nel 1996 il piano “Field of Thorns”, nel 2000 il secondo piano “Field of Thorns”, nel 2001 il piano Dagan, nel luglio 2001 il piano di Shaul Mofaz chiamato “La Distruzione dell’Anp di Arafat”, che in quel momento collaborava con Tel Aviv, e nel 2002 il piano “Eitam” con gli stessi scopi. Nel 2003 gli Usa propongono la pace nel documento “The Road Map”, dove si parla anche di un “Israele che cessi ogni violenza contro i civili palestinesi”. I palestinesi l’accettarono e dichiararono il cessate il fuoco. Tel Aviv portò 14 emendamenti alla proposta americana e di fatto la distrusse. Ma non solo. Ariel Sharon intensificò gli assassinii di sospetti (ma non processati) membri di Hamas, ammazzandogli spesso anche mogli e bambini, ovviamente esacerbando le tensioni. Fine della “Road Map”.

Stessa musica con i cessate il fuoco di Hamas, «praticamente sempre violati da Israele, al punto che nel 2006 in una conversazione segreta fra i leader di Hamas in Gaza e Damasco, si sente dire “Non abbiamo ricevuto nessun beneficio dal nostro cessate il fuoco di un intero anno, Israele continua la violenza contro i civili, e stiamo perdendo la reputazione coi civili palestinesi”». Nel famoso rapimento da parte di Hamas del soldato israeliano Gilad Shalit, viene omessa una verità scomoda, e cioè che «il giorno prima Israele aveva rapito due medici palestinesi senza alcun mandato legale, e li ha fatti sparire “incommunicado” (mai rilasciati né processati). La provocazione fu quindi israeliana». Eppure, in un articolo sul “Washington Post” del luglio 2006, il leader di Hamas Ismail Haniyeh riconobbe pienamente il diritto d’Israele di esistere, nonché il diritto alla pace fra «tutti i popoli semiti dell’area». Haniyeh lo fece «nonostante sapesse che quando Arafat riconobbe Israele nel 1993 non ottenne assolutamente nulla, solo violenza». Così, Tel Aviv ignorò anche l’offerta di Haniyeh.

Nel 2007 gli Stati Uniti offrono la pace nel Trattato di Annapolis. Ma poiché il testo della Casa Bianca contiene la frase “cessare il terrorismo sia da parte palestinese che israeliana”, Israele boicottò tutto l’accordo. Fine del Trattato di Annapolis. Persino da dentro l’establishment militare d’Israele arriva l’ammissione che è Tel Aviv che boicotta la pace. L’ex capo del Mossad, Efraim Halevy, dicharò nel 2009: «Se Israele volesse veramente eliminare la minaccia dei razzi di Hamas», rudimentali aggeggi, «dovrebbe permettere ai civili di Gaza di sopravvivere consentendo loro di ricevere i beni vitali attraverso la frontiera con l’Egitto, non strangolarli alla fame. Questo garantirebbe la pace a Israele per decenni». Lo conferma Robert Pastor, docente all’American University, già inviato dell’ex presidente Usa Jimmy Carter nei Territori Occupati, cioè Cisgiordania e Gaza. Parole esplicite: è Israele che boicotta la pace. «Hamas – dice Pastor – aveva fermato il lancio dei razzi dal giugno al novembre 2008, ma Tel Aviv non solo rinnegò la promessa di allentare lo strangolamento dei civili di Gaza per cibo, medicinali, e acqua, ma bombardò un “tunnel della disperazione”, quelli che fanno passare poche cose dall’Egitto ai palestinesi. Comunicai chiaramente al governo israeliano che Hamas avrebbe esteso il cessate il fuoco se l’assedio di Gaza si fosse allentato, ma mi ignorarono totalmente».

Scrive il mitico reporter d’inchiesta americano Seymour Hersh: «L’attacco a Gaza (2008) da parte d’Israele, e i massacri conseguenti, vennero guarda caso quando il governo turco era riuscito a mediare con diplomatici di Tel Aviv un accordo completo per il ritiro israeliano dal Golan occupato illegalmente da Israele. Ma è ovvio che l’assalto a Gaza distrusse tutta la mediazione. Non fu una coincidenza». Lo sostiene anche l’“Huffington Post”: «Il cessate il fuoco di Hamas del 2008 reggeva benissimo. Fu Israele a uccidere per primo, il 4 novembre. Poi sempre un raid aereo israeliano uccise altri 6 palestinesi, nonostante il cessate il fuoco. Abbiamo fatto un seria ricerca su chi, fra Israele e Hamas, ha rotto più volte il cessate il fuoco in quasi 10 anni, con l’aiuto dell’organizzazione israeliana B’Tselem. E’ indubbiamente Israele che uccide per primo durante un cessate il fuoco, nel 78% dei casi precisamente. Hamas ha violato le tregue solo nell’8% dei casi. Ma se parliamo di tregue lunghe più di 9 giorni, Israele le ha violate per primo nel 100% dei casi».

Come si può affermare di fronte a queste prove che sono i palestinesi a rifiutare la pace? A spezzare le tregue? E’ l’esatto contrario, protesta Barbnard. «Questo, senza dimenticare che anche in tempi di cessate il fuoco, Israele continua la sua politica di pulizia etnica palestinese e di violenze gratuite e distruttive contro i villaggi palestinesi, contro il loro diritto di nutrirsi, con rapimenti di minori che spariscono “incommunicado”, torture di prigionieri senza processo e senza tutele legali». Nonostante ciò, la narrazione filo-sionista ha il coraggio di ripetere che “Israele è l’unico Stato democratico della zona”, e quindi “è vergognoso chiamarlo Stato razzista”. In realtà, proprio il razzismo «fu ed è la linfa vitale di tutto il movimento sionista: oggi Israele è l’unico Stato moderno che mantiene un sistema di apartheid feroce contro i palestinesi, talmente rivoltante da essere stato condannato in tutto il mondo». La democrazia in Israele? «Riguarda solo la popolazione ebraica, e neppure tutta».

Pochi sanno che le leggi emanate nei decenni dal Jewish National Fund sulle terre di Palestina, da loro occupate attraverso la pulizia etnica, sanciscono che tali terreni sono riservati al 90 agli ebrei; ai palestinesi è proibito affittare o comprare quei terreni che una volta erano loro, prima della colonizzazione sionista. Nel 2003 l’Istituto Israeliano per la Democrazia fece un sondaggio fra gli ebrei israeliani che diede questi risultati: il 53% sostenne che i palestinesi non avevano diritto all’eguaglianza civica con gli ebrei, e il 57% disse che andavano semplicemente cacciati a forza. Il Comitato dell’Onu sui diritti economici, sociali e culturali ha denunciato in termini tragici la mancanza di democrazia in Israele: anche i cittadini israeliani di origine araba sono esclusi dalla residenza nel 93% delle terre; sono esclusi dalla maggior parte dei sindacati, dei servizi pubblici come acqua, elettricità, alloggi, sanità, e sono relegati alle scuole peggiori. I loro salari sono sempre inferiori a quelli degli ebrei. Infine, dice il rapporto dell’Onu, il trattamento da parte israeliana dei beduini è al limite dei crimini contro l’umanità. Bella democrazia, no?

«Non c’è Stato ebraico senza la cacciata dei palestinesi e l’espropriazione della loro terra», chiarì Sharon. Razzismo, apartheid. Lo disse anche un famoso giurista sudafricano, John Dugard, esperto di segregazione razziale, inviato dalle Nazioni Unite in Israele e Territori Occupati. Dugard consegnò all’Onu le seguenti parole: «Le leggi e le azioni d’Israele nei Territori Occupati (illegalmente), certamente rispecchiano parti dell’apartheid sudafricana. Si può forse negare che lo scopo di tali azioni e di tali leggi è di mantenere il dominio di una razza (ebrei) su un’altra razza (palestinesi), per schiacciarli sistematicamente?». La democrazia israeliana, inoltre, tollera fra i partiti dell’arco costituzionale il “National Union Party”, che chiede apertamente la distruzione della popolazione palestinese e nega ai palestinesi il diritto di esistere. «Israele – scrive Barnard – è l’unico Stato al mondo dove nel 1995 il governo ha introdotto il concetto di “gruppi di popolazione”, distinguendo il gruppo “ebrei e altri” dal gruppo “arabi”. Il primo comprende ebrei e cristiani non arabi, il secondo musulmani e arabi cristiani. L’unico altro Stato al mondo che aveva questa distinzione settaria era il Rwanda».

E c’è di peggio: una rappresentante del partito israeliano “Jewish Home”, la giovane Ayelet Shaked, insieme all’accademico israeliano Mordechai Kedar dell’università di Bar Ilan, ha scritto che le famiglie, cioè bambini, mogli e nonni dei “terroristi” di Hamas «vanno sterminate», e che le loro sorelle e madri «vanno stuprate», dopo 80 anni di orrori ebraici contro quelle famiglie, quelle madri e quelle sorelle. E’ esplicito il professor Joel Beinin, docente di storia alla Stanford University, negli Usa: ha intitolato un suo saggio “Il razzismo è il pilastro dell’operazione Protective Edge di Israele”. Davide e Golia? Sì, ma bisogna invertire le parti:«Il primo attacco suicida palestinese contro Israele è dell’aprile 1994 ad Afula, esattamente dopo un secolo di terrore e di crimini sionisti-israeliani contro i civili palestinesi», chiosa Barnard, che nel suo dossier documenta in modo millimetrico lo sterminato bilancio dell’orrore israeliano. «Uno dei più gravi atti terroristici commessi dal regime di Tel Aviv, in violazione di ogni norma morale e di legalità internazionale, è l’indiscriminato attacco armato agli operatori medici e paramedici che vanno in soccorso ai civili e ai militari palestinesi feriti o uccisi durante gli scontri».

Anche questa indicibile pratica è documentata oltre ogni dubbio. «Le Forze di Difesa Israeliane hanno sparato sui veicoli che tentavano di raggiungere gli ospedali, con conseguenti morti e feriti. Medici e personale paramedico sono stati uccisi da colpi di arma da fuoco mentre viaggiavano sulle ambulanze, in chiara violazione della legalità internazionale». Da anni Israele sferra attacchi mostruosi su Gaza, sterminando i civili, col pretesto di difendersi dai rudimentali razzi di Hamas, sparati per disperazione. In 14 anni, i razzi Kassam hanno ucciso dai 33 ai 50 civili israeliani, mentre in soli 6 anni Israele ha assassinato un totale di 2.221 civili palestinesi di Gaza, donne e bambini. Norman Finkelstein, ebreo americano e professore di scienze politiche, aggiunge un dettaglio agghiacciante: «Per reprimere la resistenza palestinese, un ufficiale israeliano di alto rango ha sollecitato l’esercito ad analizzare e a far proprie le lezioni su come l’armata tedesca combatté nel Ghetto di Varsavia». Finkelstein è figlio di vittime dell’Olocausto. «Se gli israeliani non vogliono essere accusati di essere come i nazisti – scrive – devono semplicemente smettere di comportarsi da nazisti».




Risposta al volumetto "Come asfaltare chi difende Israele..." (parte 1) - Zhistorica
18 maggio 2015

https://zweilawyer.com/2015/05/18/rispo ... e-parte-1/

Questo volumetto di Paolo Barnard, che si autoassegna la vittoria dialettica, mi ha subito attirato. A farmelo conoscere è stato un amico pro-palestina, no-global e no-tav che, leggendomelo, era convinto di farmi cambiare idea su Israele.

In questo ed in altri articoli farò emergere la modestia delle 10 argomentazioni addotte da Barnard.

Il pdf si apre con il titolo e le foto di Saviano e Travaglio. Ora, pur apprezzando pochissimo il primo (mentre il secondo non mi dispiace nella maggior parte dei suoi interventi), non vedo quale sia il nesso con gli argomenti trattati nelle pagine seguenti. I due sono favorevoli a Israele, ma prenderli come archetipo del sionista militante mi sembra un poco esagerato.

Comunque, iniziamo dall’introduzione del volumentto.

paolobarnard.info docs Come_asfaltare_chi_difende_israele_in_10_mosse 1

Il riferimento al genocidio dei Palestinesi, o il parallelo olocausto-genocidio palestinese, sono menzogne che trovano particolare favore presso taluni ambienti. Forzare la storia in modo da mettere sullo stesso piano fatti già condannati e fatti che non hanno nulla a che vedere con i precedenti è un ottimo metodo per distorcere il sentire comune. Martellato dalla propaganda pro-palestina, l’uomo medio è portato a credere che in Palestina sia in atto un massacro indiscriminato di arabi, analogo a quello subito dagli ebrei nella germania nazista. Al parallelo fra il vero genocidio subito dagli ebrei e quello, fasullo, degli arabi di Palestina, non può che seguire quello fra nazismo e sionismo.

Ai poveri di spirito e cultura che parlano di pulizia etnica e genocidio (tecnicamente sono due fattispecie distinte, ma le lascio nello stesso calderone per semplicità) è necessario far notare una cosa:
1) nel 1933 in Germania c’erano 500.000 ebrei, nel 1943 circa 20.000 (quasi tutti sposati con cristiani).
2) nei territori Palestinesi nel 1970 abitava 1 milione di arabi, 3.5 milioni nel 2004 , 4.4 milioni nel 2013.

Quanto al conflitto arabo-israeliano, questo viene visto come la modalità principale attraverso cui Israele porterebbe avanti il genocidio degli arabi di Palestina. Tuttavia, Gunnar Heinsohn and Daniel Pipes hanno dimostrato ampiamente come il questo conflitto sia uno dei meno letali della seconda metà del XX secolo. Dal 1948, nelle guerre con Israele sono morti infatti 46.000 arabi musulmani (compresi quelli appartenenti alle forze armate giordane, libanesi, siriane ecc.), ma questi numeri sono sufficienti a raggiungere solo la 49° posizione nella classifica della “letalità” dei conflitti dal 1950 ad oggi. Al termine dello studio, i due professori hanno affermato:

“Nonostante la relativa non letalità del conflitto arabo-israeliano, la sua fama, notorietà, complessità, e importanza diplomatica probabilmente continueranno a dargli una rilevanza esagerata nell’immaginario comune. E la reputazione di Israele continuerà a farne le spese.”

Che strano modo di portare avanti un genocidio, non trovate? Arabi di Palestina quadruplicati in quaranta anni, conflitti con un basso indice di letalità, parità di diritti fra cittadini a dispetto della fede professata. Sono dati incontrovertibili che rendono ridicola ogni accusa di pulizia etnica o genocidio.

Passiamo alla definizione di Sionismo.

da wikipedia:

“Il sionismo è un movimento politico internazionale il cui fine è l’affermazione del diritto alla autodeterminazione del popolo ebraico mediante l’istituzione di uno stato ebraico, inserendosi nel più vasto fenomeno del nazionalismo moderno.”

Garzanti:

“Movimento politico e culturale ebraico nato alla fine del secolo XIX per opera dello scrittore Th. Herzl (1860-1904) con lo scopo di ricondurre gli ebrei nell’antica terra di Israele per costituirvi una comunità nazionale | dopo la proclamazione dello stato d’Israele (1948), movimento internazionale d’opinione che sostiene il diritto all’esistenza del nuovo stato“

la Treccani si spinge oltre:

“Movimento politico-religioso ebraico, espressione di vari orientamenti ideologici, costituitosi a Basilea nel 1897 allo scopo di creare in Palestina uno stato nazionale indipendente per il popolo ebraico, e praticamente esauritosi nel 1948, con la proclamazione dello Stato d’Israele. Nell’attuale pubblicistica politica, il termine è passato a indicare, con connotazione polemica, la politica di intransigente chiusura del governo di Israele nei confronti del movimento per l’autodeterminazione del popolo palestinese.”

Barnard però va oltre, e ha la pretesa di riscrivere il significato del termine. Lo fa, per giunta, prima ancora di provare, tramite le sue famose “10 argomentazioni”, che questo nuovo significato possa avere una qualche veridicità.

E’ liberissimo di farlo, così come io sono libero di definire, da domani, il “comunismo” come “un insieme di idee economiche, sociali e politiche, volto a privatizzare i mezzi di produzione e ad approvare il più sfrenato capitalismo individualista”.

Definendo il sionismo come il movimento della “Elite ebrea criminale genocida dominante in Palestina”, si dimostra solo una completa ignoranza della questione (oltre a una certa difficoltà nell’uso della punteggiatura).

Vogliamo definire il Sionismo in due parole? Si tratta semplicemente dell’aspirazione degli ebrei ad avere un proprio stato nei territori una volta appartenuti al Regno di Giuda e di Israele. Niente di più. Chi si proclama orgogliosamente antisionista (specificando, di solito, “ma non antisemita”), non fa altro che dichiararsi contrario allo Stato di Israele. Un antisionista vuole uno stato arabo palestinese e tutti gli ebrei fuori dalla zona. Non ci può essere, di conseguenza, un antisionista che sia a favore della soluzione a due stati o anche solo all’esistenza di Israele.

Dopo questa premessa, passiamo al punto 1.

asf israele punto 1

Devo essere sincero: penso di non aver mai sentito (quantomeno non in questi termini) un sionista utilizzare questa argomentazione. Gli arabi di Palestina, dopo secoli di immobilismo istituzionale, economico e sociale dovuto alla dominazione ottomana, erano ovviamente felici di vedere rimpolpate le piccole comunità ebraiche presenti in Palestina e la creazione di nuove. Già negli ultimi decenni del XIX secolo, gli Ebrei (che nel 1925 rappresentavano il 15% della popolazione) erano riusciti a costituire centri agricoli e commerciali che migliorarono in modo massiccio le condizioni di vita degli arabi. Questo porta a poter considerare il primo punto proposto da Bernard come un “autogoal”, o almeno a denotare una certa confusione del soggetto in questione.

Per approfondire il discorso, bisogna sottolineare come l’immigrazione degli ebrei fu accompagnata da una parallela immigrazione di arabi dalle province ottomane limitrofe. Purtroppo le statistiche relative alla Palestina pre-Mandataria sono mediocri, ma sappiamo che fra il 1922 e il 1930 la popolazione della Palestina si modificò così:
ANNO MUSULMANI EBREI
1922 589.177 83.790
1930 733.149 164.796

Ad un aumento della popolazione ebraica pari a 80.000 unità (il doppio rispetto al 1922), ce ne fu uno di quella musulmana pari a 150.000.

Fra tutti le fonti che poteva citare Barnard sulla coesistenza fra arabi ed ebrei, pescare proprio Baruch Kaplan è pura sfortuna (per lui). Barnard infatti dice, giustamente, che il rabbino si formò a Hebron negli anni ’20, ma omette un piccolissimo particolare.

Hebron era una delle comunità ebraiche più antiche della Palestina, composta perlopiù da Sefarditi e da Ashkenazi giunti nel secolo precedente. A metà agosto del 1929, prendendo a pretesto le mire ebraiche sul Muro Occidentale (Muro del Pianto), Haj Amin El Husseini e Aref el Aref istigarono una folla inferocita a massacrare gli Ebrei. Il 24 agosto ne furono uccisi 67. I rapporti parlano di rabbini castrati, bambini decapitati e giovani cui erano state amputate le dita o le mani.

Molti Ebrei riuscirono a rifugiarsi presso la stazione di polizia o alcune famiglie arabe, ma quella fu la fine della convivenza pacifica ad Hebron.

Un concetto di pacifica convivenza tipicamente islamico, in cui finché sei capace di fornirmi denaro o vantaggi sei il benvenuto, ma se alzi la testa meriti di essere massacrato. Come testimoniò Mousa J. Kaleel (arabo cristiano), nel suo libro When I was a boy in Palestine (1914):

When I was a boy in Palestine

Vai alla SECONDA PARTE.


Risposta al volumetto “Come asfaltare chi difende Israele…” (parte 2) - Zhistorica

https://zweilawyer.com/2015/05/25/rispo ... e-parte-2/


La seconda parte dell’articolo che confuta le (mediocri) argomentazioni di Barnard contro il Israele e il Sionismo. Nella prima parte ho già parlato della grottesca definizione di Sionismo proposta dall’ignorante di cui sopra.
n2 asflatare israele

Nella mente di alcuni soggetti, la Palestina di fine XIX secolo era una terra ricca e densamente abitata dal presunto popolo palestinese. Nulla di più falso.

Ma andiamo con ordine, partiamo dalla prima frase, attribuita a Israel Zangwill. La pronunciò nel 1901, ma non si tratta di uno slogan propriamente sionista, visto che era stata usata già sessanta anni prima (QUI per approfondire la genesi dello slogan). Ad ogni modo, prendere proprio Zangwill fra tutti gli appartenenti al Movimento Sionista non è un’ottima idea. Pochi anni dopo infatti, egli abbandonò le posizioni di Herzl e divenne un convinto territorialista. Ora, non sta a me riassumere tutte le vicende interne al Movimento Sionista, ma è doveroso precisare che, accanto ai sostenitori di un ritorno in Israele, si formò un gruppo di Ebrei che pensavano fosse più fattibile la creazione di uno Stato Ebraico in Uganda, Canada, Australia, o in altri luoghi individuati di volta in volta.

Senza bisogno di andare a pescare Y. Epstein, a Barnard sarebbe bastato leggere gli scritti successivi di Zangwill, in cui arrivò a dare la cifra esatta, confermata dalle fonti mandatarie, di 600.000 arabi presenti in Palestina (The Voice of Jerusalem, MacMillan, 1921).

A titolo di curiosità, e come remind per questo ed i prossimi articoli, riporto il brano originale:

The voice of Jerusalem Z

Come potete vedere, anche un territorialista come Zangwill non parla di Palestinesi, mai considerati come popolazione a sé stante prima del XX secolo, ma di Siriani, Egiziani, Drusi e addirittura Bulgari (trasferiti nel corso della ritirata Ottomana dal continente europeo) e “insediamenti considerevoli” di Circassiani portati lì dal Sultano dopo la Guerra Caucasica con l’Impero Russo.

In James William, History of the Peoples of Palestine (1970), leggiamo addirittura che c’erano interi villaggi costituiti da abitanti dell’Impero Ottomano spostati dai loro paesi d’origine nel XIX secolo (era una prassi comune), in particolare dalla già menzionata Circassia, dall’Egitto e dalla Bosnia.

Da Jacob Haas, History of Palestine, The Last Two Thousand Years (1934) sappiamo anche molte tribù algerine furono trascinate fino a Safed.

Le testimonianze di questo genere sono numerosissime, ed è difficile scegliere le più significative. Tuttavia, un particolare può aiutarci a certificarne l’autenticità. Fra gli attuali Arabi di Palestina (o Palestinesi che dir si voglia) i cognomi più diffusi rimandano direttamente all’origine della famiglia: “al-Djazair”/Algeria, “Halabi”/Aleppo, “Bushnak”/Bosnia, “Metzarwah”/Egitto, “al-Husayni”/Arabia Saudita; “al-Mughrab”/Marocco, “Khamis”/Iraq, “El Baghdadi”/ Iraq, ecc.

Tornando ai 600.000 di Zangwill, possiamo riprendere tabella del precedente articolo:
ANNO MUSULMANI EBREI
1922 589.177 83.790
1930 733.149 164.796

E’ vero, nel 1922 c’erano 590.000 arabi e 84.000 ebrei, ma parliamo, per l’appunto, del 1922.

Zangwill, il “Dickens del Ghetto”, propendeva per una soluzione differente da Herzl e cercava di portare più Ebrei possibile dalla sua parte facendo presente a tutti che la popolazione Araba era consistente. Non diceva però che la medesima popolazione era aumentata in maniera massiccia proprio in seguito all’arrivo degli Ebrei.

Qual’era, dunque, la vera consistenza della popolazione Araba e Cristiana di Palestina nel XIX secolo, ossia prima della ondata migratoria ebraica (NOTA BENE: gli Ebrei abitavano Giudea e Samaria in modo continuativo da venticinque secoli, sebbene la loro consistenza numerica fosse variata in modo sostanziale nel corso degli anni)?

Le statistiche ottomane purtroppo sono scarse e poco affidabili, soprattutto perché la mobilità interna all’Impero Ottomano quasi non veniva tracciata. Ma anche quelle mandatarie non tengono praticamente conto di questi flussi. A testimonianza di ciò, sappiamo che nel 1934 gli Inglesi inserirono nei rapporti ufficiali solo 1.700 immigrati legali non-Ebrei (e 3.000 clandestini), mentre il governatore del distretto di Hauran (Siria) dichiarò “Negli ultimi mesi 30.000-36.000 siriani sono entrati in Palestina negli ultimi mesi (prima metà del 1834) e si sono stabiliti lì.

Pur evitando di inserire nei registri ciò di cui non avevano contezza assoluta, gli Inglesi sapevano ciò che stava accadendo:

“Questa immigrazione Araba illegale non arriva solo dal Sinai, ma anche dalla Transgiordania e dalla Siria, ed è molto difficile trovare una soluzione alla miseria degli Arabi se, al tempo stesso, i loro compatrioti degli stati vicini non sono trattenuti dal recarsi in Palestina a condividere detta miseria”
Palestine Royal Commission Report, London (1937)

Lo stesso Churchill fu piuttosto chiaro in proposito:

“Non solo non sono stati perseguitati, ma addirittura gli Arabi sono entrati in massa nel paese e di sono moltiplicati fino a che la loro popolazione è aumentata più di quanto potesse fare l’intera popolazione Ebraica mondiale.”

Sulla demografia palestinese fra fine XIX e prima metà del XX secolo, uno dei lavori più interessanti è stato svolto da Joan Peters nel libro From Time Immemorial, in cui dimostra come l’aumento della popolazione araba fu dovuto essenzialmente all’immigrazione ebraica. Nel suo libro (criticato dal sostenitore di Hamas N. Finkelstein con argomenti mediocri che vi invito a leggere), la Peters divide la Palestina Mandataria (più grande di quella intesa oggi) in tre parti:

1) Area senza insediamenti Ebraici;

2) Area con pochi insediamenti Ebraici;

3) Area con molti insediamenti Ebraici.

Dopo, utilizzando i dati ottomani elaborati da Kemal Karpat, paragona i dati relativi alla popolazione araba del 1893 e del 1947:

1) da 337.000 a 730.000 (+116%);

2) da 39.000 a 111.000 (+185%);

3) da 92.300 a 462.000 (+401%).

Ne consegue che la presenza araba aumentava in proporzione a quella ebraica della zona di riferimento.

Studi ancora più accurati sono stati svolti dagli italo-israeliani Sergio Bachi e Roberto Della Pergola. Per un approfondimento e una bibliografia adeguati alla questione, vi consiglio di fare una capatina QUI.

Andando ancora più indietro nel tempo, troviamo diverse testimonianze, più o meno famose, sulla situazione demografica palestinese (vi evito però le due più ripetute, quella di Mark Twain e quella del console inglese James Finn).

H. B. Tristram, nel suo The Land of Israel, A Journal of Travels in Palestine (1865) scrisse nel suo diario:

“Le terre a sud e a nord della pianura di Sharon non sono più coltivate e interi villaggi stanno scomparendo rapidamente dalla faccia della Terra. Dal 1838 non meno di 20 villaggi sono stati cancellati dalle mappe [dai Beduini] e la popolazione stanziale è stata estirpata.”

Nel 1835, il francese Alphonse de Lamartine descrisse così i dintorni di Gerusalemme nel suo Recollections of the East:

A pilgrimage to the Holy Land comprising recol...1835

“Fuori dalle mura di Gerusalemme, non abbiamo visto esseri viventi, non abbiamo sentito nessun suono vivente. Abbiamo trovato lo stesso vuoto, lo stesso silenzio, all’entrata di una città di 30.000 abitanti, che avremmo trovato davanti alle porte sotterrate di Pompei o Ercolano…”

Cinquanta anni prima, nel 1785, un altro francese, Constantine Francois de Volney riportò l’esatta popolazione delle tre principali città della Palestina: Gerusalemme non arrivava a 14.000 abitanti, Betlemme a 600 uomini, Hebron a 900.

A metà del ‘700, l’archeologo Thomas Shaw faceva notare che la Palestina mancava di persone che potessero coltivarne la terra.

Ad ogni modo, gli Ebrei continuarono a vivere in comunità di medie e piccole dimensioni per tutto il periodo ottomano, tanto che, nel 1523, un italiano riportò nei suoi diari un censimento della popolazione Ebraica nella Palestina ottomana:

pagina 18.000 ebrei 1533

Nella parte finale dell’estratto, si può notare anche come il numero di 18.000 Ebrei sia inferiore rispetto a quello riscontrato quasi quattrocento anni prima, nel 1170.

Questo dato è ancora più interessante se lo si mette in relazione con quanto riportato in In “International Journal of Humanities and Social Science Vol. 3 No. 6 [Special Issue – March 2013]”, Effect of Demographic Factor on Palestinian – Israeli Conflict, dove il prof. Hussein Al-Rimmawi ed il prof. Esmat Zeidan sostengono che, nel 1596 (anno del primo censimento ottomano), gli abitanti della Palestina (sempre intesa in senso più ampio di quella attuale) fossero 206.000.

Ci vediamo fra qualche giorno con la terza parte. Il mio unico dispiacere è che avrei voluto dedicare a ciascuno di questi articoli almeno 3.000 parole, ma purtroppo il tempo fugge.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » ven feb 05, 2021 8:37 am

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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » ven feb 05, 2021 8:37 am

Ebrei di sinistra, sinistre mostruosità umane assai razziste
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2802
Ebrei di sinistra, sinistre mostruosità umane, razziste, antisraeliane e antisemite, antidemocratiche e castuali, che violano e calpestano i diritti umani naturali universali e civili dei nativi e cittadini europei ed italiani.
L'orrore degli ebrei di sinistra che sostengono e promuovono il nazismo maomettano.


Ebrei e non più ebrei che odiano gli ebrei e Israele
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... 197&t=2469



Si può essere antisionisti senza essere anche antisemiti ?
Ne discutono sul mensile "MicroMega" Gianni Vattimo, Furio Colombo, Moni Ovadia, Judith Butler e Avishai Margalit
di Roberta Zunini *
Pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 3 gennaio 2014

https://www.facebook.com/54282881907040 ... 418955306/

Si può essere antisionisti senza essere antisemiti? Che significato ha oggi il termine "sionismo"? Ha ancora senso mettere in discussione l'esistenza di Israele? A queste domande, scomparse da troppo tempo dal dibattito sulla questione israelo-palestinese e, più in generale, da quello sul Medio Oriente, hanno risposto sul nuovo numero di MicroMega Gianni Vattimo, Furio Colombo, Moni Ovadia, Judith Butler e Avishai Margalit. La lettura delle loro considerazioni dà la possibilità, confrontando i diversi e, nel caso di Vattimo e Colombo, opposti punti di vista, di riconsiderare, cambiare o consolidare "verità" che si pensavano incontrovertibili.
Con questa iniziativa, MicroMega mostra anche il cambiamento di opinione di uno dei più importanti filosofi italiani, quel Vattimo che intitola il suo mini-saggio "Come si diventa anti-sionista". La sua tesi parte dall'assunto che "nonostante quel che ripete spesso il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, si può essere antisionisti senza essere antisemiti". Cioè si può essere contrari all'esistenza di Israele in quanto Stato, e in quanto popolato da ebrei, ma non per questo essere razzisti nei confronti degli ebrei in generale: "Non solo perché il mondo è pieno di ebrei seriamente legati alla propria tradizione che però non la identificano con lo Stato di Israele, dal quale non mancano di prendere continuamente le distanze. Ma perché, come proprio questi ebrei non sionisti ci insegnano, la ricchezza della cultura ebraica e la sua determinante presenza nello spirito dell'Occidente e del mondo moderno in generale non solo non si affermano con la creazione dello Stato di Israele, ma ne sono seriamente minacciate. Ha sempre più senso oggi ripetere ciò che qualche intellettuale ebreo ha avuto il coraggio di dire: che tra i danni prodotti dalla politica hitleriana e dall'Olocausto, c'è anche la stessa creazione, nel 1948, di Israele come Stato ebraico". Il filosofo sostiene inoltre che ci era stato a lungo raccontato che, anche a causa della presenza nell'Egitto di Nasser di ex ufficiali nazisti come istruttori decisi a esportare la Shoah anche in Medio Oriente, "si doveva essere sionisti per essere antifascisti".
La prima affermazione, che Vattimo fa propria, e quest'ultima, vengono confutate nell'articolo firmato da Colombo, intitolato il "pregiudizio antisionista". Secondo lo scrittore e intellettuale, dopo il 45 gli ebrei erano ancora avversati e la nascita di Israele - voluta dall'Onu - doveva andare di pari passo alla creazione di una vicina nazione palestinese, osteggiata invece dai paesi arabi limitrofi". Verità storiche che sarebbero state rifiutate da una sinistra incapace di affrontare la questione ebraica. Dopo aver concesso che raramente gli antisionisti - in egual misura di destra e di sinistra - negano l'Olocausto, sottolinea i loro ritocchi della storia: "Si sostiene che il clima del dopoguerra (in favore del sionismo e dunque dello Stato di Israele ai danni della Palestina) sia stato subito facilitato dalla celebrazione accoppiata e unificata della Resistenza e della Shoah... se si tiene presente che sono gli anni in cui Primo Levi non riusciva a trovare un editore per Se questo è un uomo, in cui molti sopravvissuti non parlavano...". Colombo analizza quindi quelli che considera anche altri camouflage che hanno cambiato il volto della verità storica.
Il drammaturgo e attore ebreo Moni Ovadia ripercorre - soffermandosi anche su dettagli storici sconosciuti ai più - ne Le ceneri del sionismo, la metamorfosi avvenuta in un cinquantennio di esistenza dello Stato israeliano. L'estinzione della vocazione socialista, laica, che si fondava sulla logica di condivisione del kibbutz e sul partito laburista è uno dei cambiamenti esiziali: "Il sionismo oggi è solo un simulacro... la destra estrema che oggi governa in Israele, si nutre di valori ultra-nazionalisti, liberisti, declinati con il fanatismo religioso e il razzismo". Avishai Margalit, a sua volta, confuta questa impostazione, mentre Judith Butler prende un'altra strada sostenendo che il sionismo è incompatibile con l'etica ebraica.
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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » ven feb 05, 2021 8:37 am

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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » ven feb 05, 2021 8:38 am

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Re: Demenziali pseudo intellettuali di destra e di sinistra

Messaggioda Berto » ven feb 05, 2021 8:39 am

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